Sei sulla pagina 1di 17

NICCOLÒ MACHIAVELLI

Niccolò Machiavelli nasce nel 1469 a Firenze da una famiglia piuttosto agiata che dispone di vari possedimenti terrieri;
famosa è la dimora di San Casciano, vicino Firenze. Egli non conosce il greco e conosce gli scrittori greci attraverso la
traduzione ciceroniana. I suoi studi lo portano ad apprezzare la produzione latina, in particolare Tito Livio e Cicerone.
Apprezza molto lo stile di Cicerone al punto da essere influenzato dalla struttura sintattica ciceroniana. Livio aveva scritto
un'opera storiografica, "Ab urbe condita, dalla fondazione della città", divisa in decadi, che tratta la storia di Roma fino
all'età augustea. Anche Machiavelli non ha una vocazione lirica ma possiede un’impostazione storica e storiografica, dato che
Livio è uno dei più grandi storici dell’età augustea e dato che Cicerone offre un taglio sociologico e storiografico alle sue
orazioni. Machiavelli infatti scriverà opere storiche quali le istorie fiorentine e la storia d’Italia.

La passione della sua vita è l’attività politica, egli fu protagonista della vita politica del suo tempo. Durante la repubblica di
Girolamo Savonarola, decise di proporsi come segretario della seconda cancelleria di Firenze, ma venne preferito il
candidato proposto dal Savonarola. Quando muore Savonarola, questo potere passerà nelle sue mani. Assume anche la
carica come segretario dei dieci di pace e di libertà, una magistratura. Fa anche parte della magistratura dei nove e assieme
a Francesco Vettori, il suo grande amico, ambasciatore a Roma, con il quale andò presso l'imperatore Massimiliano
d'Asburgo, osservando le strutture governative del Tirolo. Machiavelli fu segretario di varie magistrature anche durante la
repubblica di Pier Soderini. Con lo scontro (1512) tra la Francia, appoggiata dalla repubblica di Pier Soderini e la Lega Santa,
Firenze viene sconfitta nella battaglia di Prato e termina la repubblica di Pier Soderini della quale Machiavelli era a servizio.
Nel 1613 a Firenze tornano i Medici e Machiavelli vorrebbe continuare a lavorare ugualmente anche per loro che in realtà
non glielo permettono, accusandolo di congiura, arrestandolo e torturandolo per quindi giorni, allontanandolo anche da
tutte le cariche pubbliche. Nonostante i Medici avessero appurato che non fosse schierato con la fazione antimedicea,
Machiavelli si ritira in esilio nella sua tenuta all'Albergaccio a San Casciano, dove si dedica allo studio e alla lettura dei classici
e alla redazione delle sue opere principali: Il principe (scritto tra il luglio e il dicembre del 1513) e i Discorsi sulla prima deca
di Tito Livio, iniziata poco prima della stesura del Principe ed interrotta per dedicarsi completamente al libello. L'opera ha un
fine pratico, è dedicata a Lorenzo De' Medici (non L. Il Magnifico, ma il nipote) perché vuole che si metta a capo di un
principato e diventi il nuovo princeps. È un'opera didascalica che ha lo scopo di insegnare al futuro sovrano come essere un
principe ideale. Dato che Lorenzo De' Medici morirà, Machiavelli cambia destinatario, rivolgendosi quindi a Giuliano De'
Medici. Machiavelli soffre fortemente l'allontanamento da Firenze; queste notizie infatti ci sono pervenute leggendo
l'epistolario.

Egli viene rilasciato perché diventa papa un esponente della casa dei Medici, Giovanni De' Medici, con il nome di Papa
Leone XI. Egli concede una sorta di amnistia generale e diversi prigionieri, tra cui Machiavelli, vennero rilasciati. Machiavelli
ritorna a Firenze nel 1523 sotto Giuliano De'Medici, che era diventato papa con il nome di Clemente VII, e nel frattempo un
altro esponente della famiglia medicea, che aveva prestato aiuto a Giuliano, diventa cardinale: Giulio De' Medici. Egli darà a
Machiavelli l'incarico di scrivere le istorie fiorentine, un'opera storiografica. Quando rientrò a Firenze egli si dedicò
nuovamente all'attività politica, legandosi ad alcuni esponenti degli Orti Oricellari come Cosimo Rucellai, esponente del
Rinascimento fiorentino. Nel frattempo diventa amico di Francesco Guicciardini. I due si scambieranno molte lettere e
compiranno molti viaggi insieme. Dopo che faticosamente era rientrato a Firenze, la dinastia medicea cade di nuovo e ritorna
la Repubblica. Ora è guardato con sospetto perché era stato uno stretto collaboratore dei Medici, e gli viene impedito di
esercitare cariche pubbliche (1527). Debole e malato, muore il 21 giugno di quello stesso anno.

LA POLITICA
Per Machiavelli l’attività politica é primaria e l’otium letterario é importante solo se strumentale rispetto all’attività politica. La
letteratura é uno strumento di indagine della realtà perché egli è mosso dalla curiosità, dalla volontà di indagare e analizzare
la realtà contemporanea. Per poter agire concretamente nella realtà e ricoprire delle cariche pubbliche era necessario essere
consapevoli di quest’ultima. Dunque per poterla capire meglio attinge a due fonti: la storia (si ispira all’età repubblicana) e
alla realtà effettuale (la realtà per come ci si presenta nella percezione sensibile). Più volte afferma infatti di voler considerare
la cosa e non l’immaginazione della cosa. Si guarda intorno viaggiando moltissimo, osservando direttamente la realtà, così da
osservare la realtà di altri contesti culturali (Francia->presso l’imperatore Luigi XII, +Austria).

Egli afferma che è possibile capire la realtà dal passato poiché gli uomini sono sempre gli stessi, dato che ha una concezione
naturalistica dell’essere umano. L’uomo è sempre uguale a se stesso, è portato all’ egoismo, al particolarismo, a curare il
proprio interesse personale (secondo il concetto dell’homo homini lupus), al punto che l’umanità per l’autore è considerata
un vulgo che “preferisce vendere il padre o la madre piuttosto che cedere una parte del suo patrimonio”.

Ha modo di apprezzare vari sovrani e le loro caratteristiche saranno applicate alla figura del principe ideale. Si ispira al regno
di Luigi XII e si rende conto che il principe ideale in uno stato ideale non deve utilizzare milizie mercenarie. Nell’opera “l’arte
della guerra” affronterà il tema delle milizie mercenarie (=Petrarca, in alcune canzoni). Le milizie mercenarie non dovrebbero
essere impiegate perché non appartengono alla stessa nazione del sovrano da cui sono state convocate, sono pagate e lo
fanno solamente per professione. Se da un lato sono professionisti, dall’altro se trovano un sovrano che offre loro più denaro
cambiano schieramento. Non combattono mai per il loro interesse; al contrario Machiavelli propone che le milizie siano locali
così da combattere per difendere le proprie famiglie e i loro averi con motivazione ed eroismo.

Machiavelli ammira Cesare Borgia, il duca Valentino, che aveva il ducato Valentinois, nel centro Italia, ad Urbino. Cesare
Borgia era figlio del papa Alessandro VI: l’impero era assolutamente corrotto tanto che di lì a poco ci sarebbe stato uno
scisma. Cesare Borgia viene ammirato perché sapeva imporsi: Machiavelli scrisse una relazione riguardo la vendetta di Borgia
contro dei tirannelli locali in Emilia Romagna che volevano attentare alla vita di Cesare Borgia, a Senigallia. Machiavelli
ammirava come Cesare Borgia fosse uscito da questa situazione, uccidendo tanti di questi tiranni. Machiavelli non si rallegra
della violenza, ma apprezza il provvedimento che ha preso Cesare Borgia (evidentemente necessario in quel contesto) e la
sua abilità nel risolvere questa situazione. Non ci si pone il problema del bene e del male, ma solo di ciò che è utile o meno
allo Stato. Non è il fine che giustifica i mezzi, perché i mezzi non sono giusti, ma è opportuno per la tutela del sovrano e dello
stato.

Machiavelli prescinde dalla categoria etica perché fonda un nuovo modo di concepire la politica, che non è né morale né
immorale, ma amorale. Essa non deve utilizzare categorie etiche, religiose o spirituali e il fatto che il papa avesse un figlio è
riprovevole sotto altri punti di vista ma certamente non da un punto di vista politico. La politica non deve essere immorale
perché non deve perseguire consapevolmente dei fini, ma deve prescindere da qualsiasi problematica di ordine morale. Il
fine ultimo deve essere il bene, il progresso, lo sviluppo del principato. Se per ottenere ciò si devono utilizzare mezzi che
siano poco consoni, o che secondo la morale ritenuti poco condivisibili, si utilizzano ugualmente perché si prescinde dalla
morale.

La massima “il fine giustifica i mezzi” è stata erroneamente attribuita a Machiavelli. Il bene del regno per Machiavelli viene
prima di tutto, e coincide con il vantaggio del principe. Se il principe deve introdurre la pena di morte per un uomo, lo deve
fare in alcune circostanze, in altre no, a seconda che sia più o meno conveniente. Non c’è una morale univoca che vieta
totalmente l’applicazione della pena di morte in nessun luogo, tempo o contesto, ma vi è una sorta di relativismo: a seconda
dei casi e del momento storico si può o meno ricorrere a un provvedimento simile. Non ci sono leggi universali, ma bisogna
capire quando è conveniente per lo Stato agire con un determinato provvedimento, evitando insurrezioni popolari e
rivoluzioni. La massima non può essere presa in considerazione perché significherebbe “il fine rende giusti i mezzi”, ma i
mezzi non sono mai giusti in assoluto perché sono opportuni o non opportuni, a seconda delle circostanze.

La qualità fondamentale di cui il principe deve disporre è la preveggenza, saper capire la realtà, saper anticipare i tempi sulla
base della conoscenza del passato e del contesto contemporaneo (la storia e la realtà effettuale), e prendere il
provvedimento giusto in quel momento, cogliendo l’occasione e capendo bene il contesto in cui agire, in un modo o in un
altro. La virtù in questione deve essere applicata anche al futuro, senza peggiorare la situazione e cercando di prevenire che
una possibile situazione futura ricapiti. In tal caso, grazie ai provvedimenti passati, si può agire più concretamente.

IL METODO INDUTTIVO-DEDUTTIVO
Egli utilizza il metodo induttivo-deduttivo. Con il metodo induttivo si parte dal particolare al generale, con quello deduttivo
dal generale al particolare. Ispirandosi sia alla storia sia alla realtà, entrambi i metodi vengono utilizzati
contemporaneamente: la storia presuppone per la maggior parte delle volte un metodo deduttivo, perché parte da una
situazione generale che si può applicare alla realtà contemporanea, ma si può usare anche il metodo induttivo partendo dal
contesto particolare e universalizzarlo attraverso il riferimento al passato.

LA FORTUNA
La fortuna si afferma durante l’Umanesimo e il Rinascimento. Va a sostituire la Divina Provvidenza medievale perché si
sviluppa l’idea di “homo faber suae fortunae”. La fortuna per Machiavelli è ambivalente: a volte sembra che il principe,
osservando la realtà e adottando la virtù della preveggenza, debba lasciar scorrere un periodo di sventura senza fare nulla
perché le circostanze sono tali che non si può contrastare la fortuna. Bisogna poi interpretare la realtà correttamente,
facendo uso dell’altro 50%, e capire quando effettivamente sia il momento di intervenire così da arrivare al successo, anche
grazie al coraggio. Quando muore il padre di Cesare Borgia, papa Alessandro VI, viene eletto dapprima un altro papa, Pio III,
per un breve periodo di tempo, e dopo Giulio II che ostacola il Borgia. Ecco dunque che il regno del Valentino di Cesare
Borgia decade. In quella circostanza Cesare Borgia non può fare nulla a causa della fortuna. La fortuna è una sorta di ruota
che alterna momenti di prosperità a momenti di difficoltà. Per poter descrivere a pieno la fortuna, egli utilizza la similitudine
del fiume in piena. Afferma che la fortuna è paragonabile ad un fiume in piena rispetto al quale l’uomo può agire in maniera
differente. Se un contadino ha costruito la propria abitazione sulle rive di questo fiume può, grazie alla preveggenza,
costruire degli argini lungo le rive, aiutando a preservare la casa e il raccolto. Se tuttavia arriva un alluvione, per quanto gli
argini possano essere robusti non reggeranno e il suo podere verrà inondato. Dunque Machiavelli conclude dicendo che
l’uomo può agire solo al 50%. Machiavelli tramite una metafora afferma che la fortuna è donna (da notare la misoginia del
tempo); alle donne piacciono gli uomini giovani e vigorosi e quindi bisogna prenderla di petto e picchiarla. Questo in realtà
afferma che bisogna affrontare la realtà con coraggio anche se apparentemente sfavorevole.

EPISTOLARIO
É un insieme di lettere reali (con uno stile un po' trasandato dato che non erano destinate alla pubblicazione). Una delle più
importanti è l'epistola al Vettori, datata 10 dicembre 1513 in cui si evidenzia la sua sofferenza data dalla mancata
partecipazione all'attività politica di Firenze e dal dover trascorrere la maggior parte della giornata con "i pidocchi", il
popolino. Frequenta infatti l'osteria, gioca a carte e si occupa della sua tenuta, commerciando legname. Frequentare il
popolino sarà per lui motivo di formazione che permetterà di apprendere come possa essere realmente fatta la vera natura
umana e come non ci sia tanta differenza nel modo d'agire tra un falegname e un duca, dato che la natura umana rimane
sempre la stessa (i meccanismi psicologici sono gli stessi). Nell'epistolario si sente la tradizione fiorentina comica e burlesca,
con passaggi familiari e talvolta volgari.

LA LETTERA AL VETTORI
É una lettera molto importante datata al 10 Dicembre 1513, quando si era appena diffuso il Princepe, perché attesta la sua
condizione lontano dalla vita politica e comunica lo scopo per il quale avrebbe scritto il De Principatibus. Non era destinata
alla pubblicazione e quindi il tono è molto colloquiale, si possono trovare diverse sgrammaticature e Machiavelli sottintende
molti passaggi perché fa riferito a situazioni ed esperienze che anche Francesco Vettori conosceva.

Si riferisce a Francesco Vettori chiamandolo ambasciatore perché era ambasciatore a Roma, anche Machiavelli avrebbe
voluto occupare la stessa carica ma non ci riuscirà. Si lamenta del fatto che egli non abbia risposto alla sua ultima lettera con
toni anche ironici. A Machiavelli viene un dubbio: Vettori potrebbe essersi offeso pensando che egli abbia letto le sue lettere
davanti ad altri, ma lo rassicura affermando che le avevano viste solo altri due loro amici, Filippo e Paolo. Machiavelli dice di
essere contento che Vettori esercita la sua carica pubblica a Roma in modo tranquillo e con grande professionalità, inoltre
utilizza il procedimento induttivo perché parte dalla carica singola dell’amico Francesco Vettori e poi ampia il discorso con
una massima di vita (chi trascura il proprio vantaggio per il vantaggio altrui, agisce a proprio danno e non riceve alcuna forma
di riconoscenza da parte di quelli per cui si è adoperato). Emerge una visione pessimistica della natura umana: egli ritiene
che l’uomo sia egoista e portato a compiere solo il proprio interesse personale, non c’è infatti un progresso storico ma la
natura dell’uomo è sempre uguale a se stessa. Continua la lettera invertendo il particolare con l’universale, perché prima
parte dalla vicenda di Vettori e poi arriva al generale, ora cita la fortuna in generale e poi scende nel dettaglio della sua
vicenda e quella di Vettori (procedimento deduttivo). Machiavelli consiglia a Pier Vettori di non fare nulla e di non prendere
nessuna iniziativa ma di aspettare che la situazione passi, nonostante a Roma ci fossero dei problemi. Anche se si riferisce a
Francesco Vettori, in realtà sta parlando di se e del suo esilio. É evidente come Machiavelli non voglia più essere in esilio ma
desideri riprendere l’attività politica e quindi quasi invidia la situazione di Francesco Vettori. Machiavelli descrive il modo up
in cui passa le giornate a San Casciano dicendo che si dedicava alla caccia degli uccelli e paragona la mole di attrezzi che
doveva portare a quelli di Geta, schiavo di Anphitrione (commedia di Plauto). Per Machiavelli questa distrazione era
decisamente anomala, essendo un uomo colto, un letterato e un grande uomo politico. Quando questa attività viene meno
(non era più stagione), inizia a trascorre le giornate con il popolino (oste, fornaio, taglialegna). Anche questa attività viene
vista come un’occasione di crescita e di apprendimento dato che si poteva confrontare con la più varia umanità, con classi
sociali diverse e con la realtà effettuale (la realtà nella sua purezza, non quella idealizzata) perché i membri del popolino
andavano anche a confidarsi con Machiavelli e gli raccontavano le loro sventure.

Tratta di litigi anche banali, come quello che c’era stato con Frosino da Panzano. Egli voleva pagare a Machiavelli delle
cataste di legna con 10 lire in meno perché pensava di averle vinte nel gioco delle carte. Ma siccome le cataste di legna
risultavano invendute dato che Machiavelli non le voleva più vendere a Frosino, allora vennero divise tra diversi amici. Anche
se racconta vicende poco significative, ci trasmette un’atmosfera della sua vita che risulta quasi abbrutita rispetto alla
precedente, infatti, mentre prima era abituato ad entrare in questioni con i sovrani ed il papa, adesso deve litigare con altri
personaggi. Machiavelli si stanca, dice di non aver più legna, ma tutti si offendono, in particolare modo Battista, e lui
paragona questa sciagura come quella di Prato, che era stata saccheggiata ed era quindi vista come una catastrofe.
Machiavelli disperatamente cerca di mantenere viva la sua dignità umana e troviamo quindi quello che é stato definito
umanesimo machiavelliano, che é un umanesimo civile: la lettura dei classici lo riscatta e lo fa sentire nuovamente un essere
umano, senza perdersi a litigare con quelli che chiamerà “pidocchi” non è fine a se stessa ma lo rende più capace di
raccontarsi e di agire nella realtà. Quindi la lettura è di natura pratica e soprattutto politica. Egli dice di portare sempre con
sé un libro di Dante, Petrarca o dei cosiddetti poeti “minori” (Tibullo, Ovidio), ossia i poeti elegiaci che trattano di amore. É
presente un confronto tra passato e presente, tra storia e realtà, rapporto induttivo e deduttivo. Poi Machiavelli si trasferisce
nell’osteria dove si confronta con la più varia umanità, come aveva fatto anche Boccaccio. Appena arriva l’ora di pranzo
mangia ciò che coltiva nel suo terreno. Nonostante nella vita passata fosse stato un ambasciatore, ora si confonde con gli
uomini del popolino, giocando anche loro. Tiene impegnato il cervello con questi, perché se non avesse più parlato con
nessuno avrebbe perso l’allenamento alla dialettica. Appena arriva la sera, Machiavelli entra nel suo scrittoio e si dedica alla
lettura di opere letterarie e avviene una sorta di metamorfosi: si spoglia dai panni infangati utilizzati con il popolino ed
indossa panni degni di una curia, rimanda a Dante con la sua corte ideale di poeti. Accolto nelle antiche corti, si nutre del
cibo che é l’unico che gli appartiene (il cibo del popolino l’ha alienato). Egli non é intimorito di confrontarsi con i grandi
personaggi e ha un atteggiamento di investigazione e di ricerca della storia, cerca le cause e le analizza in tutti gli effetti. I
grandi personaggi gli rispondono in virtù della loro umanità (=parola chiave che rimanda all’humanitas terenziana, intesa
come partecipazione emotiva alla natura umana ma anche come altezza di ideali e profondità di pensiero). Durante la notte
non prova nessuna noia, al contrario del giorno e dimentica la sua condizione di emarginazione. Dante afferma che quando
apprendiamo un nuovo concetto non possiamo lasciarlo così ma dobbiamo rielaborarlo, allo stesso modo Machiavelli
appunta e rielabora quello che ha imparato dalla conversazione con i classici e compone il De principatibus dove espone
delle riflessioni. Esistono tre tipi di principati: ereditari, nuovi e misti (i più facili da governare sono i primi mentre i più difficili
sono i terzi). Machiavelli scrive di getto l’opuscolo, perché nello Stato Pontificio c’era un papa mediceo, Leone X e Lorenzo
De Medici stava ereditando il principato quindi si stava ricreando una situazione favorevole nella quale Firenze poteva far
accrescere il suo prestigio.

Francesco Vettori é ambasciatore a Roma e più volte aveva invitato Machiavelli a raggiungerlo a Roma. Machiavelli aveva
parlato di esilio, ma si trattava di un esilio volontario, infatti egli era stato rilasciato, ma non se la sente di rimanere a Firenze
e allora si era recato a San Casciano, quindi avrebbe potuto raggiungere Francesco Vettori, ma non lo fa perché a Roma c’era
la famiglia dei Soderini. Quando Machiavelli aveva esercitato le cariche pubbliche, aveva prestato servizio per Soderini e, se
fosse andato a Roma, i medici avrebbero pensato che fosse ancora fedele alla repubblica di Pier Soderini e non gli avrebbero
permesso di esercitare le cariche pubbliche come lui avrebbe voluto. Siccome il suo scopo principale era tornare a Firenze,
non vuole destare sospetti e inimicarsi i medici, quindi non va a Roma, dove sarebbe stato costretto a far visita ai Soderini.

Nonostante il principato dei Medici, che si è da poco costituito dopo la caduta della repubblica di Pier Soderini, abbia molte
garanzie e principi saldi, é un principato nuovo (nei primi capitoli del Principe analizza le varie tipologie dei principati -
ereditari e nuovi) e quindi è più fragile e vulnerabile.

Dal punto di vista dell’argomentazione utilizza il metodo dilemmatico (dilemma, biforcazione) perché tutte le argomentazioni
presentano delle coppie oppositive e si creano delle biforcazioni, ma uno dei due rami rimane sempre cieco.
Egli ritiene che la Firenze del suo tempo é un principato nuovo e per questo Lorenzo de Medici ha bisogno di apprendere
l’arte di essere un buon principe dal libello di Machiavelli, che é una sorta di manuale che deve dare dei precetti concreti.
Machiavelli fa riferimento a dei conoscenti comuni e sta accusando il cortigiano Pagolo Bertini, che voleva mettersi in luce
agli occhi dei Medici a suo discapito. Machiavelli dice che andrà a Roma quando la situazione sarà più tranquilla e non potrà
avere ritorsioni da parte dei Medici (aspettare il momento favorevole perché la fortuna può arrivare). Viene di nuovo
applicato il metodo dilemmatico: Machiavelli ha parlato con Filippo (altro loro amico) se fosse giusto consegnare l’opuscolo a
Lorenzo de Medici o meno; accurato che fosse conveniente dedicarlo e farlo leggere a Lorenzo de Medici, si chiede se fosse
meglio portarlo di persona o spedirlo; il fatto di non portarglielo personalmente, lo faceva dubitare che non venisse letto da
Giuliano (al quale inizialmente doveva essere dedicata l’opera) ma da qualcun altro che si potesse arrogare la paternità
dell’opera. Far leggere l’opuscolo al signore di Firenze significava per lui la garanzia di tornare a Firenze e riprendere la
funzione di segretario. Inoltre il fatto di leggere il libello dimostrerebbe ai Medici che egli ha accumulato molta esperienza in
15 anni, in cui si è sempre impegnato e adoperato, quindi dovrebbe essere considerato una risorsa preziosa e dovrebbero
quasi fare a gara per servirsi di un uomo che ha molta esperienza. Non si dovrebbe dubitare che egli non sia fedele alla
politica e alla ragion di stato (espressione che sarà presente nei trattati della seconda metà del 500’ e che viene ripresa dalla
letteratura classica, in particolare da Tacito). La ragion di stato viene teorizzata per la prima volta da Machiavelli, che fonda
una nuova politica completamente amorale, secondo cui lo stato é il fine ultimo.

Machiavelli ritiene di essere sempre stato fedele. Egli ha una concezione naturalistica dell’umanità e crede che gli uomini
siano sempre uguali a se stessi indipendentemente alla classe sociale di appartenenza e al periodo storico in cui vivono
perché ci sono dei meccanismi psicologici e istintuali che li portano a comportarsi nelle stesso modo. La sua fedeltà e
coerenza sono testimoniate dalla sua condizione di povertà (se fosse stato opportunista probabilmente sarebbe stato a
corte).

Gli individui vincenti sono coloro che riescono ad adattarsi alle varie situazioni e sono malleabili, che quindi riescono a
“riscontrarsi con i tempi”, ossia hanno la capacità di analizzare la situazione e prevedere come essa possa evolvere. Il suo
comportamento non deve essere univoco e assoluto a prescindere dal contesto ma deve calarsi nel contesto specifico.

Il tono è apparentemente comico, ma si tratta di una comicità cupa e amara perché c’è si percepisce lo stato d’animo di
sofferenza e c’è un pessimismo di fondo. Il fatto di soffermarsi prima sui “pidocchi” (populino) e la sera vestire i panni curiali
e entrare nelle corti viene utilizzato per creare un contrasto e un effetto di chiaroscuro. All’inizio la concezione della fortuna è
passiva (bisogna attendere tempi migliori), alla fine quando dice che vuole consegnare assolutamente il suo libello al signore
di Firenze per cercare di persuaderlo c’é un atteggiamento più aggressivo è più propositivo quasi a voler forzare la situazione
(lo stesso tono é presente nel capitolo XXVI, che sembra sia stato scritto intorno al 1516).

IL PRINCIPE
Viene scritta di getto scritto tra il luglio e il dicembre del 1513mperché Machiavelli aveva l’urgenza di scrivere in quel
momento che corrispondeva a quel contesto storico, per questo interrompe la redazione dei “Discorsi sopra la prima deca di
Tito Livio”. É un’opera rivoluzionaria e attraverso essa si fonda la nuova scienza politica, ma si va ad innestare in una
tradizione presistente, le opere a cui fa riferimento sono profondamente diverse ma sono simili per quanto riguarda
l’argomento. Nel medioevo e anche nel 400’ con Pontano erano diffusi gli specula principis (gli specchi del principe), ossia
dei testi in cui venivano elencate tutte le qualità che il principe doveva avere (visione fortemente idealizzata secondo cui il
principe doveva essere clemente, magnanimo, generoso, moderato). Al contrario secondo Machiavelli, a volte, quando c’è la
necessità, il principe deve essere crudele, altre volte deve essere clemente; inoltre egli distingue la crudeltà in buona
(necessaria e funzionale, che fa il bene di tutti i cittadini) e cattiva/inutile (fa il bene del principe, che quindi diventa tiranno).
Erano diffusi anche i promemoria (400’/500’) in cui i cittadini potevano scrivere al sovrano ed elencavano caratteristiche che
avrebbe dovuto avere e consigli su come si sarebbe dovuto comportare.

L’opera é composta da 26 capitoli:


• I-XI: tipi di principati, crudeltà “bene e male usata”.
• XII-XIV: milizie. Machiavelli dedica alle milizie anche un’opera, intitolata “L’arte della guerra”. Egli ritiene che siano
necessarie le milizie proprie ma non quelle mercenarie perché, anche se sono composte da professionisti, sono meno

motivate visto che non combattono per difendere le proprie famiglie e i propri possedimenti. Tra le due é da preferire la
milizia locale perché é più fedele, non tradirà mai il proprio stato e agirà sempre per il proprio interesse che coincide con
quello comune.
• XV-XXIII: hanno suscitato maggiore scalpore e polemica perché parlano delle caratteristiche che deve avere il principe. Il
principe deve essere per metà uomo e per metà bestia (metodo dilemmatico) e fa riferimento a Platone che ricorda come
Chirone il centauro fosse stato il precettore di Aristotele. Il ramo della figura umana rimane cieco, mentre quello della figura
ferina si sdoppia in volpe (da cui deve riprendere l’astuzia, le volpi non si difendono dagli attacchi) e leone (dai cui riprende la
forza, i leoni non si difendono dalle trappole). Il principi deve fondere le caratteristiche umane e ferine e di volta in volta deve
saper interpretare la realtà e agire di conseguenza. Nel corso dei secoli il pensiero di Machiavelli é stato in parte
strumentalizzato e esasperato, per cui alcuni personaggi del teatro elisabettiano e del romanzo gotico del 700’ hanno delle
caratteristiche machiavelliche (tendono trame alle spalle dei protagonisti, agiscono in modo capzioso per i propri fini
personali, sono subdoli, falsi, opportunisti).
• XXIV: si chiede perché alcuni principati italiani abbiano fallito e siano stati soppressi. Per Machiavelli la causa è l’ignavia
(≠preveggenza, capacità di essere sempre vigili e attenti alla realtà contemporanea) dei principi. I principi ignavi non hanno il
coraggio di prendere posizioni ma aspettano che l’evento sfavorevole passi quando sarebbe stato il momento di agire e
agiscono quando sarebbe stato il momento di aspettare.
• XXV: tema della fortuna. La fortuna influenza la vita dell’uomo per metà quindi l’uomo può arginare la fortuna anch’egli
per metà (metafora del fiume in piena). A volte l’uomo deve aspettare che le contingenze negative passino, altre volte
bisogna agire ma la cosa più importante è capire quando è il caso di comportarsi in un modo e quando in un altro attraverso
due fonti, che sono la storia e la realtà. Visto che gli uomini sono sempre uguali si può imparare moltissimo dalla storia,
anche da circostanze sfavorevoli sono scaturite grandi imprese e egli riporta l’esempio del popolo d’Israele, che é stato
assoggettato dagli egiziani e poi é riuscito a scappare, e dei persiani, che erano assoggettati ai Medi e solo passando per
questa umiliazione hanno trovato la forza per riscattarsi e fondare una grande civiltà. Quindi non bisogna fermarsi al
momento presente ma bisogna pensare all’alternanza delle sorti umane e capire quando è il momento di cogliere l’occasione
perché anche da un’occasione negativa può scaturire un grande momento di crescita. Inoltre Per Machiavelli la fortuna è
donna e alle donne piacciono i giovani che siano pieni di iniziativa e di entusiasmo per cui va presa per i capelli e picchiata
(visione misogina). Viene data un’altra metafora della fortuna: essa può costituire l’occasione/la materia su cui l’uomo può
imprimere la forma da lui voluta.

Gli esempi dalla storia vengono tratti quasi sempre dall’antica Roma, in particolare dalla repubblica romana. Machiavelli non
auspica al principato, egli pensa che la miglior forma di governo fosse la repubblica ma, nel particolare contesto storico che
stava vivendo l’Italia e Firenze, era necessario un governo forte, di uno, che prenda in mano la situazione e imponga
determinati provvedimenti. Il principato deve essere transitorio e propedeutico all’affermarsi della repubblica, che é più salda
e duratura visto che la sua sopravvivenza dipende da tutto il popolo.
Machiavelli non vuole andare dietro all’immaginazione della cosa ma alla realtà effettuale, in modo che la sua suo opera
possa essere utile a chi la intenda. Egli si basa sull’esperienza delle cose moderne e sulla lezione delle cose antiche.

LA CONCEZIONE NATURALISTICA DELL’UOMO


Per Machiavelli l’umanità è sempre identica a se stessa indipendente dal contesto sociale e storico di riferimento. L’uomo non
cambia mai e questo va inteso in un'accezione negativa secondo la massima del homo homini lupus est (l’uomo è lupo
all’uomo). Però dallo studio della storia si possono ricavare per deduzione dei precetti che possono poi essere applicati e
sono utilissimi non solo per capire ma anche per agire nella realtà contemporanea. Questa concezione è in linea con
l’approccio rinascimentale che si rifà al principio di imitazione del passato dei modelli di riferimento.

Per Machiavelli “gli uomini camminano sempre per vie battute da altri” e questo rimanda alla lezione delle opere antiche e
l’esperienza delle nuove, secondo il rapporto tra storia e, quella che Machiavelli chiama, realtà effettuale, e conferma
l’approccio induttivo-deduttivo. Ha un giudizio pessimistico della natura umana.

Il critico Tasso, grande estimatore di Machiavelli, ha notato che quando Machiavelli dà un’immagine così negativa e,
rivolgendosi al principe, gli propone delle direttive affinché possa diventare il principe ideale (caratterizzato da cinismo e
verismo), lo fa con profonda sofferenza perché per lui il principato non è l’optimum della vera forma di governo ma è una
forma transitoria a cui bisogna ricorrere in situazioni di emergenza sociale ed economica ed é necessario che il potere venga
del tutto concentrato nella figura del singolo principe, però deve essere solo una parentesi in modo tale che poi il principe
possa traghettare con sicurezza il popolo verso un governo democratico e quindi repubblicano. Nel momento in cui traccia la
sua visione cupa e pessimistica esprime il suo travaglio interiore.

LA RELIGIONE
Per Machiavelli esistono delle istituzioni, tra cui la religione, che sono assolutamente necessarie. La religione non ha nulla di
soprannaturale e finalistico ma è uno instrumentum regni (mezzo per poter governare). Anche i precetti religiosi sono
assolutamente necessari, per la loro valenza etica (10 comandamenti), e per questo sono il collante della società, e anche per
tenere assoggettato il popolo ed evitare ribellioni, l’individualismo, e garantiscono un senso di appartenenza tipico del
cattolicesimo (=universale, si pone l’accento sulla collettività e non sul singolo individuo). La religione nella sua valenza
sociale ed istituzionale verrà ripresa da Foscolo e da Gian Battista Vico. Foscolo nei Sepolcri da un’interpretazione particolare
di Machiavelli, che è stata definita la lettura obliqua, ossia rovesciata, perché lo presenta come colui che ha “temprato gli
scettri ai regnator” (ha ridimensionato il potere dei principi e ha messo in evidenza come lo scettro grondasse di lacrime e
sangue - l’esercizio del politico porta allo spargimento di sangue, alla violenza, sofferenza verso il popolo).

Quando Foscolo legge che il principe non deve essere sempre clemente ma a volte crudele, pensa che Machiavelli stia
condannando il principe, il modo di essere non sempre conforme alle norme morali, invece l’ha frainteso perché Machiavelli
non voleva dire questo, ma voleva dire che a seconda dell'occasione e delle circostanze il principe deve essere a volte uomo
a volte bestia, in parte volpe in parte leone, a seconda della capacità di interpretare la realtà (relativismo). Invece Foscolo
dice che Machiavelli ha messo in evidenza tutti i lati negativi del principe come se lo volesse condannare e sottolineare
quanto fosse cruento e violento un tipo di principato che viene tratteggiato in alcuni passaggi da Machiavelli.

STILE
É stato notato uno stacco, quasi una contraddizione, del tono. I primi 25 capitoli hanno un tono didascalico e militante, molto
realistico e concreto anche nella scelta del linguaggio, anche quando usa le metafore sono sempre tratte dalla sfera
dell’esperienza quotidiana (metafore del fiume in piena, la similitudine della donna che va battuta e presa per i capelli, che
indicano la fortuna). Invece nell’ultimo capitolo, il 26, che scrisse circa 2/3 anni dopo (1515-1516), il tono è profetico,
messianico. É stato molto apprezzato nell'epoca risorgimentale, perché Machiavelli dice che bisogna accogliere i principi
italiani perché devono liberare la terra dallo straniero e utilizza un’immagine molto forte dicendo “a ognuno puzza questo
barbaro dominio”.

Anche se non esiste ancora il concetto di unità nazionale, é presente in maniera molto vaga l’attesa di un’occasione
favorevole affinché il popolo italiano possa riaffermare il suo ruolo e riscoprire la grandezza e virtù (nel senso etimologico,
virtus=valore) che l’aveva caratterizzata in età classica. Il popolo italiano dovrebbe essere l’erede della grandezza del popolo
romano, della cultura, della forza d’animo, del carattere della civiltà latina. Nelle opere minori, Machiavelli osserva che il
problema dell’Italia dipende dalla presenza del papa: l’Italia non si è mai potuta unificare e il popolo italiano non è mai
diventato un popolo coeso perché la presenza del papa e del suo dominio temporale l’ha smembrata (il papa si trova proprio
al centro di Roma ed é sempre stato affiancato dai franchi, ai quali non tanto per motivi religiosi ma per motivi di
convenienza, faceva comodo avere ai confini un popolo smembrato invece di uno stato forte e unitario che avrebbe
caratterizzato una minaccia).
Si può parlare di plurilinguismo perché sono presenti dei tratti più altisonanti e delle scelte lessicali più realistiche. Fa ampio
uso di figure retoriche, in particolare metafore e similitudini, e ci sono dei passaggi sgrammaticati = anacoluti (spesso quando
si cambia il soggetto, si comincia con un soggetto che poi si perde oppure per esempio delle costruzione sbagliate con il
pronome relativo) e dei termini plebei.

T2 - L’esperienza delle cose moderne e la lezione delle antiche (Principe, Dedica)


Di solito quando ci si presenta davanti ad un principe, si portano dei doni, che si ipotizza possano essere graditi al principe
(cavalli, armi, drappi d’oro, pietre preziose) e che siano commisurati alla grandezza dei principi. Si rivolge a Lorenzo de
Medici perché inizialmente aveva pensato di dedicare l’opera a Giuliano ma poi la indirizzo a Lorenzo. Siccome Machiavelli
era estremamente povero e non aveva nulla da offrire, gli offre un libello, che inizialmente presenta come la lunga esperienza
delle cose moderne e l’antica lezione delle antiche messe a confronto, quindi come un confronto tra realtà effettuale e la
storia. Si rende conto che quel dono non è degno dell’altezza di Lorenzo de Medici però, non potendo donargli altro, gli
dona quello che per lui è molto prezioso e che ha sperimentato in prima persona. É presente una dichiarazione poetica
perché Machiavelli dice che non l’ha scritta con un linguaggio forbito e ridondante dice anche come l’ha scritta. É presente il
metodo dilemmatico (aut...aut): ha voluto o non inserire nessun tipo di ornamento o, se costretto ad inserire degli ornamenti,
ornarla con la serietà e la gravità della materia trattata.
Machiavelli dice che non deve essere accusato di superbia e presunzione in quanto sa come debba essere governato uno
stato, perché come un pittore per disegnare una montagna si deve porre a rappresentarla da basso e per rappresentare i
paesi bassi si deve porre su monti allo stesso modo per conoscere la natura dei popoli bisogna essere principe e per
conoscere la natura del principe bisogna essere popolo (similitudini presenti quando ci sono dei passaggi difficili o che
avrebbero potuto dare adito a delle accuse). É quindi necessario un punto di vista esterno: il principe non si conosce e non
ha la lucidità per darsi un giudizio obbiettivo ma soltanto il suo popolo lo può giudicare, così come solo il principe può
giudicare il popolo. Indica lo scopo del libello: fare in modo che il principe dopo averlo raggiunga il massimo delle sue
potenzialità in quel contesto, grazie alle qualità, ma anche alla contingenza del momento e la fortuna. Riporta l’attenzione su
di sé e sottolinea come sia stato colpito dalla sventura e da un’ ingiusta accusa perché il suo massimo scopo é quello di
ritornare ad esercitare le cariche pubbliche.

T6 - Di quelle cose per le quali gli uomini, e specialmente i principi, sono lodati o vituperati (Principe, capitolo XV)
In latino: De his rebus quibus hominem et praesertim principes laudantur aut vituperantur È uno dei capitoli più criticati e da
cui è scaturita un’immagine negativa del principe.
Bisogna considerare come il principe debba governate e comportarsi rispetto ai sudditi e agli amici. Machiavelli aveva letto
molti testi, anche se non conosceva il greco, conosceva le opere di Aristotele e Platone, ma prende le distanze da questi
trattati poiché hanno puntato l’attenzione sull’immaginazione della cosa, una sorta di realtà ideale (come si dovrebbe
governare, in una sorta di iperuranio), mentre Machiavelli vuole considerare la realtà così com’è, la realtà effettuale, non
come si dovrebbe governare ma come si governa. Siccome molti hanno trattato l’argomento politico, Machiavelli non dubita
di essere ritenuto presuntuoso perché non si allinea con il passato ma prende in considerazione la questione da un altro
punto di vista, non ideale ma concreto. L’opera deve avere uno scopo pratico e concreto, una ricaduta immediata nel
presente e soprattutto deve seguire la realtà piuttosto che l’immaginazione. Quando una persona segue un’idea astratta,
rimane sempre uguale a se stesso e non si riscontra con i tempi, non si adegua alla realtà contingente va incontro al
fallimento, alla pazzia, se invece si adegua, raggiungerà il successo e la realizzazione personale (Orlando Furioso).
Se in tutte le circostanze il principe, siccome aderisce al principio astratto ideale, vuole necessariamente essere sempre
clemente, perdonare é inevitabilmente che il suo regno finisca e che lui fallisca perché la natura umana è egoista e malvagia,
poiché solo lui vuole essere clemente in mezzo a tanta gente crudele e opportunista é inevitabilmente che abbia la peggio. Il
principe deve imparare ad essere clemente e crudele e a seconda delle circostanze essere l’uno o l’altro. Tutti gli uomini e
sopratutto i principi, collocati al vertice della scala sociale, sono giudicati per delle qualità che recano condanna o
approvazione e quindi qualcuno é considerato generoso e qualcuno avaro (=avido) o misero (=taccagno). Si prosegue con il
metodo dilemmatico.
Facendo riferimento alle qualità del principe egli introduce il confronto tra l’immaginazione della cosa e la realtà effettuale.
Prende le distanze dalle teorie del passato come quelle platoniche e aristoteliche che idealizzavano la vita politica,
riportando concretezza alla realtà. Le qualità di equilibrio e moderazione, e quindi la clemenza a cui ha appena fatto
riferimento, non si possono sempre realizzare perché le condizioni umane non sempre lo permettono. In un mondo ideale il
principe dovrebbe essere tanto prudente da astenersi dalla vergogna e dai quei vizi e colpe che, nella realtà però, gli
toglierebbero lo stato, non facendogli esercitare in modo accorto la propria arte.
Quindi in un mondo ideale dovrebbe essere sempre misericordioso, clemente, giusto,rispettoso. Machiavelli tuttavia afferma
che, dal momento che non si vive in un mondo ideale, ma nella realtà effettuale , il principe può permettersi di macchiarsi di
colpe che non lo farebbero in ogni caso apparire un tiranno, e di alcuni vizi che giovano alla collettività. Si deve però prestare
sempre attenzione a non esercitare la crudeltà gratuita, che lo farebbe apparire solo un tiranno. Quindi vi è in ogni caso una
chiave relativistica, perché lo stesso Machiavelli si discosta dall’infamia.
I vizi infatti sono necessari per mantenere saldo lo stato perché condivisi dall’opinione comune, portando sicurezza e
benessere.

Capitolo XV, in che modo i principi devono mantenere la parola data


È lodevole per un principe essere coerente , leale, onesto, prendere decisioni privi di sotterfugi. Per lui è lodevole anche non
assumere un comportamento ipocrita. Machiavelli riflette sul fatto che quei principi che hanno avuti grandi successi non sono
stati né onesti né leali, non hanno avuto molta fede e hanno saputo, in modo raffinato, far credere al popolo che si stesse
favorendo il loro interesse, quando in realtà si favoriva solo il loro interesse. I principi in questione hanno sopraffatto quelli
leali, per cui la lealtà è diventata sinonimo di debolezza.
Machiavelli prosegue affermando che il principe deve operare tramite due mezzi:
le leggi e la forza . Le leggi sono proprie dell’uomo, la forza delle bestie.
Spesso il primo mezzo non basta, per cui risulta necessario ricorrere al secondo. Il principe infatti deve essere per metà bestia
e per metà uomo e cioè deve avere atteggiamenti leali e quando quando serve anche violenti. Il mondo latino (Cicerone e
Tito Livio) ha trasmesso l’idea di doversi comportare in maniera adeguata in base alla situazione (basti pensare al de officis e
al decorum).
Anche la mitologia aiuta a spiegare i duplici mezzi dei quali il principe deve disporre: Machiavelli propone la figura del
centauro, metà uomo e metà cavallo, e quindi metà bestia e metà uomo.
Gli animali al quale il principe deve ricorrere sono la volpe, per la qualità dell’astuzia, e il leone,per il coraggio.
Le qualità che posseggono si completano:la volpe infatti non si difende dagli attacchi feroci dei nemici, e il leone non è
molto astuto come la volpe. Coloro che quindi dispongono solo della forza e del coraggio non avranno un riscontro positivo
nel loro regno, così anche per l’astuzia. Chi sa mettere meglio in campo l’astuzia deve anche saperla dissimulare, affabulare,
persuadere e portare il popolo dalla propria parte.
Nel testo si evince una concezione totalmente negativa dell’ umanità. Viene chiamata volgo perché non è malvagia, non
tiene conto degli sviluppi futuri, e non sempre i membri autorevoli che capiscono le trame hanno voce in capitolo.
Alessandro VI per esempio non ha fatto altro che ingannare gli uomini poiché trovò sempre l’appoggio di qualcuno. Era
estremamente ipocrito,tutti i suoi inganni ebbero successo, facendo credere di essere fedele. Fu estremamente abile perché
era in grado di avere un duplice atteggiamento, mettendo in gioco la qualità che in quel momento era più appropriata.
Machiavelli afferma però che un principe nuovo (riferimento a Lorenzo dei medici che è da poco salito al potere ) non può
avere tutte quelle qualità secondo le quali gli uomini sono ritenuti buoni perché in quel contesto deve operare contro la fede
, la carità e la religione per mantenere lo stato. Bisogna infatti che egli abbia un animo duttile e flessibile nell’adattarsi alle
varie situazioni, che variano a causa della fortuna, ed essere in grado di allontanarsi dal bene qualora fosse necessario.
Gli uomini infatti giudicano in base a ciò che vedono e pochi solo interpretano bene la situazione nella quale si sta operando.
I pochi però non riescono a parlare, perché si devono conformare a quelli che danno ragione all’evidenza e non hanno il
coraggio di contrapporsi. Del principe si vede solo l’azione andata a buon fine e non le idee che mettono in campo.
Ferdinando il cattolico, per esempio, voleva presentarsi come difensore di pace e fede, ma era lontanissimo sia dall’una che
dall’ altra. Se avesse governato seguendo questi principi avrebbe perso il suo potere.

Capitolo XXV, la fortuna;T8 Quanto passa la fortuna nelle cose umane e in che modo occorra resisterle (VI, Principe)

Machiavelli tramite una litote (“non mi è sconosciuto”) afferma di sapere che molti uomini in passato hanno ritenuto che le
cose del mondo fossero governate dalla sorte e da Dio. Da una parte infatti c’è la fortuna (entità laica) e dall’altra la divina
provvidenza, sottolinenando ancora una volta l’uso del metodo dilemmatico (Dio poi nell’approfondimento del metodo
dilemmatico è il ramo che resta cieco).
Secondo Machiavelli è inutile sudare e affaticarsi nelle cose, perché tutto è in balia della sorte. Egli ha la stessa visione del
mondo di Leon Battista Alberti in merito alla fortuna: l'uomo deve semplicemente aspettare che la cattiva sorte passi.
Machiavelli afferma che questa opinione era particolarmente diffusa in quei tempi a causa dei successi alterni di tanti
governanti.
Nell’incipit della lettera al Vettori questo concetto era stato già citato. Machiavelli infatti riteneva che fosse necessario
aspettare che la cattiva sorte passasse, dato che l’uomo può agire solo al 50%.
La fortuna gestisce la nostra vita solo per metà, e l’uomo può esercitare il libero arbitrio sull’altra metà.
La fortuna manifesta la sua potenza laddove non c’è una virtù capace di arginarla. La virtù a cui si fa riferimento è la
preveggenza, ossia la capacità di saper analizzare la situazione presente e di prevedere ciò che potrà accadere in futuro, sulla
base dell’osservazione presente e dell’esperienza delle cose antique.
Tramite un procedimento deduttivo, Machiavelli vuole approfondire il concetto degli stravolgimenti che a causa della fortuna
si verificano. Machiavelli fa sicuramente riferimento all’Italia, una campagna senz’argini, “madre” e al contempo teatro degli
scombussolamenti stessi.
Un esempio di stravolgimento politico è il duca Valentino, Cesare Borgia, che era passato rapidamente dal vertice del potere
politico ad essere privato del suo ducato a seguito della morte del Papa, suo padre.
In merito agli sconvolgimenti in ambito politico, Machiavelli confronta l’Italia con gli stati a lei vicini che invece hanno
adottato interventi accorti, così com’è accaduto per la (Magna) Germania, la Spagna, la Francia.
La metafora del fiume in riferimento alla fortuna tocca anche il principe, che può avere fortuna è andare in rovina in un lasso
di tempo molto breve. In questo caso tuttavia il problema non sta tanto nella sorte,quanto nel comportamento che si adotta.
Si deve essere in grado di capire quando è il caso di modificare il proprio modo di porsi.
Il principe, secondo Machiavelli, deve riscontrarsi con la qualità dei tempi, deve mutare in senso un po’ camaleontico e
capire cosa far prevalere, se l’uomo o la sua componente felina (bestia) e, in questo caso, se il leone o la volpe.
Il comportamento della fortuna influenza quello degli uomini, che muta a seconda che si trovino in situazioni favorevoli o
meno. Per indole alcuni sono più impulsivi/aggressivi, altri invece sono più trattenuti/moderati. Quindi un uomo può
conseguire successo o meno a seconda dell’atteggiamento che assume. Il problema sta nell’essere troppo intrappolati nella
nostra indole e nella nostra natura. Se per natura si è più aggressivi/impulsivi, è molto difficile diventare moderati, più
contenuti. E se chi è stato sempre aggressivo ha sempre ottenuto dei successi, anche grazie alla buona sorte, è difficile che si
abbandoni quella strada.
Allo stesso modo, se un sovrano che ha sempre governato con mezzi crudeli, come la pena di morte, e ha sempre ottenuto
l’obbedienza dei suoi sudditi, è difficile che applichi provvedimenti meno crudeli. Molto spesso tuttavia un uomo, data la sua
indole, non riesce a cambiare, andando inevitabilmente incontro al suo fallimento.
Per Machiavelli esistono due tipologie umane: gli uomini riflessivi e quelli impetuosi (metodo dilemmatico). Egli propone
come esempio di uomo impetuoso papa Giulio II che fu fortunato perchè trovò la condizione, il contesto sociale, civile e
storico adatto a un carattere impetuoso come il suo. Nonostante fu ostacolato dalla Spagna e anche dalla Francia riuscì
ugualmente a portare a termine la sua impresa. Machiavelli infatti afferma che se ci fossero stati tempi, situazioni in cui ci
fosse stato bisogno di un comportamento più cauto, Giulio II non sarebbe riuscito nei suoi intenti, e sicuramente sarebbe
andato incontro a un fallimento dato che non sarebbe riuscito a cambiare la sua indole. Questo episodio è in linea con la
concezione naturalistica che Machiavelli ha dell’umanità, che afferma che tutte le caratteristiche degli uomini anche del
passato tendono a ripresentarsi in modo ciclico. Nel capitolo 26 viene messa in evidenza la figura idealizzata del principe,
che concilia l’impeto e la riflessione.
Machiavelli riprende la sua concezione negativa del popolo, dell’umanità, del vulgo, addirittura ritiene che l’uomo non possa
cambiare la sua natura malvagia, egoista. Da questo si evince che è come se il Principe non appartenesse al genere umano.
Egli viene indicato, attraverso un tono profetico, come una figura epica, eroica, che deve essere capace di adattarsi alla
natura e scontrarsi con i tempi, cogliere l’occasione, come se fosse estraneo dal contesto umano. Ha un carattere militante e
deve prendere in mano le redini della situazione italiana. Quindi è stata riscontrata una contraddizione tra l’ approccio così
pragmatico e realistico che il principe deve assumere e l’idealismo che Machiavelli propone del Principe.
Machiavelli afferma che tra le due indoli è meglio quella impetuosa, quella entusiasta, propositiva, istintiva rispetto a quella
moderata, riflessiva.

Capitolo XXVI, T9, esortazione a pigliare l’Italia e a liberarla dalle mani dei barbari
Contiene molte figure retoriche e molte metafore, e c'è un tono, un pathos oratorio notevole. Attraverso alcune espressioni,
come per esempio “casa vostra” si riesce a capire che è un libro che ha lo scopo di convincere, di persuadere qualcuno.
Machiavelli afferma che in Italia si stavano creando i presupposti per ospitare un principe nuovo, prudente e virtuoso
(virtuoso secondo la concezione di essere capace di cogliere l'occasione), capace di introdurre una nuova forma di governo
che gli facesse onore. Si trattava di un governo che, oltre ad affermare il potere personale del principe, favoriva il benessere
della collettività. Machiavelli infatti considera le situazioni negative come opportunità, come occasioni di riscatto. Se per
esempio per il popolo ebraico non ci fosse stata la schiavitù egizia, quel popolo non si sarebbe ribellato, non avrebbe trovato
una sua identità e la terra promessa. Questa è la stessa sensazione che sta vivendo l’Italia: è una situazione pessima, di
estremo degrado, e si necessitava di un principe per risollevare le sorti e restituire dignità alla nazione. L’Italia aveva bisogno
di qualcuno che risanasse le sue ferite, le sue piaghe. Si attendeva un principe così come il Messia, e questo sottolinea il tono
estremamente profetico del capitolo. Benché più volte venga chiamato in causa Dio, c’è sempre un atteggiamento laico, un
po’ ironico, quasi blasfemo, che ci riporta ad una dimensione immanente.
Per conoscere la virtù, ovvero la capacità di realizzare i propri progetti, e quindi l’intelletto straordinario di Tèseo, era
necessario che l’Italia arrivasse a situazioni estreme, di oppressione e di degrado, che l’Italia fosse più schiava degli ebrei, più
serva dei persiani, più dispersa degli ateniesi, senza ordine, nel caos più totale, malmenata, spogliata, lacera, attraversata in
lungo e largo nel suo terreno dagli eserciti stranieri.
Machiavelli ritiene che anche se si era assistito a qualche tentativo, anche sostenuto dalla volontà divina, di redenzione, di
liberazione dell’Italia, si giungeva sempre ad esiti fallimentari. Questo è collegabile all’iniziativa Cesare Borgia che, in seguito
alla morte del padre, Alessandro VI papa, perde ogni ascendente, ogni potere, e il suo ducato viene cancellato.
Machiavelli afferma infatti che l’Italia prega Dio che le mandi qualcuno che sia in grado di riscattarla dalla crudeltà e
dall’insolenza dei barbari. A questo proposito, bisogna dire che questo testo venne strumentalizzato nell’età risorgimentale,
perché si diceva che Machiavelli avesse anticipato in qualche modo la nascita della nazione. Ma ovviamente Machiavelli non
poteva avere ancora quella maturità di pensiero per arrivare a questo concetto di nazione.
Rivolgendosi al nuovo principe, Machiavelli afferma che il suo compito non sarà tanto difficile se prenderà esempio da Mosè
o Ciro. Da qui il concetto di “storia maestra di vita” – magistra vitae. Infatti, per Machiavelli, proprio in virtù del fatto che
attinge sia alla storia che alla realtà effettuale, vale non solo il motto “historia magistra vitae” ma anche il motto “ vita
magistra historiae”. È vero che bisogna attingere alla storia per interpretare il presente, però per capire il presente e
reinterpretare la storia nel modo più adeguato occorre guardare la realtà contemporanea.
Secondo Machiavelli, l’Italia dovrebbe essere nelle mani della casata medicea perché, a differenza degli antichi governatori,
si è sempre mostrata con i suoi difetti e con le sue debolezze.
Machiavelli afferma che le leggi antiche e la tradizione del passato non avevano un fondamento, ed è questo il motivo per
cui bisogna incoraggiare i Medici non solo a prendere il potere ma anche a emanare nuove leggi, perché niente fa più onore
a un uomo nuovo, cioè ad un principe, imporre il proprio potere e per mezzo di nuove leggi e nuovi ordinamenti.
Sono proprio queste cose a renderlo rispettabile e ammirevole, perché in Italia c’è sempre terreno fertile per introdurre
qualsiasi iniziativa legislativa.
A questo proposito bisogna ricordare che nel 1506 era stato emanato un provvedimento che prevedeva che l’esercito
dovesse essere locale, che faceva uso di armi proprie, e non un esercito di mercenari. Quindi gli italiani secondo Machiavelli
si devono scuotere in virtù del loro patrimonio culturale, della loro storia, poiché superiori non solo limitatamente alla
destrezza ma anche all’astuzia.
Machiavelli afferma che quando l’Italia arriva allo scontro con altri eserciti, soccombe. Questo deriva dalla fragilità dei capi,
perché secondo l’autore non vi è mai stato un capo carismatico.
Secondo Machiavelli quindi gli italiani saranno valorosi solo se condotti da un principe valido che li sappia governare.
Machiavelli parla sì di un principe ideale, ma lo scopo è anche quello di farsi riaccogliere dai Medici per continuare a svolgere
l’attività politica.
Quando il principe prende un nuovo stato deve imparare dagli errori commessi e correggerli. La parte finale ha un
linguaggio evangelico, messianico. Al fine di emancipare lo stato (come hanno fatto Teseo e Mose), Machiavelli si avvale di
una serie di interrogative retoriche,per incrementare il pathos. Al termine del capitolo vi è la citazione della canzone di
Petrarca, e la critica ha notato come non poteva non concludersi con una poesia questo testo.

“Virtù contro a furore


prenderà l’arme, e fia el combatter corto; ché l’antico valore
nell’italici cor non è ancor morto.”

La virtù combatterà contro la follia e il combattimento sarà breve, che (causale=perché) l’antico valore (nel senso etimologico
virtus, virtù militare) negli italici non si è ancora spento. Questa è una prosopopea. Questo capitolo è stato considerato in
contrasto con l’opera, un po’ utopistico, e la figura del principe ancora una volta è fortemente idealizzata perché come se
non appartenesse al genere umano, perché l’umanità è considerata meschina e il principe eroico, titanico. Questo capitolo è
molto importante dato il carattere militante dell’opera. È il libello che serve a persuadere, a convincere i medici a porsi a
capo di quest’impresa, quindi non poteva concludersi in modo distaccato, scientifico ma doveva anche lusingare il suo
interlocutore, dove coinvolgerlo.

Le opere minori
Una delle opere minori è la Mandragola, considerata al pari del Principe. Già prima del 1513 però si stava dedicando ai
“Discorsi sulla prima deca di Tito Livio”, ma li interrompe per scrivere il Principe (dal Luglio a Dicembre) in pochissimo
tempo.
I discorsi erano basati su appunti politici (definiti carte Liviane) presi dall’opera di Livio. Si chiamava Ab Urbe Condita ed era
divisa in decadi (concezione annalistica dieci anni per volta dalla fondazione di Roma fino all’età contemporanea). Machiavelli
si sofferma sulla prima deca; l’opera di Machiavelli in questione è stata pubblicata postuma intorno al 1531-32 come il
Principe, perché l’unica opera pubblicata quando lui era ancora in vita è l’Arte della guerra nel 1521. I discorsi erano dedicati
a Del Monti, Cosimo Rucellai, Luigi da Manni , esponenti del Circolo degli Orti Orticellai. L’opera è strutturata in tre libri e
segue la consuetudine delle storiografie romane.
I libro: politica interna
II libro: politica estera
III libro: figure di condottieri, eroi.
La cosa interessante è che lui idealizza la virtus Romana non nel periodo imperiale ma repubblicano. La scelta del principato
era temporanea, perché per la situazione negativa in cui ci si trovava, secondo la sua visione, sarebbe dovuto subentrare un
governo repubblicano che si basava sull’impegno di tante figure, che si compensavano vicendevolmente. Lui non vuole
scrivere un’opera organica ma delle riflessioni che nascono per analogia. Non è un’opera sistematica, si fida di quello che
trova sulla fonte, non fa delle ricerche, non c’è un approccio storiografico nel senso moderno del termine. Non vuole
approfondire o verificare, infatti si limita ad una riflessione dell’opera, che diventa un pretesto per fare delle riflessioni sia
sulla storia di Roma sia sul metodo repubblicano, in contrapposizione con quello imperiale. Machiavelli comincia in questo
periodo ad approcciarsi al metodo-scientifico sperimentale di Galileo Galilei che si affermerà soprattutto nei decenni
successivi, perciò a livello storiografico ancora non viene applicato.
Viene condannata la figura di Cesare che ci si aspetterebbe essere considerato da Machiavelli come una sorta di principe
antelitteram, ma in realtà per lui è l‘emblema del tiranno che non vuole fare il bene della nazione ma solo il proprio interesse
personale.

L’arte della guerra, l’unica opera che è stata pubblicata nel 1521, propone di usare eserciti propri e non mercenari. È
interessante notare la struttura a del dialogo. Il protagonista è Fabrizio Colonna, un capitano di ventura italiano che
combatteva per l’ esercito spagnolo; gli altri interlocutori sarebbero gli esponenti del circolo degli orti orticellari, che
interagiscono tra loro scambiando diverse battute e riflessioni. Il punto di vista di Machiavelli è quello proposto da Fabrizio
Colonna. Egli nel 1506, quando aveva delle cariche nella Repubblica di Pier Soderini, aveva provato a impiegare un esercito
locale ma non aveva avuto un buon esito. Nell’opera viene esaltato il modello dell’Antica Roma, della virtus, della passione
militare, della forza morale del popolo italico.

Le storie fiorentine gli vengono commissionate da Giuliano de Medici (papà Clemente VII). Sono molto interessanti perché
sono strutturate in VIII libri:
I libro: storia dell’Italia fino ad arrivare al 1434, data in cui sale la casata dei medici, il capostipite Cosimo;
II - IV libro: si parla di Firenze, fino al 1434 e poi negli ultimi fino al 1492 (morte di Lorenzo de Medici).
La storia successiva sarà poetica ma burlesca perché a seguito della cacciata dei Medici subentra la Repubblica, e si vuole
evitare di ricordare le loro debolezze, i loro errori.
Nell’opera ci sono interventi di vari personaggi e tramite i discorsi diretti mette in evidenza qualche piccola pecca della casa
medicea. Lo storico dell’età umanistica Poggio Bracciolini contesta i Medici perché ritiene che si occupassero solo di politica
estera senza prendere in considerazione quella interna di Firenze.
Comincia in questo periodo ad approcciarsi al metodo-scientifico sperimentale di Galileo Galilei ma si affermerà soprattutto
nei decenni successi e questo al livello storiografico ancora non viene applicato.
Vi è anche un’opera storica particolare che tratta della vita di Castruccio Castracani , per la figura ideale del principe. Gli
vengono attribuite ovviamente tutte le caratteristiche del principe ideale (anche se non le aveva), viene esaltato fortemente.
Machiavelli doveva prendere a modello una figura reale e poi idealizzarla.

Considera l’otium letterario inferiore al suo impegno politico concreto ma ci tiene a essere considerato come poeta, dal
punto di vista letterario, umanistico. Tanto è vero che quando Ariosto non lo cita tra i grandi poeti nell’orlando Furioso , se la
prende un po’, perché aveva scritto opere poetiche di un certo spessore, definite da lui stesso "Badalucco" (presenti nel
proemio della Mandragola), ovvero passatempi. Si tratta di una sorta di Nugae catulliane, delle sciocchezzuole, che per
Machiavelli avevano lo scopo di distrarre e non deprimersi definitivamente per essere stato estromesso dalla vita politica.

Lui scrive anche i Canti Carnascialeschi e il Decennale che va dal (1494 e il 1504), esattamente il periodo di cui non parla
nelle Istorie Fiorentine perché non voleva accusare i Medici e mettere in risalto i loro errori dal punto di vista politico e
diplomatico (dell’entrata di Carlo VIII). Qui ne può parlare perché scrive in modo scherzoso, dato il periodo di Carnevale, in
cui tutto è rovesciato, antifrastico,
i valori ribaltati.
Il Decennale secondo (interrotto) doveva riguardare il periodo che andava dal 1504 al 1514.
I capitoli sono scritti in terzina, così come l’Asino.
L’Asino è scritto in terzine dantesche, è incompiuto, ma si rifà al tema delle metamorfosi (la conosciamo già da Circe che
trasforma gli uomini in animale e viene utilizzata soprattutto da Apuleio).
Apuleio scrive le “Metamorfosi” che hanno come altro titolo “L’Asino d’oro”, e descrive la metamorfosi di un uomo in un
asino. È da evidenziare una contaminazione tra Apuleio ed Omero, perché immagina che tutto questo accada davanti alla
maga Circe, non è presente in Apuleio. La narrazione si interrompe prima che questo si trasforma in asino. L’obiettivo è
sottolineerei sottolineare come l’uomo, sia in preda delle passioni più basse, vivendo in una condizione ferina, subumana e
negativa.
Machiavelli si inserisce anche nel filone Boccacciano, tipicamente fiorentino della burla, dello scherzo, a volta anche con
battute licenziose.

Si parla anche di una novella di tipo comico scritta in prosa che ha come titolo, inizialmente trovata nei codici con il titolo di
Favola, di “Belfagor arcidiavolo” e prende le mosse da un tema misogino. Al diavolo è arrivata voce che le donne, e in
particolare le mogli, fossero per gli uomini un tormento peggiore del diavolo stesso. Decide così di sperimentarlo; va sulla
Terra con le sembianze umane, si sposa e sperimenta che effettivamente è tormentato. Viene privato di tutto il suo
patrimonio, delle ricchezze, dei suoi beni, e quindi decide di scappare. L’altro tema affrontato è L’astuzia dei contadini. Il
diavolo si rifugia presso un contadino che vorrebbe raggirare, ma viene a sua volta raggirato. La novella si conclude
affermando che effettivamente le donne sono una pena peggiore dell’inferno.

Scrive anche la Clizia nel 1525. È di ispirazione plautina, si rifà alla Casina di Plauto e prende spunto da una vicenda
autobiografica. Il protagonista si chiama Nicomaco un nome che appare un po’ come la fusione del suo nome e del suo
cognome. Il protagonista è un uomo molto anziano che si innamora della sua serva , innamorata a sua volta del figlio
(contrasto senex-adulescens ;il senex viene beffato, deriso, viene umiliato ). È autobiografico perché Machiavelli stesso in
tarda età si innamora di una cantante e attrice, Barbara Raffacani Salutati, che poi interpreterà proprio sulla scena questa
commedia.

Ha scritto anche un discorso intorno alla nostra lingua, un trattato di linguistica. Nelle Prose della volgar lingua di Bembo
pubblicate nel 1525 la tesi affermava che la lingua non potesse mutare e i modelli erano Petrarca per la poesia e Boccaccio
per la prosa. Machiavelli invece riteneva che si potesse mutare e quindi ci si doveva ispirare al linguaggio parlato a Firenze,
prendendo le distanze da Trissino che, ispirandosi al De vulgari eloquentia di Dante, diceva che lingua fosse un po’ la fusione
tra i vari dialetti.

La mandragola è un altro capolavoro di Machiavelli, una commedia di struttura platina pubblicata nel 1518 e messa in scena
probabilmente per le nozze di Lorenzo de Medici. Fondamentale è la figura del servus callidus Ligurio, un carattere
complesso che incarna la beffa che deriva da Boccaccio e dalla tradizione Fiorentina. Pur essendo una commedia si
percepisce un’atmosfera di amarezza. È una commedia molto cupa, quasi lugubre che risente della concezione negativa che
ha per l’umanità. Tutti i personaggi hanno una connotazione molto negativa che riflette anche il degrado e il regresso
dell’epoca, soprattutto di Firenze. Lui parte dalla constatazione della decadenza morale dei costumi di Firenze ma va
ampliata a tutto il genere umano.

Nicia è il personaggio beffato: è un uomo anziano, laureato in legge anche se profondamente ignorante, non solo della sua
materia. È una persona volgare, grezza, sciocca. Ha sposato una donna bellissima e devota, religiosa, fedele. Nicia vuole far
credere di essere colto e vuole far pesare la sua cultura sugli altri personaggi , al fine di umiliarli e metterli in soggezione
(come alcuni personaggi manzoniani, Azzeccagarbugli).
È vanitoso, narcisista, malvagio, non si cura dei sentimenti altrui ed è molto cinico;pur di raggiungere il suo scopo è disposto
a sacrificare delle vite umane.
L’altro protagonista è Callimaco, un adulescens che a Parigi un giorno sente parlare della bellezza di Lucrezia mentre veniva
intrattenuta una conversazione sulla bellezza delle donne italiane. Callimaco vuole assolutamente conoscere Lucrezia e parte
da Parigi (lui non è parigino ma italiano, era in visita) e va a Firenze. Lucerezia è fedelissima al marito, ma in qualità di coppia
hanno un problema: non riescono ad avere figli.
Nicia non ama sua moglie, la maltratta sia verbalmente che fisicamente. È l’unico personaggio ad essere caratterizzato
linguisticamente,dato che usa parolacce e il dialetto rionale (non fiorentino ma del contesto molto chiuso), cosa che si
discosta moltissimo da un uomo di cultura.
Ligurio agisce in modo disinteressato e ordisce tutta la beffa ai danni di Nicia solo per il gusto di farlo. È infatti un esteta
della beffa, è la beffa per la beffa.
Ancora una volta emerge la concezione edonistica, il piacere per il piacere. La figura di Nicia è molto apprezzata e ammirata
da Machiavelli perché è accorta, sa esattamente che cosa fare e quando farlo, riesce a cogliere l’occasione, riesce a
modificare i suoi piani ed adattarli alle circostanze.
Il critico Dario Golino lo ha interpretato come l’unica figura positiva che può essere accostata al princeps. È come se fosse un
principe in scala perché non agisce in un contesto nazionale ma in uno familiare, circoscritto.
Callimaco viene presentato come il medico che può risolvere il problema di infertilità, contando sulla complicità della madre
di Lucrezia, Sostrata, una figura terribile, negativa.
Callimaco consiglia di far ingerire a Lucrezia un’erba particolare: la mandragola, considerata quasi un allucinogeno. I benefici
dell’erba di cui parlerà Callimaco sono del tutto inventati, perché secondo questo pseudo medico l’assunzione dell’erba
avrebbe eliminato i problemi di infertilità e avrebbe permesso a Lucrezia di dare alla luce un figlio.
Tuttavia si diceva che, a causa della medicina, al primo rapporto sessuale con Lucrezia, la persona sarebbe morta. Bisognava
trovare per strada il primo “garzonaccio” da rapire nottetempo in modo che avesse un rapporto sessuale con Lucrezia al fine
di dare un figlio a Nicia. Il “garzonaccio” doveva essere Callimaco stesso, innamorato di Lucrezia.
Nicia si fa raggirare, dato che era consapevole che che la persona con cui si farà tradire morirà; Sostrata viene messa al
corrente e cerca di convincere la figlia, e Fra Timoteo si trova in accordo perché gli viene promesso un obolo molto
consistente per i poveri (anche se utilizzerà il denaro per scopi personali). È quindi una figura opportunista, legata al denaro.
Fra Timoteo in un primo momento viene messo alla prova raccontando lui una storia inventata. Viene detto che una nipote di
Callimaco è rimasta incinta pur non essendo sposata. La vicenda, essendo di matrice boccacciana e plautina, per quei tempi
è scabrosa. Il sacerdote propone di abortire, dato che poi sarebbe caduto il disonore su una famiglia alquanto responsabile:
tutti ne trarranno giovamento dato che ciò che sta nel grembo di questa donna è solamente un pezzo di carne.
Dopo essersi accertati della disponibilità del sacerdote e dopo molta resistenza da parte di Lucrezia, avviene qualcosa di
imprevisto: al primo incontro il garzonaccio (Callimaco) non muore (cosa che invece verrà detta a Nicia) e Lucrezia diventa
consapevole del piano. Lucrezia decide di tenere questo amante per tutta la vita. Lucrezia è la figura che compare di meno
perché abbiamo di lei una focalizzazione esterna. Conosciamo molte informazioni grazie a Nicia, Sostrata, Callimaco, Ligurio.
È un personaggio estremamente misterioso, che parla poco ma che determina lo scioglimento della faccenda.
La conclusione della commedia è piuttosto paradossale perché Callimaco rimane a servizio di Nicia come medico. Vi è una
sorta di cerimonia finale dove Callimaco e Lucrezia sono come due sposi (due adulteri), che hanno la “benedizione” di Nicia
e di fra Timoteo.

La figura di Lucrezia è in linea con il cosiddetto naturalismo rinascimentale. Lucrezia fino a quel momento aveva vissuto solo
con un uomo molto anziano, adesso invece scopre l’amore anche dal punto di vista sensuale, con un uomo giovane e bello
che decide di non abbandonare più. Si evince quindi una concezione naturalistica e vitalistica. Lucrezia infatti quando
incontra Callimaco dimostra tutta la sua natura più profonda.
La commedia è formata da un prologo e cinque atti.
Nel proemio abbiamo diverse stanze.
I= l’ autore con un‘apostrofe si riferisce direttamente al pubblico. Tutto viene ambientato a Firenze, c’è quasi una
componente metateatrale perché l’autore parla anche della scenografia, dato che non siamo ancora stati introdotti nella
funzione scenica, stiamo ancora nella fase iniziale. Machiavelli sottolinea che è stata ambientata a Firenze, ma sarebbe
potuta essere stata ambientata anche ad un’altra parte. Questo sta a sottolineare che la natura umana è sempre uguale a se
stessa ed è immutabile.
Machiavelli tuttavia vuole scagliarsi contro la degenerazione dei costumi fiorentin, interpretata da Nicia che utilizza un
turpiloquio, un lessico volgare pur essendo laureato in legge.
II=viene presentata la vicenda e il contesto, la scenografia e la casa del dottore. Si assiste ad un gioco di parole:
Buezio=Boezio, colui che ha scritto il De consolatione philosophiae, che ci viene presentato come Buezio quasi come se
fosse un bue, per dimostrare l’ignoranza di Nicia. Sta indicando l’amore che porta alla perdizione e ai tradimenti. Poi fa
conoscere anche il sacerdote.
III= viene presentato Callimaco che abita alla porta di sinistra. Da tutti gli altri può essere considerato sia nel comportamento
che nell’aspetto un giovane gentile e socievole. Anche lui agisce per opportunismo, per un suo tornaconto, dato che è una
persona molto astuta, intelligente.
Le figure che utilizzano l’ingegno per un loro tornaconto personale sono Callimaco e fra Timoteo, che ha l’arte persuasiva di
portare Lucrezia ad accettare la proposta. Nicia invece viene considerato proprio sciocco,così come Ligurio perché agisce in
modo disinteressato.
IV= Machiavelli fa riferimento a se stesso con una falsa modestia, dicendo che l’autore non è un poeta molto famoso, ma
potrebbe offrire del vino se i lettori ridessero, dato che sarebbe molto lieto di ciò. Ma in realtà sa della grandezza dell’opera
e vuole che il pubblico lo apprezzi.
V= si riferisce a se stesso in terza persona, presentandosi come una persona di grande spessore, di grande valore che sta
cercando di distrarsi e di alleviare la propria sofferenza perché allontanato da impegni più importanti, non per colpa sua ma
per le circostanze. Vuole rendere il tempo dell’esilio più sopportabile, perché non saprebbe che altro fare se non scrivere
opere di “scarso” valore. Gli è stato impedito di mostrare con altre opere (interventi politici) la sua virtù, non essendoci altro
premio per il suo impegno.
VI=Questa è una delle stanze più importanti. Ha un tono molto cinico, sarcastico, duro. Dice che l’unico premio che può
sperare è che i fiorentini si divertano. Lui infatti pensa che i fiorentini non siano stati sempre meschini, abbietti, malvagi,
perché una volta nella loro città risplendeva la virtus Latina che però è andata perduta. La gente non si impegna ad evitare
che il ventilatore la guasti (metafora), cioè che venga attaccata da vento delle maldicenze e che l’oblio la ricopra.
VII=se in un primo momento sembra quasi accettare questa situazione, evince anche la capacità di reazione. Fa riferimento
all’opera “le Maschere”, scritta quando era in prigione, in cui probabilmente attaccava chi l’aveva estromesso dalla vita
politica.
VIII=Machiavelli non vuole dare importanza a qualche sciocco che non sa nemmeno di ciò che sta parlando perché da lui
disprezzato. Comincia la commedia con Callimaco che esce sulla scena ed ha con sé il suo servito.

FRANCESCO GUICCIARDINI
Nasce a Firenze da una famiglia aristocratica nel 1483, è un diplomatico e una figura di spicco a livello politico forse anche
più di Machiavelli: era stato ambasciatore in Francia, governatore di Modena, Parma e Reggio e fu determinante nella
realizzazione della lega di Cognac, che va contro Carlo V, ma il re avrà la meglio e alla fine nel 1527 avverrà il sacco di Roma.
Guicciardini viene accusato di essere stato responsabile della disfatta e quindi del dilagare dell’esercito di Carlo V a Roma e
viene allontanato dalla scena politica, si ritira in esilio nella sua villa a Finocchietto a Firenze, dove si dedica alla vita letteraria.
Muore nel 1540.

I RICORDI
È l’opera principale, sono 221 e Ricordi viene inteso come un gerundivo (“cose da ricordare”). Viene definito un antitrattato
perché sono ricordi brevissimi ma scritti in modo assolutamente disorganico, senza seguire un filo conduttore e la struttura
riflette anche la visione del mondo dell’autore. Sono scritti in questo modo perché Guicciardini ritiene che la realtà non possa
essere passibile di nessuna categorizzazione e interpretazione sistematica. Egli non crede in principi universali
(contrariamente a Machiavelli) che si applichino alla realtà, ma ritiene che ogni cosa è a sé, ogni epoca deve essere valutata
solo in base a se stessa, senza confrontarla con il passato. Crede quindi nel relativismo secondo cui la realtà è parcellizzata,
fatta da tante esperienze, situazioni e realtà singole che sono slegate le une alle altre. Per cui non si può parlare né di storia
magistra vitae né di vita magistra historiae, nè di metodo induttivo e deduttivo, non si può confrontare il presente con il
passato, non si può generalizzare perché ogni esperienza è a sé. Il fondamento del pensiero guicciardiniano è il particulare,
ciò che è hic et nunc, nel dettaglio, nella specificità. Quindi per interpretare il contesto politico o la condizione presente, la si
deve considerare in quel particolare momento storico e in quel particolare contento geografico. La virtù dello statista deve
esse la discrizione (colui che sa discernere, sa capire il particulare e lo sa differenziare da tutto il resto). Per esempio le
vicende politiche di una determinata città, in un determinato contesto storico, non vengono considerate nel contesto
generale dell’Italia o di quel periodo ma per quello che sono. É presente un realismo ancora più esasperato rispetto a quello
machiavelliano, perché la realtà effettuale in Machiavelli era rischiarata anche dall’ideale della storia. Guicciardini fa un'aperta
polemica contro Machiavelli, dicendo che non condivide il procedimento di alcuni che per ogni affermazione si rifanno al
modello romano, non bisogna cercare le tracce del presente nel passato perché è un procedimento surrettizio, sbagliato,
illegittimo.

L’atteggiamento di Guicciardini è stato condannato molto dalla critica, per esempio del Risorgimento. De Sanctis, che
esaltava il pensiero machiavelliano, di fronte a questo cinismo e scetticismo demolisce la sua figura, che é stata riscattata di
recente dalla critica.

6.È grande errore parlare delle cose del mondo come se si conformassero nelle leggi universali, perché anche se differiscono
di poco l’une dalle altre queste sono comunque differenti. L’abilità dello studioso è quella di non generalizzare.
110. Quanto si sbagliano coloro che ad ogni parola fanno riferimento ai romani (si scontra con Machiavelli). Affinché si possa
confrontare la realtà presenta con quella dell’antica Roma (ἀδύνατον, qualcosa di impossibile, un’assurdità), si dovrebbe
vivere in un contesto identico a quello dell’antica Roma, bisognerebbe tornare indietro nel tempo. È come se uno volesse far
andare alla stessa andatura un asino e un cavallo.
114. non si può presagire il futuro partendo dalla situazione presente (critica a Machiavelli). Bisogna sempre considerare la
situazione hic et nunc e non si può programmare il futuro, al contrario il Principe già di per sé è un libro che è progettato per
il futuro perché servirà ai governatori per esercitare il loro potere. Sono campati in aria, perché una conclusione deriva
dall’altra, ma siccome non si può prevedere il nulla ecco che una conclusione vanifica l’altra. Una minima variazione
comprometterebbe tutto il resto. Perciò non si possono guardare la realtà a questa distanza ma bisogna guardarla da vicino,
momento per momento.
30. Viene affrontato il tema della fortuna. Mentre Machiavelli basandosi sulla condivisione sulle leggi universali, come per
esempio la concezione naturalistica dell’uomo che Guicciardini non ammette perché l’uomo non è sempre uguale ma
bisogna considerare individuo per individuo. Per Machiavelli l’uomo può agire sulla fortuna per il 50%, mentre per
Guicciardini non è possibile perché la fortuna domina l’uomo al 100% (non si può agire su ciò che è voluto dal fato). Gli
avvenimenti non si possono prevedere né evitare e nonostante l'intelligenza umana qualche volta riesce a moderare le cose
ma sola non basta perché occorre la buona sorte.
117. Non possiamo giudicare una situazione rifacendoci ad altri esempi perché dovrebbero essere del tutto identici, cosa
impossibile perché per un minimo dettaglio risulta diversa. Per vedere le differenza tra una situazione all'altra occorre la
discrezione.
134. Per Machiavelli gli uomini sono inclinati più al male che a bene, nel senso che tengono ai propri interessi. Laddove una
guida o un’autoritá molto efficace in questo ambito riesca nel suo intento allora possono anche compiere il bene. Però se
venissero lasciati senza alcun controllo e senza alcun freno farebbero il male. Guicciardini si colloca in una posizione
antitetica. Gli uomini per la debolezza intrinseca si fanno allontanare, sbagliano e quindi compiono il male, però i saggi e
legislatori attraverso dei premi o delle pene possono in qualche modo indurli a compiere il bene e a portarli sulla retta via. La
speranza dei premi e il timore delle pene servono a mantenere inalterata la natura umana che è innatamente portata al bene
(in Machiavelli si parla di bene e punizioni per modificare la natura dell’uomo in maniera artificiosa).
Guicciardini, a differenza di Machiavelli, ritiene che gli uomini, per natura, siano tendenzialmente inclinati al bene. Ma la
fragilità della condizione umana non consente loro di abbandonarsi a speranze o illusioni; pur muovendo da presupposti
diversi, il suo pessimismo giunge così a conclusioni non lontane da quelle machiavelliane,considerando il problema della
morale e della giustizia in una disincantata prospettiva (non muove da grandi ideali universali) di opportunità sociale, politica
e giuridica.

Potrebbero piacerti anche