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Lo spazio oltre il tempo

Non esistono fatti, solo interpretazioni (Friedrich Nietzsche)


Antonella Filippi

Se le forme sono instabili,


se nulla rimane
se il tempo lineare non esiste
i momenti “senza scopo” della vita
per esistere hanno necessità di uno spazio.
Il momento che viene catturato da un Haiku esiste sempre in uno spazio, sia esso reale o interiore,
descrittivo o immaginario.
Spazio a tra dimensioni, in cui sui inserisce la quarta, il tempo, e che si armonizza con una
pulsazione che permea ogni cosa, il ritmo.
Lo spazio e il ritmo sono gli altri due aspetti dell’Haiku e delle arti in genere.
La percezione dello spazio ha a che fare con il campo visivo e con il vuoto.
In senso generale il campo visivo è la rappresentazione del mondo esterno che viene proiettata sulla
retina, in assenza di movimenti oculari o del capo.
In senso figurato, il campo visivo dipende dalla nostra percezione: ognuno di noi registra e traduce
maggiormente gli aspetti del paesaggio esteriore che più riflettono il suo paesaggio interno,
personale.
Un messaggio visivo proveniente dall’occhio viene interpretato dal cervello. Ogni esperienza
visiva, pertanto non è una semplice fotografia della realtà, un fenomeno oggettivo, ma una sua
interpretazione.
La presenza delle ombre, oltre alle immagini diverse inviate dai due occhi lievemente sfasati uno
rispetto all’altro, permette di vedere la terza dimensione, la profondità, mentre la quarta, la
percezione del tempo, è legata al ritmo, che permea in modo microscopico o macroscopico i cicli
vitali.
Le neuroscienze non sono ancora in grado di spiegare il funzionamento del cervello, così come le
neuroscienze cognitive, il cui ambito di studio è la coscienza, non hanno a tutt’oggi gli strumenti
per chiarire la struttura e il funzionamento dei circuiti neurali complessi nel sogno, nella memoria e
nel linguaggio e il funzionamento cerebrale della percezione.
Non sono ancora spiegabili l’induzione della trance e le visioni, non più dell’ispirazione artistica o
del lampo intuitivo che coglie ogni essere umano che abbia ragionato e si sia concentrato sulla
risoluzione di un problema, la cui soluzione pare essere dietro l’angolo, ma sfuggire sempre, fino a
quando non la si guarda più direttamente, e allora la percezione della soluzione si affaccia ai bordi
del campo visivo.
Lo spazio in cui vive l’haiku è proprio quello ai bordi del campo visivo.
Il campo visivo normale è di 150-160° e quello che si muove nello spazio ai bordi ci apre
misteriosamente il cuore, perché sentiamo che tutto ciò che fa vivere la nostra interiorità parte da
quei 5-15° a ogni lato e prosegue con i 180° dietro di noi, quelli che non vediamo.
In quello spazio posteriore nasce la poesia, l’arte, che piano piano si affaccia ai lati del campo
visivo, finché non lo cogliamo.
Inoltre, a 15° di angolo visivo si trova la macchia cieca, il punto attraverso il quale il nervo ottico
esce dall’occhio.
La scienza della visione ha molti aspetti sorprendenti e affascinanti, ma quello che più è legato alla
percezione è la macchia cieca, in cui il nostro occhio è del tutto privo della capacità di vedere e di
cui nessuno di noi si accorge, nonostante essa sia situata in un’area abbastanza centrale della retina
(e dunque del campo visivo) e sia abbastanza estesa in ampiezza.
Come non pensare che questa zona di insensibilità sia legata alla percezione sottile dei non-luoghi
dentro di noi e fuori dai confini del nostro corpo, zone che non sappiamo definire, in cui a volte
incontriamo dei non-noi e non-altro, spazi affollati di solitudine buona e di silenzio?
Per essere “persone”, maschere, lasciamo che gli altri ci invadano, ci entrino dentro per servire da
impalcatura e intonaco su cui ognuno disegna il nostro ritratto come lo vuole vedere. In questi
territori nascono le società, le religioni, i gruppi di potere, le istituzioni, zone di rigidità che
nascondono la pochezza e la contraddizione, che procedono per ingranaggi e restringono l’ampiezza
delle nostre possibilità di movimento, dandoci spesso una sensazione di irrealtà.
Per mantenere la nostra umanità, la nostra capacità di partecipazione e presenza, nessuno deve poter
varcare gli angoli di spazio dentro ai quali ci muoviamo nella luminosa consapevolezza della nostra
solitudine.
Che diventa fonte di gioia e produttiva se la sua estensione rimane laterale e senza tempo.

Sempre insieme agli altri, siamo meno reali


Sempre meno soli, diventiamo trasparenti
Ogni momento è uno spazio di poesia
che nasce dietro i nostri occhi solitari
e solo dopo può essere condiviso.
Distrarsi da sé non porta a essere sé,
solo a frammentare lo spazio ai confini degli occhi,
ad alterare il flusso infinito alle nostre spalle
Tornare a noi, accompagnati dall’altro,
a volte può aiutarci,
ma l’acqua degli stagni e delle dighe evapora
e solo la corsa del fiume può portare al mare.

Per quanto riguarda la relazione tra la percezione dello spazio e il vuoto, la fisica insegna che
l'atomo è prevalentemente uno spazio vuoto. La massa di un atomo è concentrata per la maggior
parte nel suo nucleo e questo rappresenta soltanto una parte infinitesima del volume totale
dell'atomo, da questo si deduce che un atomo (e di conseguenza tutta la materia) è costituito
prevalentemente da vuoto.
Ma che cos’è il vuoto?
Democrito definiva l'essere come il pieno e il non essere come il vuoto. La caratteristica dell'essere
è quella di rimanere eternamente identico a se stesso, mentre il vuoto, che consente il movimento
degli atomi, dà luogo al divenire, al nascere, al morire e al trasformarsi ed è perciò “non-essere”,
perché è legato al tempo, all’istante, al “qui-ora”.
La fisica moderna annulla la distinzione tra particelle materiali e vuoto: il vuoto, cioè, perde la sua
connotazione di "non-essere" per diventare una quantità dinamica all'interno della quale un numero
illimitato di particelle vengono generate e scompaiono in un processo senza fine.
Questo considerare i fenomeni fisici come manifestazioni effimere di una entità fondamentale
soggiacente è anche il fondamento su cui si basa la concezione orientale del mondo e rappresenta la
sola realtà: tutto il resto è considerato transitorio e illusorio. Essa trascende tutte le forme e sfugge a
tutte le descrizioni e specificazioni, perciò viene, generalmente, identificata con il vuoto.
Anche in questo caso, tuttavia, vuoto non significa non-essere. Tale vuoto, infatti, contiene in sé un
potenziale creativo infinito. Così come il campo quantico, da esso si originano tutte le cose che ad
esso, infine, ritornano. Si tratta di un vuoto vivente, pulsante in ritmi senza fine di creazione e
distruzione. Così come le particelle subatomiche, anche le manifestazioni fenomeniche del vuoto
mistico sono dinamiche e transitorie. Anche in oriente il vuoto ha, dunque, una connotazione
dinamica: si può quasi affermare che il vuoto spaziale non esista in quanto è regolato dal vuoto
temporale che lo rende dinamico, ossia instabile e impermanente. Vuoto e pieno sono, dunque,
semplicemente due differenti aspetti della stessa realtà che si trasformano perennemente l'uno
nell'altro.
E’ in questo vuoto dinamico, incessante danza di movimento e di energia, che nasce la percezione
che si traduce in Haiku.

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