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1.

Il testo pensato
“... il lettore è lo spazio in cui si inscrivono, senza che nessuna vada
perduta, tutte le citazioni di cui è fatta la scrittura [...] è quel qualcuno
che tiene unite in uno stesso campo tutte le tracce di cui uno scritto è
costituito”.
(R. Barthes, “La morte dell’autore” in Il brusio della lingua, Einaudi,
Torino, 1988, p. 56)

1.1 Storia
Evoluzione del concetto di testo
1.1.1 Premessa
1.1.2 Testo e scrittura
1.1.3 Il testo orale
1.1.4 Il mondo come testo
1.1.5 Il testo come intenzione comunicativa
1.1.6 Il testo come struttura
1.1.7 Il testo come oggetto
1.1.8 Il testo senza materia
1.1.9 La nuova interattività
1.2 Progettazione
Scrivere per pensare
1.2.1 Mettere ordine nei pensieri
1.2.2 Pianificare il testo
1.2.3 Scrivere le idee
1.2.4 Tecniche per la generazione di idee
1.2.5 Pensieri organizzati in strutture
1.3 Stesura
I due tempi della scrittura
1.3.1 Quando si inizia a scrivere
1.3.2 Scritture di servizio
1.3.3 Sceneggiature cinematografiche
1.3.4 L’opera d’arte come sceneggiatura
1.3.5 Sceneggiatura multimediale
1.4 Pubblicazione
Scrittura, comunicazione e pubblicazione
1.4.1 Espressione, comunicazione, pubblicazione
1.4.2 Le antiche forme della pubblicazione
1.4.3 Le nuove forme della pubblicazione
1.4.4 Scrivere per esserci
2 Capitolo 1

Q
uesto primo capitolo prende in esame la fase propedeutica di un testo,
il momento della sua eleborazione.
Anche in questo caso rispetteremo la partizione adottata per tutti e
quattro i primi capitoli del volume.
La prima parte, quella indicata con il titolo di Storia, conterrà, piuttosto che
la storia delle tecniche di progettazione di un testo, un rapido excursus nella
storia del concetto di testo e nelle teorie elaborate nel corso degli anni; niente di
esaustivo: solo il pretesto per parlare delle novità di questi ultimi anni e del loro
impatto su scrittori e lettori. Rintracciando alcune costanti che dalle origini re-
stano fino a oggi invariate individueremo gli elementi chiave della nuova te-
stualità e i punti di svolta nodali di una trasformazione ancora in atto.
La seconda parte, quella solitamente destinata alla fase progettuale di un
testo (Progettazione), affronterà la tematica della genesi di un testo, prendendo
in esame anche alcune tecniche creative oggi utilizzate.
La terza parte (Stesura) rappresenterà l’occasione per parlare di tutte quelle
categorie testuali considerate pre-testi, ossia testi preparatori a quello definitivo.
Un tipo di testualità rimessa in auge dalla nuova scrittura, in quanto scrittura
complessa che richiede una fase preparatoria assai puntuale.
La quarta parte (Pubblicazione) affronterà il tema del rapporto tra scrittura,
comunicazione e pubblicazione, ovvero del rapporto esistente tra la creazione
di un testo, la sua natura intenzionalmente comunicativa e la sua legittimazione
pubblica. I paragrafi in questione saranno il pretesto per riflettere su come
Internet abbia profondamente mutato il rapporto tra scrittura e pubblicazione e
su come abbia reso più che mai evidente la natura comunicativa di un testo.

1.1 Storia
Evoluzione del concetto di testo
1.1.1 Premessa
Le discussioni attorno al concetto di testo che hanno occupato per decenni le
pagine dei saggi di linguisti, filosofi, semiologi e semiotici vertono su alcune
questioni di fondo che possono essere molto sommariamente riassunte in tre
grandi problemi:

• se per testo debba intendersi esclusivamente un tipo di espressione (sia


essa verbale o iconica) fissata su di un supporto e quindi ”scritta” o, vicever-
sa, qualsiasi tipo di messaggio, sia pure ”orale”;
• se il testo abbia natura essenzialmente alfabetica o includa al suo interno
ogni altra forma di espressione (iconica, musicale, filmica);
• se un testo, per definirsi tale, debba necessariamente possedere una natura
intenzionale, e cioè essere prodotto da un mittente che si rivolge con uno
scopo più o meno consapevole a un destinatario, utilizzando un codice che
si presuppone (ma non è detto che lo sia) condiviso.
Il testo pensato 3

Nel corso degli anni, o forse dei secoli, questi tre interrogativi di fondo
hanno avuto risposte diverse, anche se la tendenza generale è stata senza dub-
bio quella di una progressione dal piccolo al grande, ovvero si è partiti da un
concetto più ridotto del termine testo, intendendo con esso esclusivamente espres-
sioni scritte di tipo alfabetico prodotte intenzionalmente da un mittente, fino ad
arrivare a un’idea dilatata che tende a includere al suo interno forme svariate di
espressione e di comunicazione.

Negli ultimi anni, la comparsa del personal computer ha assai complicato lo


scenario degli studi sulla testualità; il nuovo elaboratore di testi ha aperto la
strada a una ricchezza prima impensabile e ha rivoluzionato molte delle convin-
zioni in fatto di lettura e scrittura. L’estrema duttilità dei testi, la loro natura
composita (alfabeto, immagini, suoni, animazioni sullo stesso supporto), l’inte-
rattività (ossia la possibilità di intervenire sui testi in maniera diretta) hanno
determinato quella che alcuni vedono come la terza rivoluzione mediatica, dopo
la scoperta della scrittura e l’invenzione della stampa.
Parlare oggi di testo come di qualcosa di compiuto risulta impensabile. I
nuovi testi elettronici on line, per loro stessa natura, sono suscettibili di modifi-
ca, invecchiano dopo qualche giorno e mutano a ritmi costanti. Le loro modifi-
che portano raramente la firma di un solo autore.
I nuovi testi si esprimono in minima parte attraverso il solo linguaggio alfa-
betico, più spesso fanno ricorso a un uso composito di codici diversi, sono
multimediali a tutti gli effetti.
La natura intenzionale della nuova testualità è continuamente ribadita
dalla loro peculiarità comunicativa. L’elemento comunicativo si accentua, in-
fatti, all’interno di una scrittura progettuale, che raramente è l’espressione di
un singolo, ma nasce da un’équipe di lavoro ed è guidata da obiettivi discussi
e definiti.
Per avere un assaggio della rivoluzione informatica e informativa a cui stia-
mo assistendo basta considerare le difficoltà incontrate dai sistemi di archivia-
zione biblioteconomica nella registrazione dei nuovi testi. Se un CD-ROM può
essere considerato, infatti, un’opera compiuta a tutti gli effetti e trovare una sua
forma di collocazione all’interno del deposito di una biblioteca, diverso è il caso
di quelle informazioni che si reperiscono on line e che, a differenza dei corri-
spettivi cartacei (siano pure giornali e riviste), si registrano e si indicano assai
difficilmente e non garantiscono una loro permanenza nel tempo. L’idea di
testo compiuto sfugge alla logica della scrittura on line.
Che dire poi della difficoltà a stabilire quale sia il nuovo ruolo dell’autore,
un autore alle prese con tecniche di scrittura talvolta poco accessibili anche se
piene di promesse; un autore che si destreggia tra la conoscenza del software e
nuove procedure di strutturazione ed elaborazione dei contenuti.

Il testo del Duemila presenta, dunque, alcune caratteristiche profondamen-


te innovative rispetto a tutto ciò che lo ha preceduto. In questo capitolo prove-
4 Capitolo 1

remo a definire le novità introdotte dall’uso degli strumenti informatici nella


produzione dei testi, ripercorrendo in breve la storia della testualità dalle origini
fino a oggi.

1.1.2 Testo e scrittura


Nel suo volume dedicato alla storia della lettura, Alberto Manguel riporta la
suggestiva credenza mesopotamica per cui gli uccelli sarebbero state creature
sacre in virtù della loro capacità di tradurre in segni il pensiero degli dei: chiun-
que avesse imparato a decifrare le loro impronte lasciate sul terreno, così simili
ai simboli della scrittura cuneiforme, avrebbe potuto svelare agli uomini mes-
saggi inviati dal cielo.1
In questa breve immagine si riassume tutta l’importanza conferita alla scrit-
tura da una società considerata l’iniziatrice di questa pratica. Siamo nel 3500
a.C. circa quando si affermano sistemi di registrazioni commerciali su supporti
poco maneggevoli come tavolette di argilla non essiccate. Le tavole ospitano
anche testi sacri, elenchi di leggi, formulari e perfino vere e proprie narrazioni:
la città di Uruk possiede una biblioteca ricchissima che conserva migliaia di
tavolette incise da segni cuneiformi. Nell’antica civiltà sumera, come in quella
egiziana, lo scriba assume un ruolo fondamentale all’interno della società. Il suo
privilegio consiste nel possesso delle chiavi interpretative della scrittura e quin-
di della lettura, della capacità di decifrare i testi che raccolgono tutta la memoria
delle conoscenze umane. I “geroglifici”, la scrittura degli dei, sono stati offerti in
dono agli uomini proprio da un dio, Thot.
Il valore attribuito al testo in quanto tramite di conoscenza apparterrà, del
resto, anche a tutte le tradizioni, ebraica, cristiana e islamica, che trasferiscono
sul concetto di testo l’idea sacrale di “parola di dio”: il testo scritto è il canale
diretto attraverso il quale dio parla agli uomini.
È questo il motivo per cui il termine testo, che compare per la prima volta
nel suo uso attuale solo molti secoli più tardi nelle opere di Quintiliano, indica
da subito un discorso più o meno lungo, più o meno complesso, ma comunque
fissato su un qualsiasi tipo di supporto (le tavole, il papiro o la pergamena).
Parliamo dunque di testo e di scrittura in maniera del tutto intercambiabile,
seguendo quello che è stato l’uso accreditato per molti anni. Il termine testo
rimandava a un messaggio fissato su di un supporto, magari di natura variabile,
dalla pietra alla carta, magari espresso tramite codici e lingue diverse, tuttavia
sempre ben identificabile.
Solo in seguito la parola ha dilatato i suoi confini semantici includendo
anche i messaggi di tipo orale. Si deve agli studi linguistici (Approfondimento
1.1), e in particolare a Hjelmslev, l’estensione del significato del termine. Egli
propone, infatti, un’accezione più ampia inglobando in essa anche gli enunciati
orali.

1 Alberto Manguel, Una storia della lettura, Mondatori, Milano, 1997.


Il testo pensato 5

Figura 1.1 Un esempio di tavoletta incisa, rinvenuta negli scavi dell’antica biblioteca
di Uruk.

Approfondimento 1.1 Definizione di testo.


«La nozione di testo non si situa sullo stesso piano di quella di frase (o di
proposizione, sintagma eccetera); in questo senso il testo deve essere distinto
dal paragrafo, unità tipografica di più frasi. Il testo può coincidere con una frase
come con un intero libro; esso si definisce per la sua autonomia e per la sua
chiusura (anche se, in un altro senso, alcuni testi non sono affatto “chiusi”):
costituisce un sistema che non si può identificare con il sistema linguistico, ma
che con quest’ultimo può essere messo in relazione: relazione contemporanea-
mente di contiguità e di rassomiglianza. In termini hjelmsleviani, il testo è un
sistema connotativo, perché è secondo in rapporto a un altro sistema di signifi-
cati. Se si distinguono nella frase verbale i suoi componenti fonologici, sintattici
e semantici, si distinguerà altrettanto nel testo, senza tuttavia che queste com-
ponenti siano situate sullo stesso piano.
Così a proposito del testo si parlerà dell’aspetto verbale, che sarà costituito
da tutti gli elementi propriamente linguistici delle frasi che lo compongono
(fonologici, grammaticali eccetera); dell’aspetto sintattico, in riferimento non
alla sintassi delle frasi ma delle relazioni tra unità testuali (frasi, gruppi di frasi
eccetera); dell’aspetto semantico, infine, prodotto complesso del contenuto se-
mantico delle unità linguistiche. Ciascuno di questi aspetti ha una proprietà
problematica, e fonda uno dei più grandi tipi di analisi del testo: analisi retori-
ca, narrativa, tematica.»

(Da Dizionario enciclopedico delle scienze del linguaggio, ISEDI, Milano, 1972,
pp. 322-3)
6 Capitolo 1

Oggi le definizioni della parola tengono conto di questo cambiamento di


rotta verificatosi nel XX secolo. La linguistica testuale propone la propria defini-
zione: “Il testo è visto come un grande enunciato (o enunciato complesso) orale
o scritto”, “una serie variante dimensionata di enunciati verbali o scritti, dotati di
qualche significato”.2
Sul recente Dizionario della lingua italiana curato da Tullio De Mauro3
leggiamo le seguenti definizioni di testo:

1. l’insieme delle parole che compongono uno scritto o un discorso: il


testo di una legge, di un telegramma, di una lettera, rileggimi il testo del
problema
2. in uno scritto, spec. in un libro, la parte originale distinta da tutto ciò
che viene aggiunto come commento, traduzione o note: testo commentato,
emendato, duecento pagine di testo più trenta di note, una traduzione che
stravolge il testo
3. opera, spec. antica, a cui è riconosciuta una certa autorevolezza nel
campo del sapere: i testi della letteratura trecentesca | singolo passo di
un’opera di autorità indiscussa
4. ling. enunciato complesso, orale o scritto, considerato un’entità unitaria
in base a proprietà particolari quali la compattezza morfosintattica e l’unità
di significato
5. filol. opera scritta, così come risulta dalla sua trasmissione sia mano-
scritta sia a stampa: testo a stampa, emendato, acefalo
6. mus. composizione letteraria che costituisce la base di un brano musi-
cale: un madrigale di Monteverdi su testo del Tasso
7. tipogr. carattere di stampa di corpo 18
8. inform. la parte del messaggio di posta elettronica considerata senza
riferimento ai caratteri di controllo e alle intestazioni generate da software

Delle otto diverse accezioni del lemma, solo la numero 1 e la numero 4


tengono conto della natura anche orale di un testo; tutte le altre rimandano, in
qualche modo, all’idea dello scritto.
Così altre fonti autorevoli preferiscono ancora optare per la sola forma scrit-
ta. Il Dizionario enciclopedico italiano riporta:

Il contenuto d’uno scritto o d’uno stampato, ossia l’insieme delle parole che lo
compongono, considerate non solo nel loro significato ma anche nella forma
precisa in cui si leggono nel manoscritto o nell’edizione a cui si riferisce.4

2 Cesare Segre, Avviamento all’analisi del testo letterario, Einaudi, Torino, 1985.
3 Tullio De Mauro, Il dizionario della lingua italiana, Paravia/Bruno Mondadori, Milano,
2000.
4 Dizionario enciclopedico Italiano, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma.
Il testo pensato 7

Figura 1.2 Un’antica iscrizione su bassorilievo assiro.

Nel Grande Dizionario Enciclopedico di Utet, Bice Mortara Garavelli scrive:

… Nell’uso comune, per t. di un discorso si intende sia il “corpo” (contenuto


ed espressione) del medesimo, sia il risultato della sua stesura in forma
scritta. Il passaggio, insensibile, dalla prima alla seconda accezione, è frutto
dell’abitudine alla scrittura come mezzo e garanzia di stabilità e di ordine
nella trasmissione dei messaggi verbali...5

La scrittura appare, ancora oggi, la condizione irrinunciabile del testo in


quanto garante della stabilità del testo stesso. Il testo è un volume, una relazio-
ne scritta, il corpo centrale dell’opera di un autore. Ma, dopo la rivoluzione
digitale, è ancora possibile parlare di scrittura in questi termini?

5 Grande Dizionario Enciclopedico, Utet, Torino, 1984-1991.


8 Capitolo 1

Come abbiamo già anticipato, il testo on line non è garante della propria
compiutezza e la scrittura non sancisce, come per il passato, la definitiva stabi-
lità delle parole.

1.1.3 Il testo orale


Secondo la linguistica l’odierno concetto di testo appare simile a quello antico di
discorso: sarebbe, cioè, il prodotto combinatorio di parole unite a formare una
frase, o più frasi collegate in maniera coerente tra di loro. Il discorso era natural-
mente un tipo di espressione orale, che solo dopo il suo battesimo pubblico
poteva, in qualche caso, essere messo per iscritto.
In tutto il mondo antico, l’oralità (Approfondimento 1.2) ebbe un’importan-
za primaria. È Platone (paradossalmente lo fa in un testo destinato alla divulga-
zione scritta) a condannare la pratica della scrittura come una tecnica che avrebbe
sottratto agli uomini la capacità di ricordare e di dialogare tra loro.
Durante tutto il Medioevo, quando ormai i testi scritti si erano diffusi grazie
alle copie pazienti di monaci amanuensi, il loro carattere orale si mantiene
quasi inalterato: i primi testi scritti sono quasi dialoghi messi su carta e conser-
vano dei testi orali tutte le caratteristiche retoriche. Ciò si giustifica in virtù del
fatto che sono sempre destinati a una lettura a voce alta, persino se eseguita in
solitudine. Significativo a questo proposito il fatto che spesso le pagine di aper-
tura di un testo contengano osservazioni rivolte direttamente al lettore, come in
una conversazione in presenza.
Nel mondo antico si assiste, dunque, a un dominio incontrastato dell’udito
sulla vista, e ci vorranno anni prima che l’aspetto “grafico” delle parole sostitui-
sca o affianchi il loro valore uditivo.

Noi percepiamo le parole stampate come unità visive [...]. Ogni testo coin-
volge vista e udito, ma, mentre noi sentiamo la lettura come un’attività
visiva che si converte in suono, nei primi tempi della stampa la si sentiva
principalmente come un processo d’ascolto, messo semplicemente in moto
dalla vista.6

Nel suo volume Oralità e scrittura (uno studio tutto dedicato alle civiltà
senza scrittura, ossia a “oralità primaria”) Walter Ong ha evidenziato le caratte-
ristiche del testo orale, contrapposto allo scritto. La scrittura e soprattutto la
stampa avrebbero profondamente trasformato la natura dei testi e assieme a que-
sta la mentalità dei loro estensori e fruitori. Da un’analisi delle letterature orali
passate e presenti, Ong ricava che i testi orali possiedono alcune peculiarità:

• I testi orali presentano uno stile formulaico, ovvero ricorrono all’uso costan-
te di epiteti e frasi fatte per favorire la memorizzazione dei testi.

6 Walter Ong, Oralità e scrittura, Il Mulino, Bologna, 1986, p. 172.


Il testo pensato 9

Approfondimento 1.2 La parola parlata


«I caratteri estremamente diversi della parola parlata e di quella scritta sono
facili da studiare oggi che i contatti con le società non alfabete sono più stretti.
Un indigeno, il solo membro alfabeta di un intero gruppo, narrò come gli
accadesse di fungere da lettore ogni volta che gli altri ricevevano corrisponden-
za. Riferì anche che mentre leggeva ad alta voce si sentiva obbligato a mettersi
le dita nelle orecchie per non violare la segretezza di quelle lettere. È un’inte-
ressante testimonianza sui valori della segretezza incoraggiati dallo stress visivo
della scrittura fonetica, senza la cui influenza ben difficilmente potrebbero veri-
ficarsi questa separazione dei sensi e questo distacco di un individuo dal suo
gruppo. La parola parlata non fornisce l’estensione e l’amplificazione del pote-
re visivo necessario all’individualismo e alla privacy.
Per comprenderne la natura può essere utile metterla a confronto con la
forma scritta. Benché isoli ed estenda il potere visivo delle parole, la scrittura
fonetica è relativamente rozza e lenta. Non esistono molti modi di scrivere
“stasera”, ma Stanislavskij soleva chiedere ai suoi giovani attori di pronunciare
e di accentuare questa parola in cinquanta modi diversi, mentre chi ascoltava
annotava le differenti sfumature di sentimento e di significato che così veniva-
no espresse. Molte pagine di prosa sono state dedicate a descrivere ciò che di
fatto era soltanto un singhiozzo, un gemito, una risata o un grido lancinante. La
parola scritta espone chiaramente in sequenza ciò che nella parola parlata è
rapido e implicito.
Nel discorso inoltre noi tendiamo a reagire a ogni situazione che ci si può
presentare, e reagiamo nei toni e nei gesti anche al nostro atto di parlare. La
scrittura è invece sostanzialmente un’azione separata e specializzata nella quale
sono scarse le occasioni o gli inviti a una reazione. L’uomo alfabeta o la sua
società sviluppano il formidabile potere di agire in ogni situazione con un
notevole distacco dai sentimenti o da quel coinvolgimento emotivo che prove-
rebbero un uomo o una società illetterati.»

(Da Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano,


1967, p. 87)

• Contengono costruzioni di tipo paratattico contrapposte a periodi di frasi


complesse subordinate. L’inizio della Genesi è l’esempio che rivela, meglio
di altri, questa tendenza a frantumare il testo in frasi brevi e collegate tra di
loro in maniera coordinata. Questa tecnica va a vantaggio sia dell’oratore,
facilitato nella sua esposizione, sia di chi ascolta, a cui si evita di perdersi in
costruzioni complesse.
• Sono aggregativi piuttosto che analitici. Sempre allo scopo di favorire la
memorizzazione, il pensiero e l’espressione orale, tendono a comporsi di
gruppi di elementi come gli epiteti, fanno uso di termini paralleli o opposti,
come di frasi parallele o opposte. Come si diceva, è frequente in essi il
ricorso a cliché.
10 Capitolo 1

• La ridondanza o copia è tipica dei testi orali in cui il pensiero deve neces-
sariamente procedere a rilento rispetto allo scritto, mancando di agganci
visivi. La ripetizione diventa elemento essenziale alla comprensione del te-
sto.
• I testi orali sono conservatori o tradizionalisti. La conservazione della cono-
scenza, infatti, richiede ripetizione continua. Viceversa nello scritto “assu-
mendo funzioni conservatrici, il testo libera la mente da tali compiti, vale a
dire dal lavoro mnemonico, mettendola così in grado di volgersi a nuove
speculazioni”.7
• Risultano, generalmente, più vicini all’esperienza umana: una cultura orale
è, infatti, meno pronta a processi di astrazione.
• Possiedono un tono agonistico, dovuto al loro legame con il contingente e
al loro scopo quasi sempre persuasorio nei confronti degli ascoltatori.
• Sono enfatici e partecipativi piuttosto che oggettivi e distaccati. Si instaura
un contatto più stretto tra chi comunica il testo e gli ascoltatori: ciò determi-
na anche una identificazione empatica con il contenuto stesso del messaggio.
• Sono omeostatici: tendono a sostituire elementi appartenenti alla tradizione
con le evoluzioni del presente “eliminano, cioè, memorie senza più rilievo
per il presente”.8
• Sono situazionali piuttosto che astratti: contengono riferimenti continui ad
ambiti precisi, a eventi e oggetti concreti.

Con l’avvento della nuova testualità elettronica si è parlato di “oralità di


ritorno”; come se la scrittura al computer avesse favorito il recupero di forme
espressive più vicine all’oralità. Ciò sarebbe dovuto essenzialmente a due
fattori:

1. la semplificazione delle operazioni di scrittura che restituirebbero (grazie


alla facilità di intervenire con correzioni e modifiche) nuova spontaneità
alla forma del testo, liberandolo da costrutti grammaticalmente complessi;
2. la velocità richiesta dai nuovi sistemi di comunicazione e di scambio
(e-mail), che incoraggerebbe una sorta di uso “telefonico” del linguaggio
scritto.

Se si analizza il linguaggio degli SMS, è facile intuire come ci si trovi, di


fatto, di fronte a un gergo che piuttosto che definirsi “orale” introduce ele-
menti di grande novità nei messaggi scritti. Si tratta certo di una lingua imme-
diata e rapida, ma che poco conserva della ridondanza e degli indugi del
parlato.

7 Ong, op. cit., p. 71.


8 Ong, op. cit., p. 76.
Il testo pensato 11

1.1.4 Il mondo come testo


Per proseguire nella ricerca di definizioni del concetto di testo citiamo ora Paul
Cornea, uno studioso rumeno che nel volume Introduzione alla teoria della
lettura,9 individua tre diversi concetti di testo:

• il testo in quanto documento scritto


• il testo come occasione di comunicazione, verbale o scritta, di dimensione
variabile
• il testo in quanto pratica significante

All’interno del processo che sembra destinato a dilatare i confini del termi-
ne, si giunge a definizioni che pongono l’accento sull’accezione di ”pratica
significante”: ”testo” diventa ogni situazione comunicativa o espressiva in grado
di ”parlare” agli occhi o alle orecchie di un ”lettore”.
Non più dunque solo parole, ma qualsiasi forma di comunicazione espressa
tramite sistemi di segni può essere definita testo a tutti gli effetti.
Cornea non è voce isolata in questo nuovo tentativo di definizione. Anche
Lotman parla di testo in questi termini:

… si può chiamare t qualunque comunicazione registrata in un dato sistema


segnico [...]. Da questo punto di vista possiamo parlare di un balletto, di uno
spettacolo teatrale, di una sfilata e di tutti gli altri sistemi segnici di compor-
tamento come testi, nella stessa misura in cui applichiamo questo termine a
un testo scritto in una lingua naturale, a un poema o a un quadro.10

Secondo questa definizione il concetto di testo può contenere una serie


quasi infinita di manifestazioni comunicative ed espressive, dalle arti in genere
fino a fenomeni naturali.
L’idea che l’universo intero si manifesti agli occhi dell’uomo come un enor-
me e misterioso testo ha ancora una volta un’origine antica e appartiene forse
già alla tradizione greca e romana, ma trova ampia diffusione solo con l’avvento
del Cristianesimo.
Il Medioevo sviluppa, con la tradizione cattolica, l’idea del mondo come un
libro da decifrare; un’idea che permea di sé tutto il misticismo cattolico degli
anni seguenti, fino a divenire un luogo comune: il mondo è un libro, le cose
sono le lettere dell’alfabeto, all’uomo spetta il compito di leggere e interpretare
la creazione divina (Approfondimento 1.3). Seguendo una tradizione ormai dif-

9 Paul Cornea, Introduzione alla teoria della lettura, a cura di Gheorghe Carageani, Sansoni,
Firenze, 1993.
10 Jurij M. Lotman, Testo e contesto: semiotica dell’arte e della cultura, a cura di Simonetta
Salvestroni, Laterza, Roma-Bari, 1980.
12 Capitolo 1

fusa, un mistico spagnolo del Cinquecento, Fray Luis de Granada, scriverà nella
sua Introduzione al simbolo della fede:

Che cosa sono le creature di questo mondo, così belle e così ben costruite,
se non singole lettere miniate che dichiarano splendidamente l’abilità e la
saggezza del loro autore? [...]. E noi, essendo stati posti dinanzi a questo
meraviglioso libro dell’intero universo, dobbiamo leggere, attraverso le sue
creature, come fossero lettere viventi, l’eccellenza del loro Creatore.11

Nell’ampia categoria di “sistema segnico” è facile inscrivere ogni manifesta-


zione dell’esistente: sarà un testo un cielo stellato in una notte d’estate, soprat-
tutto se a leggerlo è un astrologo in cerca di significati riposti; sarà un testo la
carta autostradale da consultare durante un viaggio, o il comportamento di un
gruppo di bambini nel giardino di una scuola davanti agli occhi di uno psico-
pedagogista chiamato a effettuare un’osservazione sistematica sulle dinamiche
interne al gruppo. Più che l’intenzione di chi esprime il messaggio, degli attori
del testo, sembra in questi casi, contare l’atto di chi legge e interpreta il testo
stesso. Sarebbe come dire che tutto può diventare un testo nel momento in cui
esiste un lettore che lo interpreta, conferendogli un significato. Si solleva così
un’altra complicata e dibattuta questione ossia il rapporto che si stabilisce tra il
testo e il suo ricevente, un rapporto destinato a diventare, per alcuni studiosi,
un vero e proprio atto creativo.
Oggi Internet è il grande testo che dobbiamo esplorare, il nuovo universo di
segni che ogni utente è chiamato a interpretare, la materializzazione dei sogni
profetici di alcuni utopisti del XX secolo.

1.1.5 Il testo come intenzione comunicativa


Si fa cenno ora a un’altra questione enunciata nella premessa: se il testo possie-
da o meno una natura intenzionale, sia, cioè, il contenuto di un atto comunica-
tivo (Approfondimento 1.4).
Ogni atto comunicativo è un processo che avviene alla presenza di una
serie di fattori che lo determinano: un emittente, un codice, un messaggio, un
contesto, un canale, un ricevente:

• l’emittente è colui che produce il messaggio, non necessariamente una per-


sona fisica;
• il codice è il sistema di segni di riferimento secondo cui il messaggio si
esprime;
• il messaggio è l’informazione trasmessa;

11 In Manguel, op. cit., p. 178.


Il testo pensato 13

Approfondimento 1.3 Il mondo come testo secondo Galileo


Riportiamo il testo della dedica al Granduca di Toscana Ferdinando II de’ Medi-
ci, premessa al Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e co-
pernicano di Galileo Galilei.

«Serenissimo Gran Duca,


la differenza che è tra gli uomini e gli altri animali, per grandissima che ella sia,
chi dicesse poter darsi poco dissimile tra gli stessi uomini, forse non parlerebbe
fuor di ragione. Qual proporzione ha da uno a mille? e pure è proverbio vulgato,
che un solo uomo vaglia per mille, dove mille non vagliano per un solo. Tal
differenza depende dalle abilità diverse degl’intelletti, il che io riduco all’essere o
non esser filosofo: poiché la filosofia, come alimento proprio di quelli, chi può
nutrirsene, il separa in effetto dal comune esser del volgo, in piú e men degno
grado, come che sia vario tal nutrimento. Chi mira piú alto, si differenzia piú
altamente; e ‘l volgersi al gran libro della natura, che è ‘l proprio oggetto della
filosofia, è il modo per alzar gli occhi: nel qual libro, benché tutto quel che si
legge, come fattura d’Artefice onnipotente, sia per ciò proporzionatissimo, quel-
lo nientedimeno è piú spedito e piú degno, ove maggiore, al nostro vedere,
apparisce l’opera e l’artifizio. La costituzione dell’universo, tra i naturali appren-
sibili, per mio credere, può mettersi nel primo luogo: che se quella, come uni-
versal contenente, in grandezza tutt’altri avanza, come regola e mantenimento di
tutto debbe anche avanzarli di nobiltà. Però, se a niuno toccò mai in eccesso
differenziarsi nell’intelletto sopra gli altri uomini, Tolomeo e ‘l Copernico furon
quelli che sì altamente lessero s’affisarono e filosofarono nella mondana costitu-
zione. Intorno all’opere de i quali rigirandosi principalmente questi miei Dialo-
ghi, non pareva doversi quei dedicare ad altri che a Vostra Altezza; perché po-
sandosi la lor dottrina su questi due, ch’io stimo i maggiori ingegni che in simili
speculazioni ci abbian lasciate loro opere, per non far discapito di maggioranza,
conveniva appoggiarli al favore di Quello appo di me il maggiore, onde possan
ricevere e gloria e patrocinio. E se quei due hanno dato tanto lume al mio
intendere, che questa mia opera può dirsi loro in gran parte, ben potrà anche
dirsi di Vostr’Altezza, per la cui liberal magnificenza non solo mi s’è dato ozio e
quiete da potere scrivere, ma per mezo di suo efficace aiuto, non mai stancatosi
in onorarmi, s’è in ultimo data in luce. Accettila dunque l’Altezza Vostra con la
sua solita benignità; e se ci troverrà cosa alcuna onde gli amatori del vero possan
trar frutto di maggior cognizione e di giovamento, riconoscala come propria di
sé medesima, avvezza tanto a giovare, che però nel suo felice dominio non ha
niuno che dell’universali angustie, che son nel mondo, ne senta alcuna che lo
disturbi. Con che pregandole prosperità per crescer sempre in questa sua pia e
magnanima usanza, le fo umilissima reverenza.

Galileo Galilei»

(Da Galileo Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, Einaudi
Editore, Torino, 1979, pp. 3-5)
14 Capitolo 1

• il contesto è la realtà a cui il messaggio fa riferimento, non solo in termini di


situazione in cui si attua, ma anche come referente, ovvero contenuto pre-
supposto della comunicazione stessa;
• il canale è il mezzo che rende possibile la trasmissione del messaggio e
stabilisce il contatto tra i due interlocutori;
• il ricevente o destinatario o interpretante, infine, è colui che riceve e inter-
preta il messaggio.

Il messaggio, elemento imprescindibile di ogni comunicazione, non può


che essere un “oggetto materiale” che si presta a spostare informazione da
una persona all’altra. Il testo è l’oggetto concreto di una comunicazione, il
frammento sufficientemente coerente e autonomo da poter essere considera-
to unitario.

Se si concepisce il testo come l’oggetto di scambio di un atto comunicati-


vo (Approfondimento 1.5) risulta chiaro come esso debba necessariamente
presupporre una volontà comunicativa da parte del suo estensore, un codice
espressivo costituito da un insieme di segni tramite i quali l’informazione
viene formalizzata, un canale di trasmissione che permette il passaggio, un
destinatario volontario o involontario coinvolto nell’attività di decifrazione
dei segni. Proprio a quest’ultimo è lasciato il compito di definire i confini del
testo stesso: il testo non esiste fino al momento in cui qualcuno non gli ha
attribuito un senso.
Per spiegare meglio facciamo l’esempio concreto di una programmazione
televisiva: in questo caso è chiara la presenza di un emittente, di un codice, che
è quello del linguaggio televisivo, di un canale di trasmissione (la televisione
stessa), di un contesto, che è quello in cui il ricevente si trova, e dello stesso
ricevente, al quale spetta la responsabilità di stabilire i limiti del testo: il “suo
testo”, che può essere il solo annuncio di un presentatore (perché poi il televi-
sore verrà spento); un telegiornale per intero; un film, magari intervallato da
spot pubblicitari che ne riscrivono il ritmo narrativo. La selezione operata da chi
guarda delimita un tipo di messaggio che potrebbe continuare fino all’interru-
zione della programmazione se lo spettatore non spegnesse l’apparecchio, o
semplicemente smettesse di guardare.

Approfondimento 1.4 I gradi della comunicazione


Il primo assioma della semiotica afferma che non si può non comunicare. La
comunicazione sembra avvenire sempre là dove si verifica un passaggio di
informazione; anche prescindendo dalla presenza dei sei fattori fondamentali a
cui è fatto riferimento (il mittente, il destinatario, il codice, il contesto, il canale,
naturalmente è sempre necessaria la presenza del messaggio).
Il testo pensato 15

Il processo di comunicazione può avvenire per gradi.

• Il grado più basso è quello dello stimolo: si tratta di una semplice azione
secondo cui un’informazione passa senza che ci sia intenzionalità né
nell’emittente né nel ricevente e in assenza di un codice prestabilito. Ad
esempio gli uomini si bagnano quando piove, anche se non ricavano
dalla pioggia alcun significato, anche se non necessariamente “leggono”
l’informazione.
• Il secondo grado è quello del passaggio di informazione: si ha quando un
destinatario deduce un significato da un fenomeno non prodotto intenzio-
nalmente né organizzato in un codice (in semiotica si parla di abduzione).
Ad esempio il terreno bagnato suggerisce a un osservatore che è piovuto.
• Il terzo grado, l’interpretazione avviene in presenza di un’intenzionalità
comunicativa e di un destinatario, ma in assenza di un codice condiviso.
Potrebbe essere il caso di un messaggio inviato sulla terra da un extraterre-
stre.
• Il quarto grado, la significazione, si ha tutte le volte in cui un destinatario
ha elaborato un messaggio secondo un codice, anche in assenza di un
destinatario che lo interpreti come tale. Spesso si cita come esempio di
questo quarto grado il messaggio in una bottiglia non ricevuto da nessuno,
ma vale naturalmente per qualsiasi tipo di scrittura elaborata senza che sia
letta da altri se non l’autore stesso.
• Infine il quinto grado, quello della comunicazione a tutti gli effetti: l’emit-
tente codifica intenzionalmente secondo un codice un messaggio che viene
interpretato dal destinatario. È questo il grado ultimo che si verifica alla
presenza di tutti e sei i fattori citati.

Approfondimento 1.5 Il testo come occorrenza comunicativa


Negli ultimi anni, gli studi linguistici hanno posto in evidenza la natura inten-
zionalmente comunicativa del testo. De Beaugrande e Dressler, nel noto volu-
me Introduzione alla linguistica testuale, definiscono il testo come occorrenza
comunicativa, regolata da sette condizioni di testualità:

• coerenza,
• coesione,
• intenzionalità (ossia l’atteggiamento del parlante o scrivente),
• accettabilità (l’atteggiamento del ricevente e le sue aspettative),
• informatività (la misura secondo cui gli elementi del testo sono noti, ignoti,
attesi o incerti per il ricevente),
• situazionalità (il legame con la situazione che rende intelligibile il testo),
• intertestualità (i fattori che fanno dipendere l’uso del testo dalla conoscenza
di uno o più testi precedenti).
(continua)
16 Capitolo 1

(seguito)
«La nozione di testo oggi non è più imprecisa e metaforica come appariva, negli
anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, all’inizio della rivoluzione critica
innescata dallo strutturalismo negli studi letterari e narratologici. Che cosa sia
un testo è stabilito oggi dall’elenco di una serie di condizioni e caratteristiche
che la linguistica ha condensato in alcune nozioni chiare, a partire dalla sintesi
sistematica compiuta da Beaugrande e Dressler nella loro Introduzione alla
linguistica testuale. Gli studi semiotici, d’altro lato, hanno approfondito la con-
cezione del testo come risultato conclusivo, destinato alla trasmissione a un
destinatario, di una sequenza di operazioni di progettazione e realizzazione
secondo schemi operativi e modelli formali utilizzati dal produttore del testo e
che prevedono, peraltro costitutivamente, l’intervento attivo del destinatario
per permettere l’effettiva comprensione della procedura di ascolto o di lettura.»

(Da Roberto Pellerey, Il lavoro della parola, Utet, Torino, 2000, p. 21)

«Assumeremo che un testo, realizzato tanto oralmente quanto per iscritto, sia un
tessuto di relazioni analizzabili tanto dal punto di vista linguistico quanto da
quello sociale. Un semplice enunciato, così come, allo stesso modo, una più
complessa e articolata organizzazione di frasi collegate da meccanismi di natura
grammaticale, ne definiscono la VALENZA LINGUISTICA, mentre tutto ciò che
concerne la funzione comunicativa, come i ruoli e le conoscenze presupposte
che si stabiliscono tra emittente e ricevente, le intenzioni, i contesti di realizza-
zione, ne definiscono la VALENZA COMUNICATIVA.»

(Da Anna Cicalese, “Testo e testualità”, in Manuale della comunicazione a cura


di Stefano Genuini, Carocci, Roma, 1999, p. 72)

1.1.6 Il testo come struttura


L’etimologia del termine non lascia dubbi in proposito: il testo si presenta come
un vero e proprio tessuto, un intreccio di trama e ordito costituito da singoli
elementi (i fili), riuniti a formare una solida struttura.
In questo caso la struttura è costituita da un insieme organizzato di parole,
di lunghezza variabile, ma dotato di un senso proprio autonomo e indipenden-
te, un’unità organica e omogenea. All’interno di questa solida struttura i singoli
elementi, ossia le parole, le frasi, i costrutti, sono regolati da leggi di coesione e
coerenza.
Per coesione si intende l’insieme di legami grammaticali e sintattici che si
stabiliscono tra le parole e garantiscono al testo correttezza espressiva. Tramite
l’uso di pronomi, di connettivi come avverbi e congiunzioni o tempi verbali, le
frasi di un testo stabiliscono legami e connessioni tra di loro. Naturalmente le
convenzioni per una struttura coesa sono assai diverse tra lingua e lingua e non
possono essere stabilite in assoluto. Il discorso, inoltre, può filare liscio da un
Il testo pensato 17

punto di vista formale se sono stati utilizzati giusti connettivi nella giusta posi-
zione, tuttavia il legame formale tra le parole non garantisce la correttezza
concettuale di un testo. Il periodo “Ho regalato a Luca un libro. Gli è piaciuto
molto poiché è stato cucinato a dovere, proprio come desiderava” possiede una
coesione interna perfetta, sancita dalla presenza del pronome “gli” che collega
la prima alla seconda frase, dalla congiunzione “poiché” che introduce la secon-
daria causale e dalla congiunzione “proprio”, tuttavia il senso del testo risulta
oscuro e lo scarto tra le parole “libro” e “cucinato” crea una sostanziale confu-
sione interpretativa.
A garantire il senso di un testo è chiamata in causa la coerenza, cioè il
corretto rapporto semantico che si stabilisce tra i concetti espressi dalle parole.
Un insieme di concetti privo di connessione logica non è un testo. Abbiamo
visto come l’accostamento, seppur grammaticalmente corretto, di parole distan-
ti per significato non produca senso. Di fatto è il lettore o l’ascoltatore che
assegna coerenza al testo, mettendo in gioco, ogni volta, la sua capacità di
trarre senso da ciò che percepisce. La coerenza di un testo chiama, dunque,
ogni volta, in causa il lettore, non solo la sua competenza linguistica, ovvero la
capacità di stabilire connessioni tra significanti e significati di un testo, ma an-
che la possibilità di effettuare rinvii a precisi contesti spazio-temporali, riempire
cioè quei buchi che ogni comunicazione, inevitabilmente, lascia incolmati.
Il grado di comprensibilità di un testo sarà sempre relativo al tipo di destina-
tario. Facciamo un esempio per chiarire. La frase “Il vino di quest’anno sarà
annacquato” può risultare abbastanza chiara a un coltivatore chiantigiano del
2002 alle prese con una stagione troppo umida per favorire la giusta maturazio-
ne dell’uva¸ risulterebbe meno chiara a chi non si occupa minimamente di
enologia e agricoltura e acquisterebbe senza dubbio un altro significato.

1.1.7 Il testo come oggetto


“Il medium è il messaggio”, la formula citata in ogni testo che si occupi di
comunicazione, è il titolo del capitolo che apre il volume Gli strumenti del
comunicare di Marshall McLuhan, dedicato a tutte le tecnologie, “estensioni”
delle capacità umane. Tra i media si annoverano l’elettricità, il telefono, la stam-
pa, la stessa scrittura alfabetica e molti altri, assai diversi tra loro.
Secondo McLuhan ogni nuova tecnologia muta, al di sopra di ogni aspetta-
tiva, il modo di agire e di pensare dell’uomo, ridefinendo nuovi equilibri cultu-
rali e sociali. In questo senso ogni nuovo medium è anche messaggio, al di là
dei contenuti che veicola, in quanto portatore di per sé di informazioni destina-
te a modificare profondamente la realtà con cui entra in contatto. L‘invenzione
della stampa e la comparsa di un nuovo oggetto, il libro stampato, hanno
influito pesantemente su tutto lo sviluppo dell’Occidente.

Come tutte le altre estensioni dell’uomo, anche la tipografia ebbe conse-


guenze psichiche e sociali che spostarono improvvisamente i limiti prece-
denti e i precedenti modelli di cultura [...]. Chiunque studi la storia sociale
18 Capitolo 1

del libro stampato resterà probabilmente sbalordito dal fatto che non si
siano mai capiti gli effetti psichici e sociali della stampa [...]. Sul piano psi-
chico il libro stampato, estensione della facoltà visiva, ha intensificato la
prospettiva e il punto di vista fisso. All’accentuazione del punto di vista e
del punto di fuga che fornisce l’illusione della prospettiva s’accompagna
l’illusione che lo spazio sia visivo, uniforme e continuo. La linearità, la preci-
sione e l’uniformità della disposizione dei caratteri mobili sono inseparabili
da queste grandi innovazioni culturali e dall’esperienza rinascimentale.12

L’idea è stata ripresa da altri studiosi tra cui Walter Ong:

Con la stampa a caratteri mobili [...] i caratteri tipografici preesistono alle


parole che andranno a formare. La stampa suggerisce che le parole sono
cose, più di quanto la scrittura non abbia mai fatto.13

Il libro è diventato un oggetto a tutti gli effetti:

In questo nuovo mondo, il libro somigliava più a una cosa che a un’espres-
sione orale, mentre invece la cultura manoscritta lo intendeva ancora come
una specie di espressione orale, un accadimento nel corso di una conversa-
zione. Se manca il frontespizio e manca il titolo, un libro in una cultura
manoscritta, pre-tipografica, viene normalmente catalogato in base al suo
“incipit”, le prime parole del testo (ad esempio il “Padre Nostro”, cui ci si
riferisce con le prime parole della preghiera, rivelando così un’oralità resi-
dua). Con la stampa, come si è visto, fecero la loro comparsa i frontespizi,
che sono delle etichette e attestano una mentalità per cui il libro è una sorta
di cosa, un oggetto.14

Il libro in cui le parole sono intrappolate, nell’attesa che una voce le liberi
nel mondo, si trasforma in un oggetto tangibile, dotato di un’autonomia propria
rispetto al lettore, ma anche rispetto al suo autore.

È questo oggetto, fatto di suoni impressi, di pagine e di carta, di immagini e


di dimensioni, di peso, di capitoli e indici, a determinare l’uso che il lettore ne
farà. Se è leggero e maneggevole sarà propizio a una lettura disinvolta, magari
solitaria, in luoghi altri da biblioteche; se le sue dimensioni rendono arduo il
trasporto sarà destinato a una lettura predisposta, in luoghi eletti; se i caratteri
saranno piccoli e indecifrabili escluderanno dalla comprensione molti poco

12 Marshall McLuhan, Galassia Gutenberg, Armando Editore, Roma 1976, pp. 182-84.
13 Ong, op. cit., p. 170.
14 Ong, op. cit., pp. 178-79.
Il testo pensato 19

Figura 1.3 Un’antica rappresentazione di codici e volumi.

avvezzi alla lettura, se le parole saranno sistemate su fogli di papiro uniti in


lunghi rotoli rallenterà il reperimento di informazioni.
Sarà imponente e perentorio se, come l’enorme tavoletta di argilla sui due
lati della quale è impresso il Codice legislativo di Ashur, risalente al XII sec a.C.,
troneggerà in uno spazio pubblico. O suggestivo come la porta di accesso della
Sagrada familia a Barcellona, una confusione di caratteri dai quali emergono
parole chiave dense di significato.
20 Capitolo 1

L’idea che non si possa separare quella che Segre definisce l’“invariante” di
una comunicazione dal suo supporto fisico, le parole (ci stiamo limitando al
caso di testi verbali) dalla carta su cui sono stampate o dalla voce che le recita
o dalla parete di pietra su cui si trovano incise ha avuto negli ultimi anni grande
considerazione tra gli studiosi del testo. Armando Petrucci ha lasciato pagine
bellissime sulla scrittura in tutte le sue forme, dalla stampa quotidiana fino alle
“scritture ultime” impresse sulle lapidi dei cimiteri.

Al pari degli ascoltatori o degli spettatori, i lettori di un’opera canonica di un


qualunque testo scritto non si confrontano mai con un’astrazione. Essi ma-
neggiano oggetti (si tratti di libri, di riviste, di giornali eccetera) o ricevono
il testo attraverso un’esecuzione – come si dice nel caso di partiture musicali
– le cui modalità determinano l’apprendere e il capire.15

I rapporti tra il testo e il supporto che lo ospita hanno interessato, negli


ultimi anni, gli studi di genetica testuale che hanno analizzato la stretta correlazio-
ne tra le tecniche di scrittura e le tipologie di supporto. Il supporto e gli strumenti
materiali della scrittura condizionano a loro volta il testo prodotto (Approfondi-
mento 1.6). La pagina è l’unità di contenuto con cui lo scrittore fa i conti. Le
forme materiali del testo hanno ricevuto un’attenzione particolare da parte di
discipline varie tra cui la storia della letteratura e la storia delle forme culturali.

Approfondimento 1.6 Economia dello scrivere


«Ogni cultura – così come ogni periodo della storia – presenta una peculiare
economia di scrittura. Materiali e tecniche per scrivere sono legati da una rela-
zione dinamica. Analogamente vi è un rapporto meno evidente, ma non meno
importante, tra materiali e tecniche da una parte, e tipi e utilizzi della scrittura
dall’altra. [...] Ogni nuova tecnologia deve trovare la propria collocazione entro
l’economia coeva di scrittura e nel far ciò può integrare o rimpiazzare le tecno-
logie precedentemente in uso. Il manoscritto sostituì effettivamente il rotolo di
papiraceo nella tarda antichità. Il papiro fu a propria volta sostituito dalla per-
gamena e dalla carta durante il Medioevo. Tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900
la macchina da scrivere rimpiazzò la scrittura a mano nelle comunicazioni com-
merciali [...]. Oggi il word processor sta rimpiazzando la macchina da scrivere.
[...].
L’economia della stampa è riuscita ad assorbire l’impatto di tutte queste
tecnologie, scrittura elettronica compresa. La scrittura elettronica ipertestuale
minaccia però ora l’equilibrio della nostra economia, promuovendo un ideale
di scrittura molto differente da quello della stampa. Nel far ciò, essa dà nuova
vita a tecniche del passato di importanza marginale. Della tavoletta di cera ha la

15 Domenico Scavetta, Le metamorfosi della scrittura, La Nuova Italia, Firenze, 1992.


Il testo pensato 21

capacità di modificarsi in modo rapido, della macchina da scrivere ha il posses-


so (almeno allo stato attuale) di una tastiera, la procedura di selezione discreta
di elementi alfabetici e l’uniformità meccanica. Il computer può fungere da
copiatrice, da blocchetto per appunti, da calendario, da emittente di messaggi a
distanza. Risulta effettivamente difficile pensare a una sola tecnologia margina-
le nella storia dello scrivere di cui il computer non possa imitare la funzione,
esattamente come è difficile immaginare una tecnica dominante (rotolo papira-
ceo, codice, libro a stampa) che il computer non possa importare e reinterpre-
tare nei suoi elementi costitutivi. La modalità di scrittura elettronica avrà quindi
un impatto sull’intera economia e storia della scrittura. Essa rappresenta infatti
una profonda revisione dello spazio di scrittura.»

(Da Jay David Bolter, “Economia dello scrivere”, ne Lo spazio dello scrivere, Vita
e Pensiero, Milano, 1993, pp. 48-52)

1.1.8 Il testo senza materia


Ora, se è vero che le parole sono difficilmente separabili dalla forma che le
esprime, cosa dire dei testi elettronici, testi che si imprimono sulle tracce di un
CD o nella memoria di un computer, che stazionano nella memoria volatile,
codificati in una serie di bit, richiamati sullo schermo e variabili nel loro aspetto
grazie a pochi semplici comandi?
Il testo elettronico è difficilmente assimilabile a un oggetto, privo di una
forma definitiva, per sua stessa natura soggetto a variazioni e modifiche. Quello
che noi scriviamo, infatti, e che viene visualizzato sullo schermo, non è che la
decodifica compiuta dal word processor del testo registrato nelle memorie ma-
gnetiche, costituito da lunghe catene di zero e uno. Quello stesso testo che
appare nella forma a noi nota sul monitor può dire di possedere una forma
durevole solo nel momento in cui si decide di stamparlo su carta.
Questo testo smaterializzato si caratterizza per la presenza contigua di codi-
ci un tempo affidati a supporti diversi: non solo testo alfabetico e immagini, la
cui combinazione non sarebbe certo una novità, ma anche suoni e animazioni
trattate alla stregua di parole e immagini fisse. I nuovi testi sono stati definiti
multimediali proprio in virtù di questa inedita commistione di linguaggi e han-
no stentato (o forse stentano ancora) a definire il proprio peculiare codice
attingendo all’aggregazione combinatoria dei precedenti.
L’interattività poi è stata considerata la caratteristica veramente innovativa
della nuova testualità. Ma che cosa si intende esattamente per interattività?

Interattività come gesto


Agli esordi dell’ipertesto si è inteso per interattività la possibilità offerta al letto-
re di un vero e proprio intervento sul testo in termini propriamente fisici: il clic
sul mouse rappresentava una novità rispetto al gesto di voltare pagina in un
volume cartaceo. In realtà molti ipertesti delle origini hanno confuso la loro
22 Capitolo 1

natura interattiva con la nuova modalità di lettura, ovvero l’effetto sorpresa


derivante dal non poter immaginare l’intera consistenza di un testo; il fatto che
il testo si vede una schermata alla volta, senza poterne indovinare il volume e la
struttura complessiva, ha determinato una sopravvalutazione del gesto di “cam-
biare pagina” che ha assunto l’effetto di un salto nel buio, anche quando il
percorso era unico e già definito.

Interattività come scelta


In un ipertesto degno di questo nome, in realtà il gesto fisico del cambiare
schermata corrisponde a una scelta operata dal lettore tra una serie di possibi-
lità: ogni schermata pone l’utente di fronte a molteplici direzioni che costruisco-
no, di volta in volta, sequenze diverse scardinando l’ordine mono-sequenziale
dei testi tradizionali.
Un assaggio delle potenzialità ipertestuali dei testi si era già avuto, agli inizi
degli anni Ottanta, con le storie a più finali. I libri game furono un genere di
grande successo tra i ragazzi cresciuti in quel decennio e furono senza dubbio
gli antesignani degli Adventures. Le pagine di questi volumetti proponevano
possibilità di scelte e salti di capitoli interi, all’interno di una trama che il giova-
ne lettore aveva un po’ l’illusione di costruirsi da solo. Intere collane furono
macinate da quelli che sarebbero poi diventati appassionati di video-game, oggi
completamente dimenticate perché del tutto sostituite dai giochi elettronici.

Interattività come dialogo


Lo sviluppo di Internet ha favorito la nascita di una testualità veramente nuova.
Un rapporto del Censis del 1998 sulle reti civiche italiane (le prime in quegli
anni), individuando criteri di valutazione per l’assegnazione di marchi di qualità
ai siti cittadini, considerava l’interattività una delle caratteristiche da incentivare
e da premiare, là dove la si realizzava davvero. A questo punto il termine
interattività ha già assunto un diverso significato: non si tratta più solo di co-
struire testi all’interno dei quali il lettore trovi una soddisfacente ricchezza di
percorsi tra cui scegliere in base alle proprie esperienze; interattività significa
ora una partecipazione attiva del lettore tramite la possibilità di rivolgere do-
mande e ottenere risposte, pubblicare brani e partecipare a una discussione. I
nuovi strumenti dell’interattività sono divenuti tutti quegli espedienti che rendo-
no il testo multimediale on line suscettibile di intervento dall’esterno, tutte quel-
le procedure che chiamano in causa il lettore in maniera veramente attiva. Dote
particolarmente apprezzata appunto in tutti quei siti che si pongono l’obiettivo
di creare una nuova e più efficace comunità politica e sociale e in parte di
sostituire funzioni svolte da uffici pubblici.

1.1.9 La nuova interattività


La nuova testualità ha origini ormai decennali. Le innovazioni tecnologiche
hanno solo reso possibili le fantasie profetiche di alcuni teorici del testo del XX
Il testo pensato 23

secolo. Tutto il movimento post-strutturalista, nato in Francia a partire dagli


anni Sessanta, a cui fanno capo Derrida, Kristeva, Barthes, Foucault e altri,
muove un’aspra critica nei confronti dei concetti di segno stabile, di soggetto
unitario, di identità e di verità. Il testo non è più concepito come unità indisso-
lubile e statica, ma come una rete di connessioni semantiche che il lettore
assembla sostituendosi in parte all’autore.
In S/Z, Roland Barthes delinea un testo costituito di lessìe, frammenti riuniti
in una “galassia di significati”, di cui è difficile stabilire un inizio e una fine,
poiché vi si accede da ingressi multipli. C’è chi ha visto nelle pagine dei suoi
saggi, come negli scritti di Derrida, la profezia della nuova testualità elettronica
che sancisce, appunto, la comparsa di testi costituiti da blocchi, unità di signifi-
cato unite tra loro da collegamenti interni, collocate all’interno di strutture varia-
bili, prive di un ordine sequenziale prestabilito.
Se da una parte il testo si trasforma, al suo interno, in un assemblato varia-
bile di nodi semantici, dall’altra si apre a una rete di rimandi esterni che lo pone
in relazione con altri innumerevoli testi. Intertestualità è una delle parole chiave
del movimento intero e in particolare del pensiero derridiano: ogni testo dipen-
de sempre da una moltitudine di figure, convenzioni, codici, e si inserisce all’in-
terno di una complessa rete di scambi. Non c’è più distinzione tra interno ed
esterno, poiché ogni testo si pone in una relazione stretta e determinante con
tutto ciò che lo ha preceduto, con il più ampio sistema di pratiche significanti o
di usi dei segni della cultura. Il testo aperto prefigura la possibilità di saltare da
un’opera all’altra seguendo libere associazioni di pensiero, un po’ come succe-
de oggi, quando si naviga in Internet.
La fine del testo tradizionalmente inteso sancisce anche la “morte dell’auto-
re”, ovvero una sorta di retrocessione da ruolo primario di artefice nel processo
creativo a quello secondario di “allestitore” di testi (“ingegnere dei mondi” per
usare un’espressione di Piere Lévy, si veda capitolo 5). Alla “morte dell’autore”
Roland Barthes aveva dedicato un breve saggio di cui riportiamo un brano che
ci sembra significativo:

Sappiamo oggi che un testo non consiste in una serie di parole esprimenti
un significato unico, in un certo senso teologico (che sarebbe il messaggio
dell’Autore-Dio), ma è uno spazio a più dimensioni, in cui si congiungono
e si oppongono svariate scritture, nessuna delle quali è originale: il testo è
un tessuto di citazioni, provenienti dai più diversi settori della cultura. [...] Lo
scrittore può soltanto imitare un gesto sempre anteriore, mai originale; il
suo solo potere consiste nel mescolare le scritture, nel contrapporle l’una
all’altra in modo da non appoggiarsi mai a una in particolare ...16

16 Roland Barthes, Il brusio della lingua, Einaudi, Torino, 1988, pp. 54-55.
24 Capitolo 1

La centralità del testo conferisce un nuovo valore al lettore chiamato ad


assegnare un senso alla “galassia di significati”:

Un testo è fatto di scritture molteplici, provenienti da culture diverse e che


intrattengono reciprocamente rapporti di dialogo, parodia o contestazione;
esiste però un luogo in cui tale molteplicità si riunisce, e tale luogo non è
l’autore, come sinora è stato affermato, bensì il lettore.17

Con Hypertext, George Landow (Approfondimento 1.7) inaugurò nel 1992


una serie di interventi sulla natura della nuova testualità e sui suoi legami con la
teoria letteraria. Il volume, che rappresenta ancora oggi un punto di riferimento
sull’argomento, pone l’accento sulla profonda rivoluzione introdotta dall’uso
dei nuovi sistemi di scrittura e lettura, prefigurando il suggestivo scenario di una
reale democrazia dell’informazione: riconfigurare il testo, riconfigurare l’autore
e il racconto sono i compiti assegnati alle nuove tecniche di scrittura.
In questi dieci anni si è assistito a una graduale accelerazione dei processi
di mutamento, anche se, di fatto, possiamo oggi dubitare di una profonda e
sostanziale riqualificazione del lettore. La rivoluzione del testo, così come la si
era prevista, stenta ancora a trovare la sua attuazione. I lettori di ipertesti, i
navigatori di Internet, pur se arricchiti da una serie di possibilità prima impen-
sabili, non esercitano, come si sarebbe immaginato, il loro ruolo di coautori.
Si è assistito, semmai, in questi anni, a un potenziamento del ruolo autoriale,
stimolato dalla necessità di una progettazione più capillare del testo, un testo
dai connotati ancora confusi della novità. Il lettore è divenuto sì il punto di
riferimento chiave di una progettazione che tende ad annullare ogni difficoltà
percettiva e di uso, ma il suo ruolo di destinatario viene continuamente riba-
dito.
Di quale autore, tuttavia, stiamo parlando, se, come abbiamo già anticipato,
i nuovi testi sono spesso il risultato di collaborazioni tra competenze di varia
natura (esperti di contenuti, grafici, programmatori)? Se il lettore, da parte sua,
si trova in una condizione ambigua tra immensi vantaggi e nuove difficoltà
interpretative, la stessa cosa vale per gli autori, o almeno per coloro ai quali
spetterebbe il compito di scrivere il testo. La scritura infatti, enormemente po-
tenziata sul piano tecnico, propone una serie di ostacoli dovuti a incertezze di
ordine metodologico: come utilizzare le nuove tecnologie della scrittura, ovve-
ro come sfruttare al meglio le innovazioni per produrre testi veramente inediti?
Così, agli inizi del nuovo millennio, la nuova scommessa riguarda i così
detti siti dinamici, di cui ci occuperemo a lungo nel quarto e quinto capitolo di
questo volume. Gradualmente i sogni di mutamento sembrano prendere corpo,
ma i tempi della trasformazione non possono essere di fatto tanto rapidi, nep-

17 Barthes, op. cit., p. 56.


Il testo pensato 25

pure in anni in cui la tecnologia procede a passi da gigante. Sgombrare il


campo da pericolose mistificazioni, che confondono regalando facili illusioni, è
il compito principale di una seria alfabetizzazione informatica. Come si fa per
i testi di tipo tradizionale, è importante penetrare nella logica e nelle tecniche
della nuova testualità, per non essere dominati dalla sua invadente presenza.
Comprendere i nuovi testi significa riconoscerne le peculiarità espressive, co-
glierne le implicazioni comunicative più profonde, impossessarsi delle strate-
gie compositive. Si tratta di apprendere un nuovo linguaggio che dai preceden-
ti trae molte delle proprie regole, ma che possiede potenzialità espressive ine-
dite. Da sempre scrittura e lettura sono due operazioni contigue, praticate nel
momento in cui si apprendono i segreti di una lingua: imparare come si scrive
un testo nuovo è il primo passo per imparare a leggerlo, nel senso più legittimo
del termine.

Approfondimento 1.7 Il testo disperso


Riportiamo alcuni stralci dal paragrafo “Il testo disperso” inserito nel volume
Ipertesto, di George Landow:

«Il collegamento ipertestuale, il controllo del lettore e la variazione non si limi-


tano a scalzare le modalità di argomentazione a cui siamo abituati. Essi hanno
anche effetti molto più generali, uno dei quali è aggiungere al testo del lettore
quella che può essere vista come una sorta di casualità. Un altro effetto è che
l’autore, come vedremo, perde il controllo di certi aspetti fondamentali del suo
testo, soprattutto dei suoi bordi e dei suoi confini. Un terzo effetto è che il testo
pare frammentarsi, atomizzarsi in elementi costitutivi (in lessìe o blocchi di
testo) e queste unità di lettura assumono vita propria e divengono più autosuf-
ficienti, perché dipendono in misura minore da ciò che viene prima e dopo di
esse in una successione lineare.
Quando lo si confronta con il testo così come esso esiste nella tecnologia
della stampa, le forme ipertestuali manifestano combinazioni variabili di ato-
mizzazione e dispersione. Diversamente dal testo riprodotto per mezzo della
tecnologia del libro, caratterizzato da una stabilità spaziale, il testo elettronico
presenta sempre variazioni, perché di esso esiste uno stato o versione finale; lo
si può sempre cambiare. Rispetto a un testo stampato, un testo elettronico
appare relativamente dinamico, dato che è sempre aperto a correzioni, aggior-
namenti e altre modifiche. Anche senza collegamenti, dunque, il testo elettroni-
co segna l’abbandono della stabilità che caratterizza la stampa e che ha avuto
effetti tanto importanti sulla cultura occidentale. Senza stabilità non può esserci
un testo unitario.
L’ipertesto, che aggiunge una seconda forma fondamentale di variazione,
disperde o atomizza ulteriormente il testo. I collegamenti elettronici permetto-
no a singoli lettori di seguire percorsi diversi attraverso un dato insieme di
lessìe. Questa caratteristica dell’ipertesto, che lo porta a evitare l’unilinearità, ha
importanti effetti ovvi sull’idea di testualità e sulle strutture retoriche. [...]
(continua)
26 Capitolo 1

(seguito)
Queste idee non sono affatto nuove per la teoria letteraria contemporanea,
ma a questo proposito, come in tanti altri casi, l’ipertesto crea una materializza-
zione quasi imbarazzante di un principio che era parso particolarmente astratto
e difficile quando veniva letto dalla prospettiva della stampa.»

(Da George P. Landow, Ipertesto. Il futuro della scrittura, Baskerville, Bologna,


1993, pp. 64-6)

1.2 Progettazione
Scrivere per pensare
1.2.1 Mettere ordine nei pensieri
La scrittura trasforma in oggetti visibili le parole che per un analfabeta sono solo
puro suono. L’udito cede il passo alla vista, il tempo allo spazio. Così le parole
si trasformano in elementi che, grazie alla loro natura tangibile, è possibile
collocare su di una superficie, spostare, ordinare, raggruppare. La scrittura per-
mette operazioni che la mente difficilmente può compiere senza un ausilio
visivo. Nel momento in cui le parole trovano una loro definitiva sistemazione e
lo spazio della mente si riflette, visibile, sulla pagina, si rendono possibili ope-
razioni logiche prima delegate completamente all’elasticità del pensiero.
L’invenzione della stampa sancisce in maniera definitiva l’uso di liste, indici
o mappe destinate all’organizzazione logico-spaziale dei concetti, ma fino da
tutto il Medioevo si erano ampiamente utilizzati schemi di memorizzazione
iconici, per pensare e ricordare meglio. Gli scopi della “mappizzazione del
testo” erano molteplici: agevolare il compito degli oratori nella memorizzazione
dei discorsi, facilitare il reperimento di informazioni sui volumi o dimostrare,
tramite complesse rappresentazioni geometriche, la perfezione logica di un’ar-
gomentazione. I Liber figurarum di Gioacchino da Fiore sono solo uno degli
esempi della stretta connessione che la scrittura stabilisce tra parola e organiz-
zazione grafica, vere e proprie mappe disegnate su cui si collocano espressioni
chiave e si tracciano percorsi possibili tra espressione ed espressione.
Spesso si “mappizza” il testo (la Bibbia in particolare) alla ricerca di verità
inconfutabili nascoste tra le parole: lo schema è la legittimazione geometrica
della coerenza e dell’ordine interno, serve a dimostrare la correttezza delle
argomentazioni. Tracciare lo schema di un testo è un’operazione eseguita a
posteriori che non si configura mai come la fase preparatoria di un testo in fieri,
se non nel caso in cui rappresenti la traccia di un discorso scritto da riferire
oralmente, traccia collocata, dunque, in una posizione intermedia tra un testo
già pronto (lo scritto) e un testo ancora da realizzare (quello che sarà poi il
discorso recitato in pubblico).
Il testo pensato 27

Figura 1.4 Un esempio di codice miniato. Da notare la perfetta simmetria della


pagina.
28 Capitolo 1

L’uso di schemi o mappe come elementi preparatori di un testo sarebbe


dunque un’invenzione relativamente recente, anche se si può supporre che
ogni autore abbia sempre avuto in mente un abbozzo, sebbene sommario,
dell’organizzazione logica di ciò che andava scrivendo. Tuttavia, il passato ha
ritenuto disdicevole la fase preparatoria; ha dato peso solo al risultato finale, il
testo compiuto: per questo non conosciamo niente, o quasi, della preparazione
dei testi antichi.
Oggi per noi, rappresentanti di una cultura tipografica vecchia ormai di
secoli, è normale sperimentare la necessità di prendere appunti per pensare
meglio, o di tracciare disegni e schemi apparentemente senza senso, ma che
servono a fissare idee ancora allo stato embrionale. La scrittura organizza il
pensiero e lo aiuta a procedere lungo i suoi misteriosi percorsi. Assuefatti al-
l’aspetto visivo del testo ci affidiamo a disegni o appunti per comprendere e
ricordare, per rendere esplicita l’organizzazione logica dei nostri pensieri.
Diamo per scontato anche che ogni testo scritto sia il risultato di un pensie-
ro organizzato (più o meno strutturato e consapevole) e preveda una sua fase
gestazionale che passi per la raccolta di appunti, foglietti sparsi, frasi scritte in
fretta o pagine e pagine scritte da gettare, poi, durante l’elaborazione definitiva.
Se il testo continua, talvolta, ad apparirci come una sorta di miracolo creativo,
gli studi di genetica testuale e di narratologia ci hanno dimostrato come, persino
dietro alle opere più straordinarie, ci sia un disegno logico e architettato che
nasce da sviluppi e rifacimenti successivi. Si scriva un romanzo, un saggio, una
tesi di laurea o un semplice articolo di giornale, si parte da un’idea che viene
poi rielaborata, ampliata, modificata, arricchita in corso d’opera.
Ognuno segue un proprio metodo, ma esistono regole codificate che cerca-
no di facilitare il compito dello scrittore in questa prima confusa fase del lavoro.
Le tecniche valgono soprattutto per la scrittura di tipo professionale, quella che
si fa per mestiere più che per vera e propria vocazione, tuttavia, anche la
scrittura creativa possiede le sue norme che possono essere studiate e apprese.
In questi ultimi anni si assiste a un fiorire di scuole e corsi (molti dei quali anche
on line) di scrittura creativa, dove si apprendono le tecniche fondamentali di
ideazione e costruzione di racconti, romanzi, sceneggiature filmiche (Approfon-
dimento 1.8).
Anche la scuola del resto (e a questo proposito chiare indicazioni sono
venute dalla relazione Brocca sulla scuola superiore) sta recuperando il valore
della scrittura. Smontare i testi narrativi più noti, analizzarne le strutture è la
chiave per procedere poi a una rielaborazione personale. L’analisi del testo
letterario e gli studi di narratologia tentano di svelare i trucchi del successo di
un’opera letteraria.
Studiare come nasce e matura un testo narrativo è, invece, il compito della
genetica testuale che si pone l’obiettivo di penetrare nel laboratorio della scrit-
tura per studiare da vicino i processi creativi nel loro atto. Molti scrittori hanno
provato a raccontare come nascono le pagine dei loro romanzi. Le modalità
sono diverse e tentare di spiegare e analizzare il processo creativo è un’opera-
Il testo pensato 29

Approfondimento 1.8 I trucchi della scrittura creativa


In questo brano tratto da Il mestiere di scrivere Raymond Carver esprime la sua
predilezione per una letteratura che non segue regole precise, che non fa uso
di “trucchi”:

«I trucchi non li sopporto. Quando leggo narrativa, al primo segno di trucco o di


trovata, non importa se da quattro soldi o elaborata, mi viene istintivo cercare
riparo. In definitiva i trucchi sono noiosi e io tendo ad annoiarmi facilmente [...]
Gli scrittori non hanno bisogno di ricorrere a trucchetti e trovatine né sta scritto
che essi debbano sempre essere i più in gamba di tutti. A costo di sembrare
sciocco, uno scrittore a volte deve essere capace di rimanere a bocca aperta
davanti a qualcosa, qualsiasi cosa – un tramonto o una scarpa vecchia – colpito
da uno stupore semplicemente assoluto. [...] Bisogna tener presente che in
narrativa la vera sperimentazione dovrebbe essere originale, conquistata a fati-
ca e motivo di soddisfazione. Perciò gli scrittori non dovrebbero sforzarsi di
imitare il modo di guardare le cose di qualcun altro – ad esempio di Barthelme.
Non funzionerebbe. Di Barthelme ce n’è uno solo, e se un altro scrittore cercas-
se di appropriarsi della particolare sensibilità di Barthelme o della sua tecnica di
mise en scène con la scusa dell’innovazione, quello scrittore s’impegolerebbe
nel caos, nel disastro e, peggio ancora, nell’auto-inganno. I veri sperimentatori
devono RENDERE TUTTO NUOVO, come consigliava Pound, e in questo pro-
cesso devono scoprire le cose da soli. Ma, a meno che non siano usciti di
senno, devono anche voler rimanere in contatto con noi, devono portare a noi
notizie dal loro mondo.»

(Da Raymond Carver, Il mestiere di scrivere, Einaudi, Torino, 1997, pp. 7-8)

zione quasi impossibile: Gabriel Garcia Marquez parla della sua curiosità desti-
nata a essere disillusa:

La cosa che più mi interessa al mondo è il processo creativo [...] In qual-


che occasione ho creduto – o meglio ho avuto la sensazione di credere –
di essere sul punto di scoprire il mistero della creatività, l’attimo esatto in
cui l’idea nasce, anche se ritengo sempre più difficile che ciò mi possa
accadere.18

Per Marquez una storia nasce da un particolare, da un dettaglio raccolto


nell’esperienza di ogni giorno, come ad esempio un ombrello aperto in un
giorno di pioggia:

18 Gabriel Garcia Marquez, Come si scrive un racconto, Giunti, Firenze, 1997, p. 11.
30 Capitolo 1

L’altro giorno sfogliando un numero della rivista Life, ho visto una foto
enorme, una foto del funerale di Hirohito: in essa appare la nuova impera-
trice, la sposa di Akihito. Piove. Sullo sfondo, fuori fuoco, si vedono le
guardie con gli impermeabili bianchi e, ancora più indietro, la folla con gli
ombrelli, i giornali, e dei teli sulla testa. Al centro della foto, in secondo
piano, c’è l’imperatrice, sola, molto magra, completamente vestita di nero.
Ho visto quella foto meravigliosa e ho capito subito che lì dentro c’era una
storia. Una storia che naturalmente non era quella della morte dell’impera-
tore, quella che raccontava la fotografia, ma un’altra: una storia di mezz’ora.
Quest’idea mi è entrata in testa come un tarlo. Ho eliminato lo sfondo, ho
completamente scartato le guardie vestite di bianco, la gente … Per un atti-
mo ho fissato solo l’immagine dell’imperatrice sotto la pioggia, ma ho subi-
to scartato anche quella. A quel punto non restava che l’ombrello: sono
assolutamente convinto che in quell’ombrello c’è una storia.19

Questo suggestivo racconto è la testimonianza di come attorno a un’imma-


gine o attorno a un’unica frase possa costruirsi e dipanarsi un intero romanzo.
Il processo creativo si alimenta di sistemi di annotazione di scrittura molte-
plici. Oggi il computer ha profondamente cambiato l’approccio degli scrittori al
testo. Per secoli la scrittura ha fatto i conti con i limiti spaziali di una pagina e
con la difficoltà di correggere il testo senza riscriverlo.
La Recherche nasce da appunti scritti su quaderni. Proust lascia a margine
spazi per le correzioni; quando lo spazio si esaurisce scrive su altri fogli che poi
incolla al posto in cui devono essere inseriti, se lo spazio non è sufficiente li
piega a fisarmonica: nascono così, da aggiunte e cambiamenti successivi, le
paperole che possono raggiungere anche la lunghezza di un metro.
Victor Hugo, invece, ha fatto largo uso di taccuini per appunti preparatori e
brogliacci. Le sue doti di pittore sono al servizio dei suoi testi letterari: è interes-
sante notare come gli schizzi da lui tracciati tra le parole siano strettamente
legati al testo scritto; il disegno fa da promemoria ed è destinato a essere tradot-
to in testo, è il surrogato di ciò che diventerà una descrizione, più tardi, nella
stesura definitiva.
William Burroughs ha realizzato veri e propri montaggi con le pagine fatte
a pezzi di un testo scritto, secondo una tecnica definita di cut up. Album e
taccuini sono la base del suo lavoro; album di viaggio suddivisi in tre colonne:
la prima contiene gli avvenimenti, la seconda i pensieri, la terza le citazioni
tratte dai libri letti.
Oggi, dicevamo, le cose possono apparire più semplici, se non altro dispo-
niamo di una serie di strumenti che rendono la nostra scrittura meno “evane-
scente”, ma forse anche meno “preziosa”: la facilità con cui uno word processor
riproduce e duplica appunti, li taglia e li incolla su pagine diverse non è parago-

19 Marquez, op. cit., pp. 11-12.


Il testo pensato 31

nabile con la fatica di riscrittura di un manoscritto. Più facile è anche organizza-


re argomenti e contenuti, tracce e scalette, stabilire collegamenti, supportati da
programmi che fanno molte cose al nostro posto.

1.2.2 Pianificare il testo


La retorica antica prevedeva un percorso di costruzione del testo costituito da
quattro fasi: l’inventio (la rassegna delle argomentazioni da trattare), la disposi-
tio (la loro organizzazione logica nella sequenza dell’espressione), l’elocutio (la
scelta del tono, delle espressioni e del lessico da utilizzare), l’actio (le modalità
di recitazione, il grado di enfasi, eccetera).
La prima fase, l’inventio, consisteva in un elenco degli argomenti da trat-
tare nel discorso. Per reperire le idee utili, gli antichi potevano attingere a veri
e propri inventari di luoghi prefissati (topoi) da utilizzarsi all’occorrenza; po-
teva trattarsi di argomenti già pronti (i classici luoghi comuni!) oppure di
indicazioni guida, semplici domande la cui risposta generava l’argomento,
schemi, cioè, applicabili a dati diversi. La creatività di ogni autore contava
sull’esistenza di questi sussidi e su una serie di regole definite secondo cui il
discorso si sviluppava e prendeva corpo: non vi era nessuna remora nel far
ricorso a cliché e tecniche. Stilato l’elenco dei luoghi utili alla trattazione si
procedeva a una loro prima sistemazione, secondo schemi ancora una volta
prefissati che potevano prevedere un numero variabile di parti logicamente
organizzate.
Niente di nuovo, dunque, negli odierni manuali di scrittura, che tendono a
riproporre sistemi già noti fino dall’antichità. Nei tempi attuali la ricerca di un’ori-
ginalità espressiva ha la meglio su formule e sistemi prefissati, ma ancora oggi
chi scrive, soprattutto se lo fa per necessità, può ricorrere a una serie di indica-
zioni tecniche relative alle diverse fasi della scrittura, dalla progettazione fino
alla stesura definitiva.
La trappola per le idee è l’espediente ideato da Charles Clark, allievo di Alex
Osborn, padre del brainstorming, per fissare e registrare tutte le idee che in
maniera inaspettata si affacciano alla mente durante una passeggiata, un pranzo
o una riunione di lavoro (Approfondimento 1.9). Per Clark si tratta di utilizzare
un semplice taccuino portatile in cui raccogliere tutto ciò che vale la pena di
annotare. Da sempre scrittori e artisti hanno riempito diari, agende, quaderni, a
volte schede mobili, foglietti poi ricomposti di appunti scritti nelle situazioni più
svariate. Qualcuno è solito portare in tasca un piccolo registratore e incidere su
nastro impressioni e riflessioni che giungono anche quando si è lontani dal
tavolo di lavoro.
Ogni tipo di scrittura, creativa o professionale, prevede sempre una fase
iniziale in cui le idee vengono registrate e accumulate senza ordine, prima di
essere organizzate e sviluppate in vere e proprie trattazioni: è una fase di pre-
scrittura, preparatoria e propedeutica alla scrittura vera e propria. Si tratta tal-
volta di liste disordinate, scritte senza regole apparenti e senza criteri, durante
32 Capitolo 1

Approfondimento 1.9 Il brainstorming


Il brainstorming, “tempesta di cervelli”, è un processo di generazione di idee
adottato in esperienze di scrittura collettiva. Consiste nella registrazione di ogni
idea generata dal gruppo e registrata con puntualità. Quattro sono le regole
fondamentali da seguire:

• annotare tutte le idee che vengono in mente, anche le più strane


• ricerca della quantità
• sospendere ogni autocensura
• attingere nuove idee da quelle riportate

Il brainstorming è stato adottato per la prima volta negli Stati Uniti alla fine degli
anni Trenta, in un’agenzia di pubblicità, per rendere più efficaci e produttive le
riunioni creative. Si tratta di favorire l’associazione delle idee attraverso un
processo di frantumazione che consiste nel sottoporre gli elementi di un pro-
blema ad accrescimenti, diminuzioni, combinazioni, inversioni, modifiche, sop-
pressioni. È possibile stimolare l’immaginazione partendo da oggetti, parole,
immagini, colloqui con persone, osservazioni, consultazioni.

quelli che Jean Guitton definisce “stati di pensiero in abbandono”.20 Altre volte
sono schemi di dimensioni variabili o scalette organizzate secondo algoritmi
logici che prevedono livelli e sottolivelli.
Esistono oggi scuole e manuali che insegnano come si può aspirare a
diventare romanzieri o sceneggiatori. Ma la letteratura più abbondante riguar-
da soprattutto le tecniche di scrittura professionale, ovvero le indicazioni
pratiche per chi voglia o debba scrivere una tesi, una relazione, un articolo
eccetera. Da qualche anno, ormai, l’interesse rivolto a questo tipo di pubbli-
cazioni si è moltiplicato grazie anche al proliferare dei siti web, una scrittura
nuova che ha rimesso in discussione molte delle pratiche in uso. Le indicazio-
ni relative alle scritture professionali tradizionali sono state setacciate e riviste
riadattandole ai nuovi testi: paradossalmente la nuova testualità elettronica
ha riacceso l’interesse nei confronti della scrittura in genere e delle sue rego-
le. I più noti manuali di scrittura sono naturalmente in lingua inglese e pro-
vengono da scuole americane, anche se esistono alcune ottime guide in ita-
liano.
All’interno delle infinite variabili di suggerimenti e metodi indicati cogliamo
una serie di costanti, tra cui la tendenza a suddividere il processo di scrittura in
tre fasi: la pianificazione, la stesura e la revisione. Per ovvi motivi di sistemati-

20 Vedi Renée e Jean Simonet, Scrivere per ricordare, Franco Angeli/Trend, Milano, 1999,
Jean Guitton, Le travail intellectuel, Aubier-Montaigne, 1986.
Il testo pensato 33

cità le tre fasi sono presentate come distinte anche se naturalmente chi scrive sa
che in realtà, durante la messa a punto di un testo, si passa dall’una all’altra
secondo un andamento discontinuo.
Consideriamo comunque la prima delle tre fasi, ovvero il momento in cui il
testo che ancora non esiste viene ideato e pianificato nelle sue linee essenziali.
Della pianificazione fa parte l’indicazione di massima del tipo di testo che si
intende scrivere, la definizione delle sue dimensioni e il tempo richiesto alla
stesura, il pubblico a cui ci si rivolge e naturalmente gli scopi che ci si prefiggo-
no. Una volta stabilito a grandi linee il progetto di fondo si passa alla fase di
avvio della scrittura. Partiamo dall’inizio, ovvero dalla raccolta degli argomenti
che si intende trattare.

1.2.3 Scrivere le idee


Lista delle idee
Il modo più semplice di iniziare a raccogliere le idee che si intendono sviluppa-
re in un testo è quello di raccoglierle in una lista. La lista delle idee è un sempli-
ce elenco di parole o di frasi steso su un qualsiasi supporto. Può trattarsi di
impressioni, ipotesi, dati raccolti, domande a cui si intende fornire una risposta.
La lista delle idee deve raccogliere tutte le riflessioni relative alla scrittura che si
sta pianificando. Qualsiasi appunto raccolto su altri supporti, magari annotato
casualmente sul bordo di una pagina di giornale, dovrà successivamente essere
ricopiato nella cartella della lista.
Le parole o le frasi sono annotate senza un criterio logico, solo secondo il
loro naturale ordine di comparsa. Ognuna di esse occupa una riga nello spazio
definito della pagina, proprio come in una semplice lista della spesa. Questo
primo casuale ordine sequenziale rappresenta una iniziale rudimentale struttura
dei contenuti, o almeno è la traccia di una progressione di ragionamento che
può comunque risultare utile al momento della stesura. Le prime righe di una
lista non sono del tutto equivalenti alle ultime, anche se si tratta di voci di pari
livello; per questo motivo scrivere utilizzando linee più distanziate tra di loro
può essere un semplice ed efficace espediente utile, non solo per favorire la
visualizzazione e la lettura, ma anche per permettere eventuali aggiunte e mo-
difiche interne.
Maurice Barrès ha definito “il mostro” questa prima informe accozzaglia di
idee e di dati: puro immagazzinamento di concetti e informazioni a cui farà
seguito un lavoro di selezione e una più sistematica classificazione.
La videoscrittura, in questo senso, ha estremamente semplificato la pratica
del “prendere appunti”: se è vero infatti che raramente un computer può (non
ancora, a meno che non si faccia uso di un palmare) sostituire un pratico
taccuino tascabile, è vero d’altra parte (e chiunque abbia pratica di videoscrittu-
ra lo ha sperimentato) che l’estrema duttilità del testo a video libera la mente
dalla soggezione verso un testo che difficilmente si cancella, si sposta o si
corregge. Semmai è più difficile tenere traccia delle cose rimosse, a meno che
34 Capitolo 1

non si faccia uso del sistema “mostra revisioni”, presente in Word e in altri
sistemi affini. La videoscrittura modifica il rapporto con la memoria della scrittu-
ra stessa: correzioni e modifiche, rimozioni si perdono irrimediabilmente, al
momento in cui si salva un documento rimaneggiato.

Una lista più organizzata


Ma ecco un esempio di lista:

I profondi mutamenti del testo


Oralità di ritorno
Il computer modifica le procedure di stesura di un testo
Come ai tempi dell’invenzione della stampa
Medium e messaggio
Caratteristiche della lingua scritta
La stampa
Caratteristiche della lingua orale
I rapporti tra scrittura e organizzazione del pensiero
Scrivere serve a chiarire a se stessi le proprie idee
Il testo scritto al computer è più rapido e immediato
I testi sono sempre stati interattivi
Allora cosa si intende oggi per interattività
Progettare la vera interattività
Cosa c’entra la linguistica?

Questa che avete appena letto è una lista alquanto disordinata di idee but-
tate là un po’ a casaccio, come appunti venuti in mente senza ordine. Non vi è
organizzazione logica, né vi si riconosce alcun criterio di ordinamento sequen-
ziale. Non vi è progressione né orientamento dal generale al particolare o vice-
versa. Non solo: le singole righe di testo sono ognuna diversa dall’altra per
formulazione e stile.
Se volessimo provare a dare un assetto a questo elenco confuso, dovremmo
innanzi tutto individuare un criterio di ordinamento che avvicini argomenti affi-
ni o conseguenti.

I profondi mutamenti del testo


Come ai tempi dell’invenzione della stampa
La stampa
I rapporti tra scrittura e organizzazione del pensiero
Scrivere serve a chiarire a se stessi le proprie idee
Caratteristiche della lingua scritta
Caratteristiche della lingua orale
Oralità di ritorno
Medium e messaggio
Il testo pensato 35

Il computer modifica le procedure di stesura di un testo


Il testo scritto al computer è più rapido e immediato

I testi sono sempre stati interattivi


Allora cosa si intende oggi per interattività
Progettare la vera interattività

Cosa c’entra la linguistica?

La diversa spaziatura tra linee segna già un primo tentativo di organizzazio-


ne. Forse una lista di questo tipo potrebbe apparire più chiara grazie al tentativo
di creare blocchi di argomenti affini e sicuramente legati tra loro secondo un
ordine che potrebbe essere quello indicato dalla successione spaziale.
Una seconda operazione che potremmo compiere sarebbe quella di rende-
re un po’ più uniforme la formulazione delle singole righe di testo.

I profondi mutamenti del testo


Analogie tra i cambiamenti in atto e la prima rivoluzione tipografica
La stampa
I rapporti tra scrittura e organizzazione del pensiero
Caratteristiche della lingua scritta
Caratteristiche della lingua orale
Oralità di ritorno
Medium e messaggio

Le nuove procedure di stesura di un testo al computer


Immediatezza e rapidità della scrittura al computer

Interattività del passato


Interattività oggi
La progettazione della nuova interattività

Il ruolo della linguistica

Come potete osservare abbiamo modificato le espressioni di alcune righe


creando una uniformità formale tra i vari titoli. In particolare abbiamo ridotto
ogni espressione allo stile nominale eliminando eventuali predicati e indivi-
duando il sostantivo atto a esprimere meglio il concetto scelto. “Cosa si intende
per interattività” diventa semplicemente “Interattività oggi” eccetera.
Lo stile nominale, molto utilizzato per le titolazioni, si presta bene anche
per la formulazione di liste ed elenchi, poiché risulta spesso meno complesso di
una frase verbale e anche più efficace.
36 Capitolo 1

Avremmo potuto plasmare il nostro elenco anche utilizzando il verbo all’in-


finito secondo un procedimento molto utilizzato, ad esempio, in quegli elenchi
che descrivono procedure o fanno una lista degli intenti.

Analizzare i profondi mutamenti del testo


Stabilire le analogie tra i cambiamenti in atto e la prima rivoluzione tipografica
Ripercorrere la storia della stampa
Capire i rapporti tra scrittura e organizzazione del pensiero
Evidenziare le caratteristiche della lingua scritta
Evidenziare le caratteristiche della lingua orale
Definire la condizione odierna come oralità di ritorno
Stabilire i rapporti esistenti tra medium e messaggio

Analizzare le nuove procedure di stesura di un testo al computer


Immediatezza e rapidità della scrittura al computer

Riconoscere l’esistenza dell’interattività nel passato


Definire cosa si intenda per interattività oggi
Progettare la nuova interattività

Riassumere il ruolo della linguistica

Questa nuova lista, che risulta forse ancora più chiara della precedente, è
anche più prolissa ed è bene scegliere quale formula prediligere a seconda dei
casi.
L’uniformità stilistica garantisce una maggiore chiarezza all’elenco, chiarez-
za che può essere aiutata anche tramite un’uniformità grafica (stesso lettering,
stesso segno di avvio di una nuova riga, stessa spaziatura: a spaziatura maggio-
re corrisponde uno scollamento concettuale che sarà colmato in seguito da altre
argomentazioni o tenuto separato in qualche modo nella trattazione).
Normalmente l’inizio di ogni voce può essere contrassegnato da un segno
specifico, semplici marche grafiche uguali per tutte le voci della lista: trattini,
asterischi, pallini, quadratini, freccette o anche numeri e lettere seguite in gene-
re da un punto o da una parentesi tonda chiusa.

Flusso di scrittura
Non parole o frasi brevi, ma veri e propri periodi complessi e articolati, scritti
di getto caratterizzano il flusso di scrittura. Un’operazione simile a quella di
registrare pensieri su un nastro magnetico. Scrivere di getto, senza sistematicità,
può essere utile a chiarire i propri pensieri poiché la scrittura funziona, a volte,
proprio da catalizzatore di intuizioni che stentano a trovare una loro forma
definitiva. L’importante è non temere errori grammaticali o sintattici, non rilegge-
re neppure ciò che si scrive, ma affidarsi a una sorta di automatismo del pensiero
e della mano. Il tempo della rilettura e sistematizzazione verrà più tardi.
Il testo pensato 37

Grappolo associativo
La lista delle idee e il flusso di scrittura fanno uso di parole scritte allo scopo di
favorire la generazione di idee e liberare il pensiero. Spesso, in questa fase, la
scrittura alfabetica fa ricorso anche a espedienti grafici, più idonei a costruire
sintesi e strutture che possono essere abbracciate a colpo d’occhio. Se si proget-
ta un testo, le parole disposte linearmente risultano spesso insufficienti a spie-
gare l’intenzione complessiva del testo e a riassumerne l’intera struttura. L’uso
di espedienti grafici, inoltre, funziona anche da stimolo al pensiero stesso, tanto
che molti scrittori di professione non sanno rinunciare a ragionare tramite dia-
grammi e schemi tracciati su carta.

Ogni idea può essere espressa sotto forma di un diagramma o di un model-


lo geometrico. È un modo molto chiaro di visualizzare una situazione com-
plessa. Ogni elemento viene rappresentato da una linea e, a punti d’interse-
zione di tali linee, viene a trovarsi la situazione. Rispetto a una analisi verba-
le, il diagramma è un sistema aperto che permette di prevedere come si
evolverà la situazione, modificando determinati parametri o introducendo-
ne uno nuovo.21

La lista delle idee può trasformarsi talvolta in quello che viene definito
grappolo associativo, quando le parole o le brevi frasi che compongono una
lista vengono organizzate in una rappresentazione grafica.

Il meccanismo alla base del grappolo associativo è lo stesso presente nel


gioco delle “parole a catena” [...]. L’uso dell’associazione spinge a fare colle-
gamenti logici e a richiamare alla memoria molte informazioni utili, già in
nostro possesso.22

Si parte generalmente da una prima parola considerata la parola chiave


della trattazione e la si dispone al centro di un foglio preferibilmente grande.
Via via vi si collegano altre parole che essa ha evocato, costruendo un primo
livello di termini disposti attorno al centro. Ognuno di questi termini può diven-
tare il centro ideale di altre serie di concetti.
I vantaggi del grappolo associativo rispetto alla lista o al flusso di scrittura
consistono nella disposizione graficamente significativa dei singoli elementi sulla
superficie del foglio. La rappresentazione grafica aiuta una prima rudimentale
organizzazione gerarchica delle idee.

21 Brian Eno, citato in Renée e Jean Simonet, op. cit., p. 96.


22 Maria Teresa Serafini, Come si scrive, Bompiani, Milano, 1998, p. 25.
38 Capitolo 1

1.2.4 Tecniche per la generazione di idee


Le tecniche di raccolta delle idee di cui abbiamo parlato finora facevano leva su
un “abbandono” creativo, sul flusso spontaneo del pensiero. Abbiamo visto
come l’associazione libera, basata sulla velocità di registrazione di una nuova
idea, sia uno dei sistemi più efficaci da utilizzare nella fase iniziale della scrittu-
ra. Tuttavia esistono sistemi più rigidi, basati sulla ricerca di associazioni logi-
che, che possono fornire una base utile per lo sviluppo e l’organizzazione di un
testo complesso. Ne abbiamo già fatto cenno parlando di liste organizzate,
scendiamo ora nel dettaglio analizzando quali sono i processi attraverso i quali
si individuano nuovi elementi e si generano idee per lo sviluppo di una tratta-
zione.
La generazione di nuove idee, partendo da idee già annotate, si ottiene
secondo procedimenti logici, semplici meccanismi generativi che costituiscono
la base di tutte le nostre operazioni mentali. Si può provare a stabilire una
classificazione delle relazioni esistenti tra due concetti. Il volume di Maria Tere-
sa Serafini, già citato, è uno degli strumenti più completi al riguardo, facilmente
utilizzabile per la chiarezza dell’esposizione. La Serafini distingue e descrive
una serie di associazioni possibili:

• analogia
• contrario
• causa
• conseguenza
• precedenza
• successione
• generalizzazione
• esemplificazione

I tipi di associazione individuati corrispondono a relazioni semantiche


che si stabiliscono tra parole o concetti. Le modalità riportate sono utili nel
momento in cui si cercano argomenti tramite i quali sviluppare un ragiona-
mento. Supponiamo, ad esempio di aver individuato il tema centrale di un
testo da svolgere: il traffico nella mia città. I possibili sviluppi del tema sono
assai semplici se si fa riferimento a ognuna delle voci della tassonomia ripor-
tata: si potrà parlare di situazioni analoghe o di situazioni del tutto dissimili; si
potrà argomentare sulle conseguenze del fenomeno, ma anche sulle cause; si
potrà tracciare una breve cronologia dell’aumento del fenomeno; si potranno
fare discorsi generali sul tema o riportare semplici aneddoti. Partendo da un
argomento centrale, dunque, potremo costruire attorno a esso una trama di
riferimenti articolata che produrrà come risultato finale un testo completo ed
esauriente.
Le tipologie associative individuate dalla Serafini si rifanno a una tradizione
di studi logici che stabilisce tassonomie di relazioni semantiche tra singoli termi-
ni o concetti. Pur con alcune variazioni, le tassonomie delle relazioni semanti-
Il testo pensato 39

che sono più o meno equivalenti a quella sopra riportata. Per esigenza di com-
pletezza riportiamo lo schema tassonomico compilato da Chaffin e Herrmann
nel 1984,23 che individua cinque categorie fondamentali al cui interno è possi-
bile inscrivere una serie molteplice di sottocategorie.

• contrasto
• similitudine
• inclusione di classe
• relazione di casi
• relazioni parti intero

Il contrasto è la relazione che si stabilisce tra due termini o concetti che si


trovano in opposizione. Esiste una scala di tipologie all’interno di questa stessa
categoria (contraddittori: uno esclude l’altro; contrari, direzionali: in opposizio-
ne nello spazio e nel tempo, incompatibili).
Parlando di singoli termini possiamo citare come esempio il rapporto che si
genera tra “prima” e “dopo”, oppure tra “comprare” e “vendere”.
Se si tratta di argomenti l’“oralità” potrà essere, ad esempio, associata a
“scrittura”.

La similitudine collega due termini o due concetti sovrapponibili nel loro


significato denotativo o connotativo.
Nel caso di singole parole citiamo il rapporto tra “automobile-autovettura”.
Se si tratta di argomenti: “gli effetti della scrittura a video sulla scrittura
stessa” potrà essere messo in relazione con “la rivoluzione determinata dall’in-
troduzione della stampa sullo stile dei testi”.

L’inclusione di classe consiste nell’associare termini o concetti legati da rela-


zioni di dipendenza secondo criteri diversi. Comprende tutti quei casi in cui si
procede in ordine logico dal generale al particolare.
Per singole parole citiamo ad esempio il rapporto tra “gioco-scacchi” o
“veicolo-auto”.
Nel caso di argomenti varrà come esempio “le tecniche di scrittura” e i suoi
sottoargomenti “tecniche antiche” e “tecniche moderne”.

La relazione di casi collega un’azione al suo agente o un attributo al suo


oggetto.
Nel caso di termini: “abbaiare-cane” o “cibo-sapore”.
Nel caso di argomenti: “la scrittura al computer” genera “il computer” oppu-
re “la velocità della scrittura al computer”.

23 Vedi R. Chaffin e D.J. Herrmann, “Tassonomia delle relazioni semantiche”, in Multimedia,


a cura di John A. Waterworth, Muzzio, Padova, 1992.
40 Capitolo 1

La relazione parte-intero collega un argomento a un altro che può conside-


rarsi quasi incluso nel primo.
Per i termini singoli valgono gli esempi: “Germania-Amburgo” o “gelato-uova”.
Per argomenti può valere l’esempio de: “il computer” con “la tastiera”.

1.2.5 Pensieri organizzati in strutture


Il paragrafo precedente ci ha introdotto a una fase del lavoro di pre-scrittura che
presuppone già una prima organizzazione logica degli argomenti che si inten-
dono sviluppare. I temi non sono semplicemente elencati, ma organizzati nella
nostra mente secondo rapporti di equivalenza, di precedenza, di dipendenza o
di inclusione. È già chiara, insomma, a questo punto, una prima provvisoria
gerarchia delle argomentazioni.
È possibile rappresentare graficamente la struttura che si intende dare alle
proprie argomentazioni secondo diversi modelli tipografici che ora passiamo a
elencare: mappa, scaletta, tabella.

Mappa
Stiamo progettando una relazione. Abbiamo scelto di affrontare tre aspetti dello
stesso oggetto “testo”. Supponiamo di partire da un primo scarno elenco di
argomenti:

• Il testo orale
• Il testo scritto
• Il testo a stampa

Da questo punto di partenza si procede individuando una serie di sotto-


argomenti definiti secondo categorie precise: ogni argomento principale verrà
trattato affrontando tre medesimi aspetti: le caratteristiche, la storia, l’uso attua-
le. A ognuno degli aspetti sopra elencati saranno collegati di volta in volta i
contenuti specifici relativi all’argomento trattato. Ma ecco un esempio che
può chiarire meglio quanto detto: la nostra riflessione ha prodotto la mappa
riportata nella pagina seguente.
Figlia diretta del grappolo associativo, la mappa è la più flessibile tra i
metodi descritti. Si tratta di un’elaborazione logica del grappolo associativo che
permette di disporre gli argomenti secondo un’organizzazione gerarchica. L’ar-
gomento chiave è disposto al centro. Tutto intorno si sviluppano i sotto-argo-
menti e i contenuti.
In molti studi americani questo tipo di organizzazione viene spesso chiamata
clustering o cognitive mapping. È utile specialmente negli ipertesti e in altre forme
di scrittura elettronica, ma aiuta anche nell’organizzazione della scrittura su carta.
Costruire una cluster map è un processo intuitivo. Gli scrittori identificano le
unità di significato o “node” dell’informazione, etichettano i pezzi e tracciano
linee o “link” per mostrare come i pezzi singoli siano connessi come parti di un
unico insieme.
Il testo pensato 41

Scaletta
La scaletta è molto più di una lista organizzata, è la traduzione della gerarchia
delle argomentazioni, che tiene conto dei diversi livelli della trattazione e li
riproduce utilizzando particolari espedienti tipografici (ne parleremo in modo
più approfondito nel Capitolo 2).
Questo è un esempio di scaletta che riproduce le informazioni della mappa
organizzandole secondo uno schema tipografico numerato:

1 Il testo orale
1.1 caratteristiche
1.1.1 ridondanza
1.1.2 stile formulaico
1.1.3 attinenza al contesto
1.2 storia
1.2.1 le origini
1.2.2 oratoria
1.2.3 le tecniche di memorizzazione
1.3 utilizzo odierno
42 Capitolo 1

1.3.1 società a oralità primaria


1.3.2 il testo orale nella società alfabetizzata
2 Il testo scritto
2.1 caratteristiche
2.1.1 coerenza
2.1.2 coesione
2.1.3 rimandi
2.2 storia
2.2.1 le origini della scrittura
2.2.2 scritture fonetiche
2.2.3 l’organizzazione spaziale del testo
2.3 utilizzo odierno
2.3.1 tanti tipi di testo
2.3.2 scrivere a mano oggi
3 Il testo stampato
3.1 caratteristiche
3.1.1 riproducibilità tecnica
3.1.2 la forma del libro
3.2 storia
3.2.1 la scoperta della stampa
3.2.2 libri illustrati
3.2.3 l’organizzazione spaziale del testo
3.3 utilizzo odierno
3.3.1 tanti tipi di testo
3.3.2 le tecniche di stampa nella moderna società elettronica

Tabella
Se invece di una scaletta volessimo tradurre il contenuto presentato sopra in
una tabella, il risultato sarebbe questo:

Le forme del testo Caratteristiche Storia Usi odierni


Testo orale • ridondanza • società a oralità
primaria
• stile formulaico • il testo orale nella
• attinenza al moderna società
contesto alfabetizzata
Testo scritto • coerenza • le origini della • tanti tipi di testo
• coesione scrittura • scrivere a mano oggi
• rimandi • scritture fonetiche
• l’organizzazione
spaziale del testo
Testo stampato • riproducibilità • la scoperta • l’importanza della
tecnica della stampa tipografia
• la forma del libro • libri illustrati • tipografia
e modalità di lettura
Il testo pensato 43

Le tabelle sono prospetti che presentano le informazioni organizzandole


secondo una schema grafico costituito da un’intersezione di righe e colonne. Le
tabelle dividono la trattazione in sezioni. Gli argomenti che sostengono ogni
sezione sono collocati nell’apposito riquadro.

1.3 Stesura
I due tempi della scrittura
1.3.1 Quando si inizia a scrivere
Abbiamo già segnalato come sia difficile separare in maniera netta la progetta-
zione di un testo dalla sua stesura; spesso, infatti, le due fasi si intersecano e si
sovrappongono secondo un andamento che è sempre irregolare e tendenzial-
mente circolare. Durante la prima stesura del testo si ritorna, infatti, sulla scalet-
ta, la si corregge, la si integra. Quasi nessun autore, sia esso professionista o
dilettante, tiene fede al progetto originario in tutti i suoi dettagli. Ciò avviene
perché la scrittura stessa è un atto di pensiero, che mette in moto riflessioni e
innesca libere associazioni. Via via che si mette nero su bianco e si sviluppano
gli argomenti previsti dalla scaletta, ci si rende conto come talvolta essi si pos-
sano esaurire in poche battute, o viceversa, in altri casi occupino molte più
pagine di quelle che si erano previste e necessitino di approfondimenti o preci-
sazioni da sviluppare in nuovi paragrafi.
La fisionomia del testo viene così definendosi man mano che si scrive e un
eccesso di rigore in questo senso sarebbe un freno potente alla creatività. È
vero che talvolta la scrittura deve necessariamente disciplinarsi e un rigido im-
pianto di base servirà ad arginare una tendenza centrifuga che può diventare
pericolosa; tuttavia, nonostante questo, fino alla pubblicazione un testo scritto
rimane aperto a modifiche e revisioni.
Per molti autori della nostra storia letteraria la correzione è divenuta talvol-
ta una vera ossessione, ha coperto l’incapacità a separarsi dalla propria crea-
zione aspirando a una perfezione che non è dato raggiungere: molti sono gli
esempi rintracciabili, primo fra tutti Alessandro Manzoni, che ha dedicato al
suo capolavoro molti anni della propria vita scrivendone varie versioni, anche
assai diverse tra loro, bloccando a questo modo la sua penna sulle pagine viste
e riviste dei Promessi sposi.
Ma senza scomodare esempi troppo illustri e lontani dalla nostra realtà, si
vuole qui insistere su un concetto: non esiste, se non sulla carta, un processo
creativo che rispetti fedelmente le fasi individuate da ogni manuale di scrittura,
che proceda secondo un ordine lineare dall’inizio alla fine: ciò potrebbe acca-
dere solo là dove il testo, in qualche modo, fosse già presente per intero nella
mente di chi lo ha concepito. Le indicazioni di guide e manuali sono solo
strumenti messi a disposizione di autori poco esperti, per aiutarli a dare inizio a
un lavoro che risulterà sempre e comunque assai più complesso.
44 Capitolo 1

Fatta questa ampia premessa, ricordiamo che, comunque, esiste un mo-


mento in cui si inizia a scrivere; a comporre frasi, a scegliere parole, a unirvi
immagini. Ciò vale per i testi di tipo tradizionale, per un volume, una tesi, un
saggio. Lo schermo del computer si trasforma, allora, nella pagina bianca da
riempire di caratteri e di pensieri.
Ma vale anche per testi di natura diversa. Che dire di uno spettacolo teatra-
le o di un film, oppure, per rimanere nell’ambito che più ci interessa, di un sito
Internet? Anche in questo caso arriverà il momento in cui dalla fase progettuale
si passerà alla stesura, si gireranno le scene o si deciderà l’impianto grafico, si
sceglieranno titoli e lettering, luci e musiche. Ci sarà un momento, una fase del
lavoro, in cui esisteranno solo le parole e uno spazio, sia esso la superficie di un
foglio o la memoria flessibile di un hard disk.
Tuttavia la situazione sarà profondamente diversa: la solitudine dell’autore
di fronte alla pagina bianca durerà assai poco: sarà subito necessario ricorrere a
un’équipe di lavoro, a collaborazioni, a strumenti che permettano di portare a
termine una scrittura che da soli è impossibile ultimare. In questi casi l’autore si
affiderà a competenze diverse dalla propria, a soggetti esterni, e proprio allora
il progetto sarà il punto costante di riferimento per tutti.

1.3.2 Scritture di servizio


Forse il canovaccio è la prima forma di una serie di testi scritti che, pur essendo
in sé conclusi, rappresentano il germe di un testo più ampio e completo non
altrimenti definibile. Il canovaccio è la traccia di uno spettacolo teatrale, la
matrice parziale che si tradurrà nell’unico e irripetibile testo che è la rappresen-
tazione scenica di una commedia. Sappiamo quanto esigua fosse in origine
questa traccia e quanta libertà lasciasse ad attori e impresari, rendendo ardua la
possibilità di stabilire quali fossero realmente i canoni di recitazione e i compor-
tamenti sulla scena di attori e comparse.
Dopo il canovaccio, ha fatto la sua comparsa il testo teatrale vero e proprio,
costituito dai dialoghi degli attori e da poche indicazioni circa la scena, i tempi
e i modi della recitazione. Benché estremamente più completi, benché precisi e
dettagliati, i testi di commedie e tragedie rimangono ancora oggi solo una trac-
cia, la promessa di un testo che si può certo immaginare, ma che lascia aperta
la possibilità di interpretazioni sceniche infinite.
Il caso dei testi teatrali non è, tuttavia, perfettamente calzante per il nostro
ragionamento, poiché la drammaturgia possiede una propria, autonoma, dignità e
viene letta e interpretata indipendentemente dalla sua rappresentazione. Lo stesso
non può dirsi per altre forme di scrittura che potremmo chiamare “di servizio”,
scritture a tutte gli effetti, ma chiamate a rappresentare il testo di cui sono solo la
premessa. Ciò vale per gli spartiti musicali, i progetti architettonici o le sceneggia-
ture cinematografiche. Nessuno di noi, a meno che non lo faccia per studio e per
una particolare passione, leggerebbe, la sera, una sceneggiatura cinematografica,
né tanto meno sostituirebbe l’ascolto di un brano con l’analisi di un pentagramma.
Il testo pensato 45

Le scritture di servizio, vere e proprie scritture d’autore, sono lo “strumento


fondamentale d’orientamento e di collaborazione per i tanti autori che concor-
rono alla realizzazione” di un testo. Entrano in gioco tutte le volte che il testo
definitivo, replicabile o no, necessita, per aver vita, della collaborazione di tante
persone, di uno sforzo collettivo per trovare la sua completa realizzazione. La
fase preparatoria in questo caso è già una fase conclusa di per sé poiché dà
origine a un testo in sé già definitivo, che sarà la base di confronto per tutti
coloro che prenderanno parte alla creazione.

La sceneggiatura è un modo di lavorare. È il dietro delle quinte che gli utenti


non vedono.24

L’esattezza di una scrittura di servizio, il suo potere predittivo e prescrittivo,


sono elementi fondamentali per il rispetto delle intenzioni originarie di un testo.
L’esempio degli spartiti musicali (Approfondimento 1.10) è emblematico.
Ancora oggi è difficile ricostruire i desideri dei compositori anteriori al 1800,
poiché le loro carte lasciano poche indicazioni circa l’esecuzione di un pezzo:
solo un’attenta ricostruzione filologica può farci avvicinare a quella che doveva
essere l’opera più vicina alla musica pensata e scritta dall’autore.
La musica senza dubbio, ma anche la cinematografia hanno ormai definito
in maniera inequivocabile le tecniche di scrittura dei loro testi, stabilendo stan-
dard riconosciuti che non lasciano dubbi di interpretazione. Diverso il caso
delle sceneggiature di testi multimediali, ancora indefinite e improvvisate, prive
di regole univoche, riconoscibili da tutti.

Approfondimento 1.10 Spartiti musicali


«Il musicista si confronta costantemente con il problema di capire in che modo
un compositore abbia fissato le sue idee e i suoi desideri e come abbia cerca-
to di trasmetterli ai suoi contemporanei e ai posteri. [...] … da secoli utilizziamo
gli stessi segni grafici per scrivere musica, senza renderci conto a sufficienza
che la notazione non è semplicemente un metodo atemporale e internaziona-
le per trascrivere la musica, valido così com’è da molti secoli. Il significato dei
vari segni di notazione si è trasformato, ha seguito le evoluzioni stilistiche della
musica, le intenzioni dei compositori e degli esecutori. [...] Chiunque abbia pro-
vato a tradurre in note un’idea musicale o una struttura ritmica sa che l’impresa
è relativamente facile. Ma quando chiediamo a un musicista di suonare quel
che è stato scritto, ci accorgiamo che egli non suona affatto quel che noi
pensavamo. Ci troviamo dunque di fronte a una notazione che ci deve dare
informazioni tanto sulle note isolate quanto sullo svolgimento del brano. [...]
(continua)

24 Il linguaggio dei nuovi media, a cura di Luca Toschi, Apogeo, Milano, 2001, p. XXV.
46 Capitolo 1

(seguito)
Malgrado questa identità di segni grafici, possiamo distinguere due principi
radicalmente differenti per quanto concerne il loro impiego: è l’opera, la com-
posizione stessa, a essere oggetto della notazione, che tuttavia non indica la sua
restituzione dettagliata; è invece trascritta l’esecuzione, e allora la notazione è al
tempo stesso un’indicazione di come bisogna suonare. Essa non indica, come
nel primo caso, la forma e la struttura della composizione, che bisogna ritrovare
partendo da altre informazioni, ma una restituzione il più possibile precisa: è
così che bisogna suonare qui. Per così dire l’opera rivela se stessa nel momento
dell’esecuzione.
In generale, fin verso il 1800 la musica è trascritta seguendo il principio
dell’opera, e poi come indicazione di come vada eseguita. Esistono tuttavia
numerose sovrapposizioni: così le intavolature (notazioni della posizione delle
dita) per certi strumenti a partire dal Cinquecento e dal Seicento, sono delle
vere indicazioni di esecuzione, che non rappresentano dunque l’opera grafica-
mente. Queste intavolature mostrano con precisione dove il musicista deve
porre le dita per pizzicare le corde (di un liuto, per esempio), così che la musica
nasce con l’esecuzione sonora. [...] Nelle composizioni posteriori al 1800, scritte
con la notazione abituale, nel senso che ci viene detto come eseguire il brano
(ad esempio, nelle opere di Berlioz, di Richard Strass e di molti altri) quel che
viene indicato con la massima precisione possibile è il modo di suonare quel
che è scritto. [...]
Esiste una ortografia musicale, che scaturisce dai trattati di musica, dalle
teorie musicali, dai trattati di armonia. Da questa ortografia risultano certe par-
ticolarità di notazione, come il fatto che i ritardi, i trilli e le appoggiature spesso
non siano indicate, e questo è sempre fastidioso quando si crede di suonare la
musica così come è scritta. Oppure che l’ornato non sia stabilito: il fatto di
annotarlo sarebbe stato un impaccio per l’immaginazione creativa del musici-
sta, proprio quella che è richiesta per l’ornato libero.»

(Da N. Harnonourt “Le disours musical” ne La scrittura memoria degli uomini,


Universale Electa/Gallimard, Parigi, 1992, p. 170)

1.3.3 Sceneggiature cinematografiche


Le sceneggiature cinematografiche ormai sono scritte secondo due modalità
dominanti: all’italiana o all’americana.
La sceneggiatura all’italiana prevede una divisione verticale della pagina in
due parti: a sinistra sarà descritto ciò che si vede, ovvero l’intero contenuto
visivo della scena, a destra saranno trascritti i dialoghi e indicati tutti i rumori di
fondo, ovvero tutto ciò che si dovrà sentire. Naturalmente nella “parte visiva”
potranno comparire alcune indicazioni tecniche di ripresa, mentre nella parte
destra, accanto alle parole del personaggio, potranno leggersi, tra parentesi,
didascalie che ne chiariscano lo stato d’animo o l’atteggiamento.
Il testo pensato 47

La sceneggiatura all’americana non prevede una divisione verticale del


foglio, ma il testo viene steso sulle pagine secondo l’ordine delle scene, distin-
guendo spazialmente le descrizioni dai dialoghi che sono concentrati nella par-
te centrale della pagina.
La sceneggiatura di un film non nasce così completa da subito, ma prevede
diverse fasi di stesura (Approfondimento 1.11). Ancora una volta il punto di
partenza, dopo l’individuazione del soggetto (che può essere originale o ripre-
so da un romanzo) è la scaletta. Il termine nasce proprio in campo cinemato-
grafico e da qui si estende a tutte le altre opere di tipo narrativo.
La scaletta è la prima fase di elaborazione di un soggetto in cui si stabilisce
a grandi linee la struttura narrativa di un film con l’indicazione sommaria degli
ambienti e delle scene disposte in ordine cronologico. La scaletta rappresenta la
fase di passaggio tra il momento letterario e la costruzione vera e propria del
film. Scritta con un linguaggio sintetico e allusivo “è la fase che trasforma l’idea
iniziale in una vera e propria storia”25 e “disegna la dinamica emotiva del film”.26
Una scaletta è generalmente costituita da 20-30 paragrafi riassuntivi delle princi-
pali sequenze in cui il film sarà suddiviso, mettendo in evidenza gli snodi narra-
tivi principali. Ogni paragrafo è costituito da un numero di ordine, dall’indica-
zione dell’ambiente in cui ci si trova e da poche parole che riassumono la
sequenza.
Il treatment è la fase successiva e consiste in un vero e proprio sviluppo
della scaletta. Il treatment si scrive un po’ come un romanzo. In esso è già
chiaro il taglio stilistico del film, i personaggi sono descritti nel dettaglio, così
come le scene principali. Emergeranno le motivazioni di comportamenti, si po-
tranno approfondire le descrizioni di psicologie, suggerire atmosfere di ambiente.
Dopo il treatment, che è la fase più “romanzesca”, si arriva finalmente alla
sceneggiatura vera e propria, ovvero la previsione scritta delle scene in succes-
sione. Occorrerà innanzi tutto una descrizione visiva della scena e accanto a
essa i dialoghi precisi dei personaggi con eventuali rumori. Una sceneggiatura
consta generalmente di 80 scene per 90-100 minuti di spettacolo (il numero
delle scene determina il ritmo del film: minore sarà il numero delle scene e
quindi degli stacchi, più lento sarà il ritmo; viceversa, un numero maggiore di
scene determinerà un ritmo più incalzante).
La scena è l’unità base della composizione drammatica di un film ed è
definita in base all’identità di ambiente, ogni scena è caratterizzata da un nume-
ro e da un titolo. Il montaggio legherà, infine, le scene tra loro a comporre il
testo definitivo.

25 Lucio Battistrada e Massimo Felisatti, Corso di sceneggiatura, Sansoni Universale, Mila-


no, 1993, p. 79.
26 Battistrada e Felisatti, op. cit., p. 88.
48 Capitolo 1

Approfondimento 1.11 Un insolito esempio di sceneggiatura


Come esempio di sceneggiatura, riportiamo di seguito un insolito esempio di
un appunto per la preparazione di un documentario. Il testo è contenuto nel
volume di Albe Steiner, Il mestiere di grafico, edito da Einaudi nel 1978.

«Appunti per un documentario sulla stampa oggi

Un anonimo che telefona, che guida un’auto, che aziona un comando di un


televisore, che accende una luce elettrica o che fa una fotografia con un lampo
elettronico – o che guarda uno stampato, un giornale, un pieghevole (presenta-
to dinamicamente nelle sue diverse facciate), un imballaggio moderno, o una
rivista, non si rende generalmente conto di quello che possiede, né tanto meno,
della storia e della tecnica di una grande invenzione quale per esempio la
stampa a caratteri mobili.
Fotogrammi sintetici:
Cenni storici dalle origini (i segni aziliani su pietra).
Paesaggio egiziano, dissolvenza, scrittura geroglifica.
Paesaggio cinese, dissolvenza, scrittura cinese.
Alfabeto latino universale, dissolvenza, Roma antica (paesaggio).
Argomenti da selezionare per la sceneggiatura:

Gutenberg 1452 Magonza


Jenson 1476 Venezia
Gaffurio 1496 Milano
Il torchio di Leonardo
Silvaticus 1526 Torino
Zatta 1794 Venezia
Bodoni dal 1800 Parma
Il torchio metallico di Columbia
Canadelli 1836 Milano
Didot 1821 Parigi
T. Lautrec 1891 Parigi
H. Meyer 1929 Weimar-Dessau (Bauhaus).

Oggi:
Alfabeti come contrasto di stile da contrapporre a diversi tipi di costumi (con-
trasto tra antico e nuovo, per esempio gotico e grattacielo, carrozza e auto)
Vecchia tipografia e nuovi impianti.

Come si ottiene tutto questo:

(fotogrammi sintetici ed evidenti sul processo tecnico presentato in forma non


pedante).
Il testo pensato 49

I caratteri: tipi classici e di fantasia a colori diversi prima soli e isolati grandi e
piccoli in positivo, poi sovrapposti e mischiati in diversi colori.
Gli spazi: da un punto a ventiquattro punti, presentati orizzontalmente.
Le casse, il compositoio, i pacchetti, le pagine formate.

La composizione meccanica:

la linotype (matrice ingrandita fino a sembrare un’architettura)


il pacchetto
la composizione di un foglio (sedicesimo o trentaduesimo)

la monotype (la banda perforata)

i flani, la rotativa, la macchina piana (giornali, riviste in sintesi)


macchine e macchine attrezzi e impianti che parlino come ritmo e musica

il cliché, il retino (molto ingrandito fino ad assumere una forma e un disegno


interessante decorativamente)
il colore (quadricromia); aspetti realizzativi e realizzati (quattro colori sullo scher-
mo poi un colore solo per volta poi ancora quadricromia).

La vita di oggi nella casa nei luoghi di lavoro in ogni posto dove c’è la stampa
con i suoi pregi (e qualche volta i suoi difetti).»

(Da Albe Steiner, Il mestiere di grafico, Einaudi, Torino, 1978, pp. 57-58)

1.3.4 L’opera d’arte come sceneggiatura


Molti bozzetti di artisti famosi sono oggi esposti come vere e proprie opere
d’arte, anche se ciò non corrispondeva certo alle intenzioni dell’autore: disegni,
abbozzi, tracce che a noi sembrano di una struggente bellezza erano semplici
preparazioni, studi di ciò che doveva essere l’opera vera e propria.
Dalla seconda metà del Novecento il panorama artistico mondiale ha regi-
strato una serie di profondi mutamenti che hanno messo in dubbio lo stesso
concetto tradizionale di arte. Nel loro intento decostruzionista, i movimenti
moderni hanno legittimato il recupero di un’idea dell’arte come processo piut-
tosto che come produzione di oggetti finiti. Niente musei o esposizioni, niente
mistificazioni di opere e artisti, ma il riconoscimento di eventi, simili alla vita,
isolati dal flusso vitale, considerati arte a tutti gli effetti. La preparazione conta
quanto il risultato finale.
È il 1959 quando Allan Kaprow presenta alla Reuben Gallery di New York
una sua opera dal titolo 18 Happenings in 6 Parts: da questo momento il
termine happening indicherà una particolare categoria di eventi artistici carat-
terizzati da tratti distintivi. Evidente è la relazione con le tecniche teatrali:
50 Capitolo 1

l’happening è un evento suddiviso in azioni elementari, suoni, rumori, decla-


mazioni, gesti. Anche se l’accidentalità sembra essere una delle caratteristiche
determinanti, questo tipo di manifestazione non si basa sulla pura improvvisa-
zione, ma segue una precisa sequenza di accadimenti preventivamente pro-
gettata e registrata.
Nei primi anni Sessanta, George Maciunas dà inizio a un movimento artisti-
co dal nome Fluxus, assai affine per tecniche e tematiche alla corrente dell’hap-
pening. Fluxus coniuga in maniera artistica la musica, il teatro, le arti visive, la
danza, aprendosi a una molteplicità di generi: l’intento principale è quello di
ristabilire un concreto legame tra l’arte e la vita:

Le cose quotidiane, i gesti, le azioni più semplici come respirare, fumare,


sedersi su una sedia (Brecht) diventano opere fluxus e come in un ready-
made vengono estratte dalla realtà del quotidiano, dall’unica realtà possibile
dell’esistenza, e isolate nell’evento fluxus.27

Queste forme artistiche raccolgono al loro interno esperienze profonda-


mente diverse, riunite spesso solo da intenti culturali e dichiarazioni di metodo.
Molteplici sono le composizioni a carattere musicale in cui, oltre ai classici
strumenti, vengono introdotti gli oggetti più disparati che generano rumori di
vario tipo, evocati dalla realtà quotidiana. In Piano Activities di Phil Corner, un
pianoforte viene demolito di fronte al pubblico che ascolta il rumore di seghe e
martelli, anziché la musica. Uno dei rappresentanti più noti del movimento è
Nam June Paik, interessato soprattutto all’audiovideo in tutte le sue più eccen-
triche forme: sono noti i suoi televisori svuotati all’interno dei quali ardono
candele vere, o si riflettono statuine di gesso.
Abbiamo già sottolineato che ciò che sembra frutto di improvvisazioni
estemporanee è in realtà il prodotto di un lavoro condotto a tavolino, fissato
su appunti che diventano, a loro volta, parte dell’opera o testimonianza pri-
ma dell’opera stessa. Il risultato artistico è determinato da un progetto chiaro
e concettualmente definito. È il caso delle sceneggiature/spartiti di Giuseppe
Chiari, un autore italiano, reso noto dalle sue performance su pianoforte.
Giuseppe Chiari è famoso soprattutto per la sua opera Suonare la città (Play
the city), realizzata durante la manifestazione “Campo Urbano”, a Como nel
1965. Citiamo l’esperienza di Chiari come emblematica di una modalità di uso
del progetto artistico, un evento di cui il progetto diventa rappresentante
ufficiale, trasformandosi a sua volta in “oggetto” d’arte. Per chiarire meglio
quanto stiamo sostenendo proviamo a leggere il brano riportato di seguito e
chiediamoci se debba considerarsi una scrittura di servizio o costituisca un’opera
di per sé.

27 Lea Vergine, L’arte in trincea, Skira, Milano, 1999, p. 55.


Il testo pensato 51

(20 secondi esatti di silenzio)


si scelga il lavoro
che più sembri abbia attuato
questa esigenza
indi
riunita un’orchestra
la si convochi in un gran teatro
per le ore 9 di una qualsiasi sera
si faccia uscire tutto il personale
comprese le persone
adibite ai servizi di sicurezza
occorrerà uno speciale permesso per questo

Figura 1.5 La sceneggiatura di un’opera di Giuseppe Chiari, Concerto per


automobile, 1968.
52 Capitolo 1

si chiudano tutte le porte


non ci sono manifesti
sulla facciata del teatro
che annunciano il concerto
non è stata fatta
nessuna forma di pubblicità
poi
in un teatro totalmente vuoto
si esegua la composizione
in modo perfetto
a nessuno.28

1.3.5 Sceneggiatura multimediale


L’idea che l’autore di un multimedia sia una sorta di regista che dirige molte
competenze è nata al CRAIAT (Centro Ricerche e Applicazioni dell’Informatica
all’Analisi dei Testi) dell’Università di Firenze, una decina di anni fa. È al suo
direttore, Luca Toschi, che si devono le prime formulazioni teoriche in proposi-
to. Nel saggio L’ipertesto d’autore, pubblicato nel 1994, Toschi poneva l’accento
sulla necessità di un recupero della funzione autoriale per i nuovi testi elettro-
nici, unica garanzia di una qualità e di una concreta innovazione.
L’équipe diretta da Toschi, composta da ricercatori molti dei quali studiosi
di storia della letteratura, si interessa fino dagli inizi degli anni Novanta al rap-
porto tra la scrittura e le nuove tecnologie, una ricerca che procede di pari
passo con la sperimentazione delle nuove forme di comunicazione condotta
attraverso la scrittura di ipertesti multimediali. La sceneggiatura è l’ultimo ritro-
vato di una riflessione condotta nel corso di dieci anni che hanno visto profondi
mutamenti: dalla nascita dell’ipertesto, alla scrittura multimediale, dalla diffusio-
ne dei CD-ROM, fino all’affermarsi di Internet.
Le riflessioni attorno alla sceneggiatura multimediale nascono da necessità
contingenti legate alla nuova produzione di testi, che necessitano di una fase di
progettazione assai complessa e richiedono la collaborazione di svariate figure
professionali: l’esperto dei contenuti, il redattore, il grafico, il tecnico audio-
video, il programmatore, e naturalmente il regista, colui cioè che tiene le fila di
un lavoro articolato e definisce gli obiettivi di fondo del testo.
Un po’ come accade nel mondo del cinema o in qualunque altra esperienza
di scrittura a più mani, la produzione multimediale necessita di strumenti atti a
definire le linee guida del lavoro, prima che il testo prenda corpo, strumenti che
descrivano in maniera chiara e inequivocabile a ogni componente del gruppo
le fasi del processo e la prefigurazione del testo finale, così come lo si è imma-
ginato. La scrittura di servizio ha in questo caso il doppio compito di anticipare
il risultato definitivo e di costituire anche la traccia del percorso, trasformarsi

28 Vergine, op. cit., p. 57.


Il testo pensato 53

cioè in una sorta di diario di bordo a cui fare riferimento durante tutto il proces-
so di scrittura.
Anche per il cinema ci sono voluti anni prima che si definisse una chiara
metodologia di scrittura preparatoria, prima che le tecniche di sceneggiatura
fossero condivise. Nel caso dei testi multimediali, CD-ROM o siti Internet, si è
proceduto per prove ed errori: ognuno ha seguito proprie strade, utilizzando i
metodi che ha ritenuto più idonei. C’è stato spazio anche per l’improvvisazione
e i risultati li abbiamo potuti apprezzare ben rappresentati in prodotti di qualità
assai dubbia; molti dei primi testi su CD non erano, infatti, che la riproposizione
fedele su di un nuovo supporto di materiale cartaceo preesistente.
Oggi è generalmente accettato che chiunque si dedichi alla progettazione di
un multimedia debba seguire alcune tappe fondamentali ed elaborare un pro-
getto prima di passare al definitivo montaggio del testo. Manca ancora, come si
diceva, un linguaggio comune da utilizzare nella stesura dei progetti.
Alla scrittura di servizio per il multimedia pochi hanno dedicato pagine
degne di interesse, anche se tutti utilizzano strategie e procedure nella realizza-
zione di CD-ROM e soprattutto di siti web.
La Web Style Guide,29 ancora oggi una delle più complete guide di scrittura
per il web, non dedica neppure un rigo alle tecniche di sceneggiatura, mentre
troviamo qualche importante suggerimento in un altro testo guida: Interaction
design,30 ancora senza una traduzione italiana.
Il volume di Nico Piro,31 Come si produce un cd-rom, edito da Castelvecchi
nel 1997, dedica alcuni capitoli alla progettazione e indica alcuni metodi opera-
tivi da seguire durante questa fase, tra cui la stesura del flowchart. Limitato
all’area dell’off line, il volume contiene alcuni importanti suggerimenti, anche
se non scende nel dettaglio per quanto riguarda il tema che ci interessa.
Oggi le tecniche di sceneggiatura di un testo multimediale si sono affinate
grazie alla crescente diffusione del lavoro di progettazione, anche se non esiste
ancora, così come accade per il cinema, un sistema comunemente riconosciuto
e usato da tutti.

… ogni sceneggiatura presenta un proprio modo di organizzare i materiali


[...] ne consegue che una sceneggiatura multimediale, messa in mano anche
a esperti della materia, non è cosa facile da decifrare per essere trasformata
in prodotto multimediale.32

Per chi progetta un multimedia all’inizio c’e solo un’idea, poi grandi fogli sui
quali viene tracciata la struttura generale del testo, con le sue parti disposte

29 Patrick J. Lynch e Sarah Horton, Web guida di stile, Apogeo, Milano, 2000.
30 Jennifer Preece, Yvonne Rogers e Helen Sharp, Interaction design, Wiley, New York, 2002.
31 Nico Piro, Come si produce un cd-rom, Castelvecchi, Roma, 1997.
32 Toschi, op. cit., p. XXI.
54 Capitolo 1

gerarchicamente. Ci sono, poi, i bozzetti grafici con lo studio dell’interfaccia e le


sceneggiature, ovvero i testi delle singole sezioni. La carta è sempre il supporto
prescelto: una pagina corrispondente a una schermata con indicazione di testo
alfabetico, immagini, eventuale sonoro, collegamenti, eventi. Naturalmente,
poiché la carta non può contenere tutto, sulle pagine compariranno solo le
indicazioni di fonti e il nome dei file che contengono immagini, suoni, anima-
zioni. Alcuni codici stabiliti dall’équipe permetteranno di distinguere, all’interno
del testo alfabetico, le parole che funzioneranno da collegamento o da eventua-
li note.
Sicuramente le indicazioni più dettagliate su come si scrive una sceneggia-
tura multimediale sono contenute in un saggio, a cui si rimanda, contenuto nel
volume Il linguaggio dei nuovi media, edito da Apogeo nel 2001. In “Come
realizzare la sceneggiatura” Tommaso Tozzi illustra passo dopo passo le moda-
lità da seguire per l’elaborazione di una sceneggiatura multimediale.
Il flowchart, ovvero la struttura generale del testo, è la prima tappa nella
progettazione. Nel flowchart viene visualizzata la struttura generale con le sue
gerarchie e i suoi livelli di approfondimento.
La sceneggiatura prevede, poi, la stesura di uno storyboard, ovvero di una
traccia dettagliata di ogni sezione del testo con la descrizione accurata del-
l’“integrazione dei contenuti con i suoi controlli”.33 Lo storyboard consiste nella
riproduzione sommaria (su carta) dei bozzetti grafici con le descrizioni verbali;
vi compariranno: il titolo (il nome assegnato alla sezione), la scena (indicazione
generica dello stile, dei colori, delle proporzioni delle parti che fisseranno il
definitivo layout), il soggetto (gli obiettivi e l’argomento della sezione), i com-
portamenti (modalità visive o acustiche che caratterizzano l’ingresso e l’uscita
dalla sezione, eventuali animazioni presenti), le relazioni (le relazioni che si
stabiliscono con le altre parti del sito).

Le descrizioni riportate nello storyboard servono a evocare il contenuto, lo


stile, il ritmo e il tono delle varie sezioni del sito; non devono dilungarsi in
dettagli tecnici, poiché questo compito viene svolto dal découpage tecnico.
I testi delle descrizioni dovranno dunque essere didascalici, leggibili, intui-
tivi, semplici, sintetici e stimolanti.34

Il découpage tecnico fornirà indicazioni più dettagliate dal punto di vista


tecnico; sarà lo strumento atto a integrare le informazioni contenute nel flowchart
e nello storyboard, traducendole operativamente per coloro che dovranno pro-
grammare il funzionamento dell’intero testo.

33 Tommaso Tozzi, “Come realizzare una sceneggiatura multimediale”, in Toschi, op. cit.,
p. 62.
34 Tozzi, op. cit., p. 62.
Il testo pensato 55

Figura 1.6 Un esempio di mappa concettuale.


56 Capitolo 1

Tra le scritture di servizio, la sceneggiatura multimediale appare una delle


più articolate e complesse, come complesso è il testo che rappresenta. Una
complessità che tanto più è riuscita, tanto meno viene percepita al momento
dell’uso, quando la qualità di un testo multimediale diviene sinonimo di semplicità.

1.4 Pubblicazione
Scrittura, comunicazione e pubblicazione
1.4.1 Espressione, comunicazione, pubblicazione
Abbiamo più volte sostenuto che un testo, per definirsi tale, deve poter essere
letto da qualcuno. Il momento della sua pubblicazione, della sua presentazione
a destinatari scelti o casuali è dunque fondamentale. Un testo è l’elemento
chiave di una comunicazione.
L’etimologia della parola comunicazione pone l’accento sulla natura sociale
del processo: condividere, rendere comune un’esperienza tramite l’interazione
tra gli individui di un gruppo.
Nella comunicazione umana sono presenti comportamenti comunicativi in-
consapevoli (ad esempio atteggiamenti del corpo o piccoli cambiamenti nel-
l’espressione del viso) o inconsci (il rossore, la sudorazione, il tremore eccete-
ra), ma generalmente si tende a evidenziarne il carattere consapevole e inten-
zionale, ovvero il riconoscimento della presenza di un interlocutore e la scelta
deliberata di fornire un’informazione, instaurando un rapporto di reciproco scam-
bio. Si dice che l’uomo non può non comunicare nel momento in cui entra in
relazione con altri rappresentanti della sua stessa specie; l’uomo comunica per
necessità, sempre e comunque, rispondendo a uno dei suoi bisogni fondamen-
tali. Gli studi sulla comunicazione pongono l’accento su questa peculiarità come
su altre che caratterizzano il linguaggio umano, il più importante elemento di
distinzione tra noi e gli animali. Rispetto agli animali l’uomo è capace di una
comunicazione formalizzata che fa uso di sistemi di segni di vario tipo, atti a
convogliare vari messaggi.
Verbale o non verbale, orale o scritta, la comunicazione umana presenta
una serie di condizioni che la definiscono:

• interazione (reciproca influenza) che è sia


• intersoggetiva (reciprocamente consapevole), sia
• intenzionale, volontaria e che è condotta mediante
• un sistema di segni, basato prevalentemente su
• un sistema di simboli verbali, caratterizzati da
• una doppia articolazione, che a sua volta si basa su un sistema completo di
• fonetica, sintassi, semantica, pragmatica.35

35 Karl Erik Rosengren, Introduzione allo studio della comunicazione, Il Mulino, Bologna,
2001, p. 52.
Il testo pensato 57

La definizione, tratta dal volume Introduzione allo studio della comunica-


zione di Karl Erik Rosengren, stabilisce la peculiarità della comunicazione uma-
na in termini di intenzionalità, ma soprattutto in relazione all’esistenza di un
linguaggio articolato e complesso, costituito da un sistema di segni convenzio-
nali organizzati secondo una specifica grammatica.
Fino dalle sue origini l’umanità ha fatto uso di simbologie comunicative,
utili, ad esempio, a ribadire segnali di supremazia o di dominio (pensiamo a
certi rituali o cerimonie primitive); il linguaggio orale è stato spesso arricchito
con altre forme di segni e di simboli corporei o materiali:

I segni più importanti sono stati riprodotti fin dalle origini in diversi modi:
intagliati nel legno, nell’osso o nella pietra, impressi nell’argilla, disegnati
con il carbone, o con qualunque altro materiale a portata di mano. Molto
presto, dunque, la comunicazione mediata si manifestò come una deriva-
zione della comunicazione diretta. Ciò dimostra che l’umanità andava cre-
ando gradualmente una “memoria esterna” articolata.36

La comunicazione mediata, che ricorre cioè all’uso di strumenti “esterni”


nasce ancora prima della parola scritta, come urgenza di collocare fuori da sé,
nella realtà esterna, segni resi inalterabili dalla loro oggettivazione, strappati
all’indeterminatezza della comunicazione diretta. Pensiamo alle pitture rupestri
delle grotte di Lascaux, di cui ancora oggi ci sfugge la reale funzione, ma che
rappresentano sicuramente un tentativo di riprodurre la realtà, di farne un rac-
conto. La nascita della scrittura sancisce definitivamente questa proiezione al-
l’esterno del linguaggio, divenuto materiale e tangibile come un oggetto. Per
questo la scrittura ha spesso rappresentato, fino dall’antichità, una verità indi-
scutibile.
Ancora oggi si ricorre ad atti scritti quando si deve ufficializzare qualcosa di
importante: la parola non basta (verba volant) e la scrittura sembra rappresen-
tare una garanzia insostituibile. Solo nel momento in cui le parole sono, nero su
bianco, fissate sulla carta, acquistano una valenza concreta, fino ad allora hanno
il valore inconsistente della materia di cui sono costituite.
Forse per questo la pubblicazione, ovvero l’uscita definitiva di un testo
considerato compiuto e riconosciuto definitivo dal suo stesso estensore, ha
sempre avuto un significato assai rilevante. Pubblicare un testo significa in pri-
mo luogo rendere ufficiale la sua intenzione comunicativa, assumersi una re-
sponsabilità di fronte a una comunità di lettori che ne potrà fruire.
La pubblicazione è una forma di comunicazione pubblica garantita da un
oggetto che possiede la caratteristica di restare immutato nel tempo e risulterà
perciò difficilmente confutabile. La pubblicazione sancisce l’esistenza di un

36 Rosengren, op. cit., p. 55.


58 Capitolo 1

Figura 1.7 Le pitture rupestri della grotta di Lascaux.


Il testo pensato 59

oggetto (il testo) come entità autonoma e immutabile, indipendente dal suo
autore, un oggetto con il quale il lettore si confronta in maniera diretta.
Ma che significa pubblicare oggi? Che valore ha mettere on line un testo che
avrà la durata di pochi giorni e che non possiede le garanzie di stabilità valide
per la carta?

1.4.2 Le antiche forme della pubblicazione


Nell’antica Grecia pubblicare significava leggere e recitare un testo in pubblico
prima di diffonderlo nella versione scritta. L’idea della pubblicazione era ancora
legata all’oralità. La pubblicazione non era il momento in cui il testo poteva
considerarsi concluso e quindi degno di essere fissato definitivamente sulle
pagine di un volume, ma l’occasione durante il quale il suo autore misurava
direttamente sul pubblico l’effetto del suo pensiero. Si trattava di un momento
significativo in cui il feed-back (così si direbbe oggi) poteva determinare revi-
sioni e aggiunte sostanziali.
Il momento del confronto con il pubblico sarà considerato per molto tempo
il vero e irrinunciabile battesimo del testo, anche quando la stampa, ormai da
secoli, avrà definitivamente sancito l’identità tra scrittura e pubblicazione. Si sa,
ad esempio, delle letture pubbliche a cui autori noti invitavano parenti e amici
per verificare l’efficacia della loro opera: il caso più eclatante, senza dubbio,
Alessandro Manzoni che costringeva parenti e amici a sedute di lettura a voce
alta dei Promessi Sposi, nella sala rossa di Via del Morone.
L’idea della pubblicazione, così come l’abbiamo intesa fino a pochi anni fa,
è già presente nella Roma antica intorno al III sec. a.C., nel momento in cui
l’uso dei volumina, introdotti dalla Grecia, determina un generale ampliamento
della diffusione dei testi scritti. Nel I sec. a.C. Tito Pomponio Attico è il primo
vero editore di testi del mondo romano, reso celebre dalle opere di Cicerone.
Egli possiede un vero e proprio stabilimento di riproduzione di testi. La tiratura
arriva circa alle 1000 copie. Nel IV sec. d.C. nasce il codice, una nuova forma
del libro, simile a quella odierna. Il codice è costruito sia con papiro che con
pergamena, un materiale assai più facile da reperire a Roma. Il codice, poi,
possiede, rispetto al volume, una serie di vantaggi: una maggiore capienza di
testo in uno stesso spazio e come conseguenza la possibilità di ospitare tutta
intera un’opera, evitando la frantumazione in più volumina. La struttura del
codice permette, inoltre, una maggiore facilità di reperimento di passi. I codici
sono meno fragili e si possono accatastare gli uni sugli altri con enormi vantaggi
per il trasporto. Tutto ciò determina un grandissimo aumento della quantità di
testi in circolazione. Il codice diventa il formato tipico dei libri più popolari,
mentre il volumen resta riservato a testi sacri, ai libri colti o giuridici. Il libro è
divenuto un oggetto popolare e diffuso, un oggetto commerciale a tutti gli
effetti.
Nel secolo XII viene introdotta in Europa la carta, proveniente dalla Cina
attraverso gli Arabi e gli Spagnoli. La carta contribuisce a diminuire ulteriormen-
te il prezzo dei libri e a favorirne la distribuzione.
60 Capitolo 1

Nei centri universitari il docente mette a disposizione di un libraio-editore


(stationarius) il proprio manoscritto perché sia copiato e venduto agli stu-
denti.

Figura 1.8 L’interno di una vecchia stamperia.


Il testo pensato 61

Gli studenti possono altresì copiare in proprio il manoscritto depositato dal


libraio, affittandolo per il tempo necessario. Dal punto di vista tecnico, scom-
paiono i volumi unici: gli esemplari autorizzati sono divisi in piccoli fascico-
li, le peciae, che possono essere copiate o acquistate separatamente, e che
precorrono le attuali “dispense”.37

Si tratta di un ritorno a un uso “privato” del testo: lo studente non acquista


la copia ufficialmente pubblicata del libro, ma la affitta e la riproduce in proprio
(le copisterie non hanno inventato niente di nuovo!), secondo un sistema che
ufficializza la copia privata come modalità di possesso di un testo.
Nel corso del Trecento la classe urbana dei commercianti inizia a produrre
in proprio copie di testi da leggere per diletto. La forma è quella del manoscritto
classico, di grandi dimensioni. Tra gli altri, Francesco Petrarca, estimatore della
lettura solitaria, sosterrà la necessità di produrre codici di piccolo formato da
trasportare con facilità, da copiare personalmente anche con l’aggiunta di im-
magini e abbellimenti a discrezione del possessore.
L’invenzione della stampa provocherà modifiche sostanziali sul sistema di
diffusione e commercio dei libri (il tema sarà approfondito nel Capitolo 2).
Durante una prima fase, tipografo ed editore saranno la stessa persona e solo in
seguito le due figure si scinderanno dando origine a un sistema di produzione
assai simile a quello odierno. Da quel momento ha inizio il processo che con-
durrà all’idea di diritto d’autore, ovvero il senso della proprietà del testo da
parte del suo estensore (o dell’editore, nel caso l’autore gli abbia ceduto l’uso
della sua opera).
Con l’affermarsi della stampa hanno origine fenomeni di pirateria, di copia
illecita e di vendita non autorizzata dei testi. Diverse sono le tappe che regole-
ranno, da un punto di vista legislativo, l’affermazione delle norme sul diritto
d’autore e sulla libertà di stampa e ci vorranno decenni prima che l’autore sia
realmente tutelato in un circuito che vede prevalere la figura dell’editore come
vero e proprio imprenditore. D’altra parte, per oltre quattro secoli la parola
stampata rappresenta il più potente (forse l’unico vero) medium di massa, che
solo negli ultimi cinquanta anni è stata affiancata, non certo sostituita, da altri
potenti strumenti di comunicazione.
“A fine Novecento il tascabile ci accompagna – ed è acquistabile – definiti-
vamente al di fuori della tradizione dei luoghi, dei tempi e dei modi di lettura”38
anche se la comunicazione culturale passa ormai attraverso altre strade in “un
universo così tumultuoso e rumoroso fitto di testate e antenne”.39

37 Roberto Pellerey, Il lavoro della parola, Utet, Torino, 2000, p. 123.


38 Giovanni Ragone, “Tascabili e nuovi lettori”, in Storia dell’editoria nell’Italia contempo-
ranea, a cura di Gabriele Turi, Giunti, Firenze, 1997, p. 472.
39 Ragone, op. cit., p. 474.
62 Capitolo 1

1.4.3 Le nuove forme della pubblicazione


In un panorama editoriale caratterizzato da un’estrema versatilità, dove domina
l’intercambiabilità dei generi, delle collane, delle case editrici, appartenenti ora
a uno ora a un altro gruppo editoriale, si afferma un nuovo canale di trasmissio-
ne dei testi: i testi si pubblicano oggi anche in Rete, in uno spazio difficilmente
controllabile, accessibile a tutti, o almeno a quanti sono in grado di stabilire una
connessione Internet.
Le Rete è un immenso serbatoio di testi, un serbatoio talvolta caotico, all’in-
terno del quale è difficile orientarsi. I motori di ricerca, le virtual library, tenta-
no di gestire il materiale suddividendolo in categorie. Le raccolte sono conti-
nuamente aggiornate e ciò costituisce uno dei maggiori vantaggi della Rete,
anche se molto spesso gli inventari che l’utente si trova a consultare sono sem-
plici elenchi di siti senza descrizioni o schedature di sorta che ne guidino e
facilitino la consultazione.
Sulla Rete è possibile trovare oggi molti testi, anche tra quelli canonicamen-
te stampati in volume. Esistono una serie di risorse che mettono a disposizione
dei lettori il corpo di testi classici, ormai liberi da diritti di pubblicazione. A farlo
sono, talvolta, case editrici ufficiali, ma più spesso associazioni che offrono
servizi senza scopo di lucro.
Eccoci davanti alla nuova grande novità dei nostri tempi: aggirando i canali
ufficiali è possibile, oggi, con l’impiego di semplici strumenti, mettere a dispo-
sizione del pubblico, pubblicare, testi altrui e testi propri. Non serve più passare
attraverso un editore, inviare manoscritti destinati a restare spesso nei cassetti di
un redattore o finanziare in proprio l’uscita dei propri racconti. Basta acquistare
uno spazio nella Rete e gestire un sito in proprio, oppure collegarsi a uno dei
tanti siti dedicati alla scrittura (ce ne sono decine e decine solo in Italia), per
poter vedere pubblicato on line il proprio racconto. Il capitolo 5 di questo
volume si occuperà proprio della scrittura sulla Rete; per ora limitiamoci a una
serie di considerazioni di carattere generale legate a questo nuovo fenomeno.
Il volume e-book di Virginio Sala, edito da Apogeo nel 2001, riassume in
maniera esauriente le problematiche legate alla pubblicazione di testi on line,
alla difficoltà di protezione o tutela della proprietà intellettuale: una volta sulla
Rete il testo diviene veramente di pubblico dominio, per la facilità con cui può
essere copiato, tagliato, saccheggiato, riprodotto:

Nata in un ambiente come quello scientifico in cui, aberrazioni a parte,


prevale uno spirito di libera circolazione delle idee nel rispetto della pro-
prietà intellettuale (ma in senso sia etico che giuridico), da quando è stato
eliminato il vincolo che imponeva di non svolgervi attività commerciali, la
Rete si è trovata immersa in un clima economico generale in cui invece le
idee costituiscono un bene prezioso, forse addirittura il più prezioso.40

40 Virginio Sala, e-book, Apogeo, Milano, 2001, pp. 43-44.


Il testo pensato 63

Diverso dunque il caso in cui si decida di mettere in circolazione un testo


già pubblicato su carta, arcinoto e già libero da qualsiasi vincolo di pubblicazio-
ne, o viceversa si voglia rendere pubblico un testo nuovo, mai pubblicato in
precedenza, sia esso di natura più propriamente cartacea, o multimediale e
interattivo a tutti gli effetti.
Per gli utenti, oltre all’azzeramento del costo di copertina, i vantaggi di un
testo digitale sono facilmente riconoscibili: la facilità di riproduzione, la facilità
di manipolazione e d’uso sono solo alcune delle peculiarità che ne fanno una
meravigliosa novità rispetto al testo a stampa; di contro, a meno che non si tratti
di un e-book, il testo digitale, scaricabile da Internet, presenta lo svantaggio di
una presentazione estetica poco attraente che non può competere certo con
quella a stampa.
Oltre a questo il lettore si troverà spesso nella condizione di dover control-
lare il testo, venendo a mancare l’intermediario chiave rappresentato dalla figu-
ra dell’editore. All’editore, infatti, il lettore consegna generalmente la propria
fiducia dando per scontato, o quasi, che il testo che si troverà a leggere non
presenterà sorprese o contraffazioni di varia natura. Il marchio di produzione è
garanzia di qualità. Anche sulla rete è possibile affidarsi al nome di un gruppo
noto in possesso di credenziali tali da meritarsi la fiducia completa dell’utente,
ma molto spesso ci si trova di fronte a situazioni prive di un visto ufficiale e
riconosciuto, che è difficile valutare a un primo approccio; e allora come fidarsi
di un’edizione delle Rime di Dante Alighieri reperita per caso su un sito tutto
dedicato al poeta?
Assieme ai vantaggi e agli svantaggi del lettore ci sono poi le difficoltà
dell’autore, difficoltà a cui abbiamo già fatto cenno e che riguardano proprio la
“proprietà” del testo: nel momento in cui viene pubblicato su Internet, infatti,
un testo non è garantito più da alcuna tutela.

Sulla Rete si trovavano esclusivamente contenuti di “pubblico dominio”,


non più coperti da diritti, o i contenuti che qualcuno, in uno spirito libero,
da ricerca scientifica, volontariamente e generosamente metteva a disposi-
zione di tutti. [...] La mancanza di incentivi economici però faceva sì che
gran parte della produzione coperta da diritti seguisse altre strade, più tradi-
zionali, mostrando anzi una scoperta diffidenza nei confronti delle reti digi-
tali.41

Quello pubblicato sulla Rete è generalmente un testo senza diritti, sul quale
l’autore non può reclamare nessuna autorità. Oggi esistono, però, forme di
tutela che impediscono ad esempio la stampa o lo smembramento di un testo,
o presentano solo versioni incomplete che hanno lo scopo di allettare il lettore
e convincerlo all’acquisto del testo completo.

41 Sala, op. cit., pp. 46-47.


64 Capitolo 1

Rispetto alla carta, tuttavia, la pubblicazione on line presenta un grandissi-


mo, indiscutibile vantaggio. Pubblicare un testo on line può significare riservar-
si la possibilità di modifiche da apportare all’occorrenza con facilità, poiché è il
supporto medesimo a garantirne la duttilità. Un po’ come accadeva all’oratore
ateniese di fronte alla pubblicazione del suo discorso, che poteva modificarsi a
seguito dell’impatto sul pubblico (un impatto che certo mutava a seconda dei
contesti e delle contingenze), così per l’autore della Rete il feed-back del lettore
può diventare un elemento chiave della buona resa del testo. A differenza di
quanto avviene per la carta stampata, con recensioni, reazioni e commenti che
possono giungere solo dopo che il testo è già definitivamente concluso, uno
scritto on line può trarre vantaggio dai commenti e ridefinire le sue linee in
fieri, facendo tesoro dell’interazione reale dell’utente.
Per questo si può affermare che, oggi, la nuova scrittura è un processo, non
un risultato chiuso e definito una volta per sempre; la scrittura si costruisce per
gradi, resta aperta, un po’ come accade a un buon discorso orale, che “tasta” gli
umori del suo uditorio e vi adegua toni, esempi e metafore.

1.4.4 Scrivere per esserci


La scrittura è uno strumento d’espressione potente. Ogni bambino lasciato solo
in una stanza con un pastello riempirà presto le pareti e il pavimento di disegni
meravigliosi; le strade di ogni città sono piene di scritte a mano o stampate:
manifesti, annunci, messaggi in codice, dichiarazioni d’amore, slogan politici e
insulti. In una civiltà alfabetizzata come la nostra, la scrittura garantisce all’indi-
viduo l’appartenenza alla comunità. A maggior ragione oggi, grazie all’esistenza
di un nuovo spazio, tutto virtuale, che può ospitare, in teoria, la scrittura di tutti,
uno spazio di comunicazione totale di cui ognuno può essere il centro e la
periferia al contempo.
Abbiamo analizzato tutti gli svantaggi per un autore che decide di pubblica-
re in Rete un testo, mettendo il suo bagaglio di idee e di informazioni al servizio
del pubblico dei lettori. Eppure nonostante questo, Internet è piena di risorse,
di pubblicazioni non ufficiali proposte da chi crede in un patrimonio comune
da coltivare e affida alla Rete le sue aspirazioni democratiche. Internet offre una
nuova libertà di espressione che scavalca i canali tradizionali e pone sullo stes-
so piano, come mai era successo prima, le pagine di una nota e affermata casa
editrice o quelle improvvisate di un appassionato e sconosciuto bibliofilo.
Nello spazio sconfinato dell’etere c’è posto per tutti. Internet sembra così
aver inaugurato una nuova era della comunicazione di massa, un’era in cui il
tradizionale modello della comunicazione “uno a molti” viene in parte sostituito
da una comunicazione globale all’interno della quale ogni singolo rappresenta-
te può essere insieme destinatario ed emittente di messaggi. Il personal web site
è, a questo proposito, un fenomeno assai interessante: il nuovo biglietto da
visita attraverso cui ci si presenta alla comunità. Altrettanto degno di nota è il
caso dei blog, una strana mistura tra diario personale, portale, lista di discussio-
ne, che è possibile attivare utilizzando i tool e lo spazio messo a disposizione da
Il testo pensato 65

alcuni siti; dopo l’esplosione in America, da un anno circa anche in Italia si


stanno diffondendo una serie di iniziative di questo genere (Approfondimento
1.12).
Tuttavia, senza voler sminuire la portata della rivoluzione in atto, senza
voler gettare luci disfattiste sulla nuova comunicazione, vorremmo tentare una
breve riflessione su quali siano, di fatto, i risvolti della nuova libertà di pubbli-
cazione.
Essere pubblicati sulla Rete non significa necessariamente essere letti. Né
più né meno di quanto avviene a un volume stampato che non sia stato accom-
pagnato da un’efficace campagna promozionale, che non sia stato recensito o
presentato pubblicamente, che non sia corredato di tutto l’apparato paratestua-
le necessario al suo reale ingresso in libreria, così può capitare a un sito, che,
per quanto piacevole e ricco di contenuti, non sia inserito in un adeguato
circuito di “pubblicazione”. Ma quali sono, rispetto alla carta stampata, le porte
d’ingresso alla visibilità per un sito?
Per rispondere è sufficiente rifarsi alla nostra esperienza di navigatori della
Rete e passare in rassegna le modalità secondo cui arriviamo a un sito e decidia-
mo di leggerlo.
I motori di ricerca compiono per noi gran parte del lavoro. I search engine
sono applicazioni situate su server particolari che indicizzano in maniera auto-
matica tutti i siti esistenti e sono in grado di ricercare al loro interno le parole
chiave che l’utente utilizza per effettuare la sua ricerca. Ognuno di noi ha spe-
rimentato la difficoltà con cui si arriva in fondo alla lista delle segnalazioni, nel
caso in cui il numero del risultato della ricerca sia piuttosto alto; le pagine più
visitate saranno dunque sempre quelle che riusciranno a guadagnarsi postazio-
ni di riguardo nella “graduatoria” del motore di ricerca. La scelta delle parole
chiave che definiscono il testo, ma anche altre indicazioni sulla posizione di
rilievo da occupare, determinano l’ascesa all’interno della lista dei siti.
Altra strada per cui si giunge a visitare un sito è la segnalazione che di esso
viene fatta su altre pagine web. I così detti link esterni, ovvero i collegamenti a
siti considerati d’interesse, sono uno dei canali promozionali più efficaci. La rete
che si stabilisce tra più siti tende cioè a rafforzare ogni singolo elemento della
stessa: l’unione fa la forza, insomma, in questo caso come non mai.
La recensione su riviste specializzate o su volumi specifici è un altro dei
canali di promozione che fanno conoscere e determinano il successo di un
testo elettronico.
Anche i testi on line, dunque, hanno bisogno di canali privilegiati per con-
siderarsi pubblicati a tutti gli effetti, perché esserci non corrisponde a essere
letti, e soprattutto non è sufficiente per essere letti una seconda volta, perché a
differenza di molta produzione cartacea, un testo on line vale solo se diventa il
punto di riferimento per una serie di lettori che tornano sulle sue pagine in
cerca di continui arricchimenti.
66 Capitolo 1

Approfondimento 1.12 I blog


Riportiamo il testo di un articolo pubblicato su Espresso on line il 09/01/2003.

«Dieci cento mille blog


(di Francesca Reboli)

All’inizio del 2002 in Italia se ne contavano soltanto 300. Dopo sei mesi erano
diventati mille. Oggi hanno raggiunto quota 3 mila. E crescono al ritmo forsen-
nato di cento al giorno. I blog, pagine Internet autocostruite e autogestite a
metà tra diario personale, newsgroup e sito di informazione non sono più un
affare per pochi iniziati, giornalisti o smanettoni entusiasti di tecnologia e Rete.
Ormai rappresentano un fenomeno sociale che si espande a macchia d’olio
come un virus, una febbre contagiosa. Che non risparmia nessuno: analisti
finanziari, neurologi, ex prezzemoline televisive, preti, pescatori, onorevoli, scrit-
trici. Tutti vogliono avere un blog.
All’origine del boom c’è il passaparola, un meccanismo incontrollabile e
libero di informazione orizzontale tipico della Rete. Ma c’è soprattutto la facilità
del mezzo: per farsi un blog non serve conoscere i linguaggi di Internet, basta
collegarsi a uno dei siti che offrono il servizio. In meno di cinque minuti chiun-
que può disporre di una sua pagina web personale sulla quale pubblicare in
tempo reale i cosiddetti “post”: notizie, storie, opinioni, commenti, link. Dallo
scorso 25 ottobre, data in cui (primo in Italia) il sito Splinder.it ha messo on line
un programma che consente a chiunque di creare in poche mosse uno spazio
virtuale proprio e autonomamente gestito, sono nati 1100 nuovi blog e il traffi-
co di contatti sul sito registra un incremento del 20-30 per cento ogni giorno.
Situazione analoga per Clarence che ha debuttato con un servizio simile (Cla-
rence Free Blog) il 18 dicembre, e che, due giorni dopo, ne ospitava già 250.
Presto anche il portale Kataweb offrirà ai suoi visitatori la possibilità di costru-
irsi un blog. E tutti vogliono averne uno: la valanga è solo all’inizio e sconta in
Italia un ritardo di quasi due anni rispetto agli Stati Uniti, in cui l’esplosione
ebbe inizio già nel 2000. Già, ma una volta conquistato il proprio spazio globa-
le sulla rete, che cosa ci si mette dentro? A cosa serve avere un blog, a parte
soddisfare la propria vanità personale? A tutto, o quasi. C’è, ad esempio, il
parlamentare che lo usa per dialogare con il suo collegio, mostrando agli elet-
tori quanto è bravo e quanto lavora, come il forzista Antonio Palmieri, che offre
on line la cronistoria, caffè e spuntini compresi, delle sue giornate in Parlamen-
to. Ci sono i militanti di partito (come i diessini di Modena:dsmoden) che pro-
pongono weblog collettivi sperando di fare campagna elettorale. C’è il fanatico
di pesca con esche artificiali Michele Marziani che rivela quali sono i suoi tor-
renti preferiti per portare a casa tante grasse trote. Ma ci sono anche Gli amici
del prosecco, un gruppo di buontemponi goliardi e golosi che si scambiano
appuntamenti per cicchetti e “prosecco hour”. [...]
Intanto, i 3 mila e più blog italiani rivelano un mondo in continua espansio-
ne. Queste cifre, destinate ad aumentare nei prossimi mesi, farebbero pensare
Il testo pensato 67

a nuove, redditizie, potenzialità della Rete. Anche se, per adesso, nessuno ha
capito come si guadagna con i weblog. Splinder, che nasce da una costola di
Bloggando, il motore di ricerca dei blog italiani, vive grazie al lavoro notturno
e alla passione di un gruppo di trentenni che non hanno deciso se trasformare
il loro passatempo in un lavoro vero. Non è chiaro su quale punto fare leva per
generare profitto; di certo i blog rappresentano una sistema di publishing agile
e nuovo che potrebbe fare gola a molte aziende. Proprio dalle applicazioni
aziendali potrebbero arrivare i primi guadagni. Ma è presto: in questo momento
la destinazione principale dei weblog è amatoriale. Anche Clarence, portale on
line dal 1996 con 100 milioni di pagine visitate al mese, si mantiene fedele a
questo spirito, come spiega Gianluca Neri, ex di Cuore, tra i fondatori del
portale: “Nell’iniziativa Free Blog non ci sono fini commerciali di vendita né
statistici, volti a generare traffico”.
In questo senso i blog si collocano sul versante del free Internet, dal lato
opposto dell’idea di una Rete a pagamento e danno corpo, e parole, al Web
libero, gratuito e privo di censure, nella pluralità e diversificazione infinita delle
idee, delle opinioni, degli usi, dei costumi. I blogger vivono di scambi, discus-
sioni, rimandi da una pagina all’altra, continue interazioni, richiami reciproci,
link, attacchi personali e rappacificazioni.
[...] Ma come tutte le rivoluzioni, anche quella dei blog potrebbe presto
esaurirsi o istituzionalizzarsi. “Il rischio” osserva Carlo Formenti, saggista e stu-
dioso del rapporto tra nuove tecnologie e dinamiche sociali, “è quello insito
nella sensazione di totale libertà e onnipotenza data dai blog. Probabilmente,
come già ora accade in America, i blogger andranno incontro a censure e
contraccolpi di tipo giuridico o politico”.
Potrebbero arrivare querele, per esempio, o limitazioni della libertà di espres-
sione. Le conseguenze? “Maggiore attenzione e autocensura” continua Formen-
ti, “e poi una scrematura fisiologica (oggi circa il 60 per cento dei blog è costi-
tuito da diari personali) che eliminerà la fuffa e premierà i weblog più utili,
quelli di servizio, consolidandoli su livelli di alta professionalità.»

Conclusioni
La scrittura al tempo di Internet presenta alcune caratteristiche profondamente
innovative rispetto alla tradizione, anche se, con qualche forzatura, ci sforziamo
di riconoscere le tracce di uno sviluppo naturale, che, senza rotture sostanziali,
si evolve dalle origini fino ai supporti digitali.
Nella prima parte di questo capitolo si sono delineate le costanti di fondo
nella concezione del testo, che hanno rappresentato una linea di continuità nei
secoli, al di là delle innovazioni tecnologiche e dei cambiamenti sociali.
Forse è ancora difficile valutare appieno quanto grande sia, di fatto, l’impat-
to delle nuove tecnologie sul concetto di testo. Si parla oggi di “oralità di ritor-
no”, di una recuperata immediatezza della scrittura, di testi figurati e strutturati
come codici medioevali, cercando nel passato le conferme a un presente che
sicuramente va oltre a tutto questo.
68 Capitolo 1

Ma quali sono le certezze che le nuove pratiche di scrittura e i nuovi sup-


porti hanno definitivamente minato?
Di sicuro è inevitabilmente superata l’idea di testo come qualcosa di com-
piuto, delimitato da un inizio e da una fine stabiliti una volta per tutte. I nuovi
testi sono aperti e suscettibili di modifica per definizione.
In crisi è sicuramente il concetto di autore così come per anni lo si è inteso.
È vero che anche l’antica cultura orale non possedeva l’idea di un artefice
unico, ma non c’è dubbio che oggi il ruolo di colui che scrive il testo e lo offre
all’attenzione dei destinatari è difficilmente riconoscibile: tanti possono essere
gli autori di un testo elettronico, a partire dall’équipe che collabora alla stesura,
fino ad arrivare all’utente chiamato a partecipare alla “riscrittura” di una trama
mobile e mutante.
Il testo, poi, non è più un oggetto chiaramente identificabile: fluttua nell’ete-
re, impalpabile “come i bit senza peso”, prima di definirsi nell’atto della lettura,
unico momento in cui assume una reale consistenza.
Dilatando i confini di vecchie definizioni, il testo coincide oggi con uno
spazio di comunicazione in cui si verificano eventi e in cui si conciliano le
esigenze diverse dei lettori e degli autori.
L’antica dicotomia tra forma e contenuto si ripropone in termini nuovi,
secondo una molteplicità di aspetti che sarà indagata nel corso dei prossimi
capitoli. Proprio in virtù della loro natura digitale, intangibile e provvisoria, i
nuovi testi accentuano la separazione che di volta in volta si crea tra le parole,
il loro significato e la loro disposizione sulla pagina, tra i concetti e i codici
chiamati a esprimerli, tra il suono di un discorso e la sua resa grafica, tra il ritmo
di una frase e la sua dizione, tra un testo compiuto e il suo progetto, tra le
intenzioni dell’autore e i bisogni di chi legge. I supporti elettronici sembrano
ribadire l’idea che il testo finale è il risultato di una combinazione unica e
irripetibile di forma e contenuto, che si realizza solo al momento della lettura.
Come premesso, questo primo capitolo ha preso in esame una serie di
argomenti, dalla storia della scrittura fino alle tecniche di progettazione di un
testo e all’analisi del concetto di pubblicazione. Il filo rosso che tiene insieme i
paragrafi alquanto dissimili di queste pagine spero sia già chiaro al lettore. Il
rapporto tra il testo e la sua fase di progetto, tra quello che si considera il
risultato finale e il processo che conduce a esso è già un primo tentativo di
accostarsi all’idea di una scrittura che prevede due tempi: il tempo della forma
e quello del contenuto.

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