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La modernità letteraria

collana di studi e testi

diretta da
Anna Dolfi, Alessandro Maxia, Nicola Merola
Angelo R. Pupino, Giovanna Rosa

[45]
Sublime e antisublime
mella modernità
Atti del XIV Convegno Internazionale della MOD
13-16 giugno 2012

a cura di
Marina Paino e Dario Tomasello

con la collaborazione di
Emanuele Broccio e Katia Trifirò

Edizioni ETS
www.edizioniets.com

Il presente volume è pubblicato grazie al contributo


dell’Università degli Studi di Messina

© Copyright 2014
EDIZIONI ETS
Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa
info@edizioniets.com
www.edizioniets.com

Distribuzione
PDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze]

ISBN 978-884673945-2
PREFAZIONE

Dal secondo Settecento, il tema del Sublime è ben presente nella cultu-
ra letteraria e figurativa.
Una tragedia, sia reale sia finzionale, infligge di massima tormenti e
lacrime. Tuttavia può procurare pure «godimenti» [«Vergnügens»]. Non
sempre rubricati come tali, la cultura antica da Aristotele a Lucrezio non li
ignorò. Del tutto anomali, sono i godimenti del dolore: secondo i moderni,
frutti dell’Erhabene, del «sublime». La Philosophical Enquiry into the Ori-
gin of our Ideas of the Sublime and the Beautiful di Burke, uscita nel 1757,
fu tradotta anche in italiano fin dal 1804. Di quella Enquiry si individua
qualche traccia nella Kritik der Urteilskraft di Kant e nell’Estetica di Croce.
Sono queste, le radici filosofiche del tema che gli Atti in questione hanno
articolato: com’è ovvio in chiave prevalentemente letteraria e in ambito
prevalentemente italiano, ma senza escludere escursioni extra moenia.
La MOD (Società italiana per lo studio della Modernità letteraria) nel
celebrare, a Messina, il suo XIV convegno nazionale ha ancora una volta,
con il contributo prezioso di numerosi studiosi, misurato diacronicamente
il tempo lungo dello svolgimento sinuoso e contraddittorio di una catego-
ria concettuale complessa e feconda.
A sigillo del presente volume, in forma di postfazione, la preziosa testi-
monianza di un grande artista sublime e anti-sublime al contempo: Emilio
Isgrò.

Marina Paino e Dario Tomasello


Daniela Bombara

Dal tragico al grottesco:


l’esperienza del Sublime nell’Anello
di Ugo Fleres

Nel 1898 Ugo Fleres, scrittore messinese, amico di Capuana e Pirandello


e animatore dei circoli letterari romani, compone un romanzo, L’Anello, nel
quale sembra svolgersi la consueta parabola della forza creatrice del genio
poetico. Luigi Pirandello, in una recensione alquanto favorevole all’opera
di Fleres, ci racconta la storia del protagonista, Ottavio Gandolfi: «ricco di
censo, è un dotto dilettante di musica, dal placido animo». «[Egli], dopo
un lungo e perseverante lavoro di riordinamento, d’interpretazione, di sce-
veramento e di trascrizione»1, riesce a trarre da uno zibaldone di fogli da
musica, da un «oscuro flutto di note»2 – sono parole di Ugo Fleres –, un
melodramma di ardita concezione, l’Anello, tratto da un racconto fantastico

1
L. Pirandello, “L’Anello” romanzo di Ugo Fleres, in «Rassegna Settimanale Universale», 31
luglio 1898, firmato Giulian Dorpelli, ora in Saggi e interventi, a cura e con un saggio introduttivo di F.
Taviani e una testimonianza di A. Pirandello, Milano, Mondadori, 2006, p. 422. Su Ugo Fleres, interes-
sante figura di intellettuale poliedrico – poeta, romanziere, librettista, critico d’arte, bozzettista – non
abbiamo ancora uno studio complessivo, che ne inquadri la copiosa produzione artistica nel contesto
culturale dell’epoca. Fino a pochi anni fa potevamo annoverare pochi lavori relativi ad aspetti partico-
lari del personaggio, focalizzato dalla critica, in ogni caso, soprattutto per i rapporti amicali con scrittori
più noti. Il seguente elenco non pretende di essere esaustivo, ma di fornire un primo orientamento nel
corpus, per altro esiguo, della critica fleresiana. G. Mazzoni, Poeti giovani: testimonianze d’un amico:
Giovanni Marradi, Ugo Fleres, Cesare Pascarella..., Napoli, Perrella, 1916; T. Gnoli, Un cenacolo lette-
rario: Fleres, Pirandello e compagni, in «Leonardo», VI, 1935; G.E. Calapaj, Ugo Fleres, Messina, Reale
Accademia Peloritana, 1941; E. Giudici, Luigi Capuana e Ugo Fleres alla luce di un carteggio inedito,
«Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia», Università di Macerata, Padova, Antenore, 1976, pp.
107-164; C. Gallo, I romanzi “bizantini” di Ugo Fleres, in «Le Forme e la Storia» n.s. V (1993), poi in
Secondo Ottocento minore e sconosciuto, Roma, 1999, pp. 11-59; C. Gallo, La città di Roma nei romanzi
“bizantini” di Ugo Fleres, in La città e l’esperienza del moderno (Convegno MOD 2010), a cura di M.
Barenghi, G. Langella, G. Turchetta, III, Edizioni ETS, 2012, pp. 249-263; T. Russo, Ugo Fleres: gli
scritti d’arte, tra edito e inedito, Catania, Maimone, 2012.
2
U. Fleres, L’Anello, Milano, Fratelli Treves Editori, 1896, p. 8.
152 SUBLIME E ANTISUBLIME NELLA MODERNITÀ

di Prosper Mérimée, La Vénus d’Ille3. Nel manoscritto di appunti da cui


emergerà l’opera si mescolano, in un caos apparentemente informe, «squar-
ci assolutamente disparati, contraddittori, profani»4, «canzoni allegre e li-
bertine, balzanti fuori dalle pagine severe, come lugubri, oscene risate»5; in
mezzo a questa massa disordinata, Gandolfi isola un nocciolo artistico, per
quanto annegato in uno «zibaldone» che era «una specie di palinsesto; qua
e là un frammento si sovrapponeva ad altri frammenti eterogenei»6.
Ed ecco quindi che il melodramma L’Anello nasce già nel segno del
Sublime romantico: ricordiamo, fra tanti, Schiller, che nel noto saggio del
1801, Über Das Erhabene, vede l’esperienza sublime scaturire dal caotico;
essa è quindi di per se stessa ossimorica e vive di intime contraddizioni,
rivelando per questa via all’uomo la propria superiorità morale ed intel-
lettiva, che non obbedisce alle leggi della causalità naturale7. Ancora più
significativo la riflessione di Schelling nell’assegnare al caos una valenza
determinante nella configurazione del Sublime, in quanto immagine pri-
maria dell’infinito: «comprendiamo come proprio l’informe sia ciò che, con
maggiore immediatezza, diventa per noi sublime, cioè simbolo dell’infinito
in quanto tale»8, perché «l’informe è assenza di limite, sia in positivo che
in negativo, vale a dire è l’impenetrabile confusione dei fenomeni oppure la
forma perfetta, in cui ogni limite esterno è stato eliminato. Nel primo caso
abbiamo il caos, nel secondo la forma assoluta»9.
Spetta allora alla creatività dell’artista riordinare il coacervo di fogli di
musica e assegnare loro una struttura, che travalichi le normali coordinate
della ragione e del gusto imperante; infatti il dramma che ne risulta è inso-
litamente moderno, perché caratterizzato da un disegno armonico combat-
tivo e sinergico, che viene subito riconosciuto dai critici, venuti ad ascoltare
3
Pubblicato per la prima volta il 15 maggio 1837 sulla «Revue des Deux Mondes», racconta la
cupa vicenda di una statua di Venere che si anima e uccide chi ne ha provocato il ‘risveglio’; il racconto
è fra i primi esempi di un sottogenere che è stato definito del ‘fantastico archeologico’, in cui oggetti e
luoghi dell’antichità costituiscono la causa scatenante di una serie di eventi straordinari.
4
U. Fleres, L’Anello cit., p. 6.
5
Ivi, p. 7.
6
Ivi, p. 6.
7
F. Schiller, Über Das Erhabene, in Sämtliche Werke, hrsg. von G. Fricke und H.G. Göpfert,
Darmstadt 1993, vol. V, pp. 792-808 [trad. it. Sul sublime, a cura di L. Reitani, Milano, 1989]. Afferma
al riguardo Giovanna Pinna: «Il senso di libertà che scaturisce dal sublime ha a che fare con la percezio-
ne dell’indipendenza della ragione dalle condizioni naturali, che sul piano cognitivo si manifesta nella
capacità della fantasia di rappresentarci ciò che per i nostri sensi e per l’intelletto finito è inconcepibile,
e sul piano dell’esistenza morale nella capacità di pensare e di agire in contrasto con la causalità natura-
le» (G. Pinna, Il sublime romantico. Storia di un concetto sommerso, Aesthetica Preprint, 2007, p. 21).
8
F.W.J. Schelling, Philosophie der Kunst, Sämmtliche Werke, vol. 5, p. 464; trad. it. Filosofia
dell’arte, a cura di A. Klein, Napoli, 1986, p. 148.
9
G. Pinna, Il sublime romantico cit., p. 35.
Dal tragico al grottesco 153

un primo saggio dell’Anello, come «del Wagner, del più puro Wagner»10. Il
pubblico, dopo aver rifiutato, ad un primo impatto, «un’opera per concetto
e per forma tanto diversa dalle consuete»11, è gradatamente invaso dall’en-
tusiasmo:

il melodramma incalzava, conquideva tutti, ne riempiva l’animo con un senso d’al-


ta e crescente meraviglia […]. Molte signore si alzarono in piedi nei palchetti; per
un quarto d’ora i cantanti rimasero immoti, in silenzio, quasi intimiditi. Un ge-
neroso delirio s’impadroniva del teatro; alfine attori, orchestra, pubblico parvero
mossi da una medesima folata gigantesca […]. Dall’intero teatro sorse un grido,
lungo, unico grido, in cui le estreme battute s’ingolfarono.12

L’esaltazione, il senso di smarrimento di fronte a un oggetto o evento di


eccelsa grandezza è, fin dal trattato Perì Hýpsous dello Pseudo Longino, il
segnale determinante degli effetti del Sublime sull’animo umano, poiché
la percezione del meraviglioso si accompagna a un senso di sopraffazione,
e tale concetto ritorna nella teorizzazione del sublime dinamico kantiano,
di fronte al quale l’uomo prende coscienza dei propri limiti; l’esperienza
di ascolto dell’Anello appare quindi come un fatto emozionale di grande
potenza, ma al tempo stesso come profonda esperienza intellettuale. Essa
conduce lo spettatore ad accostarsi all’Assoluto, superando i propri limiti
sensoriali e accedendo ad una superiore forma di conoscenza, di cui è se-

10
G. Pinna, Il sublime romantico cit., p. 50. Sul Sublime wagneriano sono note le affermazioni
di Baudelaire, che ascolta il Tannhäuser, il Tristan und Isolde ed il Lohengrin fra gennaio e febbraio
1860, e pubblica un saggio dal titolo Richard Wagner et Tannhäuser à Paris in «Revue Européenne» del
1 aprile 1861, definendo la musica di Wagner «qualcosa di elevato e che eleva». Egli insiste sul “paros-
sismo”, “sull’eccesso”, sulla “straordinarietà” di quella musica sublime (Cfr. G. Salvetti, Baudelaire e
Wagner, in Id., a cura di, Poesia e musica nella Francia di fine ‘800, Milano, Unicopli, 1988, pp. 33-37).
L’inarrivabile perfezione e al tempo stesso ‘terribilità’ e suprema bellezza della musica wagneriana è
ben presente nella cultura italiana del tempo; D’Annunzio, ad esempio, magnifica più volte nei suoi
romanzi «l’irresistibile fascino e la coinvolgente grandezza» dell’autore tedesco (C. Santoli, Gabriele
D’Annunzio: la musica e i musicisti, Roma, Bulzoni, 1997, p. 323); nel Trionfo della morte l’ascolto del
preludio dal Tristan und Isolde suscita sentimenti violenti e contrastanti e un’invincibile aspirazione
all’Assoluto: «l’anelito dell’amore verso la morte irrompeva con una veemenza inaudita, il desiderio
insaziabile si esaltava in una ebrezza di distruzione […]. E quell’immenso vortice di armonie li avvilup-
pò entrambi irresistibilmente, li serrò, li trascinò; li rapì nel “meraviglioso impero”» (G. D’Annunzio,
Il Trionfo della morte, libro sesto, cap. I). Lo stesso teatro francese di D’Annunzio, nel quale azione,
musica e componente visiva concorrono insieme ad un effetto di grande potenza drammatica, consente
anche ai critici moderni di parlare, come per Wagner, di «poetica del meraviglioso e del sublime, che
suscita, attraverso la magia dei colori e delle sue forme sensuali, stupore e ammirazione nel pubblico»
(C. Santoli, L’identità europea del teatro francese di Gabriele D’Annunzio, in «Sinestesie. Rivista di
studi sulle letteratura e le arti europee», Anno II, 2004, I° quaderno, pp. 99-104; p. 101).
11
G. Pinna, Il sublime romantico cit., p. 75.
12
U. Fleres, L’Anello cit., pp. 101-102.
154 SUBLIME E ANTISUBLIME NELLA MODERNITÀ

gnale l’urlo smisurato che manifesta la ‘comprensione’ di una nuova musica


e di una nuova realtà.
La rappresentazione dell’Anello costituisce l’apice della fama per Gan-
dolfi, che non riesce più a ripetere una performance così eccelsa, e tenta
disperatamente di bissare il successo con un mediocre Saul, che ottiene un
fiasco clamoroso; più gradita un’operetta, Marinella, ma essa piace al pub-
blico proprio perché di infima qualità.
Gandolfi, preso di mira dagli impresari sfruttatori, costretto ad asser-
virsi a un pubblico borghese che poco intende d’arte, si rovina economica-
mente nel tentativo di tamponare i sempre più frequenti insuccessi.
Fino a questo momento il romanzo sembra rientrare in un consueto
quadro ideologico di fine Ottocento, focalizzato sulla ‘presenza’ sofferta
del genio nella società moderna, e sull’esaltazione della grandezza dell’arte,
privilegio di poche anime elette, a cui fa da contraltare il disprezzo per il
mondo borghese, dedito solamente al profitto.
Ma la storia che abbiamo raccontato sino ad ora è solo quella, di super-
ficie, che si squaderna davanti agli occhi degli amici, e dei nemici, di Gan-
dolfi; sotto il velo dell’apparenza si rivela una vicenda diversa.
L’Anello non è di Ottavio; egli lo ha ritrovato fra le carte di un ami-
co morto, Silvestro Cosmalis, e si è indebitamente appropriato dell’opera
eccelsa con il segreto proposito, una volta che fosse riuscita a metterla in
scena, di rivelare il nome dell’artista, per riscattare il nome e la figura di
un uomo dalle splendide qualità, ma costretto da una società che non ne
riconosceva i meriti a suicidarsi. Intanto invia il libretto del melodramma a
un’amica di cui è innamorato, Lauretta Sabelli, per condividere la propria
scoperta con qualcuno di cui apprezza il gusto artistico. Come osserva
Pirandello nella sua recensione, Gandolfi resta legato a una maschera di
artista geniale che finisce per trasformare la sua stessa identità di individuo
e di intellettuale:

Così la posizione del Gandolfi diviene veramente tragica: egli patteggia con la pro-
pria coscienza: come il Cosmalis ha avuto bisogno di lui per trionfare, così ora egli
ha bisogno del Cosmalis fintanto che comporrà un’opera veramente sua, tutta sua
[…]. Questa situazione tragica cresce tanto più, man mano, in potenza, quanto più
l’impotenza propria appare manifesta al Gandolfi, privo assolutamente di facoltà
creativa. Egli odia ora L’Anello, che gli sta dinanzi e lo sfida.13

La ‘sublimità’ di Gandolfi è dunque una finzione: egli non è un vero ar-


tista, non ha composto un’opera di eccezionale qualità, e non riesce in alcun
13
L. Pirandello, “L’Anello” cit., pp. 424-425.
Dal tragico al grottesco 155

modo a superare gli angusti confini del suo mediocre intelletto. Perfino il
Saul è frutto di un plagio:

Messo alle strette, egli aveva pagato un oscuro maestro, sapiente e facilone, perché
lo ajutasse nella strumentazione del Saul, e non nella sola strumentazione.14

E il libretto della Marinella è quanto di più ‘antiartistico’ si possa im-


maginare:

un drammuccio sconnesso, una serie di scene a cannocchiale, passibili di raccor-


ciamenti e di stiracchiature, e formanti un prologo e un atto ben infarciti di quelle
situazioni che il pubblico ingolla per forza d’abitudine.15

Il melodrammuccio in precedenza era stato definito «un mostriciattolo»,


termine emblematico che circoscrive compiutamente l’esperienza poetica,
ed anche umana di Gandolfi: un antigenio, che non è capace di costruire
opere sublimi ma piuttosto ‘mostruose’ nella loro assoluta volgarità (Mari-
nella) o inconsistenza drammatica (Saul). Il percorso sofferto di Ottavio si
configura secondo una vera e propria estetica del brutto che si risolve, per
usare le parole di Schlegel – fra i primi a tentare una strutturazione concet-
tuale di questa categoria con determinazioni autonome – in

pesante pedanteria, al posto di una forza viva una massa morta. Invece che da
un’armoniosa tensione realizzata nel benefico alternarsi di movimento e quiete, la
nostra partecipazione viene rapita in direzioni contrapposte da uno strappo dolo-
roso. Quando l’animo desidera la pace viene tormentato da un furore che porta
alla rovina, quando invece aspira al movimento viene fiaccato da una trascinante
spossatezza.16

Nell’esperienza del brutto l’uomo avverte con angoscia la costrizione dei


propri limiti fisici e morali, e non riesce a superarli tramite lo slancio crea-
tivo; la stessa aspirazione alla bellezza, o ancor di più al sublime artistico,
viene avvertita come vincolo, che sempre più pesa sul libero agire. Quando
Ottavio comincia a rielaborare l’Anello, la ‘coazione alla creatività’ si impa-
dronisce di lui, e la stessa personalità del Cosmalis comincia a inquinarne
l’identità.

14
U. Fleres, L’Anello cit., p. 285.
15
Ivi, p. 193.
16
F. Schlegel, Uber das Studium der Griechiechen Poesie (1795-1797), trad. it. di G. Lacchin e
M. Gianchetti, Sullo studio della poesia greca. I greci e i romani. Saggi storici e critici sull’antichità classi-
ca, a cura di G. Lacchin, Mimesis Edizioni, 2008, p. 97.
156 SUBLIME E ANTISUBLIME NELLA MODERNITÀ

Da che l’opera di Silvestro Cosmalis era entrata nella sua vita, Ottavio aveva co-
minciato a dissomigliarsi […]. Certo, qualcosa dell’anima del suicida si era trasfu-
sa nell’Anello, e poiché L’Anello aveva riempito di sé gran parte dell’esistenza di
Ottavio, qualcosa di quell’anima vibrava nei nervi di lui […]. Silvestro Cosmalis,
il morto, s’impadroniva dell’anima d’Ottavio già apparecchiata a quella invasione.
Ed ora lo spirito schiavo, incosciente della propria schiavitù, si preparava a riceve-
re il giogo della gloria, porgeva i polsi alle catene della gloria.17

Ma fra Ottavio e il suo doppio ‘artistico’ non si verifica alcuna coinciden-


tia oppositorum; nessun arricchimento è possibile, perché Gandolfi è vuoto
dentro, capace di riconoscere il fatto artistico ma non di crearlo, perché
in lui tutto rimane in superficie. Come dice ancora Schlegel definendo il
brutto:

L’opposto di una ricca pienezza è la vuotezza, cioè la monotonia, l’uniformità, la


mancanza di spirito. All’armonia si contrappongono il contrasto e il conflitto. Un
misero disordine è quindi opposto a ciò che è propriamente bello in senso stretto.
Il bello in senso stretto è l’apparenza sensibile di una molteplicità finita in una
unità limitata. Il sublime invece è l’apparenza sensibile dell’infinito: di una pie-
nezza infinita o di un’armonia infinita. Esso possiede quindi un duplice contrario:
mancanza infinita e disarmonia infinita…18

Lo slancio creativo del genio, questo è impossibile per Ottavio, ‘uomo


senza qualità’. Gandolfi sperimenta allora su se stesso la

condizione necessaria del brutto, […] un’attesa tradita, un desiderio acceso e poi
deluso. Il sentimento della vuotezza e del conflitto può crescere dal semplice di-
sagio fino alla più furiosa disperazione, sebbene il grado di negazione rimanga il
medesimo e aumenti soltanto la forza intensiva dell’impulso.19

Egli arriva alla «bruttezza sublime», al «dolore assoluto e compiuto»20,


quando scopre con orrore che neanche la più semplice idea musicale è un
parto della sua mente, ma tutto è derivato, copiato, trafugato al Cosmalis.
Il giovane elabora infatti con inusitata facilità un epitalamio per una cop-
pia di giovani sposi, ma una volta a casa la fragile idea musicale si attenua
ulteriormente; Ottavio apre un cassetto della scrivania per cercare fogli da
musica, onde fissare la debole ispirazione, ma dal cassetto

17
U. Fleres, L’Anello cit., pp. 120-121.
18
F. Schlegel, Sullo studio della poesia greca cit., p. 98.
19
Ibidem.
20
Ibidem.
Dal tragico al grottesco 157

lo scartafaccio del Cosmalis apparve, quasi schizzò fuori. Ottavio indietreggiò


[…]. Quel che egli voleva scrivere era scritto lì […], la melodia dell’epitalamio era
lì, eccola, uno scarabocchio di traverso, su quattro righi sovrapposti con la penna
ai righi stampati; l’ispirazione subitanea era un plagio, un ricordo incosciente, un
furto… eccola, una canzonetta buttata giù per un tozzo di pane, chi sa, canta-
ta forse da una sgualdrina seminuda in un caffè-concerto, accompagnata forse a
squarciagola dagli spettatori…21

Doppio deformato del genio, Ottavio ha propagandato come vera ispi-


razione quella che per l’artista defunto era una melodia triviale, da quattro
soldi; ma neanche a quel minimo livello Gandolfi riesce ad arrivare, tanta
è la pochezza della sua mente creatrice. La via crucis del protagonista ci
mostra in atto un «sublime rovesciato», nel quale finito ed infinito colli-
dono piuttosto che coincidere nell’oggetto artistico, e l’infinito annienta la
finitezza dell’essere umano22.
Dopo il trionfo comprato della Marinella tutto di Ottavio – aspetto fisico
malato, vestiario disordinato, gesti eccessivi e comportamenti contradditto-
ri – mostra ormai una personalità disgregata:

Aveva un certo andar gioviale e sconvolto, pareva balzato allora dal letargo seguito
a un’orgia. Evidentemente quell’apparenza d’ilarità gli costava assai; li occhi erano
stanchi, il colorito, d’ordinario sì fiorente, era squallido, le vesti mostravano un
certo disordine […], le parole gli uscivano dalla bocca sformate per un’enfasi ridi-
cola e tragica insieme, amarissima.23

Il personaggio è diventato quindi grottesco; e prima di approdare defini-


tivamente a una «bruttezza sublime», che risulta, come afferma Schlegel, di
grande pienezza e forza nell’opera d’arte24, prima di diventare quindi una
21
U. Fleres, L’Anello cit., p. 215.
22
Il concetto di “sublime rovesciato”, introdotto da Jean Paul Richter. nel Vorschule der Ästhe-
tik, Werke, hg. von N. Miller, Hamburg, 1804; Darmstadt, 2000, I, V [trad. it. Il comico, l’umorismo e
l’arguzia, a cura di E. Spedicato, Padova, Il poligrafo, 1994], appare comunque molto più complesso di
quanto possano esprimere questi brevi cenni; secondo Jean Paul, infatti, esso coincide sostanzialmente
con l’idea di umorismo, che arriva a distanziare, parodicamente, il contrasto fra limitatezza dell’umano
e infinito, stravolgendo i rapporti di forza e di grandezza, per cui «nella sua qualità di sublime alla ro-
vescia, introducendo il contrasto con l’idea, l’umorismo non annichila l’individuale bensì il finito. Esso
non conosce né stoltezze né uomini stolti, ma solo la stoltezza e un mondo insensato; a differenza del
volgare burlone, con le sue stoccate, l’umorista non mette mai in risalto la follia degli individui» (J.P.
Richter, Vorschule der Ästhetik, Werke, hrsg. von N. Miller, Hamburg, 1804; Darmstadt, 2000, I, V,
p. 132; trad. it. p. 125). è l’idea negativa della finitezza che viene dunque chiamata in causa e discussa,
piuttosto che gli innegabili limiti del singolo.
23
Ivi, p. 271 e p. 279.
24
F. Schlegel, Sullo studio della poesia greca cit., p. 98. «Nel senso più stretto del termine un brutto
al massimo grado è chiaramente così poco possibile quanto un bello al massimo grado. In qualsiasi rap-
158 SUBLIME E ANTISUBLIME NELLA MODERNITÀ

vera figura tragica trasformandosi definitivamente nel Cosmalis e annien-


tando, per tale via, il proprio essere, Gandolfi deve percorrere le umilianti
regioni del ridicolo, abbassare parodicamente la genialità che lui falsamente
incarna per potersi poi ricongiungere al Genio, all’Assoluto della perfezio-
ne artistica.
Impossibilitato a creare, Ottavio esibisce, clown di se stesso, il processo
della creazione, evidenziando di fatto la sua impotenza, la sua ‘antisublimi-
tà’; diventa un docile burattino, pronto a inchinarsi al pubblico, a offrirsi
senza pudori, comparendo in proscenio dopo la Marinella, venti, quaranta
volte. Enrico Delfino, suo rivale, commenta velenosamente: «Il maestro ha
smesso la pericolosa modestia che in Roma ci stupì tanto, e mostra invece
una docilità a gli ordini del pubblico, una prodigalità di se stesso da inte-
nerire i più riottosi»25.
L’iter conoscitivo di Gandolfi passa quindi attraverso le antinomie, le
profonde lacerazioni della realtà e le ricompone, sia pure attraverso una
sofferta Kenosis, prima della propria dignità (il ridicolo), poi della propria
persona (la follia e la morte)26.
Ma in un romanzo costruito su un gioco di rispecchiamenti, dove quasi
ogni personaggio ha un suo Doppio27, almeno Ottavio riesce a ricongiun-

presentazione un livello massimo incondizionato di negazione, o il nulla assoluto, si può dare così poco
quanto un livello massimo incondizionato di positività, e nel livello più alto che la bruttezza possa rag-
giungere è comunque contenuto qualcosa di bello. Anzi, persino per rappresentare la bruttezza sublime
e per svegliare la parvenza di una vuotezza infinita e di una disarmonia infinita, è necessaria la più grande
misura di pienezza e di forza. Le componenti del brutto sono quindi in conflitto persino fra loro».
25
F. Schlegel, Sullo studio della poesia greca cit., p. 241. Ottavio diventa la caricatura del musi-
cista di successo. Importante il ruolo della caricatura nella dialettica bello-brutto, individuata con chia-
rezza da Karl Rosenkranz nella sua Estetica del brutto: «La caricatura, estrema disorganizzazione del
bello, consiste nella manifestazione suprema del brutto, che quindi si scontra da una parte con il bello e
dall’altra con il comico. Il brutto, dopo aver stravolto il sublime in volgare e il piacevole in ripugnante,
trasforma il bello assoluto in caricatura che è quindi “l’apice” del brutto e trapassa in comicità in quan-
to, dopo averlo esasperato e distorto, lo deforma a tal punto da renderlo innocuo se non comico». (P.
Giordanetti, M. Mazzocut-Mis, Rappresentare il brutto, Napoli, Scriptaweb, 2006, pp. 38-39).
26
Un ‘sacrificio’ che è poi quello dell’arte moderna, dove, come afferma Giuseppe Panella, luo-
ghi privi di dignità e decoro, quali il circo o il baraccone da fiera, diventano oggetto di poesia: “La pre-
senza del Sublime invade l’universo mondanizzato della tecnica e si palesa nella Kenosis che denuncia
definitivamente la non-sacralità dell’arte” (G. Panella, Rifrazioni del sublime dall’orrore al grottesco,
in «Retroguardia quaderno elettronico di critica letteraria» a cura di F. Sasso, n. 17, p. 16). E un vero e
proprio ‘circo’ appaiono i ritrovi dove si riuniscono cantanti volgarissime, impresari venali; una cornice
di totale bassezza in cui Gandolfi tenta comunque di attuare il suo progetto.
27
I nemici di Gandolfi sono due – il nobile Enrico Delfino e il borghese Ludovico Saracini –, ed
entrambi sono innamorati di Laura; la giovane ha un’amica, Ester, che come lei insegue un amore im-
possibile; oltre a Ottavio, anche un altro giovane era grande amico di Cosmalis e ne ricorda e fa rivivere
la musica, Alberto Moro, fidanzato con Ester.
Dal tragico al grottesco 159

gersi con il «suo modello, suo eroe»28, trasformandosi in Silvestro Cosmalis.


Lo stesso romanzo si sdoppia anni dopo nel melodramma L’anneau nup-
tial, di cui Fleres scrisse il libretto, musicato da Armand Marsick, e messo
in scena con successo il 3 marzo 1928, nel Théâtre Royal de la Monnaie
di Bruxelles. L’autore del romanzo scrive dunque la storia di un musicista
dilettante che ruba un Anello a un compositore defunto, ma poi scrive vera-
mente il melodramma in questione, quindi di fatto copia se stesso e sdoppia
il plagio, impersonando nella realtà la coppia letteraria Gandolfi/Cosmalis.
Ma ancora più significativa è l’accusa effettiva di plagio che viene mossa
a Fleres dopo la pubblicazione del suo romanzo; poco prima infatti Otto-
rino Novi, scrittore ferrarese, aveva dato alle stampe L’esca, che presenta
quasi la stessa storia: il facoltoso Riccardo Alfano, amico e protettore di
Peppino Valvo, musicista povero e geniale, alla morte di questi ne ruba l’o-
pera spacciandola per propria. In calce al proprio romanzo Fleres si difen-
de debolmente dalle critiche29, che comunque proseguono imperterrite, al
punto che quasi tutte le recensioni all’Anello discutono il romanzo di Fleres
mettendolo in relazione con quello del Novi.
Anche su questo Pirandello ha qualcosa da dire, e le sue riflessioni sono
illuminanti perché vanno al nocciolo del problema: difendono infatti una
nuova concezione del prodotto letterario, post-romantica, e ormai piena-
mente novecentesca. Sul «Don Chisciotte di Roma» del 1898 Pirandello
scrive una nota, Per l’Anello di Ugo Fleres in cui, parlando della somiglianza
fra l’Anello e l’Esca, afferma che i critici dovrebbero focalizzare, più che le
somiglianze contenutistiche, le modalità di trattazione, anche variata e com-
binatoria, di motivi affini, che sicuramente differisce nei due autori; non è
quindi la presunta originalità di uno spunto creativo a essere messa in gioco,
ma la capacità di ‘lavorare’ sugli elementi testuali. Afferma Pirandello:

Dato che la critica, ripeto, per esaminare il romanzo del Fleres, voleva prendere
soltanto la via del raffronto (via in certo qual modo odiosa), doveva, secondo me,
chiamare i lettori a giudicare qual dei due scrittori nel trattare il tema, nel quale
stranissimamente si erano incontrati, avesse saputo meglio inventare, trovar cioè,
come ho detto sopra, mezzi più fecondi d’effetti artistici, più ingegnosi, più orga-
nici e più propri.30

28
U. Fleres, L’Anello cit., p. 5. Il romanzo risulta labirintico nel suo squadernarsi di figure che
si rimandano l’una all’altra, in un’ossessione del Doppio che è desublimante, se consideriamo che lo
slancio creativo verso il Sublime ha di per se stesso carattere di unicità.
29
Dopo l’ultima pagina del romanzo compare una lettera aperta Ai lettori, con la quale Fleres
ipotizza una sorta di coincidenza, a livello creativo, fra il suo romanzo e quello di Novi; entrambe le
opere avrebbero sviluppato, parallelamente, tematiche affini.
30
L. Pirandello, Per l’Anello di Ugo Fleres, ora in P. Casella, Strumenti di filologia pirandellia-
160 SUBLIME E ANTISUBLIME NELLA MODERNITÀ

Egli quindi, afferma Ivan Pupo in un volume di Interviste a Pirandel-


lo, «invita la critica e i lettori comuni a ridimensionare il mito romantico
dell’originalità assoluta, l’importanza dell’inventio e a valorizzare invece
il modo diverso, gli strumenti formali differenti con cui ciascuno dei due
scrittori aveva trattato la stessa storia»31. In ogni modo, al di là del caso spe-
cifico, osserva ancora Pupo, è il suo atteggiamento nei confronti del plagio
a risultare complesso e sostanzialmente ambivalente:

da una parte è una perversa operazione di ‘magia nera’, da condannare senz’altro


perché incompatibile con la sua teoria estetica ‘ufficiale’ (quella in cui ‘romanti-
camente’ si concepisce l’opera d’arte come organismo che si sviluppa spontane-
amente, secondo la sua necessità interiore); dall’altra è un procedimento tipico
della scrittura pirandelliana, conforme ad un’altra visione dell’opera, inconfessata
e nascosta, latitante negli scritti teorici, ma viva nella pratica del lavoro (quella
di tipo ‘combinatorio’, in cui si concepisce il testo come un assemblaggio aperto,
occasionale, di frammenti sempre riutilizzabili dallo stesso autore o da altri per la
produzione di altri testi).32

Il modus operandi pirandelliano ci mostra dunque quanto siano ormai


sorpassate le poetiche romantiche, e inaugura una percezione dinamica,
mossa, conflittuale e tragica del meccanismo della creazione, ed anche, ciò
che è più importante, partecipata e compassionevole. Pirandello difende
Fleres dall’accusa di plagio ma lo giustificherebbe anche se ‘avesse copiato’;
ugualmente, Ugo Fleres mostra lo stesso atteggiamento di comprensione
e quasi di complicità nei confronti del suo protagonista che, oppresso da
una irrisolvibile mediocrità, cerca comunque di venire a patti con i misteri
dell’invenzione artistica, e assembla, recupera materiali, faticosamente ten-
ta di costruire una ‘sua’ opera di accettabile originalità, fino a trasformarsi,
magicamente, nell’icona dell’artista romantico: sofferto, povero, disilluso.
Gianni Carchia, parlando del sentimento del contrario di Pirandello, affer-
ma che «l’umorismo qui, allora, non è già un sublime rovesciato, bensì qua-
si il solo punto a partire dal quale, per noi, il sublime stesso è accessibile»33.
Possiamo dunque concludere dicendo che la vicenda – tragica e ridicola
insieme – di Ottavio Gandolfi approda a un nuovo Sublime: più ricco, più
pieno, più dolorosamente vero.

na. Complemento all’edizione critica delle “Novelle per un anno”, saggi e bibliografia della critica, Longo,
1997, p. 145.
31
Interviste a Pirandello “Parole da dire, uomo, agli altri uomini”, a cura di I. Pupo, pref. di N.
Borsellino, Cosenza, Rubbettino, 2002, p. 91, nota 2.
32
Ibidem.
33
G. Carchia, Retorica del sublime, Bari, Laterza, 1990, pp. 183-184.
INDICE DEL VOLUME

Prefazione
Marina Paino e Dario Tomasello 5

RELAZIONI

Marco Antonio Bazzocchi


Vertigine e volo cosmico: Pascoli/Pasolini 9

Simona Costa
Il sublime dal tragico di Alfieri all’umorismo di Pirandello 21

Mario Domenichelli
Del sublime, dell’origine, del vuoto, del grottesco nella modernità 45

Marco Manotta
Sotto la soglia della modernità. Leopardi e il poetico sublime 63

Antonio Saccone
Sublime e antisublime tra crepuscolari e avanguardie 89

Baldine Saint Girons


Il Kitsch come principio dell’antisublime 103

Gianni Turchetta
La coazione al sublime nel Novecento letterario italiano:
peripezie di una impossibile necessità 117
922 SUBLIME E ANTISUBLIME NELLA MODERNITÀ

COMUNICAZIONI

Federica Adriano
Pirandello, ovvero il sublime e l’antisublime della follia 141
Daniela Bombara
Dal tragico al grottesco: l’esperienza del Sublime nell’Anello
di Ugo Fleres 151
Emanuele Broccio
Travestimento antisublime delle passioni. Figure del teatro
ruccelliano 161
Bartolo Calderone
Comisso, (l’astronauta) Petrarca e l’avvenire di una sublimazione 169
Alberto Carli
«L’anima illuminerà di sinistra luce l’abisso». Sublime e antisublime
nelle Strenne del Pio Istituto dei Rachitici di Milano 179
Loredana Castori
Ifigenia e la dimensione del sublime nel secondo Settecento 191
Silvia Cavalli
La sublimità (e l’antisublimità) dell’invenzione linguistica:
Isabella delle acque di Giancarlo Buzzi 205
Sandra Celentano
L’antisublime e la malattia: Il poema osceno di Ottiero Ottieri 219
Gianni Cimador
L’eccesso dell’irrappresentabile: Carmelo Bene e l’impossibilità
del sublime 231
Angela Cimini
Un esempio di scrittura d’attore antisublime: Il figlio di Iorio
di Eduardo Scarpetta 257
Carmela Citro
Una grande amara risata…
“Il Rinoceronte” di Eugène Jonesco nella lettura di Glauco Mauri 267
Vincenza D’Agati
«La nudità e scabrosità delle vette disalberate». Il sublime
di Giuseppe Antonio Borgese 275
Roberta Delli Priscoli
Tragico e comico, sublime e antisublime nell’opera di Alberto Savinio 289
INDICE DEL VOLUME 923

Ida De Michelis
Il sublime ungarettiano del povero monello 301

Sandro De Nobile
L’umanissimo sublime. Le epifanie del Male in Giorno dopo giorno
di Salvatore Quasimodo 311

Maria Cristina Di Cioccio


Beata Beatrix in D’Annunzio, Gozzano, Pavese 319

Maria Dimauro
Vertige de l’hyperbole: La Piramide di Aldo Palazzeschi 331

Martina Di Nardo
Anima attonita e tragico riso nella prima produzione onofriana 345

Novella Di Nunzio
Rubè tra guerra e dopoguerra: sublimazione narrativa
e antisublime come strategia di ricostruzione 359

Vincenza Di Vita
Sublime e antisublime nell’estetica della perversione
di Tommaso Landolfi 371
Monica Faggionato
Sublime e antisublime in Stefano Benni. La poetica della Rêverie 377
Patrizia Farinelli
Fantasticare lacerante estatico in terra di provincia: sul sublime
tardo-moderno nel Delfini di Ritorno in città 383
Federico Fastelli
Sublimazione e desublimazione. Effetti, operazioni e condizioni
di possibilità del sublime nell’opera di Edoardo Sanguineti 395
Francesca Fistetti
«Accaniti riti». Sublimazioni liriche e conquista del reale
nella poesia di Patrizia Valduga 405
Silvia Freiles
L’antisublime di Bartolo Cattafi tra tradizione letteraria
e avanguardie informali 415
Luca Gallarini
Sublime e «satire tra amici» nelle opere di Giuseppe Rovani 427
924 SUBLIME E ANTISUBLIME NELLA MODERNITÀ

Cinzia Gallo
Verso Pirandello: il dibattito sull’umorismo nella Sicilia
di secondo Ottocento 439
Rosalba Galvagno
L’oggetto sublime nei Viceré di Federico De Roberto.
La leggenda della Beata Ximena 453
Angela Francesca Gerace
Fenomenologia del sublime scapigliato: la lirica
di Giuseppe Cesare Molineri 465
Gloria Maria Ghioni
Il sentimento che «spaura»: Inventario privato di Elio Pagliarani 479
Andrea Gialloreto
Concertino per rane. Il poeta come “usignolo del fango 491
Alessio Giannanti
Il martirio tra storia e mito nella “poesia tragica” di Ignazio Buttitta:
Turiddu Carnivali, I morti di Portella, Colapesce 501
Rosa Giulio
Figure del ‘dynamisch erhabene’ kantiano: tempeste e naufragi
nella letteratura e nelle arti della modernità 515
Alberico Guarnieri
L’irruzione del sublime nel regno delle bambole
su Il “re delle bambole” di Edmondo De Amicis 529
Alberico Guarnieri
La tragedia incompiuta del seduttore: una lettura de Il bell’Antonio
di Vitaliano Brancati 545
Oretta Guidi
Tommaso Landolfi: alle soglie del sublime 573
Anna Guzzi
Adverso fornice portas: allusività e ragionamento nel Pasticciaccio
di Gadda 587
Giulia Iannuzzi
Sublime innocenza dell’alieno, tragica violenza dell’uomo
nella narrativa di Gilda Musa 597
Monica Lanzillotta
Lo «strepito infernale» della Massa cristiana nell’opera
di Edoardo Calandra 607
INDICE DEL VOLUME 925

Stefania La Vaccara
Sublime e tragico nella drammaturgia dannunziana 627
Giuseppe Lo Castro
Il suicidio impossibile dei moderni. L’Ortis e altro Ottocento 639
Chiara Marasco
Dall’inetto al vegliardo. Italo Svevo e la sublimazione dell’inferiorità 647
Aldo Maria Morace
Tirannia, Eros e Thanatos. Appio Claudio da Gravina ad Alfieri
(e Salfi) 657
Aldo Nemesio
Il momento di volontaria sospensione dell’incredulità 671

Alessandra Ottieri
De-sublimazione ironica e quotidianità del dolore nelle poesie
dell’ultimo Scialoja 681
Ugo Perolino
Badiou e Pasolini. La grammatica dell’evento nella sceneggiatura
della Vita di San Paolo 695
Francesca Polacci
Il sublime come sentimento del limite: “figure di cornice”
a inizio XX secolo 707
Novella Primo
Leopardi e la traduzione: del sublime e del semplice 723
Ilaria Puggioni
Sublime e antisublime in Feria d’agosto di Cesare Pavese 733
Elisabetta Reale
In scena l’antisublime nella femminilità transgender 743
Francesca Riva
«Messor lo frate Sole»: sublime francescano in Luigi Fallacara 753
Elena Rondena
Il sublime e il patetico nella poetica di Ludovico Di Breme 765
Carlo Santoli
Ethos, pathos e sublime: Ortis e La virtù sconosciuta
di Vittorio Alfieri 775
926 SUBLIME E ANTISUBLIME NELLA MODERNITÀ

Antonella Santoro
Paradossi e aforismi nell’ultimo Caproni 781
Davide Savio
Un’ipotesi di sublime nel Giappone di Italo Calvino 795
Simona Scattina
L’(anti)sublime nel teatro di Emma Dante: Mishelle di Sant’Oliva 805
Gennaro Schiano
Humour noir, comicità e ironia. Alberto Savinio e il sublime
cambiato di segno 817
Stefania Segatori
«Circonda il tempo il tempo dell’attesa». La sublimazione
dell’exspectatio nell’opera di Elena Bono 833
Dario Stazzone
«Riflessione e inganno, fatamorgana e sogno»: il viaggio siciliano
di Vincenzo Consolo tra sublime ed antisublime 853
Barbara Sturmar
«Ah, la bellezza eterno / firmamento» Sublime e antisublime
nelle poesie di Alda Merini dedicate a Marilyn Monroe 863
Francesca Tuscano
L’impresentabilità del ragno. Il ‘sublime’ Stavrogin da Dostoevskij
a Pasolini 873
Katia Trifirò
Demenza borghese vs demenza antiborghese: meraviglie e orrori
del surreale nell’Italia degli anni ’40 887
Alberto Zava
La vertigine degli scacchi: gioco e tragedia tra Arrigo Boito
e Paolo Maurensig 897
Alexandra Zingone
Luzi. La parola “alta”, la pittura, la “sublimazione” del reale 905

postfazione

Emilio Isgrò
Precarietà del sublime 919
Edizioni ETS
Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa
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Finito di stampare nel mese di giugno 2014
Biblioteca della modernità letteraria
collana di studi e testi

1. Maria Carla Papini, Daniele Fioretti, Teresa Spignoli [a cura di], Il romanzo
di formazione nell’Ottocento e nel Novecento, 2007, pp. 656.
2. Giovanna Caltagirone, Io fondo me stesso. Io fondo l’universo. Studio sulla
scrittura di Alberto Savinio, 2007, pp. 272.
3. Anna Dolfi, Nicola Turi, Rodolfo Sacchettini [a cura di], Memorie, auto-
biografie e diari nella letteratura italiana dell’Ottocento e del Novecento, 2008,
pp. 916.
4. Barbara Zandrino, Trascritture. Di Giacomo, Licini, Cangiullo, Farfa, Testori,
2008, pp. 184.
5. Elena Porciani, Studi sull’oralità letteraria. Dalle figure del parlato alla parola
inattendibile, 2008, pp. 144.
6. Marta Barbaro, I poeti-saltimbanchi e le maschere di Aldo Palazzeschi, 2008,
pp. 148.
7. Piero Pieri, Memoria e Giustizia. Le Cinque storie ferraresi di Giorgio Bassani,
2008, pp. 272.
8. Piero Pieri, Valentina Mascaretti [a cura di], Cinque storie ferraresi. Omaggio
a Bassani, 2008, pp. 176.
9. Giuseppe Langella, Manzoni poeta teologo (1809-1819), 2009, pp. 208.
10. Anna Guzzi, La teoria nella letteratura: Jorge Luis Borges, 2009, pp. 216.
11. Alessandro Gaudio, Animale di desiderio. Silenzio, dettaglio e utopia nell’opera
di Paolo Volponi, 2009, pp. 122.
12. Epifanio Ajello, Il racconto delle immagini. La fotografia nella modernità lette-
raria italiana, 2008, pp. 238.
13. Alessandro Manzoni, Storia della Colonna infame. Saggio introduttivo, appara-
ti e note a cura di Luigi Weber, 2009, pp. 212.
14. Elena Candela, Amor di Parthenope. Tasso, Arabia, De Sanctis, Fucini, Serao,
Di Giacomo, Croce, Alvaro, 2008, pp. 200.
15. Ida De Michelis, Tra il ‘quid’ e il ‘quod’. Metamorfosi narrative di Carlo Emilio
Gadda, 2009, pp. 142.
16. Mario Domenichelli, Lo scriba e l’oblio. Letteratura e storia: teoria e critica del-
le rappresentazioni nell’epoca borghese, 2011, pp. 330.
17. Giuliano Cenati, Disegni, bizze e fulmini. I racconti di Carlo Emilio Gadda,
2010, pp. 190.
18. Pasquale Marzano, Quando il nome è «cosa seria». L’onomastica nelle novelle
di Luigi Pirandello. Con un regesto di nomi e personaggi, 2008, pp. 208.
19. Simona Costa, Monica Venturini [a cura di], Le forme del romanzo italiano e
le letterature occidentali dal Sette al Novecento, 2010, 2 tomi: tomo I, pp. 860 -
tomo II, pp. 652.
20. Riccardo Donati, Le ragioni di un pessimista. Mandeville nella cultura dei
Lumi, 2011, pp. 192.
21. Elisabetta Carta, Cicatrici della memoria. Identità e corpo nella letteratura
della Grande Guerra: Carlo Emilio Gadda e Blaise Cendrars, 2010, pp. 250.
22. Pier Vincenzo Mengaldo, In terra di Francia, 2011, pp. 170.
23. Caterina Verbaro, I margini del sogno. La poesia di Lorenzo Calogero, 2011,
pp. 188.
24. Emanuela Scicchitano, «Io, ultimo figlio degli Elleni». La grecità impura di
Gabriele d’Annunzio, 2011, pp. 220.
25. Nicola Merola [a cura di], Gianfranco Contini vent’anni dopo. Il romanista, il
contemporaneista, 2011, pp. 234.
26. Ilaria Crotti, Enza Del Tedesco, Ricciarda Ricorda, Alberto Zava [a cu-
ra di], Autori, lettori e mercato nella modernità letteraria, 2011, 2 tomi: tomo I,
pp. 718 - tomo II, pp. 698.
27. Paolo Gervasi, La forma dell’eresia. Giacomo Debenedetti 1922-1934: storia di
un inizio, 2012, pp. 284.
28. Giuseppe Langella, Il Novecento a scuola, 2011, pp. 198.
29. Nicola Merola, Appartenenze letterarie. Patrie, croci e livree degli scrittori,
2011, pp. 264.
30. Andrea Cedola [a cura di], Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo, 2012, pp. 160.
31. Vittorio Spinazzola, Le metamorfosi del romanzo sociale, 2012, pp. 164.
32. Mario Barenghi, Giuseppe Langella, Gianni Turchetta [a cura di], La città
e l’esperienza del moderno, 2012, 3 tomi: tomo I, pp. 260 - tomo II, pp. 762 -
tomo III, pp. 816.
33. Marina Paino, Signore e signorine di Guido Gozzano, 2012, pp. 240.
34. Siriana Sgavicchia [a cura di], «La Storia» di Elsa Morante, 2012, pp. 250.
35. Aldo Maria Morace, Angelo R. Pupino [a cura di], Paura sul mondo. Per
«L’uomo è forte» di Corrado Alvaro, 2013, pp. 240.
36. Rosanna Morace, Letteratura-mondo italiana, 2012, pp. 240.
37. Marco Manotta, La cognizione degli effetti. Studi sul lessico estetico di Leopardi,
2012, pp. 204.
38. Angela Di Fazio, Altri simulacri. Automi, vampiri e mostri della storia nei rac-
conti di Primo Levi, 2013, pp. 194.
39. Carlo A. Madrignani, Verità e visioni. Poesia, pittura, cinema, politica, a cura
di Alessio Giannanti e Giuseppe Lo Castro. Con uno scritto di Antonio Resta,
2013, pp. 202.
40. Clara Borrelli, Elena Candela, Angelo R. Pupino [a cura di], Memoria della
modernità. Archivi ideali e archivi reali, 2013, 3 tomi: tomo I, pp. 202 - tomo II,
pp. 750 - tomo III, pp. 800.
41. Ilvano Caliaro, Roberto Norbedo [a cura di], Per «Il mio Carso» di Scipio
Slataper, 2014, pp. 168.
42. Guido Lucchini, Studi su Gianfranco Contini: «fra laboratorio e letteratura».
Dalla critica stilistica alla grammatica della poesia, 2013, pp. 222.
43. Maria Rizzarelli, Sorpreso a pensare per immagini. Sciascia e le arti visive,
2014, pp. 286.
44. Teresa Spignoli, Giuseppe Ungaretti. Poesia, musica, pittura. In preparazione.
45. Marina Paino, Dario Tomasello [a cura di], Sublime e antisublime mella
modernità. Con la collaborazione di Emanuele Broccio e Katia Trifirò, 2014,
pp. 928.
46. Giuseppe Langella [a cura di], La didattica della letteratura nella scuola delle
competenze, 2014, pp. 240.
47. Antonio Sichera, Marina Paino [a cura di], «La fedeltà che non muta». Studi
per Giuseppe Savoca. Con una biobibliografia di Giuseppe Savoca a cura di An-
tonio Di Silvestro, 2014, pp. 152.
BiDiMod
«Biblioteca Digitale della Modernità Letteraria»
diretta da
Franco Contorbia, Simona Costa, Antonio Saccone e Andrea Aveto

1. Davide Bellini, Dalla tragedia all’enciclopedia. Le poetiche e la biblioteca di


Savinio, 2013, pp. 196.

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