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2021-2022
Agata Mantuano
PSICODIAGNOSTICA
Elementi di psicologia clinica (F. Del Corno e M. Lang)
Sezione I- la storia
Capitolo 1
L’evoluzione della psicologia clinica
Le origini
Lightner Witmer, direttore del laboratorio di psicologia
dell’Università di Pennsylvania e fondatore della prima
“psychological clinic” per bambini con problemi di
adattamento (1896). Che cosa può essere considerato come punto di
partenza: il mutamento radicale della disciplina accademica della
psicologia, essa stessa da poco emancipata dalla filosofia, e
l’impulso dato agli psicologi perché entrassero nel mondo
dei problemi segnò l’inizio della psicologia clinica. Nel 1876
Willian James stabilisce ad Harvard una sede della “demostration
experiments”, che precede addirittura la fondazione del primo
laboratorio ufficiale per la ricerca sperimentale in psicologia, da
parte di Wilhelm, a Lipsia nel 1879. Nel 1883: Stanley Hall apre un
secondo laboratorio di psicologia alla Johns Hopkins
University. Nel 1869 hanno inizio in Inghilterra gli studi di
Francis Galton ai quali, indipendentemente dai loro risultati, può
essere ascritto un quadruplice merito: aver focalizzato l’attenzione
sull’individuo e sulle differenze fra gli individui; aver introdotto il
concetto di misura quantitativa di queste differenze; aver
accreditato l’importanza dell’analisi statistica dei dati psicologici;
aver impiegato le misure psicologiche per lo studio e la
classificazione degli individui. Nel 1890, James McKeen Cattel
introduce il termine “mental test” e nel 1894 sviluppa una batteria di
reattivi che viene utilizzata per valutare le abilità mentali delle
matricole della Columbia University (consulenza ingloriosa). Pinel:
inizia a fare le prime distinzioni tra le varie patologie. Fu il primo a
dire che non tutte le patologie hanno cause organiche. Nascita della
relazione con il paziente, scioglie i pazzi dalle catene. Suggerisce di
concentrare l’attenzione su “la distinzione fra i vari tipi di
alterazione mentale, la storia esatta dei sintomi precursori, il
decorso e l’esito dell’attacco, se è intermittente, l’accurata
definizione di quelle circostanze che rendono necessari certi rimedi
e di quelle che li rendono invece superflui”. Benjamin Rush: il
Pinel americano, pubblica nel 1812 il suo trattato, “medical inquiries
and diseases of the mind”, che è il primo testo americano di
psichiatria e che rimane l’unico per i successivi settant’anni. Negli
USA continuano ad essere aperti ospedali psichiatrici e nel 1844
nascono l’ “American Psychiatric Association”(APA) e l’ “American
Journal of Insanity” (attuale Psychiatry). In Europa Kraepelin
propone un sistema di classificazione delle malattie mentali che
viene utilizzato anche in America. Fino alla fine del diciottesimo
secolo negli “asylums” la visita del medico era compiuta una volta
all’anno e, nelle istituzioni private, addirittura una volta ogni dieci
anni veniva effettuata la visita e veniva prescritto il trattamento.
Nello stesso anno di Pinel (1792), in Inghilterra, Tuke crea un
proprio ricovero nel quale incomincia ad accogliere pazienti
in alternativa agli istituti pubblici, poiché disgustato dalle
condizioni degli asylum. Ricovero che in alcuni anni si trasforma in
un vero e proprio stabilimento per la cura dei malati di mente
famoso con il nome di York Retreat. Qui vengono banditi
gl’interventi psichiatrici tradizionali e viene praticata un
trattamento (moral treatment) affine a quello di Pinel. Purtroppo,
questo periodo di grande speranza e ottimismo circa i recenti
successo nel trattamento dei pazienti psichiatrici dura poco più di
50 anni. Infatti a partire dalla metà del 1800 gli ospedali
psichiatrici ritornano ad essere stabilimenti costruiti in aree
remote, spesso sovraffollati a causa dell’immigrazione dall’Europa,
sporchi, inadatti a qualsiasi trattamento che non sia la semplice
repressione delle manifestazioni più disturbanti della malattia.
Dorothea Dix: per risolvere questa nuova situazione di disagio si
pone a capo di un vero e proprio movimento per l’umanizzazione
del trattamento ai criminali, ai malati psichici e ai deboli mentali.
Alla fine della sua attività, che si sviluppa lungo quarant’anni fino
all’inizio del ventesimo secolo, risultano ricostruiti o
rimodernati, su suo suggerimenti, molti ospedali psichiatrici.
L’evoluzione della psicologia clinica
Dal 1896 agli anni ‘40 , Witmer impiega l’aggettivo “clinico” perché
in greco richiama al “letto” e alla condizione di sofferenza di un
individuo che necessita di aiuto. Witmer dimostra fin dall’inizio
una notevole difficoltà a stare al suo passo con lo sviluppo
professionale della psichiatria e della psicologia. Il suo lavoro ha
per oggetto i problemi educativi e in primo luogo quelli relativi al
ritardo mentale. Healy, antagonista di Witmer entra in rapporto con
un grande numero di agencies e di istituzioni, ciò gli permette di
inglobare alcuni importanti contributi che arrivano dall’Europa;
mentre Witmer e i suoi collaboratori continuano a muoversi
esclusivamente nell’ambito scolastico, rimanendo ostili verso le
teorie dinamiche. Nel 1916: Terman pubblica la Stanford Revision
della scala Binet Simon e introduce il concetto di Quoziente di
Intelligenza. Il suo lavoro ha successo tanto che per molti anni,
negli Stati Uniti, il compito più importante assegnato agli psicologi
clinici fu la somministrazione del test Stanford-Binet. L’incremento
dell’uso dei test psicologici è favorito anche dal fatto che, in quegli
anni, vengono aperte diverse cliniche (child guidance clinic) nelle
quali un’equipe composta da psichiatri, psicologi clinici e
assistenti sociali si occupa della valutazione e del trattamento
di bambini adolescenti con anomali del comportamento, soprattutto
di tipo delinquenziale. L’abilità nella somministrazione e
nell’interpretazione delle varie versioni delle scale Binet fu
considerata per molti anni come sinonimo di psicologia clinica.
Accanto a questo movimento si sviluppa anche il movimento per
l’igiene mentale con lo scopo di incrementare la quantità e la qualità
dei trattamenti per i pazienti ospedalizzati, ma soprattutto di
stimolare la società a compiere ogni sforzo per prevenire lo
sviluppo dei disturbi di carattere psichiatrico (Beers 1908). Allo
scoppio della prima guerra mondiale, la psicologia clinica, è tra le
discipline alle quali si può far ricorso per rispondere ai bisogni che
questo eccezionale evento socio-politico sta determinando. Nel
1917, le autorità militari degli Stati Uniti chiedono quindi aiuto agli
psicologi. Il compito che essi devono svolgere è mettere a
punto alcuni strumenti efficienti per la valutazione e la
classificazione dei soldati. I tre test impiegati sono stati Army Alfa,
Army Beta e Personal Data Sheet. La psicologia clinica si
identifica con la testologia. Nel 1921 nasce la Psychological
Corporation che raccoglie circa duecento psicologi con lo scopo
primario di offrire consulenza al mondo degli affari e all’industria.
Sempre nel ‘21 Hermann Rorschach ha messo a punto il test
proiettivo che porta il suo nome. Nel 1924 viene fondata la
American Orthopsychiatric Association, due anni dopo viene
cambiato lo statuto per permettere l’ammissione anche agli
psicologi. Nel 1935 l’APA dichiara “la psicologia è una scienza
applicata”. Durante gli anni ’40 vi è l’immigrazione di psicoanalisti
europei in America, in seguito al progressivo espandersi del
Nazifascismo nel vecchio continente. Molti psicologi clinici si
preparano a esercitare professionalmente la psicoanalisi, anche se
coloro che non sono laureati in medicina devono scontrarsi per la
prima volta con un problema che resterà irrisolto per molti
anni: la preferenza accordata alla formazione medica come
prerequisito per effettuare il training psicoanalitico.
Il secondo conflitto mondiale e il dopoguerra: Gli psicologi furono
spinti dalle necessità dalle necessità di guerra a familiarizzare con
tutte quelle attività di valutazione, di intervento terapeutico, di
consultazione, di administration che, ancora oggi, costituiscono, a
grandi linee, le partizioni della psicologia clinica. Negli USA, 40.000
reduci di guerra affetti da diverse turbe psichiatriche vengono
ricoverati negli ospedali della Veterans Administration. La Veterans
Administration apre dei corsi per formare psicologi clinici e nel
1946 nasce la National Mental Health Act. per supportare la ricerca
e l’addestramento in psicologia clinica.
Gli anni ’50 e ‘60: Negli anni ’50 la psicologia clinica continua nel
proprio consolidamento e iniziano una serie di problematiche,
in parte risolte, relative allo stato giuridico del ruolo
professionale dello psicologo. Gli anni ’60 sono caratterizzati dalla
nascita e dalla proliferazione, in tutto il mondo occidentale, dei
movimenti per la salute mentale e per la psichiatria di comunità
(alternativa all’ospedalizzazione). Gli psicologi americani
tentano una procedura di autoregolamentazione con il compito
di certificare la comprensione professionale in tre aree della
psicologia applicata: clinica, counseling e psicologia industriale. Gli
anni ’60 sono caratterizzati dalla nascita e dalla proliferazione dei
movimenti per la salute mentale e per la psichiatria di comunità. Il
ruolo degli psicologi si apre alle attività di servizio all’interno della
comunità come consulenti per varie agenzie sociali e divengono
supervisori nei programmi di formazione per le figure para-
professionali.
Gli anni ’70 e i primi anni ’80: Gli anni ’70 rappresentano, per la
psicologia clinica, il declino del favore accordato alle tecniche di
valutazione (assessment) e un grande sviluppo di interesse per
l’attività psicoterapeutica. Questa imprevedibile proliferazione dei
professionisti della psicoterapia pone il problema di un più efficace
controllo sulla professione (soprattutto da parte di dai i rimborsi
per i trattamenti). Negli USA il governo, quindi, riduce
progressivamente le sovvenzioni ai programmi per la salute
mentale e vengono avvantaggiati i trattamenti che si ritengono più
rapidi e risolutivi; vivace ritorno di interesse per le terapie
farmacologiche e aumento del potere degli psichiatri di
orientamento biologico. Nel 1973 l’American Psychiatric
Association relega i “professionisti della mente non medici” in
ruoli subordinati alla supervisione e al controllo di uno psichiatra.
Nel 1975 l’American Psychiatric Association definisce il
trattamento delle malattie mentali come “psicoterapia medica”,
che deve essere esercitata da un terapeuta con formazione in
“medicina psichiatrica”. Afferma H. Goldenberg che “nel periodo
postbellico, soprattutto quando gli psicologi cominciarono a
ricevere un addestramento clinico sia all’università che in internati
ospedalieri, le due professioni si sovrapposero sempre più sia a
proposito dei programmi di training che dei servizi che esse erano
in grado di offrire”. In quegli stessi anni, l’APA e l’American
Psychological Association istituirono una commissione congiunta
per risolvere le contese fra le due professioni. Nel 1954 L’American
Medical Association (AMA) dichiara che la psicoterapia è una
forma di trattamento medico. L’APA fa propria
l’affermazione dell’AMA. L’American Psychological Association
risponde con durezza: nello stesso anno dichiara di non accettare
alcuna restrizione al ruolo e alle funzioni degli psicologi. Lo scontro
perdura fino agli inizi degli anni ’80.
Dalla metà degli anni ’80 ad oggi: A partire da metà degli anni ’80
si inizia a parlare delle differenze, tra i diversi stati, della
formazione in psicologia. In Italia la legge 18 febbraio 1989 n.56
regolamenta la professione e istituisce l’Ordine degli psicologi. La
legge inoltre regolamenta l’esercizio dell’attività psicoterapeutica.
Sono state istituite due diverse sezioni dell’Albo: sezione A
(psicologi con specialistica), sezione B (laurea triennali
“dottore in scienze e tecniche psicologiche”). Oltre
all’abilitazione alla professione di psicologo, la legge del 18 febbraio
1989 n.56 regolamenta l’esercizio dell’attività psicoterapeutica,
consentendola, previo conseguimento di una specialistica post
lauream, a laureati in psicologia e medicina. Il nodo più complesso
è rappresentato dalle Scuole private di formazione alla psicoterapia.
Da Kraepelin alla fine della 1^ Guerra Mondiale: tra la fine del XIX
secolo e l’inizio del XX secolo aumenta l’interesse per una
classificazione dei disturbi psichici, nasce la psicologia clinica.
Compiaono i sistemi classificatori di Kraepelin e si diffonde il
modello dei “reaction sets” di A. Mayer, cioè delle reazioni
psicobiologi che a eventi stressanti multi casuali. Kraepelin crede in
un’eziologia organica del disturbo, pur sostenendo la
necessità di un’attenta analisi del comportamento del paziente
in modo da capirne il quadro clinico.
Dalla 1^ alla 2^ Guerra Mondiale: nel corso del XX secolo, i sistemi
classificatori risentono di molteplici variabili. Mentre la psichiatria
cerca di identificare il fattore biologico sotteso ad ogni disturbo
psichico, gli altri orientamenti ricercano possibili nessi
causali tra meccanismi eziopatogenetici non organici. Nel 1933 è
stata pubblicata la Standard Classified Nomenclature of Diseases,
sistema tassonomico per classificare pazienti cronici,
successivamente impiegata ai veterani della seconda Guerra
Mondiale, risultando inadeguata poiché quest’ultimi sono affetti da
disturbi non contemplati dal sistema. L’assenza di categorie
classificatorie che rispondano ai quadri psicopatologici che lo
psichiatra vede in ospedale induce le strutture coinvolte davanti
alle nuove patologie a sviluppare nuove nomenclature alternative,
basate su presupposti teorici differenti.
La seconda Guerra Mondiale e la ricerca di una classificazione
internazionale: nel frattempo, emerge la necessità di disporre
di un’unica nomenclatura delle cause di decesso che sia
internazionale. Pertanto nasce l’ ICD (International Classification of
Diseases), rivolto a tutte le malattie mediche. Nel 1948 la World
Health Organization (WHO) pubblica la sesta edizione che, per la
prima volta, include la classificazione dei disturbi psichici. Gli
psichiatri statunitensi criticano questa nuova classificazione
perché non diagnostica malattie quali la demenza, i disturbi
di adattamento e molti disturbi di personalità. L’APA propone di
rivedere la Standard Classified Nomenclature of Diseases e di
trovare una nuova versione alternativa all’ICD-6. Di conseguenza,
nel 1952 compare la prima edizione del DSM (Diagnostical
Statistical Manual), che rappresenta un tentativo di classificare in
modo scientifico i disturbi psichici e si basa su un elenco di segni e
sintomi. L’obiettivo è creare una classificazione che incontri il
consenso degli psichiatri e degli altri operatori e che presenti i
disturbi così come sono concettualizzati in quegli anni. La necessità
di una nomenclatura unica non è un’esigenza solo americana, infatti
alla fine degli anni ’60 è stata messa appunto dal WHO l’ICD-8
(1968). Il DSM-II pubblicato nel 1968 cerca di uniformarsi alla
classificazione del WHO.