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ERRORI DI VALUTAZIONE
di Jerry Miller
tato. Questa posizione afferma, in effetti, che il giudizio valutativo del se-
gno è impossibile se prima non identifichiamo quel segno, cioè finché non
sappiamo di che cosa è una istanziazione di, cioè che cosa rappresenta o si-
gnifica. Ora, che possa trattarsi di una rappresentazione estremamente di-
fettosa non è qui di alcun interesse per il teorico morale. Potremmo dire di
una casa colpita da un uragano che è pur sempre una casa, anche se metà
del tetto fosse stato divelto e le quattro mura contenessero delle enormi cre-
pe. Si tratterebbe, quindi, di un esempio mediocre di casa, così come po-
trebbe dire il teorico morale, ma anche così malridotto l’oggetto conserve-
rebbe la sua identità o il suo nome – “casa” – anche se il suo valore
cambierebbe, cioè da una casa pienamente funzionale a una casa non fun-
zionale. Era una buona casa ma ora non lo è più, ora è una casa manchevo-
le e comunque priva di valore.
suono per poter scoprire il concetto o il “significato” che esso intende co-
municare. E a quel punto, finalmente, il suono – essendo stato legato a un
concetto o a un pensiero – può mettere capo ad un giudizio di valore.
Questa è, dunque, la teoria standard della relazione tra valore e rappre-
sentazione fenomenica nelle tre varianti. In ognuna di queste, la determina-
zione epistemica – cioè la capacità di dire che cosa un fenomeno sia o che
cosa un’occorrenza specifica significhi o rappresenti – costituisce una con-
dizione prioritaria per l’originarsi del valore.
posizione, tra cui due sembrano più evidenti e che, a suo merito, lo stesso
Nietzsche riconosce. Questi due dilemmi, che sono connessi, in definitiva
incoraggiano a ripensare la traiettoria di ragionamento a vantaggio di una
teoria più sofisticata, sebbene più radicale, della relazione tra valore e fe-
nomeni.
Il primo problema è forse evidente: se la percezione e la valutazione
sono entrambe interpretazioni, come afferma Nietzsche, perché solo una è
una “interpretazione erronea” (misinterpretation)? Sembrerebbe che la va-
lutazione abbia l’effetto di distorcere le nostre percezioni “valorialmente
neutrali” del mondo soltanto se quelle percezioni neutrali fossero intese
come più strettamente corrispondenti alla natura delle cose in sé di quanto
siano le interpretazioni valutative. Nietzsche, però, è estremamente scetti-
co circa la relazione tra giudizi fenomenici e cose in sé in quanto parte di
un continuum, come se le nostre prospettive potessero essere correttamen-
te valutate come più o meno prossime a una «realtà incondizionata e iden-
tica a se stessa» (Nietzsche 1886: 12). Che questa credenza rifletta per lui
una “finzione” – ancorché una “finzione necessaria” – pone in dubbio la
prima asserzione circa il valore, poiché propone di conseguenza che di due
finzioni – cioè dell’interpretazione fenomenica e dell’interpretazione valu-
tativa – soltanto l’ultima delle due costituirebbe un fraintendimento (misin-
terpretation), cioè un’asserzione che richieda logicamente una commisura-
zione rispetto a qualcosa che costituisce una realtà incondizionata.
In secondo luogo, sebbene Nietzsche asserisca che le interpretazioni va-
lutative sono aggiunte alle interpretazioni rappresentazionali, egli non cre-
de che noi possiamo coscientemente giudicare il valore di una congnizione
percettiva, come invece suggerisce la visione standard. Tali percezioni, as-
serisce Nietzsche, sono valutate dai nostri affetti prioritariamente rispetto
all’autoconsapevolezza di quel processo – la valutazione, dunque, non è
qualcosa che noi inconsapevolmente attiviamo, ma qualcosa che si verifi-
ca in anticipo rispetto alla nostra coscienza riflessiva. Come tale, egli scri-
ve, «il nostro mondo è colorato [di valori]» (Nietzsche 1967: 260). Sem-
brerebbe cioè che i nostri affetti “colorano” valutativamente ogni
impressione rappresentazionale di cui noi facciamo esperienza, così che
non possiamo sperimentare una percezione che non sia colorata da un qual-
che valore più di quanto possiamo percepire un oggetto privo di colore. Se,
tuttavia, noi non siamo in grado di formarci un’impressione mentale a cui
non sia annesso alcun valore, come possiamo sapere che questo valore è, in
effetti, qualcosa che viene annesso? Come possiamo dire che esso sia stato
“aggiunto” successivamente a un concetto valorialmente neutrale se non
possiamo mai cogliere delle azioni o dei concetti in quello stato valorial-
J. Miller - Errori di valutazione 221
certo modo, una «natura positiva». «Nel momento in cui noi consideriamo
il segno nella sua interezza, incontriamo qualcosa che è positivo nel suo
stesso dominio», ed è questo «sistema [di valore] che fornisce il legame
operativo tra l’elemento fonico e l’elemento mentale [la cui] combinazio-
ne è un fatto di natura positiva» (ivi:118-119). In che modo, però, la funzio-
ne differenziante del valore realizza quest’operazione? In che modo essa
costituisce un sistema di scambio tra identità che, essendo dissimili, emer-
gono attraverso una comparazione negativa, ma stabiliscono anche, nello
stesso tempo, una relazione positiva di somiglianza o di identità all’interno
di questa differenza, tale che, come suggerisce Saussure, «[nel] momento
in cui noi confrontiamo un segno con un altro, come combinazione positi-
va, il termine differenza dovrebbe essere messo da parte», così com’è in
questo contesto in cui due segni diventano «non diversi l’uno dall’altro ma
soltanto distinti» (ivi: 119) ?