Sei sulla pagina 1di 38

ECONOMIA

Just in time: modello gestionale concepito negli anni Sessanta dalla Toyota; prevede che
la produzione industriale venga avviata solo nel momento in cui si manifesta la domanda e
nei volumi richiesti dal mercato.
Con riferimento alla gestione delle scorte, l’espressione just in time viene spesso riferita a
un metodo di gestione orientato a minimizzare gli sprechi che possono verificarsi nei
rapporti di fornitura attraverso l’acquisto di beni e materiali in base alle richieste di
mercato; il fatto di non anticipare la produzione e, dunque, non accumulare scorte si
riflette soprattutto in una considerevole riduzione dei costi. La gestione delle scorte just in
time richiede, tuttavia, un alto livello di coordinazione tra produttori e fornitori, dal
momento che le forniture arrivano a destinazione solo quando sono necessarie per essere
usate nella produzione o per essere rivendute.
Daimler e Volkswagen lo hanno fatto presente alla Cancelliera, auspicando sostegno dal governo e
dall'Europa 
di F. Q.  | 6 APRILE 2020



Chissà che a spronare la Germania a “digerire” gli Eurobond non sia l’industria tedesca
dell’auto, che genera un fatturato quantificato in circa 400 miliardi di euro l’anno: una
macchina da circa 5,5 milioni di veicoli prodotti annualmente, che impiega direttamente
quasi 850 mila lavoratori (oltre 1,6 milioni calcolando pure l’indotto).
Naturalmente, la discesa in campo dei giganti teutonici delle quattro ruote non è questione
di buon cuore ma di business. E il punto è questo: la serrata industriale
in Italia e Spagna non consente alle fabbriche tedesche – che rimarranno comunque chiuse
perlomeno fino alle fine delle festività pasquali – di poter riprendere le normali attività.
Questione di componentistica: se manca quella prodotta in Italia e Spagna si blocca la
produzione dell’auto in Germania.
Tutto questo è legato al fatto che nella moderna produzione di veicoli non esiste lo stock della componentistica, se non in piccole
quantità: è il principio della produzione “just in time”, cioè della fabbricazione dell’auto quasi in concomitanza con l’arrivo
delle forniture. Una strategia industriale applicata da tutti i costruttori per risparmiare centinaia di milioni che altrimenti
andrebbero spesi in stoccaggio e gestione dei depositi. Ecco perché i fabbricanti d’auto inglese sono preoccupati del  no-deal con
l’Europa, tanto più in questo momento storico: il principio del just in time potrebbe venire a mancare per via dei ritardi dovuti
agli ipotetici controlli doganali.
Come riporta Quattroruote, “in alcuni modelli d’alta gamma prodotti in Germania si arriva fino a quasi
il 20% di componenti italiane e non si tratta solo di pellami o materiali per gli interni ma anche di soluzioni meccaniche ed
elettroniche altamente tecnologiche”. La componentistica italiana conta oltre 2.000 imprese, comprese eccellenze
come Brembo (sistemi frenanti) e Adler (plastiche e interni) e garantisce alla bilancia commerciale del nostro paese un attivo
superiore a 5 miliardi di euro.
Pertanto, secondo ricostruzioni della stampa internazionale, colossi come Volkswagen, BMW e Daimler avrebbero chiesto al
governo tedesco di elaborare un pacchetto di interventi europei per contrastare la crisi del settore, esplicitando che la risoluzione
di quest’ultima è indissolubilmente legata alla situazione industriale dei fornitori italiani e spagnoli. Un monito importante nel
braccio di ferro venutosi a creare fra Italia, Francia, Spagna, che chiedono luce verde sull’emissioni degliEurobond – titoli di
debito comunitari studiati per fronteggiare la crisi economica a livello di Unione Europa –, e Olanda e Germania che, invece,
vorrebbero attingere al fondo Salva-Stati per non dover condividere l’onere degli Eurobond con paesi considerati meno
affidabili nella gestione dei conti pubblici e dell’indebitamento. Come il nostro, appunto.
Ma per la Germania l’industria delle quattro ruote rappresenta il 16% dell’export, il 20% del fatturato industriale e il 12% del Pil:
il che potrebbe essere una leva più che sufficiente a far cambiare idea alla Cancelliera Merkel sulla necessità di aprire agli
Eurobond. Nell’incontro fra costruttori e governo di Berlino è stata anche sottolineata la necessità
di supportare finanziariamente i fornitori, specie quelli più piccoli, con liquidità immediata per evitare il loro fallimento e il
conseguente scenario di paralisi produttiva sopra descritto
Consonno, è una frazione del comune di Olginate, in provincia di Lecco, più comunemente
conosciuta come la città fantasma.
Fino agli anni 60 Consonno era un piccolo paese di circa 300 abitanti che vivevano grazie ad attività
legate all’agricoltura e all’artigianato locale. Nel 1962 il Conte Mario Bagno di Vercelli, ma con
origini milanesi, pensò che Consonno sarebbe diventata la Las Vegas d’Italia. Vista la posizione,
facilmente raggiungibile da Milano, Bagno decise che questo piccolo paese vicino ad Olginate,
dedito all’agricoltura, sarebbe invece diventato il paese dei balocchi con lusso e divertimento
sfrenato.
Una volta ottenuto i permessi in comune iniziò la demolizione di questo piccolo borgo. Le case, le
stalle, le corti, gli orti coltivati, tutto abbattuto; rimasero in piedi solo la chiesa e il cimitero.

CONSONNO DIVENTA LA LAS VEGAS D'ITALIA


Gli abitanti piano piano lasciarono il paese ed iniziò a sorgere la Las Vegas d’Italia. Venne costruito
un albergo di lusso, campi di tennis, di calcio, di golf, una pista da ballo, un edificio a forma di
pagoda, il luna park e anche uno zoo. L’attrazione principale era il minareto, un edifico di tre piani
con un imponente torre, che avrebbe reso visibile la città dei balocchi anche in lontananza. Al
piano terra del Minareto si trovavano gallerie con negozi, al primo e secondo piano degli
appartamenti per poter passare la notte.  Bagno aveva pensato a tutto, infatti a Consonno c’era
anche un trenino che faceva fare un giro turistico ai visitatori. Molti visitatori arrivavano dalla
vicina Milano per poter passare una giornata di divertimento. 
Il sogno del Conte Mario Bango però venne interrotto nel 1976 quando una frana distrusse la
strada che da Olginate conduceva a Consonno. La Las Vegas d’Italia inizio così un lento declino,
venne lasciata a sé stessa, sola e abbandonata.

Consonno oggi
Raggiungere Consonno oggi non è facile, non ci sono indicazioni, si deve percorrere una strada in
salita in mezzo ai boschi e una volta arrivati c’è una sbarra che ne impedisce l’ingresso. Una volta
parcheggiato si scorge subito l’imponente torre del minareto, si inizia a camminare in quello che è
uno stato di abbandono totale. Un camion arrugginito e completamente sfasciato, vetri rotti,
calcinacci, fil di ferro e altre accozzaglie per terra. Tutto gli edifici sono pieni di graffiti e con segni
evidenti di decadenza dovuti al tempo e all’abbandono. 
Visitiamo il minareto ed entriamo in quelle che erano le stanze, in alcune si trovano ancora
materassi, resti di scrivanie e sui pavimenti lattine di birra, coca cola e qualsiasi tipo di spazzatura.

Più avanti troviamo ciò che resta dell' antico brogo, la Chiesa di San Maurizio. Ed è proprio da
questa piccola chiesetta che l’Associazione “Amici di Consonno” ha deciso di ricominciare. Ogni
anno vengono organizzati degli eventi per poter dare ancora un senso e un po’ di vita a questo
borgo. E’ stato allestito un bar con cucina e qui si festeggia sempre la Pasquetta, La Burrolata (ad
Ottobre) e la festa del patrono San Maurizio (a Settembre). Negli ultimi anni a Consonno sono stati
organizzati anche i mondiali di Nascondino. Sono state girate anche alcune scene del famoso
videogioco “Fallout 4”, spot pubblicitari, film e serie tv.
Visitare Consonno è quindi un mix di emozioni difficili da descrivere a parole, ci si immedesima nei
tempi che furono, al piccolo paese di circa 300 persone che venne poi trasformato nella Las Vegas
d’Italia.  All’entrata del paese c’è lo striscione “Consonno è il paese più piccolo ma più bello del
mondo” e in effetti, per alcuni versi è ancora così. La Las Vegas d’Italia è qui, con la sua storia, il
suo presente e forse il suo futuro.

Le 7 P di Philip Kotler
Philip Kotler, Autore della Trasformazione del Marketing in Disciplina Scienti

ca, è considerato dal


Management Manager Centre Europe il maggior Esperto al mondo di Strategie di Marketing al
livello mondiale.
Egli Viene de

nito dal Financial Time “Guru del Management”:

Philip Kotler fornisce una de

nizione esaustiva del Marketing:

Il Modello delle 4 P
Le 4 P, leve principali del Marketing Tradizionale, sono state elaborate verso gli anni Sessanta da
Jerome McCarthy. Queste, si riferiscono per lo più a prodotti tangibili.
Successivamente, Philip Kotler ha contribuito al loro Sviluppo, infatti nel 1993, con il proseguire
degli studi sul Marketing, con Robert E. Lauterborn, precursore della Comunicazione, si sposta
l’Interesse dal prodotto o servizio verso il potenziale Cliente, aggiungendo al modello delle 4 P,
altre
3 P: divenendo così le 7 P.
Le 3 P aggiuntive, trattano le cause esterne e si occupano del Valore degli stessi prodotti o servizi.
Il Marketing è l’individuazione e il soddisfacimento dei bisogni umani e
sociali”.


Home Blog News Contatti Privacy & Cookie Policy

 WhatsApp

Esse rivolgono l’Attenzione verso le Aziende ed ambienti di un certo rilievo.


Per rendere di Successo un prodotto o un servizio, bisogna Utilizzare le 7 P in modo corretto,
rendendo ef

cace la Strategia di Markering elaborata.

Le 7 P, vengono riassunte con il termine “Marketing Mix” che signi


ca:

Insieme di Variabili delle Strategie di Marketing attuate dalle Imprese per raggiungere gli Obiettivi
di vendita pre
ssati.

Il
ne ultimo è Proporre al Mercato un prodotto o un servizio che sia adatto al Target al quale si
riferisce, che abbia un prezzo complementare al prodotto e che sia generato nel momento giusto.
Le 7 P
PRODOTTO (PRODUCT):
Oggetto con il quale si Soddisfa il bisogno del Cliente.
Il prodotto può essere tangibile o intangibile.
Inoltre deve rispondere alla Domanda del Mercato ed essere adatto al Target a cui si riferisce.
Per far sì che ciò avvenga correttamente, innanzi tutto, viene effettuata una Ricerca di Mercato
riferita al prodotto che si vuole Offrire.
Successivamente viene valutato il Ciclo di Vita del prodotto, quindi se questo può essere in
crescita,
in lancio o in declino.
L’ultimo passaggio consiste nell’Ampliare la linea di gamma, incrementando il mercato.
Il prodotto è formato da elementi:

sici, tecnici, di garanzia, di servizi e accessori.

Fattori altrettanto importanti di un prodotto o di un servizio possono essere: la varietà di un


prodotto, le sue componenti, la sua marca, le sue misure e formati, il design, la qualità, il
packaging.
PREZZO (PRICE):
Il Prezzo è la cifra che il Consumatore paga per possedere un prodotto o un servizio.
Vi sono diversi tipi di Pricing che variano in base agli Obiettivi prestabiliti. Ad esempio: la
scrematura del mercato, l’entrata del mercato, la diversità dei prezzi.
Per le Aziende è fondamentale dichiarare sin dall’inizio il prezzo, poichè tramite esso, si può
analizzare il pro

tto e la sopravvivenza aziendale.

 WhatsApp

Il prezzo rappresenta la Qualità del prodotto, difatti quando vi è un prezzo basso, solitamente si
pensa che il prodotto non abbia una buona qualità; ma anche un prezzo elevato, nella Percezione
del Cliente, può portare ad uno scarso Interesse, tanto che possa rivolgersi ai Competitors.
Inoltre, il prezzo si analizza in base a fattori esterni o interni. Nel primo caso, si prende in
considerazione la concorrenza; nel secondo, si analizzano gli Obiettivi prestabiliti dalle Strategie di
Marketing.
Vi sono tre tipologie di prezzo: Il Prezzo Obiettivo, Il prezzo Medio e il Prezzo di Costo.
Il prezzo è anche composto da: termini di pagamento, disponibilità di credito, sconti e abbuoni.
POSIZIONAMENTO DISTRIBUZIONE (PLACEMENT):
La Posizione è il Luogo in cui si potrà trovare il prodotto o il servizio.
Bisogna scegliere con molta Attenzione i Canali di riferimento, tenendo conto delle preferenze del
target.
La Distribuzione si attua attraverso la Gestione del Channel Management, dei Servizi di Logistica e
della Copertura del Mercato.
Per la distribuzione del prodotto, vi sono varie strategie: intensiva, esclusiva, selettiva, franchising
e
af
liazioni.
PROMOZIONE (PROMOTION):
La Promozione è la Pubblicizzazione di un’Azienda, un Prodotto o un Servizio nel mercato.
Essa comprende:
Le Pubbliche Relazioni (mostre, sponsorizzazioni, seminari, conferenze);
La Pubblicità (giornali, televisione, mass media, radio, online advertising);
La Promozione delle Vendite;
L’Organizzazione della Vendita;
Il Marketing Diretto;
La Vendita Personale;
Il Web Marketing.
La Promozione si divide in: Pubblicità d’Immagine o Promozionale. Le Imprese applicano quella più
congruente alle loro esigenze ed al loro target di riferimento.

 WhatsApp

PEOPLE (PERSONE):
Consiste nelle Persone che fanno parte dello stesso target.
Viene utilizzata per la Ricerca dei Professionisti che si possano occupare della Gestione dei Clienti.
Le Attività principali da svolgere sono:
Costumar Care;
Copywriter;
Seo;
Sem;
Social Media Marketing.
L’Obiettivo che si pone la Quinta P è di apportare un alto grado di Umanizzazione del Brand, in
modo da renderlo complementare all’Azienda.
PROCESSO (PROCESS):
Il Processo è incentrato sull’Organizzazione dell’offerta del prodotto o del servizio.
Questo, deve rispecchiare le richieste del Consumatore e ridurre i Costi dell’Ottimizzazione.
L’Organizzazione dei Processi porta ad un aumento dei pro
tti.

PROVA TANGIBILE (PHYSICAL EVIDENCE):


Consiste nella Testimonianza della qualità di un prodotto o un servizio.
In questa fase si analizza la Valutazione della Percezione da un punto di vista del Cliente.
La Valutazione del prodotto o del servizio appartenente ad una determinata Azienda, eseguita da
parte del Cliente, risulta essere fondamentale per creare delle Aspettative nella percezione dei
potenziali Consumatori.
Difatti, questi ultimi, vanno alla ricerca di prove

siche, recensioni, cercando

ducia negli altri

Utenti prima di effettuare un acquisto.


Questo porta alla formulazione di una determinata Idea, che possa essere positiva o meno nella
mente del Cliente.
“I Clienti, non i Concorrenti, decidono chi Vince la guerra”(Philip

Philip Kotler spiega il nuovo marketing: «L'unica via per la crescita» Il più
noto esperto mondiale, in Italia in occasione del Forum che porta il suo nome, ha
tenuto  una lezione sul futuro del marketing, sostenendo che «la formula per la
crescita  dell’economia e del business è data da “Innovazione + Marketing”», e che
le note 4P (Product, Price, Place, Promotion) sono ormai soppiantate dalle 5C
(Customers, Company,  Collaborators, Competitors, Context).  
E ha descritto il CMO di oggi: orientato ai dati e al ROI. 
[ …… ] 
Il modello di marketing delle 4P è obsoleto: è ora delle 5C 
«Molte persone pensano che il marketing sia lo strumento di supporto delle vendite, attraverso
advertising e  promozione», ha spiegato Kotler.  
«In realtà, il marketing permette di identificare i target ed il mercato ed è quella disciplina che
attraverso  l’analisi e il planning permette di “dare vita” al CCDV (CCDV: create, communicate,
deliver, value), cioè crea,  comunica e rende disponibile ad una community un valore superiore. 
Il marketing aiuta l’azienda (non solo le vendite!) a scoprire nuove opportunità di mercato e di
business, nonché a identificare i bisogni ed i desideri insoddisfatti di una determinata clientela».
Una visione che mette quindi definitivamente in cantina il vecchio modello delle 4P per lasciare
spazio alle  nuove teorie che vedono il marketing basarsi sui pilastri delle 5C: Customers,
Company, Collaborators,  Competitors, Context. 

Il nuovo marketing: riduzione degli sprechi e valore della community 


«Le aziende devono capire che nella digital era, nella new economy, anche il marketing deve
evolvere  partendo dal riconoscere che oggi qualunque tipo di comunicazione, ricerca, acquisto,
condivisione passa  attraverso uno smartphone», sono le considerazioni finali che Kotler fa
sollecitato dal professor Mattiacci.  «Le persone sono connesse a livello globale e possono essere
influenzate in molti modi differenti, non più solo  attraverso l’advertising». 
Per le aziende significa poter accedere a una miriade di dati nuovi di cui un singolo utente lascia
traccia  attraverso differenti touchpoint (acquisti con carta di credito, richiesta di informazioni,
ricerca sui motori di  ricerca online, chat con help desk, conversazioni sui social media, ecc.).  
«È il momento degli Analytics 2.0 – dice Kotler – grazie ai quali poter collezionare, correlare,
analizzare ed  avere informazioni da grandissime moli di dati in real-time e avviare così strategie
di marketing automation  che tengano conto del contesto, delle abitudini, delle preferenze, delle
conversazioni degli utenti». Nella visione di Kotler, il lean marketing si concretizza con l’utilizzo
corretto delle tecnologie che permettono  di ottimizzare gli sforzi delle attività di marketing
massimizzandone i risultati. In particolare, il CMO deve  concentrare gli sforzi su questi pilastri: 
∙ mobility (ricordarsi che oggi i consumatori prendono decisioni e compiono azioni attraverso un
unico  oggetto, lo smartphone); 
∙ dati (non ci si può più limitare ai dati delle vendite, anche se analizzati in tempo reale; i dati a
disposizione per prendere decisioni più accurate vanno cercati su tutti i canali che permettono
ad un  brand di comunicare, relazionarsi, interagire e ingaggiare un utente); 
∙ social network e community (sono i tasselli fondamentali per la comprensione dei desideri e
delle  aspettative dei clienti nonché per la loro fidelizzazione) 
∙ contenuti (l’advertising puro da solo non basta più, serve creare un senso di appartenenza negli
utenti attraverso storie ed esperienze inclusive, emozionanti, capaci di attrarre e trattenere a
sé un  utente nonché mantenere elevata la reputazione del brand); 
∙ marketing automation (la componente tecnologica che meglio esprime il valore del lean
marketing  e la sua efficacia, strettamente connessa ai dati, senza i quali rimarrebbe un mero
strumento e non  una strategia di azione); 
∙ qualità del servizio (da sempre al centro delle strategie di marketing, con il consumatore al
centro  diventa elemento differenziante del business).

Quando questi elementi sono ben calibrati, allora possiamo essere competitivi
ed avere una buona possibilità di successo sul nostro mercato di riferimento
che sappiamo essere ogni giorno un terreno di conquista sempre più
complesso.
Va detto che c’è una specie di gara ad incrementare le 4P aggiungendone di
altre, ulteriori P come magari Pubblicità (che in effetti è diversa dalla
promozione già presente) oppure Packaging… perché no? Sono tutte voci
importanti che fanno parte di quelle considerazioni importanti di cui tenere
conto oltre alle 4p del Marketing Mix canoniche.
Prima di analizzare nello specifico le singole voci, scopriamo che ci sono anche
altri strumenti da tenere in considerazione per una corretta impostazione del
marketing dell’impresa, per cui è preferibile mantenere i 4 principali già elencati,
e da questi estrarne una serie più approfondita di attività, come esposto nella
immagine che segue:
Le imprese tuttavia devono tenere ben presente che il punto di vista del cliente è
diverso, per cui devono prima porsi nei panni del compratore e pensare in
termini di valori ricercati, perché il nostro marketing mix deve creare la strada
per incontrare i favori del potenziale cliente, che è sempre più “persona
senziente” piuttosto che “consumatore seriale”.

Tali valori sono stati identificati nelle 4C che rappresentano in sostanza la


domanda del cliente alla quale l’impresa deve correttamente rispondere con
le 4P (la tabella).

Prodotto:
Alla base di qualsiasi attività c’è un prodotto o servizio offerto, e l’impresa
dev’essere capace a differenziarsi sul mercato e magari fare un’offerta migliore.
Le differenze possono essere riassunte in differenze fisiche, differenze nella
distribuzione, differenze di servizio, differenze di prezzo, differenze d’immagine.
È facilmente intuibile come ogni differenza è poi scomponibile in varie altre
sottocategorie che possono rendere davvero la proposta unica.

Prezzo:
Il prezzo si differenzia dalle altre tre variabili in quanto produce ricavi, mentre le
restanti producono costi, o per meglio dire, investimenti.

Calcolare il prezzo per stare sul mercato nel modo più profittevole possibile è
complicato, basti pensare che abbassando i prezzi si vendono più unità di
prodotto ma con meno ricavo sul singolo pezzo, però otteniamo più forza sui
fornitori e sulla rete vendita… alzandoli troppo rischieremo invece di non vendere
affatto scontentando i nostri agenti commerciali e perdendo quote di mercato. Il
lavoro sta quindi nel trovare il giusto punto di equilibrio; a tale scopo può
esserci utile il calcolo del BREAK EVEN POINT, argomento che sarà oggetto di
approfondimento in un articolo dedicato.

Punto vendita/distribuzione (anche “Posto”)


Il prodotto o servizio dev’essere reso facilmente disponibile al mercato obiettivo (il
nostro target). Il costo della distribuzione può essere molto importante e va tenuto sotto
controllo poiché andrà a incrementare il costo industriale del prodotto e quindi
inevitabilmente il prezzo finale al cliente. Talvolta alcune imprese assorbono i maggiori
costi di distribuzione riducendo il margine di guadagno pur di non aumentare il prezzo al
cliente che potrebbe rivolgersi ai competitor. Conviene vendere direttamente o con
intermediari? O magari con tutti e due i sistemi? Vendiamo con i cataloghi a casa o
tramite programmi di vendita televisivi? Telemarketing? Sul web?

Sono scelte strategiche da valutare e pianificare con la massima attenzione e le decisioni devono
essere frutto di considerazioni fatte su numeri e relative rappresentazioni su grafici.

Promozione
La promozione comprende tutti quegli strumenti (sono molti) con i quali possiamo
comunicare un messaggio al nostro target e si possono suddivideresostanzialmente in sei
macrocategorie:
Pubblicità, promozione delle vendite, pubbliche relazioni, vendita personale, marketing diretto, web
marketing.

Le altre “P” del Marketing Mix


Se il mercato è soggetto a continui cambiamenti, figuriamoci il Marketing che
deve cogliere o addirittura anticiparne le tendenze.
Per questo anche il marketing mix nel tempo si aggiorna e alle 4 P basilari già
elencate scopriamo che se ne sono aggiunte di nuove: andiamo a vedere
brevemente le altre tre che sono entrate nel marketing mix :

Packaging
Il packaging è la confezione del prodotto/servizio. Si, anche del servizio, perché
non si intende con il termine packaging la sola scatola contenitore, ma
l’immagine che offriamo al mercato di ciò che facciamo.

Bastano pochi secondi agli occhi dei nostri interlocutori per farsi una opinione
su di noi, i nostri prodotti e i nostri servizi, quindi questa voce del marketing mix
è davvero importante. Sarà questa prima immagine percepita ad influire in modo
determinante sulle decisioni del nostro target e resterà impressa nella mente per
lungo tempo. Ecco allora che entreranno a far parte di questa voce per esempio
anche il parcheggio esterno dell’impresa, il giardino, l’ingresso, la reception e la
sala d’aspetto, gli arredi e gli uffici, i biglietti da visita… insomma tutto ciò che
contribuirà alla determinazione di una immagine aziendalepercepita più o meno
positiva.

Posizionamento
“Il modo in cui sei visto e pensato dai tuoi clienti è il fattore determinante del tuo
successo in un mercato competitivo” (dal libro Positioning di Al Reis e Jack
Trout)

Il posizionamento prevede l’individuazione del mercato di riferimento e il suo


studio attraverso il quale andremo a collocarci nella mente e nel cuore del
nostro pubblico propria là dove vogliamo. Nel mercato automobilistico
possiamo distinguere un posizionamento legato alla sportività per AlfaRomeo o
la sicurezza per Volvo, facendo due semplici esempi.

Nella scelta strategica del posizionamento dobbiamo tenere ben presente che
nella mente del nostro interlocutore c’è un solo posto per il posizionamento del
nostro prodotto/servizio, per cui dovremo di conseguenza incentrare tutta la
comunicazione aziendale su quel elemento ed essere più che certi della
direzione (AlfaRomeo= sportività). Il prezzo (un fondamento del marketing mix)
può essere fortemente influenzato dal posizionamento della nostra attività.

Persone
Sapete cosa distingue un’azienda da una impresa? Le persone. Si perché
l’azienda c’è anche a cancelli chiusi magari il giorno di Natale, l’impresa invece
no: una è l’organizzazione dei beni strumentali, l’altra è l’attività che le persone
svolgono per lo sviluppo del business.

La più diretta conseguenza è che i lavoratori sono l’anima del business (almeno
fino ad ora). Da qui la centralità della gente per il business.

“Meglio utilizzare una scimmia per prendere una noce di cocco da un albero,
piuttosto che educare un tacchino a farlo”, è una citazione impressa nella mia
memoria (della quale non ricordo l’autore ahimè) che a modo suo spiega quanto
sia strategico e fondamentale per il successo dell’impresa avere le persone
giuste al posto giusto. Sono, e saranno sempre, i talenti a fare la
differenzadentro un’attività.

Senza questa “P” del marketing mix non esisterebbe impresa, quindi andrebbe


classificata decisamente più in alto a mio modesto parere.

Dopo queste 7P del marketing mix potremmo proseguire ancora (Physical


Evidence, process…), la gara ad inserirne di nuove è sempre aperta, ma quelle
fondamentali sono già state elencate.

Un consiglio per cominciare bene:


Se l’avvicinamento al marketing mix è dato da un’intenzione di aprire un’attività
nuova o rimodernare un’impresa esistente, ma anche sviluppare un nuovo
settore/prodotto con un approccio scientifico, dovreste per prima cosa tenere
conto delle informazioni che il vostro mercato vi può fornire. Cosa significa? Sia
che si operi nel B2B o nel B2C, i nostri interlocutori sono sempre persone, non
entità astratte, e in quanto tali “interrogabili” e dispensatrici di informazioni
preziose per il nostro business. Per questo è fortemente consigliabile prima di
lanciarsi sul mercato sulla base di sensazioni o convinzioni personali, fare
un sondaggio.

Il sondaggio è uno strumento tecnico che segue regole precise e non sono
semplici domandine curiose, e il suo risultato può evitare duri colpi sia in termini
economici che di frustrazioni personali e professionali. Se poi il sondaggio darà
ragione alla vostra intuizione, bene! Vi fornirà comunque tutta una serie di
informazioni utilissime al vostro marketing che, ricordiamolo, è una scienza e in
quanto tale si basa sulle informazioni, non sulla speranza.
Marketing mix: insieme delle leve di marketing che l’impresa definisce e impiega
per soddisfare il consumatore e raggiungere i propri obiettivi di mercato.
Secondo il classico modello delle 4P ideato da McCarthy, le leve fondamentali del
marketing mix sono: prodotto (Product), prezzo (Price), punto vendita o, più in
generale, distribuzione (Place) e promozione o, più in
generale, comunicazionecommerciale (Promotion).
La scelta della combinazione ottimale dei fattori di marketing dipende prevalentemente
dalla strategia di posizionamento dell’impresa e dalle caratteristiche del mercato obiettivo
(propensione all’acquisto dei consumatori, concorrenti diretti e indiretti, stadio del ciclo di
vita del prodotto).
 

Le leve del marketing mix


 
1.Prodotto. Il prodotto assume un ruolo centrale per l’esistenza e lo sviluppo dell’impresa
e può considerarsi come la variabile del marketing mix che si pone “a monte” delle altre.
Premessa necessaria, ma non sufficiente, per il successo di mercato dell’impresa è infatti
quella di avere un’offerta costantemente in sintonia con le esigenze dei consumatori.
Quando ciò non si verifica, l’impresa non ha alcuna possibilità di successo duraturo
qualunque sia la combinazione degli altri elementi del marketing mix.
Il problema centrale della gestione del prodotto è che esso è un elemento dinamico del
marketing mix, dipendendo la sua vita dalle modificazioni delle esigenze dei consumatori,
dalle differenziazioni indotte dalla competizione fra imprese, dalle nuove opportunità
offerte dalla tecnologia e da altri fattori collegati al rapporto prodotto/mercato come ad
esempio i cambiamenti della struttura distributiva. Il prodotto è inoltre soggetto
a obsolescenza, più o meno rapida, ma con cicli utili che si sono notevolmente abbreviati
negli ultimi anni. Attività fondamentale della gestione di marketing del prodotto è quella di
valutare continuativamente le sue performance nel mercato, attraverso ricerche
quantitative, e di considerare la rispondenza dei suoi attributi con i bisogni dei potenziali
consumatori, attraverso ricerche psicologiche e motivazionali. Naturalmente la gestione
del prodotto si completa con la valutazione del suo apporto alla redditività dell’impresa sia
in termini assoluti che in relazione al contributo degli altri prodotti aziendali. I dati di
vendita, prezzo, margine sono le misure della capacità del prodotto di essere al passo con
i tempi.
 
2.Prezzo. La variabile prezzo attiene alle decisioni e alle azioni associate alla definizione di
obiettivi e politiche di prezzo e alla determinazione dei prezzi dei prodotti (pricing). Anche
il prezzo presenta vincoli e opportunità proprio come gli altri fattori di marketing; le sue
capacità di contribuire a ottimizzare il marketing mix cambiano rispetto al tipo di prodotti
trattati, alla posizione dell’impresa nel canale distributivo, alla situazione concorrenziale,
alla posizione nel ciclo di vita. Nello stabilire il prezzo l’azienda deve comunque tener
conto di alcuni fattori che limitano la possibilità di deciderne liberamente il livello. I costi
totali di produzione o di acquisto (per l’impresa commerciale) rappresentano il limite
inferiore; mentre il limite superiore è dato dall’elasticità della curva di domanda.
La difficoltà pratica nasce dal fatto che l’impresa non conosce la curva di domanda e
quindi non è in grado di determinare aprioristicamente il limite superiore più conveniente
per l’obiettivo perseguito; essa può solo verificare ex post se il prezzo consente quelle
vendite per eventualmente correggerlo man mano che acquisisce esperienza di marketing
su quel prodotto. La curva di domanda ha ripercussioni anche sui costi perché il costo
unitario di un prodotto dipende, per la parte del costo totale dovuta ai costi fissi, dalle unità
prodotte. La scelta di un prezzo più alto consente di produrre un maggior margine di
contribuzione unitario, differenza fra ricavo e costo variabile, ma limita la quantità venduta;
perciò non necessariamente prezzi più alti forniscono margini totali maggiori.
 
3.Distribuzione. Intesa come leva del marketing mix, la distribuzione si concentra sulle
decisioni e sulle azioni che servono a rendere disponibili i prodotti ai clienti quando e dove
essi desiderano acquistarli. La distribuzione commerciale, in particolare, risponde
all’esigenza di strutturare la rete di distribuzione: riguarda tipicamente le decisioni relative
alla scelta dei canali distributivi, alla tipologia di intermediari commerciali e al numero dei
livelli d’intermediazione da porre tra il produttore e il consumatore. La distribuzione fisica,
invece, risponde al problema di come trasferire materialmente i beni dai luoghi di
produzione a quelli di consumo; riguarda, in altri termini, tutte le decisioni relative al
movimento fisico dei beni: la scelta del sistema logistico, la dislocazione degli impianti, dei
magazzini e dei punti vendita, la quantità di scorte da tenere in magazzino, ecc.
La scelta del canale distributivo o del mix di canali ai quali l’azienda affida la distribuzione
dei propri prodotti dipende dalle caratteristiche dei prodotti offerti e da quelle dei
potenziali clienti, oltre che dagli obiettivi di marketing dell’azienda. Ogni tipologia
distributiva permette infatti prestazioni diverse: il canale diretto (tra produttore e
consumatore finale) consente un altissimo controllo ma implica notevoli costi fissi, è
rischioso e di difficile avviamento; il canale lungo (caratterizzato dalla presenza di più
intermediari commerciali), al contrario, necessita di pochi investimenti e rischi, è di facile
avviamento ma non consente alcun controllo sulla distribuzione; al canale lungo, in genere,
si associa una strategia pull in grado di condizionare l’offerta e, di conseguenza, gli
intermediari commerciali. Le aziende che pensano alla distribuzione più estesa possibile
(distribuzione intensiva), utilizzano contemporaneamente diversi intermediari: grossisti,
dettaglianti e perfino vendite dirette cercando di ottenere effetti sinergici. Si rimanda alla
voce Canali di distribuzione per maggiori approfondimenti.
 
4.Promozione. Il concetto di promotion, originariamente identificato dalla dottrina
esclusivamente nella promozione propriamente detta (sales promotion), negli ultimi
decenni ha subito un’evoluzione significativa in virtù della quale la promozione è stata
pienamente riconosciuta in tutta la sua valenza comunicativa. L’ ambito di applicazione
della disciplina è stato così esteso ben oltre la promozione delle vendite, includendo tutte
le attività di comunicazione aventi finalità di carattere commerciale: la pubblicità
(advertising), l’attività di comunicazione della forza di vendita (personal selling) e le
relazioni pubbliche (public relations); vedi Mix promozionale per un elenco completo e
dettagliato delle leve di comunicazione oggi attivabili dalle imprese. Si è così affermato un
più ampio concetto di promotion, definito come marketing communication, che propone
una gestione unitaria delle attività di comunicazione di marketing e che si traduce in
termini organizzativi nella direzione comunicazione (vedi Comunicazione).
Il considerare la promozione come una variabile del marketing mix di pari dignità delle
altre è cosa relativamente recente. Essa ha infatti raggiunto pieno sviluppo solo negli anni
Ottanta, quando il mercato delle promozioni si andò professionalizzando (in seguito
all’affermarsi delle agenzie di sales promotion) e si passò da un utilizzo tattico-
emergenziale a un impiego strategico. Fino ad allora, e tuttora in alcune imprese meno
evolute, la promozione è stata considerata come uno strumento tattico, non programmato
che viene proposto per “svuotare il magazzino” o per rispondere ad azioni aggressive della
concorrenza. L’improvvisazione e il dilettantismo che hanno circondato la promozione
vendite hanno provocato serie delusioni nelle aziende e soprattutto hanno dato
un’immagine di “parente povero” alla promozione rispetto ad altre leve del marketing mix,
segnatamente la pubblicità. Si è anche affermata l’idea che la promozione vendite abbia
effetti negativi sull’immagine del prodotto e dell’azienda. Solo a partire dagli anni Novanta,
in seguito ad azioni promozionali condotte con notevole capacità e successo, il giudizio su
questa attitudine negativa della promozione è stato corretto. La promozione, sino a quel
momento considerata solo come un mero strumento delle vendite, fu così pienamente
riconosciuta in tutta la sua valenza comunicativa: quando ben concepita, essa
contribuisce a rafforzare l’immagine di marca (brand image) e a spingere alla fedeltà il
consumatore; il beneficio aggiunto, a seconda della sua particolare natura, comunica al
consumatore messaggi e valori specifici collegati al prodotto.
Cannibalizzazione delle vendite: erosione delle vendite di un prodotto a favore di un altro
della stessa azienda. Si verifica quando un nuovo prodotto sottrae quote di mercato a un
altro prodotto già presente nella gamma.
Il pericolo della concorrenza fra prodotti di gamma di una stessa azienda è più che
proporzionale al numero dei prodotti che la compongono. All’ampliarsi della linea di
prodotti (line extension), infatti, cresce il rischio di sovrapposizione dell’offerta e dunque
aumenta anche il rischio di erosione della domanda dei prodotti esistenti a vantaggio dei
nuovi.
Laddove non sia possibile apportare una significativa differenziazione del nuovo prodotto
rispetto a quello già presente in gamma, in genere, all’azienda non resta che eliminare il
vecchio prodotto; in caso contrario, si verifica l’effetto di cannibalizzazione delle vendite,
con conseguente erosione della domanda del vecchio prodotto a opera del nuovo e,
dunque, con effetti economici dannosi (specialmente se il vecchio garantiva margini di
profittabilità superiori). Si consideri, infatti, che primi acquirenti di un nuovo prodotto sono,
in genere, fedeli consumatori degli altri prodotti della medesima gamma; ciò poiché tali
prodotti vengono generalmente affiancati sugli scaffali dei negozi e, spesso, pubblicizzati
insieme attraverso pubblicità “di linea”.
Cannibalizzazione del profitto. Annullamento del profitto causato da una campagna
promozionale che prevede sconti o offerte speciali ai consumatori di entità tale da rendere
nullo il margine di utile. La cannibalizzazione del profitto, in parole semplici, è la situazione
che si viene a creare quando i costi sostenuti per promuovere un certo prodotto
eguagliano i profitti generati dal prodotto medesimo.
Line extension: strategia aziendale volta all’ampliamento di una linea di prodotti; viene
adottata quando una linea ha successo e, pertanto, la si vuole sviluppare attraverso
un’ulteriore segmentazione della domanda e conseguente differenziazione del prodotto.
Lo sviluppo e l’ampliamento di una linea di prodotti presenta evidenti vantaggi rispetto ai
new brand o alle new category derivanti dalla sinergia che si viene a creare fra prodotti
affini o complementari. Tali vantaggi si riflettono sia in termini di minori costi
(contenimento dei costi derivante dalla congiunzione delle
spese promozionali e pubblicitarie) che dal punto di vista di una 
migliore immagine (consolidamento della notorietà e della reputazione dell’intera linea;
data l’offerta più ampia, infatti, il consumatore percepisce di ricevere un servizio migliore).
All’ampliarsi della linea di prodotti, tuttavia, cresce il rischio di sovrapposizione dell’offerta
e dunque aumenta il rischio di erosione della domanda dei prodotti esistenti a vantaggio
dei nuovi (effetto di cannibalizzazione delle vendite). Si consideri, infatti, che primi
acquirenti di un nuovo prodotto sono, in genere, fedeli consumatori degli altri prodotti della
medesima gamma; ciò poiché tali prodotti vengono generalmente affiancati sugli scaffali
dei negozi e, spesso, pubblicizzati insieme attraverso pubblicità c.d. “di linea”. La line
extension, dunque, favorisce un miglioramento del tasso di penetrazione della marca più
che del tasso d’acquisto. Essa genera vendite incrementali solo se i prodotti che ne fanno
parte sono ben differenziati tra loro e vengono sostenuti con il supporto di campagne di
marketing e comunicazione dedicate.
Ciclo di vita del prodotto. Modello di marketing tradizionalmente impiegato per descrivere
e analizzare le fasi che attraversa il prodotto nel corso della sua vita utile, cioè dal
momento in cui arriva sul mercato a quello della sua eliminazione. La durata dell’intero
ciclo di vita del prodotto e delle sue fasi è determinata dall’andamento delle vendite.
Le fasi in cui si articola il ciclo di vita del prodotto sono quattro: introduzione, crescita,
maturità e declino.
La fase di introduzione, che ha inizio con il lancio del prodotto, si caratterizza per una lenta
crescita delle vendite dovuta a una domanda inesistente che deve essere ancora creata
dall’azienda; l’impresa innovatrice, che non ha alcuna esperienza specifica sul nuovo
prodotto, deve elaborare un programma di marketing e, man mano che le vendite
aumentano, deve sostenere la loro accelerazione adattando la strategia di marketing. A
causa di queste difficili condizioni, generalmente in questa fase del ciclo di vita del
prodotto si registrano perdite per l’impresa: a fronte di entrate iniziali modeste, infatti, vi
sono spese di entità elevata per sostenere le attività di commercializzazione
e promozione necessarie a favorire la penetrazione del nuovo prodotto sul mercato. A ciò
si aggiunga che i risultati raggiunti dall’impresa che ha aperto il mercato possono essere
utilizzati dalle imprese concorrenti ai primi cenni di espansione della domanda.
Quando la domanda comincia a crescere rapidamente ed entrano nuovi produttori nel
mercato facendo diminuire i prezzi, il prodotto entra nella fase di sviluppo. In questo
stadio le vendite prendono slancio e i profitti raggiungono e si stabilizzano a buoni livelli;
man mano che le vendite aumentano, diventa più facile per il prodotto ottenere nuovi punti
di distribuzione; di contro, nuovi produttori entrano nel mercato attirati dal trend di vendite
positivo. Dal momento che l’offerta è in mano a più produttori, per l’impresa innovatrice
che ha aperto il mercato la priorità non è più quella di far conoscere caratteristiche, usi e
vantaggi del nuovo prodotto ai potenziali acquirenti, bensì quella di far preferire la
propria marca rispetto a quelle delle imprese concorrenti. Gli sforzi di marketing saranno,
pertanto, finalizzati a creare e consolidare la posizione del prodotto nel mercato e a
promuovere la fedeltà alla marca (brand loyalty).
Quando il prodotto si è diffuso in tutto il potenziale di mercato entra nella fase di
maturità che corrisponde ad un periodo di vendite a livelli elevati e più o meno costanti
attorno ad un massimo; il mercato è infatti saturo e il prodotto viene sostenuto con alti
investimenti di marketing e advertising. In questo stadio la curva delle vendite presenta ad
un certo punto un flesso per poi raggiungere il punto di massimo profitto, oltre il quale il
tasso comincia a decrescere. Ai primi sintomi di diminuzione inequivocabile del tasso di
profitto, generalmente l’azienda tende a uscire dalla produzione per iniziare la
commercializzazione del know how (v. licensing); dal momento che il mercato interno è
saturo, l’azienda cerca nuovi sbocchi sui mercati esteri, al fine di prolungare nel tempo la
profittabilità di un prodotto già obsoleto nel mercato domestico.
Quando la domanda comincia a decrescere rapidamente, e così i profitti,
il prodottoraggiunge la fase di declino. In questo stadio del ciclo di vita del prodotto la
competizione commerciale si incentra prevalentemente sul prezzo e i concorrenti
marginali vengono via via espulsi dal mercato. Laddove non sia possibile apportare una
riduzione dei prezzi, in genere, all’azienda non resta che eliminare il prodotto o, al limite,
tentare di rilanciarlo per allungarne la vita; la spesa in sforzi di promozione può, infatti,
contribuire a rallentare temporaneamente la velocità di declino del prodotto.

Chi determina il successo o il disastro di un produttore di beni o di servizi?


Chi ha il potere di decidere se acquistarli o lasciarli invenduti. In una
parola: il consumatore. Il settore turistico non fa eccezione. E nell’inedita
situazione in cui ci troviamo, con una competizione darwiniana tra realtà
(destinazioni, vettori, hotel ecc.), tutte in grave difficoltà, che si dovranno
disputare una domanda (turisti e vacanzieri) in fortissimo calo, ci sono
fattori che possono essere decisivi.

Uno di questi potremmo chiamarlo “fattore ecosistema” ma senza


scomodare clima e natura. Si tratta infatti della capacità degli enti
governativi ai vari livelli di creare un ambiente, un ecosistema appunto,
fatto di regole, norme e relative segnaletiche che rendano “leale” la
competizione tra le aziende e mettano il consumatore a proprio agio e in
grado di valutare e scegliere in base a dati chiari e certi.
Può sembrare una riflessione pedante ma per convincersi del contrario
basta pensare al disagio che proveremmo se, passando da una provincia a
un’altra, le regole e la segnaletica stradali cambiassero anche solo di poco:
incidenti a raffica e gran voglia di chiudersi in casa. Peggio ancora se la
segnaletica mancasse del tutto: ci sarebbe il fondato sospetto che manchino
anche le regole.

Ebbene, il mondo del turismo, in Italia, sconta esattamente un problema del


genere. Un problema non nuovo, anzi, e in gran parte frutto della competenza
regionale e frammentata del turismo (Titolo V della Costituzione), ma che con
l’emergenza in corso diventa ancora più evidente. Sappiamo bene, ad esempio che,
in Italia, dire “tre stelle” in Sicilia non è lo stesso che dirlo in Umbria o in Alto
Adige.

E oggi che tutti si affannano, comprensibilmente e giustamente, a dirci che


“rispettano i protocolli” di sanificazione ecc. noi dobbiamo presumere che
lo facciano davvero, senza però aver idea di dove e quali siano tali
protocolli. Che pure esistono, certo, ma noi, semplici consumatori, non
sappiamo se sono nazionali, regionali, di categoria o di pura buona volontà
dell’esercente.

Ci sono, è vero, anche disciplinari internazionali e ne abbiamo parlato qui ma il


WTTC è lontano e per la maggior parte dei viaggiatori ignoto e apprendere che
una destinazione come il Paese X è “sicura” mi dice poco o nulla sulla sicurezza
del “mio” hotel.

L’idea del marchio “Clean & Safe”, “pulito e sicuro”, è semplice: da una
parte il Governo federale e le associazioni di categoria hanno elaborato
piani di protezione obbligatori e nazionali per gli operatori che intendono
riaprire, sotto il controllo e le sanzioni delle autorità dei singoli Cantoni;
dall’altra, le principali associazioni, coordinate dall’Ente federale Svizzera
Turismo, hanno approntato un programma applicativo di tali piani, un
marchio unico e riconoscibile e una piattaforma informativa a
disposizione dei consumatori.

Si va da Hotellerie Suisse a Funivie Svizzere, dall’Unione dei Trasporti


pubblici alle aziende di navigazione, dai manager del turismo a
GastroSuisse. Insomma, ci sono tutti e tutti parlano la stessa lingua. Il
marchio Clean & Safe infatti è unico e riconoscibile, anche se viene
giustamente declinato in sei versioni:  alloggi, gastronomia, impianti di
risalita, wellness & spa, trasporti pubblici, seminari. Per poterlo utilizzare,
le aziende devono sottoscrivere un preciso e dettagliato impegno a
rispettare alla lettera tutti i piani di protezione.

La Confederazione Svizzera, anch’essa duramente colpita dalla pandemia,


ha iniziato il 27 aprile la progressiva riapertura delle attività. Il 6 giugno è
prevista la riapertura degli impianti di risalita (che in Svizzera svolgono
servizio pubblico, non solo a scopi turistici), della navigazione e delle
attrazioni turistiche mentre l'apertura delle frontiere è prevista in due
tranche: il 15 giugno con Austria, Francia e Germania ed entro il 6 luglio
con l’Italia e tutti gli altri Paesi dell’area Schengen.

Anche se in molte occasioni branding, brand e identità di brand si utilizzano


come sinonimo in realtà non lo sono. Ciò che è certo è che per avere un’attività
solida, devi costruire il branding, il brand e un’identità di brand forte e
consistente, non è sufficiente un logo.

Per comprendere le differenze tra branding, brand e identità di brand e per


costruire un brand di successo, ci sono tre termini chiave che devi considerare
per conoscere le differenze:

 Brand: come le persone percepiscono l’azienda.


 Branding: le azioni che realizzi per creare una determinata
immagine della tua azienda.
 Identità di brand: l’insieme di elementi del brand tangibili che uniti
creano un’immagine del brand.
Prima di approfondire i concetti di branding, brand e identità di brand, devi
sapere cosa identificano esattamente.

Cos’è il branding?
Il branding è l’insieme di attività ‘intangibili’ dell’azienda, servizio e prodotto. È
la definizione di una ‘relazione emozionale’ tra i clienti e l’attività.
Il branding si potrebbe definire come un’esperienza. Lo sviluppo del branding
consiste nella mission, i valori, la visione e la voce dell’azienda. Quindi si può
dire che è come un’esperienza completa che il cliente vive con il brand. Si
tratta del modo in cui il tuo pubblico percepisce il brand. Ciò che resta
impresso quando pensa alla tua attività. È la relazione psicologica che si
stabilisce tra azienda e cliente.
Il branding è la personalità, lo stile della tua attività che il cliente sperimenta
utilizzando il tuo prodotto. È ciò che aiuta a dare forma alla tua attività e ciò
che ti differenzia dai tuoi competitors tra le altre cose.

In questo modo la strategia che si può pianificare per creare il branding è


come, cosa, dove, quando e a chi desideri comunicare e mostrare i messaggi e
i valori del brand.

Menzionando una citazione di Walter Landor, “i prodotti si fabbricano nella


fabbrica, ma i brand si creano nella mente”.

La gente ‘si innamora’ dei brand, si fida di loro e considera la loro superiorità.
Un chiaro esempio di tutto ciò è Apple. Ci sono fans del brand che hanno
comprato e continuerebbero a comprare i prodotti anche se non sono i
migliori o i più convenienti rispetto alla concorrenza.

 Contatti

Differenze tra branding, brand e


identità di brand
 Novembre 13, 2018
 

 Redazione
 

 Marketing Digitale
Ti è piaciuto il nostro articolo?

Non ci sono commenti.






Anche se in molte occasioni branding, brand e identità di brand si utilizzano come
sinonimo in realtà non lo sono. Ciò che è certo è che per avere un’attività solida, devi
costruire il branding, il brand e un’identità di brand forte e consistente, non è
sufficiente un logo.

Per comprendere le differenze tra branding, brand e identità di brand e per costruire
un brand di successo, ci sono tre termini chiave che devi considerare per conoscere
le differenze:

 Brand: come le persone percepiscono l’azienda.


 Branding: le azioni che realizzi per creare una determinata immagine della tua
azienda.
 Identità di brand: l’insieme di elementi del brand tangibili che uniti creano
un’immagine del brand.
Prima di approfondire i concetti di branding, brand e identità di brand, devi sapere
cosa identificano esattamente.

Cos’è il branding?
Il branding è l’insieme di attività ‘intangibili’ dell’azienda, servizio e prodotto. È la
definizione di una ‘relazione emozionale’ tra i clienti e l’attività.
Il branding si potrebbe definire come un’esperienza. Lo sviluppo del branding
consiste nella mission, i valori, la visione e la voce dell’azienda. Quindi si può dire che
è come un’esperienza completa che il cliente vive con il brand. Si tratta del modo in
cui il tuo pubblico percepisce il brand. Ciò che resta impresso quando pensa alla
tua attività. È la relazione psicologica che si stabilisce tra azienda e cliente.
Il branding è la personalità, lo stile della tua attività che il cliente sperimenta
utilizzando il tuo prodotto. È ciò che aiuta a dare forma alla tua attività e ciò che ti
differenzia dai tuoi competitors tra le altre cose.

In questo modo la strategia che si può pianificare per creare il branding è come,
cosa, dove, quando e a chi desideri comunicare e mostrare i messaggi e i valori del
brand.

Menzionando una citazione di Walter Landor, “i prodotti si fabbricano nella fabbrica,


ma i brand si creano nella mente”.
La gente ‘si innamora’ dei brand, si fida di loro e considera la loro superiorità. Un
chiaro esempio di tutto ciò è Apple. Ci sono fans del brand che hanno comprato e
continuerebbero a comprare i prodotti anche se non sono i migliori o i più
convenienti rispetto alla concorrenza.

Cos’è l’identità di brand?

L’identità di brand si riferisce a ciò che si vede e ciò che si sente


sull’azienda.Vedendo le immagini (qualcuno la chiama identità visuale). Ciò
include colori, font, loghi, alternative, elementi grafici, fotografie. Il brand va di
pari passo con l’identità di brand e, a volte, è difficile distinguerli.
Lo puoi capire meglio con un esempio. Dior proietta un’immagine di brand esclusiva
e elegante. E il suo stile è coordinato. Per questo ha un sito semplice, con il suo logo
iconico e si usano colori come il nero, il bianco e colori neutri. Utilizza anche persone
famose per i suoi annunci come Johnny Depp o Charlize Theron. È la combinazione
perfetta tra branding, brand e identità di brand oltre alla grafica. E ciò aiuta a
creare un’esperienza speciale per l’utente che è l’obiettivo finale del branding.
Ciò che è chiaro è che il branding, il brand e l’identità visuale dovrebbero andare di
pari passo. In questo modo si può riconoscere il brand anche se non si vede il suo
logo.

L’identità di brand consiste in elementi come:

 Logo.
 Colori chiave (palette colori).
 Tipi di font corporate.
 Elementi tipografici standard.
 Stile consistente delle immagini.
 Archivio elementi grafici.

Differenze tra branding e identità


visuale
 Il branding è intangibile. È ciò che vedono o hanno in mente i tuoi clienti quando
pensano alla tua attività. Come menzionato anteriormente il branding è
un’esperienza. È ciò che associa l’utente al brand. Il primo elemento che ci viene in
mente a riguardo.
 L’identità di brand è tangibile, è come il volto del brand. Si tratta dell’immagine
visuale dell’attività. L’identità di brand è ciò che si può vedere e tutto ciò fomenta il
riconoscimento del brand, promuovendo la differenziazione rispetto agli altri.
Tutti gli elementi visuali del brand si possono riunire sotto il termine di identità
di brand. Alcuni la chiamano anche identità corporativa.
Ciò che è certo è che il numero di elementi di un sistema di identità di brand dipende
completamente da quanti punti di contatto si creano per un brand.

Come funzionano insieme il branding e


l’identità di brand?
Quando si definiscono mission, valori, obiettivi, il pubblico target o le parole
chiave di un brand si sta creando la base del branding. E l’identità di brand è il
volto dello stesso. Per questo devi assicurarti che il volto del tuo brand rappresenti
tutto questo in maniera distintiva, memorabile e professionale.
Identità di brand è l’insieme dei tratti che definiscono i valori e la mission della tua
attività. I loghi della tua azienda, la grafica dei prodotti e l’etica della tua azienda.
Tutti questi elementi formano parte del tuo brand.

L’obiettivo è usare tutti gli elementi visuali e fisici per creare un’impressione positiva
nei tuoi clienti.  L’identità di brand inoltre:

 Rende i tuoi prodotti unici


 Mostra ai tuoi clienti chi sei e come risolvi i problemi
 Trasmette come vuoi che si sentano i clienti quando usano i tuoi prodotti.

Cos’è un logo?

Il logo è la rappresentazione visuale del branding. È il simbolo grafico della tua


azienda. Per differenziarti dalla concorrenza è importante investire tempo e denaro
nella grafica. In fin dei conti è la tua identità. In questo modo avrai una presenza
visuale professionale. E ti servirà per dare coerenza a tutte le piattaforme della tua
attività nell’aspetto visuale.
L’obiettivo di creare un buon logo è che deve identificare l’attività in maniera che
sia riconoscibile e che gli utenti possano ricordarlo.
Il logo di IKEA, come vedi nell’immagine qui sopra, si è trasformato abbastanza ma si
è mantenuto costante dal 1967, cambiando solo i colori e conservando la forma e il
font. La combinazione dei colori blu e giallo attuale trasmette fiducia e affidabilità.
Ma anche amichevolezza e consenso. Le lettere arrotondate creano l’impressione di
un brand forte e completo.

Esempi di branding, brand e identità


visuale
Questi sono alcuni chiari esempi di come utilizzare branding, brand e identità visuale:

1.- Skype

Skype è un chiaro esempio di come funzionano insieme il branding, il brand e


l’identità visuale. Ha lanciato un nuovo logo, una versione più stilizzata che
presenta lo stesso look&feel del logo di Microsoft. Questa grafica è parte di una
grande trasformazione dato che l’azienda ha anche modificato la grafica del suo sito
e applicazione mobile.
La nuova grafica della pagina web è più flessibile, permettendo agli utenti di
personalizzare la piattaforma con diversi colori o aggiungendo emoji alla
conversazione.

2 – Spotify

La brand guide di Spotify può sembrare semplice ma il brand non è formato solo da
un cerchio verde. La paletta dei colori di Spotify include tre codici colore mentre il
resto degli elementi si focalizzano sulla variazione del logo. La guida del branding,
brand e identità visuale di Spotify ti permette anche di scaricare una versione
icona del suo logo quindi è più facile rappresentare l’azienda senza ricrearla in
autonomia.

3.- Jamie Oliver

Jamie Oliver ha una brand guide estremamente completa che comprende la


posizione del logo su tutti i prodotti. L’azienda include anche un’ampia paletta
colori coordinata con i prodotti.

4.- Herban Kitchen

Herban Kitchen ha una paletta colori e font nella sua guida di stile. Questi elementi
aiutano a mostrare non solo come comparirà il logo del brand ma anche come si
vedranno i diversi elementi per i clienti potenziali.

5.- Urban Outfitters

La fotografia, il colore e il tono della voce compaiono come elementi del brand
ispirati alla California di Urban Outfitters. Ovviamente l’azienda non
lesina informazioni riguardo ai consumatori ideali e ai valori del brand.

6.- Love to Ride

Love to Ride, un’azienda di biciclette. La varietà di colori che utilizza ha a che fare con
la sua guida di stile. Gli elementi del brand includono nove codici colori e
tonnellate di dettagli sui loghi e le immagini.

7.- I Love New York


Nonostante le sue famose magliette, I Love New York ha una guida di stile del
brand. L’azienda offre una spiegazione dettagliata della sua mission, vision,
storia, pubblico target e tone of voice.

8.- Università delle arti di Helsinki

La guida di stile dell’Università delle arti di Helsinki è più di un album creativo del
brand e più di una guida di marketing tradizionale. Ti mostra decine di contesti in cui
si può vedere il logo, incluso in versione animata.

9.- Netflix

Riguardo alle sue attività di brand, Netflix si focalizza principalmente sul trattamento
del logo. L’azienda offre un insieme semplice di regole che riguardano la
dimensione, l’ubicazione e il font, come il codice colore per il suo logo, rosso
classico.
Se come brand hai bisogno di aiuto per migliorare il branding, il brand e l’identità
visuale della tua azienda, mettiti in contatto con Antevenio. Troverai ciò che cerchi.
Non aspettare oltre.

Fare naming è una delle operazioni creative più complesse del marketing che
non porta da nessuna parte se non viene canalizzata in modo strategico. Dare un
nome è tutt’altro che semplice. In pochissime parole, a volte dentro 1 soltanto,
devo metterci tantissimo significato, l’essenza di un’azienda, di un prodotto o di
un servizio. 
La palette di possibilità è ampia e deve prima o poi restringersi, meglio se con
un buon brief e una buona analisi, fino a far incontrare in un solo punto le
esigenze del proprietario del nome con quelle di chi quel nome lo dovrà usare:
lì, in quel punto, c’è il nome giusto. Ci sono centinaia di opzioni e altrettanti
modi per costruire i nomi di un marchio.
Individuare la tipologia di nome che strategicamente è giusta per noi può
portarci molti vantaggi. Ma quanti tipi di nomi esistono? Come si fa a scegliere
quello giusto?
In questo post analizzo i tipi di nomi di brand e li esamino da 2 punti di vista:
categoria e costruzione. Tutti i nomi di brand e prodotto che esistono oggi
rientrano in una di queste 5 categorie: 
1. nome descrittivo
2. nome suggestivo
3. nome del fondatore
4. acronimo
5. neologismo
Queste 5 categorie sono come degli archetipi. Ti guidano e ti aiutano a
determinare il tipo di storia che vuoi raccontare.
L’altro giorno passeggiavo per Pantin insieme a 2 amici francesi che
scherzavano sulla moda di questi ultimi anni a Parigi di dare nomi didascalici
alle attività: per esempio il negozio di occhiali che si chiama “Lunettes” (in
francese occhiali) o la steak house che si chiama “viande” (carne). 
Eh sì, anche i nomi hanno dei trend: riguardano i vari settori ma soprattutto
i periodi. Infatti dalla fine del 1800 ai primi del 1900 i nomi dei marchi erano
per lo più nomi di persone, cognome del fondatore, nome e cognome. Verso la
metà del secolo sono diventati per lo più descrittivi, descrivevano il prodotto o
l’attività, per arrivare tra la fine del 1900 fino a oggi, a nomi più originali e
particolari. Vediamoli insieme.

ll nome descrittivo
Il nome descrittivo tende a spiegare il prodotto o il servizio facendo capire
subito di cosa si tratta e cosa si vende. Per esempio:
 Perlana
 Divani&Divani 
 Swiss Air
 Scarpe&Scarpe (con evidente mancanza di originalità)
 Sottilette
I nomi descrittivi sono funzionali e posizionano chiaramente il marchio: sono
di immediata comprensione, facili da scegliere, ma spesso limitano il
prodottostesso, hanno scarsa personalità e sono deboli a livello commerciale
e legale.
Nei nomi descrittivi non c’è alcuna ambiguità: hanno l’indubbio vantaggio
della chiarezza tendendo all’ovvietà ma è proprio questo che li rende efficaci.
Quando ti trovi di fronte a un nome descrittivo non devi pensarci troppo perché
sai di cosa si tratta. Il nome descrittivo può essere molto più difficile da
possedere e da proteggere.
Un buon nome può avere diversi pregi, ogni tipologia di nome ha i propri, ed è
capace di ottimizzare le vendite di un buon prodotto, ma un buon nome non
può salvare un prodotto scadente. Il nome sbagliato, invece, può banalizzare
un brand, ostacolandone il successo.

Il nome suggestivo
I nomi suggestivi riflettono immagini e significati legati strettamente al brand.
Funzionano attraverso le metafore, le analogie o le associazioni. 
Il nome suggestivo tende a connotare il prodotto e per questo è più coraggioso
da scegliere rispetto al nome descrittivo: è di forte impatto, ha una grande
personalità, rappresenta una reale opportunità per comunicare ed è forte a
livello commerciale e legale. Facciamo qualche esempio:

Twitter

In inglese significa cinguettio. Twitter è un social network in cui lo scambio di


informazioni avviene tramite i tweet (cinguettii appunto). Sono messaggi molto
brevi proprio come i cinguettii degli uccelli.

Bacio

Il Bacio della Perugina è un nome suggestivo. Quante storie hanno potuto


costruire grazie a questo nome? Mi dà un Bacio? E pensare che all’inizio si
chiamava Cazzotto. Certo, mi dà un cazzotto, hanno capito che non avrebbe
avuto vita lunga. Magari la prossima volta ti racconto la storia. 

Lush

Lush in inglese vuol dire “lussureggiante”. In italiano potremmo tradurlo con


florido o esuberante. È una parola composta da suoni morbidi e aperti che
evocano fluidità, facilità e leggerezza. Lush infatti vende prodotti di cosmesi
fatti a mano, che rispettano l’ambiente, gli animali e le persone. Se avessero
puntato su un nome descrittivo avremmo probabilmente trovato qualcosa di
“verde”, di “bio”, di “eco” o altri suffissi del genere. Lush consegna al payoff la
responsabilità di spiegare cosa fanno: Fresh Handmade Cosmetics.

Amazon

Il Rio delle Amazzoni si trova in Sud America ed è il fiume più grande del
mondo: Amazon voleva affermare di essere il più grande magazzino di prodotti
al mondo. Prende il concetto di grandezza del fiume e se lo mette addosso.

Nike 

Nella cultura greca Nike è la dea della vittoria. È il concetto di potenza e


successo che Nike vuole trasmettere con il suo nome. Non dice che fa
abbigliamento sportivo come avrebbe fatto se avesse scelto un nome descrittivo
ma comunica un valore.

Apple

In inglese mela. Apple non vende mele e per questo non è un nome descrittivo.
È un nome reale che è stato associato a un altro ambito di significati: in questo
caso la tecnologia.  Il nome Apple prende vita insieme al logo con la mela
morsicata: il morso simboleggia la conoscenza e gioca sul termine
inglese bitemordere, omofono di byte, l’unità di misura informatica.

Il nome del fondatore


Molte aziende prendono il nome dai fondatori: Ferrari (da Enzo Ferrari), Gucci
(da Guccio Gucci), Ralph Lauren, Tommy Hilfiger, Tiffany & CO, Versace,
Roberto Cavalli. Un nome così è indissolubilmente legato a un vero essere
umano e quindi potrebbe essere più facile da proteggere legalmente. Nomi di
questo tipo vengono spesso adottati nei settori del lusso o del fashion dove la
persona nominata è simbolo di un certo stile. 
Spesso i liberi professionisti mi chiedono se è meglio mantenere il proprio
nome e cognome o studiarne uno apposta per la loro attività. Come si fa a
decidere se mantenere il proprio nome e cognome o dare un nome proprio
all’attività?
Il vantaggio più immediato nell’usare il tuo nome e cognome è il fatto che non
devi passare il tempo a pensare a un nome nuovo o a pagare qualcuno che lo
studi per te. Un altro vantaggio è che se vuoi fare un sito, sei quasi sicuro che il
dominio sia libero: l’URL in questo caso è generalmente disponibile.
Lo svantaggio maggiore è che il tuo nome e cognome non dicono nulla di te
come professionista: non c’è valore, non c’è suggestione, non c’è descrizione,
non c’è immaginazione. Risulta più freddo e non coinvolgente, sperando che
non sia anche difficile da pronunciare.
Lo stesso discorso vale per le aziende: in più se alla tua azienda hai dato il tuo
nome vuol dire che nel momento in cui assumi dei partner devi aggiungere “&
CO” “Associati” e altre espressioni che indicano questo tipo di crescita
aziendale. Se poi un giorno decidi di vendere l’azienda è un po’ come sentire di
aver perso il proprio nome e la propria identità.

Il procedimento di approvazione del bilancio d’esercizio prevede i seguenti passaggi: 

• Gli amministratori redigono il progetto di bilancio unitamente alla relazione sulla gestione. 

• Il progetto di bilancio viene trasmesso, laddove presente, al collegio sindacale e/o al


soggetto incaricato della revisione legale almeno 30 giorni prima di quello fissato per
l’assemblea. 

• Il bilancio con le relazioni degli amministratori, dei sindaci e/o del soggetto incaricato alla
revisione legale sono depositati presso la sede sociale, unitamente alle copie integrali dell'ultimo
bilancio delle società controllate e al prospetto riepilogativo dei dati essenziali dell'ultimo bilancio
delle società collegate almeno 15 giorni prima di quello fissato per l’assemblea. 

• L’assemblea ordinaria dei soci che si riunisce entro il 30 aprile approva il bilancio. 

• Entro 20 giorni dall’approvazione del bilancio da parte dell’assemblea è


necessario, in caso di distribuzione utili, procedere con la registrazione del verbale di
assemblea. 
Pagina 2/4 - www.fisco7.it

• Il bilancio d’esercizio, le relazioni, il verbale di approvazione dell’assemblea, l'elenco dei soci


(nelle società per azioni non quotate) sono depositati, entro 30 dall’approvazione, presso il
competente ufficio del registro delle imprese. 

I termini per le formalità appena descritte sono i seguenti e variano a seconda della presenza
o meno del collegio sindacale e/o dell’organo di revisione. 

Nell’avviso di convocazione dell’assemblea può essere già fissato il giorno per la seconda
convocazione, che non può aver luogo nello stesso giorno fissato per la prima e che deve
essere fissato entro 30 giorni dalla data della prima convocazione. Il termine ultimo per
l’approvazione del bilancio in seconda convocazione è il 30 maggio 2019. 

È possibile prevedere nello statuto un termine maggiore, in ogni caso non superiore ai 180
giorni, per la l’assemblea in prima convocazione (29 giugno 2019) o in seconda (29 luglio
2019), che approva il bilancio: 

• se la società è tenuta alla redazione del bilancio consolidato; 

• se lo richiedono particolari esigenze relative alla struttura ed all'oggetto della società (per
esempio: ampliamento dell’organizzazione territoriale della società a cui non corrisponda ancora
un adeguamento della struttura amministrativa; esistenza di un’organizzazione produttiva e
contabile decentrata in più sedi periferiche, ciascuna con contabilità autonoma e separata;
dimissioni amministratori in prossimità dell’avvio dell’iter di formazione del bilancio; variazione del
sistema informatico). 

Pagina 3/4 - www.fisco7.it

Le particolari esigenze relative alla struttura e all’oggetto devono essere segnalate,


a cura degli amministratori, nella relazione sulla gestione o, in caso di esonero, nella
nota integrativa. 

Vale la pena ricordare che le società hanno l’obbligo di indicare in nota integrativa il ricevimento
di sovvenzioni, contributi, incarichi retribuiti e vantaggi economici di qualunque genere dalle
amministrazioni pubbliche e dai soggetti equiparati, qualora sia superiore a 10.000 euro (L. n.
124/2017, art. 1, commi 125 -129). Data la novità della norma e la sua non facile applicazione, il
CNDCEC, il 21 febbraio scorso, con una nota ha comunicato che questo nuovo obbligo potrà
consentire di allungare i tempi per l’approvazione del bilancio da 120 a 180 giorni. 
Anche la normativa contenuta nell’ultima legge di bilancio in materia di rivalutazione dei beni
di impresa (Art. 1, commi 940-950, L. n. 205/2018) consentirà di allungare i termini di
approvazione del bilancio di esercizio. In nota integrativa dovrà dar conto di tale operazione
per quanto concerne l’impatto della rivalutazione sui beni e gli effetti sul patrimonio netto. 

Nicolò Cipriani – Centro Studi CGN 

Pagina 4/4 - www.fisco7.it


Bilancio d'esercizio - esercizio n.6 pag.441 stato patrimoniale attivo STATO

PATRIMONIALE 
ATTIVO 20XX 
A) CREDITI VERSO SOCI PER VERSAMENTI ANCORA DOVUTI 0,00 
B) IMMOBILIZZAZIONI  
 I - IMMOBILIZZAZIONI IMMATERIALI 2.000,00 
 1) Costi d'impianto e di ampliamento 0,00 
 2) Costi di ricerca, sviluppo e di pubblicità 0,00 
 3) Diritto di brevetto industriale e di utilizzo delle opere d'ingegno 2.000,00 
 4) Concessioni, licenze, marchi e diritti simili 0,00 
 5) Avviamento 0,00 
 6) Immobilizzazioni in corso e acconti 0,00 
 7) Altre 0,00 
 II - IMMOBILIZZAZIONI MATERIALI 519.745,00 
 1) Terreni e fabbricati 492.700,00 
 2) Impianti e macchinari 18.225,00 
 3) Attrezzature industriali e commerciali 0,00 
 4) Altri beni 8.820,00 
 5) Immobilizzazioni in corso e acconti 0,00 
 III - IMMOBILIZZAZIONI FINANZIARIE 0,00 
 1) Partecipazioni 0,00 
 a) imprese controllate 0,00 
 b) imprese collegate 0,00 
 c) imprese controllanti 0,00 
 d) altre imprese 0,00 
 2) Crediti 0,00 
 a) verso imprese controllate 0,00 
 b) verso imprese collegate 0,00 
 c) verso controllanti 0,00 
 d) verso altri 0,00 
 3) Altri titoli 0,00 
 4) Azioni proprie 0,00 
TOTALE IMMOBILIZZAZIONI ( B ) 521.745,00 
C) ATTIVO CIRCOLANTE 
 I - RIMANENZE 94.500,00 
 1) Materie prime, sussidiarie e di consumo 50.000,00 
 2) Prodotti in corso di lavorazione e semilavorati 0,00 
 3) Lavori in corso su ordinazione 0,00 
 4) Prodotti finiti e merci 44.500,00 
 5) Acconti 0,00 
 II - CREDITI 4.544,50 
 1) Verso clienti 4.462,50 
 2) Verso imprese controllate 0,00 
 3) Verso imprese collegate, controllate 0,00 
 4) Verso imprese controllanti 0,00 
 4-bis) Crediti tributari 82,00 
 4-ter) Imposte anticipate 0,00 
 5) Verso altri 0,00 
 III - ATTIVITA' FINANZIARIE CHE NON COST. IMMOBILIZZAZIONI 0,00
Bilancio d'esercizio - esercizio n.6 pag.441 stato patrimoniale attivo 

 1) Partecipazioni in imprese controllate 0,00 


 2) Partecipazioni in imprese collegate 0,00 
 3) Partecipazioni in imprese controllanti 0,00 
 4) Altre partecipazioni 0,00 
 5) Azioni proprie 0,00 
 6) Altri titoli 0,00 
 IV - DISPONIBILITA' LIQUIDE 72.826,20 
 1) Depositi bancari e postali 72.106,20 
 2) Assegni 0,00 
 3) Denaro e valori in cassa 720,00 
TOTALE ATTIVO CIRCOLANTE (C ) 171.870,70 
D) RATEI E RISCONTI 157,50 
TOTALE (A + B + C + D) 693.773,20
Bilancio d'esercizio - esercizio n.6 pag.441 stato patrimoniale passivo STATO

PATRIMONIALE 
PASSIVO 20XX 
A) PATRIMONIO NETTO 
 I - Capitale 323.959,30 
 II - Riserva di sovrapprezzo azioni 0,00 
 III - Riserva di rivalutazione 0,00 
 IV - Riserva legale 0,00 
 V - Riserva per azioni proprie in portafoglio 0,00 
 VI - Riserva statutarie 0,00 
 VII - Altre riserve distintamente indicate 
 Riserva straordinaria 0,00 
 Riserva da arrotondamenti 0,00 
VIII - Utile (perdite) portate a nuovo 0,00 
 IX - Utile (perdita) dell'esercizio 13.566,10 
TOTALE PATRIMONIO NETTO ( A ) 337.525,40 

B) FONDI PER RISCHI ED ONERI 


 1) Per trattamento di quiescenza ed obblighi simili 0,00 
 2) Per imposte, anche differite 0,00 
 3) Altri fondi 1.800,00 
TOTALE FONDI PER RISCHI ED ONERI ( B ) 1.800,00 

C) TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO 80.073,42 

D) DEBITI 
 1) Obbligazioni 0,00 
 2) Obbligazioni convertibili 0,00 
 3) Debiti verso soci per finanziamenti 0,00 
 4) Debiti verso banche 101.626,08 
 5) Debiti verso altri finanziatori 0,00 
 6) Acconti 1.125,00 
 7) Debiti verso fornitori 124.810,70 
 8) Debiti rappresentati da titoli di credito 0,00 
 9) Debiti verso imprese controllate 0,00 
 10) Debiti verso imprese collegate 0,00 
 11) Debiti verso imprese controllanti 0,00 
 12) Debiti tributari 22.602,60 
 13) Debiti verso Istituti di prev. e sicurezza sociale 23.850,00 
 14) Altri debiti 0,00 
TOTALE DEBITI ( D ) 274.014,38 

E) RATEI E RISCONTI 360,00 


TOTALE (A + B + C + D + E) 693.773,20

Bilancio d'esercizio - esercizio n.6 pag.441 conto economico CONTO

ECONOMICO 
20XX 
A) VALORE DELLA PRODUZIONE 
 1) Ricavi delle vendite e delle prestazioni 791.187,50 
 2) Variazioni delle rim di prodotti in corso di lav, semilavorati e finiti 0,00 
 3) Variazioni dei lavori in corso su ordinazione 0,00 
 4) Incrementi di immobilizzazioni per lavori interni 0,00 
 5) Altri ricavi e proventi 1.450,00 
TOTALE VALORE DELLA PRODUZIONE 792.637,50 
B) COSTI DELLA PRODUZIONE 
 6) Per materie prime,sussidiarie, di consumo e di merci 133.046,58 
 7) Per servizi 224.640,00 
 8) Per godimento beni di terzi 0,00 
 9) Per il personale 439.063,42 
 a) Salari e stipendi 312.750,00 
 b) Oneri sociali 100.080,00 
 c) Trattamento di fine rapporto 26.233,42 
 d) Trattamento di quiescenza e simili 0,00 
 e) Altri costi 0,00 
10) Ammortamenti e svalutazioni 47.267,50 
 a) Ammortamento delle immobilizzazioni immateriali 1.250,00 
 b) Ammortamento delle immobilizzazioni materiali 43.655,00 
 c) Altre svalutazioni delle immobilizzazioni 0,00 
 d) Svalutazione dei crediti compresi nell'attivo circolante  
 e delle disponibilità liquide 2.362,50 
11) Variazioni delle rim di materie prime, sussidiarie, di cons e merci -76.500,00 
12) Accantonamenti per rischi 200,00 
13) Altri accantonamenti 0,00 
14) Oneri diversi di gestione 0,00 
TOTALE COSTI DELLA PRODUZIONE 767.717,50 
DIFFERENZA TRA VALORE E COSTI DELLA PRODUZIONE 24.920,00 
C) PROVENTI ED ONERI FINANZIARI 
15) Proventi da partecipazioni 0,00 
16) Altri proventi finanziari 410,00 
 a) Da crediti iscritti nelle immobilizzazioni 0,00 
 b) Da titoli iscritti nelle immobilizzazioni 0,00 
 c) Da titoli iscritti nell'attivo circolante 0,00 
 d) Proventi diversi dai precedenti 410,00 
17) Interessi ed altri oneri finanziari -6.182,50 
17-bis) Utili e perdite su cambi 0,00 
TOTALE PROVENTI ED ONERI FINANZIARI -5.772,50 
D) RETTIFICHE DI VALORE DI ATTIVITA' FINANZIARIE 
18) Rivalutazioni 0,00 
 a) Di partecipazioni 0,00 
 b) Di immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono immobiliz 0,00 
 c) Di titoli iscritti nell'attivo circolante che non cost immobiliz 0,00 
19) Svalutazioni 0,00 
 a) Di partecipazioni 0,00 
 b) Di immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono immobiliz 0,00 
 c) Di titoli iscritti nell'attivo circolante che non cost immobiliz 0,00 
TOTALE RETTIFICHE 0,00 
RISULTATO PRIMA DELLE IMPOSTE 19.147,50 
20) Imposte sul reddito dell'esercizio, correnti, differite e anticipate -5.581,40 
21) UTILE (PERDITA) DELL'ESERCIZIO 13.566,10

STATO PATRIMONIALE 
ATTIVO 20XX 20XX - 1 
A) CREDITI VERSO SOCI PER VERSAMENTI ANCORA DOVUTI 100,00 100,00 B)
IMMOBILIZZAZIONI  
 I - IMMOBILIZZAZIONI IMMATERIALI 600,00 590,00  1) Costi d'impianto e di ampliamento 100,00 105,00 
2) Costi di ricerca, sviluppo e di pubblicità 50,00 55,00  3) Diritto di brevetto industriale e di utilizzo delle opere
d'ingegno 200,00 210,00  4) Concessioni, licenze, marchi e diritti simili 150,00 120,00  5) Avviamento 90,00 100,00 
6) Immobilizzazioni in corso e acconti 10,00 0,00  7) Altre 0,00 0,00  II - IMMOBILIZZAZIONI MATERIALI
4.280,00 4.250,00  1) Terreni e fabbricati 0,00 0,00  2) Impianti e macchinari 2.500,00 2.650,00  3) Attrezzature
industriali e commerciali 1.030,00 800,00  4) Altri beni 750,00 800,00  5) Immobilizzazioni in corso e acconti 0,00
0,00  III - IMMOBILIZZAZIONI FINANZIARIE 900,00 860,00  1) Partecipazioni 650,00 650,00  a) imprese
controllate 0,00 0,00  b) imprese collegate 650,00 650,00  c) imprese controllanti 0,00 0,00  d) altre imprese 0,00
0,00  2) Crediti 200,00 150,00  a) verso imprese controllate 0,00 0,00  b) verso imprese collegate 0,00 0,00  c)
verso controllanti 0,00 0,00  d) verso altri 200,00 220,00  3) Altri titoli 0,00 0,00  4) Azioni proprie 50,00 60,00
TOTALE IMMOBILIZZAZIONI ( B ) 5.780,00 5.700,00 C) ATTIVO CIRCOLANTE 
 I - RIMANENZE 150,00 140,00  1) Materie prime, sussidiarie e di consumo 100,00 90,00  2) Prodotti in corso di
lavorazione e semilavorati 0,00 0,00  3) Lavori in corso su ordinazione 0,00 0,00  4) Prodotti finiti e merci 50,00
50,00  5) Acconti 0,00 0,00  II - CREDITI 1.700,00 1.340,00  1) Verso clienti 1.550,00 1.220,00  2) Verso
imprese controllate 0,00 0,00  3) Verso imprese collegate, controllate 0,00 0,00  4) Verso imprese controllanti 0,00
0,00  4-bis) Crediti tributari 20,00 30,00  4-ter) Imposte anticipate 0,00 0,00  5) Verso altri 130,00 90,00  III -
ATTIVITA' FINANZIARIE CHE NON COST. IMMOBILIZZAZIONI 50,00 40,00  1) Partecipazioni in imprese
controllate 0,00 0,00  2) Partecipazioni in imprese collegate 0,00 0,00  3) Partecipazioni in imprese controllanti 0,00
0,00
 4) Altre partecipazioni 0,00 0,00  5) Azioni proprie 0,00 0,00  6) Altri titoli 50,00 40,00  IV - DISPONIBILITA'
LIQUIDE 440,00 410,00  1) Depositi bancari e postali 420,00 370,00  2) Assegni 10,00 4,00  3) Denaro e valori in
cassa 10,00 36,00 TOTALE ATTIVO CIRCOLANTE (C ) 2.340,00 1.930,00 D) RATEI E RISCONTI
80,00 70,00 TOTALE (A + B + C + D) 8.300,00 7.800,00

STATO PATRIMONIALE 
PASSIVO 20XX 20XX - 1 
A) PATRIMONIO NETTO 
 I - Capitale 3.000,00 3.000,00  II - Riserva di sovrapprezzo azioni 0,00 0,00  III - Riserva di
rivalutazione 0,00 0,00  IV - Riserva legale 600,00 575,00  V - Riserva per azioni proprie in
portafoglio 0,00 0,00  VI - Riserva statutarie 100,00 75,00  VII - Altre riserve distintamente
indicate 
 Riserva straordinaria 0,00 0,00  Riserva da arrotondamenti 1,00 0,00 VIII - Utile (perdite)
portate a nuovo 145,00 45,00  IX - Utile (perdita) dell'esercizio 450,00 260,00 TOTALE
PATRIMONIO NETTO ( A ) 4.296,00 3.955,00 

B) FONDI PER RISCHI ED ONERI 


 1) Per trattamento di quiescenza ed obblighi simili 4,00 6,00  2) Per imposte, anche differite
0,00 0,00  3) Altri fondi 2,00 0,00 TOTALE FONDI PER RISCHI ED ONERI ( B ) 6,00 6,00 

C) TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO 530,00 490,00 

D) DEBITI 
 1) Obbligazioni 0,00 0,00  2) Obbligazioni convertibili 0,00 0,00  3) Debiti verso soci per
finanziamenti 700,00 700,00  4) Debiti verso banche 990,00 1.145,00  5) Debiti verso altri
finanziatori 0,00 0,00  6) Acconti 53,00 25,00  7) Debiti verso fornitori 610,00 600,00  8) Debiti
rappresentati da titoli di credito 120,00 80,00  9) Debiti verso imprese controllate 0,00 0,00  10)
Debiti verso imprese collegate 0,00 0,00  11) Debiti verso imprese controllanti 0,00 0,00  12)
Debiti tributari 380,00 250,00  13) Debiti verso Istituti di prev. e sicurezza sociale 260,00 210,00 
14) Altri debiti 295,00 280,00 TOTALE DEBITI ( D ) 3.408,00 3.290,00 

E) RATEI E RISCONTI 60,00 59,00 TOTALE (A + B + C + D + E) 8.300,00 7.800,00

CONTO ECONOMICO 
20XX 20XX - 1 
A) VALORE DELLA PRODUZIONE 
 1) Ricavi delle vendite e delle prestazioni 17.400,00 17.180,00  2) Variazioni delle rim di prodotti in corso di lav,
semilavorati e finiti 0,00 0,00  3) Variazioni dei lavori in corso su ordinazione 0,00 0,00  4) Incrementi di immobilizzazioni
per lavori interni 50,00 20,00  5) Altri ricavi e proventi 150,00 160,00 TOTALE VALORE DELLA PRODUZIONE
17.600,00 17.360,00 B) COSTI DELLA PRODUZIONE 
 6) Per materie prime,sussidiarie, di consumo e di merci 3.450,00 3.380,00  7) Per servizi 5.600,00 5.400,00  8) Per
godimento beni di terzi 2.300,00 2.450,00  9) Per il personale 3.800,00 3.970,00  a) Salari e stipendi 2.350,00 2.405,00 
b) Oneri sociali 1.200,00 1.307,00  c) Trattamento di fine rapporto 205,00 208,00  d) Trattamento di quiescenza e simili
0,00 0,00  e) Altri costi 45,00 50,00 10) Ammortamenti e svalutazioni 500,00 504,00  a) Ammortamento delle
immobilizzazioni immateriali 80,00 84,00  b) Ammortamento delle immobilizzazioni materiali 370,00 380,00  c) Altre
svalutazioni delle immobilizzazioni 0,00 0,00  d) Svalutazione dei crediti compresi nell'attivo circolante  
 e delle disponibilità liquide 50,00 40,00 11) Variazioni delle rim di materie prime, sussidiarie, di cons e merci -40,00
20,00 12) Accantonamenti per rischi 10,00 10,00 13) Altri accantonamenti 25,00 15,00 14) Oneri diversi di gestione
355,00 355,00 TOTALE COSTI DELLA PRODUZIONE 16.000,00 16.104,00 DIFFERENZA TRA VALORE E
COSTI DELLA PRODUZIONE 1.600,00 1.256,00 C) PROVENTI ED ONERI FINANZIARI 
15) Proventi da partecipazioni 2,00 4,00 16) Altri proventi finanziari 7,00 5,00  a) Da crediti iscritti nelle immobilizzazioni
0,00 0,00  b) Da titoli iscritti nelle immobilizzazioni 0,00 0,00  c) Da titoli iscritti nell'attivo circolante 3,00 2,00  d)
Proventi diversi dai precedenti 4,00 3,00 17) Interessi ed altri oneri finanziari -19,00 -18,00 17-bis) Utili e perdite su
cambi 0,00 0,00 TOTALE PROVENTI ED ONERI FINANZIARI -10,00 -9,00 D) RETTIFICHE DI VALORE DI
ATTIVITA' FINANZIARIE 
18) Rivalutazioni 0,00 0,00  a) Di partecipazioni 0,00 0,00  b) Di immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono
immobiliz 0,00 0,00  c) Di titoli iscritti nell'attivo circolante che non cost immobiliz 0,00 0,00 19) Svalutazioni 0,00 0,00 
a) Di partecipazioni 0,00 0,00  b) Di immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono immobiliz 0,00 0,00  c) Di titoli
iscritti nell'attivo circolante che non cost immobiliz 0,00 0,00 TOTALE RETTIFICHE 0,00 0,00 RISULTATO PRIMA
DELLE IMPOSTE 1.590,00 1.247,00 20) Imposte sul reddito dell'esercizio, correnti, differite e anticipate -1.140,00
-987,00 21) UTILE (PERDITA) DELL'ESERCIZIO 450,00 260,00

Potrebbero piacerti anche