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Comportamenti violenti in psichiatria:

diagnosi e farmacoterapia.

Prof. Dott. Vincenzo MANNA


Medico Psicoterapeuta
Specialista in Neurologia Specialista in Psichiatria
Docente di Neurologia e Neuro Psicologia nel Corso di Laurea in Logopedia
della Università degli Studi “ La Sapienza” di Roma Sede di Ariccia

DIRETTORE SPDC DSM ASL ROMA 6 FRASCATI ROMA

Cell. 333.3625218 e mail vincenzo.manna@uniroma1.it


INTRODUZIONE
I comportamenti violenti sono un tema di interesse
centrale in psichiatria, per la loro costante rilevanza:
1. Clinica 2. Medico-legale 3. Sociale.

Il primo aspetto rilevante riguarda l’analisi dei rapporti


esistenti tra intensi vissuti emozionali (rabbia,
ostilità, paura, etc.) e comportamenti violenti. I
meccanismi di gestione e di controllo delle emozioni
e le loro disfunzioni sono il principale focus di
interesse di questo aspetto.

Il secondo aspetto rilevante è quello dei confini tra


“violenza normale” e “violenza patologica”. Lo
psichiatra è spesso chiamato in sede giudiziale a
rispondere al quesito se un atto violento può
rientrare nella variabilità normale o è una
conseguenza di un disturbo psichiatrico in atto che
può aver compromesso la “capacità di intendere e
volere”.
INTRODUZIONE

Il terzo aspetto rilevante è quello del possibile


intervento terapeutico.
Una terapia psichiatrica dei comportamenti
violenti è giustificata, infatti, solo quando essi
sono una manifestazione psicopatologica.
Si pone in questi casi il problema delle modalità e
delle condizioni per un intervento.

Il quarto aspetto rilevante è rappresentato dal fatto


che il comportamento violento, in presenza di
necessità di cure e di rifiuto delle stesse, è una
delle condizioni che possono comportare ricorso
al Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO).
INTRODUZIONE
Quando lo psichiatra chiamato a dare una risposta a
questi problemi deve integrare a conciliare tre istanze
fondamentali.

L’istanza fenomenologica porta ad una spiegazione


e ad una comprensione della sequenza di eventi intra
ed extrapsichici che hanno spinto all’atto violento.

L’istanza medica comporta la messa in atto di una


terapia di fronte ad ogni disturbo inquadrato come
psicopatologico.

L’ istanza sociale, infine, richiede la protezione sia


della comuntià sia dell’individuo che ha messo in atto
comportamenti violenti.

L’interagire di queste tre istanze nella valutazione dei


comportamenti violenti da parte dello psichiatra rende
particolarmente difficile ogni sua decisione operativa.
INTRODUZIONE
Specifiche linee guida sono state elaborate per
semplificare questo compito.

Queste linee sono guida sono centrate sui problemi


del trattamento farmacologico, inteso come uno degli
strumenti disponibili per il controllo dei comportamenti
violenti.
Vengono presi in considerazione, in particolare, i
problemi relativi al trattamento di pazienti “a rischio di
comportamenti violenti”.
Non vengono trattati i problemi dell’agitazione-
violenza in acuto che richiede l’utilizzo di mezzi con
effetto sedativo rapido.

Consensus conference.
Comportamenti violenti in psichiatria. Diagnosi e
farmacoterapia.
Giornale italiano di psicopatologia. Suppl. Vol. 10
marzo 2004
PRINCIPI GENERALI
I comportamenti violenti di interesse
psichiatrico sono una conseguenza di molti
determinanti:
 familiarità,
 eventi traumatici in fase critica dello sviluppo,

 ambiente familiare,

 contesto socio-culturale,

 abuso/dipendenza da sostanze,

 presenza di patologie organiche cerebrali,

 presenza di disturbi psichiatrici.

Ne consegue che ogni approccio diagnostico-


terapeutico deve essere multimodale ed integrato.

Vari fattori condizionano l’intervento terapeutico.

Il fattore essenziale è l’inquadramento del


comportamento violento come uno stato di interesse
psicopatologico.
PRINCIPI GENERALI

Ogni intervento medico è, infatti, giustificato solo in


presenza di una accertata diagnosi.

Nel caso dei comportamenti violenti solo un limitato


numero di casi può essere considerato di interesse
psichiatrico ed essere quindi oggetto di terapia.

Non è sempre agevole stabilire un confine tra


normalità e patologia in quest’area comportamentale
di confine ma può essere seguita la regola che i
comportamenti violenti dipendenti da un disturbo
psichiatrico sono, in genere, inscritti in una storia
clinica e, spesso, già oggetto di un trattamento
specialistico.
PRINCIPI GENERALI

Possibili rapporti causa/effetto esistenti tra

Psico-Patologia (PP) e
Comportamento Violento (CV)

 PP fattore causale determinante CV

 PP fattore concausale condizionante CV

 PP fattore interferente su CV

 PP fattore ininfluente su CV
PRINCIPI GENERALI
Condizione preliminare per ogni trattamento dei
comportamenti violenti è il consenso informato del
soggetto.

Valgono, anche il questo caso, le condizioni generali per la


validità del consenso informato, con le eccezioni previste
dalla Legge (inabilitazione, interdizione, minore età,
TSO).

In particolare, un trattamento per comportamenti violenti in


regime di TSO è subordinato a:
1. presenza di una “malattia mentale”, quindi, di una
diagnosi psichiatrica;
2. necessità di un trattamento per tale malattia;
3. impossibilità ad effettuare tale trattamento se non in
regime di ricovero.

Ne consegue che non è lecito effettuare un TSO per


comportamenti violenti se non nel caso che tali comportanti
siano espressione di una “malattia mentale” non altrimenti
curabile.
PRINCIPI GENERALI
Diversi fattori possono condizionare il piano terapeutico
anche in presenza di un consenso informato valido o di
una richiesta esplicita del soggetto:

1. il tipo e la gravità del disturbo mentale;


2. il livello di consapevolezza di malattia (insight);
3. l’aderenza al trattamento e la sua continuità
(compliance);
4. il tipo la gravità e la frequenza degli atti di violenza.

Il piano terapeutico, in fase esecutiva, va basato su


interventi integrati farmacologici e non
farmacologici.

Gli interventi non farmacologici possono essere


centrati sull’individuo (psicoterapia individuale), sulla
relazione (psicoterapia familiare/relazionale), e sul
contesto socio-lavorativo (interventi psico-sociali).
PSICOPATOLOGIA DELLA VIOLENZA
La violenza viene definita:

 in via primaria come la manifestazione


di atti finalizzati a indurre un danno
fisico ad un’altra persona;

 in via secondaria come comportamenti


tesi a danneggiare o distruggere
proprietà altrui.
I comportamenti violenti sono un dato di
osservazione costante in ogni
contesto sociale ed in ogni periodo
storico.
Solo in alcuni casi possono essere
inquadrati come espressione di una
condizione di interesse psichiatrico.
PSICOPATOLOGIA DELLA VIOLENZA

I comportamenti violenti
di interesse psicopatologico possono essere
distinti, in una prospettiva di ricerca, di
intervento clinico e di valutazione medico-
legale in due categorie principali:
1. comportamenti violenti programmati;
2. comportamenti violenti impulsivi.
I comportamenti violenti programmati sono la
conseguenza di una pianificazione
precedente l’atto.
I comportamenti violenti impulsivi non sono
preceduti da una pianificazione dell’atto e
più frequentemente si associano ad una
patologia psichiatrica.
PSICOPATOLOGIA DELLA VIOLENZA
Nelle nosografie attuali i comportamenti violenti
non vengono considerati in genere quadri
clinici sindromici indipendenti.

La violenza impulsiva di conseguenza rappresenta un


sintomo non un disturbo. Ciò ha importanti
implicazioni sia sul piano diagnostico sia sul piano
terapeutico.
La principale implicazione riguarda la diagnosi
differenziale tra comportamenti violenti che rientrano
nella normalità e quelli che fanno parte del quadro
sintomatologico di un disturbo psichiatrico che risponde
a criteri diagnostici operativi.
Teoricamente tutti i comportamenti violenti possono essere
oggetto di studio e di valutazione psicopatologica.
Nella prassi clinica e medico legale viene data rilevanza
psicopatologica solo a quelli che rivestono il
carattere di sintomo di un disturbo inquadrato
nosograficamente.
Ai fini operativi, può essere utile una distinzione tra
comportamenti violenti definiti rispettivamente come
dipendenti o non dipendenti da un disturbo
psichiatrico riportato nei sistemi nosografici
internazionali (DSM, ICD) oppure espressione di una
condizione neuro-patologica cerebrale.
PSICOPATOLOGIA DELLA VIOLENZA

I comportamenti violenti possono essere


riscontrati, con maggiore o minore frequenza,
in molti disturbi psichiatrici, sia nell’età dello
sviluppo sia nell’età adulta.

Un’ulteriore questione aperta riguarda


l’inquadramento dei comportamenti violenti
nell’ambito dei disturbi di personalità.

I comportamenti violenti in corso di disturbi


psichiatrici sono relativamente poco frequenti
ed hanno, in genere, un carattere “impulsivo”.

Essi sono condizionati, inoltre, da determinanti


multiple, non solo in rapporto alla condizione
psicopatologica di base, ma anche in relazione
a fattori ambientali e contestuali all’agito.
LA DIMENSIONE PSICOPATOLOGICA DEI
COMPORTAMENTI VIOLENTI
La sintomatologia di interesse psicopatologico può
essere inquadrata e classificato con due diversi
“principi organizzatori” generali.

Il primo principio è alla base della nosografia


categoriale espressa dai sistemi classificatori
standardizzati (DSM, ICD).
In questo contesto i comportamenti violenti sono
visti come sintomi che possono fare la loro
comparsa con varia frequenza nella gamma dei
disturbi categoriali.

Il secondo principio organizzatore è quello della


classificazione-descrizione sulla base di alcune
fondamentali “dimensioni psicopatologiche”.

Le dimensioni psicopatologiche hanno un carattere


“trans-nosografico” ed ogni singolo caso clinico
può essere descritto sulla base del peso relativo
delle varie dimensioni che lo caratterizzano.Ogni
disturbo “categoriale” può essere descritto in
termini dimensionali.
LA DIMENSIONE PSICOPATOLOGICA DEI
COMPORTAMENTI VIOLENTI
L’inquadramento della dimensione Aggressività - Violenza
(A-V) ha una particolare importanza sia in ambito
diagnostico-terapeutico sia in ambito medico-legale.

Evidenze derivanti da modelli sperimentali su animali,


evidenze cliniche e farmacologiche suggeriscono
l’esistenza di una dimensione psicopatologica, nelle
sue diverse varianti e manifestazioni, riconducibile alla
definizione di “Aggressività - Violenza”.
Questa dimensione coesiste con altre dimensioni
psicopatologiche con un peso relativo variabile in
funzione del tipo di disturbo e della variabilità
interindividuale.
Indagini su varie popolazioni psichiatriche hanno dimostrato
che questa dimensione è presente con varia
rilevanza in quasi tutte le categorie diagnostiche.
Gli studi di correlazione hanno mostrato che tanto più
rilevante è la componente dimensionale Aggressività -
Violenza (A-V), tanto più sono evidenti a livello
comportamentale gli atti corrispondenti.
I comportamenti violenti usuali o frequenti si correlano ad
una condizione psicopatologica in cui la dimensione
A-V è particolarmente rilevante ed evidente.
BASI NEUROBIOLOGICHE DEI COMPORTAMENTI
AGGRESSIVO - VIOLENTI
Sono noti da tempo i circuiti cerebrali e le
aree che, nei mammiferi, vengono attivati
nel corso dei comportamenti violenti.

Le aree corticali, con funzioni prevalenti di


coordinamento e di controllo sono la
corteccia prefrontale, la corteccia orbito-
frontale, la corteccia del giro cingolato
anteriore e la corteccia dell’insula.

Il principale organizzatore della risposta


violenta è, però, rappresentato
dall’amigdala che integra gli input
sensoriali e percettivi, in stretta
connessione con le strutture sottocorticali
ed in particolare con la sostanza grigia
peri-acqueduttale e l’ipotalamo.
BASI NEUROBIOLOGICHE DEI COMPORTAMENTI
AGGRESSIVO - VIOLENTI

La psicobiologia dei comportamenti violenti


nell’uomo, pur avendo queste basi
anatomo-funzionali è ovviamente più
complessa.

In particolare, è di estremo interesse la


conoscenza dei meccanismi
patofisiologici sottesi ai comportamenti
violenti di tipo impulsivo, che hanno
maggiore interesse dal punto di vista
psicopatologico e terapeutico.

Gli studi effettuati sui comportamenti


“programmati” non hanno mostrato,
infatti, differenze rispetto ai soggetti sani
di controllo.
BASI NEUROBIOLOGICHE DEI COMPORTAMENTI
AGGRESSIVO - VIOLENTI

Le popolazioni studiate, in questo ambito di


ricerca clinica, sono stati pazienti, con
sintomatologia a prevalente espressione
violenta, con diagnosi DSM di Asse I
(disturbi psicotici e disturbi maniacali) o
con diagnosi di Asse II (disturbo
antisociale e borderline di personalità).

Un altro gruppo valutato è stato quello di


soggetti condannati per omicidio a
seguito di comportamenti di tipo
impulsivo.

Alcuni dati, infine, sono stati ricavati da


soggetti con comportamenti suicidari
violenti.
BASI NEUROBIOLOGICHE DEI COMPORTAMENTI
AGGRESSIVO - VIOLENTI
I risultati di queste ricerche possono così
essere sintetizzati.

1. Ridotta attività 5HT encefalica globale, dimostrata dal


dosaggio liquorale 5HIAA e dalle prove di stimolo con
fenfluramina. E’ da ritenersi che ciò sia da porsi in
rapporto principalmente ad una ipoattività dei recettori
5HT2 della corteccia prefrontale. Questi dati possono
avere importanti implicazioni terapeutiche.

2. Ipoattività della corteccia prefrontale (CPF). La


corteccia prefrontale ha il massimo sviluppo nella
specie umana. Di conseguenza, è l’area di maggiore
interesse per il controllo/discontrollo dei comportamenti
violenti.

3. Iperattività delle strutture sottocorticali. Alcuni


studi hanno messo in evidenza (con fRMN) come
l’ipoattività inibitoria della CPF si accompagni ad
un’iperattività funzionale dell’amigdala. Anche questo
dato è di ausilio per la terapia farmacologica di pazianti
a rischio di comportamenti violenti.
BASI NEUROBIOLOGICHE DEI COMPORTAMENTI
AGGRESSIVO - VIOLENTI

Gli studi morfologici, in alcuni casi, hanno


mostrato una riduzione volumetrica
della sostanza grigia della CPF.

Gli studi funzionali (PET, fRMN) hanno


concordemente dimostrato, nelle
popolazioni a rischio, una ipoattività
metabolica della CPF rispetto ai
controlli, anche in assenza di alterazioni
morfologiche. Anche questo dato può
avere implicazioni terapeutiche.

E’ da ritenersi, infatti, che l’attività metabolica


della CPF possa essere un marker
dell’efficacia di intervento di tipo
psicosociale nei soggetti a rischio.
I FARMACI PER IL TRATTAMENTO DEI
COMPORTAMENTI VIOLENTI
L’inquadramento diagnostico e le modalità del
consenso sono presupposti per ogni trattamento.

Ogni trattamento farmacologico dei comportamenti violenti


va inquadrato in un piano terapeutico che prevede
interventi integrati di tipo psico-sociale sia
sull’individuo, sia sul contesto familiare ed ambientale.
Se la decisione clinica prevede l’uso di farmaci il clinico
deve affrontare alcuni problemi specifici.
Il primo problema è quello del consenso. Un intervento
farmacologico può essere accettato per la cura del
disturbo psichiatrico di base ma può essere rifiutato per
il controllo di comportamenti violenti nei confronti dei
quali non vie è un sufficiente insight.
Il secondo problema è quello dell’utilizzazione di farmaci
specifici per il controllo dei comportamenti violenti.
Non sempre la terapia per il disturbo psichiatrico di
base permette un adeguato trattamento di questi
comportamenti.
Il terzo problema, unitamente a quello dei rischi/benefici, è
dato da un’attenta valutazione dei rischi di una non
trattamento.
I FARMACI PER IL TRATTAMENTO DEI
COMPORTAMENTI VIOLENTI
Non esistono farmaci con indicazione specifica
del trattamento della violenza.

Ciò è dovuto al fatto che, almeno per quanto riguarda


la psichiatria, le Agenzie Regolatorie ( FDA,
EMEA ed altre) approvano per l’immissione in
commercio solo farmaci sperimentati su pazienti
con disturbi o malattie previste dalle nosografie
ufficiali (DSM, ICD).

La scelta del farmaco e le sue modalità di


utilizzazione clinica devono tenere conto di ciò,
alla luce delle conoscenze attuali della
psicobiologia e della psicopatologia dei
comportamenti violenti.

Ogni decisione farmacoterapeutica dovrà inoltre


basarsi sull’evidenza degli studi disponibili
sull’efficacia specifica delle molecole a
disposizioni sul mercato.
I FARMACI PER IL TRATTAMENTO DEI
COMPORTAMENTI VIOLENTI

I comportamenti violenti sono oggi considerati


sintomi e non entità nosografiche
indipendenti.

Di conseguenza non vi sono incentivi per le


aziende per sintetizzare e/o sperimentare prodotti
specifici per la violenza che non hanno possibilità
di essere approvati al commercio con questa
indicazione.

Il trattamento farmacologico dei comportamenti


violenti si basa di conseguenza sull’utilizzazione
di molecole commercializzate con indicazioni per
categorie nosografiche generali ma che hanno
dimostrato in studi controllati post-marketing una
specifica efficacia per la terapia dei
comportamenti violenti.
I FARMACI PER IL TRATTAMENTO DEI
COMPORTAMENTI VIOLENTI

Gli studi controllati sono stati condotti su


gruppi di soggetti considerati a rischio di
comportamenti violenti sulla base della
storia clinica a prescindere dal loro
inquadramento nosografico.

Alcuni degli studi più datati sono stati anche


effettuati su popolazioni “non cliniche”,
quali detenuti per omicidio con caratteri
di impulsività.
Nonostante alcune critiche metodologiche
relative alla selezione dei gruppi
sperimentali emergono dagli studi
disponibili indicazioni abbastanza
precise sull’efficacia antiviolenza di
alcuni farmaci attualmente in commercio.
ANTIPSICOTICI ATIPICI ( ANTAGONISTI 5HT2>D2)
Gli antagonisti 5HT2>D2 sono farmaci per i quali esiste la
maggiore documentazione per la loro relativa specificità
nel trattamento dei comportamenti violenti.

La Clozapina in 27 studi in aperto sui comportamenti


violenti (di cui 14 nella schizofrenia, 3 nel disturbo
borderline, gli altri nei disturbi in età evolutiva) ha
evidenziato una specifica efficacia sulla violenza
distante dall’efficacia antipsicotica.

Risperidone (4 studi controllati), Olanzapina (2 studi


controllati) e Quetiapina (solo studi in aperto) hanno
confermato l’efficacia specifica di questo gruppo di
molecole nel controllo specifico dei comportamenti
violenti.

L’efficacia trans-nosografica è stata dimostrata in gruppi di


pazienti con varie diagnosi DSM.
L’azione antiaggressiva appare indipendente sia dall’azione
antipsicotica sia dall’azione sedativa aspecifica ed è
probabilmente da attribuirsi al blocco 5HT2 in sede
cortico-frontale.
I dosaggi minimi efficaci per il controllo dei comportamenti
violenti sono inferiori a quelli relativi all’azione
antipsicotica.
AGONISTI 5HT (SSRI)

Il dato sperimentale di una ridotta attività


5HT associata al rischio di
comportamenti violenti è alla base del
razionale per il trattamento con SSRI.

L’evidenza derivata da 5 studi controllati


su gruppi di pazienti con
comportamenti violenti è indicativa per
una efficacia specifica di Sertralina,
Citalopram e Paroxetina.

L’efficacia è indipendente dall’azione


ansiolitica ed antidepressiva di queste
molecole ed ha carattere trans-
nosografico.
CARBONATO DI LITIO
Sei studi controllati hanno valutato
l’efficacia specifica dei Sali di Litio sui
comportamenti violenti al di fuori della
sua azione antimaniacale.
Gli studi condotti su adulti con ritardo
mentale e comportamenti aggressivi, su
bambini con disturbi della condotta di
tipo esplosivo-aggressivo e detenuti con
comportamenti violenti hanno
dimostrato l’efficacia del Litio nel controllo
dei comportamenti violenti.
Il trattamento con Sali di Litio a medio-lungo
termine può essere considerato come
caratterizzato da una dimostrata attività
specifica antiaggressiva.
Il tempo di latenza terapeutica relativamente
elevato non lo rende indicato per
trattamenti in acuto ed a breve termine.
STABILIZZATORI DELL’UMORE

Nella pratica clinica gli stabilizzatori


(Valproato, Carbamazepina, etc.) sono
spesso usati per il controllo sintomatico
dei comportamenti violenti di tipo
impulsivo.

La loro azione indipendente dalla loro


efficacia come antiepilettici e come
stabilizzatori dell’umore non ha ancora
ricevuto sufficienti conferme in studi
controllati contro placebo.

In studi in aperto la Carbamazepina ha


evidenziato una certa efficacia
antiaggressiva in add-on a trattamenti
antipsicotici di base.
ANTAGONISTI SELETTIVI D2 (NEUROLETTICI)
Vari studi sia in aperto sia controllati hanno dimostrato
la loro efficacia “antiaggressiva”, correlata tuttavia
alla loro azione sedativa ed al loro effetto di
rallentamento e/o inibizione motoria.

In acuto la loro azione antiaggressiva va di


conseguenza considerata come altamente
aspecifica.
Quando i comportamenti aggressivi e violenti sono
secondari a vissuti psicotici possono avere
un’azione “patogenetica” correlata all’azione
antipsicotica.
In questo caso va considerata una latenza
terapeutica di alcune settimane.
Nel trattamento a medio-lungo termine possono
indurre un aumento paradosso
dell’aggressività secondaria all’acatisia indotta
da dosaggi troppo elevati.

I bloccanti selettivi D2 possono essere considerati


farmaci di pronto intervento sedativo aspecifico
ma non sono consigliabili per il trattamento a
lungo termine dei comportamenti violenti non
dipendenti da disturbi psicotici.
AGONISTI GABA (BENZODIAZEPINE)
Hanno un’azione antiaggressiva aspecifica
dipendente dal loro effetto sedativo.

Utili come pronto intervento per via


parenterale nelle condizioni di
comportamenti aggressivi correlati a
condizioni di “agitazione psicomotoria”,
a dosaggi relativamente elevati.

I tempi di latenza sono brevi ma l’azione


sedativa-antiaggressiva aspecifica
dipendente dal mantenimento di
concentrazioni plasmatiche elevate e
costanti.

Nelle condizioni di rischio cronico di


comportamenti violenti non hanno
un’efficacia documentata.
LA CONDOTTA TERAPEUTICA
Nei soggetti a rischio di comportamenti violenti si
raccomanda di seguire un algoritmo caratterizzato
dai seguenti passi successivi:

1. inquadramento diagnostico del disturbo psico-


patologico di base ( p. es. DSM Asse I, Asse II,
Asse III);
2. valutazione anamnestica del rischio di
comportamenti violenti;
3. valutazione di pregresso o attuale abuso di
sostanze;
4. messa a punto di un progetto terapeutico
integrato sulla base della diagnosi psichiatrica e
del rischio di comportamenti violenti;
5. richiesta del consenso informato (con le
eccezioni previste dalla Legge);
6. impostare la terapia farmacologica del
disturbo psichiatrico di base, privilegiando i
farmaci che, negli studi pubblicati, hanno
dimostrato una maggiore specificità per il controllo
dei comportamenti violenti;
LA CONDOTTA TERAPEUTICA

7. valutare l’efficacia del trattamento dopo il periodo di


latenza terapeutica previsto per i farmaci utilizzati e, in
caso di inefficacia del trattamento sui comportamenti
violenti, cambiare posologia del farmaco, tipo di
farmaco utilizzato, oppure prevedere una terapia in
“add on” utilizzando i farmaci specifici per il disturbo
psichiatrico di base;

8. associare farmaci, a più specifico effetto


antiaggressivo, alla terapia di base, qualora i farmaci
specifici già prescritti ed assunti siano risultati inefficaci
nel controllo dei comportamenti violenti;

9. prevedere un trattamento farmacologico per i


comportamenti violenti a lungo termine, anche dopo
remissione del disturbo psichiatrico di base;

10. integrare il trattamento farmacologico, per tipo di


farmaco, durata e posologia agli altri interventi non
farmacologici previsti.

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