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DIRITTO CIVILE:
• Obbligazione = vincolo giuridico, fonti: contratto, fatto illecito, altro atto idoneo a produrla
• IL CONTRATTO: Art. 1321 cc. = accordo tra due o più parti per costituire, regolare o
estinguere tra loro un rapporto patrimoniale
(a) requisiti Art. 1325
(b) elementi accidentali
(c) tipi (identificazione: natura della prestazione e modalità di esecuzione della prestazione):
contratto tipico/atipico (+1322), misto (criterio della combinazione e assorbimento)
- ALEATORI (rischio giuridico-economico, unilaterale e squilibrante) = È il contratto in cui
non è noto né certo il rapporto tra l'entità del vantaggio e quella del rischio. Ciò in quanto
l'esistenza delle prestazioni o la loro entità dipende da un evento del tutto indipendente dalla
volontà delle parti.
- COMMUTATIVI
- CONSENSUALI (contratti che attuano il trasferimento della proprietà di una cosa
determinata, contratti che hanno ad oggetto il trasferimento o la costituzione di diritti reali,
contratti che attuano il trasferimento di altri tipi di diritti diversi da quelli reali art. 1376 c.c.)
- FORMALI
Contratti obbligatori
sono quelli che producono effetti obbligatori.
Contratti ad efficacia reale
sono quelli che producono l'immediato trasferimento, la costituzione o modificazione di diritti.
Quest'ultima distinzione deve essere ulteriormente chiarita. Nella tabella sembra che non vi sia
differenza tra contratti obbligatori e ad efficacia reale, e in effetti le differenza non è netta, poiché
entrambi hanno oggetto diritti, ma nei contratti obbligatori non vi è automatica realizzazione del
diritto poiché il soggetto si obbliga a tenere un prestazione, e solo nell'esecuzione della prestazione
si realizzerà il diritto del creditore.
L'oggetto dei contratti ad efficacia reale, invece, sta proprio nel fatto di costituire (modificare o
estinguere) diritti, anche di credito.
•
(d) strutture contrattuali (insieme ai tipi servono a definire la disciplina applicabile):
consensuale, oneroso (racchiude quelli a prestazioni corrispettive o sinallagmatici), gratuito,
reale, plurilaterale..
*1448. Azione generale di rescissione per lesione. Se vi e' sproporzione tra la prestazione di una
parte e quella dell'altra, e la sproporzione e' dipesa dallo stato di bisogno di una parte, del quale
l'altra ha approfittato per trarne vantaggio, la parte danneggiata puo' domandare la rescissione del
contratto
L’eccessiva onerosità sopravvenuta è una causa di risoluzione del contratto che si può esercitare
quando una delle prestazioni del contratto, a causa di eventi straordinari e imprevedibili, è diventata
molto difficile da eseguire
Considerata una patologia meno grave rispetto alla nullità, all’annullabilità il legislatore del 1942
ha riservato una disciplina improntata a minore rigore, consentendo che il contratto annullabile
produca gli stessi effetti di un contratto valido, i quali possono venir meno ove venga esperita, con
successo, l’azione di annullamento.
A differenza della nullità l’annullabilità può essere fatta valere esclusivamente su istanza della parte
interessata ed è soggetta a un termine di prescrizione quinquennale.
Il codice prevede, anche, la possibilità di sanare, interamente, o in parte, gli effetti del contratto
annullabile, perché si realizzino i presupposti dell’istituto della “convalida” (ex art. 1444 c.c.) o
della “rettifica” (ex artt. 1430, 1432 c.c.) e, al fine di tutelare il legittimo affidamento di eventuali
aventi causa, precisa che l’annullamento (purché non abbia origine dall’incapacità legale) “non
pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della
trascrizione della domanda di annullamento” (ex art. 1445 c.c.).
2. IL CONTRATTO E I TERZI
• L'articolo 2043 c.c. definisce illecito qualsiasi fatto, doloso o colposo che cagioni ad altri
un danno ingiusto e sancisce l'obbligo per colui che l'ha commesso di risarcire il danno.
Da tale definizione risulta che l'attività illecita è fonte di responsabilità civile, vale a dire
comporta un obbligo di risarcimento, in quanto è causa di danno ad altri. Ciò non significa
comunque che qualsiasi atto dannoso debba o possa essere considerato illecito, poichè l'atto
o fatto illecito è solo l'atto o il fatto che cagioni ad altri un danno ingiusto. Orbene il danno
è ingiusto e dunque risarcibile solo nel caso in cui vi sia una lesione di un diritto assoluto il
quale affermandosi erga omnes può essere violato da chiunque. Al contrario non il diritto
assoluto, ma il diritto relativo e quindi il diritto di credito, ha come contenuto una pretesa
che può essere fatta valere verso un soggetto determinato e dunque solo tale soggetto
determinato può violare la legittima aspettativa del titolare del diritto. Quindi, di
conseguenza il creditore può subire un danno solo in caso di mancato o inesatto
adempimento della prestazione solo da parte del debitore, fattispecie disciplinata ex art.
1218 c.c. e ss. La giurisprudenza, dopo un'iniziale atteggiamento negativo, superando
l'orientamento tradizionale, ha riconosciuto la possibilità di lesione del credito da parte di
un terzo estraneo al rapporto e la risarcibilità dei danni conseguenti ex art. 2043 c.c. In
tal modo si è delineata la distinzione tra la tutela interna del credito ex art. 1218 c.c e
la tutela esterna o aquiliana del diritto del credito ex art. 2043 c.c. In particolare a tale
scopo la Suprema Corte ha elaborato come criterio delimitativo quello del pregiudizio
definitivo ed irreparabile dell'interesse del creditore, criterio questo recepito anche in
dottrina che si specifica poi e si differenzia a seconda che si tratti di obbligazioni di
dare o obbligazioni di fare. Nelle obbligazioni di dare, a titolo di alimenti o mantenimento,
la perdita del debitore è definitiva ed irreparabile sempre che non esistano obbligato in grado
uguale o posteriore cui addebitare l'onere relativo. Nelle obbligazioni di fare il parametro di
riferimento è quello della insostituibilità del debitore nel senso che per il creditore non è
possibile procurarsi prestazioni uguali o equipollenti se non a condizioni più onerose.
• CESSIONE DEL CREDITO ex Art. 1260 (modifica del rapporto obbligatorio): il creditore
può trasferire a titolo oneroso o gratuito il suo credito, anche senza il consenso del debitore,
purchè il credito non abbia carattere strettamente personale o il trasferimento non sia vietato
dalla legge. = la cessione è valida in forza del mero accordo tra creditore cedente e soggetto
cessionario.
- Obbligo di notifica al debitore ceduto!!!
- Garanzie: nomen verum (Art. 1266) a titolo oneroso, non imposta ex lege nelle cessioni a
titolo gratuito = pro soluto/ nomen bonum = pro solvendo
- LEGGE 52/91:
Con tale norma si è introdotta nell’ordinamento giuridico italiano la disciplina specifica
sulle cessioni dei crediti di impresa, prima regolate dalla normativa generale sulle cessioni
dei crediti prevista dal Codice Civile (Artt. 1260-1267); tali cessioni sono lo strumento
utilizzato comunemente in Italia per realizzare le operazioni di factoring, di origine
anglosassone, ancora considerate un contratto atipico in considerazione della mancanza di
norme di legge specifiche. Il factoring consiste infatti tipicamente in un rapporto di carattere
continuativo in base al quale un’impresa effettua la cessione di una parte significativa dei
propri crediti commerciali ad un operatore specializzato, il factor, il quale presta tre servizi
fondamentali: la gestione dei crediti, la garanzia contro l’insolvenza del debitore, il
finanziamento.
La norma disciplina anche la:
•cessione di crediti futuri;
•inversione dell’onere della garanzia della solvenza del debitore ceduto;
•opponibilità della cessione al debitore ceduto;
•non contempla la "componente finanziaria" dell'operazione di trasferimento del credito.
Le norme della legge si applicano alle cessioni verso corrispettivo di soli crediti pecuniari e quando
sussistano le seguenti condizioni:
•che il cedente sia un imprenditore;
•che i crediti ceduti siano pecuniari e siano imputabili a contratti stipulati dal cedente nel
corso della sua attività imprenditoriale;
•che il cessionario sia una banca o un intermediario finanziario disciplinato dal testo unico
bancario, il cui oggetto sociale preveda l'acquisto di crediti d'impresa oppure un soggetto
costituito in forma societaria che svolge l'attività di acquisto di crediti da soggetti del proprio
gruppo che non siano intermediari finanziari.
Le principali innovazioni introdotte dalla legge rispetto alla disciplina del Codice Civile sono
riconducibili principalmente alla riserva di attività per il cessionario (crediti inesistenti), alla
cessione in massa dei crediti presenti e futuri, alla garanzia della solvenza del debitore da parte del
cedente come regola ordinaria (salvo che il cessionario espressamente vi rinunci), al nuovo criterio
di opponibilità della cessione e alla disciplina fallimentare speciale.
• TITOLI DI CREDITO: Il titolo di credito è a tutti gli effetti un documento: è
materialmente costituito da un modulo prestampato che deve essere compilato (luogo e data
di emissione, importo del credito, scadenza di pagamento ecc.). Esso contiene la promessa
fatta da chi lo rilascia di effettuare una prestazione a favore del soggetto che lo riceve e lo
esibisce (cosiddetto portatore). Il documento incorpora il diritto di credito, nel senso che il
possesso materiale del documento comporta per ciò solo la titolarità del diritto di credito e
quindi il diritto del possessore a ottenere il pagamento. I titoli di credito sono strumenti
diffusi, sia presso gli imprenditori (es. pagamento dei fornitori mediante rilascio di
cambiali), sia presso i non-imprenditori (es. utilizzo di assegni)
CIRCOLAZIONE DEI TITOLI DI CREDITO
Il trasferimento di un titolo di credito è disciplinato dalla legge in modo diverso a seconda
che trattasi di titoli al portatore, all’ordine o nominativi. In ogni caso si perfeziona con la
consegna del documento che comporta la cessione dei diritti in esso incorporati. I titoli al
portatore sono trasferiti per mezzo della semplice consegna del documento, dato che il
possessore è legittimato all’esercizio del diritto mediante presentazione del titolo. Per i titoli
all’ordine, la cessione si attua, oltre che con la consegna del documento, mediante
la girata che, apposta sul titolo, contiene il nome del giratario ed è sottoscritta dal girante.
Per i titoli di credito nominativi, la cessione è valida tra le partiquale conseguenza
dell’accordo, ma avrà efficacia nei confronti dei terzi, e soprattutto nei confronti
dell’emittente, soltanto dopo l’annotazione del nome dell’acquirente sul titolo e sul registro
dell’emittente, o con il rilascio di un nuovo titolo intestato al cessionario, sempre previa
annotazione sul registro citato. Colui che chiede l’intestazione del titolo a favore di un’altra
persona deve provare la propria identità e la propria capacità di disporne, mediante
certificazione di un notaio o di un agente di cambio A parte le regole esposte, i titoli di
credito possono essere trasferiti anche per mezzo di una normale cessione (v. cessione di
credito).
• PUBBLICA AMMINISTRAZIONE come debitore ceduto (ordinamento pubblicistico
prevede una serie di norme tese a limitare la libertà del creditore cedente: previo consenso,
notifica,
• CESSIONE DEL CONTRATTO Art. 1406 cc: diverso da 'contratto per persona da
nominare' (= tra stipulante e promittente, effetto retroattivo a titolo originario e non
derivativo)
- prestazioni corrispettive
- consenso del contraente (= l'altra parte) ceduto legittimamente manifestato per porre in
essere il trasferimento
- cedente, cessionario (terzo), contraente ceduto (l'altra parte)
CONTRATTI:
✗ Sponsorizzazione
Sponsorizzato o sponsee e sponsor
ATIPICO (Art. 1322) a titolo oneroso ed a prestazione corrispettive, causa:
utilizzazione a fini pubblicitari del nome o immagine altrui in cambio di denaro o
fornitura di materiale
Tecnica di comunicazione aziendale facente parte del cosiddetto 'marketing-mix'
Effetto di ritorno
Diverse forme di sponsorizzazione
Responsabilità (obbligazione di mezzi e non di risultato in capo allo sponsee, ma
osservanza principi di correttezza e buona fede ex artt. 1775 e 1375, danni
causati a terzi)
✗ Locazione
Locatore/Locatario o conduttore
A 'effetti obbligatori' e non 'reale', poichè da esso non deriva l'acquisizione in
capo al destinatario di alcun diritto reale sul bene, bensì semplicemente il diritto
di godere e di usarlo per un tempo determinato
........
CONTRATTI DI FINANZIAMENTO
• Fonti di finanziamento (capitale proprio): per il fabbisogno durevole
(immobilizzazioni)/ Altre fonti (passività correnti): fabbisogno di breve
periodo
• Endofinanziamento (ricavi)/prestito (finanziamento da terzi)
Cos’è
La società semplice (S.s.) costituisce la forma più elementare di società di persone. La caratteristica
fondamentale è data dal fatto che essa può avere ad oggetto esclusivamente l'esercizio di un’attività
economica non commerciale e, quindi, prevalentemente l'esercizio di attività agricola. L’atto
costitutivo non è soggetto a formalità particolari, ma è richiesta almeno la forma scritta a seconda
dei beni conferiti nella società. La società deve essere iscritta al Registro delle Imprese. Non è
prevista l’esistenza di un capitale minimo.
Caratteristiche
La società semplice è caratterizzata dalla responsabilità personale illimitata e solidale di tutti i soci
per le obbligazioni sociali. Con apposito patto può essere esclusa la responsabilità personale dei
soci che non hanno agito in nome della società, ma il patto deve essere portato a conoscenza dei
terzi, altrimenti questa limitazione di responsabilità di fatto non si realizza. Qualora il pagamento
del debito della società sia stato richiesto direttamente al socio, quest’ultimo potrà richiedere al
creditore che venga preventivamente escusso il patrimonio sociale, indicando al medesimo i beni
della società sui cui potersi agevolmente soddisfare (c.d. beneficio di preventiva escussione del
patrimonio sociale).
La società semplice non è soggetta al fallimento.
Nella società semplice la legge non prevede l’assemblea dei soci; per modificare l’atto costitutivo, il
contratto di società, i patti della società, è necessario il consenso di tutti i soci, salvo diversa
previsione dell’atto costitutivo stesso.
Amministrazione e rappresentanza
L’amministrazione e la rappresentanza della società spettano generalmente a ciascun socio
disgiuntamente dagli altri. Sono ammessi tuttavia patti contrari e i soci, in sede di costituzione della
società, possono decidere di scegliere un sistema di amministrazione congiunta sia per l’attività
ordinaria che per la straordinaria, oppure disgiunta solo per l’ordinaria e congiunta per la
straordinaria. E’ anche possibile riservare l’amministrazione soltanto ad alcuni dei soci.
Scioglimento
La società si scioglie per il decorso del termine di durata, per il conseguimento dell'oggetto sociale
o per la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo, per la volontà di tutti i soci, quando viene a
mancare la pluralità dei soci, se nel termine di sei mesi questa non è ricostituita, e per le altre cause
previste dal contratto sociale.
In caso di scioglimento può essere nominato un liquidatore che provvede a riscuotere i crediti
residui, pagare i debiti residui, liquidare la società ripartendo il patrimonio residuo fra i soci e, al
termine della liquidazione, chiedere la cancellazione dal registro delle imprese.
La fase di liquidazione può essere evitata qualora, al verificarsi della causa di scioglimento, non
esistano debiti sociali ed i soci decidano di ripartirsi direttamente l'eventuale patrimonio sociale
residuo in proporzione alle rispettive quote, anche mediante assegnazioni dei beni residui. In tale
caso si potrà cancellare la società dal Registro delle Imprese contestualmente alla decisione dei soci
relativa allo scioglimento della società.
➔ DI CAPITALI
SOCIETA PER AZIONI
La borsa valori (in inglese: stock exchange) è un mercato
finanziario regolamentato dove vengono scambiati valori
mobiliari (ovvero le security) e valute estere. Siccome è un mercato
mobiliare regolamentato, si dice che è un mercato pubblico (public
market). Siccome in più viene usata per permettere la compravendita in
un mercato regolamentato (e non over the counter OTC) di azioni,
obbligazioni e derivati, cioè i tre tipi di security, le compravendite in
borsa si possono pensare come il "mercato pubblico delle security"
(public securities market). Infine, siccome le azioni permettono a
un'azienda di finanziarsi tramite equity (invece che tramite debito, ovvero
con prestiti in banca e l'emissione di obbligazioni), la borsa è dunque
anche il "mercato pubblico dell'equity" (public equity market), in
contrapposizione alla private equity, che può anche essere gestita da
fondi/società apposite o dagli angel investor.
La borsa è un mercato secondario, essendovi trattati strumenti
finanziari che sono già stati emessi e quindi già in circolazione quando
la società non era ancora quotata (quoted/listed on a stock exchange);
essi sono stati comprati nell'ambito della private equity. La borsa è poi
un mercato regolamentato e ufficiale, poiché vi sono disciplinate in
modo specifico tutte le operazioni di negoziazione e loro modalità, gli
operatori, le tipologie contrattuali ammesse etc.
Cos’è
La società a responsabilità limitata (S.r.l.) è certamente una delle forme più ricorrenti per svolgere
attività d’impresa. Tradizionalmente destinata ad imprese di dimensioni più ridotte rispetto alla
società per azioni, sta cominciando ad essere utilizzata anche per imprese di notevoli dimensioni, in
quanto caratterizzata da maggiore duttilità organizzativa.
E’ dotata di un’autonomia patrimoniale perfetta e i soci non sono responsabili personalmente per le
obbligazioni sociali, anche se hanno agito in nome e per conto della società.
Proprio per sfruttare al meglio la flessibilità che caratterizza le srl e dunque per consentire ai soci di
modellare la società per il perseguimento dei propri specifici obiettivi, diventa fondamentale
predisporre correttamente l’atto costitutivo e lo statuto. L’atto costitutivo deve essere fatto per atto
pubblico dal notaio che provvede al deposito presso il Registro delle imprese: solo a seguito
dell’iscrizione presso il competente Registro delle imprese la società a responsabilità limitata può
dirsi effettivamente venuta ad esistenza.
L’accresciuta flessibilità del modello s.r.l. rende particolarmente utile la consulenza del notaio che
può individuare e suggerire le soluzioni amministrative più idonee alle specifiche esigenze dei soci.
Per esempio intervenendo nella stesura delle “norme di funzionamento” (il cosiddetto statuto), che
regolamentano i rapporti in modo assai più stabile e giuridicamente più vincolante degli accordi
separati, i cosiddetti patti parasociali, sia tra i soci attuali sia per coloro che in futuro entreranno a
far parte della società.
Il capitale sociale della società a responsabilità limitata può essere anche inferiore ad Euro
10.000,00.
1.Nelle s.r.l. con capitale pari o superiore a Euro 10.000 euro, alla sottoscrizione dell’atto costitutivo
deve essere versato almeno il 25% dei conferimenti in denaro (il resto del capitale potrà essere
2.Quando l’ammontare del capitale viene, invece, determinato in misura inferiore ad Euro 10.000,
ma pari almeno ad 1 euro, i conferimenti possono farsi esclusivamente in denaro e devono essere
Nel caso di costituzione con capitale inferiore a Euro 10.000,00 la società ha l’obbligo di
accantonare una somma, da destinare a riserva, da dedurre dagli utili netti risultanti dal bilancio pari
almeno ad un quinto degli stessi, obbligo che permane sino a che riserva e capitale non abbiano
raggiunto l’ammontare di Euro 10.000,00. La riserva può essere utilizzata solo per imputazione a
capitale e per copertura di eventuali perdite con obbligo di sua reintegrazione laddove essa sia
diminuita. I mezzi di pagamento devono essere indicati nell’atto.
Come per le società per azioni, nel caso in cui la società nasca con un unico socio deve essere
versato l’intero importo del capitale sociale.
Amministrazione
Estrema flessibilità ha pure la disciplina dell’amministrazione: si potrà avere un amministratore
unico od un consiglio di amministrazione, ma ora anche forme di amministrazione congiuntiva (ove
gli amministratori debbono operare, per l’appunto, congiuntamente) o disgiuntiva (ove ogni
amministratore può operare da solo) o forme di amministrazione mista congiuntiva per taluni atti
e/o categorie di atti e disgiuntiva per il resto (sullo schema delle società di persone).
Uno strumento molto utile è quello dei cosiddetti diritti particolari con il quale è possibile attribuire
ai singoli soci particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società e la distribuzione degli
utili. Anche in questo caso l’intervento del notaio di fiducia può essere molto utile al fine di
disegnare al meglio la struttura organizzativa della società.
Tranne che per alcune deliberazioni di particolare importanza, non è più obbligatoria neppure
l’assemblea: le “norme di funzionamento” (il cosiddetto statuto) possono prevedere metodi
alternativi di formazione per le decisioni dei soci , come la consultazione o il consenso resi per
iscritto (lo stesso documento che circola tra i vari soci che lo sottoscrivono).
Infine la società a responsabilità limitata può emettere titoli di debito simili alle obbligazioni ma
che, a differenza di questi ultimi, possono essere inizialmente sottoscritti solo da investitori
professionali.
Organo di controllo
Nelle società a responsabilità limitate l’esistenza di un organo di controllo è necessaria solo al
ricorrere di alcune circostanze previste dalla legge. Può essere costituito da un collegio
sindacale ovvero da un sindaco unico. In tali casi, se l'atto costitutivo non dispone diversamente, le
funzioni di controllo contabile spettano all’organo di controllo. Sulle ipotesi in cui sia obbligatoria
la nomina dell'organo esterno di revisione contabile, oltre che del collegio sindacale, è opportuno
richiedere il consiglio del proprio notaio.
Scioglimento
La società si scioglie con una delibera di assemblea verbalizzata dal notaio. Occorre nominare un
liquidatore (in genere un ex amministratore della stessa) che si occupi della chiusura dei debiti, dei
crediti, e di tutte le partite contabili in sospeso. Il liquidatore richiederà poi direttamente la
cancellazione della società dal Registro delle Imprese (senza alcun ulteriore atto).
• la domanda del debitore al tribunale può prendere due vie principali che può avvenire in due
forme: 1) l’accordo ordinario: in tal caso il debitore deposita la domanda di omologazione di
un accordo stipulato con la maggioranza dei creditori; 2) il preaccordo o proposta di
accordo: in tal caso il debitore chiede al tribunale di assegnargli un termine per concludere
un accordo ai creditori certificando però che già esistono trattative con essi e presentando
una relazione sull’attuabilità dell’accordo; in questo modo ottiene la sospensione delle
esecuzioni forzate (pignoramenti).
il concordato è proposto dall'impresa in liquidazione solo su autorizzazione del tribunale su parere del
commissario liquidatore e sentito il comitato di sorveglianza
il tribunale decide con sentenza (impugnabile in appello) senza sentire preventivamente i creditori che, se
vorranno far valere le loro ragioni, dovranno proporre opposizione prima della decisione del tribunale
in caso di ammissione al concordato gli organi della liquid,azione restano in carica per sorvegliarne
l'adempimento
il concordato può essere annullato e risolto nelle stesse ipotesi di annullamento e risoluzione del concordato
fallimentare
➔ TRANSAZIONE FISCALE (art. 182-ter): Con la predisposizione del piano
di concordato o dell'accordo di ristrutturazione dei debiti, l'imprenditore in stato
di crisi può presentare all'Amministrazione finanziaria una proposta
di transazione fiscale per il pagamento, in misura parziale o in forma dilazionata,
dei tributi (nel concordato preventivo e ristrutturazione dei debiti)
• Proposta presentata esclusivamente dal debitore
• Verifica dei presupposti per l'accesso alle due procedure
• Soli tributi amministrati dalle agenzie fiscali, dunque esclusione dei tributi
locali. (con riforma Bilancio 2017: si per i debiti aventi ad oggetto IVA o
ritenute omesse).
• Deposito domanda presso il Tribunale + presentare copia all'Ufficio
competente della riscossione. (con requisiti)
• Consolidamento: entro 30 gg = l'Ufficio emette la certificazione attestante il
complessivo debito tributario, la cui copia dovrà essere inviata anche al
Direttore del competente Ufficio dell'Agenzia delle entrate (indicazioni
necessarie al fine della partecipazione di quest'ultimo al voto in sede di
adunanza dei creditori all'agente della riscossione).
• In altri termini, la transazione fiscale, da istituto del diritto tributario, prestato
al diritto fallimentare può ormai definirsi istituto del diritto fallimentare,
prestato al diritto tributario.
Nel Concordato preventivo l’assenso o il diniego si esprime con
manifestazione del voto in sede di adunanza dei creditori. In tale contesto la
transazione non ha natura di accordo autonomo, ma subprocedimento
amministrativo in una procedura concorsuale. In sede di concordato
preventivo, la proposta di concordato, ammessa dal tribunale, deve essere
approvata dall’adunanza dei creditori, presieduta dal giudice delegato. È
richiesta, in tal senso, la maggioranza dei creditori ammessi al voto,
computando altresì crediti di natura tributaria.
N.B. Equitalia è una grande società per azioni, a totale capitale pubblico (51% Agenzia delle
Entrate, 49% Inps). Ha l'incarico di riscuotere i tributi sul territorio nazionale . Oggi Equitalia è
presente sul territorio italiano (con la sola esclusione della regione Sicilia) con 17 società
partecipate: gli Agenti della Riscossione.
Gli Agenti della Riscossione , spesso indicati con la sigla ADR , sono dunque delle società di
Equitalia , che lavorano in diverse zone per richiedere ai cittadini il pagamento dei tributi .
Il gruppo Equitalia , con le sue varie società, si occupa di due tipi di riscossione :
✗ Metodi ADR:
● Decreto legislativo n. 130/2015 in attuazione della Direttiva 2015
● Clausola compromissoria (espressa nel contratto o con atto distinto)
● Ad ogni buon conto, secondo quello che viene considerato
l’insegnamento tradizionale, l’arbitrato rituale ricorre quando le parti di
una controversia demandano agli arbitri/o l’esercizio di una giurisdizione,
concorrente con quella ordinaria, per la risoluzione della lite; si ha,
invece, un arbitrato irrituale (o libero) quando agli arbitri/o è conferita la
risoluzione di un rapporto controverso mediante una dichiarazione di
volontà che viene imputata alle stesse parti del rapporto. Nella prima
ipotesi, l’arbitrato è espressamente disciplinato dal Codice di procedura
civile; nella seconda, invece, l’arbitrato non pare trovare un’esplicita
regolamentazione legislativa e si concretizza nell’accordo con il quale al
terzo viene affidato il compito di risolvere la controversia con una
dichiarazione sostanzialmente transattiva o accertativa dei diritti e degli
obblighi delle parti, a seconda del contenuto dell’incarico
● Giudizio secondo diritto o secondo equità
● Arbitrato interno e internazionale
● Negoziazione assistita vs mediazione: La negoziazione assistita si
realizza tramite il raggiungimento di un accordo con il quale le parti
decidono di cooperare, secondo i principi di buona fede e lealtà, per
risolvere in via amichevole una controversia. In questo caso la figura
del mediatore è assente, a partecipare al raggiungimento dell’accordo
sono esclusivamente le parti, assistite da uno o più avvocati. La
mediazione invece è un’attività svolta da un soggetto terzo e
imparziale al fine di assistere due o più soggetti nel risolvere una
controversia, anche mediante la formulazione di una proposta di
accordo. Il soggetto terzo e imparziale prende il nome di “mediatore”, il
quale, rimanendo privo del potere di prendere decisioni vincolanti per le
parti, percepisce un compenso per l’attività svolta.
QUANDO RICORRERE ALLA NEGOZIAZIONE ASSISTITA
La procedura di negoziazione assistita risulta essere obbligatoria, ai sensi dell’art. 3 del d.l.
132/2014, nei casi in cui si voglia esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in
materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti e per chi voglia proporre
in giudizio una domanda di pagamento di somme non eccedenti i 50 mila euro, a patto che non
rientri nei casi previsti di mediazione obbligatoria ai sensi dell’art. 5 comma 1bis del d.lgs.
28/2010.
Può essere altresì utilizzata anche per soluzioni consensuali di separazione personale,
scioglimento del matrimonio e modifica delle condizioni di separazione e divorzio.
Al termine della negoziazione assistita, è onere dei difensori trasmettere copia dell’accordo
raggiunto al Consiglio dell’Ordine di appartenenza ovvero del luogo ove è stato concluso
l’accordo.
QUANDO RICORRERE ALLA MEDIAZIONE
Il procedimento di mediazione può essere facoltativo, qualora le parti congiuntamente, o su
iniziativa di una sola di queste, provvedano alla designazione di un Mediatore per risolvere la
controversia in questione. È prevista come obbligatoria nei casi indicati all’art. 5 comma 1bis del
d.lgs 28/2010, che prevede, a titolo esemplificativo, il ricorso alla mediazione qualora si voglia
esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali,
successioni ereditarie, contratti assicurativi e bancari.
Nell’ipotesi di mediazione obbligatoria, le parti potranno proporre domanda giudiziale all’esito
negativo della mediazione.
Altresì il giudice, anche in sede di giudizio di appello, può disporre la c.d. mediazione delegata,
ossia che le parti ricorrano alla mediazione prima di definire il giudizio. Come nel caso della
mediazione obbligatoria, anche in questa ipotesi l’esperimento del procedimento di
mediazione diviene condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
L’accordo raggiunto in sede di mediazione costituisce titolo esecutivo e per l’iscrizione dell’ipoteca
giudiziale.
IL RAPPORTO TRA GLI ISTITUTI DI NEGOZIAZIONE ASSISTITA E MEDIAZIONE
Grazie a quanto stabilito dagli artt. 3 comma del d.l. 132/2014 e dall’art. 5 comma 1bis del d.lgs.
28/2010, non si verificano pericoli di sovrapposizione obbligatoria tra i due istituti. Infatti, la
negoziazione assistita risulta obbligatoria nelle ipotesi sopra citate, fatta eccezione per le
controversie nelle quali è prevista la mediazione obbligatoria.
Le parti dunque si trovano a dover esperire uno dei due procedimenti di ADR, prima di poter
procedere con la domanda giudiziale.
È importante sottolineare che, nelle materie in cui la mediazione è prevista quale condizione di
procedibilità di domanda giudiziale, le parti possono preliminarmente esperire un tentativo di
negoziazione assistita. Tuttavia, tale esperimento, non fa venir meno l’obbligatorietà della
mediazione nei casi in cui è prevista come tale.
Le parti possono, secondo quanto dice la normativa, concludere degli accordi mediante i quali al
lavoratore vengano modificate le mansioni, la categoria di appartenenza e il livello di
inquadramento, talvolta anche in maniera apparentemente sfavorevole per il lavoratore stesso.
Tuttavia in considerazione del fatto, che il lavoratore è la parte “debole” del rapporto di lavoro, si
possono stipulare tali accordi detti patti di declassamento a patto che la modifica avvenga in virtù di
un rilevante interesse del dipendente:
Secondo la norma il lavoratore in queste ipotesi, può farsi assistere dal rappresentante di una
associazione sindacale alla quale aderisce, da un avvocato o da un consulente del lavoro.
DIRITTO INDUSTRIALE
1. Che cos'è la proprietà industriale?
Secondo l’Articolo 1 del Codice della Proprietà industriale, l'espressione “proprietà industriale”
comprende marchi ed altri segni distintivi, indicazioni geografiche, denominazioni di
origine, disegni e modelli, invenzioni, modelli di utilità, topografie dei prodotti a
semiconduttori, segreti commerciali e nuove varietà vegetali.
Più genericamente, con l’espressione “Proprietà Industriale” ci si riferisce a quell’insieme di
norme che disciplinano i diritti poc’anzi menzionati.
I diritti attribuiti dai titoli di proprietà industriale concedono alle imprese un monopolio di
sfruttamento e utilizzo delle loro creazioni/invenzioni.
Infatti, il c.d. ius escludendi omnes alios, derivante dalla titolarità di un diritto di proprietà
industriale, consiste proprio nella facoltà di vietare a terzi lo sfruttamento non autorizzato di segni
distintivi o creazioni intellettuali di vario genere, oggetto di privativa.
La proprietà industriale nasce quindi per offrire a tutte quelle aziende un diritto di esclusiva sui
propri beni immateriali (il c.d. asset intangibile d’impresa).
La maggioranza delle norme che regolano il diritto industriale sono contenute nel Codice della
proprietà industriale, D.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 (più volte modificato nel corso degli anni, di
seguito anche semplicemente il “Codice”).
Il Codice distingue due categorie di diritti di proprietà industriale: quelli titolati da quelli non
titolati.
I diritti di proprietà industriale titolati si acquistano mediante brevettazione, registrazione o negli
altri modi previsti dal presente codice.
Sono oggetto di brevettazione le invenzioni, i modelli di utilità e le nuove varietà vegetali.
Sono, invece, oggetto di registrazione i marchi, i disegni e modelli e le topografie dei prodotti a
semiconduttori.
I diritti di proprietà industriale non titolati sono invece rappresentati dai segni distintivi diversi
dal marchio registrato, dai segreti commerciali, dalle indicazioni geografiche e dalle denominazioni
di origine, e sono protetti ricorrendone i presupposti di legge.
La registrazione e la brevettazione sono concesse da appositi Uffici. A seconda del caso i titoli di
privativa possono essere rilasciati dall’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM), dall’European
Union Intellectual Property Office (EUIPO) o dall’Ufficio dei Brevetti Europeo (UEB).
Generalmente, questi uffici effettuano esami formali e sostanziali delle domande che pervengono
loro prima di procedere alla concessione.
Vi sono poi alcune norme che esulano dal Codice e vengono in senso lato comunque ricondotte al
campo della Proprietà Industriale.
Rientrano in quest’ultima categoria la disciplina della concorrenza sleale, dettata dall’articolo 2598
c.c., le norme che disciplinano la ditta e l’insegna, di cui agli articoli 2563 e ss. c.c., e quelle che
riguardano il disegno e modello non registrato, incluse nel Regolamento CE 6/2002, ed altre.
Il concetto di proprietà industriale è da parte di alcuni autori considerato una species del genus più
ampio rappresentato dalla proprietà intellettuale, alla quale appartiene anche l’insieme di ulteriori
norme, come ad esempio quelle che regolano il diritto d’autore e i diritti connessi, nonché il
diritto sui generis sulle banche dati.
Perché “proprietà”?
Il termine “proprietà” è da sempre utilizzato in modo preponderante nella legislazione.
Sia a livello internazionale che europeo esso viene usato per indicare gli istituti disciplinati dal
nostro Codice. Ciò avviene nella Convenzione di Unione di Parigi, nell’Accordo sugli aspetti
commerciali dei diritti di proprietà industriale, nella Carta di Nizza e in numerosi regolamenti che
disciplinano tematiche inerenti la proprietà industriale.
Nel nostro ordinamento, invece, i riferimenti al diritto industriale non si limitano alla mera
proprietà. Ci sono infatti norme che si riferiscono ai diritti di proprietà industriale definendoli come
diritti reali.
Coerentemente con quanto affermato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e dalla Corte
Costituzionale, la nozione di proprietà industriale rientra in quella generale di proprietà.
Già a partire dalla prima metà del ‘900, l’interesse del titolare del diritto industriale veniva tutelato
attraverso una tecnica giuridica, quella della privativa, molto simile alla tecnica giuridica di tutela
dell’interesse individuale all’appropriazione delle cose: la proprietà.
Entrambi i casi si riferivano a diritti soggettivi, assoluti e reali.
Le privative industriali rientrano nel campo di applicazione delle norme dedicate alla proprietà in
senso costituzionalistico. In queste norme la nozione di proprietà viene intrepretata in modo molto
ampio.
Molto discusso è, invece, se i diritti di proprietà industriale possano rientrare nella nozione di
proprietà civilistica. Nel corso tempo, infatti, si sono susseguite diverse correnti di pensiero volte a
escluderne o confermarne l’appartenenza.
Attualmente ci si è allontanati da ogni tipo di discussione dogmatica, per preferire un approccio
interpretativo basato su diversi criteri, tra cui quello teleologico.
Questo approccio è funzionale al campo della proprietà industriale, dove le differenze tra le diverse
qualificazioni dogmatiche, nette e precise, sfumano nella applicazione pratica.
La legge disciplina gli istituti di diritto industriale in modo molto ampio con conseguente incertezza
sulla possibilità di integrare tali norme con quelle generali relative alla proprietà sui beni materiali.
La proprietà conferisce un diritto assoluto sul bene. Tale bene, nel caso della proprietà industriale, è
immateriale.
Le differenze tra la proprietà industriale e quella civilistica sono molteplici. In ragione di ciò,
potranno essere applicate ai beni intangibili solo le norme civilistiche compatibili con il carattere
immateriale del bene oggetto del diritto.
Talora le problematiche di applicazione (analogica) delle regole civilistiche alla proprietà
industriale sorgono anche laddove è lo stesso Codice ad imporle, come nel caso dell’articolo 6
relativo alla comunione sui diritti di proprietà industriale.
Perché “industriale”?
L’espressione “proprietà industriale” è utilizzata dall’articolo 15 della Legge Delega 12 dicembre
2002, n.273, che tratta il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di proprietà industriale.
Questa formula, usata per indicare i segni distintivi, invenzioni, modelli e concorrenza sleale,
trovava legittimazione nella Convenzione di Unione di Parigi per la protezione della proprietà
industriale.
Tale termine rimanda al mondo dell’industria, richiamando un diritto che è inerente alla vita
dell’impresa.
Il diritto industriale, infatti, rappresenta uno degli strumenti fondamentali che l’imprenditore deve
utilizzare al fine di salvaguardare ed aumentare le quote di mercato da lui conquistate.
L’attributo industriale distingue questa disciplina da quella della proprietà intellettuale con cui,
come accennato si indicano un gruppo di norme più vasto che include ad esempio anche il diritto
d’autore e i diritti connessi.
Le privative industriali
Come accennato, il Codice al suo articolo 2 distingue i diritti titolati da quelli non titolati.
Sono i primi che danno luogo alle c.d. privative industriali, ossia diritti di esclusiva che
conferiscono un monopolio attestato da un certificato rilasciato da un apposito Ufficio.
Ogni privativa offre un assetto peculiare di diritti che, può essere generalmente inteso come il diritto
di opporsi a qualsiasi indebita interferenza, sfruttamento o appropriazione del proprio segno, della
propria creazione o della propria opera.
Il marchio è probabilmente la privativa industriale più conosciuta, essendo lo strumento di tutela
per eccellenza dei segni capaci di distinguere i prodotti o servizi in ragione della loro provenienza
imprenditoriale, e di distinguere i prodotti di un’impresa da quelli delle concorrenti.
Il marchio è un segno distintivo che indica l’origine imprenditoriale di un prodotto o servizio.
Ultimamente, la Corte di Giustizia ha riconosciuto al marchio varie altre funzioni secondarie, che
vanno da quella di garanzia di qualità, a quella di protezione degli investimenti, a quella
pubblicitaria.
Il brevetto per invenzione tutela soluzioni nuove e originali ad un problema tecnico, destinate ad
un’applicazione di carattere industriale.
Un’invenzione per essere brevettabile deve quindi apportare un progresso rispetto alla tecnica ed
alle cognizioni preesistenti, ed esprimere un’attività originale e nuova dell’inventore. È dunque
importante che l’invenzione non sia stata già divulgata o resa accessibile al pubblico, anche dallo
stesso inventore, prima della domanda di deposito del brevetto.
La dottrina descrive il brevetto per invenzione come un patto tra inventore e società. Uno scambio
con il quale il primo mette a disposizione della seconda la piena e chiara conoscenza di una
innovazione tecnologica, a fronte di un periodo di esclusivo utilizzo, durante il quale potrà sfruttare
in regime di monopolio l’invenzione per ottenere una legittima remunerazione a fronte dello sforzo
di ricerca e sviluppo effettuato.
Il brevetto per modello di utilità, a differenza del brevetto per invenzione, tutela non
un’invenzione nuova e originale, ma una forma nuova di un prodotto industriale che dia al prodotto
stesso una particolare efficacia o comodità di applicazione o di impiego.
Rispetto al brevetto per invenzione, nel modello di utilità manca la necessità di trovare una
soluzione nuova ad un problema tecnico: l’innovazione agisce solo su aspetti marginali ed esecutivi
di ciò che è già noto, attribuendogli maggiore utilità o comodità. A tal proposito si parla anche di
“piccola invenzione”. Questo istituto non è conosciuto da tutti i paesi.
I disegni e modelli registrati proteggono esclusivamente l’aspetto esteriore ovvero la forma di un
prodotto o di una sua parte. Il Regolamento CE 6/2002 prevede all’articolo 19 una tutela
temporalmente più ristretta (3 anni) anche per i disegni e modelli non registrati. Oggetto di
protezione sono le caratteristiche delle linee, dei contorni, dei colori, della forma, della struttura
superficiale ovvero dei materiali del prodotto stesso ovvero del suo ornamento, a condizione che
siano nuovi ed abbiano carattere individuale.
Per segreti commerciali si intendono le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali,
comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore, ove tali informazioni:
a) siano segrete, nel senso che non siano nel loro insieme o nella precisa configurazione e
combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli
operatori del settore;
b) abbiano valore economico in quanto segrete;
c) siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da
ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete.
Le indicazioni geografiche e le denominazioni d’origine sono segni distintivi della provenienza
che consistono nell’accostamento del nome geografico al nome di un prodotto. Identificano un
paese, una regione o una località, quando siano adottate per designare un prodotto che ne è
originario e le cui qualità, reputazione o caratteristiche sono dovute esclusivamente o
essenzialmente all'ambiente geografico d'origine, comprensivo dei fattori naturali, umani e di
tradizione.
Le topografie dei prodotti a semiconduttori consistono in una serie di disegni correlati,
comunque fissati o codificati rappresentanti lo schema tridimensionale degli strati di cui si compone
un prodotto a semiconduttori.
A sua volta è definibile prodotto a semiconduttori ogni prodotto finito o intermedio:
a) consistente in un insieme di materiali che comprende uno strato di materiale semiconduttore;
b) che contiene uno o più strati composti di materiale conduttore, isolante o semiconduttore,
disposti secondo uno schema tridimensionale prestabilito;
c) destinato a svolgere, esclusivamente o insieme ad altre funzioni, una funzione elettronica.
Per essere tutelabile, ciascuna immagine della serie di disegni della topografia deve riprodurre in
tutto o in parte una superficie del prodotto a semiconduttori in uno stadio qualsiasi della sua
fabbricazione.
Può costituire oggetto del diritto su una nuova varietà vegetale un insieme vegetale di un taxon
botanico del grado più basso conosciuto che, conformandosi integralmente o meno alle condizioni
previste per il conferimento del diritto di costitutore, può essere:
a) definito in base ai caratteri risultanti da un certo genotipo o da una certa combinazione di
genotipi;
b) distinto da ogni altro insieme vegetale in base all'espressione di almeno uno dei suddetti caratteri;
c) considerato come un'entità rispetto alla sua idoneità a essere riprodotto in modo conforme. Tale
protezione consiste in un diritto esclusivo di produrre e riprodurre la varietà, di commercializzarla,
esportarla, importarla e di detenerla per gli scopi appena menzionati.
2. Il Codice della Proprietà Industriale
Il Codice della Proprietà Industriale, emanato con il D.Lgs del 10 febbraio 2005, n. 30,
successivamente modificato nel corso degli anni da numerosi interventi legislativi, ha introdotto nel
sistema italiano una disciplina organica e strutturata in materia di genesi, tutela e valorizzazione dei
diritti di proprietà industriale.
Raccoglie tutte le norme attinenti le privative industriali e ha lo scopo non solo di semplificare e
modernizzare la materia, ma anche di attuare l’armonizzazione delle norme interne con il diritto
comunitario e le convenzioni internazionali.
Il Codice della proprietà industriale ha abrogato circa una trentina di norme e ha quindi racchiuso in
un testo unico molte regole frammentarie.
Il Codice ha segnato anche un cambiamento qualitativo, in quanto ha riordinato, aggiornato e
semplificato la materia.
Il Codice si compone di 246 articoli, divisi in otto capi,
Capo I - Diposizioni generali e principi fondamentali (Artt. 1-6)
Capo II - Norme relative all'esistenza, all'ambito e all'esercizio dei diritti di proprietà industriale
(Artt. 7-116)
Capo III - Tutela giurisdizionale dei diritti di proprietà industriale (Artt. 117-146)
Capo IV - Acquisto e mantenimento dei diritti di proprietà industriale e relative procedure (Artt.
147-193)
Capo V - Procedure speciali (Artt. 194-200)
Capo VI - Ordinamento professionale (Artt. 201-222)
Capo VII - Gestione dei servizi e diritti (Artt. 223-230)
Capo VIII - Disposizioni transitorie e finali (Artt. 231-246)
A livello strutturale, dopo aver enunciato disposizioni generali che valgono per tutti i titoli di
privativa industriale, il Codice prevede una prima parte relativa all’analisi dei singoli diritti
industriali e la relativa disciplina di diritto sostanziale, per poi passare alle disposizioni inerenti alla
tutela giurisdizionale dei diritti di proprietà industriale.
Nonostante il Codice sia stato introdotto nel 2005, in questi anni numerose sono state le modifiche
apportate, la maggior parte volte ad armonizzare la legislazione nazionale con quella europea.
Una delle ultime modifiche in ordine cronologico è rappresentata dal D.lgs. n. 15 del 20 febbraio
2019. Tale intervento ha permesso di allineare la disciplina italiana in tema di diritto industriale alle
disposizioni previste dalla Direttiva UE 2436/2015 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati
membri in materia di marchi d'impresa.
Un asset da proteggere
Oggi il valore di molte aziende è costituito al 90% dai cosiddetti intangible assets, costituiti in
maggior parte da diritti di proprietà industriale. Con la protezione brevettuale è possibile impedire
ad altri di brevettare invenzioni identiche o simili e anche di violare i diritti d’uso (produzione e
commercializzazione) oggetto del brevetto. Possedere un brevetto forte fornisce concrete possibilità
di ottenere successo nelle azioni legali contro coloro che copiano l’invenzione protetta.
Una risorsa da valorizzare
Un buon portafoglio brevetti può essere percepito dai partner commerciali, dagli investitori, dagli
azionisti e dai clienti come una dimostrazione dell’alto livello di qualità, specializzazione e capacità
tecnologica dell’azienda, elevandone l’immagine positiva.
Utilizzando il brevetto non solo per disporre di un diritto esclusivo sul mercato, ma anche come una
normale proprietà o bene, è possibile ottenere i seguenti vantaggi economici e competitivi:
•profitti supplementari derivanti dalla concessione di licenze d’uso o dall’assegnazione del
brevetto: il titolare di un brevetto può cederne l’uso a terzi in cambio di un compenso pecuniario e/o
del pagamento di “royalty”, in modo da produrre profitti supplementari per la propria impresa; la
vendita (o l’assegnazione) di un brevetto implica il trasferimento della proprietà sullo stesso, mentre
la licenza di un brevetto comporta la sola possibilità di servirsi dell’invenzione brevettata a
specifiche condizioni
•profitti più alti o utili sugli investimenti: se l’impresa ha investito una quantità significativa di
denaro e di tempo in R&S, la protezione brevettuale derivante dall’invenzione può rivelarsi uno
strumento economico e finanziario per un ritorno degli investimenti
•accesso alla tecnologia mediante licenze incrociate: qualora l’impresa fosse interessata a una
tecnologia di proprietà di un’altra impresa, potrà utilizzare i propri brevetti al fine di negoziare un
accordoin base al quale le due imprese potranno utilizzare, nel rispetto delle condizioni previste
dall’accordo stesso, uno o più dei rispettivi brevetti
•accesso a nuovi mercati: la concessione a terzi di una licenza su un brevetto può determinare
l’accesso a nuovi mercati che sarebbero altrimenti inaccessibili; in questo caso è consigliabile
proteggere l’invenzione anche nel mercato straniero d’interesse
•maggiori possibilità di ottenere contributi finanziari dai soggetti intermediari a fronte della
titolarità di un asset intangibile: la proprietà di brevetti (ovvero la licenza d’uso di brevetti
posseduti da altri) può rivelarsi essenziale per ottenere risorse finanziarie integrative in sede di
produzione e commercializzazione dei propri prodotti; in alcuni settori, come ad esempio quello
delle biotecnologie, spesso è necessario disporre di un importante portafoglio di brevetti per attirare
investitori pronti a finanziare progetti ambiziosi.
In pratica un brevetto determina un concreto arricchimento di un’azienda, oltre che accrescerne
la posizione di forza sul mercato.
• Segreti industriali
• Nomi di dominio
● Azioni stragiudiziali
● Azioni doganali
● Azioni giudiziali (misure cautelari, interdittive, risarcitorie)
– PRIVACY (GDPR)
✗ Regolamento 2016/679
✗ Codice della Privacy (L. 196/2003) , modifiche attraverso il decreto di adeguamento
101/2018: obbligo per i dati sensibili di ottenere il 'consenso esplicito'. (libero ma non
tacito, scritto e consapevole.)
• Diritto all'oblio (Art. 17 GDPR) = cancellazione, sempre che la richiesta sia
legittima, ovvero rivolto alle persone che si trovano in specifiche situazioni
• Rilevante interesse pubblico
• La figura del 'Responsabile del trattamento' nominato dal titolare con atto scritto,
che garantista con professionalità il rispetto delle vigenti disposizioi in materia di
trattamento dati. Nominato/i per iscritto tramite una lettera contenente l'indicazione
dei dati ai quali potranno accedere e le istruzioni per il corretto trattamento di essi.
• Diritto alla riservatezza
• Potere di controllo del datore di lavoro: L’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori è
stato riformato dal c.d. “Jobs Act” (art. 23 del decreto legislativo n. 151/2015, in
vigore dal 24 settembre 2015) che ha introdotto importanti modifiche rispetto alla
possibilità del datore di lavoro di operare un controllo sull’attività lavorativa svolta
dai propri dipendenti. Prima della riforma (e, quindi, del 24 settembre 2015), vigeva
un divieto assoluto di utilizzo di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per
finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. Tale divieto veniva meno
solo nei casi in cui il datore di lavoro, per esigenze organizzative, produttive o di
sicurezza del lavoro, intendesse installare nuove apparecchiature dalle quali potesse
derivare un controllo a distanza dell’attività lavorativa dei dipendenti: in tal caso, era
necessario il previo accordo con le organizzazioni sindacali o, in mancanza,
l’autorizzazione delle articolazioni locali del Ministero del Lavoro territorialmente
competenti.
Ora, non vi è più un esplicito divieto di controllo a distanza della prestazione
lavorativa. Due, infatti, sono gli aspetti presi in considerazione dal nuovo testo della
norma:
•da un lato, l’impiego di impianti audiovisivi e di altri strumenti che consentono un controllo a
distanza dell’attività dei lavoratori (ad esempio, gli impianti di videosorveglianza);
•dall’altro, l’utilizzo di altri strumenti che il datore di lavoro assegna ai propri dipendenti per lo
svolgimento della prestazione lavorativa (ad esempio, computer, telefoni, tablet), nonché gli
strumenti di rilevazione degli accessi e delle presenze (c.d. lettori badge).
I primi (impianti audiovisivi e strumenti di controllo a distanza) continuano, come in passato, a
poter essere utilizzati dall’imprenditore esclusivamente per esigenze di carattere organizzativo e
produttivo, di sicurezza del lavoro e di tutela del patrimonio aziendale. Affinché la loro installazione
ed il loro utilizzo sia considerato legittimo, è necessario che vi sia un accordo sindacale circa le
modalità di utilizzo di tali apparecchiature (accordo stipulato, a seconda delle dimensioni
dell’impresa, con le RSA o le RSU o con i sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano
nazionale). Se tale accordo manca, il datore di lavoro deve ottenere la previa autorizzazione della
Direzione Territoriale del Lavoro o del Ministero del Lavoro (si rivolgerà all’uno o all’altro a
seconda delle dimensioni dell’azienda).
Pertanto, prima di installare ed utilizzare tali sistemi all’interno dell’impresa, il datore di lavoro
deve aver raggiunto un accordo con le rappresentanze sindacali o, quantomeno aver ricevuto
l’autorizzazione ministeriale: entrambi gli organi, infatti, svolgono un compito di verifica della
legittimità e della correttezza dell’impiego di questi strumenti a tutela di tutti i lavoratori impiegati
nell’impresa.
La seconda parte della norma, invece, legittima l’esercizio di un controllo a distanza (c.d. diretto)
effettuato sugli strumenti utilizzati dal lavoratore per eseguire le proprie mansioni e sugli strumenti
di rilevazione degli accessi e delle presenze (c.d. lettori badge). In questo caso, infatti, non c’è
l’obbligo per il datore di lavoro di raggiungere una intesa sindacale o di ottenere
l’autorizzazione ministeriale: il controllo è libero e può essere effettuato anche senza un’esigenza
organizzativa o produttiva. In assenza di qualsiasi funzione di “filtro” attribuita alle organizzazioni
sindacali o alla vigilanza del Ministero del Lavoro per mezzo della Direzione Territoriale del
Lavoro, è il singolo lavoratore che dovrà verificare se il controllo è esercitato
dall’imprenditore in modo legittimo ed eventualmente recarsi presso un sindacato o un legale per
tutelare i propri diritti.
Anche per questi motivi, è fondamentale sapere che ora il datore di lavoro può utilizzare le
informazioni raccolte attraverso l’esercizio del potere di controllo per tutti i fini connessi al
rapporto di lavoro.
Ciò può avvenire solo se vengano rispettate le due condizioni che seguono:
1.i lavoratori devono essere informati adeguatamente circa le modalità con le quali devono
essere utilizzati gli strumenti concessi in dotazione e le modalità con le quali verrà esercitato il
controllo;
2.deve essere sempre rispettata la normativa in materia di privacy (decreto legislativo n.
196/2003).
L’inosservanza di anche solo una delle due condizioni indicate, rende illegittimo l’utilizzo delle
informazioni ai fini, ad esempio, di un procedimento disciplinare e, quindi, anche di un
licenziamento.
• *Controlli difensivi: cosa sono
I controlli difensivi sono controlli diretti ad accertare comportamenti illeciti dei
lavoratori esclusivamente quanto tali comportamenti non siano funzionali all'esatto adempimento
degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro.
Sono leciti i controlli difensivi occulti?
Scopriamo quanto previsto dalla Cassazione civile (sez. lav. n.10636 del 2 maggio 2017) nel caso in
cui vengano installate delle telecamere in luoghi in cui si erano verificati dei furti.
“L’adozione di strumenti di controllo a carattere “difensivo” non necessita tout court del preventivo
accordo con le rappresentanze sindacali né di alcuna specifica autorizzazione, in quanto volta
a prevenire condotte illecite suscettibili di mettere in pericolo la sicurezza del patrimonio
aziendale e il regolare e corretto svolgimento della prestazione lavorativa. Fermo restando che
l’esigenza di evitare il compimento di condotte illecite da parte dei dipendenti non può assumere
una portata tale da giustificare un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia delle dignità e
della riservatezza del lavoratore.
Per tale motivo è tendenzialmente ammissibile il controllo difensivo occulto, anche a opera di
personale estraneo all’organizzazione aziendale, in quanto diretto all’accertamento di
comportamenti illeciti diversi dal mero adempimento della prestazione lavorativa, purché il
controllo sia effettuato con modalità non eccessivamente invasive e rispettose delle garanzie di
libertà e dignità dei dipendenti”.
• * VIDEOCAMERE come misura di sorveglianza in seguito al JOBS ACT: uffici
privati e pubblici, previo accordo sindacale, obbligo di informare i lavoratori,
rispetto delle norme privacy. Prima disposizione indiscutibilmente vietata!! dall'art. 4
Statuto dei lavoratori (legge n. 300/70)e sanzionata con la reclusione.
• PARTE III Codice Privacy: regime sanzionatorio (tutela amministrativa Art 141
Decreto 196/2003 rivolgendosi al Garante della Privacy mediante reclamo o
segnalazione a cui quest'ultima può seguire un'istruttoria preliminare ed un
procedimento amministrativo, e giurisdizionale)
– IL COMMERCIO ELETTRONICO
• MARKET ABUSE:
✔ Informazione privilegiata = di carattere preciso, che non è ancora stata resa
pubblica, e se resa pubblica potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di
tali strumenti finanziari. (un investitore potrebbe utilizzarla come uno degli
elementi su cui fondare le proprie decisioni di investimento)
✔ Ristrutturazione finanziaria:
- Consolidamento/Riscadenziamento dell'indebitamento = forma
d'intervento più applicata per eliminare lo stato d'insolvenza.
- Ristrutturazione del debito
- Erogazione di nuova Finanza: Aumento di capitale e ricerca nuovi
partner; la Cartolarizzazione dei crediti bancari(Legge 130/1999) o
securitization (Si tratta di una complessa operazione finanziaria che trova
la propria origine nella cessione di crediti ma che poi si completa
attraverso la costituzione di titoli basati sui crediti stessi, idonei ad essere
emessi sul mercato finanziario. Più precisamente, i crediti sono ceduti a
titolo oneroso da parte del cedente a favore del cessionario, il quale li
acquista contro corrispettivo. Il cessionario, a sua volta, finanzia
l'acquisto - eventualmente grazie all'intervento di un intermediario
qualificato - con l'emissione di strumenti finanziari, collocati presso il
pubblico, ovvero presso investitori professionali)
• I TRUST
Modello inglese: Settlor, Trustee e Beneficiary
Purpose, business, incombe Trust
Nasce con l'atto istitutivo
Convenzione Aja 1985
Modello internazionale: no necessariamente trasferimento della proprietà, ma
sottoposizione del patrimonio al controllo del trustee.
Spesso affidare beni immobili a soggetti terzi, senza cederne la proprietà o il godimento, può essere
una soluzione ideale a protezione dei propri averi.
Il trust è uno strumento giuridico: il suo scopo è quello di tutelare determinati beni che
appartengono ad un soggetto. Una persona costituisce un trust per diverse ragioni; magari è un
professionista che svolge un’attività rischiosa (come i broker, gli imprenditori) ed intende
salvaguardare il patrimonio dall’aggressione di terze persone (creditori, clienti che hanno perso
tutto con gli investimenti finanziari), oppure desidera semplicemente proteggere il proprio capitale
affidando la gestione, previa intestazione, ad un fiduciario. Un medico è soggetto a numerose
responsabilità che potrebbero comportare eventuali richieste di risarcimento danno e, per non
pregiudicare i beni personali, può decidere di costituire un trust. Un imprenditore conosce le
difficoltà che esistono sul mercato, ma per fare impresa (evitando di rimetterci con il pignoramento
del proprio patrimonio) cerca di tutelarsi ricorrendo al trust.
Con il trust il patrimonio viene trasferito ad un’altra persona che ha l’obbligo di gestirlo
diligentemente a favore di un terzo individuo, il c.d. beneficiario. Chi dispone dei beni e ne
trasferisce l’intestazione si chiama settlor, il nuovo titolare diventa trustee ed il
beneficiario beneficiary. Oggetto del trust possono essere beni (mobili ed immobili) oppure diritti,
ma chi ne acquista la proprietà non può utilizzarli a proprio piacimento. Deve amministrarli per uno
scopo oppure in maniera tale che il beneficiario potrà goderne secondo quanto pattuito.
Il trust sembra essere un negozio giuridico semplice per chi intende proteggere i propri averi, ma
realmente cos’è e come funziona il trust in Italia?
Indice
• 1 Che cos’è il trust?
• 2 Chi sono i beneficiari del trust?
• 3 Che cos’è il trust di scopo?
• 4 Come funziona un trust?
• 5 Quali sono i beni conferiti nel trust?
• 6 Come viene scelta la legge per regolare il trust?
• 7 Qual’è il regime fiscale per il trust?
Che cos’è il trust?
Questo strumento giuridico non è tipico del nostro ordinamento, ma trova fondamento nei sistemi di
Common Law. In Italia è possibile avvalersi del trust grazie ad una Convenzione [1] che ne
ammette l’utilizzo: per essere valido, il trust deve rispettare le regole indicate dalla legge che ha
ratificato nel nostro Paese la suddetta Convenzione [2]. In Italia i trust ammessi rientrano nella
tipologia di “trust interni”, ossia devono riguardare soggetti italiani (disponente, fiduciario e
beneficiario) e beni che, in parte, si trovano nel nostro territorio. Per regolare il trust interno i
soggetti hanno la facoltà di scegliere la legge presente in uno dei vari Stati che contemplano questo
negozio nel loro ordinamento.
Secondo la Convenzione, i tipi di trust sono due:
•finalizzati al sostegno di specifiche persone che ne beneficeranno (ad esempio un figlio, un nipote
oppure una persona anziana);
•stipulati per raggiungere un determinato obiettivo.
Il trust di scopo può essere a sua volta considerato:
•liberale, nel momento in cui viene utilizzato per far fronte alle esigenze personali o familiari;
•commerciale, qualora tale strumento venga adottato per prevenire situazioni imprenditoriali che
potrebbero pregiudicare il patrimonio di una persona.
Non tutti i tipi di trust sono ammessi in Italia. Ad esempio il “trust autodichiarato” (il disponente
nomina come beneficiario sè stesso) ed il “trust opaco” (le dichiarazioni contenute nell’atto di
disposizione non sono conoscibili) non sono ammessi per questioni fiscali [3] e per motivi
strettamente legati alla trasparenza.
Chi sono i beneficiari del trust?
I beneficiari sono coloro che godono a pieno dalla costituzione di un trust. A beneficiare del trust
possono essere i parenti in senso stretto (un coniuge, un genitore anziano, un figlio maggiorenne, un
fratello), i minori, terze persone ma anche soggetti diversamente abili. Di solito il disponente
nomina i beneficiari al momento della costituzione del trust, prevedendo le regole per
l’amministrazione dei beni. In questo caso il trust assume il nome di “trust fisso” e la gestione del
patrimonio può avvenire per rendere fruttiferi i beni, oppure per preservarne il capitale. A seconda
dell’interesse da raggiungere i beneficiari possono essere:
•di reddito. Costoro godono dei frutti maturati dalla gestione dei beni. Possono essere interessi
attivi, rendite finanziarie, dividenti oggetto di quote societarie;
•di capitale. Gli interessati hanno diritto di godere del patrimonio, così come consegnato dal
fiduciario. Il patrimonio può avere acquisito valore o averlo perso nel corso del tempo, come accade
quando delle quote azionarie sono soggette alle oscillazioni di mercato.
I beneficiari possono essere nominati anche in un secondo momento (“trust discrezionale”), sia dal
disponente che, eventualmente dal fiduciario o da una terza persona (detto “protector”).
Che cos’è il trust di scopo?
Il trust può essere stipulato per raggiungere specifici obiettivi che devono essere leciti e non contrari
al nostro ordinamento. A mancare sono i soggetti beneficiari, in quanto questo strumento viene
utilizzato per un fine, non per l’interesse di una o più persone.
Un imprenditore può vincolare il patrimonio personale al fine di evitare che vicende afferenti alla
sua azienda pregiudichino le sue proprietà. Tizio ha una società che è sull’orlo del fallimento, ma
per evitare che i creditori aggrediscano i beni personali (la villa, le auto, eventuali risparmi) egli
vincola tutto quello che possiede in un trust.
Il marito di Mevia è un giocatore d’azzardo, e per evitare che si indebiti cedendo il patrimonio di
famiglia, la moglie costituisce un trust a tutela delle proprietà.
Il trust di scopo viene spesso utilizzato per istituire fondi pensione o tipologie di investimento,
mentre la fattispecie più comune è il “charitable trust”, ossia il trust con scopi caritatevoli.
Il beneficiario:
•– gode degli interessi derivanti dal trust, percependone i frutti o diventando titolare del patrimonio
nei tempi stabiliti nell’atto. Se non riceve quanto gli spetta, può agire in giudizio nei confronti del
beneficiario.
•Figura emblematica è quella del guardiano il cui compito consiste nel:
•– monitorare l’operato del fiduciario;
•– assicurarsi che venga rispettata la volontà del disponente;
•– nominare i beneficiari;
•– agire a tutela del trust con poteri ed incarichi speciali, sostituendosi addirittura al fiduciario.
Quali sono i beni conferiti nel trust?
Il trust può essere stipulato per beni immobili, mobili e per diritti che garantiscono un beneficio o il
raggiungimento di uno scopo. Il trust può essere stipulato per:
•– capitali finanziari (risparmi, quote di investimento, fondi di investimento);
•– partecipazioni (titoli azionari, obbligazionari e titoli di credito);
•– beni immobili e beni mobili (case, oggetti di valore come gioielli ed opere d’arte);
•– un’attività d’impresa o parte di essa;
•– per il godimento di un bene (l’usufrutto di una casa).
Con l’accettazione da parte del fiduciario, i beni passano nelle mani di quest’ultimo,
diventandone intestatario. Per non confondere il patrimonio personale da quello del trust, i beni
appartengono a due masse differenti: in questo modo il patrimonio oggetto del trust non può essere
aggredito da soggetti terzi (segregazione patrimoniale). Il fiduciario è un punto di riferimento per
tutti quei rapporti che sorgono a seguito della gestione del patrimonio; se parte del capitale viene
utilizzato per investimenti, chi agisce è proprio il fiduciario.
Il trust si costituisce con atto scritto o testamento, all’interno del quale il disponente esprime la
volontà di vincolare dei beni e le regole per la loro gestione. Possono essere necessari uno o più atti
traslativi la cui funzione è quella di intestare i beni nei confronti del fiduciario, previa accettazione.
Per attenersi alle regole, è necessario (ma non obbligatorio) rivolgersi ad un notaio che si occuperà
della redazione dell’atto, a maggior ragione se il trust ha oggetto beni immobili o beni aziendali;
anche il testamento può essere redatto da un notaio (il c.d. testamento pubblico) che avrà cura di
renderlo conoscibile agli eredi con l’apertura della successione.
Un ultimo adempimento è richiesto al trustee: egli deve procedere all’iscrizione del trust in
un’apposita sezione del registro delle imprese presso la Camera di Commercio dove si trovano i
beni oggetto del trust.
Come viene scelta la legge per regolare il trust?
L’ordinamento italiano consente alle parti di scegliere la legge di uno degli Stati che disciplinano il
trust. Per definire quella che dovrebbe regolare il tipo di negozio giuridico messo in atto da
disponente è necessario che la legge straniera abbia i requisiti minimi affinché quel tipo di trust
possa essere riconosciuto anche in Italia. Molto spesso, per questioni di praticità, il disponente
adotta la legge di uno Stato che ha ratificato la Convenzione dell’Aja, in quanto più sicura e con
minori problemi dal punto di vista fiscale. Ciò avviene soprattutto quando si decide di costituire un
trust di scopo, perché attualmente la legge italiana penalizza il “trust opaco” ed il “trust
autodichiarato”.
Nel corso del tempo è possibile modificare la legge optando per quella di un altro Paese, a patto che
la legge iniziale offra tale opportunità.
Può capitare però che il disponente non abbia scelto la legge alla base del trust: in questo caso la
Convenzione ammette l’applicazione della normativa che più si avvicina al tipo di trust costituito,
prendendo in considerazione elementi come:
•– luogo di amministrazione del trust;
•– tipologia e situazione dei beni;
•– residenza e sede degli affari del fiduciario;
•– scopo del trust.
Quando il trust viene costituito all’interno del territorio nazionale, la legge che regola il negozio non
deve contrastare con l’ordinamento italiano.
Un esempio è il trust di scopo, le cui finalità non devono essere contrarie a norme imperative, di
ordine pubblico e di sicurezza nazionale, mentre la legge straniera può benissimo definire la
validità, l’interpretazione, gli effetti e le modalità di gestione del trust.
Alla legge italiana sono sottoposte le questioni afferenti al trattamento fiscale dei beni, alla validità
del testamento, alla tipologia di atto per costituire il trust e le regole principali della sua
amministrazione.
La legge italiana disciplina inoltre tutto ciò che riguarda la tutela dei minori e degli incapaci, la
successione necessaria, la protezione dei creditori che potrebbero subire una lesione dalla
costituzione del trust . Il principio della responsabilità patrimoniale sancito dalla legge non può
essere in alcun modo intaccato dall’ordinamento straniero ed i diritti acquisiti da terzi in buona fede
vengono assolutamente protetti.
Un trust che pregiudica il patrimonio oggetto di testamento a danno dei discendenti non può essere
ritenuto valido, come non lo è il trust che sottrae tutti i beni patrimoniali dell’imprenditore dalle
pretese dei creditori. Se ciò fosse permesso nessuno presterebbe più denaro e chiunque potrebbe
disporre a proprio piacimento delle proprietà che un domani dovranno essere cedute in eredità.
Ragion per cui in Italia il trust viene disciplinato:
•– dalla Convenzione dell’Aja;
•– dalla legge straniera scelta dal disponente,
•– dalle norme interne che intervengono in caso di contrasti.
Qual’è il regime fiscale per il trust?
Come avviene per gran parte dei beni ceduti in proprietà oppure ereditati, anche il trust è sottoposto
alle regole fiscali. A seconda di come viene stipulato e dei beni che lo compongono, il trust può
essere soggetto a:
•– soltanto ad imposta di registro, nella misura fissa di 200 €. Ciò avviene quando si tratta di atto
pubblico o scrittura privata autenticata all’interno del quale si esprime la sola volontà di creare un
trust, senza prevedere alcun contenuto patrimoniale;
•– ad imposta di registro + imposta di donazione o imposta di successione (se il trust è contenuto
nel testamento), poiché il trasferimento dei beni avviene in maniera gratuita in capo al beneficiario;
•– ad imposta di registro + imposte ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, qualora siano
trasferiti beni immobili (case, aziende) e diritti reali immobiliari (usufrutto).
Il trasferimento dei beni giustifica anche l’applicazione delle regole in materia di IRPEF ed IVA, a
seconda se il disponente sia una persona fisica (IRPEF) o un imprenditore (IVA, nei casi di trust per
fini commerciali).
Agevolazioni sono previste se i beneficiari sono soggetti disabili e nel momento in cui il trust viene
costituito per supportare le persone affette da gravi patologie. Le agevolazioni consistono
nell’esenzione del pagamento delle imposte di successione o di donazione e nell’applicazione in
misura fissa delle imposte ipotecarie e catastali.
Disposizioni particolari sono previste a seconda se i beneficiari sono familiari, oppure se i beni
appartengono all’impresa, sono partecipazioni societarie o risultano come componenti attive del
patrimonio aziendale.
In qualsiasi caso, soggetto passivo della tassazione è il trust, mentre a seconda del tipo di imposta
obbligato può essere il fiduciario o, in regime di solidarietà, il disponente. Anche il beneficiario
pagherà le tasse a seconda se usufruisce di rendite finanziarie, fondi di investimento o diventerà
proprietario di un immobile dopo la cessione da parte del fiduciario, ma la disciplina (molto
contorta) varia da caso a caso. Tutto dipende dai benefici che se ne traggono, dalla presenza di
eventuali disposizioni che prevedono esenzioni e detrazioni e dalla tipologia di beni contenuti nel
trust.
➔ Nel linguaggio giuridico dei sistemi di civil law, il termine “fiducia” viene usato per
indicare o la proprietà fiduciaria o il negozio fiduciario. La proprietà fiduciaria è
caratterizzata dal fatto che la facoltà di godere e di disporre di un bene è attribuita al
proprietario, ma per soddisfare interessi altrui. Il contratto fiduciario, invece, prevede il
trasferimento della proprietà di un bene da un soggetto a un altro a patto che il secondo
soggetto se ne serva per un determinato fine e che, raggiunto tale fine, ritrasferisca la
proprietà al primo soggetto. I due fenomeni sono slegati tra di loro, nel senso che non è detto
che la proprietà fiduciaria nasca da un contratto fiduciario e non è detto che il contratto
fiduciario debba produrre come effetto una proprietà fiduciaria. In senso tecnico esiste
proprietà fiduciaria solo quando il vincolo di destinazione del bene a favore di un altro
soggetto o interesse ha natura reale, come il trust in common law. Infatti, il vincolo
fiduciario è di regola opponibile ai creditori del proprietario fiduciario, in quanto in
mancanza di tale opponibilità, non si avrebbe un patto fiduciario, ma solo un rapporto
puramente obbligatorio, come tale ovviamente inopponibile ai creditori del proprietario.
RICAPITOLANDO:
L’invalidità dell’atto amministrativo
L’atto amministrativo è invalido quando è difforme dal paradigma normativo di riferimento che lo
disciplina.
In relazione alla natura della norma rispetto alla quale si verifica tale difformità, si possono
individuare due grandi categorie di vizi dell’atto amministrativo:
a) se la norma è di natura giuridica, il vizio che consegue sarà un vizio di legittimità e l’atto sarà
«illegittimo»;
b) se la norma non è giuridica, ma rientra nella categoria delle cd. norme di buona amministrazione
(di quelle norme cioè, che impongono alla P.A. di attenersi, nell’esercizio dei suoi poteri
discrezionali, a criteri di opportunità e di convenienza), il vizio conseguente sarà un
vizio di merito e l’atto «inopportuno».
L’atto illegittimo, in particolare, può essere viziato in modo più o meno grave: si delineano così, le
due categorie della nullità e dell’annullabilità.
L’atto amministrativo è nullo se è manchevole di taluno degli elementi essenziali richiesti dalla
legge; è annullabile quando taluno di questi elementi non manchi, ma sia viziato.
La nullità
L’art. 21septies, L. 241/1990 prevede la nullità del provvedimento amministrativo che manca degli
elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in
violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge e
dispone l’attribuzione alla giurisdizione esclusiva del G.A. delle questioni inerenti alla nullità dei
provvedimenti amministrativi che violino o eludano il giudicato (art. 133 Codice del processo
amministrativo).
La nullità comporta le seguenti conseguenze sull’atto amministrativo:
— inesistenza giuridica dell’atto, e, quindi, inefficacia dello stesso (quod nullum est, nullum
effectum producit)
— inesecutorietà: l’atto nullo è inefficace e, come tale, anche inesecutorio. Qualora all’atto nullo
venga data esecuzione, al soggetto compete il cd. diritto di resistenza;
— inannullabilità: l’atto nullo è inesistente e, come tale, non può essere annullato;
— insanabilità e inconvalidabilità: l’atto nullo non può essere sanato né convalidato. È invece
ammessa la conversione in altro atto valido dell’atto nullo che presenti i requisiti e gli elementi
essenziali del nuovo atto e realizzi, se convertito nell’atto diverso, l’interesse pubblico.
L’illegittimità
L’atto amministrativo che presenta dei vizi di legittimità incidenti sugli elementi essenziali di esso,
è illegittimo, e come tale, annullabile.
Fonte positiva dei vizi di legittimità era l’art. 26 del R.D. 26-6-1924, n. 1054 (T.U. delle leggi del
Consiglio di Stato) che menzionava tre categorie di vizi: incompetenza, eccesso di potere,
violazione di legge; successivamente è intervenuto l’art. 21octies della L. 241/1990, che individua
quegli stessi vizi come cause di annullabilità del provvedimento. Oggi il Codice del processo
amministrativo (art. 29) si affianca alla detta previsione della legge sul procedimento e disciplina
l’azione di annullamento per violazione di legge, incompetenza ed accesso di potere. La L. 15/2005
comprime l’area delle invalidità giuridiche degli atti amministrativi: sono da considerare invalidi
solo i provvedimenti viziati da violazione di norme di carattere sostanziale; le violazioni di carattere
formale o procedimentale, invece, non danno luogo ad annullabilità del provvedimento laddove il
contenuto dello stesso non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
L’incompetenza relativa
L’incompetenza, quale vizio di legittimità dell’atto che comporta l’annullabilità di esso, è soltanto
quella relativa, che si realizza quando un organo amministrativo invade la sfera di competenza di un
altro organo appartenente allo stesso settore amministrativo; di regola, l’incompetenza relativa può
essere per grado o per materia.
L’incompetenza assoluta, invece, è causa di nullità o di inesistenza dell’atto.
L’eccesso di potere
Per aversi eccesso di potere, che può essere definito come scorrettezza in una scelta discrezionale,
occorre:
– un potere discrezionale della P.A., in quanto è evidente che per gli atti vincolati, essendone
predeterminato dalla legge il contenuto, non può riscontrarsi un vizio della funzione (o della
volontà, a seconda della teoria che si segue circa la natura giuridica di tale vizio);
– uno sviamento di tale potere, ossia il cattivo uso del potere direzionale della P.A.;
– la prova dello sviamento, prova necessaria per far venir meno la presunzione di legittimità
dell’atto.
Tra le figure più rilevanti (cd. figure sintomatiche) di eccesso di potere ricordiamo:
— sviamento di potere: ricorre tanto nel caso in cui la P.A. usi un suo potere discrezionale per un
fine diverso da quello per il quale il potere stesso le era stato conferito, quanto nel caso in cui la
P.A. persegua l’interesse pubblico, ma con un potere diverso da quello previsto a tal fine dalla legge
(ad es. trasferimento di un impiegato in una sede disagiata come punizione, laddove per la
punizione sono previste apposite sanzioni disciplinari);
— travisamento ed erronea valutazione dei fatti: ricorre quando la P.A. abbia ritenuto esistente
un fatto inesistente o viceversa, ovvero quando abbia dato ai fatti un significato erroneo, illogico o
irrazionale;
— illogicità o contraddittorietà della motivazione: ricorre quando la motivazione dell’atto sia
illogica o contrastante in varie parti, o quando la motivazione sia in contrasto col dispositiVO
— contraddittorietà tra più atti: ricorre quando più atti successivi siano contrastanti fra loro in
modo da non far risultare quale sia la vera volontà della P.A. (così, ad esempio, nel caso in cui, dopo
aver collocato a riposo un impiegato, gli si affidi un nuovo incarico);
— inosservanza di circolari: la violazione di una circolare, che è un atto interno, non può dar
luogo di per sé a vizio di legittimità; tuttavia, l’inosservanza di circolari importa eccesso di potere
per la contraddizione esistente fra la volontà manifestata col provvedimento nel singolo caso
concreto e quella manifestata in via generale dalla P.A. con l’emanazione della circolare;
— disparità di trattamento: configura un caso di illogicità e contraddittorietà tra atti, e si verifica
quando per situazioni identiche si adottino provvedimenti diversi. È il caso, ad esempio, in cui,
dopo aver accertato la uguale responsabilità di due impiegati, l’uno è assolto e l’altro punito;
— ingiustizia manifesta: questa figura è rarissima, poiché in genere l’ingiustizia attiene piuttosto
all’opportunità o alla convenienza dell’atto e, quindi, al merito, che non alla legittimità;
— violazione e vizi del procedimento: in linea di massima la violazione di una norma procedurale
concreta una violazione di legge e non già un eccesso di potere. Vi sono, tuttavia, delle ipotesi di
vere e proprie figure di eccesso di potere quali: atto emesso sul presupposto di un parere viziato da
errore o travisamento di fatto; violazione del principio del giusto procedimento;
- vizi della volontà: ricorre quando l’atto sia stato emesso a seguito di un procedimento non
corretto di formazione della volontà;
La violazione di legge
La violazione di legge deve considerarsi una figura residuale in quanto comprende tutti quei vizi
che non rientrano nelle altre due categorie.
Essa si sostanzia in un contrasto fra l’atto e l’ordinamento giuridico.
Conseguenze dell’illegittimità
L’atto illegittimo per la presenza di vizi di legittimità è annullabile, ma, fino a quando non viene
effettivamente annullato, esiste ed è efficace.
Pertanto, l’atto illegittimo
a) è giuridicamente esistente;
b) è efficace, come se fosse valido, finché non viene annullato;
c) è esecutorio, per cui l’atto, se (e finché) non è annullato, può essere eseguito dalla P.A. in via
diretta e coattivamente.
L’annullamento dell’atto non si verifica di diritto, ma soltanto a seguito di apposito provvedimento
dell’autorità amministrativa, oppure di sentenza del giudice amministrativo.
L’atto amministrativo illegittimo può anche essere convertito in un atto valido, in virtù del principio
di conservazione dell’atto amministrativo.
• Principio di semplicità, celerità ed economicità dell'azione amministrativa
• Art. 103 Costituzione: Giudice ordinario (diritti soggettivi) e Giudice Amministrativo
(interessi legittimi e in particolari materie indicate dalla legge diritti soggettivi):
Il diritto soggettivo è la posizione giuridica di vantaggio che spetta ad un soggetto in ordine
ad un bene, nonché la tutela giuridica dello stesso in modo pieno ed immediato. L’interesse
legittimo è una situazione giuridica di vantaggio che spetta ad un soggetto in ordine ad
un bene della vita oggetto di un provvedimento amministrativo e consistente
nell’attribuzione a tale soggetto di poteri idonei ad influire sul corretto esercizio del potere,
in modo da rendere possibile la realizzazione dell’interesse al bene
• Contratto di rete (garanzia per la PA)
• Appalti pubblici vs privati: Artt. 1655 cc definizione di appalto. Inizialmente vigeva una
frammentazione in settori (appalti di lavori, servizi, forniture), successivamente emanazione
d.lgs 163/2006 recante 'Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture
in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE' Il Codice dei contratti pubblici è
una legge della Repubblica Italiana emanata con decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50,
che regola la materia degli appalti pubblici di lavori, forniture, servizi e concessioni, e dei
relativi contratti pubblici. Alla sua entrata in vigore, ha abrogato il precedente codice dei
contratti pubblici di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. È stato modificato con
il D. Lgs.56/2017 ed è stato ulteriormente aggiornato con la Legge n. 55 del 14 giugno 2019
(conversione in legge del Decreto "Sblocca cantieri") (CODICE DEGLI APPALTI).
Nonostante nella sostanza sembrano essere identici, l'appalto pubblico disciplinato
dal codice appalti ed il contratto d'appalto di diritto privato si differenziano per diversi
fattori. Ad accomunarli è sicuramente il fatto che l'appaltatore compie un'opera, un servizio
o una fornitura utilizzando mezzi propri, ma a differenziare le due tipologie di appalto sono i
soggetti contraenti, l'oggetto del contratto e la procedura da seguire per concludere l'affare.
Appalto pubblico e privato: i soggetti contraenti
Nell'appalto disciplinato dal codice civile non vengono definiti espressamente coloro che decidono
di concludere il relativo contratto, se non per quanto riguarda l'appaltatore. Da ciò si desume che,
nel rispetto della libertà contrattuale prevista dal nostro ordinamento, due persone possono
liberamente stipulare un contratto d'appalto ma una delle due deve necessariamente essere un
imprenditore. Questa caratteristica si desume proprio dalla nozione di "appalto", secondo cui è tale
il contratto con cui una parte assume con organizzazione dei propri mezzi e gestione a proprio
rischio il compimento di un'opera.
Nell'appalto pubblico, viceversa, le parti devono essere obbligatoriamente quelle indicate dal
codice: l'una ha valenza pubblica, mentre l'altra può essere anche privata. Se a commissionare
l'appalto deve essere una pubblica amministrazione, potrebbe candidarsi alla gara d'appalto anche
un ente pubblico e non necessariamente un soggetto privato. La veste pubblica del committente
contraddistingue quindi il contratto d'appalto del codice civile da quello del codice appalti.
L'appalto pubblico prevede una procedura in cui la scelta del contraente privato deve seguire
principi prestabiliti, quali la trasparenza, l'economia, il rispetto delle linee guida ANAC, la
concorrenza e una serie di criteri che garantiscono imparzialità e buon andamento
dell'amministrazione committente. Inoltre la procedura per l'aggiudicazione è pubblica, gli atti sono
resi disponibili dalla stessa amministrazione e, in caso di violazioni, è possibile ricorrere al TAR.
N.B: Nello specifico questa fattispecie rappresenterebbe, ai sensi del codice civile, un
contratto di appalto o un contratto di somministrazione?
L’appalto è quel contratto con il quale un soggetto, detto appaltatore, si obbliga nei confronti di un
altro soggetto, detto committente, a compiere una determinata opera o servizio dietro corrispettivo
in denaro, con propria organizzazione di mezzi e con gestione a proprio rischio.
L’oggetto del contratto di somministrazione, invece, è la fornitura di lavoro presso altri. Il
lavoratore somministrato non viene pagato dall’utilizzatore, ma dall’agenzia di somministrazione,
in quanto questi lavoratori sono iscritti nel libro libro paga dell’agenzia.
Dal punto di vista squisitamente giuridico è netta la distinzione tra i due istituiti, l’appalto è
un’obbligazione di risultato, mentre la somministrazione un’obbligazione di mezzi. In molti casi la
distinzione tra i due tipi di contratto però è molto sottile
Appalto vs concessione:
Cos’è un appalto
La legge definisce l’appalto pubblico come un contratto tra una Pubblica Amministrazione e
un’impresa che presenta queste caratteristiche:
•ha ad oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti e la prestazione di servizi;
•è stipulato per iscritto;
•è a titolo oneroso, cioè prevede un corrispettivo che la pubblica amministrazione è tenuta a
corrispondere all’impresa che esegue l’appalto.
In sostanza, l’impresa che vince la gara per l’affidamento di un appalto pubblico, ottiene la
possibilità di effettuare lavori, di eseguire un servizio o di fornire prodotti ricevendo
un corrispettivo fisso da parte dell’amministrazione, senza essere esposta a rischi derivanti, ad
esempio, dall’aumento dei prezzi del materiale di costruzione o dalla riduzione di domanda del
servizio erogato.
Ove sia costretta a sostenere oneri maggiori, può chiedere all’amministrazione di aumentare il
corrispettivo originariamente pattuito.
Ad esempio, costituisce un appalto l’affidamento di un servizio di pulizia, che l’impresa può
erogare secondo le richieste dell’amministrazione (superficie, frequenza, tipo di prodotti), ricevendo
un corrispettivo predeterminato.
Il contratto può prevedere che il corrispettivo sia erogato all’impresa secondo due modalità:
•a corpo, cioè attraverso il pagamento da parte dell’amministrazione di una somma forfettaria per
tutto l’insieme delle prestazioni eseguite;
•a misura, cioè con il pagamento da parte dell’amministrazione di una somma che varia a seconda
della quantità di prestazioni richieste, fermo restando il prezzo unitario della singola prestazione.
In sostanza, il corrispettivo può essere stabilito in misura fissa per tutte le prestazioni, oppure può
essere stabilito attraverso prezzi unitari della singola prestazione. Nel secondo caso, pur rimanendo
fisso il prezzo unitario, il corrispettivo che l’amministrazione dovrà versare all’impresa, varia con la
quantità richiesta della singola prestazione.
Ad esempio, per il servizio di pulizia:
•se il corrispettivo è previsto a corpo, l’amministrazione verserà all’impresa esecutrice una somma
fissa per tutto il servizio da erogare;
•se il corrispettivo è previsto a misura (ad esempio con un prezzo unitario per metro quadro da
pulire), l’amministrazione verserà all’impresa esecutrice un corrispettivo che dipende dalla quantità
di prestazioni effettivamente eseguite (ad esempio i metri quadri effettivamente puliti).
Tanto che si tratti di corrispettivo a corpo, quanto che si tratti di corrispettivo a misura, l’impresa
riceverà sempre un corrispettivo fisso da parte dell’amministrazione. Se è costretta a sostenere costi
maggiori, potrà chiedere una revisione dell’intero corrispettivo (nel caso di corrispettivo a
corpo) o del prezzo unitario originariamente concordato (nel caso di corrispettivo a misura).
Cos’è una concessione
La legge definisce la concessione come un contratto tra una Pubblica amministrazione e
un’impresa, che presenta le seguenti caratteristiche:
•può avere ad oggetto la progettazione o l’esecuzione di lavori pubblici (o entrambe), oppure
l’erogazione di un servizio pubblico;
•è stipulato per iscritto;
•è a titolo oneroso, cioè è previsto un corrispettivo per l’impresa che esegue la concessione.
All’impresa che si aggiudica una concessione pubblica (concessionario) viene riconosciuto come
corrispettivo il diritto di gestire l’opera pubblica realizzata (in caso di concessione di lavori) o i
servizi (in caso di fornitura di servizi). Solo a volte tale diritto può essere accompagnato da un
corrispettivo fisso (definito “prezzo”).
In sostanza, il concessionario affronta gli oneri dell’opera o del servizio, assumendosi il rischio di
non recuperare gli investimenti che è tenuto ad affrontare per avviare l’esecuzione delle prestazioni
del contratto di concessione. Per ridurre tale rischio, però, ha la possibilità di rifarsi sull’utenza
attraverso la riscossione di un canone o di una tariffa.
Ad esempio, l’erogazione del servizio di somministrazione di bevande e di altri prodotti con
distributori automatici, remunerato solo con i proventi delle vendite effettuate, rappresenta una
concessione. In tal caso, infatti, il concessionario ha solo il diritto di gestire il servizio e recupera i
relativi oneri rifacendosi sugli utenti, attraverso le vendite degli snack e delle bevande.
Allo stesso modo, il concessionario autostradale recupera i costi di gestione (realizzazione e
manutenzione dell’infrastruttura) attraverso il pedaggio pagato dagli utenti.
I rischi propri di una concessione pubblica
La prima voce di rischio a cui è esposto un concessionario è il rischio operativo (detto anche rischio
di gestione), che per la legge consiste nell’esposizione agli andamenti del mercato e che può
comportare perdite economiche non trascurabili.
In sostanza, nel corso dell’esecuzione della concessione, può succedere che il concessionario non
riesca a recuperare gli investimenti effettuati o i costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei
servizi oggetto della concessione. Ciò può accadere per vari motivi come, ad esempio, l’aumento
del costo dei materiali oppure la diminuzione dell’utenza che usufruisce del servizio, pagando una
tariffa al concessionario.
Esistono poi altre voci di rischio legate all’esecuzione di una concessione pubblica:
•rischio di costruzione, proprio delle concessioni dei lavori, che può essere legato a diversi
fattori [5]:
•il ritardo nei tempi di consegna dell’opera, che incide sui ricavi della gestione della stessa. Ad
esempio, se la concessione ha una durata quinquennale e la durata dei lavori prevista è di due anni,
l’eventuale ritardo nell’ultimazione dei lavori riduce il periodo in cui il concessionario può gestire
l’opera nel quinquennio per recuperare l’investimento iniziale;
•il mancato rispetto degli standard di progetto, che può comportare la necessità di nuovi lavori per
l’adeguamento dell’opera, sostenendone i costi;
•l’aumento dei costi, derivante ad esempio dall’aumento dei prezzi del materiale di costruzione;
•gli inconvenienti di tipo tecnico nella realizzazione dell’opera o nell’erogazione del servizio;
•rischio di disponibilità, il rischio legato alla capacità, da parte del concessionario, di erogare le
prestazioni contrattuali pattuite. In sostanza, il concessionario è tenuto sempre a rispettare quanto
previsto nel contratto, sia rispetto agli standard di qualità previsti, sia rispetto alle quantità di
prestazioni richieste. Tale obbligo non viene meno anche di fronte a eventi imprevisti, che il
concessionario dovrà affrontare a sue spese senza poter venir meno agli impegni presi con la
pubblica amministrazione;
•rischio di domanda, legato ai diversi volumi di domanda del servizio che il concessionario deve
soddisfare. Si tratta del rischio legato alla mancanza di utenza e quindi di flussi di cassa che
permettano di recuperare i costi sostenuti .
Qual è la differenza tra un appalto e una concessione
La principale differenza tra un appalto e una concessione risiede nell’assunzione degli oneri legati
alla gestione dell’opera o del servizio:
•nel contratto di appalto, l’onere della gestione dell’opera o del servizio grava sulla pubblica
amministrazione che paga un corrispettivo fisso all’appaltatore. In sostanza, l’impresa riceve un
importo fisso per portare a termine i lavori o i servizi;
•nel contratto di concessione, l’onere della gestione dell’opera o del servizio grava sull’impresa,
che, da un lato, può eventualmente ottenere un minimo corrispettivo dall’amministrazione e,
dall’altro, può rifarsi sull’utenza, attraverso canoni e tariffe. In pratica, l’impresa viene autorizzata a
gestire un’opera o un servizio, potendo ottenere tanto guadagni, quanto perdite dall’esecuzione delle
prestazioni.
Riprendendo l’esempio del servizio di somministrazione delle bevande attraverso distributori
automatici, possiamo dire che:
•rappresenta una concessione se l’impresa ha solo il diritto di gestire il servizio, potendo recuperare
i relativi oneri e potendo guadagnare solo attraverso le vendite effettuate tramite i distributori,
esponendosi al rischio che queste diminuiscano;
•rappresenta un appalto se l’impresa riceve un corrispettivo fisso dall’amministrazione, a
prescindere dall’andamento delle vendite attraverso i distributori automatici.
Nel caso, invece, di un contratto di lavori pubblici:
•costituisce un appalto, il contratto in cui la realizzazione dell’opera è finanziariamente a carico
dell’amministrazione, la quale che versa all’appaltatore un corrispettivo in cambio della costruzione
della stessa. Per esempio, rappresenta un appalto l’affidamento di lavori per la realizzazione di una
strada quando i costi di realizzazione e manutenzione della stessa restano a carico
dell’amministrazione;
•costituisce una concessione, il contratto in cui il concessionario viene retribuito non mediante un
corrispettivo fisso, ma attraverso il riconoscimento del diritto di gestione dell’opera per un certo
periodo di tempo, inclusi i relativi rischi (come la scarsa redditività della gestione dell’opera e
l’incremento dei costi di realizzazione). E’ il caso del concessionario autostradale che sostiene
i costi di realizzazione e manutenzione dell’opera e li può recuperare con il pedaggio, pur
esponendosi al rischio che un calo del traffico comporti minori entrate e quindi una minore
possibilità di recupero dei costi anzidetti.
Una seconda differenza tra appalti e concessioni risiede nell’oggetto e, in particolare, nelle
forniture di prodotti, che possono essere oggetto di un appalto, ma non anche di una concessione.
Infine, appalti e concessioni differiscono per la disciplina applicabile. Alle concessioni, infatti, non
si applicano tutte le disposizioni del Codice dei contratti pubblici alle quali, invece, sono sottoposti
integralmente gli appalti
• PROCEDURA APPALTI (decisione, pubblicazione bando di gara, esame delle domande,
aggiudicazione dell'appalto*, stipula contratto di appalto).
• Prima della stipula del contratto: potere autoritativo della PA (legittimità del procedimento
di selezione del contraente è attribuita alla giurisdizione del giudice amministrativo), a
seguito della stipula: rapporto paritetico (le controversie relative all'esecuzione del contratto
di appalto spettano alla giurisdizione del giudice ordinario).
• Art. 2 d.lgs 163/2006: principi: economicità, efficacia, tempestività e correttezza, libera
concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità.
• Il Programma Triennale delle Opere Pubbliche è lo strumento con cui il Comune
individua i grandi interventi e le opere che modificheranno la città (strade, edifici scolastici,
parchi, edifici pubblici, ecc.). Indica tempi e risorse destinate ai lavori da eseguire nel
triennio
- FASI attività di programmazione
- *Aggiudicazione del contratto (aRTT. 81, 82, 83 Codice dei contratti): sulla base del
prezzo più basso quando le caratteristiche della prestazione sono già ben definite dalla
Stazione appaltante (in presenza di un presidente!, 2/3 sedute pubbliche con apertura di
due buste: documentazione amministrativa e offerta economica.
✗ Il Responsabile Unico del Procedimento, figura centrale delle sedute di gara, per prima
cosa verifica l’integrità dei plichi consegnati nei termini, accerta che gli stessi siano
sigillati e che rispettino quanto prescritto dai documenti di gara.
✗ Poi si procede all’apertura delle buste amministrative ed effettua il controllo sulla
documentazione ivi contenuta ai fini dell’ammissione di ogni concorrente. La verifica
sull’ammissione dei concorrenti deve necessariamente avvenire prima dell’apertura delle
buste relative all’eventuale offerta tecnica e all’offerta economica, in quanto le
determinazioni in merito all’ammissibilità degli offerenti non devono essere in alcun
modo condizionate dagli elementi delle offerte presentate
✗ Una volta conclusa la fase di ammissione/esclusione dei concorrenti, nel caso di gara
aggiudicata con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla
base del miglior rapporto qualità/prezzo, sempre in seduta pubblica vengono aperte le
buste contenenti la documentazione tecnica al solo fine di prendere atto del relativo
contenuto e di verificare l’effettiva presenza dei documenti richiesti dalla
documentazione di gara. La valutazione delle offerte tecniche e l’attribuzione dei relativi
punteggi ai concorrenti avviene poi però sempre in una o più sedute riservate e tale
compito è svolto dalla commissione giudicatrice appositamente nominata. Anche in
questo caso le valutazioni inerenti l’attribuzione dei punteggi delle offerte tecniche non
devono essere in alcun modo condizionate dalle offerte economiche presentate, le quali
saranno sempre aperte per ultime.
✗ Completato l’esame delle offerte tecniche da parte della commissione giudicatrice, si
procede nuovamente in seduta pubblica dando lettura dei punteggi assegnati e delle
relative valutazioni compiute. Successivamente si procede ad aprire le offerte
economiche dando lettura dei ribassi o prezzi offerti.
✗ Viene quindi formulata la graduatoria finale sulla base della somma dei punteggi
assegnati per l’offerta tecnica e per l’offerta economica e conseguentemente si procede
alla proposta di aggiudicazione. Ovviamente, nel caso di gara aggiudicata con il criterio
del minor prezzo, a seguito dell’ammissione dei concorrenti si procede immediatamente
all’apertura delle offerte economiche con aggiudicazione al concorrente che abbia
presentato l’offerta migliore.
✗ Di ogni seduta di gara, pubblica o riservata, viene redatto apposito verbale cui la
stazione appaltante avrà cura di dare adeguata pubblicità, anche a mezzo di
pubblicazione online degli stessi sul proprio profilo di committente.
✗ La stazione appaltante ha l’obbligo di portare preventivamente a conoscenza dei
concorrenti il giorno, l’ora e il luogo delle sedute di gara, in modo da garantire loro
l’effettiva possibilità di presenziare allo svolgimento delle operazioni di apertura dei
plichi pervenuti, atteso che tale adempimento risulta implicitamente necessario ai fini
dell’integrazione del carattere di pubblicità della seduta.
Le sedute pubbliche, in quanto tali, sono aperte a tutti) o dell'offerta economicamente più
vantaggiosa : in presenza di una commissione giudicatrice! nominata dalla Stazione appaltante
e composta da un numero dispari di componenti, presieduta da un dirigente della pubblica
amministrazione, criteri e metodologia di calcolo e di attribuzione del punteggi.
• Controlli sulla procedura: AGGIUDICAZIONE PROVVISORIA e DEFINITIVA
Accertamento dei requisiti
• Controversie:
✗ Accordo bonario (Commissione ai sensi dell'art. 240 del decreto 2006): Dati questi
presupposti, l’istituto presenta le seguenti caratteristiche:
- può essere attivato quando l’ammontare delle riserve supera il 10% del valore del
contratto;
- ha carattere obbligatorio rispetto all’eventuale avvio di giudizio arbitrale o ordinario;
- nasce dalla volontà delle parti e si concretizza con una comunicazione alla controparte
di determinazioni positive in merito alla proposta formulata dalla commissione;
- prevede la necessità di presentare delle riserve, ossia annotazioni sul registro della
contabilità per pretese di tipo patrimoniale al fine di giungere ad un’esatta
quantificazione del compenso dovuto (tali riserve devono essere comunicate al direttore
dei lavori attraverso una relazione riservata al responsabile di procedimento, che valuterà
l’ipotesi di accettare o rigettare le riserve).
✗ Transazione
✗ Arbitrato: 3 membri
✗ Tutela giurisdizionale