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1.5 Entro il 2030, costruire la resilienza dei poveri e di quelli in situazioni vulnerabili e ridurre la
loro esposizione e vulnerabilità ad eventi estremi legati al clima e ad altri shock e disastri
economici, sociali e ambientali
•1.a Garantire una significativa mobilitazione di risorse da una varietà di fonti, anche attraverso la
cooperazione allo sviluppo rafforzata, al fine di fornire mezzi adeguati e prevedibili per i Paesi in
via di sviluppo, in particolare per i Paesi meno sviluppati, ad attuare programmi e politiche per
porre fine alla povertà in tutte le sue dimensioni
•1.b Creare solidi quadri di riferimento politici a livello nazionale, regionale e internazionale, basati
su strategie di sviluppo a favore dei poveri e attenti alla parità di genere, per sostenere investimenti
accelerati nelle azioni di lotta alla povertà
Definire le povertà
La povertà è un fenomeno complesso e pertanto viene definita in diversi modi:
L’ approccio unidimensionale intende la povertà come mancanza di benessere economico, ossia
come la caduta di un indicatore monetario al disotto di una la linea di povertà
L’approccio multidimensionale estende il numero di dimensioni definendo e misurando la povertà
su una molteplicità di variabili (l’impossibilita di soddisfare i propri bisogni primari, la mancanza di
risorse economiche, la mancanza di istruzione e di abilità lavorative, una salute precaria, la
malnutrizione, ecc...).
La POVERTA’ UMANA (indice)
Il concetto di povertà umana formulato da UNDP nella prospettiva dello sviluppo umano non
poteva che essere un concetto multidimensionale; esso non si limita infatti a considerare il solo
spazio del reddito ma si estende fino a comprendere, ancora una volta, le effettive opportunità e gli
spazi di scelta che si aprono agli individui.
Ricollegandosi espressamente alla teoria delle capacità di Amartya Sen, identifica la povertà non
solo come condizione di privazione materiale dell’individuo ma anche come perdita di
opportunità concrete, di impossibilità a realizzare traguardi e funzionamenti fondamentali
della vita umana: vivere una vita quanto più lunga possibile, nutrirsi e coprirsi, godere di buona
salute, istruirsi, partecipare attivamente alla vita comunitaria e così via. Come già accadeva per
l’ISU, anche in questo caso il concetto di povertà umana è ben più ampio di quanto non lo siano le
effettive possibilità di misurarlo. Più in particolare, l’indice di povertà umana (IPU), introdotto a
partire dal 1997 (Rapporto n. 8), è una misura composita che include le stesse dimensioni essenziali
della vita umana considerate dall’ISU (longevità, conoscenze e standard accettabile di vita) ma
adotta variabili e criteri di misurazione parzialmente diversi. Dopo una prima formulazione
dell’IPU, che faceva riferimento ai soli paesi più poveri, la configurazione attuale di questo indice
(cfr. Rapporto n°10/1999) si rivolge a tutti i Paesi per i quali sono disponibili i dati statistici
necessari, ma considera variabili o soglie diverse a seconda che si tratti di economie in via di
sviluppo (IPU-1) o di economie industrializzate (IPU-2).
Sconfiggere la povertà nel mondo:
primo dei17 obiettivi(goal) indicati dall’Agenda 2030.È la sfida più grande da vincere, l’obiettivo
prioritario da raggiungere per promuovere uno sviluppo sostenibile della Terra.Dal 1990 ad oggi la
percentuale delle persone che vivono in una situazione dipovertà estrema(con meno
di1,90dollarial giorno) è progressivamente calata.
•Tra il 2000 e il 2016, a livello mondiale la percentuale si è ridotta quasi di tre volte, passando dal
26,9% al 9,2%.
•Nel 2017, però, si è registrata una delle annate peggiori, a causa delle perdite economiche dovute ai
disastri ambientali: secondo le ultime stime, attualmente la percentuale è salita all’11% della
popolazione mondiale (circa 780 milioni di persone, di cui il 70% donne).
In realtà, però, per aiutare queste persone a uscire dalla miseria non bastano gli aiuti economici:
sono necessari programmi di protezione sociale con sostegno per sanità, alimentazione,
istruzione, formazione professionale, pensioni… I 17 obiettivi dell’Agenda 2030 sono
strettamente collegati uno all’altro e devono essere perseguiti tutti insieme.
REPORT Oxfam «DIGNITY NOT DESTITUTION» (Dignità non miseria)
•Si stimano 3.400 miliardi USD in meno di reddito da lavoro nel 2020.
•Nel mondo si contano 2 miliardi di lavoratori nel settore informale, mentre solo 1 disoccupato su 5
ha una qualche forma di indennità. In Italia milioni di lavoratori precari sono esclusi dagli aiuti. In
vista del G20 Finanze e del Summit della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale,
appello urgente per un pacchetto straordinario di misure
•Mezzo miliardo di persone rischiano di precipitare sotto la soglia della povertà estrema. È questo
uno dei risultati dell’impatto del Coronavirus sull’economia globale. Oxfam denuncia come la
contrazione di consumi e redditi causata dallo shock pandemico rischi di ridurre in povertà tra il 6 e
l’8% della popolazione mondiale.
•Il dossier -a partire dalle analisi del World Institute for Development EconomicsResearch(Wuder)
dell’Università delle Nazioni Unite e dei ricercatori del King'sCollege di Londra e della
AustralianNational University -fotografa come di fatto i progressi ottenuti negli ultimi 10 anni nella
lotta alla povertà estrema rischiano di essere azzerati: in alcune regioni del globo i livelli di povertà
tornerebbero addirittura a quelli di 30 anni fa. La diffusione del Coronavirus non conosce confini
geografici e non fa distinzioni tra Paesi economicamente avanzati, emergenti o in via di sviluppo:ci
sono però estreme disuguaglianze nelle capacità dei diversi paesi del mondo di tutelare la vita
e la salutedei propri cittadini e di contrastare le drammatiche conseguenze socio-economiche della
crisi. Molte nazioni, tra cui l’Italia, hanno introdotto pacchetti di stimolo economico per sostenere
imprese e lavoratori, ma la maggior parte dei Paesi in via di sviluppo semplicemente non ne ha la
forza. Le Nazioni Unite stimano che circa la metà di tutti i posti di lavoro in Africa potrebbe
andare persa.
Il reddito al di sotto del quale si è considerati nella fascia di povertà estrema attualmente è di 1,9
dollari (cioè circa 1,7 Euro) al giorno.
•Osserviamo il grafico qui sotto (tratto dall’Innocenti Report Card 14 dell’Unicef, 2017) relativo
alla povertà dei minori (0-17 anni). Per interpretarlo correttamente, consideriamo che il valore 100
corrisponde alla media europea.
Sconfiggere la fame:
è il secondo obiettivo (goal) dell’Agenda 2030, il programma per lo sviluppo sostenibile
sottoscritto dai Paesi membri dell’ONU.
•Fare in modo che tutti sulla Terra abbiano di che sfamarsi è un’impresa molto ardua, che deve
affrontare grandi squilibri e disuguaglianze.
•Attualmente, infatti, una persona su nove non ha abbastanza da mangiare e una su tre è malnutrita,
mentre nei Paesi avanzati una buona parte della popolazione è sovrappeso e quantità enormi di
derrate alimentari finiscono tra i rifiuti. L’obiettivo Fame Zero è ancora lontano.
Traguardi
•3.1 Entro il 2030, ridurre in modo consistente (2/3) il tasso di mortalità materna globale
•3.2 Entro il 2030, porre fine alle morti prevenibili di neonati e bambini sotto i 5 anni di età.
•3.3 Entro il 2030, porre fine alle epidemie di tubercolosi, malaria e malattie tropicali trascurate;
combattere l’epatite, le malattie di origine idrica e le altre malattie trasmissibili; ridurre sempre più i
contagi AIDS
•3.4 Entro il 2030, ridurre di un terzo la mortalità prematura da malattie non trasmissibili attraverso
la prevenzione e il trattamento e promuovere benessere e salute mentale
•3.5 Rafforzare la prevenzione e il trattamento di abuso di sostanze, tra cui l’abuso di stupefacenti e
il consumo nocivo di alcol
•3.6 Entro il 2020, dimezzare il numero globale di morti e feriti a seguito di incidenti stradali
•3.7 Entro il 2030, garantire l’accesso universale ai servizi di assistenza sanitaria sessuale e
riproduttiva, inclusa la pianificazione familiare
•3.8 Entro il 2030, ridurre sostanzialmente il numero di decessi e malattie da sostanze chimiche
pericolose e da contaminazione e inquinamento dell’aria, delle acque e del suolo
•Sostenere la ricerca e lo sviluppo di vaccini e farmaci per le malattie trasmissibili e non
trasmissibili che colpiscono soprattutto i Paesi in via di sviluppo; fornire l’accesso a farmaci e
vaccini essenziali ed economici
•Aumentare considerevolmente i fondi destinati alla sanità e alla selezione, formazione, sviluppo
e mantenimento del personale sanitario nei paesi in via di sviluppo, specialmente nei meno
sviluppati e nei piccoli Stati insulari in via di sviluppo
•Rafforzare la capacità di tutti i Paesi, soprattutto dei Paesi in via di sviluppo, di segnalare in
anticipo, ridurre e gestire i rischi legati alla salute, sia a livello nazionale che globale
Lezione 4:
Indicatori sulla qualità dell'istruzione scolastica
Relazione europea del maggio 2000 sulla qualità dell'istruzione scolastica: sedici indicatori di
qualità -relazione elaborata sulla base dei lavori del gruppo di lavoro "Indicatori di qualità" [Non
pubblicata sulla Gazzetta ufficiale].
•SINTESI
•Gli esperti dei ministeri dell'istruzione dei 26Paesi che hanno partecipato ai lavori del gruppo di
lavoro « Indicatori di qualità » hanno elaborato la presente relazione sulla qualità dell'istruzione
scolastica.
•Le sfide in materia di qualità dell'istruzione in Europa
•Gli indicatori e i riferimenti utilizzati nella presente relazione hanno consentito di individuare le
cinque sfide seguenti:
•la sfida del sapere;
•la sfida della decentralizzazione;
•la sfida delle risorse;
•la sfida dell'integrazione sociale;
•la sfida dei dati e della comparabilità.
Ogni intervento educativo richiede di stabilire dei parametri che possano aiutare a capire qualità e
efficacia dell’intervento stesso. Gli indicatori di qualità dell’intervento di educazione alla
sostenibilità
•CHE COSA E’ LA SOSTENIBILITA’? •CHE COSA E’ LO SVILUPPO SOSTENIBILE?
Secondo la Banca mondiale, nel 2030 la povertà assoluta sarà concentrata quasi esclusivamente
nell’Africa subsahariana © Banca mondiale. La zona più critica è senza dubbio quella dell’Africa
subsahariana, dove ad oggi vivono 413 milioni di poveri e con ogni probabilità nel 2030 il tasso di
povertà, ben lungi dall’azzerarsi, rimarrà ancora a doppia cifra. Il paese con il più alto numero di
poveri al mondo (ben 87 milioni di persone) è la Nigeria, che così supera l’India in questa poco
invidiabile classifica. Praticamente tutti i paesi più poveri in assoluto (26 su 27) si trovano
nell’Africa subsahariana: se le cose andranno avanti così, senza cambiamenti di rotta importanti, nel
2030 in questa regione abiterà l’87 per cento delle persone in condizioni di povertà estrema.
9 PAESI PIU’ POVERI (COME PIL ) AL MONDO SONO IN AFRICA SUB-
SAHARIANA:IL PRIMO MA è l’ULTIMO è la Repubblica Democratica del Congo, PIL$ 348.00.
•1 -Repubblica Democratica del Congo, PIL$ 348.00.È un Paese con grandi potenzialità, sfruttate
però da popoli occidentali, come ad esempio le importanti miniere di diamanti, di cui ormai è
rimasto poco e nulla. L'agricoltura locale è di sussistenza, non riesce infatti a soddisfare nemmeno
la richiesta interna.
2 -Zimbabwe, PIL $456.00
Flagellato dalle infezioni di HIV(nel 2004 era colpita una donna su 5 e il 14% di tutta la
popolazione tra i 15 e i 49 anni) e con una mortalità infantile che ha superato il 12%a partire dal
2004, il Paese ha un tasso di analfabetismo pari al 90%della popolazione. La speranza di vita è
inferiore ai 40 anni, la disoccupazione è talmente alta che lavorano solamente 15 persone su 100.
3 -Liberia, PIL $487.00
Anche questa nazione paga a caro prezzo il Golpe del 1980 e il susseguirsi di guerre civili.
L'economia della Liberia è stata letteralmente disintegrata, il PIL ha visto un crollo vertiginoso del
90% e il tasso di disoccupazione.
•4 -Nigeria, PIL $600.00
Terra di contraddizioni la Nigeria, dove lo sviluppo economico cresce vertiginosamente ma la
popolazione continua a vivere in povertà. Le cause sono la gestione pessima dei proventi del
petrolio e l'inquinamento prodotto dalla sua estrazione, nonché l'alto tasso di corruzione.
L'aspettativa di vita si attesta a 51 anni sia per le donne che per gli uomini. Ultimamente hanno
preso piede anche gruppi terroristici legati all'estremismo islamico, come il tristemente noto gruppo
armato BokoHaram, responsabile di feroci attentati e altri atti di violenza estrema.
•5 -Burundi, PIL $615.00
Quasi 9 milioni di abitanti hanno assistito e pagano ancora oggi le conseguenze dello scontro
etnico tra hutu e tutsi, che ha visto coinvolto anche il Rwanda. La siccità che spesso la colpisce
rende molto difficile la già scarsa attività di agricoltura: circa l'80% della popolazione vive con
circa 1 dollaro americano al giorno.
6 -Repubblica Centrafricana, PIL $768.00
•La Repubblica Centrafricana è sempre stata uno dei Paesi più poveri del mondo, con una speranza
di vita di 48 anni. Da quasi un anno, a causa di un violento colpo di stato, si sta vivendo una crisi
umanitaria senza precedenti. A farne le spese sono soprattutto i bambini: a rischio di abuso,
sfruttamento e violenza sessuale, devono inoltre affrontare la mancanza di servizi sanitari e di
riserve di cibo.
•7 -Eritrea, PIL $777.00
Uno dei problemi più importanti di questo Paese è la guerra, che ha causato negli anni ingenti danni
materiali e umani ed ha anche contribuito al calo delle esportazioni di prodotti. Gli aiuti umanitari
sono, anche qui, diventati essenziali per permettere alla popolazione di sopravvivere. Come quasi
tutti i Paesi africani nelle medesime condizioni, anche l'Eritrea potrebbe essere ricchissima, per la
presenza di giacimenti di oro, petrolio e tanti altri materiali importanti, sfruttati ovviamente dai
Paesi occidentali.
•8 -Sierra Leone, PIL $849.00
Vittima di una devastante guerra civile iniziata dal Fronte Rivoluzionario Unito, nonché da
innumerevoli colpi di stato avvenuti durante gli anni '90 a causa gli interessi economici legati alle
risorse minerarie del territorio, la popolazione della Sierra Leone vive in condizioni di povertà
totale. Negli ultimi anni è stata anche scenario dell'epidemia di ebola, che ha ulteriormente
aggravato le condizioni di vita ed il tasso di mortalità, soprattutto infantile.
•9 -Malawi, PIL $860.00
Sono molte le organizzazioni umanitarie che si adoperano per migliorare la situazione della
popolazione di questo Paese, che rimane però davvero drammatica. Chi vive in Malawi ha una
speranza di vita di appena 47 anni. Sono i bambini le principali vittime della povertà e della
quasi assenza di servizi sanitari ed educativi: un bambino su otto muore prima dei cinque anni e
quasi la metà dei bambini al di sotto dei 5 anni sono malnutriti.
La CONDIZIONE DELLA DONNA IN AFRICA Sub-sahariana
•Quadro di Riferimento
•ANALISI dei seguenti aspetti:
•Donne /LEGISLAZIONE internazionale e regionale
•Donne /Educazione e formazione (Istruzione)
•Donne /lavoro
•Donne/salute
•Donne/ povertà e diritti umani
•Donne/ politica
•Donne/ambiente
Lezione 5:
PAESI IN VIA DI SVILUPPO
Sono definiti Paesi in via di sviluppo (in un acronimo, PVS) tutti quei Paesi compresi nella parte I
della lista stilata dall'OCSE, l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. Si
tratta di Paesi con livelli di sviluppo molto bassi, suddivisi in 5 categorie, in base al livello medio
di reddito pro capite:
•Paesi meno sviluppati (meno di un dollaro al giorno),
•altri Paesi a basso livello di reddito
•Paesi a basso-medio reddito (tra 746 $ e 2975 $ all'anno),
•Paesi ad un livello di reddito pro capite annuo medio-alto (tra 2976 $ e 9205 $ all'anno),
•Paesi ad alto livello di reddito (più di 10.000 $ all'anno),
Tutti questi Paesi, beneficiano di aiuti pubblici allo sviluppo da parte dei Paesi industrializzati,
però sono:
•aiuti quantitativamente limitati
•sono caratterizzati dal debito: sia con altri Stati. sia con banche private dei Paesi industrializzati
•la banca mondiale con i Piani di aggiustamento strutturale spinge verso sono soggetti a
privatizzazioni spinte, e riduzione estrema della spesa sociale)
•utilizzo tramite outs ourcingdi mano d'opera a bassissimo costo (grazie anche alla possibilità di
impiantare industrie ad alto costo ecologico)
I Paesi in Via di Sviluppo (concentrati soprattutto nel Sud del Mondo) risultano avere caratteristiche
comuni e presentano:
1. bassi tassi di crescita del Reddito Nazionale
2. bassi tassi di crescita del Reddito pro capite
3. scarsa base industriale,
4. poco accumulo del capitale,
5. alta percentuale di povertà assoluta,
6. basso tenore di vita
Come testimoniano gli indicatori dell’ISU (INDICE SVILUPPO UMANO) circa sanità, mortalità,
fame ed educazione. L’interazione tra dinamiche demografiche, occupazionali, migratorie,
ambientali e sociali con gli aspetti economici e produttivi e le creano vulnerabilità e dipendenza,
indebolendo le strutture politiche e istituzionali, erodendo il senso civico, l’autostima e la capacità
d’innovazione, e accrescendo tensioni e conflitti.
ALTRE CLASSIFICAZIONI PER I PAESI IN VIA DI SVILUPPO
Altri indicatori sono:
•il tasso di crescita della popolazione, che stabilisce una proporzionalità inversa tra reddito e
natalità;
•la composizione del PIL per settore;
•la componente rurale sulla popolazione totale (assumendo, come da definizione PVS, che la
prevalenza del settore agricolo nel PIL rende vulnerabile l’intera economia del Paese).
•Infine, esiste anche una differenziazione terminologica tra Primo, Secondo e Terzo Mondo.
•La definizione Terzo Mondo fu coniata da Alfred Sauvynel 1952 per indicare i Paesi non allineati
con nessuno dei due blocchi della Guerra Fredda, e in relazione al ruolo del Terzo Stato nella
Rivoluzione Francese, e definendo come Primo Mondo i Paesi ad economia di mercato
(capitalistica) e Secondo Mondo i Paesi ad economia pianificata o centralizzata (come ad es erano
quelli del blocco sovietico)
PAESI IN VIA DI SVILUPPO: In sintesi il termine di Paesi in via di sviluppo (PVS) si intendono
i paesi con una popolazione il cui reddito medio è inferiore ai 9.000 dollari all’anno, come proposto
dalla definizione dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico). Si
tratta di Paesi che pure avendo delle potenzialità economiche non sono valorizzate nel loro
interesse, cioè si tratta di Paesi spesso ricchi di minerali e fonti energetiche, di stati colonizzati e
sfruttati dai Paesi industrializzati.
Spesso l’utilizzo del termine PVS ha senso quando si vogliono mettere in evidenza alcune
caratteristiche economiche. Nella classificazione dei PVS, in base ai parametri economici, sono
diverse, in generale sono le seguenti:
•1) in base al loro Prodotto Interno Lordo;
•2) in base al potere di acquisto;
•3) in base a criteri geografici;
•4) secondo l’OCSE;
•5) secondo l’ECOSOC (Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite);
•6) in base all’indice di sviluppo umano (Indicatore socio economico delle Nazioni Unite per lo
Sviluppo);
•7) in 4 base all’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite);
•8) in base agli indici di povertà umana;
•9) in base all’ammontare dell’indebitamento estero (utilizzato dal Fondo Monetario
Internazionale);
•10) in base alle nazioni di recente industrializzazione;
•11) in base al reddito pro capite;
La suddivisione geopolitica Nord –Sud: Per Paesi del Sud del mondo si intendono quelli al di
sotto della linea di Brandt (la linea immaginaria di Brandt che divide i paesi più ricchi dai paesi
poveri), identificati in base alla posizione geografica. In realtà i paesi poveri sono una realtà
complessa e polimorfa su cui, comunque, si possono tracciare alcune linee comuni.
BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica)
•Una delle novità che ha maggiormente caratterizzato lo scenario internazionale negli ultimi anni è
rappresentata la graduale affermazione di un aggregato geoeconomico, identificato dall'acronimo
BRICS, formato dal Brasile, dalla Russia, dall'India, dalla Cina e dal Sudafrica. La progressiva
affermazione, acuitasi con la gravissima congiuntura economica internazionale, di nuove sedi e
meccanismi di concertazione internazionale (ad esempio con l'emergere del G20) delinea inediti
spazi d'intervento per queste nuove potenze geo-economiche, chiamate da un lato a competere sulla
scena mondiale con i ruoli tradizionalmente svolti dagli Stati Uniti e dalla altre potenze economiche
occidentali ed a rivendicare, dall'altro, una leadership condivisa della Comunità internazionale.
•BRICS è un acronimo, utilizzato in economia internazionale, che individua cinque paesi
(Brasile,Russia,India, Cinae Sudafrica) accomunati da alcune caratteristiche simili, tra le quali: la
condizione di economie in via di sviluppo, una popolazione numerosa, un vasto territorio,
abbondanti risorse naturali strategiche e sono stati caratterizzati, nell’ultimo ventennio, da una forte
crescita del PIL e della quota nel commercio mondiale. Nell’ultimo periodo Brasile e Sudafrica
sono entrati in «crisi economica e sociale».
•Le teorie del sottosviluppo
•Negli anni Cinquanta del Novecento, con il delinearsi di due mondi: quello della crescita
economica e quello dei PVS, studiosi di economia, storici e sociologi formularono diverse teorie del
sottosviluppo. Essi cercavano di trovare le cause del sottosviluppo oppure cercare il modo di
colmare l’arretratezza dei PVS. Delle numerose teorie ne prenderemo in considerazione solo tre:
•1) teoria dello sviluppo come progresso;
•2) teoria dell’imperialismo;
•3) teoria dell’indipendenza.
1) Teoria dello sviluppo come progresso. Tale teoria parte dal modello degli stadi di sviluppo di
Rostow, dando impostazione della crescita come evoluzione. Gli stadi dello sviluppo sono cinque.
•a) Il primo è quello di una società preindustriale, cioè di prima della rivoluzione industriale, il
cui reddito deriva, prevalentemente, dall’agricoltura; il commercio internazionale era limitato ai
prodotti esotici che venivano dai paesi orientali e non ancora si commercializzavano 28
diffusamente i beni di prima necessità (cereali, cotone e ferro). Vi era prevalenza di industrie
artigiane.
•b) Nel secondo stadio, si crearono le precondizioni dello sviluppo economico.
•Cioè si ebbe la crescita della popolazione e si cominciano ad accumulare capitali in cerca di
investimenti da effettuare in agricoltura e nelle industrie. In Gran Bretagna, questo stadio fu
caratterizzato dalla crescita demografica, dalla messa a cultura di nuove terre e dall’accumulo di
capitali provenienti dal commercio. In Italia, questo stadio fu caratterizzato dalla vendita all’estero
della seta grezza, per cui i contadini riuscivano a mettere da parte risparmi da investire nel settore
industriale.
•c) Il terzo stadio fu caratterizzato dal take-off (o decollo), cioè dalla diffusione di novità tecniche
nel settore agricolo o industriale o dei servizi, per esempio una nuova rotazione nella coltivazione
delle terre; la trasformazione delle piccole imprese artigiane in grandi imprese; la diffusione della
spoletta volante; ecc.
d) Il quarto stadio è quello della maturità, nel senso che non si tratta solo di crescita economica,
ma anche di crescita culturale e difesa degli interessi dei lavoratori. In pratica, non si tiene più solo
conto dell’accumulo di capitali da parte degli industriali, ma anche del benessere della popolazione
e in particolare dei lavoratori.
•e) Il quinto ed ultimo stadio è quello della produzione di massa, cioè la produzione standardizzata
accompagnata alla intercambiabilità dei pezzi e dal flusso continuo della produzione. L’obiettivo di
questa fase è la corsa alla riduzione dei costi e dei prezzi. In sintesi, con la teoria dello sviluppo
come progresso, attraverso i cinque stadi, si realizza la modernizzazione della società, cioè il suo
progresso come punto di arrivo, per cui viene definita paradigma della modernizzazione, diretta alla
formazione di una economia capitalistica. In base a tale teoria, i paesi europei e gli Stati Uniti, fra il
Seicento e l’Ottocento, subirono un processo evolutivo che portò all’affermazione del capitalismo.
I Paesi non europei –specie quelli dell’Africa e dell’Asia –divennero paesi in via di sviluppo, perché
si allontanarono dalla direzione che puntava alla modernizzazione, perché incontrarono ostacoli
naturali (con carenza di materie prime), oppure culturali, o istituzionali da rimuovere (legami con la
tradizione che impedivano l’introduzione di novità tecniche). La teoria dello sviluppo come
progresso fu criticata: prima perché ritenuta troppo generica, poi perché contrapponeva la società
tradizionale alla società capitalistica, senza tenere conto della varietà delle posizioni storiche in cui
le società tradizionali si trovavano, cioè vi erano società dove non vi era stato mai sviluppo e società
dove tale sviluppo era stato interrotto; società dove riesce difficile introdurre innovazioni per
ostacoli naturali (deserti, ghiacciai, ecc.) ed altre ragioni dell’arretratezza.
2) Teoria dell’imperialismo, definita anche teoria radicale o neomarxista. Questa teoria si
contrappone alla rivoluzione della società capitalistica che aveva studiato Rostow. La società
capitalistica non era un fattore di progresso, perché non prevedeva una giusta distribuzione dei
redditi e portava al conflitto fra capitale e lavoro. I neo-marxisti vedevano con maggiore interesse il
pensiero di Marx nell’analizzare l’economia dei PVS. La teoria pone in primo piano il concetto di
imperialismo, attraverso il quale i ricchi cercano di dominare il mondo. Pertanto l’insorgere dei
conflitti di interesse derivava da tre ragioni:
•1) tendenza alla espansione economica dei paesi capitalisti;
•2) intensificazione dello sfruttamento delle risorse dei PVS;
•3) si favoriscono i monopoli per il controllo dei mercati a livello mondiale
L’interazione tra dinamiche demografiche, occupazionali, migratorie, ambientali e sociali con gli
aspetti economici e produttivi e le esternalità derivanti da tali interazioni creano vulnerabilità e
dipendenza, indebolendo le strutture politiche e istituzionali, erodendo il senso civico, l’autostima e
la capacità di innovazione, moltiplicando i market failurese accrescendo tensioni e conflitti.
Con la fine della seconda guerra mondiale e la sconfitta del nazionalismo, anche nei PVS si ebbe un
mutamento della politica, per cui spesso si trovò interesse nelle dottrine socialiste. Non tutti misero
in primo piano i problemi sociali, alcuni, come Nasser (che conquistò il potere in Egitto nel 1953),
esaltarono, il nazionalismo e, posero in secondo piano la crescita sociale.
•Il socialismo assunse due forme: più democratiche o estremiste.
•Alla prima appartenevano l’India di Nehru, il Senegal di Senghar, la Tanzania di Nyerere, il
Costarica e lo Zambia;
•la seconda forma la troviamo in Cina, a Cuba e in molti paesi dell’Africa del Nord. Nonostante la
differente ispirazione politica (moderata o estremista) non fu attuata una politica di redistribuzione
dei redditi fra la popolazione. La principale politica attuata fu il controllo dell’economia, per creare
accumulo di ricchezze personali dei governanti. In tale modo, si creò una società costituita dall’elite
che governava e dalle classi povere che dovevano subire le angherie dei primi. Mancava, in effetti,
una classe intermedia, cioè quella borghesia, che, con la Rivoluzione francese, conquistò il potere
politico contro l’aristocrazia e diffuse i principi di libertà ed eguaglianza. I ceti privilegiati erano i
militari, che dovevano proteggere i governanti e la burocrazia, costituita, per la maggior parte, da
uomini corrotti. In tale modo i dipendenti dello Stato costituivano un ceto privilegiato che
tramandava il posto da padre in figlio con la protezione dei governanti.
AFRICA SUB SAHARIANA: divisione nelle tre aree principali e carta Africa con tutti nomi
dei 54 Stati; ultimo Stato africano il Sud -Sudan
L’Africa sub sahariana, detta anche africa nera, segna il confine tra il deserto del Sahara, a nord, e la
savana, a sud. E’ formata dalla regione chiamata Sahel, che significa appunto “orlo del deserto” e
dalla regione che si affaccia sul Golfo di Guinea. Dopo aver accennato per somme linee che cosa
si possa intendere oggi per PAESI in Via di Sviluppo (PVS), premessa necessaria perché molti
di questi sono localizzati nello SPAZIO GEOGRAFICO dell’AFRICA SUB –SAHARIANA
•Dalle prossime lezioni INIZIEREMO LA SECONDA PARTE DEL CORSO di GEO .
SOIALE APPLICATA: «LA CONDIZIONE DELLA DONNA IN AFRICA SUB-
SAHARIANA»
•L’analisi sarà fatta attraverso lo studio di questi temi o meglio le seguenti relazioni e aspetti:
•Donne /LEGISLAZIONE internazionale e regionale
•Donne /Educazione e formazione
•Donne /lavoro
•Donne/salute
•Donne/ povertà e diritti umani
•Donne/ politica
•Donne/ambiente
Molteplici sono le ragioni che spiegano il ruolo marginale delle donne nell’ economia formale dei
Paesi a Sud del Sahara. Una però è cruciale: il loro insufficiente accesso a due risorse chiave come
l’educazione e la salute
Il diritto all’ istruzione e alla formazione
•L’ istruzione universale e la parità di genere a scuola costituiscono degli imperativi che la
comunità internazionale si è impegnata da tempo a raggiungere, nell’ambito di una strategia di
livello globale per lo sviluppo.
•Fra i GOAL di AGENDA 2030 due sono considerati prioritari in quanto il loro raggiungimento è
in grado di favorire successivamente il progresso anche sugli altri fronti: l’istruzione universale e la
parità di genere e l’ empowerment delle donne.
La necessità di equità di genere nel campo dell’ educazione è stata ripresa anche dall’ iniziativa di
UNICEF “25 entro il 2015”, la quale mirava a intensificare gli sforzi per il raggiungimento della
parità di genere nell’ istruzione in 25 Paesi (di cui 16 solo nell’ Africa sub-sahariana) considerati a
rischio a causa dei bassi tassi di iscrizione scolastica femminile.
•l’ UNESCO, nella sua campagna “Educationfor All” (EFA),pone l’ accento sulla parità di genere
a scuola e si pone, a tale riguardo, sei obiettivi principali:
1. espandere e migliorare la cura e l’ educazione della prima infanzia;
2. assicurare, entro il 2015, l’ istruzione primaria universale obbligatoria e gratuita per ogni
bambino e bambina;
3. assicurare l’ accesso universale di tutti i giovani e gli adulti alla formazione lungo tutto l’ arco
della vita;
4. raggiungere un incremento del 50% di adulti alfabetizzati –specie donne –e un equo accesso all’
istruzione primaria e alla formazione continua per tutti gli adulti;
5. eliminare le disparità di genere nell’ istruzione primaria e secondaria entro il 2005, e arrivare alla
piena eguaglianza di genere nel settore educativo nel 2015;
6. migliorare la qualità generale dell’ istruzione impartita.
La scuola e l’ universo femminile sono due realtà strettamente collegate: laddove manca l’
istruzione anche l’ emancipazione della donna tarda ad affermarsi e con essa i valori della
democrazia
•L’ educazione è un importante mezzo per crescere nella società, trovare i propri spazi,
comprendere il proprio valore e i propri diritti. La sua rilevanza è tale da essere sancita all’ interno
delle principali convenzioni e dichiarazioni internazionali in materia di diritti, come la
Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 (art. 26)
Sarà pertanto necessario prima inquadrare lo spazio geografico (Africa sub-sahariana) oggetto di
analisi ed inteso come prodotto sociale…….
•Conoscerne le caratteristiche
•Fisico geografiche
•Geo-sociali
•Geo –economiche
•Per comprendere meglio lo studio delle società femminili che lo vivono
Lezione 6:
Si tratta della più grande percentuale di popolazione giovanile mai esistita prima d’ora nella
storia. Circa il 42% della popolazione dell’Africa subsahariana –una regione che per estensione
equivale a 2,5 volte l’area totale dell’Europa –è di età compresa tra i 10 e i 24 anni.
Complessivamente nel 2030 la popolazione africana raggiungerà 1,7 miliardi di persone e 3 miliardi
nel 2063. Africa, continua a crescere la popolazione del Continente: nel 2050 saranno più di 2
miliardi. Secondo il World Population Prospects Report 2019 delle Nazioni Unite, la popolazione
dell’AFRICA dovrebbe aumentare da 1,06 miliardi nel 2019 a 1,4 miliardi nel 2030 e 2,12 miliardi
nel 2050. Il Rapporto sullo stato della popolazione nel mondo 2018 di UNFPA la fertilità nel
mondo è diminuita del 50% in mezzo secolo. Il tasso più basso a Taiwan, quello più alto nella
regione africana. UNFPA (Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione) e Aidos (Associazione
Italiana Donne per lo Sviluppo). Attualmente la fertilità è globalmente inferiore di circa il 50%
rispetto alla metà degli anni ’60. Se mezzo secolo fa la media era di almeno cinque figli per donna,
oggi nella maggioranza di quelli con almeno un milione di abitanti i tassi di fecondità sono al
massimo di 2,5. Mai prima d’ora, nella storia dell’umanità, ci sono state tra i paesi differenze così
forti nel tasso di fertilità. Nei Paesi in Via di Sviluppo ci sono circa 214 milioni di donne che sono a
rischio di iniziare una gravidanza non desiderata per l’impossibilità di accedere a servizi sanitari, a
metodi moderni di contraccezione, o per fenomeni quali matrimoni e gravidanze precoci. Invece nei
Paesi più sviluppati, dove esista la possibilità di scelta, il tasso di fertilità è spesso inferiore a due
nascite per donna, spesso per motivi economici, accesso al lavoro, reddito inferiore rispetto agli
uomini, assenza di welfare. Nel Rapporto si prevede anche che l’Africa subsahariana, dove la
fertilità è ancora molto alta, contribuirà per più della metà alla crescita della popolazione mondiale
prevista da oggi fino al 2050,il che vuol dire 1,3 miliardi sui 2,2 miliardi di persone in più nel
mondo. In Africa sub-sahariana, dove i diritti del genere femminile sono tutelati nella legislazione
internazionale attraverso i documenti rilasciati dall’ONU e dalle ONG, troviamo la più alta
prevalenza di fame nel mondo; qui la povertà è stata aggravata dalla crisi alimentare che, dal 2008,
ha colpito molti Paesi dell’area. Il rapporto della FAO, dell’International Fund for Agricultural
Developmente del World Food Programme. IN AFRICA SUB SAHARIANA le donne sono al
centro dell’economia familiare e nazionale, ma sono gravate da tradizioni che ne ostacolano
l’emancipazione.
IL QUADRO DI RIFERIMENTO
Le prime vittime della fame e della miseria sono le donne, che nei Paesi più poveri sono ancora
oggi tenute in uno stato di ignoranza che preclude loro una piena coscienza dei propri diritti e della
propria libertà. Per le donne la problematica della fame si delinea anzitutto come fenomeno di
contagio madre-figlio, determinando quella che viene definita “ereditarietà della fame”, causa della
denutrizione. Legate al regime patriarcale, in base al quale trovano la loro collocazione essenziale
nella sfera domestica della riproduzione e della cura, le donne di tutta l’Africa sub-sahariana
assumono presto il ruolo materno e domestico. La condizione di salute delle donne, quindi, è
importante per il mantenimento di fondamentali equilibri familiari che influiscono in modo
determinante sul ruolo di genere che a sua volta determina il modello comportamentale atteso dalla
comunità stessa. Il ruolo della donna, strettamente legato all’ambito della procreazione, garantisce
alle famiglie di conservare il proprio status sociale;
le pratiche tradizionali delle mutilazioni genitali femminili (MGF), che interessano tutti gli Stati
della regione sub-sahariana.
•WE WORLD INDEX 2019: Rapporto annuale che misura il tasso di inclusione nel mondo
In totale i Paesi nel mondo in cui bambini, bambine, adolescenti e donne sono in condizioni di
esclusione grave o gravissima sono 51 sui 171tra quelli presi in considerazione dall’ultimo
rapporto WeWorld Index 2019stilato su170 Paesi, analizzando 34 indicatori da parte di esperti
coinvolti. Il concetto di inclusione implica, una visione ampia, multidimensionale dinamica e
positiva dello sviluppo a differenza di quello di “lotta alla povertà”, in cui prevale un’accezione
economicistica e ristretta. Se si considerano anche gli Stati in cui l’inclusione viene valutata come
insufficiente passiamo da 51 a 102 Paesi su 171.Più della metà della popolazione del Pianeta vive,
infatti, in Paesi in cui vi sono insufficienti forme di inclusione, gravi o gravissime situazioni di
esclusione per donne e popolazione under 18. Si basa su un concetto innovativo d’inclusione che
considera sia la sfera economica sia quella sociale. La classifica finale è il risultato della valutazione
del progresso di un Paese ottenuto osservando le condizioni di vita dei soggetti più a rischio
esclusione, attraverso l’analisi di 17 dimensioni (abitazione, ambiente, lavoro, salute, etc.) e 34
indicatori, scelti tra i più significativi analizzati da banche dati internazionali (OMS, UNICEF,
Banca Mondiale, ecc).
A guidare la classifica 2019 sono ancora i Paesi del Nord Europa, insieme a Canada, Nuova
Zelanda e Australia: torna in testa la Norvegia con 105 punti (48 più dell’Italia), seguita da Islanda,
Svezia, Danimarca, Svizzera e Finlandia. Buona inclusione anche in Francia, Germania e Gran
Bretagna, mentre solo sufficiente l’inclusione negli Stati Uniti(appena un punto in più dell’Italia).
Agli ultimi posti della classifica (“gravissima esclusione”), Mali, Repubblica Democratica del
Congo, Sud Sudan, Ciad e Repubblica Centrafricana, che si conferma per il quinto anno
consecutivo il Paese peggiore per l’inclusione di bambini/e e donne.
L’ITALIA
In Italia l’inclusione viene classificata come solo “sufficiente” rispetto alla “buona inclusione” della
maggior parte dei maggiori Paesi europei. Non migliora l’inclusione di donne, adolescenti e
bambini/e in Italia, più a rischio di esclusione sociale e povertà rispetto ai maschi adulti:
mancano infatti cambiamenti positivi sostanziali nell’ambito della violenza di genere e sui minori e
resta limitata l’inclusione economica e sociale delle donne. L’Italia, 27°con 57 punti, fa peggio
delle principali democrazie europee (Francia 12°, Germania 14°, Gran Bretagna 16°), ma anche di
Bulgaria (24°), Repubblica Ceca (19°) e Portogallo (20°), che negli anni passati erano più indietro
in classifica. In Europa fanno peggio i Paesi baltici, Cipro, Slovacchia, Ungheria, Croazia e
Romania. Se per salute e capitale umano ed economico l’Italia continua a beneficiare di una discreta
rendita di posizione, non altrettanto si può dire per l’inclusione economica delle donne e
l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. In 5 anni peggiorano gli indicatori sulla
sicurezza ambientale e non migliorano gli indicatori relativi alla violenza di genere e sui
bambini. “Solo puntando sulla promozione di politiche sociali indirizzate a favorire l’inclusione
economica e politica delle donne, il mantenimento nei percorsi di istruzione dei giovani studenti,
l’abbassamento del tasso di disoccupazione e maggior attenzione alla sostenibilità ambientale, in
particolar modo in zone periferiche e svantaggiate, l’Italia può sperare di tornare ai livelli delle
principali democrazie europee”.
L’Africa Sub-Sahariana continua ad essere l’area geografica più critica per l’inclusione di
bambine/i, adolescenti e donne.I conflitti interni ai singoli Paesi, il terrorismo presente in diversi
Paesi, i regimi autoritari, o comunque non democratici, producono contesti di elevata esclusione dei
soggetti più vulnerabili. I bambini e le bambine vengono privati della possibilità di studiare, in
alcuni casi sono costretti a fuggire dai propri Paesi d’origine perdendo i legami sociali, gli affetti, la
casa. Anche nei Paesi in cui non ci sono conflitti, la crescita economica non ha ancora prodotto
effetti positivi di ridistribuzione del reddito. I Paesi, come Angola, Mozambico e Nigeria che hanno
puntato sulla esportazione di materie prime verso i mercati emergenti risentono del crollo dei prezzi
delle materie prime (idrocarburi e metalli in particolare).
I conflitti costituiscono una delle principali barriere all’accesso alla educazione in diversi
Paesi del mondo. La sicurezza di tutte le scuole dovrebbe essere una priorità per garantire la
tempestiva continuazione dell’istruzione in tutti i casi di emergenza. Nel WeWorldIndex 2019
vengono esplorate le conseguenze dei conflitti sull’educazione, poiché in molti Paesi
costituiscono la principale ragione dell’interruzione dei percorsi d’istruzione: nel mondo su302
milioni di bambini che si trovano fuori dalla scuola, più di 104 milioni vivono in contesti di
emergenza. Le scuole e le università sono sotto attacco: uccisione di studenti, insegnanti e
personale, distruzione di edifici e infrastrutture, stupri e violenze, arruolamento di bambini e
bambine, minori migranti sfollati e rifugiati, negazione degli aiuti umanitari, utilizzo degli edifici
scolastici a fini militari; in emergenza i tassi d’iscrizione e frequenza scolastica crollano, l’accesso a
cure mediche adeguate è negato. Il WeWorldIndex contribuisce al monitoraggio dei processi
d’inclusione, completa e senza riserve, dei bambini e delle donne, come soggetti degni di
un’attenzione particolare, identificando gli ambiti in cui bambine/i e donne sono più a rischio di
esclusione:
•l’educazione, la salute, le pari opportunità, la partecipazione sociale,
•l’accesso all’informazione, gli spazi di vita (ambiente e abitazione),
•la protezione personale, i conflitti, l’accesso al lavoro,
•la creazione di capitale umano ed economico, lo sfruttamento del lavoro minorile e la violenza
contro le donne ed i Paesi in cui è maggiore lo svantaggio
WeWorld Index utilizza un linguaggio attento alle differenze di genere, con il quale gli stereotipi
profondi, presenti nel lessico quotidiano, vengono superati grazie all’attenzione alle differenze.
La mappa concettuale del WeWorldIndex /WeWorldIndex 17 dimensioni 34 indicatori
Contesto· Ambiente · Abitazione · Conflitti e guerre · Potere e democrazia · Sicurezza e protezione
· Accesso all'informazione · Genere
Donne · Salute · Educazione · Opportunità economiche · Partecipazione politica · Violenze di
genere
Bambine/i e adolescenti · Salute · Educazione · Capitale umano · Capitale economico · Violenza
sui minori
Le Mutilazioni genitali Femminili (MGF)
•Con il termine Mutilazioni Genitali Femminili (MGF) o FemaleGenitalMutilation(FGM) si fa
riferimento a tutte le forme di rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni o altre
modificazioni provocate per ragioni storico-culturali o altre ragioni non terapeutiche. vari tipi di
mutilazioni genitali femminili.
Origini storico-culturali delle mutilazioni genitali femminili
La pratica delle MGF viene fatta risalire indietro nei secoli e la sua origine non è da collegarsi alla
religione islamica, ma piuttosto a pratiche tribali. Le MGF vengono collocate tra le tradizioni che
segnano il passaggio dall’ infanzia all’ età adulta, un rito attraverso il quale “si diventa donna”. Un’
identità di genere costruita socialmente che darebbe senso a un’ identità biologica, attraverso la
manipolazione fisica del corpo.
MGF: Varietà etnica e geografica del fenomeno
Le stime sulla diffusione delle MGF provengono da indagini socio-sanitarie su scala nazionale che
vengono condotte tra donne di età inclusa tra 15 e 49 anni. La prevalenza del fenomeno varia
considerevolmente da regione a regione all'interno del medesimo Stato: a fare la differenza è
l'appartenenza etnica. In 7 Stati (Egitto, Eritrea, Gibuti, Guinea, Mali, Sierra Leone e Somalia)
e nel Nord del Sudan il fenomeno tocca praticamente l'intera popolazione femminile. In altri 4
paesi (Burkina Faso, Etiopia, Gambia, Mauritania) la diffusione è maggioritaria ma non
universale. In altri 5 (Ciad, Costa d'Avorio, Guinea Bissau, Kenya e Liberia) il tasso di
prevalenza è considerato medio -tra il 30 e il 40% della popolazione femminile, mentre nei restanti
paesi la diffusione delle MGF varia dallo 0,6 al 28,2%. Anche il tipo di intervento mutilatorio
imposto varia a seconda del gruppo etnico di appartenenza. Il 90% delle MGF praticate è di tipo
escissorio (con taglio e/o rimozione di parti dell'apparato genitale della donna), mentre un decimo
dei casi si riferisce all'azione specifica della "infibulazione", che ha come scopo il restringimento
dell'orifizio vaginale e può a sua volta essere associato anche a un'escissione.
MGF: ALCUNI PUNTI ESSENZIALI
•Vari tipi di mutilazioni genitali femminili: In molte comunità la circoncisione femminile è
considerata un rito di passaggio all’ età adulta e al tempo stesso un’accettazione dei valori
tradizionali. Attraverso la continuazione di questa pratica le comunità riaffermano la loro volontà di
rimanere fedeli alla tradizione e alla loro identità culturale. Per questo motivo la donna è spesso
soggetta a una forte pressione sociale. La circoncisione femminile è anche e soprattutto un modo
per controllare la sessualità (ad esempio: in Egitto, Sudan e Somalia la circoncisione femminile è
considerata come un modo per garantire la verginità della donna e con essa l’ onore del clan o della
famiglia. In altri Paesi serve a diminuire il desiderio della donna sposata in modo da consentire al
marito di avere più mogli.
I motivi che portano a praticare le mutilazioni genitali possono suddividersi in cinque gruppi:
•1. identità culturale: in alcune società, la mutilazione stabilisce chi fa parte del gruppo sociale e la
sua pratica viene mantenuta per salvaguardare l’ identità culturale del gruppo;
•2. identità sessuale: la mutilazione viene ritenuta necessaria perché una ragazza diventi una donna
completa;
•3. controllo della sessualità: in molte società vi è la convinzione che le mutilazioni riducano il
desiderio della donna per il sesso, riducendo quindi il rischio di rapporti sessuali al di fuori del
matrimonio;
•4. credenze su igiene, estetica e salute: le ragioni igieniche portano a ritenere che i genitali
femminili esterni siano “sporchi”;
•5. religione: la pratica delle mutilazioni genitali femminili è antecedente all’ Islam e la maggior
parte dei musulmani non la pratica. Tuttavia nel corso dei secoli questa consuetudine ha acquisito
una dimensione religiosa e le popolazioni di fede islamica che la applicano adducono come motivo
la religione.
MGF perché denominate così:
Il termine mutilazione in riferimento a tali pratiche è stato adottato a partire
•dalla fine degli anni Settanta, in sostituzione del termine circoncisione femminile, per
sottolinearne i danni irreversibili sulla salute delle donne
•Tale termine è stato adottato nella terza Conferenza del Comitato inter-africano su “Pratiche
tradizionali che riguardano la salute delle donne e dei bambini”, tenutasi ad Addis Abeba nel 1991,
e nello stesso anno è stato raccomandato dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come
termine da utilizzare in ambito Nazioni Unite (UNICEF, 2005). Le MGF sono probabilmente la
forma più pervasiva di violazione dei diritti umani conosciuta oggi, che devasta vite, disgrega
comunità e ostacola lo sviluppo.
MGF perché denominate così:
•Un certo numero di esperti provenienti da Paesi africani considera invece il termine mutilazione
connotato troppo negativamente e pertanto usa preferibilmente il termine cut(taglio), perché più
neutro e, proprio per questo, raccomandato dalla UnitedStatesAgency for International
Development (Yoder, Zhuzhuni, 2004).
Ma ormai il termine mutilazioni genitali femminili viene utilizzato nei testi della documentazione
internazionale coerentemente con i livelli di consapevolezza raggiunti da molte donne dei Paesi in
cui queste pratiche sono diffuse, avendo nello stesso tempo rispetto per chi ancora vive secondo la
tradizione.
Peressereeliminatenonnecessitanosolodileggiincuivengonodichiarateviolazioniallapersonamasopratt
uttodiinformazione,formazioneeconoscenzasullepraticheesuidanniinvasivichecomportanonellasalute
dellegiovanidonneeanchenonpiùgiovani.
Lezione 7:
Il 6 febbraio di ogni Anno viene celebrata la Giornata internazionale contro le mutilazioni genitali
femminili.
Le categorie di MGF, tuttavia, sono solo approssimative: a causa delle precarie condizioni in cui
vengono svolti gli interventi (utilizzando lamette, coltelli, frammenti di vetri o altri oggetti taglienti,
senza anestesia), le conseguenze sulle pazienti risultano di volta in volta differenti.(A un intenso
dolore iniziale possono seguire emorragie, infezioni alle vie urinarie, lesioni agli organi interni,
anemia e malnutrizione. Inoltre, durante il parto quasi sempre si presentano complicazioni e la
mortalità infantile è molto più elevata. Anche la salute psicologica delle ragazze spesso viene lesa e,
infine, la morte è una delle conseguenze peggiori (il numero delle vittime è sconosciuto).
•Attualmente nel mondo circa 140 milioni di donne hanno subito una mutilazione genitale e
ogni anno altri 3 milioni si aggiungono a questo numero già incredibilmente elevato.
•in Africa, dove le percentuali più elevate si raggiungono in Somalia, Guinea, Egitto, Eritrea,
Mali, Djibouti, Sierra Leone e Sudan(oltre il 90% delle donne tra i 15 ed i 49 anni), oltre che in
altri Paesi come India, Iraq, Yemen, Israele, Malesia, Thailandia e Indonesia.
In considerazione di ciò, tuttora le MGF non sono universalmente riconosciute come violazione
dei diritti umani. Un’ulteriore motivazione è la quasi totale assenza di testi a livello internazionale
legislativo a riguardo. È proprio questo uno degli obiettivi delle Nazioni Unite e di molte altre
organizzazioni internazionali territoriali come l’Unione Africana e l’UE: tramite Convenzioni,
Dichiarazioni e Risoluzioni opporsi a qualsiasi procedimento lesivo per la donna.
LEGISLAZIONE e MGF
•In primis, nella Carta Africana dei Diritti dell’Uomodel1986, adottata dall’Organizzazione
dell’Unità africana (OAU), l’odierna Unione Africana (AU), l’articolo 18 comma 3 riguarda la
condizione femminile e impone agli Stati di:“[..] provvedere all’eliminazione di qualsiasi
discriminazione contro la donna e di assicurare la protezione dei diritti della donna e del bambino
quali stipulati nelle dichiarazioni e nelle convenzioni internazionali [..]”. Nel2003, dopo un
incontro in Mozambico, 53 Stati africani hanno adottato il “Protocollo per i Diritti delle Donne in
Africa”(Protocollo di Maputo) [di cui parleremo nel dettaglio], che protegge e rafforza il ruolo
della donna oltre a sottolineare l’importanza dell’eliminazione delle pratiche tradizionali dannose
per le donne. Fino ad ora firmato da 42 Paesi dell’Unione Africana e ratificato da 20, condanna
formalmente per la prima volta tutte le pratiche tradizionali lesive dell’integrità fisica e psichica
delle donne, come le mutilazioni genitali femminili (art. 5). In più, si può ritenere che tali pratiche
ledano indirettamente una serie di diritti umani riconosciuti dalla comunità internazionale:
ildiritto alla non discriminazione,in quanto le mutilazioni sono simbolo della disuguaglianza delle
donne rispetto agli uomini (Dichiarazione Universale sui Diritti Umani;
•ALTRO DOCUMENTO e’:General Recommendationn. 14 sulla FemaleCircumcision;
•il diritto alla vita e alla sopravvivenza, ogni qual volta una bambina o una donna muoiano a
seguito del rituale (art.6, Patto sui Diritti Civili e Politici );
•il diritto alla libertà ed alla sicurezza della propria persona(art. 3, Dichiarazione Universale sui
Diritti Umani);
•il diritto all’integrità di donne e bambine(Convenzione sui Diritti dell’Infanzia (CRC) del 1989
[8]) dato che, nella maggior parte dei casi, le MGF vengono effettuate su minori la cui crescita
psicologica viene profondamente modificata assieme al loro regolare sviluppo fisico
Anche il diritto alla salute è palesemente trasgredito dalle MGF in quanto le donne vengono
sottoposte a un intervento superfluo, che implica la modificazione del corpo di persone
perfettamente sane facendo nascere gravi problemi prima non presenti. L’articolo 16 della Carta
Africana dei Diritti dell’Uomo e dei Popoli afferma che: “Ogni persona ha il diritto di godere del
migliore stato di salute fisica e mentale che essa sia in grado di conseguire. Gli Stati Parti alla
presente Carta s’impegnano a prendere le misure necessarie al fine di proteggere la salute delle
loro popolazioni e di assicurare loro l’assistenza medica in caso di malattia.”
Un altro diritto che viene indirettamente violato nel momento in cui si effettua la mutilazione sulle
bambine, è quello all’istruzione. Tra le maggiori cause di abbandono scolastico nei Paesi implicati
sono annoverati, infatti, gli effetti dell’intervento. Inoltre, si pensa che dal momento che le ragazze
sono ormai da considerarsi adulte grazie al rituale e quindi pronte per il matrimonio, sia inutile il
continuum della loro educazione.
•Le MGF possono essere considerate violazioni anche dell’articolo 1 della Convenzione contro la
Tortura e altre Pene o Trattamenti Crudeli, Inumani e Degradanti, poiché causano sofferenze
atroci e vengono inflitte per motivi discriminatori. Il divieto di tortura e trattamenti inumani e
degradanti è riconosciuto da ulteriori strumenti legislativi internazionali, come la Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani ed il Patto sui Diritti Civili e Politici, e regionali quali la Convenzione
Americana sui Diritti Umani, la CEDU e la Carta Africana dei Diritti dell’Uomo e dei Popoli.
Con la Conferenza del Cairo del giugno2003, i rappresentati di 28 Paesi africani ed arabi in cui le
MGF erano convenzione radicata individuarono i contenuti legali e le misure necessarie allo
sviluppo di una normativa più efficace a tale proposito. Il 23 giugno fu adottata la Dichiarazione
del Cairo per l’Eliminazione delle MGF, che incoraggia i governi a riconoscere e proteggere i
diritti umani di donne e bambine tramite l’approvazione di leggi “integrate nel contesto di una
legislazione più ampia che tenga conto di altre questioni quali: l’uguaglianza tra i sessi, la
protezione da ogni forma di violenza contro donne e bambini, salute riproduttiva ed i diritti delle
donne e dei bambini.” ,volte ad una graduale abolizione della pratica. Per arrivare a un definitivo
cambiamento sociale non basta, tuttavia, solo una buona base legislativa: la tradizione delle MGF
deve essere sradicata dalla cultura tramite una maggiore informazione pubblica.
Anche l’Assemblea Generale, con una risoluzione del 2007(“Intensificationof effortsto eliminate
allformsof violenceagainstwomen“) fa presente agli Stati l’impossibilità di utilizzare tradizioni,
credenze religiose o costumi come giustificazione per evitare il loro obbligo di eliminare tutte le
forme di violenza. È necessario che gli Stati convalidino delle leggi adatte a combattere il fenomeno
e che si impegnino nell’empowerment delle donne, nonché educhino le comunità ai diritti umani.
•Nel2008è stata adottata una dichiarazione congiunta, di concerto tra varie agenzie ONU
(OHCHR, UNAIDS, UNDP, UNECA, UNESCO, UNFPA, UNHCR, UNICEF, UNIFEM e WHO),
che analizza i motivi per i quali la pratica sussiste e perché la stessa debba essere considerata una
violazione dei diritti umani, auspicandone l’eliminazione definitiva.
Uno dei momenti fondamentali di questa lotta contro la pratica delle MGF è la Risoluzione 67/146
del 20 dicembre 2012 (“Intensifyingglobal effortsfor the eliminationof femalegenitalmutilation”):
prima moratoria globale dell’Assemblea Generale espressamente rivolta alle mutilazioni
genitali femminili. Essa condanna le MGF e tutte le pratiche tradizionali dannose correlate e
sollecita gli Stati membri delle Nazioni Unite a sostenere il processo di abolizione nel minor tempo
possibile.
IL QUADRO DI RIFERIMENTO
Le prime vittime della fame e della miseria sono le donne, che nei Paesi più poveri sono ancora
oggi tenute in uno stato di ignoranza che preclude loro una piena coscienza dei propri diritti e della
propria libertà. Per le donne la problematica della fame si delinea anzitutto come fenomeno di
contagio madre-figlio, determinando quella che viene definita “ereditarietà della fame”, causa della
denutrizione. Legate al regime patriarcale, in base al quale trovano la loro collocazione essenziale
nella sfera domestica della riproduzione e della cura, le donne di tutta l’Africa sub-sahariana
assumono presto il ruolo materno e domestico. La condizione di salute delle donne, quindi, è
importante per il mantenimento di fondamentali equilibri familiari che influiscono in modo
determinante sul ruolo di genere che a sua volta determina il modello comportamentale atteso dalla
comunità stessa. Il ruolo della donna, strettamente legato all’ambito della procreazione, garantisce
alle famiglie di conservare il proprio status sociale; le pratiche tradizionali delle mutilazioni genitali
femminili (MGF), che interessano tutti gli Stati della regione sub-sahariana.
SALUTE e DONNE In AFRICA SUB –SAHARIANA-“The African Regional Health Report: The
Health of the People” OMS
Il Rapporto fornisce un’analisi globale delle questioni sanitarie di maggior rilievo e del progresso
fatto a riguardo nella regione africana. L’Hiv/Aids continua a devastare l’Africa, dove vive l’11%
della popolazione mondiale ma il 60% dei sieropositivi. Sebbene l’Hiv/Aids sia tuttora la principale
causa di mortalità fra gli adulti, sempre più persone ricevono farmaci salvavita. Il numero di
persone sieropositive curate con antiretrovirali è aumentato di otto volte, salendo da 100.000 nel
dicembre 2005 a810.000 nel dicembre 2015. più del 90% dei 300–500 milioni di casi di malaria
stimati nel mondo ogni anno colpiscono africani, soprattutto bambini di meno di cinque anni, ma
molti Paesi stanno migliorando le politiche per il trattamento. Dei 42 Stati africani dove la
malaria è endemica, 33 hanno adottato una terapia combinata a base di artemisinina,cioè con i
farmaci antimalarici più efficaci disponibili oggi come prima linea. La maggior parte dei Paesi sta
realizzando buoni progressi nella lotta alle malattie infantili prevenibili. La poliomielite è stata
quasi eradicata, e 37 Stati sono vicini al traguardo di almeno il 60% dei bambini vaccinati contro il
morbillo. In generale i decessi per morbillo sono diminuiti di più del 50% dal 1999. Solo nel 2005,
75 milioni di bambini sono stati vaccinati contro questa malattia. Il rapporto concentra l’attenzione
mondiale sui recenti successi, ma presenta anche una realistica valutazione dei principali ostacoli,
come l’elevato tasso di mortalità tra madri e bambini in tutta la regione.
Dei 20 Paesi con i maggiori tassi di mortalità materna nel mondo, 19 si trovano in Africa; questa
Regione detiene anche il triste primato mondiale di mortalità neonatale. Le necessità sanitarie di
base sono ancora negate a molti: solo il 58% delle persone che vivono nell’Africa sub-sahariana
ha accesso a forniture d’acqua sicura.Le malattie non trasmissibili, come ipertensione, malattie
cardiovascolari e diabete, sono in aumento; e, infine, gli infortuni rimangono tra le principali cause
di decesso nella Regione.
“Sappiamo quali sono le sfide e come affrontarle, ma siamo consapevoli, d’altra parte, che i fragili
sistemi sanitari africani costituiscono una barriera enorme a un’applicazione più estesa delle
soluzioni evidenziate in questo rapporto. Se intendiamo continuare a progredire, i governi africani
e i loro partner devono impegnarsi con decisione e investire più fondi nel rafforzamento dei sistemi
sanitari”, afferma Luis Gomes Sambo, direttore dell’Ufficio regionale Oms per l’Africa.
Molteplici sono le ragioni che spiegano il ruolo marginale delle donne nell’ economia formale dei
Paesi a Sud del Sahara. Una però è cruciale: il loro insufficiente accesso a due risorse chiave come
l’ educazionee la salute.
Il diritto all’ istruzione e alla formazione
L’ istruzione universale e la parità di genere a scuola costituiscono degli imperativi che la comunità
internazionale si è impegnata da tempo a raggiungere, nell’ ambito di una strategia di livello globale
per lo sviluppo (vedasi MILLENIUM GOAL e AGENDA 2030). L’Agenda 2030 per lo sviluppo
sostenibile ha stabilito come Goal 4 l’istruzione di qualità. Questo obiettivo intende garantire a
tutti una formazione scolastica di qualità, equa e inclusiva, e opportunità di apprendimento
permanente. L’istruzione contribuisce in maniera determinante alla realizzazione di sé ed è
strettamente collegata al livello sociale ed economico raggiunti. L’apprendimento e la crescita
intellettuale rappresentano un investimento strategico nella costruzione di una società più
sostenibile e giusta per tutti. Il Goal 4riveste una particolare importanza perché fare dell’educazione
un obiettivo delle politiche sociali di ogni Paese può favorire la nascita di una cittadinanza globale,
attraverso la conoscenza, lo scambio di opinioni e il dialogo. Questo obiettivo ha quindi
un’importanza strategica ed è strettamente legato ai primi tre: l’istruzione infatti è un valido aiuto
per ridurre la povertà e quindi eliminare la fame e migliorare la salute. Il legame con la povertà, in
particolare, ha una forte evidenza. Le proiezioni sostengono che se tutti gli adulti finissero le scuole
secondarie, sarebbero sottratti alla povertà 420 milioni di individui, un traguardo purtroppo ancora
lontano.
Per facilitare il raggiungimento dell’obiettivo 4e razionalizzare gli interventi da attuare, l’Agenda
2030 ha suddiviso questo goal in13 target, qui sintetizzati (sono riportati solo quelli che interessano
più da vicino il mondo femminile dell’Africa Sub-sahariana:
•4.1 Assicurarsi che tutti, ragazzi e ragazze, completino un’istruzione libera, equa e di qualità che
porti a un efficace apprendimento
•4.2 Assicurarsi che tutti i bambini abbiano uno sviluppo infantile precoce di qualità con accesso
alla scuola dell’infanzia
•4.3 Garantire a tutti la parità di accesso ad un’istruzione di qualità tecnica, professionale e di terzo
livello, compresa l’Università, a costi accessibili
•4.5 Eliminare le disparità di genere nell’istruzione e garantire la parità di accesso ai più vulnerabili
(persone con disabilità, popolazioni indigene e bambini)
•4.6 Assicurarsi che tutti i giovani e una parte sostanziale di adulti, uomini e donne, raggiungano
l’alfabetizzazione e l’abilità di calcolo
•4.7 Assicurarsi che tutti acquisiscano conoscenze e competenze per promuovere lo sviluppo
sostenibile
•4.a Adeguare le strutture scolastiche alle esigenze di tutti e fornire ambienti di apprendimento
sicuri, non violenti, inclusivi ed efficaci
•4.b Espandere il numero di borse di studio, in particolare nei Paesi meno sviluppati
•4.c Aumentare l’offerta di insegnanti qualificati, anche attraverso la cooperazione internazionale,
in particolare nei Paesi meno sviluppati.
Come tutti i diritti dell’ uomo, anche quello all’ istruzione è universale e inalienabile; tutti,
indipendentemente dal sesso, dalla religione, dall’ etnia o dallo status economico, ne hanno diritto.
•Tuttavia, tale diritto è ancora negato a circa 72 milioni di bambini nel mondo, che vivono
soprattutto nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo (PVS) e in particolare nell’ Africa sub-sahariana.
•La mancata possibilità di accedere all’ istruzione può essere determinata non solo da situazioni di
conflitto armato o di catastrofe naturale ma anche da situazioni di grave crisi economica o di Paesi
in cui le politiche e i finanziamenti a sostegno di un sistema scolastico adeguato ed efficiente non
sono tenuti in debito conto.
•Investire nell’ istruzione, e in particolare in quella delle bambine, è un passo fondamentale per il
traguardo di altri obiettivi:
-quali il controllo delle nascite;
-la riduzione dell’ AIDS,
-e in definitiva, per la crescita sociale ed economica.
La scuola e l’ universo femminile sono due realtà strettamente collegate: laddove manca l’
istruzione anche l’ emancipazione della donna tarda ad affermarsi e con essa i valori della
democrazia.L’ educazione è un importante mezzo per crescere nella società, trovare i propri spazi,
comprendere il proprio valore e i propri diritti. La sua rilevanza è tale da essere sancita all’ interno
delle principali convenzioni e dichiarazioni internazionali in materia di diritti, come la
Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 (art. 26).
Tuttavia, come sottolineato da Save the Children al giorno d’ oggi sono molti milioni di bambine e
ragazze in tutto il Mondo si vedono negare il diritto all’ istruzione. I dati statistici dimostrano che il
tasso di scolarizzazione delle bambine alla scuola primaria, nonostante le molte iniziative
internazionali, permane su valori estremamente bassi (67%) e l’ analfabetismo primario è lontano
dall’ essere debellato: sopra i 15 anni solo il 51% delle donne sa leggere e scrivere, contro il 67,1%
degli uomini. La partecipazione delle ragazze nella scuola primaria è sostanzialmente più bassa
rispetto a quella dei ragazzi in 71 Paesi su 175 e quasi due terzi degli analfabeti nel mondo (64%)
costituita da donne. Nella Rep. Dem. Del Congo il 56% delle bambine si iscrive a scuola a fronte
del 72% dei bambini. Il 60% degli insegnanti non è formato e solo il 6% delle risorse pubbliche
viene speso per l’ istruzione. Nel Sud del Sudan solo il 20% dei bambini in età scolare frequenta la
scuola primaria e l’ 82% delle bambine non va a scuola; inoltre solo il 2% dei bambini e lo 0,8%
delle bambine completano la scuola primaria.
Di tutte le regioni del mondo, nell’Africa sub -sahariana si registrano le più alte percentuali di
bambini e bambine ai quali viene negato il diritto allo studio. Un’emergenza che può essere
raccontata riportando tre numeri:
•Di tutti i bambini di età compresa tra 6 e 11, un quinto non frequenta la scuola;
•Dei giovani di età compresa tra 12 e 14 anni, un terzo non riceve alcun tipo di istruzione;
•Quasi il 60% dei giovani (età compresa tra 15 e 17 anni) non va a scuola.
•Bambini e giovani che sono destinati a diventare dei futuri adulti analfabeti.
•Le ragazze sono le più colpite
L’Africa sub sahariana rispecchia alla perfezione anche il problema dell’analfabetismo femminile.
In questa regione, nove milioni di ragazze(età 6-11) non andranno mai a scuola, nemmeno un
giorno, in tutte le loro vite. Pagano un retaggio culturale che vuole le ragazze e future donne in un
ruolo subalterno, relegate in un’esistenza dedicata solo alla casa e ai figli.
•Cause…
•Su tutto, come per molti altri dei problemi del mondo, aleggia lo spettro della povertà. Le famiglie
sono, in molti casi, troppo povere per poter pagare retta scolastica e libri ai propri bambini. A volte,
le scuole sono troppo lontane, quindi difficili da raggiungere, se non del tutto inesistenti. Ma non
mancano nemmeno circostanze in cui sono gli stessi genitori a non comprendere quanto l’istruzione
sia importante per il futuro dei loro bambini.
•…e conseguenze
•La principale conseguenza e la principale causa come un infinito circolo vizioso, è sempre la
stessa: la povertà. Perché chi non ha un’istruzione non è nemmeno in grado di trovare un lavoro
dignitoso. Inoltre, chi non sa né leggere né scrivere non sa nemmeno come far valere i propri diritti.
Per chi nasce in Africa sub-sahariana la possibilità di frequentare una scuola e di imparare a
leggere e scrivere è ridotta al lumicino Secondo i dati dell’Istituto di statistica dell’Unesco, infatti,
su 60 milioni di bambini che non vanno a scuola in tutto il Mondo, ben 35 milioni vivono
nell’Africa sub-sahariana.Nell’Africa occidentale e centrale,inoltre, poco meno di 19 milioni di
ragazzi non hanno la possibilità di ricevere un’istruzione primaria. Un dato che risulta ancora più
chiaro se messo a confronto con altre regioni: in questa parte del Mondo la media è del 27%, contro
il 4% registrato in Europa occidentale, Nord America e Australia.
In particolare, sembra essere particolarmente grave la situazione dellebambine. Per le femmine la
possibilità di iscriversi a scuola e continuare gli studi sono nettamente inferiori a quelle dei coetanei
maschi ed itassi di abbandono scolastico femminile negli ultimi anni sono aumentati in
maniera più che vistosa.Le ragioni dovute all’abbandono scolastico femminile sono varie:
•povertà della famiglia che non riesce a pagare il materiale didattico e la retta scolastica e preferisce
far studiare un figlio maschio;
•la famiglia preferisce che la figlia accudisca i fratelli più piccoli a casa;
•le bambine si svegliano all’alba o alla notte per recuperare l'acqua dai pozzi, sempre più lontani, a
causa della grave siccità.
•Senza considerare che in molti Paesi le ragazze sono costrette ad assentarsi dal proprio villaggio
per una settimana ogni mese, a causa del ciclo mestruale. Questo perché gli assorbenti sono troppo
cari e molte scuole sono sprovviste di servizi igienici adeguati, ma anche perché vi sono alcune
credenze popolari antiquate secondo cui una ragazza con il ciclo dovrebbe rimanere a casa.
È importante che le bambine vadano a scuola dal momento che questo è in grado di attivare una
sorta di meccanismo a catena che porta:
•una netta frenata dei matrimoni precoci ai quali spesso le famiglie più povere fanno ricorso in
modo da non doversi più preoccupare del mantenimento della figlia, riducendo allo stesso tempo il
tasso di fertilità;
•una diminuzione delle nascite ci sarà, come conseguenza, un minore impegno per le stesse
famiglie nella gestione dei figli e della loro istruzione, creando di conseguenza un circolo virtuoso
in grado di limitare sensibilmente il ciclo della povertà.Spiegato in parole molto semplici:meno
matrimoni precoci portano meno nascite, più sicurezza e istruzione per le bambine e possibilità
economiche per le singole famiglie.
FOCUS /APPROFFONDIMENTO: pandemia COVID 19 devastante per milioni di bambine
e ragazze(Fonte: Viola RIGOLI)
Come effetto delle conseguenze economiche di questo periodo in Africa crescono i matrimoni
forzati e le gravidanze precoci, abbandono scolastico e violenza di genere…..
The Global Girlhoodreport 2020, sostiene che come effetto della diffusione di Covid-19, si stima
che quasi 500 mila ragazze in più potrebbero essere spinte a sposarsi forzatamente.
Anche le gravidanze precoci rischiano un’impennata, potrebbero essere un milione in più nel 2020 e
proprio queste costituiscono la causa principale di morte per le ragazze tra i 15 e 19 anni.
Le spose bambine
Le aree più a rischio sono l’Asia Meridionale (191 mila) e l’Africa Centrale e Occidentale (90
mila), seguono America Latina e Caraibi con 73 mila casi rilevati.
Per le gravidanze precoci, un milione in più e causa principale di morte per le ragazze tra i 14 e i 19
anni, sono invece concentrate in gran parte in Africa, 282.000 nell’area meridionale e orientale del
continente e 260.000 in quella centrale e occidentale, e nell’America Latina e Caraibi (181.000).
Abbandono scolastico e matrimoni precoci, inoltre, sono spesso due facce della stessa medaglia. Il
rischio sempre maggiore di violenze e sfruttamento sessuale e la crescente insicurezza alimentare,
specialmente nelle emergenze umanitarie, fanno sì che i genitori non vedano molte altre alternative
a quella del matrimonio forzato, che avviene spesso con uomini molto più vecchi delle loro figlie.
Questo fenomeno rappresenta una grave violazione dei diritti di adolescenti anche giovanissime e le
espone al rischio di depressioni, continue violenze, disabilità e persino a quello della morte per
parto, visto che il loro corpo non è semplicemente ancora pronto per portare a termine una
gravidanza.
9 Paesi su 10 con la più alta percentuale di matrimoni precoci sono quelli più fragili, perché colpiti
da crisi umanitarie, come conflitti, alluvioni, siccità, terremoti o epidemie, e dove le ragazze sono
maggiormente esposte a questo rischio
•La chiusura delle scuole per il Covid-19 ha lasciato 1,6 miliardi di bambini senza istruzione, ma,
come ha insegnato il caso della recente epidemia di Ebola,le bambine e le ragazze hanno molte
meno probabilità di riprendere la scuola per la pressione dei bisogni della famiglia, o a causa di
matrimoni o gravidanze precoci. Se una adolescente su 10 nel mondo era già vittima di stupro o
violenza sessuale da parte del proprio marito o ragazzo prima del Covid-19, il coronavirus ha
portato ad un aumento di questi casi e, per effetto della pandemia, si prevedono2 milioni di casi di
mutilazione genitale femminile in piùnei prossimi 10 anni, soprattutto tra chi non ne ha ancora
compiuti 14.Questi sono solo alcuni dei dati riportati nel nuovo rapporto "The Global
GirlhoodReport 2020" lanciato in occasione dell’anniversario della Conferenza sulle Donne di
Pechino 1995.
La situazione problematica in Africa sub-sahariana:
•dove, nonostante alcuni Stati (Kenyae Camerun) stiano compiendo grossi passi avanti nell’ ambito
dell’ istruzione femminile, in linea generale il numero di donne che non vanno a scuola è ancora
elevato.
•Sulla base di statistiche di Save the Children(2007) nella Rep. Dem. Del Congo più di 3 milioni di
bambini fra i 6 e gli 11 anni che dovrebbero andare a scuola non hanno accesso all’ istruzione, il
25% lascia la scuola primaria durante il primo anno e solo il 25% completa il ciclo di istruzione
primaria.
•Più di 6 milioni di adolescenti fra i 12 e i 17 anni non vanno a scuola
Per quanto riguarda l’ istruzione secondaria o superiore dalle statistiche accreditate, e in
particolare dal Rapporto dell’ UNDP del 2010 si evince che, considerata la popolazione con età
superiore a 25 anni, in quasi tutti gli Stati dell’ Africa su sahariana, i maschi risultano avere una
istruzione percentualmente più diffusa rispetto alle femmine. Per le donne la situazione appare
particolarmente critica in Paesi come:
Burundi (5,2%),
Mali (3,2%),
Mozambico (1,5%),
Ruanda (7,4%),
Sierra Leone (9,5%)
e Uganda (9,1%).
Un ulteriore approfondimento è espresso dal rapporto tra femmine e maschi: sulla base di tale
rapporto l’ UNDP ha elaborato un indice specifico, con valore compreso tra 0 e 1.
•Laddove il valore tende verso l’ unità significa che vi è una minima disparità di genere nell’
istruzione secondaria; laddove supera 1 indica una maggiore percentuale di donne istruite, mentre
quando l’ indice si avvicina allo 0 mostra una forte disparità.
•Nella figura 1 emerge innanzitutto come non sia stato possibile calcolare tale indice per tutti gli
Stati a causa delle difficoltà nel reperire dati così specifici; in quattro Paesi l’ indice è superiore a 1
(Gabon, Lesotho, Namibia e Swaziland); mentre in sette Stati (Mali, Mauritania, Mozambico,
Niger, Rep. Centrafricana, Rep. Dem. Del Congo, Togo) vi è un indice al di sotto di 0,400.
Gli ostacoli all’ istruzione femminile
•I bambini e le bambine che provengono da ambienti socio-economici poveri corrono grossi rischi
di vedersi precludere la possibilità di andare a scuola; tuttavia, secondo l’ UNICEF, le bambine
rischiano doppiamente: in quanto povere e in quanto femmine
•Gli ostacoli ( alcuni già considerati in una slide precedente) che si frappongono all’ educazione
femminile sono, infatti, numerosi e finiscono con l’ impedire a un alto numero di bambine la
possibilità non solo di istruirsi, ma anche di costruirsi un futuro migliore poiché, come già
accennato, l’ istruzione costituisce il presupposto per il raggiungimento di tutta una serie di
progressi in ambito sanitario, familiare e sociale.
Le discriminazioni di genere fanno sì che ancora in molti Paesi poveri quando una famiglia, a causa
di limitazioni economiche, deve scegliere quali dei propri figli mandare a scuola e quali far restare a
casa, prediliga fornire un’ istruzione solo ai maschi, anche perché le femmine, restando a casa,
possono offrire un indispensabile supporto alle madri nei lavori domestici.
Distanza dalla scuola,
•precarie condizioni degli edifici scolastici,
•mancanza di arredi come banchi, sedie, lavagne nelle aule, materiale didattico adeguato, il dover
pagare insegnati e libri. Queste sono altre cause degli abbandoni scolastici.
•Tanto è stato fatto dall'inizio del millennio, soprattutto per merito del massiccio lavoro di onlus
internazionali e associazioni di volontariato, ma moltissimo è ancora da fare in diversi paesi
africani.
•Governi africani che spendono milioni di dollari in armi e armamenti, per costruire lussuose ville
ai loro funzionari corrotti, che favoriscono il "furto" delle ricchezze dell'Africa da parte delle già
miliardarie multinazionali straniere di tutto il mondo, ma fanno poco per l'istruzione dei loro
bambini.
In Africa le bambine vanno spesso a scuola a piedi, ma felici di poter studiare Il coraggio di una
rivoluzione silenziosa
•Noi crediamo che attraverso l'istruzione di donne e ragazze sia possibile rendere migliore la
sopravvivenza dell'intera comunità (Thomas Sankara, 1°Presidente del Burkina Faso libero, 1984-
1987)
•L'educazione è l'arma più potente che si può usare per cambiare il mondo (Nelson Mandela)
IL REPORT The Global Girlhood report 2020«La pandemia sta peggiorando le disuguaglianze di
genere e rischia di invertire i progressi fatti negli ultimi anni. Dobbiamo fare ogni sforzo per
impedire che questo avvenga. In occasione del meeting di alto livello oggi dell’Assemblea Generale
ONU per rilanciare l’impegno dei paesi sulla parità di genere nel 25°anniversario della Conferenza
sulle Donne di Pechino, chiediamo di dar più voce alle ragazze, garantendo la loro partecipazione
attiva nelle decisioni relative alla risposta al Covid-19 e a quelle per la ripresa».Perché, aggiunge
«ci vogliono azioni concrete per contrastare la violenza di genere e le sue radici, e bisogna porre
fine ai matrimoni precoci supportando anche chi li ha subiti, con riforme legislative e piani
nazionali per la salute e l’educazione. Dobbiamo investire insieme di più e ora sulle bambine e sulle
ragazze, con idee nuove e non riciclate, per prevenire le peggiori conseguenze del Covid-19 e
imprimere un cambiamento duraturo».
Nell'Africa Sub-Sahariana 29 milioni di bambini non hanno ancora oggi accesso all'istruzione
primaria. Molti sono bambini vulnerabili, orfani, bambini di strada, affetti da HIV, bambini disabili
o vittime di conflitti armati, disastri naturali o epidemie, appartenenti a famiglie nomadi o pastorali,
o a famiglie povere. Perfino quando sono iscritti alla scuola primaria, circa la metà abbandona
prima della fine del ciclo scolastico, spesso per la scarsa qualità dell'istruzione o per le difficili
condizioni scolastiche che devono affrontare.Disparità tra bambine e bambini. Le famiglie più
povere sono spesso costrette a scegliere chi mandare a scuola, e tra un figlio maschio e una figlia
femmina, la scelta ricade inevitabilmente sempre sul maschio perché la femmina è più "adatta" a
seguire le faccende domestiche. Occorre inoltre ricordare che spesso a scuola le bambine subiscono
vessazioni se non veri e propri abusi dai loro compagni di classe, ma anche dagli insegnanti.
Violenze che sono quasi sempre taciute e che quindi rimangono impunite.Questa situazione fa si
che il 35% delle bambine abbandoni gli studi, e questa percentuale raggiunge il 60% nei paesi più
poveri dell'Africa -leggi nostro articolo –
Nel mondo. Dei 121 milioni di bambini che non hanno mai avuto la possibilità di andare a scuola, il
65% sono bambine. Gli ostacoli alla scolarizzazione femminile nascono da discriminazioni e
pregiudizi assai radicati in numerose culture, due terzidegli 875 milioni di adulti analfabeti nel
mondo sono donne, segno che nel recente passato le bambine andavano a scuola ancor meno di
oggi.Non è un caso che le regioni dove si registra il maggior numero di bambine private
dell'istruzione (83%) siano quelle che faticano di più ad uscire dalla povertà estrema, Africa Sub-
Sahariana, Asia meridionale e alcune zone dell'estremo oriente -Unicef -È indubbio che una ragazza
analfabeta è meno protetta dalla violenza, dalle malattie e dallo sfruttamento rispetto ad una sua
coetanea che ha alle spalle almeno alcuni anni di studio.In Africa solo 3 bambine su 10 riescono a
completare i due cicli scolastici che portano al diploma di scuola superiore (secondaryschool).
Lezione 10:
Protocollo di Maputo : prende in considerazione alcuni aspetti di fondamentale importanza per
l’emancipazione e l’empowerment delle donne africane, coprendo un’ampia varietà di temi:
dall’eliminazione di qualsiasi forma di discriminazione al diritto alla vita, all’integrità ed alla
sicurezza fisica, dalla protezione in occasione di conflitti armati al diritto all’istruzione ed alla
formazione, dai diritti econo-mici ai diritti alla salute ed alla riproduzione.
Protocollo alla Carta Africana sui diritti dell’uomo e dei popoli sui diritti delle donne in
Africa (2003)
•PROTOCOLLO DI MAPUTO
•Hanno convenuto quanto segue:
•Articolo 1. Definizioni
•Ai fini del presente Protocollo:
•a) "Carta Africana" significa Carta Africana dei diritti dell'uomo e dei popoli;
•b) "Commissione Africana" è la Commissione africana sui diritti dell'uomo e dei popoli;
•c) "Assemblea" è l'Assemblea dei capi di Stato e di governo dell'Unione Africana;
•d) "UA" sta per Unione Africana;
•e) "Atto costitutivo" è l'Atto costitutivo dell'Unione Africana;
•f) "Discriminazione contro le donne" significa ogni distinzione, esclusione o restrizione o qualsiasi
trattamento differenziale basato sul sesso il cui scopo o il sui effetto sia compromettere o
distruggere il riconoscimento, il godimento o l'esercizio da parte delle donne, indipendentemente
dalla loro condizione maritale, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in qualunque sfera
dellavita;
•g) "Pratiche pregiudizievoli" significa ogni comportamenti, atteggiamento e/o pratica che
influenza negativamente i diritti fondamentali delle donne e delle bambine, come il loro diritto alla
vita, alla salute, alla dignità, all'educazione, all'integrità fisica;
•Articolo 2. Eliminazione della discriminazione contro le donne
•1. Gli Stati Parti combattono ogni forma di discriminazione contro le donne attraverso
appropriate misure di ordine legislativo,istituzione e altro.
Articolo 3. Diritto alla dignità
•1. Ogni donna ha il diritto alla dignità inerente in ogni essere umano e al riconoscimento dei suoi
diritti di essere umano e di soggetto giuridico.
•2. Ogni donna ha il diritto al rispetto in qualità di persona e al libero sviluppo della propria
personalità.
•3. Gli Stati Parti adottano e attuano misure appropriate per proibire ogni sfruttamento o
svilimento delle donne.
•4. Gli Stati Parti adottano e attuano misure appropriate per garantire la protezione del diritto di
ogni donna al rispetto della propria dignità e la protezione delle donne da ogni forma di violenza,
in particolare la violenza sessuale e verbale.
Articolo 4. Diritti alla vita, all'integrità e alla sicurezza della persona
•1. Ogni donna ha diritto al rispetto della propria vita e all'integrità e sicurezza della propria
persona. Tutte le forme di sfruttamento, di punizione e trattamento crudele inumane o degradanti
sono vietate.
•Articolo 5. Eliminazione delle pratiche pregiudizievoli
•Gli Stati Parti proibiscono e condannano ogni forma di pratiche pregiudizievoli che si
ripercuotono negativamente sui diritti umani delle donne e contrari agli standard
internazionalmente riconosciuti. Gli Stati Parti adottano ogni misura legislativa o di altro tipo per
eliminare tali pratiche, comprese le seguenti
Articolo 6. Matrimonio
•Gli Stati Parti assicurano che le donne e gli uomini godano eguali diritti e siano considerati alla
pari nel matrimonio. Gli Stati adotteranno provvedimenti legislativi a livello nazionale per
garantire che:
•a) nessun matrimonio possa avvenire senza il pieno e libero consenso dei due coniugi;
•b) l'età minima per il matrimonio della donna sia fissata a 18 anni;
•c) sia incoraggiata la monogamia come forma preferenziale di matrimonio a che i diritti delle
donne nel matrimonio e nella famiglia, compreso l'ambito dei rapporti maritali poligamici, siano
promossi e tutelati;
•d) di ogni matrimonio vi sia traccia per iscritto e sia registrato secondo le leggi nazionali in modo
da risultare legalmente riconosciuto;
Nonostante i governi africani abbiano compiuto dei passi avanti nel garantire e promuovere i diritti
delle donne negli ultimi 17 anni, il progresso è stato lieve e lento. Studi hanno dimostrato che
numerosi fattori, tra cui mancanza di responsabilità e assenza o accesso limitato ai dati hanno
ostacolato una soddisfacente attuazione del Protocollo. Non è sufficiente adottare politiche di
genere se queste politiche non sono supportate da quadri giuridici che assicurino la loro attuazione.
Negli ultimi mesi, lo scoppio della pandemia di COVID-19 ha esacerbato una situazione già molto
delicata, inasprendo diseguaglianze preesistenti e provocando una serie di violazione di diritti
umani. Gli Stati non sono stati in grado di proteggere le donne dai problemi socio-economici che
inevitabilmente emergono durante crisi del genere. Un aumento di casi di violenza sessuale e
domestica, di matrimoni precoci e di mutilazione genitale è stato registrato in diversi Paesi africani.
In Nigeria si è assistito ad un picco di violenze di genere e abusi sui minori da quando è stato
imposto un lockdown parziale. I casi di violenza riportati hanno subito un aumento del 149% in
soli due mesi (da Marzo ad Aprile).La violenza di genere è un fenomeno dilagante in Nigeria da
molti anni; la mancanza di coordinamento tra i principali soggetti interessati e la scarsa attuazione
dei quadri giuridici, in combinazione con radicate norme discriminatorie, ha ostacolato gli sforzi del
governo e della società civile di affrontare la violenza di genere. Questi sforzi sono stati
ulteriormente compromessi dalla pandemia.
Numerosi casi di violenza di genere si sono verificati anche in Kenya, Liberia e Sudafrica. In
Liberia vi è stato anche un aumento del tasso di mortalità materna in seguito al fatto che alcuni
operatori sanitari, con il timore di contrarre la malattia, si sono rifiutati di prendersi cura delle donne
in travaglio poiché sprovvisti dei dispositivi di protezione individuale.In Uganda, l’accesso alle
cure materne è stato limitato dalle restrizioni di viaggio imposte dal governo e diverse donne incinte
hanno perso la vita.In Camerun, il lockdowne le misure di distanziamento sociale hanno reso
difficile per le donne, che costituiscono quasi l’80% dei lavoratori del settore informale, prendersi
cura delle loro famiglie. Molte donne lavorano in agricoltura o come piccole commercianti; con la
chiusura dei mercati all’aperto e il rallentamento del commercio a causa della pandemia, queste
donne si sono trovate senza alcun reddito.
L’attuazione delle politiche di genere dipende molto dalla mentalità e dalla cultura e pertanto
richiede molto tempo. Ancora oggi, i servizi sanitari sono forniti alle ragazze solo in caso di
consenso dei genitori. La sessualità è ancora un tabù, non solo nel rapporto tra genitori e figlie ma
anche da parte dei decisori politici e professionisti sanitari. Questo alimenta lo stigma sociale e la
mancanza di informazioni che portano le ragazze a prendere decisioni sbagliate, inconsapevoli delle
loro opportunità e dei loro diritti.Tutte queste violazioni o limitazioni dei diritti delle donne si
traducono in una mancata attuazione degli impegni presi dagli Stati membri dell’UA diciassette
anni fa con il Protocollo di Maputo. Esiste un nesso tra
alfabetizzazione,salute,strutturaeconomicaestrutturapolitica.L'istruzionepermettealledonnel'access
oallavoroeallavitasocialeautonomae,dunque,consentesiaalorostessesiaaiproprifiglidiesserepartecip
idelprogressodelloroPaese(Levi-Montalcini,2009).
DONNE E POLITICA IN NIGERIA
When you educate and empower women to assume leadership positions at all levels, the
development challenges confronting the country can be addressed
(Bisi Adeleke-Fayemi)
Sebbenelapartecipazionepoliticafemminilesiasostenutaeraccomandataalfinedicreareunaverademocra
zia,sonodiversigliostacolidigenerechesioppongonoadessa: La discriminazione socio-culturale; Il
mancato accesso alle risorse; La molteplicità dei ruoli femminili; Pregiudizi sulle capacità
attitudinali e organizzative; La femminilizzazione della povertà; La violenza di genere.
Ellen Johnson-Sirleaf, nel 2006 è stata eletta presidente della Liberia, diventando così la prima
donna africana a ricoprire la più alta carica politica e nel 2011 è stata rieletta.
EllenJohnsonSirleaf,presidentessadellaLiberia,lasuaconcittadinaLeymahGbowee,avvocatoimpegnat
operidirittifemminilipremiateinsiemeall'attivistayemenitaTawakkulKarman"perlalorolottanonviolent
aafavoredelprocessodicostruzionedellapace".Quest'ultimahadedicatolavittoriaalla“primaveraaraba”
IlRuandarappresentauncasoparticolareinquantodal1994haconosciutouncambiamentoinchiavepositiv
adellacondizionedelladonna:nonsoloèstataraggiuntalaparitàdigenerenell'istruzioneprimaria,malapop
olazionefemminilehaancheottenutoil30%dellarappresentanzanellapubblicaamministrazioneeadoggid
etienelamaggioranza(56%)deipostiinParlamento.SonodonneilministrodellaSalute,ilministrodiGenere
,ilministrodelleInfrastruttureecc...SonodonnelefondatricidiOrganizzazioniqualiSevotaePro-
femmeschehannosvoltoesvolgonotuttoraunlavorocrucialeneltrattamentoterapeuticoenell'accoglienza
divedoveeorfanidelgenocidio.
•IlcasodelRuandapermettedidimostrarel'importanzaelacentralitàdellafigurafemminilenelcontestosub-
sahariano:attraversolapartecipazionedelladonnaalivellopolitico,economico,culturaleesociale,èl'intera
comunitàatrarnebeneficio.
Dal 1970 al 2003, circa 1600 donne hanno affermato di essere state violentate dai soldati britannici
nel nord del Kenya....
I mariti si sono sentiti disonorati e hanno rifiutato le loro mogli dopo averle picchiate. Alcune donne
si sono riunite e hanno creato Umoja, un villaggio vietato agli uomini. Gli uomini gelosi attaccano
frequentemente Umojae creano molti problemi a Rebecca, fondatrice del villaggio. Enzo Nucci
della RAI e Vincenzo Cavallo della Cultural Video Foundation hanno intervistato Rebecca a
Nairobi, dove da qualche anno si deve nascondere. La leader del villaggio rischia di essere uccisa
dal marito, che vuole impossessarsi delle terre faticosamente comprate dalle donne di Umojae che
ora reclama come sue.
Dopo l'intervista Nucci e Cavallo si sono recati nel nord del Kenya nella zona Samburu per visitare
il villaggio di Umoja. Nel villaggo hanno raccolto le innumerevoli testimonianze di queste donne:
maltrattate, ed abusate dalle loro stesse famiglie. Il breve documentario (24 minuti) si conclude con
un intervista ad un missionario antropologo, che da 40 anni vive con I Samburu, e che ci racconta il
mito dell’origine della donna nella cultura (pre-cristiana) Samburu. Il Dio Samburu spiega a
l'uomo che la donna è in realtà un cane, e questo secondo il missionario influisce ancora oggi sulla
percezione del ruolo della figura femminile. Ma nonostante tutto questo gruppo esiste, e la sua
stessa esistenza testimonia l'universalità della lotta per l'affermazione dei diritti umani in tutto il
mondo. La fondatrice Rebecca Lolosoli, è una donna samburu, fondatrice, un villaggio matriarcale
situato vicino alla città di ArchersPost, a 380 chilometri dalla capitale Nairobi. Il villaggio di Umoja
nasce dall’esigenza di dare vita a uno spazio dove le donne, vittime come lei, potessero vivere sole
e tranquille con i loro figli. È un santuario per tutte quelle donne che non solo sono state cacciate
dalle loro case, ma anche per quelle più giovani che hanno finalmente deciso di ribellarsi alla
cultura e agli stereotipi dettati dalla loro società: primo fra tutti quello della tradizionale posizione
subordinata rispetto agli uomini.
Fondato nel 1990 da una quindicina di donne, Umojaha attraversato non poche difficoltà. La prima
dovuta all’impossibilità di autosostenersi, in quanto alle donne non è concesso possedere terreni e
bestiame. Così, inizialmente, la sopravvivenza avveniva vendendo ai turisti, in visita presso le
riserve nazionali adiacenti, ortaggi acquistati o artigianato tradizionale. Lo Stato, preso atto
dell’esistenza del villaggio, cercò di supportarlo attraverso i servizi faunistici e il sostegno
delKenya Heritage and Social Servicese del Ministero della Cultura. La voce si sparse,
l’UmojaVillage divenne un caso esemplare tanto che la fondatrice fu invitata a visitare le Nazioni
Unite nel 2005.
•Tutto questo però arrecò un danno ulteriore, dovuto, nuovamente, a un grave problema culturale. I
loro uomini e quelli dei villaggi vicini cominciarono ad ostacolarle in ogni modo: prima si
stabilirono nelle vicinanze per creare imprese artigianali rivali, poi dissuasero i turisti dal fermarsi a
Umoja, fino a che non presentarono cause legali contro la fondatrice, sperando di indurla a chiudere
il villaggio; infine l’ex marito di Rebecca nel 2009 attaccò il villaggio, minacciandone la
sopravvivenza.
Ma le donne Samburu non si sono arrese e sono riuscite a impossessarsi nuovamente della loro
terra, facendo del turismo etico il volano della loro economia e sopravvivenza. Infatti nel giro di
una decina d’anni sono riuscite a dare nuova stabilità al villaggio, costruendo le infrastrutture
necessarie per accogliere i viaggiatori.
•C’è un campeggio con lodge e un’area adibita alle tende, fornito di acqua e dei servizi basici, come
un’area ristorante. C’è un centro culturale e un piccolo museo con una buona offerta di attività
culturali che spaziano dalle dimostrazioni di tecniche e riti tradizionali (danze, accensione del
fuoco), alla vendita di manufatti (gioielli) o all’organizzazione di tour nella vicina riserva di
Kalama. Tutto questo, negli anni, ha permesso al villaggio di ricostruirsi con solidità e di poter
avere anche i servizi necessari ai suoi stessi abitanti, come una piccola scuola elementare.
Lezione 11:
Nel 1997 diventa il simbolo di una possibile leadership femminile, candidandosi alle elezioni contro
il presidenteDaniel ToroiticharapMoi. Nel2002viene eletta Ministro aggiunto all’Ambiente, alle
Risorse naturali e alla Fauna, carica che ricoprirà fino al 2007. Attraverso una strategia fatta di
educazione, pianificazione familiare, alimentazione consapevole e lotta alla corruzione, ilGreen
BeltMovementapre la strada allo sviluppo a partire da tutti i livelli della società. Maathaidiventa
lavoce simbolodelle migliori forze africane e della lotta per promuovere la pace e il benessere nel
continente. Viene per questo insignita di numerosi premi internazionali, tra cui ilGlobal
550dell’ONU e ilGoldman EnvironmentalAward.
•Nel2004è la prima donna africana a vincere ilPremio Nobel per la pace, per“il suo contributo
allo sviluppo sostenibile, alla democrazia e alla pace”. Decide di festeggiarlo nel modo migliore
che conosce: piantando un albero nella terra rossa della valle dominata dalMonte Kenya.Nel 2006
pubblica la sua autobiografia,Unbowed(tradit. 2007Solo il vento mi piegherà, Sperling&Kupfer).
Malata di tumore, muore a Nairobi il 25 settembre 2011. Dal 14 marzo 2019 a WangariMaathaiè
dedicata una targa al Giardino dei Giusti di tutto il mondo di Milano.
Il 5 giugno del 1977,giornata mondiale dell’ambiente, una processione di donne kenyane attraversa
Nairobi e pianta sette alberelli in un parco alla periferia della città. È l’atto di nascita delGreen
BeltMovement, associazione non governativa contro la deforestazione e lo sfruttamento del suolo.
Oggi, a distanza di quarant’anni, gli alberi piantati in Kenya sono oltre51 milioni, più dei circa 40
milioni di abitanti del paese. Motore dell’iniziativa sono, non a caso, le donne. IlGreen
BeltMovementnasce infatti col doppio intento di salvaguardare l’ambiente e combattere le
disuguaglianze di genere attraverso la promozione del lavoro femminile. Dal 1977 a oggi,
oltre30.000 donnedelle aree rurali del Kenya hanno coltivato piantine, piantato alberi e svolto altre
attività connesse allo sviluppo del territorio e delle sue risorse –come l’apicoltura e la conservazione
dell’acqua piovana –ricevendo un compenso per il loro lavoro.
Il compito di portare l’acqua a casa, attingendola dal pozzo, spetta alle donne in molti Paesi
dell’Africa
•La ricerca dell’acqua è un compito gravoso che incombe su milioni di donne in tutte le regioni del
Mondo. In particolare in Africa le donne passano gran parte del loro tempo in cammino verso i
pozzi per portare a casa, per la loro famiglia, tra i 40 e 60 litri d’acqua al giorno. Passano molte ore
in fila davanti ai pozzi e, nel periodo secco, vi si recano spesso durante la notte, nella speranza di
trovare file d’attesa meno lunghe.
•In tutti i Paesi africani, attingere acqua è uno dei lavori tipicamente femminili: per tradizione è la
donna che va alla fonte.
•Molte sono e bambine che la mattina, prima di andare a scuola, si recano al pozzo piúvicino del
villaggio per prendere l’acqua per tutta la sua famiglia. È un lavoro faticoso: i pozzi sono profondi,
occorre forza per attingere e, una volta pieni, i recipienti di plastica sono molto pesanti da caricare
in testa.
•Le Donne Africane conoscono bene l’importanza dell’acqua e fanno di tutto per non perderne
nemmeno una goccia. L’acqua verrà utilizzata per diversi usi durante la giornata: per l’igiene
personale e per dissetarsi, per cucinare, lavare le stoviglie, innaffiare le piante… L’uso dell’acqua
viene gestito con parsimonia nei luoghi dove mancano i rubinetti!
•L’acqua è un bene primario, determinante per la sopravvivenza. L’accesso a questa preziosa risorsa
è un diritto, che però in molti Paesi è negato.
La grande carenza d’acqua in Africa riguarda tutte le popolazioni del continente, da Nord a Sud.
E questo rispecchia l’immagine che tutti abbiamo di questo pezzo di mondo: una terra distrutta dalla
siccità, la cui situazione peggiora di giorno in giorno a causa del surriscaldamento globale.
•Eppure, come dimostra lo studio EnviromentalResearchLetters, lamancanza d’acqua in Africaè
vera in superficie, ma non nel sottosuolo. Algeria, Libia, Egitto, Niger, Chad e Sudan Occidentale,
giacciono su dei bacini profondi almeno 75 metri, nascosti sotto il deserto del Sahara. Un altro
grande bacino si trova sotto la terra distrutta dalla siccità dellaRepubblica democratica del
Congoe la Repubblica Centrafricana, mentre il terzo è nel sud tra Namibia, Botswana, Angola e
Zambia.
PIU’ DEL 40% DEGLI AFRICANI SENZ’ACQUA–L’acqua è un bene di cui le popolazioni
africane hanno urgentemente bisogno: secondo l’elaborazione dei dati pubblicati da AMREF
nell’Africa Subsahariana l’accesso ad acqua pulita è un diritto umano fondamentale tuttora negato a
più del 40% della popolazione
I danni all’agricoltura sono incalcolabili, il bestiame muore, le lezioni a scuola non si possono
svolgere regolarmente e saltano anche gli equilibri familiari, perché le donne sono costrette ad
assentarsi per ore alla ricerca di acqua, lasciando incustoditi i figli».
L’Onu lancia l’allarme: “Muoiono 8 milioni di persone all’anno per siccità e
inquinamento”Nel 2030 quasi la metà della popolazione mondiale, oltre 3 miliardi di persone,
rischia di rimanere senz’acqua. Ma già oggi la siccità, l’acqua ‘sporca’ e le malattie legate alla
mancanza di servizi igienico-sanitari di base fanno 8 milioni di morti l’anno. L’acqua in Africa è il
bene più prezioso. Il continente nero da sempre afflitto dalla piaga siccità, si ritrova invece a
disporre di risorse idriche di gran lunga superiori a quelle finora stimate. Infatti, secondo una ricerca
effettuata dal UniversityCollege di Londra in collaborazione con l`Istituto britannico di Geologia, le
riserve dei bacini sotterranei potrebbero contenere un volume d’acqua 100 volte maggiore di quello
che sgorga in superficie. L’Africa, insomma, dormirebbe su un letto d’acqua potabile.
L’emergenza per l’acqua in Africa
•E perché allora donne e bambini sono costretti a camminare chilometri ogni giorno per
garantirsi acqua potabile in casa? Perché non tutta quest’acqua è facilmente raggiungibile per
l’estrazione, e perché i bacini idrici sono una sorta di riserva che impiega tra i 20 e i 70 anni per
essere ricaricata una volta finita. Prima di iniziare davvero a sfruttare queste risorse sotterranee,
bisogna pensare a come gestirle per evitare di arrivare al punto che il suo utilizzo avvenga in modo
sconsiderato, tanto veloce da rendere impossibile la sua ricostituzione. Il risultato si traduce in
donne e bambini costretti a spingersi quotidianamente alla ricerca di fonti d’acqua, un’attività che
non solo leva tempo importante alla scuola, al lavoro e alla famiglia, ma è anche estremamente
faticosa e comporta diversi rischi.
Africa Sub-Sahariana: HarambeeInternational, le donne costituiscono il 70% della forza
lavoro agricola
•In Africa Sub-Sahariana le donne costituiscono il 70% della forza lavoro agricola, contribuiscono
alla produzione del 90% dei prodotti alimentari e producono il 61,9% dei beni economici oltre ad
esercitare un ruolo preminente in famiglia. Lo evidenzia uno studio promosso da HarambeeAfrica
International,
IL REPORT The Global Girlhood report 2020«La pandemia sta peggiorando le disuguaglianze di
genere e rischia di invertire i progressi fatti negli ultimi anni. Dobbiamo fare ogni sforzo per
impedire che questo avvenga. In occasione del meeting di alto livello oggi dell’Assemblea Generale
ONU per rilanciare l’impegno dei paesi sulla parità di genere nel 25°anniversario della Conferenza
sulle Donne di Pechino, chiediamo di dar più voce alle ragazze, garantendo la loro partecipazione
attiva nelle decisioni relative alla risposta al Covid-19 e a quelle per la ripresa».
•Perché, aggiunge «ci vogliono azioni concrete per contrastare la violenza di genere e le sue radici,
e bisogna porre fine ai matrimoni precoci supportando anche chi li ha subiti, con riforme legislative
e piani nazionali per la salute e l’educazione. Dobbiamo investire insieme di più e ora sulle bambine
e sulle ragazze, con idee nuove e non riciclate, per prevenire le peggiori conseguenze del Covid-19
e imprimere un cambiamento duraturo».
Lezione 12 STATI AFRICANI:
Ufficialmente, gliStati del continente africano sono54. Un numero sicuramente elevato ma devi
considerare anche la grande estensione dell’Africa. Si è detto 54 perché, a quelli effettivamente
riconosciuti, bisognerebbe aggiungerne due il cui status non è ancora del tutto certo: stiamo
parlando del Sahara Occidentale e del Somalilande 2 enclave spagnole Ceutae Melilla. Fino al 1975
il Sahara Occidentale era una colonia spagnola nota appunto come Sahara Spagnolo. Non appena la
Spagna lasciò la regione, il Marocco la annesse e poco dopo iniziarono gli scontri armati con la
popolazione locale che aveva dichiarato il territorio indipendente con il nome di Repubblica
Democratica Araba dei Sahrawi. Nel tempo la Repubblica dei Sahrawiè stata riconosciuta da quasi
cento stati, principalmente africani e sudamericani, anche se successivamente alcuni di questi le
tolsero il riconoscimento e altri lo hanno
sospeso: oggisono46gli stati che la riconoscono pienamente. La Repubblica dei Sahrawi ha un
governo in esilio e fa parte dell’Unione Africana (UA). Non fa invece parte dell’ONU, che l’ha
inclusa nella sua lista dei territori non autonomi. A causa dell’entrata della Repubblica dei
Saharawi nell’Organizzazione dell’unità africana (che nel 2002 è stata sostituita dall’Unione
africana), nel 1984 il Marocco uscì dall’organizzazione internazionale.Nel 1991 si raggiunse un
accordo per il cessate il fuoco tra il Fronte Polisarioe il Marocco grazie alla promessa del Marocco
di organizzare un referendum sull’indipendenza, che però non ha mai avuto luogo.
Il Somaliland,una sottile striscia di territorio abitato da somali sulla costa meridionale del golfo di
Aden, soddisfa quasi tutti i requisiti per essere uno stato. Ha una sua moneta, una burocrazia
ragionevolmente efficiente, forze armate e di polizia preparate.Il governo, che ha sede nella capitale
Hargeisa, mantiene un rispettabile grado di controllo sul suo territorio: il paese, in linea di
massima,è pacifico, in netto contrasto con la Somalia più a sud.Il Somalilandstipula contratti
legali(per esempio, firma autorizzazioni per esplorazioni petrolifere con compagnie straniere) e si
impegna in operazioni diplomatiche con le Nazioni Unite, la Lega araba, l’Unione europea, e con
paesi come il Regno Unito, gli Stati Uniti, e la Danimarca. Ma nessun governo straniero riconosce
la sua indipendenza, autoproclamata nel 1991. Per il resto del mondo è una regione autonoma della
Somalia, soggetta al governo federale somalo di Mogadiscio.
LA SUDDIVISIONE POLITICA ATTUALE IN SOMALIA: UNICO STATO AL MONDO A
NON AVERE UN GOVERNO UFFICIALE DAL 1991!
In Africa, affacciate sul Mediterraneo, a sud-est dallo Stretto di Gibilterra ‒ ponte tra due continenti
ed ex ‘fine del mondo’‒ sorgono le enclave spagnole di Ceutae Melilla, veri e propri residui
coloniali d’Occidente tuttora rivendicati dal Marocco che li circonda. Per la loro posizione
strategica su un tratto di costa privilegiato, le due città autonome, fazzoletti di terra iberica nella
vastità del continente africano, da decenni sono identificate dai migranti come possibili porte
d’accesso all’Europa. Giorno dopo giorno, infatti, uomini, donne e bambini provenienti dai più
svariati Paesi africani ed asiatici danneggiati da guerre, povertà e persecuzioni d’ogni tipo ‒
disperati a tal punto da lasciare famiglie, case e luoghi d’origine, nonché da affidarsi a bande di
malviventi ‒ attraversano interi Stati per poi provare a varcare la soglia sbarrata di Ceuta o Melilla,
in alternativa al viaggio per mare verso le coste spagnole, italiane, maltesi, greche o cipriote.
•Nord Africa (Egitto,Tunisia, Marocco, Libia eAlgeria)
•Africa orientale(EASTAFRICA)
•Africa occidentale(WESTAFRICA)
•Africa australe (Sudafrica, Zimbabwe, Malawi, Eswatini, Zambia, Lesotho)
Corno d’Africa(Somalia, Gibuti Etiopia, Kenia)
•Regione dei Grandi Laghi (Ruanda, Burundi, Congo, Uganda)