1. Premessa
Come per altre discipline del curricolo degli studi, anche per la gram
matica dell’italiano vale una regola generale: se sia opportuno insegnarla a
scuola è una questione fondamentalmente politica, che dipende da ciò che si
intende per educazione e formazione dell’individuo e dagli obiettivi che ci si
propone perché ognuno possa realizzarsi in relazione ai propri desideri e alle
proprie attitudini.1 Tutt’altro problema è, invece, quello che riguarda i modi
e i contenuti che devono essere trasmessi nell’insegnamento della gramma
tica stessa, che pertengono agli specialisti della disciplina e, in modi diversi, ai
pedagogisti e agli studiosi delle scienze del cervello e della mente.2
In questo lavoro saranno analizzate le risposte ad alcune domande poste
ad un campione degli iscritti al primo anno della Facoltà di Lettere e Filoso
fia dell’Università degli Studi di Napoli « Federico II » nell’anno accademico
2008-2009, al fine di valutare le conoscenze grammaticali e la capacità di ri
flessione metalinguistica acquisite a scuola, in relazione ai requisiti necessa
ri per l’educazione linguistica di livello universitario e in previsione di una
più specifica formazione di abilitazione all’insegnamento.
A margine della discussione sui dati del nostro campione, svolgeremo
* Il presente lavoro è stato congiuntamente ideato e scritto dagli autori. A Chiara De Ca
prio si devono i paragrafi 1-2; 5; 6.1; 6.2.1-4; a Francesco Montuori i paragrafi 3-4; 6.2.5-8; 6.3;
6.3.1-6.3.3; 7; di entrambi è il paragrafo 8. Una prima versione è stata presentata al xiii semina
rio AICLU (Napoli, 9-11 dicembre 2008); in tale occasione gli autori hanno beneficiato delle
osservazioni di Michela Cennamo, Maria G. Lo Duca e Pietro Maturi. Un particolare ringra
ziamento va a Nicola De Blasi per le sue postille a una versione preliminare di questo scritto
e a Marina Milella per la sua attenta lettura.
1. Nella quarta delle Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica, conformemente a quanto
scritto nell’art. 3, c. 2 della Costituzione, si afferma che l’educazione linguistica è uno dei com
piti che lo Stato deve assumersi per promuovere una maggiore uguaglianza sociale. Sulle Die
ci tesi cfr. § 2. Un chiaro prospetto dei ruoli delle diverse istituzioni e discipline nell’educazio
ne linguistica è delineato in Monica Berretta, Linguistica ed educazione linguistica. Guida all’inse
gnamento dell’italiano, Torino, Einaudi, 1977, pp. 22-23.
2. Per la problematicità dell’apporto delle diverse scienze alla glottodidattica cfr. Cristina
Lavinio, Comunicazione e linguaggi disciplinari. Per un’educazione linguistica trasversale, Roma, Ca
rocci, 2004, p. 12, e Paolo Balboni, Italiano lingua materna. Fondamenti di didattica, Torino, Utet,
2006, pp. 20-23.
212
il ruolo della grammatica fra scuola e università
3. Un bilancio della linguistica del Novecento è in Giulio C. Lepschy, La linguistica del No
vecento, Bologna, Il Mulino, 2000. Per la linguistica italiana si vedano i tre resoconti in Dieci
anni di linguistica italiana 1965-1975, a cura di Daniele Gambarara e Paolo Ramat, Roma, Bulzo
ni, 1977; La linguistica italiana negli anni 1976-1986, a cura di Alberto Mioni e Michele A. Corte
lazzo, ivi, id., 1992; La linguistica italiana alle soglie del 2000 (1987-1997 e oltre), a cura di C. Lavinio,
ivi, id., 2002.
4. Per i principali “capi d’imputazione” rivolti dai linguisti all’insegnamento grammaticale
tradizionale cfr. M.G. Lo Duca, Lingua italiana ed educazione linguistica, Roma, Carocci, 2003, pp.
141-77.
5. Cfr. Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa quarant’anni dopo, seconda edizione spe
ciale a cura di Michele Gesualdi, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 2007, pp. 18-19 e 23.
6. Si veda il bilancio di Adriano Colombo, Le ‘Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica’
trent’anni dopo. Un’occasione e qualche riflessione, « Cooperazione educativa », i 2006, pp. 67-69.
213
chiara de caprio - francesco montuori
7. Il testo si legge, insieme con un interessante bilancio critico, in Educazione linguistica ven
t’anni dopo e oltre. Che cosa ne pensano De Mauro, Renzi, Simone, Sobrero, a cura di Silvana Ferreri e
Anna Rosa Guerriero, Firenze, La Nuova Italia, 1998, pp. 81-92 (la cit. alle pp. 90-91).
8. P. Balboni, Storia dell’educazione linguistica in Italia. Dalla legge Casati alla riforma Gelmini,
Torino, Utet, 2009, p. 79 (la citazione costituisce il titolo del cap. vi).
9. Cfr. Stefano Gensini, Breve storia dell’educazione linguistica dall’Unità a oggi, Roma, Carocci,
2005, p. 49. La rappresentazione complessa della situazione linguistica italiana era una strada
intrapresa già dopo il 1861, cioè in un altro momento di rilevante discussione politica sulle
questioni linguistiche: « Dopo l’Unità i grammatici presentarono un’immagine della nostra
lingua senz’altro più complessa e variegata di quella descritta per secoli attraverso il filtro del
la prescrizione puristica tradizionale » (Maria Catricalà, Le grammatiche scolastiche dell’italiano edi
te dal 1860 al 1918, Firenze, Accademia della Crusca, 1991, p. 52). Per il rilievo della fase postu
nitaria nel dibattito linguistico italiano è ovvio il rinvio a Tullio De Mauro, Storia linguistica del
l’Italia unita, Roma-Bari, Laterza, 19833, pp. 46-50, 88-105, 337-41 e 345 sg. (risp. i documenti 48
e 50).
10. Cfr. C. Lavinio, Per una educazione linguistica all’Università: tra il ‘saper fare’ con la lingua e il
‘sapere’ sulla lingua, in E.Li.C.A. Educazione linguistica e conoscenze per l’accesso, a cura di Miriam
Voghera, Grazia Basile e A.R. Guerriero, Perugia, Guerra, 2005, pp. 29-36 (pp. 30-31).
214
il ruolo della grammatica fra scuola e università
11. Cfr. Alberto A. Sobrero, Il peso della grammatica, in Il testo fa scuola. Libri di testo, linguaggi ed
educazione linguistica, a cura di Rosa Calò e Silvana Ferreri, Firenze, La Nuova Italia, 1997, pp.
489-502.
12. Raffaele Simone, Libro d’italiano, Firenze, La Nuova Italia, 1973, pp. 229-30. Andrà rile
vato che, in seguito, parte di queste argomentazioni è stata ridiscussa (cfr. Id., Le “Tesi” per il
2000, « Italiano & oltre », xvi 2001, pp. 4-8, alle pp. 6-7). Cfr. anche A.R. Guerriero, Educazione
linguistica minimalista? Intervista a Raffaele Simone, in E.Li.C.A., cit., pp. 37-50.
13. Luca Serianni, Prima lezione di grammatica, Roma-Bari, Laterza, 2006, p. 33 (corsivo no
stro). Cfr. anche Francesco Sabatini, Lettera sul “ritorno alla grammatica”. Obiettivi, contenuti, meto
di e mezzi, versione del settembre 2007, consultabile in rete all’indirizzo www.unige.ch/let
tres/roman/italien (in parte anticipato in Id., Che complemento è?, « La Crusca per voi », xxviii
2004, pp. 8-9, che ora si può leggere in Id., L’italiano nel mondo moderno. Storia degli usi e della
norma. La scuola. I dialetti. Modelli teorici. La Crusca. L’Europa. Saggi dal 1969 al 2009, a cura di Vit
215
chiara de caprio - francesco montuori
Per quanto riguarda la formazione dei docenti di italiano, negli anni Settan
ta, in seguito alla maturazione della sensibilità politica sull’educazione lin
guistica, si erano instaurati stretti e proficui rapporti tra università e scuola e
gli insegnanti cominciarono ad associarsi per discutere e promuovere semi
nari sulle questioni relative alla didattica dell’italiano. Una tale collaborazio
ne tra linguisti e docenti è stata giustamente enfatizzata nei suoi aspetti po
sitivi, ma ha anche fatto emergere i limiti di una crescita culturale delegata
allo « spontaneismo dei docenti ».14
Va infine sottolineato che, sebbene fra il 1979 e il 1985 i principi dell’e
ducazione linguistica siano stati accolti nelle riforme dei programmi delle
scuole medie ed elementari,15 tuttavia la pratica didattica ha subìto il pesante
condizionamento dell’immissione in ruolo di docenti che « non avevano mai
studiato su basi scientifiche la lingua di cui dovevano occuparsi nell’insegna
mento ».16 All’inefficacia (quando non sia stata assenza) dei meccanismi di
selezione del corpo docente andrà in parte imputata la parzialità del rinno
vamento della didattica scolastica dell’italiano.
torio Coletti, Rosario Coluccia, Paolo D’Achille, Nicola De Blasi e Domenico Proietti, Na
poli, Liguori, 2009, pp. 747-50).
14. Cfr. Berretta, Linguistica ed educazione linguistica, cit., p. 19.
15. Cfr. Gensini, Breve storia, cit., p. 49; Balboni, Storia dell’educazione, cit., pp. 79-103.
16. F. Sabatini, L’italiano e i travagli crescenti della Scuola, « La Crusca per voi », xxxix 2009, p. 1.
216
il ruolo della grammatica fra scuola e università
Tuttavia, dopo aver constatato che studenti non avvezzi alla riflessione me
talinguistica spesso hanno un profilo culturale poco compatibile con il per
corso accademico scelto e, in particolar modo, sono pessimi discenti delle
discipline linguistiche, contemporaneamente all’introduzione dell’ordina
mento ex lege 509 e ancor più del successivo ex lege 270, molti atenei hanno
fissato nuovi prerequisiti per l’accesso all’università e hanno cominciato a
17. F. Sabatini, La storia della lingua in un programma di educazione linguistica [1979], in Id., L’ita
liano nel mondo moderno, cit., pp. 667-78 (pp. 677-78). Le osservazioni di Sabatini ritornano, a
trent’anni di distanza, in un’acuta precisazione di Cristina Lavinio: « Basti pensare che solo per
i laureati dal 2001-02 diventa obbligatorio, per poter accedere alle classi concorsuali per l’inse
gnamento di materie letterarie, avere sostenuto all’università almeno un esame di lingua ita
liana (cioè di una delle discipline del settore di Linguistica italiana: dalla Storia della lingua italiana
alla Grammatica italiana, dalla Linguistica italiana alla Didattica della lingua italiana, considerate
come se fossero intercambiabili) » (Lavinio, Comunicazione e linguaggi, cit., p. 28 n. 15).
18. Lingua italiana, scuola, sviluppo. Documento sottoscritto dall’Accademia della Crusca, dall’Accade
mia dei Lincei e dall’ASLI. Il testo è stato redatto da Francesco Bruni e reso pubblico nel novem
bre 2009 (si può leggere in Associazione per la Storia della Lingua Italiana, Annuario ASLI
2008, Firenze, Cesati, 2009, pp. 9-10).
217
chiara de caprio - francesco montuori
19. Cfr. innanzitutto le Proposte dell’ASLI per le “ulteriori conoscenze linguistiche”: criteri uniformi
per la formazione e la valutazione nella didattica universitaria dell’italiano, nell’Annuario ASLI 2002
(Firenze, Cesati, 2003, pp. 174-200; una versione digitale è attualmente disponibile sul sito
della Società di Linguistica Italiana per cura di Gabriella Alfieri). Sul tema si vedano gli inter
venti di G. Alfieri et alii, C. Lavinio e M.G. Lo Duca in E.Li.C.A., cit., risp. alle pp. 63-94, 29-36,
127-43; cfr. anche M. Voghera-Rosa Giordano-A.R. Guerriero, Grammatica e matricole: proposte
di educazione linguistica, in Perché la grammatica? La didattica dell’italiano tra scuola e università, a cu
ra di Giuliana Fiorentino, Roma, Carocci, 2009, pp. 93-108. Si segnala, d’altronde, anche una
progressiva sensibilità per la “rilevazione degli apprendimenti” linguistici degli studenti alla
fine delle scuole medie superiori di primo e secondo grado, ad opera dell’Invalsi (Istituto
nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione) in collabora
zione con il Ministero dell’Università e della Ricerca e con l’Accademia della Crusca; per
tutto ciò cfr. www.invalsi.it.
20. Cfr. Sabatini, Lettera, cit.; Lavinio, Per una educazione linguistica, cit.; M.G. Lo Duca, La
riflessione sulla lingua e requisiti per l’accesso alle facoltà umanistiche: conoscenze e abilità, in E.Li.C.A.,
cit., pp. 127-43; M.G. Lo Duca-Martina Ferronato-Elena Mengardo, ‘Indicazioni per il Curricolo’
e obiettivi di apprendimento sulle categorie lessicali: il riconoscimento del nome, in Lingua e grammatica.
Teorie e prospettive didattiche, a cura di Paola Baratter e Sara Dallabrida, Milano, Franco Angeli,
2009, pp. 11-27. Ma il richiamo alla utilità pedagogica della riflessione metalinguistica ritorna
ogni volta che si discute di insegnamento della grammatica. Espliciti riferimenti sono, per
esempio, nelle parole di Ascoli e D’Ovidio al ix congresso pedagogico di Bologna del 1874 (cfr.
Francesco D’Ovidio, Scritti linguistici, a cura di Patricia Bianchi, Napoli, Guida, 1982, pp. 145 e,
soprattutto, 147); si vedano anche le considerazioni di Gaetano Berruto nell’introduzione di
un importante libro degli anni Settanta (Scienze del linguaggio ed educazione linguistica, a cura di G.
Berruto, Torino, Stampatori, 1977, p. 8).
21. La storia dell’insegnamento della lingua materna e l’analisi delle grammatiche dopo
l’Unità d’Italia mostrano che, in diversi momenti, non sono mancati casi clamorosi di espul
sione temporanea della grammatica non solo dalla pratica ma anche dai programmi della
scuola primaria e secondaria (Gensini, Breve storia, cit., pp. 21-22 e 109-10).
218
il ruolo della grammatica fra scuola e università
4. Il questionario
Alla luce del quadro che si è sin qui delineato, nell’anno accademico 2008-
2009, nel primo giorno dei corsi di Linguistica italiana e Storia della lingua ita
liana, abbiamo sottoposto un questionario agli studenti immatricolati ai Cor
si di Laurea in Lettere Moderne e in Lettere Classiche presso la Facoltà di
Lettere e Filosofia della « Federico II » di Napoli. Attraverso il questionario
ci siamo posti un duplice obiettivo: da un canto, misurare la capacità degli
allievi di fare osservazioni metalinguistiche, utilizzando l’opportuna termi
nologia, nell’ambito della grammatica, della variazione, della classificazione
tipologica dei testi, della storia linguistica; dall’altro, utilizzare uno strumen
to didattico attraverso il quale sollecitare la riflessione degli studenti sui con
cetti di “uso” e “norma”. Il questionario è stato articolato in quattro sezio
ni dedicate a:
1) informazioni sul percorso di studi (maturità classica, scientifica, altro);
portfolio linguistico (conoscenza di lingue straniere; conoscenza delle lin
gue classiche);
2) motivazione agli studi universitari;
3) giudizio sulle lezioni di grammatica seguite a scuola e sulla qualità del
l’insegnamento;
4) competenze sulla grammatica e sulle tipologie testuali; conoscenze
storico-linguistiche sull’origine dell’italiano e dei dialetti e percezione del
plurilinguismo e degli usi in variazione.
Quanto al campione, esso è costituito da 131 allievi del Corso di Laurea in
Lettere Moderne e da 69 di quello in Lettere Classiche. I 131 studenti di Let
tere Moderne rappresentano una classe di diplomati provenienti in gene
re dalla provincia di Napoli e da diversi tipi di scuole secondarie. In termini
percentuali, il 38,16% ha conseguito la maturità classica, il 31,30% ha la matu
rità scientifica, il 30,54% ha un altro tipo di diploma. I 69 studenti di Lettere
Classiche hanno invece conseguito tutti, tranne uno, la maturità classica.
In questa sede, intendiamo analizzare i dati tratti da alcune domande del
questionario proposto agli studenti. Le informazioni desunte dalle risposte
22. M.G. Lo Duca, Si può salvare l’analisi logica?, « La Crusca per voi », xxxiii 2006, pp. 4-8
(p. 4).
219
chiara de caprio - francesco montuori
23. Per chiarezza espositiva, nel corso dell’articolo i rinvii alle grammatiche saranno fatti in
forma abbreviata. Grammatiche scolastiche: Sensini = Marcello Sensini, Il sistema della lingua,
2 voll., Milano, Arnoldo Mondadori Scuola, 1996; Regole = Emilia Asnaghi et alii, Le regole della
comunicazione, 2 voll., Padova, Cedam, 1999; Strumenti = Silvia Fogliato-Maria Carla Testa, Stru
menti per l’italiano, 3 voll., Torino, Loescher, 2000; Tavoni-Italia = Mirko Tavoni-Paola Italia,
Strutture e competenze dell’italiano, 3 voll., Firenze, Le Monnier, 2003. Grammatiche di riferimen
to: Serianni = L. Serianni, con la collaborazione di Alberto Castelvecchi, Grammatica italiana.
Italiano comune e lingua letteraria, Torino, Utet, 1989; Dardano-Trifone 1995 = Maurizio Darda
no-Pietro Trifone, Grammatica italiana con nozioni di linguistica, Bologna, Zanichelli, 1995; Pato
ta = Giuseppe Patota, Grammatica di riferimento dell’italiano contemporaneo, Novara, De Agostini
Scuola-Garzanti Linguistica, 2006; GGIC = Grande grammatica italiana di consultazione, nuova
edizione a cura di Lorenzo Renzi, Giampaolo Salvi e Anna Cardinaletti, 3 voll., Bologna, Il
Mulino, 1988-1995; Salvi-Vanelli = G. Salvi-Laura Vanelli, Nuova grammatica italiana, ivi, id.,
2004; Prandi 2006 = Michele Prandi, Le regole e le scelte. Introduzione alla grammatica italiana, Tori
no, Utet, 2006 (per obiettivi, impostazione e pubblico di questi lavori si rimanda alle rispet
tive introduzioni: cfr. Serianni, pp. iii-vii; GGIC, vol. i pp. 7-16; Salvi-Vanelli, pp. 11-13; Prandi,
pp. xv-xviii). Grammatiche per stranieri: Lepschy-Lepschy = Anna Laura Lepschy-G.C. Lep
schy, La lingua italiana. Storia, varietà dell’uso, grammatica, Milano, Bompiani, 19986 (trad. italiana
di Iid., The Italian Language Today, London, Hutchinson & Co., 1977); Maiden-Robustelli =
Martin Maiden-Cecilia Robustelli, A Reference Grammar of Modern Italian, London, Hodder
Arnold, 2007.
220
il ruolo della grammatica fra scuola e università
5. La definizione di soggetto
Lettere Classiche
54 il soggetto è la persona o la cosa che compie [o subisce] l’azione;
6 il soggetto è la parte del discorso che compie l’azione;
2 il soggetto è la persona o la cosa che compie l’azione del predicato verbale o cui
si riferisce il predicato nominale;
1 il soggetto è la persona o la cosa che compie e non subisce l’azione;
2 il soggetto è la persona o la cosa cui si riferisce il verbo;
1 il soggetto è la persona o la cosa che realizza quanto espresso dal verbo;
1 il soggetto è la persona o la cosa di cui viene descritta l’azione espressa dal verbo;
1 il soggetto è la persona o la cosa di cui parla il verbo;
1 non risponde.
221
chiara de caprio - francesco montuori
Non sembrano esserci dubbi sul fatto che prevalga la definizione “scola
stica” secondo la quale il soggetto è ‘colui che fa o subisce l’azione espressa
dal verbo’.26 Non è questo, però, ciò che si legge nei libri di testo che com
pongono il nostro corpus:
Sensini, vol. i p. 263: « Il soggetto è l’elemento di cui il predicato dice qualcosa, e con
esso concorda nel numero, nella persona e, talora, nel genere ».
Regole, vol. i p. 190: « Il soggetto […] è ciò di cui parla il predicato ».
Tavoni-Italia, vol. i p. 308: « Il soggetto è l’elemento della frase cui si riferisce il pre
dicato. Il predicato concorda con il soggetto nel numero e nella persona; concorda
anche nel genere quando quest’ultimo è espresso ».
Dardano-Trifone, p. 97: « Il soggetto (dal lat. subjectum ‘ciò che sta sotto, ciò che è
alla base’) è un componente fondamentale della frase, il quale completa il significa
to del predicato. Il soggetto concorda con il predicato nel numero e nella persona;
concorda anche nel genere quando quest’ultimo è espresso ».27
Patota, p. 431: « Il soggetto è l’argomento principale di cui parla il verbo, ed è anche
l’elemento che dà al verbo la desinenza di persona e di numero e, in alcuni casi, di
genere ».
222
il ruolo della grammatica fra scuola e università
Nelle grammatiche del nostro corpus si precisa che il soggetto può indicare
‘colui che fa o subisce l’azione espressa dal verbo’ nelle “seconde linee” del
le definizioni, nelle quali si illustrano i ruoli semantici che esso può realiz
zare:
Regole, vol. i p. 190: « Il soggetto quindi: può compiere l’azione (con tutti i verbi tran
sitivi attivi e con gli intransitivi); può subire l’azione (con i verbi passivi e con i rifles
sivi); può trovarsi in una condizione, in uno stato, o avere una determinata qualità
(con il verbo essere, i copulativi effettivi e simili, seguiti da un nome o da un aggetti
vo) ».28
Serianni, § ii.22: « Esso [il soggetto] può indicare: a) nelle frasi con verbo attivo, chi o
che cosa compie l’azione espressa dal predicato […]; b) nelle frasi con verbo passivo
o riflessivo, chi o che cosa subisce l’azione espressa dal predicato […]; c) nelle frasi
con predicato nominale, a chi o a che cosa è attribuita una qualità o stato […] ».
Patota, p. 431: « Funzioni del soggetto. A seconda dei casi, il soggetto indica: chi o
che cosa compie l’azione espressa dal predicato […]; chi o che cosa subisce l’azione
espressa dal predicato […]; a chi o a che cosa è attribuito un determinato stato o una
qualità ».
28. In nota si danno indicazioni anche sulla concordanza: « Possiamo affermare che sogget
to e predicato concordano, dunque, nel numero e, talora, nel genere ed è proprio il soggetto
che determina la forma del predicato ». Nei tre paragrafi successivi (pp. 191-93) si descrive la
posizione del soggetto nella frase, utilizzando etichette della pragmatica; inoltre si compie
una serie di approfondimenti, il più rilevante dei quali, al fine del nostro discorso, è quello che
intende spiegare allo studente la differenza tra soggetto logico e soggetto grammaticale.
29. Sul tema del « ragionato svecchiamento » dei libri di testo cfr. da ultimo Serianni, Prima
lezione, cit., pp. 34-35.
30. L’importanza di tale distinzione è opportunamente enfatizzata in chiave didattica da C.
Andorno, La grammatica italiana, Milano, Paravia-Mondadori, 2003, pp. 99-100.
223
chiara de caprio - francesco montuori
31. F. Sabatini, La comunicazione e gli usi della lingua. Pratica dei testi, analisi logica, storia della lin
gua, Torino, Loescher, 1984, p. 336. Già Serianni, Prima lezione, cit., p. 35, cita una “saggia” defi
nizione di soggetto elaborata da Sabatini (Lingua e linguaggi. Educazione linguistica e italiano nella
scuola media, Torino, Loescher, 1980, p. 270): « Il soggetto è la parola che ci permette di capire a
che cosa o a chi va subito riferito il fatto espresso dal predicato ».
32. Andrà segnalato che, da qualche piccolo sondaggio compiuto a campione, i libri di testo
del primo ciclo della scuola secondaria mostrano una maggiore disomogeneità e approssima
zione nell’esposizione delle proprietà del soggetto.
33. Si tenga presente che la problematicità della nozione di soggetto è discussa in tutti i
manuali introduttivi alla Linguistica Generale: si vedano, a titolo esemplificativo, G. Berruto,
Corso elementare di linguistica generale, Torino, Utet, 1997, p. 74; R. Simone, Fondamenti di lingui
stica, Roma-Bari, Laterza, 200112, pp. 353-61; Giorgio Graffi-Sergio Scalise, Le lingue e il linguag
gio, Bologna, Il Mulino, 2003, pp. 188-91.
224
il ruolo della grammatica fra scuola e università
Lettere Moderne
Lettere Classiche
34. Per soggetto meno prototipico intendiamo il soggetto che non è in posizione preverba
le e non ha il ruolo di Agente: cfr. Rosanna Sornicola, Soggetti prototipici e soggetti non prototipici:
l’italiano a confronto con le altre lingue europee, in L’Europa linguistica: contatti, contrasti, affinità di lingue.
Atti del xxi Congresso internazionale di studi della SLI, Catania, 10-12 settembre 1987, a cura
di Antonia G. Mocciaro e Giulio Soravia, Roma, Bulzoni, 1992, pp. 259-79 (p. 261).
225
chiara de caprio - francesco montuori
6. La variazione
6.1. Premessa
Nella sezione n° 4 del questionario è stata proposta agli studenti una ta
bella con quattordici enunciati: di essi undici sono caratterizzati dalla pre
senza di tratti morfosintattici dell’italiano parlato (1-11), diversamente diffu
si sul territorio nazionale e diversamente connotati sul piano diastratico; i re
stanti tre enunciati (12-14), non marcati né in diatopia né in diastratia, sono
stati inseriti come “distrattori”, dal momento che un parlante potrebbe uti
lizzarli in interazioni dialogiche di media formalità: 37
1. Le ha comprate Maria, le uova (dislocazione a destra dell’oggetto diretto).
2. Gli dico di tornare per cena a Mario (dislocazione a destra dell’oggetto indiretto).
3. Ai tuoi fratelli gli hai detto che usciamo? (dislocazione a sinistra dell’oggetto indiret
to ripreso mediante il clitico dativale gli per la iii persona plurale).
4. Se sapevo che eri in difficoltà, ti aiutavo (uso modale dell’imperfetto indicativo nel
la protasi e nell’apodosi del periodo ipotetico dell’irrealtà).38
5. Penso che fai male a non ascoltare i consigli di tuo fratello (completiva all’indicativo, in
dipendenza da verbo di opinione).39
226
il ruolo della grammatica fra scuola e università
6. Mi sono mangiato una pizza e mi sono bevuto una birra ghiacciata (verbi pronomina
li intensivi).
7. Hai chiamato a Luca? (oggetto preposizionale).
8. Hai salito la valigia che ho lasciato vicino all’ascensore? (salire usato transitivamente).
9. Puoi telefonarlo? (il tipo “lo telefono” con pronome clitico accusativale).
10. Quella è la ragazza che ti ho parlato (relativa con che indeclinato generico, senza
clitico di ripresa).
11. A Mario ci piace uscire con il motorino (dislocazione a sinistra dell’oggetto indiret
to ripreso mediante il clitico dativale ci per la iii persona singolare).
12. Hai notato che anche lui ha le scarpe blu?
13. Per favore, puoi chiudere la finestra?
14. Potrei dare un’occhiata al suo giornale? 40
40. Gli enunciati nel questionario sono stati presentati secondo il seguente ordine: 1, 7, 8,
12, 11, 4, 13, 9, 5, 3, 6, 14, 2, 10.
41. Sulla distinzione fra “comprensibilità” e “buona formazione” ci si limita a rimandare a
G. Graffi, Sintassi, Bologna, Il Mulino, 1994, pp. 16-17 e 22-23. In relazione alla distinzione fra
“grammaticalità” e “accettabilità” si veda anche Serianni, Prima lezione, cit., pp. 36-47.
227
chiara de caprio - francesco montuori
Prima di entrare nel vivo dell’analisi delle risposte del campione, pare
opportuno dedicare qualche cenno alle caratteristiche morfosintattiche de
gli enunciati 1-11.
Gli enunciati nni 1-6 presentano alcuni di quei tratti morfosintattici che
Francesco Sabatini e Gaetano Berruto hanno riconosciuto come caratteri
stici delle varietà denominate rispettivamente “italiano dell’uso medio” ed
“italiano neo-standard”.44 Nei modelli proposti dai due studiosi, tali varietà
rappresentano il nucleo mediano del continuum linguistico, in quanto hanno
accolto e promosso tratti che, a lungo censurati, hanno progressivamente ri
dotto il loro grado di marcatezza diafasica e diastratica, presentandosi in ta
luni casi come varianti più o meno libere dei corrispondenti tratti standard.45
42. Cfr. ivi, p. 48. Sui limiti e le contraddizioni del “neo-purismo” degli studenti si veda
l’analisi dei dati presentati nel § 6.3.
43. Giovanni Nencioni, Disperare dell’italiano? [1985], in Id., Saggi di lingua antica e moderna,
Torino, Rosenberg & Sellier, 1989, pp. 227-34 (p. 227). Si vedano anche i rilievi di Serianni,
Prima lezione, cit., p. 52.
44. Come si metterà in evidenza nelle pagine che seguono, gli ultimi due tratti (indicativo
in un’oggettiva retta da un verbo epistemico; verbo pronominale intensivo) hanno una carat
terizzazione più marcatamente diatopica, in quanto sembrano occorrere con maggiore fre
quenza nelle varietà centro-meridionali.
45. Per l’italiano dell’uso medio cfr. F. Sabatini, L’« italiano dell’uso medio »: una realtà tra le
varietà linguistiche italiane, in Gesprochenes Italienisch in Geschichte und Gegenwart, a cura di Günter
Holtus e Edgar Radtke, Tübingen, Narr, 1985, pp. 154-84, e Id., Una lingua ritrovata: l’italiano
parlato, « Studi latini e italiani », iv 1990, pp. 215-34 (entrambi i saggi si possono ora leggere in
Id., L’italiano nel mondo moderno, cit., pp. 279-312 e 365-84). Per la proposta di Berruto si veda Id.,
Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1987, in partic. pp.
17-24. Per la significatività dei tratti selezionati e un aggiornamento sui fenomeni di ristandar
dizzazione in atto nell’italiano si vedano L. Renzi, Le tendenze dell’italiano contemporaneo. Note
sul cambiamento linguistico nel breve periodo, « Studi di lessicografia italiana », xvii 2000, pp. 279-
228
il ruolo della grammatica fra scuola e università
319; M.A. Cortelazzo, L’italiano e le sue varietà: una situazione in movimento, « Lingua e stile »,
xxxvi 2001, pp. 417-30; Giovanna Alfonzetti, La relativa non-standard. Italiano popolare o italia
no parlato?, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2002, pp. 12-32; Paolo
D’Achille, Aspetti evolutivi dell’italiano contemporaneo, in Italiano. Strana lingua? Atti del Conve
gno di Sappada/Plodn (Belluno), 3-7 luglio 2002, a cura di Gianna Marcato, Padova, Uni
press, 2003, pp. 23-35; A.A. Sobrero, Nell’era del post-italiano, « Italiano & oltre », v 2003, pp.
272-77.
46. Berruto, Sociolinguistica, cit., p. 24.
47. Per i problemi posti dalla panitalianità dell’italiano dell’uso medio cfr. Tullio Telmon,
Gli italiani regionali contemporanei, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni e P. Trifone,
3 voll., Torino, Einaudi, 1994, vol. iii. Le altre lingue, pp. 597-626 (p. 610): « ci sono tuttavia re
gioni in cui questi tratti – o alcuni di essi – investono l’italiano di tutte le classi sociali, di
tutte le diamesie, di tutti i gradi di formalità e di tutte le situazioni comunicative, ed altre
regioni in cui ciò non avviene: col che, viene reintrodotta dalla finestra, attraverso l’uso so
cialmente differenziato da regione a regione, quella diatopia che si era cercato di cacciare dal-
la porta ».
48. Cfr. N. De Blasi-Franco Fanciullo, La Campania, in I dialetti italiani. Storia struttura uso, a
cura di Gian Lorenzo Clivio-Manlio Cortelazzo-N. De Blasi-Carla Marcato, Torino, Utet,
2002, pp. 628-78 (pp. 645-46).
49. Per il dibattito sull’italiano dell’uso medio si vedano Arrigo Castellani, Italiano dell’uso
medio o italiano senz’aggettivi?, SLI, xvii 1991, pp. 233-56; Id., Ancora sull’ “Italiano dell’uso medio” e
l’italiano normale, ivi, xx 1994, pp. 123-26 (entrambi ora in Id., Nuovi saggi di linguistica e filologia
italiana e romanza (1976-2004), a cura di Valeria Della Valle, Giovanna Frosini, Paola Manni, L.
Serianni, 2 tomi, Roma, Salerno Editrice, 2009, to. i pp. 205-27 e 233-36); M. Berretta, Il parlato
italiano contemporaneo, in Storia della lingua italiana, cit., vol. ii. Scritto e parlato, pp. 239-70 (p. 242);
M. Dardano, L’architettura dell’italiano contemporaneo, ivi, pp. 343-430 (p. 372).
229
chiara de caprio - francesco montuori
croniche anteriori dell’italiano, che oggi, per effetto della pressione del par
lato, stanno progressivamente cambiando marca variazionale.50
A loro volta, gli enunciati 7-9 del nostro questionario sono caratterizza
ti dalla presenza di tratti tipici dell’italiano locale campano;51 in particolar
modo, i tre costrutti parrebbero avere una diversa marcatezza diastratica, in
quanto i primi due sono documentati con una certa frequenza anche nell’i
taliano informale locale delle classi medie, mentre il terzo è tipico dell’italia
no locale basso, sebbene appaia in “risalita” nel parlato informale giovani
le e possa occasionalmente occorrere nel parlato informale trascurato delle
classi medie.
Negli enunciati 10 e 11, invece, sono presenti caratteristiche morfosintat
tiche che, sulla scorta della letteratura di riferimento, possono essere consi
derate panitaliane e tipiche di varietà diastraticamente basse.52
50. Per le fasi anteriori il rinvio d’obbligo è a G. Nencioni, Costanza dell’antico nel parlato mo
derno [1987], in Id., Saggi di lingua antica e moderna, cit., pp. 281-99; P. D’Achille, Sintassi del parlato
e tradizione scritta della lingua italiana. Analisi di testi dalle Origini al secolo XVIII, Roma, Bonacci,
1990. Per la prosa italiana letteraria otto-novecentesca si veda Enrico Testa, Lo stile semplice.
Discorso e romanzo, Torino, Einaudi, 1997.
51. Sull’italiano parlato a Napoli sono state fornite prime ricognizioni di tratti morfosintat
tici e lessicali che consentono di distinguere fra « usi linguistici diversamente connotati (e
connotanti) » (N. De Blasi, Per la storia contemporanea del dialetto nella città di Napoli, « Lingua e
stile », xxxvii 2002, pp. 123-57, a p. 123). Cfr. Francesca Van Tiel-Di Maio, Osservazioni sull’italia
no in Campania, « Lingua nostra », xxxvi 1975, pp. 115-17; E. Radtke, I dialetti della Campania,
Roma, Il Calamo, 1997, pp. 103-15; Id., Napoli, ma non solo Napoli. Gli italiani regionali in Campa
nia, « Italiano & oltre », xiii 1998, pp. 189-97; De Blasi, Per la storia, cit., pp. 153-55; Id., Usi e riusi
dell’italiano locale napoletano e campano, in L’italiano e le regioni. Atti del Convegno di Udine, 15-16
giugno 2001, fasc. monografico di « Plurilinguismo. Contatti di lingue e culture », viii 2001, a
cura di Fabiana Fusco e C. Marcato, Udine, Forum, 2002, pp. 89-109; De Blasi-Fanciullo, La
Campania, cit., pp. 643-50; R. Sornicola, Italiano parlato, dialetto parlato, parlato, « Bollettino lin
guistico campano », v-vi 2004, pp. 157-72; N. De Blasi, Profilo linguistico della Campania, Roma-
Bari, Laterza, 2006, pp. 104-19.
52. Per l’attribuzione della relativa non-standard con che generico senza ripresa clitica
all’italiano popolare e all’italiano parlato informale trascurato si veda il § 6.2.7. Dinanzi all’am
pia bibliografia sull’italiano popolare si rimanda alle indicazioni di Berruto in La linguistica
italiana, cit., pp. 477-78. Per il dibattito sulle nozioni di “italiano popolare” e “italiano dei semi
colti” e per il rapporto fra italiano popolare e italiano regionale si vedano De Mauro, Storia
linguistica, cit., pp. 105-10; M. Cortelazzo Avviamento critico allo studio della dialettologia italiana, iii.
Lineamenti di italiano popolare, Pisa, Pacini, 1972; F. Bruni, Traduzione, tradizione e diffusione della
cultura: contributo alla lingua dei semicolti, in Alfabetismo e cultura scritta nella storia della società italiana.
Atti del Seminario di Perugia, 29-30 marzo 1977, Perugia, Università degli Studi, 1978, pp. 195-
234; G.C. Lepschy, L’italiano popolare [1983], in Id., Nuovi saggi di linguistica italiana, Bologna, Il
Mulino, 1989, pp. 37-50; Berruto, Sociolinguistica, cit., pp. 105-38; Id., Varietà diamesiche, diastratiche,
diafasiche, in Introduzione all’italiano contemporaneo. La variazione e gli usi, a cura di A.A. Sobrero,
230
il ruolo della grammatica fra scuola e università
Patota, pp. 193-94: « sia loro sia gli devono considerarsi forme corrette: loro è proprio
della lingua scritta e del parlato più sorvegliato, mentre gli è forma più adatta al par
lato familiare […]. In sostituzione di a loro maschile e femminile plurale, l’uso di gli
è invece ammissibile, soprattutto nell’italiano colloquiale ma anche nello scritto ».
Roma-Bari, Laterza, 1993, pp. 56-70; P. D’Achille, L’italiano dei semicolti, in Storia della lingua
italiana, cit., vol. iii. Le altre lingue, pp. 41-79.
53. G. Nencioni, Perché non ho scritto una grammatica per la scuola [1984], in Id., Saggi di lingua,
cit., pp. 221-26 (pp. 223-24).
54. In Strumenti, vol. i p. 56, i due impieghi sono posti sullo stesso piano: « nel parlato forma
le gli viene usato anche con il significato di “a lei”, “a loro”. Nel parlato accurato e negli scritti
formali quest’uso va evitato: è bene usare gli esclusivamente per il maschile singolare, le per il
femminile, loro per il plurale ».
231
chiara de caprio - francesco montuori
La forma dativale gli per il femminile singolare è indicata come tipica di re
gistri informali e se ne sconsiglia l’uso ora nelle sole varietà scritte e nel par
lato accurato (cfr. Dardano-Trifone, p. 266; Patota, p. 194) ora anche nel par
lato colloquiale:55 « decisamente da evitare anche nel parlato colloquiale è gli
per le […], che pure ha “precedenti illustri, dal Boccaccio al Machiavelli al
Carducci al Verga” (Durante 1970: 184) ».56
55. In Maiden-Robustelli, p. 102, l’impiego di gli come terza persona plurale è giudicato
proprie dell’uso informale anche colto (« […] many educated Italians now regard gli as accepta
ble both in speech and writing »), mentre si precisa che gli ‘le’ « is not generally considered accep
table, even in informal discourse » (ivi, p. 469 n. 3). Per Lepschy-Lepschy, pp. 72-73, « un dativo
invariabile gli […] per il maschile e il femminile, singolare e plurale, è sempre più comunemen
te usato ». Indicazioni sull’uso sono date anche da GGIC, vol. i p. 551 per gli ‘a lei’ e per l’impie
go delle forme gli/loro per la iii persona plurale, e da Salvi-Vanelli, pp. 197-98 per gli ‘a loro’.
56. Cfr. Serianni, § vii.38 (si rinvia a Marcello Durante, I pronomi personali in italiano contem
poraneo, « Bollettino del Centro di studi filologici e linguistici siciliani », xi 1970, pp. 180-201).
Cfr. anche Sabatini, L’italiano dell’uso medio, cit., p. 158; Nencioni, Costanza dell’antico, cit., pp.
291-92; Serianni, Prima lezione, cit., pp. 12-13. Una completa disamina del trattamento di gli ‘a
lei’ nelle grammatiche e nei repertori lessicografici è in Salvatore Claudio Sgroi, Qualche rifles
sione sulla nozione di ‘grammatica’, « Studi di grammatica italiana », xxiv 2005, pp. 323-57 (pp. 330-
43). Per la storia di loro e l’oscillazione d’uso con gli, documentata già in testi del Duecento, cfr.
Michele Loporcaro, Il pronome ‘loro’ nell’Italia centro-meridionale e la storia del sistema pronominale
romanzo, « Vox Romanica », lxi 2002, pp. 48-116 (p. 51).
57. Per l’argomento si limita il rinvio bibliografico a R. Sornicola, Sul parlato, Bologna, Il
Mulino, 1981; D’Achille, Sintassi del parlato, cit., pp. 91-203; Paola Benincà, Sintassi, in Introduzio
ne all’italiano contemporaneo. Le strutture, a cura di A.A. Sobrero, Roma-Bari, Laterza, 1993, pp.
247-90; P. Benincà-G. Salvi-Lorenza Frison, L’ordine degli elementi della frase e le costruzioni marca
te, in GGIC, vol. i pp. 129-239.
58. Cfr., per es., Dardano-Trifone, pp. 505-27; GGIC, vol. i pp. 129-239; Salvi-Vanelli, pp.
297-313; Prandi, pp. 161-70.
232
il ruolo della grammatica fra scuola e università
233
chiara de caprio - francesco montuori
234
il ruolo della grammatica fra scuola e università
66. La scelta del modo in dipendenza dalle completive dipende da una serie di fattori, solo
in alcuni casi di natura stilistica. Accanto alle grammatiche di riferimento del corpus si vedano
anche GGIC, vol. ii pp. 422-23 e 431-53; Salvi-Vanelli, pp. 251-59; Prandi, pp. 149-55.
67. Quanto alle grammatiche per stranieri del nostro corpus, per Maiden-Robustelli, p. 327,
« a rule which must be observed in formal registers of Italian – but it less consistently observed
in informal usage – is that a verb of a subordinate clause appears in the subjunctive if it is in
troduced by a main clause expressing a belief/opinion/mental impression that […] »; per
Lepschy-Lepschy, p. 75, « il congiuntivo perde terreno, a favore dell’indicativo, nelle proposi
zioni dipendenti, secondo l’uso parlato familiare, come in credo che parte, spero che sta bene; que
ste costruzioni sono evitate nell’uso letterario formale » (ulteriori rilievi alle pp. 204-5).
68. Berruto, Sociolinguistica, cit., pp. 70-71, ove lo studioso precisa che « è piuttosto normale
trovarla [la sostituzione dell’indicativo al congiuntivo] categorica in un parlante romano,
mentre in parlanti settentrionali ve ne saranno tracce (ma si tratta di una variabile anche in
relazione con l’asse diastratico e in parte diafasico […]) ». L’idea che il fenomeno abbia origine
tra i parlanti meridionali è già in De Mauro, Storia linguistica, cit., pp. 393 e 401. La valutazione
della variabilità diamesica pare cruciale: a seguito dell’analisi di un campione di italiano del
linguaggio giornalistico, Ilaria Bonomi documenta una buona tenuta del congiuntivo e sotto
linea che le « indicazioni complessive del materiale […] parlano a sfavore di una caratterizza
zione diatopica dell’uso dell’indicativo » (I. Bonomi, I giornali e l’italiano dell’uso medio, « Studi di
grammatica italiana », xv 1993, pp. 181-201, a p. 197).
69. Cfr., da ultimo, la discussione in V. Della Valle-G. Patota, Viva il congiuntivo! Come e
quando usarlo senza sbagliare, Milano, Sperling & Kupfer, 2009. Cfr. inoltre Francesca Santulli, Il
congiuntivo italiano: morte o rinascita?, « Rivista italiana di linguistica e dialettologia », xi 2009, pp.
151-80.
70. Serianni, Prima lezione, cit., p. 54. Cfr. anche M. Durante, Dal latino all’italiano moderno.
Saggio di storia linguistica e culturale, Bologna, Zanichelli, 1981, pp. 272-73; Cortelazzo, L’italiano che
si muove, cit., pp. 98-99. Per i testi antichi si tenga conto di Franca Brambilla Ageno, Il verbo
nell’italiano antico, Milano-Napoli, Ricciardi, 1964, pp. 327-33; Antonella Stefinlongo, Completi
235
chiara de caprio - francesco montuori
va col congiuntivo e con l’indicativo in italiano antico, « Critica », v 1977, pp. 253-77; Maria Silvia Rati,
L’alternanza tra indicativo e congiuntivo nelle proposizioni completive. Sondaggi sulla prosa italiana del
Due-Trecento, « Studi di grammatica italiana », xxiii 2004, pp. 1-59; Ead., Indicativo e congiuntivo
nella poesia delle origini: le proposizioni completive, in Studi linguistici per Luca Serianni, a cura di V.
Della Valle e P. Trifone, Roma, Salerno Editrice, 2007, pp. 481-93.
71. Sabatini, L’italiano dell’uso medio, cit., p. 167.
72. Cfr. Raffaello Fornaciari, Sintassi italiana dell’uso moderno, Firenze, Sansoni, 1881, parte i,
cap. xxiii, con esempi da Dante e Giovanni Villani.
73. Cfr. Dardano-Trifone, p. 311; Salvi-Vanelli, p. 203.
74. Cfr. Telmon, Varietà regionali, cit., p. 119; De Blasi-Fanciullo, Campania, cit., p. 646; Sor
nicola, Italiano parlato, cit., p. 161; Lo Duca, Lingua italiana, cit., p. 82 (ma il fenomeno è registra
to anche come tratto tipico del parlato nazionale a p. 101).
75. Cfr. Gerhard Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, 3 voll., Torino,
Einaudi, 1966-1969, § 640; Loise De Rosa, Ricordi, a cura di Vittorio Formentin, 2 voll., Roma,
Salerno Editrice, 1998, vol. ii p. 387. Contrariamente al comportamento che hanno in italiano,
questi verbi in dialetto selezionano sempre l’ausiliare avere (cfr. Adam Ledgeway, Grammatica
diacronica del napoletano, Tübingen, Niemeyer, 2009, § 15.1.1.3.3).
236
il ruolo della grammatica fra scuola e università
237
chiara de caprio - francesco montuori
Al che indeclinato senza ripresa clitica fanno cenno solo quei testi scolasti
ci che sono particolarmente propensi alla descrizione di costrutti giudicati
poco accettabili dal punto di vista sociolinguistico: esplicita condanna del che
indeclinato è, per esempio, in Sensini (vol. i pp. 168 e 354) e in Regole (vol. i
p. 102). Nelle grammatiche di consultazione, per le relative con che indecli
le e l’emergenza dei clitici accusativali in funzione dativale non è altro che casuale » (Ledge
way, Grammatica, cit., § 23.2.2.3).
81. Si noti inoltre che in italiano, coi verbi transitivi, i costrutti con dislocazione presentano
asimmetria fra le prime due persone e la terza. Quando è anticipato il pronome di prima o di
seconda persona la marca preposizionale è possibile anche coi verbi transitivi: Me, non mi
chiama nessuno/A me, non mi chiama nessuno (verbo transitivo), A me, non mi telefona nessuno (ver
bo intransitivo); quando invece il pronome è di terza persona, la marca è solo con i verbi in
transitivi: Lui, non lo chiama nessuno [verbo transitivo] e A lui, non gli telefona nessuno (verbo in
transitivo) (cfr. GGIC, vol. i pp. 169-70). Nella varietà locale di italiano la differenza di com
portamento fra transitivi e intransitivi è annullata in tutte le persone: A lui, non lo chiama nessu
no e A lui, non lo telefona nessuno.
82. L’uso transitivo di verbi inaccusativi « non è affatto infrequente » nelle varietà dialettali
meridionali (cfr. Ledgeway, Grammatica, cit., § 23.2.2.5, con esempi di salire a p. 851; si veda an
che per il napoletano Sornicola, Campania, cit., p. 337); per l’italiano regionale cfr. De Mauro,
Storia linguistica, cit., p. 400; Telmon, Varietà regionali, cit., p. 126.
238
il ruolo della grammatica fra scuola e università
nato (con o senza ripresa) resta un giudizio di forte inaccettabilità: per esem
pio in Patota (p. 208) si legge che « incoerenze di questo tipo [la ragazza che ti
ho parlato] vanno assolutamente evitate, ricordando che, se il pronome rela
tivo indica un complemento indiretto, la forma da usare è cui, non che ». Di
stinguono fra « diversi gradi di accettabilità » Dardano-Trifone (p. 283): il
tipo che abbiamo proposto nel questionario, privo di ripresa clitica, è mar
cato « in senso popolare (e come tale da evitare nello scritto) ». A loro volta,
Gaetano Berruto e Monica Berretta escludono il che relativo invariabile, con
o senza ripresa, dal neo-standard, giudicandolo tipico dell’italiano parlato
colloquiale molto informale e dell’italiano popolare.83 In tempi più recen
ti, Giovanna Alfonzetti ha documentato come la « relativa su complementi
preposizionali costruita con che, con o senza ripresa clitica […], si insinui nei
registri più formali dei parlanti colti », entrando a « far parte di quel processo
di promozione di tratti substandard o non-standard che caratterizza la ri
standardizzazione dell’italiano contemporaneo ».84
83. Berruto, Sociolinguistica, cit., p. 128 (con gerarchia dei paradigmi dei costrutti relativi nelle
varietà dell’italiano), e Berretta, Il parlato, cit., p. 254. Anche in Maiden-Robustelli, p. 133, le re
lative con che generico sono giudicate tipiche dell’italiano popolare: « While these construc
tions will be widely encountered in speech, they are somewhat stigmatized and are probably
best avoided by foreign learners »; Lepschy-Lepschy, pp. 115-16, esaminano l’uso del relativo
indeclinato, distinguendo fra diversi gradi di accettabilità e dando conto della “storia” della
relativa non-standard nell’italiano: « Ricordo il giorno che sei arrivato […]; qui l’uso di che per in cui
o quando […], è considerato grammaticalmente corretto. Ci sono molti esempi in cui che (da
solo, o con un pronome personale indiretto, per es. che gli) sostituisce un pronome relativo in
diretto (per es. a cui); questo uso ha una tradizione letteraria che risale alle origini della lettera
tura italiana, ed è diffuso oggi nell’italiano parlato di tono familiare; si trova perciò spesso anche
in romanzi moderni, soprattutto nel dialogo […]. Questa costruzione è normalmente conside
rata agrammaticale ». In tempi più recenti, la relativa con che indeclinato con ripresa clitica è
descritta da GGIC, vol. i pp. 482 e 497 (Guglielmo Cinque, La frase relativa); Salvi-Vanelli, p.
292; Prandi, p. 157, che propone il confronto con le strategie di relativizzazione di altre lingue.
84. Alfonzetti, La relativa non-standard, cit., p. 163. Per le fasi antiche il rimando è ancora a
D’Achille, Sintassi del parlato, cit., pp. 205-60; Nencioni, Costanza dell’antico nel parlato moderno,
cit., pp. 289-91. Per le tipologie dei costrutti cfr. Giuliano Bernini, Tipologia delle frasi relative ita
liane e romanze, in L’italiano fra le lingue romanze. Atti del xx Congresso internazionale di studi
della Società di linguistica italiana, Bologna, 25-27 settembre 1986, a cura di Fabio Foresti, Ele
na Rizzi, Paola Benedini, Roma, Bulzoni, 1989, pp. 85-98. Sulle strategie di relativizzazione nei
dialetti d’Italia cfr. Michela Cennamo, Relative Clauses, in The Dialects of Italy, cit., pp. 190-201.
239
chiara de caprio - francesco montuori
Per gli enunciati che contengono tratti di media e bassa formalità, ben at
testati nella varietà neo-standard dell’italiano, si hanno i seguenti risultati:
1. Le ha comprate Maria, le uova.
LM
comprensibile per 100 (76,3%);
corretto per 43 (32,8%);
impiegato nello scritto per 26 (19,8%);
85. « Mentre questo [= Puoti] […] aveva incluso nei “modi da fuggirsi” l’esempio di ci parlo
per parlo a lui, Petrocchi, Morandi-Cappuccini e Mariani distinguevano il “caso complesso in
cui si possa sottintendere con te/voi/lui” e lo ritengono ammissibile » (M. Catricalà, L’italiano tra
grammaticalità e testualizzazione. Il dibattito linguistico-pedagogico del primo sessantennio post-unitario,
Firenze, Accademia della Crusca, 1995, pp. 105-6). Anche nei repertori lessicografici il signifi
cato dativale di ci è indicato come popolare o dialettale: cfr. GRADIT, s.v. ci 1 § ii.2. Maiden-
Robustelli, p. 104, per ci ‘a lui, a loro’ osservano: « When a noun phrase preceded by the prepo
sition a denotes a person the indirect object pronouns gli, le, loro are preferable […]. Use of ci
with reference to persons is characteristic of popular and colloquial styles (glielo dico rather ce
lo dico, etc.) ». Lepschy-Lepschy, pp. 72-73, accennano alla tendenza dell’italiano popolare ad
utilizzare il clitico ci come pronome dativale per tutti i generi e numeri.
86. Per l’italiano locale e popolare di Napoli si rimanda a De Blasi, Per la storia, cit., pp. 153-
55; De Blasi-Fanciullo, Campania, cit., pp. 644-50. La progressiva diffusione di (n)ce dativale nel
dialetto napoletano (contro i concorrenti esiti di illi, illis) è documentata da Ledgeway,
Grammatica, cit., § 8.3.1.2.
240
il ruolo della grammatica fra scuola e università
LC
comprensibile per 67 (97,1%);
corretto per 28 (40,6%);
impiegato nello scritto per 9 (13%);
TOT
comprensibile per 167 (83,5%);
corretto per 71 (35,5%);
impiegato nello scritto per 35 (17,5%).
241
chiara de caprio - francesco montuori
Per gli enunciati con tratti ben acclimatati nell’italiano locale di Napoli si
hanno i seguenti dati:
7. Hai chiamato a Luca?
LM
comprensibile per 126 (96,1%);
corretto per 16 (12,2%);
impiegato nello scritto per 19 (14,5%);
242
il ruolo della grammatica fra scuola e università
LC
comprensibile per 66 (95,6%);
corretto per 7 (10,1%);
impiegato nello scritto per 7 (10,1%);
TOT
comprensibile per 192 (96%);
corretto per 23 (11,5%);
impiegato nello scritto per 26 (13%).
9. Puoi telefonarlo?
LM
comprensibile per 111 (84,7%);
corretto per 73 (55,7%);
impiegato nello scritto per 71 (54,2%);
LC
comprensibile per 67 (97,1%);
corretto per 40 (58%);
impiegato nello scritto per 40 (58%);
TOT
comprensibile per 178 (89%);
corretto per 113 (56,5%);
impiegato nello scritto per 111 (55,5%).
Per gli enunciati con tratti substandard panitaliani, invece, i risultati sono i
seguenti:
10. Quella è la ragazza che ti ho parlato.
LM
comprensibile per 84 (64,1%);
corretto per 6 (4,5%);
243
chiara de caprio - francesco montuori
244
il ruolo della grammatica fra scuola e università
87. I tre enunciati privi di elementi marcati sono: 12. Hai notato che anche lui ha le scarpe blu?;
13. Per favore, puoi chiudere la finestra?; 14. Potrei dare un’occhiata al suo giornale?. L’unico dato sor
prendente è relativo al n° 13, giudicato come corretto “solo” dall’82% del campione. Probabil
mente sul giudizio di correttezza ha pesato non solo l’atteggiamento psicologico di ricerca
dell’errore, ma anche l’insensibilità alla varietà degli stili possibili dell’interrogazione, alla cui
equipollenza grammaticale corrispondono diverse specializzazioni pragmatiche. Nel caso
specifico sembra chiaro che i modelli di giudizio degli studenti siano fondati su frasi caratte
rizzate dall’espressione più accurata della formalità: l’allocutivo di seconda persona e l’assenza
del condizionale, attesi come necessari ingredienti della cortesia, comportano un giudizio di
scorrettezza. Un’efficace conferma è fornita dall’enunciato 14. Potrei dare un’occhiata al suo gior
nale?, che riscuote un giudizio di correttezza del 98,5%.
88. Cfr. ad es. il giudizio su 4. Se sapevo che eri in difficoltà, ti aiutavo, enunciato corretto solo
per il 27,5% del campione, o su 5. Penso che fai male a non ascoltare i consigli di tuo fratello, corretto
per il 59,5%.
89. In direzioni opposte, i casi più chiari sono l’enunciato 6. Mi sono mangiato una pizza e mi
sono bevuto una birra ghiacciata, giudicato corretto solo dal 5% del campione; 8. Hai salito la valigia
che ho lasciato vicino all’ascensore? e 9. Puoi telefonarlo? riportano giudizi di correttezza relativa
mente più alti, il 45,5% e il 56,5%.
90. Per la definizione della norma trasmessa dagli insegnanti come norma sommersa cfr. L.
Serianni, La norma sommersa, « Lingua e stile », xlii 2007, pp. 283-95 (p. 284); L. Serianni-Giusep
pe Benedetti, Scritti sui banchi. L’italiano a scuola tra alunni e insegnanti, Roma, Carocci, 2009, pp.
65-68. Una tripartizione delle valutazioni della norma in « agrammaticalità; possibilità di più
esecuzioni equipollenti; casi d’incertezza » è delineata in Serianni, Prima lezione, cit., p. 42. I
modelli grammaticali dei docenti si manifestano nel lungo lavoro di correzione degli elabora
ti scolastici (e hanno ripercussioni nella relativa riflessione sulle regole cui sono invitati gli
studenti): cfr. Serianni-Benedetti, Scritti sui banchi, cit.; rinvii bibliografici utili anche in Sgroi,
Qualche riflessione, cit.
246
il ruolo della grammatica fra scuola e università
stiche per gli italiani regionali,91 circa la metà degli studenti giudica corretti
gli enunciati nni 8-9, dei quali non riconosce la marcatezza diatopica,92 al
punto che si può parlare di forme di “regionalizzazione” della norma.93 In
vece l’oggetto preposizionale (n° 7), sebbene sia nell’uso locale, comunque
resta estraneo alla norma di riferimento degli studenti, come dimostra il giu
dizio di scorrettezza dato da quella parte significativa del campione che ne
ha riconosciuto l’estraneità alla varietà nazionale di italiano.94 Anche in que
sto caso i risultati dipendono dalla prassi didattica, perché a scuola i frutti
dell’interferenza tra lingua e dialetto, se riconosciuti, vengono sempre asse
gnati a un’interlingua di scarso prestigio sociale o direttamente alla varietà
linguistica locale, e quindi comunque debitamente sanzionati.95
91. È facile constatare che talvolta gli esercizi, se proposti in modo generico, mirando a
eliminare alcuni comportamenti di deviazione dalla norma che hanno una diffusione solo
regionale, risultano essere del tutto scontati per gli studenti delle altre parti d’Italia.
92. Si fa riferimento ai due enunciati nni 8 e 9: Hai salito la valigia che ho lasciato vicino all’ascen
sore? e Puoi telefonarlo?, corretti per il 45,5% e 56,5% del campione.
93. Cfr. G.C. Lepschy, Popular Italian: Fact or Fiction?, in Id., Mother Tongues and other reflections
on the Italian Language, Toronto, Univ. of Toronto Press, 2002, pp. 49-69; Sobrero, Nell’era del
post-italiano, cit., pp. 274-75; Sgroi, Qualche riflessione, cit., p. 325.
94. Come si è detto, la percentuale di correttezza dell’oggetto preposizionale (n° 7) è solo
dell’11,5%.
95. Della “repressione” scolastica del lessico regionale è esempio non dimenticato il capi
tolo A ciascuno il suo in L’idioma gentile di De Amicis (1905). Nel secolo XIX « gli autori dei ma
nuali di provincialismi, nel perseguire un puro italiano, constatano spesso, con disappunto, l’esi
stenza di una varietà intermedia (che oggi definiremmo italiano regionale) » ritenuta “arbi
traria”: ne consegue che l’involontaria interferenza regionale era severamente sanzionata (for
se perfino più dello stesso dialetto), proprio perché più difficilmente controllabile da parte
del discente (N. De Blasi, L’italiano parlato e la scuola tra Ottocento e Novecento, in Langue parlée et
langue écrite dans le présent et dans le passé, a cura di Rika Van Deyck, R. Sornicola e Johannes
Kabatek, fasc. monografico di « Communication & Cognition », xxxvii 2004, pp. 25-53, a p. 34).
L’ampia area della dialettizzazione dell’italiano, favorita nei casi di relativa vicinanza tipologica
dei due sistemi, comporta effetti sistemici sui codici in contatto (cfr. Italiano, italiani regionali e
dialetti, a cura di A. Cardinaletti e Nicola Munaro, Milano, Franco Angeli, 2009), ma anche una
percezione polare del repertorio linguistico, con il conseguente “schiacciamento” dell’italiano
regionale verso il dialetto (cfr. T. Telmon, Una ricerca sulla percezione dei parlanti circa i rapporti tra
italiano e dialetto, in Gli italiani e la lingua, a cura di Franco Lo Piparo e Giovanni Ruffino, Paler
mo, Sellerio, 2005, pp. 229-54, in partic. a p. 233).
247
chiara de caprio - francesco montuori
è pur vero che, in enunciati fuori contesto come quelli del questionario sot
toposto agli studenti, il giudizio di incomprensibilità può essere una marca
di sanzione estrema.
Gli enunciati non sono strutturalmente ambigui, sono lessicalmente tra
sparenti e hanno significati « desumibili dal significato delle parti ».97 Eppure
solo in pochissimi casi si ha un giudizio del 100% di comprensibilità, e solo
su una porzione del campione.98 Si osservano due dati fondamentali:
a) gli studenti di Lettere Classiche danno un giudizio di comprensibilità
percentualmente sempre superiore ai colleghi di Lettere Moderne;99
b) nel complesso, i giudizi di comprensibilità sono attribuiti in modo
scalare: sono molto vicini al 100% per alcuni costrutti influenzati dalla sin
tassi dialettale (nni 8-9)100 e per altri che presentano una scelta dei modi ver
bali del tutto “naturale” nel parlato (nni 4 e 5);101 sono meno frequenti per
quegli enunciati che presentano un ordine marcato dei costituenti (nni 1, 2 e
3);102 sono inferiori al 70% per i tratti popolari dell’italiano (nni 10 e 11).103
96. Cfr. Claudio Marazzini, Sulla norma dell’italiano moderno. Con una riflessione sull’origine e
sulla legittimità delle “regole” secondo gli antichi grammatici, « Lingua italiana d’oggi », iii 2006, pp.
85-101 (p. 99).
97. Gli enunciati quindi non hanno particolare forza pragmatica: cfr. Simone, Fondamenti,
cit., p. 506.
98. Sono l’enunciato n° 4 per gli studenti di Lettere Moderne; i nni 8, 12 e 13 per gli iscritti
a Lettere Classiche. I tre enunciati non marcati (nni 12-14) raggiungono valori complessivi
molto alti, oscillanti tra il 97% e il 98,5%.
99. Le uniche eccezioni, per quantità trascurabili, sono gli enunciati nni 4 e 7.
100. I valori totali di comprensibilità sono 96% per l’enunciato con accusativo preposizio
nale (n° 7) e 95% per quello con salire (n° 8), mentre per il tipo lo telefono (n° 9) ci si ferma
all’89%; si aggiunga che per i verbi transitivi pronominali (n° 6) il dato della comprensibilità
raggiunge l’88%.
101. Gli enunciati nni 4 e 5, sugli usi dell’imperfetto indicativo nel costrutto ipotetico dell’ir
realtà e del congiuntivo nelle completive, riportano rispettivamente il 99,5% e il 96,5% di
giudizi di comprensibilità.
102. Per gli enunciati nni 1, 2 e 3, che presentano la dislocazione di un costituente argomen
tale, i valori della comprensibilità sono l’83,5, l’84 e l’87%.
103. L’enunciato n° 10 (relativo indeclinato senza ripresa clitica) è comprensibile per il
67,5% del campione; il n° 11 (ci ‘gli’) è comprensibile per il 79,5%.
248
il ruolo della grammatica fra scuola e università
249
chiara de caprio - francesco montuori
106. Gli studenti di Lettere Classiche non giudicano mai un enunciato non comprensibile
ma corretto. Nel campione di Lettere Moderne ciò accade raramente; oltre all’insignificante
0,7% negli enunciati nni 8 e 9, si hanno due casi più “inquietanti”: per il 5,3% degli studenti di
Lettere Moderne che giudicano non comprensibile ma corretto l’enunciato n° 1 (Le ha compra
te Maria, le uova) si può invocare come giustificazione il fatto che tale risposta occorre nel pri
mo enunciato del questionario e poi non si ripete, come se fosse un’incertezza di esordio;
francamente più difficile da spiegare è il 3,1% di studenti che hanno risposto di giudicare non
comprensibile ma corretto l’enunciato n° 6 (Mi sono mangiato una pizza e mi sono bevuto una bir
250
il ruolo della grammatica fra scuola e università
ra ghiacciata): si può solo ricordare che tali dati derivano da quella parte del campione cui non era
stata spiegata cosa si dovesse intendere per comprensibilità.
107. La prassi di eliminare negli elaborati degli studenti caratteristiche dei registri collo
quiali talvolta « nasce da pulsioni ipercorrettistiche » e quindi occorre anche quando tali tratti
siano imposti dal tipo di prova scelta dal docente (cfr. L. Serianni, Gli insegnanti, i temi, la “forma”,
in Perché la grammatica?, cit., pp. 51-66, a p. 53). I costrutti oralizzanti nelle grammatiche sono del
tutto omessi oppure “descritti” in parti del libro di testo poco utilizzate nella didattica.
108. L’enunciato n° 1, che presenta dislocazione a destra dell’oggetto diretto, ha un valore
di giudizi di correttezza molto più alto degli altri due, in cui l’argomento dislocato è un ogget
to indiretto.
251
chiara de caprio - francesco montuori
Gli studenti di Lettere Moderne, quindi, sebbene non siano stati pre
ventivamente istruiti come i loro colleghi, hanno lasciato che il loro giudi
zio di comprensibilità variasse in funzione di quello sulla correttezza in
modo affine a quello degli allievi iscritti al corso di laurea in Lettere Clas
siche.
252
il ruolo della grammatica fra scuola e università
109. Ciò è particolarmente chiaro nei pochissimi studenti che affermano di usare nello
scritto il che indeclinato (n° 10): si tratta di una minoranza che considera tale tratto substandard
corrispondente alla norma dell’italiano e quindi lo giudica corretto. I sei studenti di Lettere
Moderne che giudicano corretto e dichiarano che utilizzerebbero nello scritto un relativo
indeclinato sono gli stessi: tre hanno il diploma del Liceo Scientifico, uno del Classico e due
provengono da Istituti tecnici; dei tre studenti di Lettere Classiche che giudicano corretto l’e
nunciato, due lo userebbero nello scritto.
110. Come si è visto al § 6.3, solo quindici studenti di Lettere Classiche giudicano corretto
l’enunciato n° 4 (Se sapevo che eri in difficoltà, ti aiutavo): di questi, tredici (più altri due) ne nega
no la scrivibilità.
111. Solo una minima percentuale di allievi (2%) afferma il contrario, cioè che, talvolta, non
utilizza nello scritto ciò che giudica corretto (evidentemente nel parlato).
112. Nell’enunciato n° 1 (Le ha comprate Maria, le uova), gli studenti distinguono e diversifi
cano nettamente il giudizio sulla correttezza (35,5%) da quello sulla scrivibilità (17,5%). Una
forbice significativa tra i due giudizi (rispettivamente del 45,5% e del 37%) è ancora nell’enun
ciato n° 8 (Hai salito la valigia che ho lasciato vicino all’ascensore? ), il terzo nell’ordine del questiona
rio. Esiste anche un piccolissimo gruppo di studenti che dinanzi al secondo enunciato della
tabella, il n° 7 (Hai chiamato a Luca?), risponde « è scorretto ma io lo scrivo lo stesso », manife
stando una prevaricazione dell’uso parlato o dello scritto oralizzante a scapito della norma
dell’italiano scritto appresa a scuola.
253
chiara de caprio - francesco montuori
7. La definizione di dialetto
Ultimo spunto della nostra analisi è la valutazione dei giudizi espressi da
gli studenti sulla variazione linguistica nello spazio. Come è noto, la diato
pia ha importanti implicazioni nello studio del repertorio dell’italiano e dun
que non è sorprendente che sia entrata con forza nella rinnovata pedagogia
linguistica e sia stata recepita nei programmi della scuola superiore.
Nell’esame degli enunciati caratterizzati da tratti con più marcata conno
tazione diatopica, si è rilevato che una percentuale significativa di studenti
giudica corrette forme regionali francamente popolari (§ 6.3.1). La scarsa
coscienza dei fenomeni di interferenza tra dialetti locali e italiano appare
meno sorprendente se correlata con la percezione puramente esperienziale
dello spazio linguistico italiano, giudicato senza alcuna consapevolezza cul
turale.113
Infatti, anche alle domande che richiederebbero più articolate cognizio
ni sulla situazione linguistica italiana e sul plurilinguismo dialettale gli stu
denti non sanno rispondere in modo soddisfacente. In particolare, al quesito
« In che modo spiegheresti ad uno straniero che cosa sono i dialetti italiani? »
(massimo 50 parole) si leggono le seguenti risposte:
LM
Non risponde 49 (37,4%)
Lingue (parlate) locali 37 (28,2%)
Varietà regionali dell’italiano 25 (19,1%)
Lingue (parlate) locali in contatto con l’italiano 12 (9,2%)
Varietà arcaiche di lingua 3 (2,3%)
Altro 5 (3,8%)
LC
Non risponde 10 (14,5%)
113. Cfr. G. Ruffino, L’indialetto ha la faccia scura. Giudizi e pregiudizi linguistici dei bambini italia
ni, Palermo, Sellerio, 2006, soprattutto alle pp. 35-51.
254
il ruolo della grammatica fra scuola e università
È rilevante che il 30% del campione non risponda e che un altro quarto degli
studenti creda che i dialetti siano varietà locali di italiano: di fatto, metà degli
allievi mostra di essere giunto all’Università senza sapere cosa sia realmente
un dialetto, mentre quella parte del campione che dà una risposta accettabi
le non è in grado di fornire adeguata profondità storica e indicazioni sull’uso
e sul contatto tra i codici.
A dispetto della persistente vitalità dei dialetti,114 dunque, le risposte dei
nostri allievi inducono a pensare che il loro percorso di studi non abbia pre
visto momenti di riflessione dedicati alla presenza dei dialetti nel repertorio
linguistico e che sia mancata una didattica contrastiva che affinasse le capa
cità di riconoscere quanto appartiene alle lingue locali, quanto alle varietà
regionali dell’italiano e quanto allo standard.115
Dato il ruolo che i dialetti hanno nella storia linguistica e letteraria ita
114. Sulle prospettive della presenza dei dialetti nel repertorio linguistico degli italiani non
c’è identità di vedute tra gli studiosi, soprattutto nella valutazione dei mutamenti indotti da
fenomeni strutturali, quali la regionalizzazione o l’italianizzazione dei dialetti, o da eventi di
carattere sociale, come il “decadimento”, l’abbandono o le “risorgenze” delle parlate locali. In
dagini originali e puntualizzazioni sui parametri da utilizzare per misurare la vitalità di tali lin
gue sono in G. Berruto, Come si parlerà domani: italiano e dialetto, in Come parlano gli italiani, a cura
di T. De Mauro, Firenze, La Nuova Italia, 1994, pp. 15-24; Bruno Moretti, Ai margini del dia
letto. Varietà in sviluppo e varietà in via di riduzione in una situazione di ‘inizio di decadimento’, Bellin
zona, Osservatorio Linguistico della Svizzera Italiana, 1999; A.A. Sobrero-Annarita Miglietta,
Creatività lessicale e vitalità dei dialetti: dall’agonismo all’agonia, « Rivista italiana di dialettologia »,
xxix 2005, pp. 7-27; G. Berruto, Quale dialetto per l’Italia del Duemila? Aspetti dell’italianizzazione e
risorgenze dialettali in Piemonte e altrove, in Lingua e dialetto nell’Italia del Duemila, a cura di A.A.
Sobrero e A. Miglietta, Galatina, Congedo, 2006, pp. 101-27. Cfr. il riepilogo di M. Loporcaro,
Profilo linguistico dei dialetti italiani, Roma-Bari, Laterza, 2009, pp. 171-82.
115. Sull’importanza dei dialetti nella didattica dell’italiano cfr. P. Bianchi, Dialetti e scuola, in
I dialetti italiani, cit., pp. 977-92. Una recente esortazione alla pratica contrastiva è in Pietro
Maturi-Fabio M. Risolo, Il dialetto è un plus, « Italiano & oltre », xvi 2001, pp. 100-3 (p. 103).
255
chiara de caprio - francesco montuori
8. Conclusioni
116. Sul ruolo del dialetto nel repertorio linguistico italiano, cfr. da ultimo Mari D’Agosti
no, Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo, Bologna, Il Mulino, 2007, in partic. i capp. vi-viii.
Sull’articolazione “lingua-dialetto”, costitutiva e fondante nella storia letteraria italiana, si ve
da da ultimo N. De Blasi, Uso letterario del dialetto, in Enciclopedia dell’Italiano, a cura di R. Simo
ne, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, i.c.s.
117. Si veda al proposito il primo capitolo di Corrado Grassi-A.A. Sobrero-T. Telmon, Fon
damenti di dialettologia italiana, Bari-Roma, Laterza, 1997, pp. 3-31.
118. Come ha notato da ultimo L. Serianni nel suo intervento al xvi Convegno nazionale
GISCEL La grammatica a scuola. Quando? Come? Quale? Perché?, Padova, 4-6 marzo 2010, dal ti
tolo Dal testo di grammatica alla grammatica in atto.
119. Si veda Lo Duca, Lingua italiana, cit., pp. 176-77. Per gli stimoli a insegnare una gram
matica “ragionevole” e per alcuni sviluppi concreti cfr. risp. Lorenzo Renzi, Una grammatica
ragionevole per l’insegnamento, in Id., Le piccole strutture, linguistica, poetica, letteratura, Bologna, Il
Mulino, 2008, pp. 207-34 (ed. or. 1977), e M.G. Lo Duca, Esperimenti grammaticali. Riflessioni e
proposte sull’insegnamento della grammatica dell’Italiano, Roma, Carocci, 20042.
256
il ruolo della grammatica fra scuola e università
120. Come notano Serianni-Benedetti, L’italiano sui banchi, cit., p. 65, « alcune prescrizioni
particolari, senza effettivo fondamento nella grammatica o negli usi reali della lingua, si tra
smettono con una costanza degna di miglior causa nel corso delle generazioni attraverso le
aule scolastiche: è quello che è stato chiamato sprezzantemente ‘italiano delle maestre’ ».
121. Livio Petrucci, Il problema delle Origini, in Storia della lingua italiana, cit., vol. iii. Le altre
lingue, pp. 5-73 (p. 8).
122. N. De Blasi, Piccola storia della lingua italiana, Napoli, Liguori, 2008, p. 12.
123. Lingua italiana, scuola, sviluppo, cit., p. 9.
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chiara de caprio - francesco montuori
Chiara De Caprio
Francesco Montuori
124. Cfr. E.Li.C.A., cit. Per es. in G. Basile-A.R. Guerriero-Sergio Lubello, Competenze lin
guistiche per l’accesso all’Università, Roma, Carocci, 2006, si propone la gestione del lessico, delle
tipologie testuali e della relativa scrittura come competenze di accesso all’università.
125. Nella didattica curriculare universitaria interventi operativi che rafforzino gli usi lin
guistici orali e scritti possono essere un risultato realizzabile come effetto secondario di atti
vità tese a conseguire specifici obiettivi, per esempio l’insegnamento dell’uso professionale
della scrittura. Si tratta, quindi, di finalità di altra natura rispetto ai temi qui trattati e di inte
resse molto più generale, perché la capacità di realizzare una scrittura corretta ed efficace in
fluisce sullo svolgimento di quasi tutte le attività professionali. Un esempio è in Dora De
Maio, L’italiano dei (super?)colti: la lingua dei docenti universitari, « Lingua italiana d’oggi », iv 2007,
pp. 133-91.
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il ruolo della grammatica fra scuola e università
consentono di riflettere sui requisiti necessari per l’educazione linguistica di livello uni
versitario e in previsione di una più specifica formazione di abilitazione all’insegnamen
to. A margine della discussione sui dati del campione, sono svolte alcune considerazioni
sui contenuti e sui metodi dell’insegnamento della grammatica a scuola e all’università e
sulla funzione che la conoscenza delle strutture della lingua dovrebbe avere nella forma
zione degli studenti delle facoltà umanistiche.
The essay analyzes the answers given to a questionnaire by a group of first-year students in Hu
manities at the University of Naples « Federico II » during the academic year 2008-2009. Its main aim
is to assess the students’ grammatical competence and the metalinguistic abilities developed by them at
the secondary school. The results allow the authors to reflect upon the prerequisites of a university lin
guistic education and are also useful to identify the abilities essential to their teaching qualification. In
addition to this, the essay makes some remarks about the teaching of grammar at schools and universi
ties and underlines the role that the knowledge of language structures should have for undergraduates
in Humanities.
259