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IL RUOLO DELLA GRAMMATICA

NELLA FORMAZIONE LINGUISTICA


FRA SCUOLA E UNIVERSITÀ*

1. Premessa

Come per altre discipline del curricolo degli studi, anche per la gram­
matica dell’italiano vale una regola generale: se sia opportuno insegnarla a
scuola è una questione fondamentalmente politica, che dipende da ciò che si
intende per educazione e formazione dell’individuo e dagli obiettivi che ci si
propone perché ognuno possa realizzarsi in relazione ai propri desideri e alle
proprie attitudini.1 Tutt’altro problema è, invece, quello che riguarda i modi
e i contenuti che devono essere trasmessi nell’insegnamento della gramma­
tica stessa, che pertengono agli specialisti della disciplina e, in modi diversi, ai
pedagogisti e agli studiosi delle scienze del cervello e della mente.2
In questo lavoro saranno analizzate le risposte ad alcune domande poste
ad un campione degli iscritti al primo anno della Facoltà di Lettere e Filoso­
fia dell’Università degli Studi di Napoli « Federico II » nell’anno accademico
2008-2009, al fine di valutare le conoscenze grammaticali e la capacità di ri­
flessione metalinguistica acquisite a scuola, in relazione ai requisiti necessa­
ri per l’educazione linguistica di livello universitario e in previsione di una
più specifica formazione di abilitazione all’insegnamento.
A margine della discussione sui dati del nostro campione, svolgeremo

* Il presente lavoro è stato congiuntamente ideato e scritto dagli autori. A Chiara De Ca­
prio si devono i paragrafi 1-2; 5; 6.1; 6.2.1-4; a Francesco Montuori i paragrafi 3-4; 6.2.5-8; 6.3;
6.3.1-6.3.3; 7; di entrambi è il paragrafo 8. Una prima versione è stata presentata al xiii semina­
rio AICLU (Napoli, 9-11 dicembre 2008); in tale occasione gli autori hanno beneficiato delle
osservazioni di Michela Cennamo, Maria G. Lo Duca e Pietro Maturi. Un particolare ringra­
ziamento va a Nicola De Bla­si per le sue postille a una versione preliminare di questo scritto
e a Marina Milella per la sua attenta lettura.
1. Nella quarta delle Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica, conformemente a quanto
scritto nell’art. 3, c. 2 della Costituzione, si afferma che l’educazione linguistica è uno dei com­
piti che lo Stato deve assumersi per promuovere una maggiore uguaglianza sociale. Sulle Die­
ci tesi cfr. § 2. Un chiaro prospetto dei ruoli delle diverse istituzioni e discipline nell’educazio­
ne linguistica è delineato in Monica Berretta, Linguistica ed educazione linguistica. Guida all’inse­
gnamento dell’italiano, Torino, Einaudi, 1977, pp. 22-23.
2. Per la problematicità dell’apporto delle diverse scienze alla glottodidattica cfr. Cristina
Lavinio, Comunicazione e linguaggi disciplinari. Per un’educazione linguistica trasversale, Roma, Ca­
rocci, 2004, p. 12, e Paolo Balboni, Italiano lingua materna. Fondamenti di didattica, Torino, Utet,
2006, pp. 20-23.

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alcune considerazioni sui contenuti e sui metodi dell’insegnamento della


grammatica a scuola e all’università e sulla funzione che la conoscenza delle
strutture della lingua e la capacità di svolgere riflessioni metalinguistiche do­
vrebbero avere nella formazione degli studenti delle facoltà umanistiche e
degli insegnanti di lingua e letteratura italiana.

2. L’insegnamento grammaticale nella scuola

A partire dagli anni Sessanta le rinnovate intenzioni pedagogiche, ma­tu­


rate principalmente per promuovere fattori di riequilibrio sociale, sono state
fatte convergere con le più importanti acquisizioni della linguistica moder­
na. In tal modo la didattica scolastica dell’italiano ha subìto l’influenza delle
prospettive della ricerca del Novecento, che ha mirato a esplicitare le regole
di formazione delle frasi e a descrivere le strutture grammaticali tra i due po­
li del sistema e dell’uso.3 Che l’insegnamento tradizionale, largamente fon­
dato su analisi grammaticale e logica, tassonomie e regole morfosintattiche,
dovesse essere sottoposto ad un profondo rinnovamento è stato det­to più
volte nel corso degli ultimi decenni.4 Basterà qui il riferimento al vibrante
j’accuse di Lettera a una professoressa (1967), nel quale la riflessione grammatica­
le proposta dalla scuola italiana era indicata come uno strumento di discrimi­
nazione sociale, poiché fondata sul modello dei soli usi scritti formali e indi­
pendente dall’acquisizione delle competenze comunicative di base.5
Maturazione decisiva del processo di trasformazione dei modi e degli
obiettivi dell’educazione linguistica furono le Dieci tesi. Nel “manifesto” ap­
parso nel 1975 si scelse di esporre, attraverso un tipo testuale dichiaratamen­
te propositivo e polemico, il rinnovato ruolo che essa doveva avere nel pros­
simo futuro: 6

3. Un bilancio della linguistica del Novecento è in Giulio C. Lepschy, La linguistica del No­
vecento, Bologna, Il Mulino, 2000. Per la linguistica italiana si vedano i tre resoconti in Dieci
anni di linguistica italiana 1965-1975, a cura di Daniele Gambarara e Paolo Ramat, Roma, Bulzo­
ni, 1977; La linguistica italiana negli anni 1976-1986, a cura di Alberto Mioni e Michele A. Corte­
lazzo, ivi, id., 1992; La linguistica italiana alle soglie del 2000 (1987-1997 e oltre), a cura di C. Lavinio,
ivi, id., 2002.
4. Per i principali “capi d’imputazione” rivolti dai linguisti all’insegnamento grammaticale
tradizionale cfr. M.G. Lo Duca, Lingua italiana ed educazione linguistica, Roma, Carocci, 2003, pp.
141-77.
5. Cfr. Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa quarant’anni dopo, seconda edizione spe­
ciale a cura di Michele Gesualdi, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 2007, pp. 18-19 e 23.
6. Si veda il bilancio di Adriano Colombo, Le ‘Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica’
trent’anni dopo. Un’occasione e qualche riflessione, « Cooperazione educativa », i 2006, pp. 67-69.

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chiara de caprio - francesco montuori

La vecchia pedagogia linguistica era imitativa, prescrittiva ed esclusiva. Diceva:


« Devi dire sempre e solo così. Il resto è errore ». La nuova educazione linguistica
(più ardua) dice: « Puoi dire così, e anche così e anche questo che pare errore o stra­
nezza può dirsi e si dice; e questo è il risultato che ottieni nel dire così o così ». La
vecchia didattica linguistica era dittatoriale. Ma la nuova non è affatto anarchica: ha
una regola fondamentale e una bussola; e la bussola è la funzionalità comunicativa di
un testo parlato o scritto e delle sue parti a seconda degli interlocutori reali cui effet­
tivamente lo si vuole destinare, ciò che implica il contemporaneo e parimenti ade­
guato rispetto sia per le parlate locali, di raggio più modesto, sia per le parlate di più
larga circolazione.7

Le ragioni della « rivoluzione glottodidattica degli anni Sessanta e Settanta »8


hanno trovato attuazione nei Nuovi Programmi del 1979: in essi fu infatti
eliminata l’idea monolitica di lingua tradizionalmente offerta ai discenti e lo
studente fu indotto a valorizzare il patrimonio linguistico acquisito per via
esperienziale al fine di potenziare le sue capacità comunicative.9 L’educazio­
ne linguistica si è così posta l’obiettivo di fornire agli studenti la capacità di
produrre, elaborare o rielaborare testi scritti e di parlare in diverse situazio­
ni.10 Si tratta di finalità considerate giustamente fondamentali per la forma­
zione dell’individuo, indicatori importanti non solo per la valutazione sco­
lastica, ma anche per la piena soddisfazione nell’età adulta, dal momento
che il buon uso della lingua è un requisito fondamentale per molte prove di
ingresso al lavoro e per l’accesso a molti ordini professionali.
Gli stessi libri di testo hanno registrato questi cambiamenti di tendenza,

7. Il testo si legge, insieme con un interessante bilancio critico, in Educazione linguistica ven­
t’anni dopo e oltre. Che cosa ne pensano De Mauro, Renzi, Simone, Sobrero, a cura di Silvana Ferreri e
Anna Rosa Guerriero, Firenze, La Nuova Italia, 1998, pp. 81-92 (la cit. alle pp. 90-91).
8. P. Balboni, Storia dell’educazione linguistica in Italia. Dalla legge Casati alla riforma Gelmini,
Torino, Utet, 2009, p. 79 (la citazione costituisce il titolo del cap. vi).
9. Cfr. Stefano Gensini, Breve storia dell’educazione linguistica dall’Unità a oggi, Roma, Carocci,
2005, p. 49. La rappresentazione complessa della situazione linguistica italiana era una strada
intrapresa già dopo il 1861, cioè in un altro momento di rilevante discussione politica sulle
questioni linguistiche: « Dopo l’Unità i grammatici presentarono un’immagine della nostra
lingua senz’altro più complessa e variegata di quella descritta per secoli attraverso il filtro del­
la prescrizione puristica tradizionale » (Maria Catricalà, Le grammatiche scolastiche dell’italiano edi­
te dal 1860 al 1918, Firenze, Accademia della Crusca, 1991, p. 52). Per il rilievo della fase postu­
nitaria nel dibattito linguistico italiano è ovvio il rinvio a Tullio De Mauro, Storia linguistica del­
l’Italia unita, Roma-Bari, Laterza, 19833, pp. 46-50, 88-105, 337-41 e 345 sg. (risp. i documenti 48
e 50).
10. Cfr. C. Lavinio, Per una educazione linguistica all’Università: tra il ‘saper fare’ con la lingua e il
‘sapere’ sulla lingua, in E.Li.C.A. Educazione linguistica e conoscenze per l’accesso, a cura di Miriam
Voghera, Grazia Basile e A.R. Guerriero, Perugia, Guerra, 2005, pp. 29-36 (pp. 30-31).

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conservando in modo semplificato le tassonomie morfosintattiche e acco­


gliendo in spazi relativamente ampi i temi legati alla comunicazione verba­
le, alle tipologie testuali, alla descrizione delle lingue e varietà che compon­
gono il repertorio linguistico degli italiani.11 La tradizionale riflessione sulle
strutture della lingua, incline a formalizzazioni irrealistiche per la loro ri­
gidità e per l’assoluto silenzio sui fenomeni di variazione, ha dunque finito
per perdere di rilevanza nella didattica. Il più celebre frutto operativo di tali
mutate istanze glottodidattiche è stato certamente il Libro di italiano di Raf­
fele Simone, nella cui articolazione si manifestava l’idea della sostanziale inu­
tilità dell’insegnamento della grammatica tradizionale e si ribadivano gli
obiettivi fondamentali dell’educazione linguistica.12
Ma, d’altro lato, nel complesso, a questi mutamenti di tendenza non sem­
pre hanno corrisposto orientamenti omogenei sia nell’impostazione meto­
dologica sia nell’allestimento di un adeguato corpus di esercizi con funzione
euristica: per tale motivo l’applicazione dei meccanismi appresi nonché la
codifica e la decodifica di testi per il potenziamento degli usi linguistici non
sono stati sempre proposti (e quindi esercitati) con la dovuta continuità.
L’effetto dei cambiamenti delineati è stato dirompente, perché il tradizio­
nale testo di grammatica ha in parte smarrito il prestigio del punto di riferi­
mento per la soluzione dei dubbi linguistici. Aprendosi alla complessità del­
la linguistica, lo studio della grammatica a scuola ha rischiato di perdere di
riconoscibilità presso i docenti e di efficacia per i discenti:
È proprio la coscienza del distacco tra il forte potere conoscitivo attribuito alla lin­
guistica di quegli anni [Settanta e Ottanta] e le approssimazioni del tradizionale li­
bro di grammatica a ingenerare un fenomeno di rigetto, mai manifestatosi con
eguale virulenza, nei confronti di questo. Potremmo dire che l’eccesso di vitalità della lin­
guistica rischia di colpire a morte la grammatica.13

11. Cfr. Alberto A. Sobrero, Il peso della grammatica, in Il testo fa scuola. Libri di testo, linguaggi ed
educazione linguistica, a cura di Rosa Calò e Silvana Ferreri, Firenze, La Nuova Italia, 1997, pp.
489-502.
12. Raffaele Simone, Libro d’italiano, Firenze, La Nuova Italia, 1973, pp. 229-30. Andrà rile­
vato che, in seguito, parte di queste argomentazioni è stata ridiscussa (cfr. Id., Le “Tesi” per il
2000, « Italiano & oltre », xvi 2001, pp. 4-8, alle pp. 6-7). Cfr. anche A.R. Guerriero, Educazione
linguistica minimalista? Intervista a Raffaele Simone, in E.Li.C.A., cit., pp. 37-50.
13. Luca Serianni, Prima lezione di grammatica, Roma-Bari, Laterza, 2006, p. 33 (corsivo no­
stro). Cfr. anche Francesco Sabatini, Lettera sul “ritorno alla grammatica”. Obiettivi, contenuti, meto­
di e mezzi, versione del settembre 2007, consultabile in rete all’indirizzo www.unige.ch/let­
tres/roman/italien (in parte anticipato in Id., Che complemento è?, « La Crusca per voi », xxviii
2004, pp. 8-9, che ora si può leggere in Id., L’italiano nel mondo moderno. Storia degli usi e della
norma. La scuola. I dialetti. Modelli teorici. La Crusca. L’Europa. Saggi dal 1969 al 2009, a cura di Vit­

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Per quanto riguarda la formazione dei docenti di italiano, negli anni Settan­
ta, in seguito alla maturazione della sensibilità politica sull’educazione lin­
guistica, si erano instaurati stretti e proficui rapporti tra università e scuola e
gli insegnanti cominciarono ad associarsi per discutere e promuovere semi­
nari sulle questioni relative alla didattica dell’italiano. Una tale collaborazio­
ne tra linguisti e docenti è stata giustamente enfatizzata nei suoi aspetti po­
sitivi, ma ha anche fatto emergere i limiti di una crescita culturale delegata
allo « spontaneismo dei docenti ».14
Va infine sottolineato che, sebbene fra il 1979 e il 1985 i principi dell’e­
ducazione linguistica siano stati accolti nelle riforme dei programmi delle
scuo­le medie ed elementari,15 tuttavia la pratica didattica ha subìto il pesante
condizionamento dell’immissione in ruolo di docenti che « non avevano mai
studiato su basi scientifiche la lingua di cui dovevano occuparsi nell’insegna­
mento ».16 All’inefficacia (quando non sia stata assenza) dei meccanismi di
selezione del corpo docente andrà in parte imputata la parzialità del rinno­
vamento della didattica scolastica dell’italiano.

3. L’insegnamento grammaticale e le competenze d’accesso all’uni-


versità

La situazione degli ultimi anni è caratterizzata da un nuovo mutamento


di priorità ed esigenze dell’educazione linguistica a scuola. È sempre impor­
tante la funzione di riequilibrio culturale enfatizzata a partire dagli anni Ses­
santa, quando si intendeva rendere la scuola promotrice di mobilità socia­
le. Tuttavia oggi pare opportuno non solo perseguire l’obiettivo dell’obbli­
go scolastico, ma anche garantire la qualità della formazione, troppo spesso
sacrificata alle convenienze dettate dai localismi, dalle esigenze corporati­
ve, dalla distribuzione discutibile delle risorse, dalla “selva” normativa e dal
non sempre elevato livello dei prodotti dell’editoria scolastica.
In tale quadro, l’Università è l’istituzione in cui per la prima volta in modo
significativo (cioè anche competitivo) si misura l’adeguatezza delle compe­
tenze linguistiche degli studenti diplomati: i test di accesso, l’acquisizione di
linguaggi speciali, l’esposizione organica delle cognizioni apprese, la scrittu­

torio Coletti, Rosario Coluccia, Paolo D’Achille, Nicola De Blasi e Domenico Proietti, Na­
poli, Liguori, 2009, pp. 747-50).
14. Cfr. Berretta, Linguistica ed educazione linguistica, cit., p. 19.
15. Cfr. Gensini, Breve storia, cit., p. 49; Balboni, Storia dell’educazione, cit., pp. 79-103.
16. F. Sabatini, L’italiano e i travagli crescenti della Scuola, « La Crusca per voi », xxxix 2009, p. 1.

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ra documentata e argomentata negli elaborati finali e nelle tesi magistrali,


l’uso in diverse situazioni di una lingua seconda sono solo alcune delle prove
di natura prettamente linguistica di un medio studente universitario.
Nelle Facoltà di Lettere, in particolare, gli studenti devono studiare la lin­
guistica, la filologia e la letteratura, e la grammatica è (o dovrebbe essere) og­
getto diretto di analisi o strumento di lavoro. Inoltre, gran parte degli stu­
denti deve essere avviata all’insegnamento attraverso un percorso formativo
che consenta loro di proporre ai futuri allievi le nozioni di base della gram­
matica dell’italiano, sia esso lingua materna o lingua seconda. Di fronte a
tali esigenze didattiche, l’attenzione delle istituzioni universitarie non è sta­
ta sempre vigile, come più volte è stato sottolineato nel corso degli ultimi
trent’anni:
Ad affrontare questo compito essi [cioè i futuri insegnanti] vengono pochissimo o
per nulla preparati negli anni universitari – soprattutto perché l’ordinamento degli
studi presenta loro come « complementari » (e quindi secondarie) proprio le discipli­
ne linguistiche che sono professionalmente più utili! 17

In questo quadro occorre rilevare che la preparazione universitaria impartita dalle


Facoltà umanistiche ai futuri docenti della scuola è per vari motivi inadeguata: la cen­
tralità dell’italiano nella scuola richiede competenze alte della sua storia e delle sue
strutture che è indispensabile acquisire all’Università.18

Tuttavia, dopo aver constatato che studenti non avvezzi alla riflessione me­
talinguistica spesso hanno un profilo culturale poco compatibile con il per­
corso accademico scelto e, in particolar modo, sono pessimi discenti del­le
discipline linguistiche, contemporaneamente all’introduzione dell’ordina­
mento ex lege 509 e ancor più del successivo ex lege 270, molti atenei hanno
fissato nuovi prerequisiti per l’accesso all’università e hanno cominciato a

17. F. Sabatini, La storia della lingua in un programma di educazione linguistica [1979], in Id., L’ita­
liano nel mondo moderno, cit., pp. 667-78 (pp. 677-78). Le osservazioni di Sabatini ritornano, a
trent’anni di distanza, in un’acuta precisazione di Cristina Lavinio: « Basti pensare che solo per
i laureati dal 2001-02 diventa obbligatorio, per poter accedere alle classi concorsuali per l’inse­
gnamento di materie letterarie, avere sostenuto all’università almeno un esame di lingua ita­
liana (cioè di una delle discipline del settore di Linguistica italiana: dalla Storia della lingua italiana
alla Grammatica italiana, dalla Linguistica italiana alla Didattica della lingua italiana, considerate
come se fossero intercambiabili) » (Lavinio, Comunicazione e linguaggi, cit., p. 28 n. 15).
18. Lingua italiana, scuola, sviluppo. Documento sottoscritto dall’Accademia della Crusca, dall’Accade­
mia dei Lincei e dall’ASLI. Il testo è stato redatto da Francesco Bruni e reso pubblico nel novem­
bre 2009 (si può leggere in Associazione per la Storia della Lingua Italiana, Annuario ASLI
2008, Firenze, Cesati, 2009, pp. 9-10).

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valutare in modo rigoroso le competenze linguistiche degli studenti in in­


gresso.19
In questa prospettiva, quindi, all’insegnamento delle strutture grammati­
cali nelle scuole medie e superiori si riconosce un rinnovato credito per lo
studio e l’esercizio cosciente della lingua all’università. Tra gli obiettivi del­
l’insegnamento scolastico va dunque senz’altro inclusa la capacità di compie­
re riflessioni metalinguistiche, un sapere fondamentale perché l’individuo
svi­luppi, partendo da un innato sentimento intuitivo della lingua, una più ar­
ticolata coscienza di essa.20 La capacità di svolgere riflessioni metalinguisti­
che sarà dunque da valutare come prerequisito per gli studenti delle Facoltà
di Lettere, alla luce degli sbocchi professionali previsti dagli ordinamenti di
gran parte dei Corsi di laurea attivati nelle facoltà umanistiche.
La rinnovata centralità dello « studio riflesso della lingua » ha così ripropo­
sto, dopo un lungo periodo di ridimensionamento,21 un « antico dilemma »

19. Cfr. innanzitutto le Proposte dell’ASLI per le “ulteriori conoscenze linguistiche”: criteri uniformi
per la formazione e la valutazione nella didattica universitaria dell’italiano, nell’Annuario ASLI 2002
(Firenze, Cesati, 2003, pp. 174-200; una versione digitale è attualmente disponibile sul sito
della Società di Linguistica Italiana per cura di Gabriella Alfieri). Sul tema si vedano gli inter­
venti di G. Alfieri et alii, C. Lavinio e M.G. Lo Duca in E.Li.C.A., cit., risp. alle pp. 63-94, 29-36,
127-43; cfr. anche M. Voghera-Rosa Giordano-A.R. Guerriero, Grammatica e matricole: proposte
di educazione linguistica, in Perché la grammatica? La didattica dell’italiano tra scuola e università, a cu­
ra di Giuliana Fiorentino, Roma, Carocci, 2009, pp. 93-108. Si segnala, d’altronde, anche una
progressiva sensibilità per la “rilevazione degli apprendimenti” linguistici degli studenti alla
fine delle scuole medie superiori di primo e secondo grado, ad opera dell’Invalsi (Istituto
nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione) in collabora­
zione con il Ministero dell’Università e della Ricerca e con l’Accademia della Crusca; per
tutto ciò cfr. www.invalsi.it.
20. Cfr. Sabatini, Lettera, cit.; Lavinio, Per una educazione linguistica, cit.; M.G. Lo Duca, La
riflessione sulla lingua e requisiti per l’accesso alle facoltà umanistiche: conoscenze e abilità, in E.Li.C.A.,
cit., pp. 127-43; M.G. Lo Duca-Martina Ferronato-Elena Mengardo, ‘Indicazioni per il Curricolo’
e obiettivi di apprendimento sulle categorie lessicali: il riconoscimento del nome, in Lingua e grammatica.
Teorie e prospettive didattiche, a cura di Paola Baratter e Sara Dallabrida, Milano, Franco Angeli,
2009, pp. 11-27. Ma il richiamo alla utilità pedagogica della riflessione metalinguistica ritorna
ogni volta che si discute di insegnamento della grammatica. Espliciti riferimenti sono, per
esempio, nelle parole di Ascoli e D’Ovidio al ix congresso pedagogico di Bologna del 1874 (cfr.
Francesco D’Ovidio, Scritti linguistici, a cura di Patricia Bianchi, Napoli, Guida, 1982, pp. 145 e,
soprattutto, 147); si vedano anche le considerazioni di Gaetano Berruto nell’introduzione di
un importante libro degli anni Settanta (Scienze del linguaggio ed educazione linguistica, a cura di G.
Berruto, Torino, Stampatori, 1977, p. 8).
21. La storia dell’insegnamento della lingua materna e l’analisi delle grammatiche dopo
l’Unità d’Italia mostrano che, in diversi momenti, non sono mancati casi clamorosi di espul­
sione temporanea della grammatica non solo dalla pratica ma anche dai programmi della
scuola primaria e secondaria (Gensini, Breve storia, cit., pp. 21-22 e 109-10).

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metodologico nella didattica scolastica: « come fare grammatica in classe o,


come più correttamente si dice oggi, come esercitare gli allievi a riflettere
sulla loro lingua materna, posto che sia l’italiano? ».22

4. Il questionario

Alla luce del quadro che si è sin qui delineato, nell’anno accademico 2008-
2009, nel primo giorno dei corsi di Linguistica italiana e Storia della lingua ita­
liana, abbiamo sottoposto un questionario agli studenti immatricolati ai Cor­
si di Laurea in Lettere Moderne e in Lettere Classiche presso la Facoltà di
Lettere e Filosofia della « Federico II » di Napoli. Attraverso il questionario
ci siamo posti un duplice obiettivo: da un canto, misurare la capacità degli
allievi di fare osservazioni metalinguistiche, utilizzando l’opportuna termi­
nologia, nell’ambito della grammatica, della variazione, della classificazione
tipologica dei testi, della storia linguistica; dall’altro, utilizzare uno strumen­
to didattico attraverso il quale sollecitare la riflessione degli studenti sui con­
cetti di “uso” e “norma”. Il questionario è stato articolato in quattro sezio­
ni dedicate a:
1) informazioni sul percorso di studi (maturità classica, scientifica, altro);
portfolio linguistico (conoscenza di lingue straniere; conoscenza delle lin­
gue classiche);
2) motivazione agli studi universitari;
3) giudizio sulle lezioni di grammatica seguite a scuola e sulla qualità del­
l’insegnamento;
4) competenze sulla grammatica e sulle tipologie testuali; conoscenze
storico-linguistiche sull’origine dell’italiano e dei dialetti e percezione del
plurilinguismo e degli usi in variazione.
Quanto al campione, esso è costituito da 131 allievi del Corso di Laurea in
Lettere Moderne e da 69 di quello in Lettere Classiche. I 131 studenti di Let­
tere Moderne rappresentano una classe di diplomati provenienti in gene­
re dalla provincia di Napoli e da diversi tipi di scuole secondarie. In termini
percentuali, il 38,16% ha conseguito la maturità classica, il 31,30% ha la matu­
rità scientifica, il 30,54% ha un altro tipo di diploma. I 69 studenti di Lettere
Classiche hanno invece conseguito tutti, tranne uno, la maturità classica.
In questa sede, intendiamo analizzare i dati tratti da alcune domande del
questionario proposto agli studenti. Le informazioni desunte dalle risposte

22. M.G. Lo Duca, Si può salvare l’analisi logica?, « La Crusca per voi », xxxiii 2006, pp. 4-8
(p. 4).

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sono state incrociate con le descrizioni (o prescrizioni) presenti in quattro


grammatiche scolastiche dell’italiano (Sensini, Regole, Strumenti, Tavoni-
Italia) e in tre “grammatiche di riferimento” (Serianni, Dardano-Trifone,
Pa­tota).
Le grammatiche scolastiche che compongono il nostro corpus sono libri di
testo molto diffusi nelle scuole secondarie campane. Quanto alle “gramma­
tiche di riferimento”, la scelta del corpus si è orientata verso opere che coniu­
gano il rigore metodologico con la volontà di porsi come punto di riferi­
mento per un pubblico vasto quanto indeterminato di “lettori medi”. Nei
casi di particolare interesse, il confronto è stato ulteriormente allargato con
tre opere di taglio più specialistico, quali la Grande grammatica italiana di con­
sultazione, diretta da Renzi, Salvi e Cardinaletti, La nuova grammatica italiana
di Salvi e Vanelli, e il recente lavoro di Michele Prandi, Le regole e le scelte. In­
troduzione alla grammatica italiana. Infine, si è dato conto anche delle descrizio­
ni di due autorevoli grammatiche dell’italiano ideate per lettori stranieri qua­
li La lingua italiana di Anna Laura e Giulio Lepschy e la Reference Grammar of
Modern Italian di Martin Maiden e Cecilia Robustelli.23
L’analisi dei dati che qui si propone induce a pensare che molto spesso il
frutto dell’insegnamento della grammatica a scuola sia una inconsapevole
ap­prossimazione banalizzante. Infatti, in base alle risposte fornite dal nostro

23. Per chiarezza espositiva, nel corso dell’articolo i rinvii alle grammatiche saranno fatti in
forma abbreviata. Grammatiche scolastiche: Sensini = Marcello Sensini, Il sistema della lingua,
2 voll., Milano, Arnoldo Mondadori Scuola, 1996; Regole = Emilia Asnaghi et alii, Le regole della
comunicazione, 2 voll., Padova, Cedam, 1999; Strumenti = Silvia Fogliato-Maria Carla Testa, Stru­
menti per l’italiano, 3 voll., Torino, Loescher, 2000; Tavoni-Italia = Mirko Tavoni-Paola Italia,
Strutture e competenze dell’italiano, 3 voll., Firenze, Le Monnier, 2003. Grammatiche di riferimen­
to: Serianni = L. Serianni, con la collaborazione di Alberto Castelvecchi, Grammatica italiana.
Italiano comune e lingua letteraria, Torino, Utet, 1989; Dardano-Trifone 1995 = Maurizio Darda­
no-Pietro Trifone, Grammatica italiana con nozioni di linguistica, Bologna, Zanichelli, 1995; Pato­
ta = Giuseppe Patota, Grammatica di riferimento dell’italiano contemporaneo, Novara, De Agostini
Scuola-Garzanti Linguistica, 2006; GGIC = Grande grammatica italiana di consultazione, nuova
edizione a cura di Lorenzo Renzi, Giampaolo Salvi e Anna Cardinaletti, 3 voll., Bologna, Il
Mulino, 1988-1995; Salvi-Vanelli = G. Salvi-Laura Vanelli, Nuova grammatica italiana, ivi, id.,
2004; Prandi 2006 = Michele Prandi, Le regole e le scelte. Introduzione alla grammatica italiana, Tori­
no, Utet, 2006 (per obiettivi, impostazione e pubblico di questi lavori si rimanda alle rispet­
tive introduzioni: cfr. Serianni, pp. iii-vii; GGIC, vol. i pp. 7-16; Salvi-Vanelli, pp. 11-13; Prandi,
pp. xv-xviii). Grammatiche per stranieri: Lepschy-Lepschy = Anna Laura Lepschy-G.C. Lep­
schy, La lingua italiana. Storia, varietà dell’uso, grammatica, Milano, Bompiani, 19986 (trad. italiana
di Iid., The Italian Language Today, London, Hutchinson & Co., 1977); Maiden-Robustelli =
Martin Maiden-Cecilia Robustelli, A Reference Grammar of Modern Italian, London, Hodder
Arnold, 2007.

220
il ruolo della grammatica fra scuola e università

cam­pione emerge che la “grammatica” viene insegnata alle superiori senza


l’opportuna sistematicità, sebbene l’insegnamento e l’esercizio grammatica­
le siano previsti dagli ordinamenti vecchi e nuovi e non manchino le occasio­
ni per cui risultano essere un utile sussidio didattico: per esempio per l’ap­
prendimento delle lingue seconde,24 per lo studio delle lingue classiche al
li­ceo, per la riflessione sugli usi dialettali acquisiti nei primi anni di vita o
appresi in età scolare, per la variazione regionale nel lessico e nella fraseolo­
gia dell’italiano.25

5. La definizione di soggetto

In questo paragrafo ci proponiamo di commentare le risposte a una delle


domande della sezione 4, nella quale si chiedeva agli studenti di fornire una
definizione di soggetto. Tali risposte possono essere così raggruppate:
Lettere Moderne
111 il soggetto è la persona o la cosa che compie [o subisce] l’azione [indicata dal
verbo];
8 il soggetto è la persona o la cosa cui si riferisce il verbo;
1 il soggetto è il fulcro della frase;
9 non rispondono;
2 rispondono in modo non pertinente.

Lettere Classiche
54 il soggetto è la persona o la cosa che compie [o subisce] l’azione;
6 il soggetto è la parte del discorso che compie l’azione;
2 il soggetto è la persona o la cosa che compie l’azione del predicato verbale o cui
si riferisce il predicato nominale;
1 il soggetto è la persona o la cosa che compie e non subisce l’azione;
2 il soggetto è la persona o la cosa cui si riferisce il verbo;
1 il soggetto è la persona o la cosa che realizza quanto espresso dal verbo;
1 il soggetto è la persona o la cosa di cui viene descritta l’azione espressa dal verbo;
1 il soggetto è la persona o la cosa di cui parla il verbo;
1 non risponde.

24. Cfr. ad es. Cecilia Andorno-Franca Bosc-Paola Ribotta, Grammatica. Insegnarla e impa­


rarla, Perugia, Guerra, 2003.
25. Circa tre quarti degli studenti di Lettere Classiche e due terzi di quelli di Lettere Mo­
derne dichiarano di aver studiato la grammatica dell’italiano alle superiori; anche in questa
seconda parte del campione prevalgono gli studenti del Liceo Classico. Spesso la capacità di
trasmettere contenuti linguistici da parte del docente di italiano è valutata come inadeguata.

221
chiara de caprio - francesco montuori

Non sembrano esserci dubbi sul fatto che prevalga la definizione “scola­
stica” secondo la quale il soggetto è ‘colui che fa o subisce l’azione espressa
dal verbo’.26 Non è questo, però, ciò che si legge nei libri di testo che com­
pongono il nostro corpus:
Sensini, vol. i p. 263: « Il soggetto è l’elemento di cui il predicato dice qualcosa, e con
esso concorda nel numero, nella persona e, talora, nel genere ».

Regole, vol. i p. 190: « Il soggetto […] è ciò di cui parla il predicato ».

Strumenti, vol. i p. 129: « Tutti i verbi, a eccezione di quelli impersonali, richiedono


un argomento che precisi a chi o a che cosa si riferisce il predicato [seguono vari
esempi, anche con soggetto post-verbale]. Questo primo argomento è il soggetto,
dal latino subiectum, ‘ciò a cui si fa riferimento’. È strettamente legato al predicato,
con il quale concorda nella persona, nel numero e, talvolta, nel genere ».

Tavoni-Italia, vol. i p. 308: « Il soggetto è l’elemento della frase cui si riferisce il pre­
dicato. Il predicato concorda con il soggetto nel numero e nella persona; concorda
anche nel genere quando quest’ultimo è espresso ».

Nelle definizioni di soggetto delle grammatiche prese in esame, infatti, si


privilegiano le proprietà morfosintattiche (si vedano in particolare Sensini,
Strumenti, Tavoni-Italia) e si distingue fra piano sintattico, semantico e prag­
matico, in modo analogo a quanto accade nelle grammatiche di riferimento:
Serianni, §§ ii.22-23: « Il soggetto è l’elemento della frase cui si riferisce il predicato
[…]. Importante è la distinzione fra soggetto grammaticale e soggetto logico. Il
primo è il soggetto formale della frase, cioè l’elemento sintattico di riferimento del
predicato, mentre il secondo è l’agente reale dell’azione ».

Dardano-Trifone, p. 97: « Il soggetto (dal lat. subjectum ‘ciò che sta sotto, ciò che è
alla base’) è un componente fondamentale della frase, il quale completa il significa­
to del predicato. Il soggetto concorda con il predicato nel numero e nella persona;
concorda anche nel genere quando quest’ultimo è espresso ».27

Patota, p. 431: « Il soggetto è l’argomento principale di cui parla il verbo, ed è anche
l’elemento che dà al verbo la desinenza di persona e di numero e, in alcuni casi, di
genere ».

26. Cfr. Amedeo De Dominicis, Soggetto, in Dizionario di linguistica e di filologia, metrica, retori­


ca, a cura di Gian Luigi Beccaria, Torino, Einaudi, 2004, p. 678.
27. Si veda ancora la puntualizzazione di Dardano-Trifone, p. 98: « La linguistica moderna
cerca di definire il soggetto in base a criteri formali, cercando di evitare il più possibile delle
definizioni nozionali del tipo ‘il soggetto è l’elemento della frase che fa l’azione’ ».

222
il ruolo della grammatica fra scuola e università

Nelle grammatiche del nostro corpus si precisa che il soggetto può indicare
‘colui che fa o subisce l’azione espressa dal verbo’ nelle “seconde linee” del­
le definizioni, nelle quali si illustrano i ruoli semantici che esso può realiz­
zare:
Regole, vol. i p. 190: « Il soggetto quindi: può compiere l’azione (con tutti i verbi tran­
sitivi attivi e con gli intransitivi); può subire l’azione (con i verbi passivi e con i rifles­
sivi); può trovarsi in una condizione, in uno stato, o avere una determinata qualità
(con il verbo essere, i copulativi effettivi e simili, seguiti da un nome o da un aggetti­
vo) ».28

Serianni, § ii.22: « Esso [il soggetto] può indicare: a) nelle frasi con verbo attivo, chi o
che cosa compie l’azione espressa dal predicato […]; b) nelle frasi con verbo passivo
o riflessivo, chi o che cosa subisce l’azione espressa dal predicato […]; c) nelle frasi
con predicato nominale, a chi o a che cosa è attribuita una qualità o stato […] ».

Patota, p. 431: « Funzioni del soggetto. A seconda dei casi, il soggetto indica: chi o
che cosa compie l’azione espressa dal predicato […]; chi o che cosa subisce l’azione
espressa dal predicato […]; a chi o a che cosa è attribuito un determinato stato o una
qualità ».

Lo “scollamento” esistente fra le definizioni date dalla maggior parte del


no­stro campione e quelle delle grammatiche scolastiche del corpus consente
qualche riflessione: sono significativi, a nostro giudizio, gli indizi che rinvia­
no alle diverse teorie di riferimento e, ancor più, i segni dello svecchiamen­
to dei libri di testo,29 che distinguono fra proprietà morfosintattiche, seman­
tiche, e pragmatiche.30 Si tratta, dunque, di definizioni che partono da rin­
novate prospettive teoriche, per comprendere le quali è necessario vi sia­
no docenti forniti di una buona preparazione linguistica di base. Senza tale
preparazione, infatti, diviene difficile consultare in modo proficuo un testo
specialistico come la Grammatica italiana di Salvi e Vanelli o spiegare ad una
classe i contenuti di una grammatica scolastica di buon livello, quale il la­

28. In nota si danno indicazioni anche sulla concordanza: « Possiamo affermare che sogget­
to e predicato concordano, dunque, nel numero e, talora, nel genere ed è proprio il soggetto
che determina la forma del predicato ». Nei tre paragrafi successivi (pp. 191-93) si descrive la
posizione del soggetto nella frase, utilizzando etichette della pragmatica; inoltre si compie
una serie di approfondimenti, il più rilevante dei quali, al fine del nostro discorso, è quello che
intende spiegare allo studente la differenza tra soggetto logico e soggetto grammaticale.
29. Sul tema del « ragionato svecchiamento » dei libri di testo cfr. da ultimo Serianni, Prima
lezione, cit., pp. 34-35.
30. L’importanza di tale distinzione è opportunamente enfatizzata in chiave didattica da C.
Andorno, La grammatica italiana, Milano, Paravia-Mondadori, 2003, pp. 99-100.

223
chiara de caprio - francesco montuori

voro pioneristico realizzato da Francesco Sabatini, che utilizzava il modello


della grammatica valenziale per costruire la definizione di soggetto:
Salvi-Vanelli, § 3.1: « Soggetto. Il Soggetto occupa, nella struttura frasale, un posto
privilegiato: mentre gli altri argomenti del verbo formano con esso il S[intagma]
V[erbale], il Soggetto occupa una posizione indipendente, esterna. A questa posi­
zione corrispondono proprietà sintattiche e semantiche particolari […] »;
§ 3.1.1: « Proprietà sintattiche. Il Soggetto può essere definito sintatticamente in
base alle seguenti proprietà: a) morfologicamente ha il caso nominativo […]. b) si ac­
corda con il verbo […]. c) rimane non espresso con le forme non finite del verbo […] ».
§ 3.1.2: « Proprietà semantiche. Il Soggetto generalmente realizza l’attante con il
ruolo semantico più saliente in base alla gerarchia dei ruoli semantici individuata nel
cap. 1 ».

Sabatini: « Chiamiamo SOGGETTO di una frase il primo elemento che completa


il significato del verbo (ossia il i argomento) e che con questo concorda nella perso­
na e nel numero, ed eventualmente nel genere ».31

I dati esaminati consentono di ipotizzare che la definizione “vulgata” di sog­


getto, tanto prevalente nella risposta dei questionari degli studenti di Let­te­
re Moderne e Lettere Classiche, dipenderà solo in minima parte dai libri del
secondo ciclo della secondaria.32 In gran parte, invece, essa sarà il frutto del­
le conoscenze trasmesse da quei docenti che non hanno acquisito una com­
petenza adeguata all’insegnamento linguistico né all’università né in succes­
sivi momenti di formazione.33
Dal nostro questionario emerge un ulteriore dato relativo ai problemi
della nomenclatura metalinguistica e del riconoscimento delle relazioni sin­
tattiche nella frase semplice. Sempre nella quarta sezione è stato richiesto agli
studenti di individuare e sottolineare il soggetto nelle seguenti frasi:

31. F. Sabatini, La comunicazione e gli usi della lingua. Pratica dei testi, analisi logica, storia della lin­
gua, Torino, Loescher, 1984, p. 336. Già Serianni, Prima lezione, cit., p. 35, cita una “saggia” defi­
nizione di soggetto elaborata da Sabatini (Lingua e linguaggi. Educazione linguistica e italiano nella
scuola media, Torino, Loescher, 1980, p. 270): « Il soggetto è la parola che ci permette di capire a
che cosa o a chi va subito riferito il fatto espresso dal predicato ».
32. Andrà segnalato che, da qualche piccolo sondaggio compiuto a campione, i libri di testo
del primo ciclo della scuola secondaria mostrano una maggiore disomogeneità e approssima­
zione nell’esposizione delle proprietà del soggetto.
33. Si tenga presente che la problematicità della nozione di soggetto è discussa in tutti i
manuali introduttivi alla Linguistica Generale: si vedano, a titolo esemplificativo, G. Berruto,
Corso elementare di linguistica generale, Torino, Utet, 1997, p. 74; R. Simone, Fondamenti di lingui­
stica, Roma-Bari, Laterza, 200112, pp. 353-61; Giorgio Graffi-Sergio Scalise, Le lingue e il linguag­
gio, Bologna, Il Mulino, 2003, pp. 188-91.

224
il ruolo della grammatica fra scuola e università

1. A Paolo piacciono i dolci al cioccolato.


2. Paolo ha subito un grave torto.
3. A Piazza Fontana è scoppiata una bomba.
4. La torta, non l’ha mangiata Mario.

Nelle tabelle si dà conto esplicitamente solo delle risposte sbagliate:

Lettere Moderne

Frase 1 16 risposte errate (A Paolo)


5 non rispondono
totale 21 (16%)
Frase 2 1 non risponde
Frase 3 3 risposte errate (A Piazza Fontana)
5 non rispondono
totale 8 (6,1%)
Frase 4 33 risposte errate (La torta)
4 non rispondono
totale 37 (28,2%)

Lettere Classiche

Frase 1 0 risposte errate


Frase 2 0 risposte errate
Frase 3 0 risposte errate
Frase 4 6 risposte errate (La torta)
1 non risponde
totale 7 (10,1%)

I dati mostrano che esistono residui, numericamente significativi, di studen­


ti che non riescono a ricostruire le relazioni sintattiche e semantiche che le­
gano soggetto e predicato, quando il soggetto sia meno prototipico.34
Si può senz’altro dire che la definizione di soggetto è uno degli argomen­
ti più complessi, perché pertiene solo all’analisi e non all’uso della lingua, e

34. Per soggetto meno prototipico intendiamo il soggetto che non è in posizione preverba­
le e non ha il ruolo di Agente: cfr. Rosanna Sornicola, Soggetti prototipici e soggetti non prototipici:
l’italiano a confronto con le altre lingue europee, in L’Europa linguistica: contatti, contrasti, affinità di lingue.
Atti del xxi Congresso internazionale di studi della SLI, Catania, 10-12 settembre 1987, a cura
di Antonia G. Mocciaro e Giulio Soravia, Roma, Bulzoni, 1992, pp. 259-79 (p. 261).

225
chiara de caprio - francesco montuori

comporta la collisione tra termini e concezioni grammaticali tradizionali e


innovative in un ambito in cui sono pertinenti quasi tutti i settori della gram­
matica.35 E tuttavia, va anche osservato che la complessità non deve essere un
alibi per non perseguire l’attendibilità delle definizioni, dal momento che
« solo le spiegazioni ben fondate scientificamente reggono alla verifica degli usi
reali della lingua, sono utilizzabili nell’uso personale e generano interesse ».36

6. La variazione

6.1. Premessa

Nella sezione n° 4 del questionario è stata proposta agli studenti una ta­
bella con quattordici enunciati: di essi undici sono caratterizzati dalla pre­
senza di tratti morfosintattici dell’italiano parlato (1-11), diversamente diffu­
si sul territorio nazionale e diversamente connotati sul piano diastratico; i re­
stanti tre enunciati (12-14), non marcati né in diatopia né in diastratia, sono
stati inseriti come “distrattori”, dal momento che un parlante potrebbe uti­
lizzarli in interazioni dialogiche di media formalità: 37
1. Le ha comprate Maria, le uova (dislocazione a destra dell’oggetto diretto).
2. Gli dico di tornare per cena a Mario (dislocazione a destra dell’oggetto indiretto).
3. Ai tuoi fratelli gli hai detto che usciamo? (dislocazione a sinistra dell’oggetto indiret­
to ripreso mediante il clitico dativale gli per la iii persona plurale).
4. Se sapevo che eri in difficoltà, ti aiutavo (uso modale dell’imperfetto indicativo nel­
la protasi e nell’apodosi del periodo ipotetico dell’irrealtà).38
5. Penso che fai male a non ascoltare i consigli di tuo fratello (completiva all’indicativo, in
dipendenza da verbo di opinione).39

35. Cfr. Simone, Fondamenti di linguistica, cit., p. 354.


36. Sabatini, Lettera, cit.
37. Nell’enunciato n° 12 il pronome lui dopo focalizzatore è un tratto ben attestato nell’ita­
liano standard (cfr. Dardano-Trifone, p. 262); nell’enunciato n° 13 la presenza di potere rende
superfluo l’uso del condizionale nell’interrogativa “diffratta”, nella quale il parlante « dissimu­
la il contenuto reale della richiesta per ragioni di cortesia » (Serianni, § xiii.14); nell’enunciato
n° 14 occhiata ‘esame sommario di un testo, lettura rapida’ è giudicato dal Gradit (Grande
dizionario italiano dell’uso, a cura di T. De Mauro, 6 voll. + 2 suppl., Torino, Utet, 1999-2007, s.v.
1
occhiata) uso estensivo di un termine appartenente al lessico fondamentale.
38. L’enunciato è interpretabile e accettabile nello standard anche con valore temporale
iterativo (‘ogni volta che sapevo che eri in difficoltà, ti aiutavo’). I dati del nostro campione,
relativi al giudizio di correttezza (§ 6.3), fanno pensare che, in assenza di contesto, il costrutto
n° 4 sia stato interpretato come un periodo ipotetico dell’irrealtà.
39. L’uso del congiuntivo epistemico in dipendenza da pensare avrebbe richiesto l’espressio­
ne del soggetto della completiva (penso che tu faccia male).

226
il ruolo della grammatica fra scuola e università

6. Mi sono mangiato una pizza e mi sono bevuto una birra ghiacciata (verbi pronomina­
li intensivi).
7. Hai chiamato a Luca? (oggetto preposizionale).
8. Hai salito la valigia che ho lasciato vicino all’ascensore? (salire usato transitivamente).
9. Puoi telefonarlo? (il tipo “lo telefono” con pronome clitico accusativale).
10. Quella è la ragazza che ti ho parlato (relativa con che indeclinato generico, senza
clitico di ripresa).
11. A Mario ci piace uscire con il motorino (dislocazione a sinistra dell’oggetto indiret­
to ripreso mediante il clitico dativale ci per la iii persona singolare).
12. Hai notato che anche lui ha le scarpe blu?
13. Per favore, puoi chiudere la finestra?
14. Potrei dare un’occhiata al suo giornale? 40

Su ognuno dei quattordici enunciati gli studenti erano chiamati ad esprime­


re tre giudizi con risposte polari (sì o no): il primo sulla comprensibilità, il se­
condo sulla correttezza, il terzo sulla possibilità di adoperare l’enunciato
nello scritto. Agli studenti di Lettere Classiche è stato spiegato che per com­
prensibilità dovevano intendere la possibilità di capire il contenuto degli
enunciati, in relazione a situazioni di enunciazione non esplicite ma solo
suggerite e facilmente inferibili; al contrario agli studenti di Lettere Moder­
ne non sono state fornite spiegazioni sul concetto di comprensibilità. Tale
differente comportamento è stato messo in pratica per avere un dato di con­
trollo relativo a una parte del campione.
Come è stato anticipato nel § 4, mediante la tabella si voleva verificare la
percezione dei concetti di “norma” e “uso” degli studenti. Inoltre, attraverso
un momento di discussione in aula, successivo alla somministrazione del
questionario, ci si prefiggeva due obiettivi: far riflettere i nostri allievi sui
significati che associano al concetto di “correttezza” e far loro distinguere tra
frasi sintatticamente non ben formate ed enunciati inappropriati dal punto
di vista sociolinguistico in determinati contesti, ma perfettamente ammis­
sibili in base alle regole della grammatica.41 Infatti, nella pratica didattica, si
è verificato che gli studenti definiscono “scorrette” sia frasi sintatticamente
mal formate, sia enunciati sentiti come inaccettabili in base al loro “sentimen­
to della norma”. In quest’ultimo caso, il giudizio di “non correttezza” si ma­
nifesta come sanzione verso usi quotidiani e informali dell’italiano, cen­su­

40. Gli enunciati nel questionario sono stati presentati secondo il seguente ordine: 1, 7, 8,
12, 11, 4, 13, 9, 5, 3, 6, 14, 2, 10.
41. Sulla distinzione fra “comprensibilità” e “buona formazione” ci si limita a rimandare a
G. Graffi, Sintassi, Bologna, Il Mulino, 1994, pp. 16-17 e 22-23. In relazione alla distinzione fra
“grammaticalità” e “accettabilità” si veda anche Serianni, Prima lezione, cit., pp. 36-47.

227
chiara de caprio - francesco montuori

rati dalla codificazione grammaticale tradizionale, di stampo neo-puristico.


Proprio attraverso la secca dicotomia “corretto/non corretto”, giustap­po­sta
ai giudizi di comprensibilità e di utilizzo nello scritto, le due classi di neo-
iscritti erano invitate a prendere consapevolezza della varietà e ricchezza
degli usi linguistici e del loro stratificarsi a diversi livelli di accettabilità.42 In
definitiva, attraverso una riflessione che partisse dal “sentimento” della nor­
ma linguistica dei nostri studenti, si intendeva far emergere quell’idea com­
plessa ed articolata che di essa ha dato Giovanni Nencioni:
la norma è dentro i testi degli scrittori e dei parlanti e spesso si offre a loro come un
fascio di possibilità alterne, di scelte, ed essi possono più o meno consapevolemente,
nel corso del tempo e nel mutare di certe condizioni, confermarla o modificarla.43

Prima di entrare nel vivo dell’analisi delle risposte del campione, pare
opportuno dedicare qualche cenno alle caratteristiche morfosintattiche de­
gli enunciati 1-11.
Gli enunciati nni 1-6 presentano alcuni di quei tratti morfosintattici che
Francesco Sabatini e Gaetano Berruto hanno riconosciuto come caratte­ri­
stici delle varietà denominate rispettivamente “italiano dell’uso medio” ed
“italiano neo-standard”.44 Nei modelli proposti dai due studiosi, tali varietà
rappresentano il nucleo mediano del continuum linguistico, in quanto hanno
accolto e promosso tratti che, a lungo censurati, hanno progressivamente ri­
dotto il loro grado di marcatezza diafasica e diastratica, presentandosi in ta­
luni casi come varianti più o meno libere dei corrispondenti tratti standard.45

42. Cfr. ivi, p. 48. Sui limiti e le contraddizioni del “neo-purismo” degli studenti si veda
l’analisi dei dati presentati nel § 6.3.
43. Giovanni Nencioni, Disperare dell’italiano? [1985], in Id., Saggi di lingua antica e moderna,
Torino, Rosenberg & Sellier, 1989, pp. 227-34 (p. 227). Si vedano anche i rilievi di Serianni,
Prima lezione, cit., p. 52.
44. Come si metterà in evidenza nelle pagine che seguono, gli ultimi due tratti (indicativo
in un’oggettiva retta da un verbo epistemico; verbo pronominale intensivo) hanno una carat­
terizzazione più marcatamente diatopica, in quanto sembrano occorrere con maggiore fre­
quenza nelle varietà centro-meridionali.
45. Per l’italiano dell’uso medio cfr. F. Sabatini, L’« italiano dell’uso medio »: una realtà tra le
varietà linguistiche italiane, in Gesprochenes Italienisch in Geschichte und Gegenwart, a cura di Günter
Holtus e Edgar Radtke, Tübingen, Narr, 1985, pp. 154-84, e Id., Una lingua ritrovata: l’italiano
parlato, « Studi latini e italiani », iv 1990, pp. 215-34 (entrambi i saggi si possono ora leggere in
Id., L’italiano nel mondo moderno, cit., pp. 279-312 e 365-84). Per la proposta di Berruto si veda Id.,
Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1987, in partic. pp.
17-24. Per la significatività dei tratti selezionati e un aggiornamento sui fenomeni di ristandar­
dizzazione in atto nell’italiano si vedano L. Renzi, Le tendenze dell’italiano contemporaneo. Note
sul cambiamento linguistico nel breve periodo, « Studi di lessicografia italiana », xvii 2000, pp. 279-

228
il ruolo della grammatica fra scuola e università

Sebbene condividano un numero cospicuo di tratti, l’italiano dell’uso medio


e l’italiano neo-standard, così come delineati dai due studiosi nelle rispettive
modellizzazioni dell’“architettura” dell’italiano, non sono due varietà per­
fettamente sovrapponibili, giacché – come spiega Berruto – l’italiano neo-
standard non copre tutta la gamma degli usi parlati e informali dell’italiano
dell’uso medio; nello stesso tempo, esso « accoglie in sé un primo grado di
marcatezza diatopica » e invade una « parte dello spazio di varietà che nello
schema di Sabatini è riservato all’italiano regionale ».46 Proprio in riferimen­
to alla “marcatezza diatopica”,47 fra le coincidenze tra italiano parlato di
Campania e italiano dell’uso medio sono stati segnalati l’impiego dei verbi
pronominali intensivi; l’indicativo in luogo del congiuntivo nelle completi­
ve rette da alcune classi verbali e nel periodo ipotetico; le costruzioni ricon­
ducibili alla sintassi segmentata.48
Pur tenendo conto di obiezioni e problemi sollevati dal dibattico critico
negli ultimi vent’anni,49 i tratti esemplificati ai punti 1-6 possono essere con­
siderati fra quelle “opzioni” morfosintattiche, ben attestate anche in fasi dia­

319; M.A. Cortelazzo, L’italiano e le sue varietà: una situazione in movimento, « Lingua e stile »,
xxxvi 2001, pp. 417-30; Giovanna Alfonzetti, La relativa non-standard. Italiano popolare o italia­
no parlato?, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2002, pp. 12-32; Paolo
D’Achille, Aspetti evolutivi dell’italiano contemporaneo, in Italiano. Strana lingua? Atti del Conve­
gno di Sappada/Plodn (Belluno), 3-7 luglio 2002, a cura di Gianna Marcato, Padova, Uni­
press, 2003, pp. 23-35; A.A. Sobrero, Nell’era del post-italiano, « Italiano & oltre », v 2003, pp.
272-77.
46. Berruto, Sociolinguistica, cit., p. 24.
47. Per i problemi posti dalla panitalianità dell’italiano dell’uso medio cfr. Tullio Telmon,
Gli italiani regionali contemporanei, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni e P. Trifone,
3 voll., Torino, Einaudi, 1994, vol. iii. Le altre lingue, pp. 597-626 (p. 610): « ci sono tuttavia re­
gioni in cui questi tratti – o alcuni di essi – investono l’italiano di tutte le classi sociali, di
tutte le diamesie, di tutti i gradi di formalità e di tutte le situazioni comunicative, ed altre
regioni in cui ciò non avviene: col che, viene reintrodotta dalla finestra, attraverso l’uso so­
cialmente differenziato da regione a regione, quella diatopia che si era cercato di cacciare dal­-
la porta ».
48. Cfr. N. De Blasi-Franco Fanciullo, La Campania, in I dialetti italiani. Storia struttura uso, a
cura di Gian Lorenzo Clivio-Manlio Cortelazzo-N. De Blasi-Carla Marcato, Torino, Utet,
2002, pp. 628-78 (pp. 645-46).
49. Per il dibattito sull’italiano dell’uso medio si vedano Arrigo Castellani, Italiano dell’uso
medio o italiano senz’aggettivi?, SLI, xvii 1991, pp. 233-56; Id., Ancora sull’ “Italiano dell’uso medio” e
l’italiano normale, ivi, xx 1994, pp. 123-26 (entrambi ora in Id., Nuovi saggi di linguistica e filologia
italiana e romanza (1976-2004), a cura di Valeria Della Valle, Giovanna Frosini, Paola Manni, L.
Serianni, 2 tomi, Roma, Salerno Editrice, 2009, to. i pp. 205-27 e 233-36); M. Berretta, Il parlato
italiano contemporaneo, in Storia della lingua italiana, cit., vol. ii. Scritto e parlato, pp. 239-70 (p. 242);
M. Dardano, L’architettura dell’italiano contemporaneo, ivi, pp. 343-430 (p. 372).

229
chiara de caprio - francesco montuori

croniche anteriori dell’italiano, che oggi, per effetto della pressione del par­
lato, stanno progressivamente cambiando marca variazionale.50
A loro volta, gli enunciati 7-9 del nostro questionario sono caratterizza­
ti dalla presenza di tratti tipici dell’italiano locale campano;51 in particolar
modo, i tre costrutti parrebbero avere una diversa marcatezza diastratica, in
quanto i primi due sono documentati con una certa frequenza anche nell’i­
taliano informale locale delle classi medie, mentre il terzo è tipico dell’italia­
no locale basso, sebbene appaia in “risalita” nel parlato informale giovani­
le e possa occasionalmente occorrere nel parlato informale trascurato delle
classi medie.
Negli enunciati 10 e 11, invece, sono presenti caratteristiche morfosintat­
tiche che, sulla scorta della letteratura di riferimento, possono essere consi­
derate panitaliane e tipiche di varietà diastraticamente basse.52

50. Per le fasi anteriori il rinvio d’obbligo è a G. Nencioni, Costanza dell’antico nel parlato mo­
derno [1987], in Id., Saggi di lingua antica e moderna, cit., pp. 281-99; P. D’Achille, Sintassi del parlato
e tradizione scritta della lingua italiana. Analisi di testi dalle Origini al secolo XVIII, Roma, Bonacci,
1990. Per la prosa italiana letteraria otto-novecentesca si veda Enrico Testa, Lo stile semplice.
Discorso e romanzo, Torino, Einaudi, 1997.
51. Sull’italiano parlato a Napoli sono state fornite prime ricognizioni di tratti morfosintat­
tici e lessicali che consentono di distinguere fra « usi linguistici diversamente connotati (e
connotanti) » (N. De Blasi, Per la storia contemporanea del dialetto nella città di Napoli, « Lingua e
stile », xxxvii 2002, pp. 123-57, a p. 123). Cfr. Francesca Van Tiel-Di Maio, Osservazioni sull’italia­
no in Campania, « Lingua nostra », xxxvi 1975, pp. 115-17; E. Radtke, I dialetti della Campania,
Roma, Il Calamo, 1997, pp. 103-15; Id., Napoli, ma non solo Napoli. Gli italiani regionali in Campa­
nia, « Italiano & oltre », xiii 1998, pp. 189-97; De Blasi, Per la storia, cit., pp. 153-55; Id., Usi e riusi
dell’italiano locale napoletano e campano, in L’italiano e le regioni. Atti del Convegno di Udine, 15-16
giugno 2001, fasc. monografico di « Plurilinguismo. Contatti di lingue e culture », viii 2001, a
cura di Fabiana Fusco e C. Marcato, Udine, Forum, 2002, pp. 89-109; De Blasi-Fanciullo, La
Campania, cit., pp. 643-50; R. Sornicola, Italiano parlato, dialetto parlato, parlato, « Bollettino lin­
guistico campano », v-vi 2004, pp. 157-72; N. De Blasi, Profilo linguistico della Campania, Roma-
Bari, Laterza, 2006, pp. 104-19.
52. Per l’attribuzione della relativa non-standard con che generico senza ripresa clitica
all’italiano popolare e all’italiano parlato informale trascurato si veda il § 6.2.7. Dinanzi all’am­
pia bibliografia sull’italiano popolare si rimanda alle indicazioni di Berruto in La linguistica
italiana, cit., pp. 477-78. Per il dibattito sulle nozioni di “italiano popolare” e “italiano dei semi­
colti” e per il rapporto fra italiano popolare e italiano regionale si vedano De Mauro, Storia
linguistica, cit., pp. 105-10; M. Cortelazzo Avviamento critico allo studio della dialettologia italiana, iii.
Lineamenti di italiano popolare, Pisa, Pacini, 1972; F. Bruni, Traduzione, tradizione e diffusione della
cultura: contributo alla lingua dei semicolti, in Alfabetismo e cultura scritta nella storia della società italiana.
Atti del Seminario di Perugia, 29-30 marzo 1977, Perugia, Università degli Studi, 1978, pp. 195-
234; G.C. Lepschy, L’italiano popolare [1983], in Id., Nuovi saggi di linguistica italiana, Bologna, Il
Mulino, 1989, pp. 37-50; Berruto, Sociolinguistica, cit., pp. 105-38; Id., Varietà diamesiche, diastratiche,
diafasiche, in Introduzione all’italiano contemporaneo. La variazione e gli usi, a cura di A.A. Sobrero,

230
il ruolo della grammatica fra scuola e università

Infine, ci pare importante sottolineare che, nel loro complesso, le caratte­


ristiche morfosintattiche degli enunciati proposti nel questionario mettono
in evidenza l’importanza dello “spessore diacronico” della lingua italiana ai
fini di una più articolata lettura dei fenomeni di ristandardizzazione in atto.
Come sottolineava Giovanni Nencioni, infatti, « rendersi consapevoli della
realtà linguistica italiana non si può fare […] senza cogliere la diacronia che
fermenta nella eterogenea sincronia dell’italiano odierno e ne intride i pro­
cessi dinamici ».53

6.2. La trattazione dei costrutti marcati nelle grammatiche del corpus

6.2.1. ‘Gli’ ‘a loro’; ‘a lei’

Le grammatiche scolastiche (Sensini, vol. i p. 160; Regole, vol. i p. 93; Stru­


menti, vol. i p. 56; Tavoni-Italia, vol. i p. 135) descrivono l’uso di gli pronome
dativale di iii persona plurale come un tratto del parlato quotidiano, da evi­
tare nei registri formali, anche per scongiurare equivoci. Quasi tutte tratta­
no l’uso di gli ‘a loro’ in modo diverso da gli ‘a lei’: quest’ultimo impiego è
attribuito all’italiano familiare o all’italiano popolare (cfr. Tavoni-Italia, vol.
i p. 135) e viene più francamente censurato.54
Le grammatiche di consultazione danno come alternativi gli e (a) loro (cfr.
Dardano-Trifone, pp. 264-66), pur segnalando il carattere più informale e
“parlato” di gli:
Serianni, § vii.36: « L’atono gli […] – largamente attestato in tutti i secoli di storia
della nostra lingua – appartiene al registro familiare; il parlato formale e la massima
parte dello scritto (tecnico-scientifico, letterario e in una certa misura anche giorna­
listico) preferiscono la forma loro ».

Patota, pp. 193-94: « sia loro sia gli devono considerarsi forme corrette: loro è proprio
della lingua scritta e del parlato più sorvegliato, mentre gli è forma più adatta al par­
lato familiare […]. In sostituzione di a loro maschile e femminile plurale, l’uso di gli
è invece ammissibile, soprattutto nell’italiano colloquiale ma anche nello scritto ».

Roma-Bari, Laterza, 1993, pp. 56-70; P. D’Achille, L’italiano dei semicolti, in Storia della lingua
italiana, cit., vol. iii. Le altre lingue, pp. 41-79.
53. G. Nencioni, Perché non ho scritto una grammatica per la scuola [1984], in Id., Saggi di lingua,
cit., pp. 221-26 (pp. 223-24).
54. In Strumenti, vol. i p. 56, i due impieghi sono posti sullo stesso piano: « nel parlato forma­
le gli viene usato anche con il significato di “a lei”, “a loro”. Nel parlato accurato e negli scritti
formali quest’uso va evitato: è bene usare gli esclusivamente per il maschile singolare, le per il
femminile, loro per il plurale ».

231
chiara de caprio - francesco montuori

La forma dativale gli per il femminile singolare è indicata come tipica di re­
gistri informali e se ne sconsiglia l’uso ora nelle sole varietà scritte e nel par­
lato accurato (cfr. Dardano-Trifone, p. 266; Patota, p. 194) ora anche nel par­
lato colloquiale:55 « decisamente da evitare anche nel parlato colloquiale è gli
per le […], che pure ha “precedenti illustri, dal Boccaccio al Machiavelli al
Carducci al Verga” (Durante 1970: 184) ».56

6.2.2. Fenomeni di tematizzazione

Le grammatiche scolastiche non si occupano in genere dell’ordine mar­


cato dei costituenti nella frase.57 Poiché talvolta la posizione del costituente
rispetto al predicato può valere come utile espediente per riconoscerne la
funzione all’interno della frase, rari accenni ai costrutti marcati per l’ordine
delle parole sono nei paragrafi sul soggetto e, talvolta, sull’oggetto diretto
(cfr. Regole, vol. i p. 209).
All’argomento è dato spazio nelle grammatiche di consultazione, anche
nelle sezioni dedicate agli “usi particolari” dei pronomi personali atoni (cfr.
Serianni, §§ vii.39 e 42); descrizioni particolarmente ampie sono in quelle
con più forte impostazione sintattica,58 le quali non sono prive di indicazio­

55. In Maiden-Robustelli, p. 102, l’impiego di gli come terza persona plurale è giudicato
proprie dell’uso informale anche colto (« […] many educated Italians now regard gli as accepta­
ble both in speech and writing »), mentre si precisa che gli ‘le’ « is not generally considered accep­
table, even in informal discourse » (ivi, p. 469 n. 3). Per Lepschy-Lepschy, pp. 72-73, « un dativo
invariabile gli […] per il maschile e il femminile, singolare e plurale, è sempre più comunemen­
te usato ». Indicazioni sull’uso sono date anche da GGIC, vol. i p. 551 per gli ‘a lei’ e per l’impie­
go delle forme gli/loro per la iii persona plurale, e da Salvi-Vanelli, pp. 197-98 per gli ‘a loro’.
56. Cfr. Serianni, § vii.38 (si rinvia a Marcello Durante, I pronomi personali in italiano contem­
poraneo, « Bollettino del Centro di studi filologici e linguistici siciliani », xi 1970, pp. 180-201).
Cfr. anche Sabatini, L’italiano dell’uso medio, cit., p. 158; Nencioni, Costanza dell’antico, cit., pp.
291-92; Serianni, Prima lezione, cit., pp. 12-13. Una completa disamina del trattamento di gli ‘a
lei’ nelle grammatiche e nei repertori lessicografici è in Salvatore Claudio Sgroi, Qualche rifles­
sione sulla nozione di ‘grammatica’, « Studi di grammatica italiana », xxiv 2005, pp. 323-57 (pp. 330-
43). Per la storia di loro e l’oscillazione d’uso con gli, documentata già in testi del Duecento, cfr.
Michele Loporcaro, Il pronome ‘loro’ nell’Italia centro-meridionale e la storia del sistema pronominale
romanzo, « Vox Romanica », lxi 2002, pp. 48-116 (p. 51).
57. Per l’argomento si limita il rinvio bibliografico a R. Sornicola, Sul parlato, Bologna, Il
Mulino, 1981; D’Achille, Sintassi del parlato, cit., pp. 91-203; Paola Benincà, Sintassi, in Introduzio­
ne all’italiano contemporaneo. Le strutture, a cura di A.A. Sobrero, Roma-Bari, Laterza, 1993, pp.
247-90; P. Benincà-G. Salvi-Lorenza Frison, L’ordine degli elementi della frase e le costruzioni marca­
te, in GGIC, vol. i pp. 129-239.
58. Cfr., per es., Dardano-Trifone, pp. 505-27; GGIC, vol. i pp. 129-239; Salvi-Vanelli, pp.
297-313; Prandi, pp. 161-70.

232
il ruolo della grammatica fra scuola e università

ni sull’uso. Si vedano, a titolo esemplificativo, i rilievi di Dardano-Trifone


(p. 509): 59
Nelle dislocazioni di complementi indiretti la ripresa pronominale è facoltativa, ed
è adatta solo a contesti colloquiali. Nello scritto e nel parlato sorvegliato è preferibi­
le evitare la ridondanza pronominale usando il tipo al mare vado tutti gli anni piuttosto
che al mare ci vado tutti gli anni. La ripresa pronominale è invece obbligatoria quando
si antepone un complemento oggetto o un complemento partitivo.

6.2.3. Il doppio indicativo imperfetto nel costrutto ipotetico dell’irrealtà

Le grammatiche scolastiche del nostro corpus si occupano del valore mo­


dale dell’imperfetto indicativo in diversi capitoli: ora a proposito degli usi
dei tempi,60 ora in riferimento ai costrutti ipotetici, ora nelle sezioni dedica­
te all’interferenza tra lingua e dialetto. Per quanto concerne il periodo ipo­
tetico con il doppio indicativo imperfetto, in genere se ne constata la dif­
fusione nel parlato e nei registri informali61 e se ne sconsiglia l’utilizzo nello
scritto (cfr. Sensini, vol. i p. 324; Strumenti, vol. ii pp. 45-46; Tavoni-Italia, vol.
i p. 391), per « evitare un pericoloso appiattimento espressivo che cancelle­
rebbe tutte le sfumature legate all’articolazione del nostro sistema verbale in
tempi della realtà e della possibilità » (Sensini, vol. i p. 324).
Nel descrivere il periodo ipotetico col doppio indicativo imperfetto, le
grammatiche di riferimento non mancano di dare una valutazione socio-sti­
listica e storico-linguistica. Infatti, esse, da un canto sottolineano che si trat­
ta di un impiego tipico del registro colloquiale e familiare, dall’altro ne se­
gnalano l’« indiscutibile antichità ».62 Se ne veda, ad esempio, la trattazione

59. Maiden-Robustelli, pp. 470-71, distinguono fra costruzioni tipiche dell’italiano collo­


quiale, ma non escluse dal « more formal, spoken discourse », e costruzioni confinate al solo
italiano parlato informale. Nel primo gruppo fanno rientrare « the ‘left-dislocation’ of object
nouns and noun phrases with clitic ‘trace’ (e.g., Questi studenti non li conosco […]) to mark the
theme of the sentence » e la dislocazione a destra. Al secondo gruppo, invece, ascrivono il te­
ma sospeso (Questi studenti, gli dobbiamo molto; Mangiare, questi studenti mangiano molto). Anche
Lepschy-Lepschy, p. 146, forniscono indicazioni socio-stilistiche, segnalando che la tematiz­
zazione dell’oggetto diretto attraverso la dislocazione è del tutto normale nella lingua familia­
re (contro il passivo usato nell’italiano letterario).
60. Cfr. Sensini, vol. i p. 181. In Regole, vol. i p. 139, l’uso dell’indicativo imperfetto nel pe­
riodo ipotetico è descritto solo nella sezione dedicata ai modi e tempi verbali, ma non è richia­
mato nel paragrafo dedicato al periodo ipotetico.
61. In Strumenti, vol. ii pp. 45-46, non si coglie il carattere panitaliano di tale costrutto, che è
giudicato un tratto dell’italiano regionale settentrionale.
62. D’Achille, Sintassi del parlato, cit., p. 296. Fra le grammatiche scolastiche una valutazione
diacronica è in Tavoni-Italia, vol. i p. 391, che parlano di « costruzione antichissima ».

233
chiara de caprio - francesco montuori

nella grammatica di Serianni, che fornisce un’articolata disamina dei conte­


sti e registri stilistici in cui è più frequentemente documentato l’indi­ca­ti­
vo: 63
Con l’imperfetto [indicativo] e il trapassato prossimo ci si riferisce quasi sempre a
un’ipotesi non realizzata (« irrealtà nel passato »). Si tratta di un costrutto tipico del
registro colloquiale, benché in espansione. […] Oltre che nel parlato, questo uso del­
l’indicativo irreale – di origine antica e con paralleli in altre lingue (come il francese)
– compare sovente nella prosa narrativa. Ma è ben vitale anche il modulo più tradi­
zionale per l’irrealtà nel passato (congiutivo trapassato nella protasi, condizionale
presente o passato nell’apodosi), che deve considerarsi la norma nella prosa argo­
mentativa ed è largamente diffuso in quella colloquiale.64

6.2.4. L’indicativo al posto del congiuntivo nelle completive

La rarefazione del congiuntivo nelle subordinate completive non è sem­


pre messa in evidenza dalle grammatiche scolastiche: Sensini (vol. i p. 185) e
Tavoni-Italia (vol. i p. 173) la descrivono come una tendenza alla semplifica­
zione dell’italiano contemporaneo, non sempre accettabile e comunque do­
tata di una certa scalarità.65
La stessa complessità si desume dal quadro tracciato dalle grammatiche di

63. Serianni, § xiv.151, p. 590. In Dardano-Trifone, p. 463, si invita a « limitare alla lingua


parlata e informale il tipo con l’imperfetto indicativo »; parimenti in Patota, pp. 102 e 302, si
descrive l’impiego dell’imperfetto indicativo come tipico del linguaggio colloquiale e non
adatto all’« italiano più formale ». Si vedano inoltre GGIC, vol. ii pp. 84 e 753-55; Salvi-Vanelli,
pp. 277-78; Prandi, p. 254; in quest’ultimo lavoro, la descrizione delle « forme tipiche di periodo
ipotetico » viene condotta comparando il sistema dello standard e quello neo-standard (che lo
studioso preferisce designare come « sistema substandard »). Quanto alle grammatiche per
stranieri, Maiden-Robustelli, p. 400, osservano: « […] in everyday, informal speech, use of the
‘plusperfect subjunctive + past conditional type’ is generally considered clumsy and stilted,
and the imperfect indicative is preferred ». Per Lepschy-Lepschy, p. 210, l’imperfetto indicati­
vo nel costrutto ipotetico dell’irrealtà è proprio del linguaggio familiare, ma si presta a equi­
voci.
64. Per la “doppia disamina” socio- e storico-linguistica si vedano inoltre Giulio Herczeg,
Sintassi delle proposizioni ipotetiche nell’italiano contemporaneo, « Acta Linguistica Academiae Scien­
tiarum Hungaricae », xxvi 1976, pp. 397-450 (pp. 448-50); Sabatini, L’italiano dell’uso medio, cit., p.
167; Berruto, Sociolinguistica, cit., pp. 769-70; Nencioni, Costanza dell’antico, cit., pp. 295-96. Per
un’analisi degli usi modali dell’imperfetto cfr. Pier Marco Bertinetto, Tempo, aspetto e azione nel
verbo italiano. Il sistema dell’indicativo, Firenze, Accademia della Crusca, 1986, pp. 368-80; Carla
Bazzanella, I modi dell’imperfetto, « Italiano & oltre », ii 1987, pp. 18-22.
65. Berretta, Il parlato italiano contemporaneo, cit., p. 260, e Benincà, Sintassi, cit., p. 261, vedono
nella diffusione dell’indicativo un segno della semplificazione della morfologia verbale.

234
il ruolo della grammatica fra scuola e università

consultazione: 66 l’uso dell’indicativo in una completiva retta da un verbo d’o­


pinione è segnalato da Patota (p. 124) e Dardano-Trifone (p. 449) come tipi­
co dell’italiano parlato colloquiale, da evitare nell’italiano scritto e nel parla­
to formale.67 Nella sezione dedicata alle oggettive Serianni (§ xiv.48) osser­
va, in riferimento al parlato, che un « regresso in favore dell’indicativo è in
atto soltanto (e non in tutte le regioni) per la seconda persona ». Per la valu­
tazione delle risposte del nostro campione, andrà ricordato che ad una pos­
sibile influenza della diatopia sulla diffusione del fenomeno pensa Ber­ru­
to, secondo il quale « la sostituzione dell’indicativo al congiuntivo è ancora
decisamente marcata come centro-meridionale, anche se è in espansione
nel Nord ».68 Il fenomeno è talvolta annoverato fra i sintomi della cosiddetta
“morte” del congiuntivo, spesso assunta a simbolo della decadenza dell’ita­
liano: ma si tratta di un topos da valutare con cautela,69 dal momento che in
« una completiva l’indicativo è spesso una semplice alternativa colloquiale,
possibile fin dal XIV secolo ».70

66. La scelta del modo in dipendenza dalle completive dipende da una serie di fattori, solo
in alcuni casi di natura stilistica. Accanto alle grammatiche di riferimento del corpus si vedano
anche GGIC, vol. ii pp. 422-23 e 431-53; Salvi-Vanelli, pp. 251-59; Prandi, pp. 149-55.
67. Quanto alle grammatiche per stranieri del nostro corpus, per Maiden-Robustelli, p. 327,
« a rule which must be observed in formal registers of Italian – but it less consistently observed
in informal usage – is that a verb of a subordinate clause appears in the subjunctive if it is in­
troduced by a main clause expressing a belief/opinion/mental impression that […] »; per
Lepschy-Lepschy, p. 75, « il congiuntivo perde terreno, a favore dell’indicativo, nelle proposi­
zioni dipendenti, secondo l’uso parlato familiare, come in credo che parte, spero che sta bene; que­
ste costruzioni sono evitate nell’uso letterario formale » (ulteriori rilievi alle pp. 204-5).
68. Berruto, Sociolinguistica, cit., pp. 70-71, ove lo studioso precisa che « è piuttosto normale
trovarla [la sostituzione dell’indicativo al congiuntivo] categorica in un parlante romano,
mentre in parlanti settentrionali ve ne saranno tracce (ma si tratta di una variabile anche in
relazione con l’asse diastratico e in parte diafasico […]) ». L’idea che il fenomeno abbia origine
tra i parlanti meridionali è già in De Mauro, Storia linguistica, cit., pp. 393 e 401. La valutazione
della variabilità diamesica pare cruciale: a seguito dell’analisi di un campione di italiano del
linguaggio giornalistico, Ilaria Bonomi documenta una buona tenuta del congiuntivo e sotto­
linea che le « indicazioni complessive del materiale […] parlano a sfavore di una caratterizza­
zione diatopica dell’uso dell’indicativo » (I. Bonomi, I giornali e l’italiano dell’uso medio, « Studi di
grammatica italiana », xv 1993, pp. 181-201, a p. 197).
69. Cfr., da ultimo, la discussione in V. Della Valle-G. Patota, Viva il congiuntivo! Come e
quando usarlo senza sbagliare, Milano, Sperling & Kupfer, 2009. Cfr. inoltre Francesca Santulli, Il
congiuntivo italiano: morte o rinascita?, « Rivista italiana di linguistica e dialettologia », xi 2009, pp.
151-80.
70. Serianni, Prima lezione, cit., p. 54. Cfr. anche M. Durante, Dal latino all’italiano moderno.
Saggio di storia linguistica e culturale, Bologna, Zanichelli, 1981, pp. 272-73; Cortelazzo, L’italiano che
si muove, cit., pp. 98-99. Per i testi antichi si tenga conto di Franca Brambilla Ageno, Il verbo
nell’italiano antico, Milano-Napoli, Ricciardi, 1964, pp. 327-33; Antonella Stefinlongo, Completi­

235
chiara de caprio - francesco montuori

6.2.5. I verbi pronominali intensivi

L’uso di verbi pronominali intensivi è registrato dalle grammatiche scola­


stiche, che ne sottolineano la funzione rafforzativa ed espressiva, senza in­
dicare una specifica marcatezza regionale (Sensini, vol. i p. 201; Regole, vol. i
p. 134; Strumenti, vol. i p. 134; Tavoni-Italia, vol. i p. 181). Infatti, la « costruzio­
ne dei verbi con forma pronominale per indicare una più forte partecipazio­
ne affettiva o di interesse », indicata da Sabatini tra i trentacinque tratti carat­
terizzanti l’italiano dell’uso medio,71 e di documentazione già antica,72 è de­
scritta nelle grammatiche di riferimento dell’italiano, che spesso ne mettono
in rilievo la funzione espressiva.73 Tuttavia, pur registrandone la diffusa ac­
cettabilità, Serianni (§ vii.40) segnala che il costrutto si manifesta con note­
vole frequenza nelle varietà centro-meridionali dell’italiano e la valutazione
sembra confermata da studi specifici.74 A tal riguardo, si osservi che la ten­
denza ad « ampliare la classe dei verbi pronominali, transitivi e intransitivi »
è caratteristica del napoletano, come di altri dialetti centro-meridionali, ed
è documentata sin dai testi di più antica datazione.75

6.2.6. L’accusativo preposizionale, il tipo « lo telefono » e l’uso transitivo di ‘salire’

Nelle grammatiche scolastiche non c’è, in genere, spazio per i costrutti


giudicati erronei perché frutto dell’interferenza tra italiano e dialetto. Qual­
che considerazione critica tratta dalla letteratura aiuta a definire la marca­
tezza di tali costrutti.

va col congiuntivo e con l’indicativo in italiano antico, « Critica », v 1977, pp. 253-77; Maria Silvia Rati,
L’alternanza tra indicativo e congiuntivo nelle proposizioni completive. Sondaggi sulla prosa italiana del
Due-Trecento, « Studi di grammatica italiana », xxiii 2004, pp. 1-59; Ead., Indicativo e congiuntivo
nella poesia delle origini: le proposizioni completive, in Studi linguistici per Luca Serianni, a cura di V.
Della Valle e P. Trifone, Roma, Salerno Editrice, 2007, pp. 481-93.
71. Sabatini, L’italiano dell’uso medio, cit., p. 167.
72. Cfr. Raffaello Fornaciari, Sintassi italiana dell’uso moderno, Firenze, Sansoni, 1881, parte i,
cap. xxiii, con esempi da Dante e Giovanni Villani.
73. Cfr. Dardano-Trifone, p. 311; Salvi-Vanelli, p. 203.
74. Cfr. Telmon, Varietà regionali, cit., p. 119; De Blasi-Fanciullo, Campania, cit., p. 646; Sor­
nicola, Italiano parlato, cit., p. 161; Lo Duca, Lingua italiana, cit., p. 82 (ma il fenomeno è registra­
to anche come tratto tipico del parlato nazionale a p. 101).
75. Cfr. Gerhard Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, 3 voll., Torino,
Einaudi, 1966-1969, § 640; Loise De Rosa, Ricordi, a cura di Vittorio Formentin, 2 voll., Roma,
Salerno Editrice, 1998, vol. ii p. 387. Contrariamente al comportamento che hanno in italiano,
questi verbi in dialetto selezionano sempre l’ausiliare avere (cfr. Adam Ledgeway, Grammatica
diacronica del napoletano, Tübingen, Niemeyer, 2009, § 15.1.1.3.3).

236
il ruolo della grammatica fra scuola e università

Per l’accusativo preposizionale, nel gruppo di testi analizzati per l’occa­


sione il solo Sensini (vol. i p. 353) descrive il fenomeno nel capitolo esplica­
tivo sui dialetti d’Italia, e quindi al di fuori della sezione che illustra le strut­
ture della grammatica dell’italiano. La scelta si spiega con il fatto che l’uso è
abbastanza uniformemente diffuso in tutte le regioni del Centro-Sud e il
limite settentrionale del fenomeno sembra coincidere con la linea Roma-
Ancona.76 Tuttavia si dovrà tener presente che, per oggetti topicali in posi­
zione preverbale, l’oggetto preposizionale è ammesso anche nel registro
colloquiale dei parlanti dell’Italia centrale (cfr. Serianni, § ii.39) o, soprattut­
to per i pronomi deittici retti da verbi psicologici, anche di quelli dell’Italia
settentrionale.77
La realizzazione accusativale del clitico oggetto indiretto in dipendenza
da telefonare nel senso di ‘parlare all’apparecchio telefonico (con qualcuno)’
va confrontata con gli oggetti quasi sempre referenziali e umani di un verbo
transitivo bivalente come chiamare.78 Essa può essere essere messa a confron­
to con usi attestati ab antiquo in dialetto napoletano in verbi transitivi triva­
lenti costruiti con doppio oggetto, se l’oggetto indiretto è un pronome cli­
tico: 79 ad esempio, in dipendenza dal verbo scrivere, il Beneficiario viene rea­
lizzato con il clitico accusativale (’o voglio scrivere a Carmine) perché la pre­
posizione a, che introduce l’oggetto indiretto, viene reinterpretata da marca
dativale a introduttore di Oggetto Diretto [+Umano] e [+Referenziale].80

76. Cfr. Telmon, Varietà regionali, cit., p. 120.


77. Cfr. Berretta, Sintassi, cit., p. 236, e D’Achille, Aspetti evolutivi, cit., p. 31, che per il tipo A
Franco non l’ha invitato nessuno parla di costrutto « standard, o almeno panitaliano ». Per la distri­
buzione areale del fenomeno nella Romània cfr. R. Sornicola, Processi di convergenza nella forma­
zione di un tipo sintattico: la genesi ibrida dell’oggetto preposizionale, in Les nouvelles ambitions de la
linguistique diachronique. Actes du xxiie Congrès International de Linguistique e de Philologie
Romanes, Bruxelles, 23-29 Juillet 1998, 2 voll., Tübingen, Niemeyer, 1998, vol. ii pp. 419-27. Per
il napoletano si veda Ead., L’oggetto preposizionale in siciliano antico e in napoletano antico. Considera­
zioni su un problema di tipologia diacronica, « Italienische Studien », xviii 1997, pp. 45-59; G. Fioren­
tino, Prepositional Objects in Neapolitan, in Romance Objects. Transitivity in Romance Languages, a
cura della stessa, Berlin, Mouton de Gruyter, 2003, pp. 117-51; e da ultimo Ledgeway, Gramma­
tica, cit., § 23.2.1, che ricostruisce la cronologia del costrutto evidenziando i fattori lessicali, sin­
tattici, semantici e pragmatici che ne regolano la distribuzione.
78. Ai costrutti regionali io chiamo a lui e, con clitico, io lo chiamo a lui, corrispondono io tele­
fono a lui e io lo telefono a lui.
79. Cfr. R. Sornicola, Campania, in The Dialects of Italy a cura di M. Maiden e Mair Parry,
London-New York, Routledge, 1997, pp. 330-37 (pp. 335-37).
80. L’uso del clitico accusativale per gli oggetti indiretti è molto antico, mentre l’accusativo
preposizionale si diffonde lentamente e solo nell’Ottocento manifesta le caratteristiche con
cui è vitale oggi. « Ne consegue che qualsiasi legame sincronico tra l’accusativo preposiziona­

237
chiara de caprio - francesco montuori

Per i verbi trivalenti, la presenza dell’oggetto diretto impedisce che l’ogget­


to indiretto venga realizzato da un sintagma nominale (*io scrivo Carmine una
lettera); invece nell’italiano popolare locale, per reazione ipercorretta verso
l’accusativo preposizionale, il verbo bivalente telefonare può realizzare il Be­
neficiario con un SN (Io telefono Luigi). Si tenga conto, però, che nella varie­
tà locale e popolare di italiano in dipendenza da telefonare può ricorrere ci ‘a
lui’ ecc. (Io ci voglio telefonare a Luigi/a Maria): ciò induce a pensare che per
molti parlanti la diatesi del verbo sia ancora incerta e che la “transitività” sia
indotta dalla ricorrenza in contesti con i clitici piuttosto che come effetto di
una compiuta transitivizzazione.81
L’uso dell’inaccusativo salire nel senso di ‘portare su, far salire’ è marcato
come regionale meridionale e popolare nel GRADIT, s.v. salire 1 § 8.82 An­
che in questo caso le grammatiche scolastiche non dicono nulla, né a propo­
sito della diatesi dei verbi, né analizzando il contatto tra italiano e dialetti.
Ancora una volta fa eccezione Sensini (vol. i p. 353): « Tipico, infine, dell’ita­
liano regionale meridionale, specialmente in Sicilia e in Calabria, […] l’uso
transitivo dei verbi salire e scendere (“Scendimi il pacco”) ».

6.2.7. ‘Che’ indeclinato senza ripresa clitica

Al che indeclinato senza ripresa clitica fanno cenno solo quei testi scolasti­
ci che sono particolarmente propensi alla descrizione di costrutti giudicati
poco accettabili dal punto di vista sociolinguistico: esplicita condanna del che
indeclinato è, per esempio, in Sensini (vol. i pp. 168 e 354) e in Regole (vol. i
p. 102). Nelle grammatiche di consultazione, per le relative con che indecli­

le e l’emergenza dei clitici accusativali in funzione dativale non è altro che casuale » (Ledge­
way, Grammatica, cit., § 23.2.2.3).
81. Si noti inoltre che in italiano, coi verbi transitivi, i costrutti con dislocazione presentano
asimmetria fra le prime due persone e la terza. Quando è anticipato il pronome di prima o di
seconda persona la marca preposizionale è possibile anche coi verbi transitivi: Me, non mi
chiama nessuno/A me, non mi chiama nessuno (verbo transitivo), A me, non mi telefona nessuno (ver­
bo intransitivo); quando invece il pronome è di terza persona, la marca è solo con i verbi in­
transitivi: Lui, non lo chiama nessuno [verbo transitivo] e A lui, non gli telefona nessuno (verbo in­
transitivo) (cfr. GGIC, vol. i pp. 169-70). Nella varietà locale di italiano la differenza di com­
portamento fra transitivi e intransitivi è annullata in tutte le persone: A lui, non lo chiama nessu­
no e A lui, non lo telefona nessuno.
82. L’uso transitivo di verbi inaccusativi « non è affatto infrequente » nelle varietà dialettali
meridionali (cfr. Ledgeway, Grammatica, cit., § 23.2.2.5, con esempi di salire a p. 851; si veda an­
che per il napoletano Sornicola, Campania, cit., p. 337); per l’italiano regionale cfr. De Mauro,
Storia linguistica, cit., p. 400; Telmon, Varietà regionali, cit., p. 126.

238
il ruolo della grammatica fra scuola e università

nato (con o senza ripresa) resta un giudizio di forte inaccettabilità: per esem­
pio in Patota (p. 208) si legge che « incoerenze di questo tipo [la ragazza che ti
ho parlato] vanno assolutamente evitate, ricordando che, se il pronome rela­
tivo indica un complemento indiretto, la forma da usare è cui, non che ». Di­
stinguono fra « diversi gradi di accettabilità » Dardano-Trifone (p. 283): il
ti­po che abbiamo proposto nel questionario, privo di ripresa clitica, è mar­
cato « in senso popolare (e come tale da evitare nello scritto) ». A loro volta,
Gaetano Berruto e Monica Berretta escludono il che relativo invariabile, con
o senza ripresa, dal neo-standard, giudicandolo tipico dell’italiano parlato
colloquiale molto informale e dell’italiano popolare.83 In tempi più recen­
ti, Gio­vanna Alfonzetti ha documentato come la « relativa su complementi
preposizionali costruita con che, con o senza ripresa clitica […], si insinui nei
registri più formali dei parlanti colti », entrando a « far parte di quel processo
di promozione di tratti substandard o non-standard che caratterizza la ri­
standardizzazione dell’italiano contemporaneo ».84

6.2.8. ‘Ci’ ‘a lui, a lei, a loro’

L’uso di ci per ‘a lui, a lei, a loro’ è raramente presente nelle grammatiche.


Quando se ne fa un cenno esplicito, lo si giudica un tratto di origine dialet­

83. Berruto, Sociolinguistica, cit., p. 128 (con gerarchia dei paradigmi dei costrutti relativi nelle
varietà dell’italiano), e Berretta, Il parlato, cit., p. 254. Anche in Maiden-Robustelli, p. 133, le re­
lative con che generico sono giudicate tipiche dell’italiano popolare: « While these construc­
tions will be widely encountered in speech, they are somewhat stigmatized and are probably
best avoided by foreign learners »; Lepschy-Lepschy, pp. 115-16, esaminano l’uso del relativo
indeclinato, distinguendo fra diversi gradi di accettabilità e dando conto della “storia” della
relativa non-standard nell’italiano: « Ricordo il giorno che sei arrivato […]; qui l’uso di che per in cui
o quando […], è considerato grammaticalmente corretto. Ci sono molti esempi in cui che (da
solo, o con un pronome personale indiretto, per es. che gli) sostituisce un pronome relativo in­
diretto (per es. a cui); questo uso ha una tradizione letteraria che risale alle origini della lettera­
tura italiana, ed è diffuso oggi nell’italiano parlato di tono familiare; si trova perciò spes­so anche
in romanzi moderni, soprattutto nel dialogo […]. Questa costruzione è normalmente conside­
rata agrammaticale ». In tempi più recenti, la relativa con che indeclinato con ripresa clitica è
descritta da GGIC, vol. i pp. 482 e 497 (Guglielmo Cinque, La frase relativa); Salvi-Vanelli, p.
292; Prandi, p. 157, che propone il confronto con le strategie di relativizzazione di altre lingue.
84. Alfonzetti, La relativa non-standard, cit., p. 163. Per le fasi antiche il rimando è ancora a
D’Achille, Sintassi del parlato, cit., pp. 205-60; Nencioni, Costanza dell’antico nel parlato moderno,
cit., pp. 289-91. Per le tipologie dei costrutti cfr. Giuliano Bernini, Tipologia delle frasi relative ita­
liane e romanze, in L’italiano fra le lingue romanze. Atti del xx Congresso internazionale di studi
della Società di linguistica italiana, Bologna, 25-27 settembre 1986, a cura di Fabio Foresti, Ele­
na Rizzi, Paola Benedini, Roma, Bulzoni, 1989, pp. 85-98. Sulle strategie di relativizzazione nei
dialetti d’Italia cfr. Michela Cennamo, Relative Clauses, in The Dialects of Italy, cit., pp. 190-201.

239
chiara de caprio - francesco montuori

tale, proprio del registro popolare. Si veda a titolo esemplificativo la chiosa


di Sensini (vol. i p. 160): « Ancora meno giustificabile è l’uso, tipicamente
dialettale, di ci in luogo di gli: “Allora io ci ho detto” invece di “Allora io gli ho
detto” ». Anche le grammatiche di riferimento sottolineano il carattere sub­
standard di questo impiego: Serianni (§ vii.49) parla di un uso « non accetta­
bile […] limitato al livello linguistico più popolare »; a loro volta Dardano-
Trifone (p. 267) insistono sulla marginalità e sulla marcatezza del costrutto:
« È dialettale l’uso di ci nel significato di ‘a lui, a lei, a loro’ ». Le osservazioni
sono tutte nel solco della tradizione delle grammatiche ottocentesche, che
non esitavano a condannare l’uso del clitico, sebbene una certa cautela fosse
dettata dalla possibilità di interpretare le occorrenze con alcuni verbi come
costrutti ellittici in cui è sottintesa anche la preposizione.85 Per la corretta va­
lutazione dei dati del nostro campione, bisogna considerare che nell’italiano
della Campania l’uso di ci gode di buona vitalità nell’italiano regionale basso
grazie all’interferenza col dialettale nce che vale ‘ci’ anche nel senso di ‘a lui,
a lei, a loro’.86

6.3. Correttezza, comprensibilità, uso nello scritto: i dati

Per gli enunciati che contengono tratti di media e bassa formalità, ben at­
testati nella varietà neo-standard dell’italiano, si hanno i seguenti risultati:
1. Le ha comprate Maria, le uova.
LM
comprensibile per 100 (76,3%);
corretto per 43 (32,8%);
impiegato nello scritto per 26 (19,8%);

85. « Mentre questo [= Puoti] […] aveva incluso nei “modi da fuggirsi” l’esempio di ci parlo
per parlo a lui, Petrocchi, Morandi-Cappuccini e Mariani distinguevano il “caso complesso in
cui si possa sottintendere con te/voi/lui” e lo ritengono ammissibile » (M. Catricalà, L’italiano tra
grammaticalità e testualizzazione. Il dibattito linguistico-pedagogico del primo sessantennio post-unitario,
Firenze, Accademia della Crusca, 1995, pp. 105-6). Anche nei repertori lessicografici il signifi­
cato dativale di ci è indicato come popolare o dialettale: cfr. GRADIT, s.v. ci 1 § ii.2. Maiden-
Robustelli, p. 104, per ci ‘a lui, a loro’ osservano: « When a noun phrase preceded by the prepo­
sition a denotes a person the indirect object pronouns gli, le, loro are preferable […]. Use of ci
with reference to persons is characteristic of popular and colloquial styles (glielo dico rather ce
lo dico, etc.) ». Lepschy-Lepschy, pp. 72-73, accennano alla tendenza dell’italiano popolare ad
utilizzare il clitico ci come pronome dativale per tutti i generi e numeri.
86. Per l’italiano locale e popolare di Napoli si rimanda a De Blasi, Per la storia, cit., pp. 153-
55; De Blasi-Fanciullo, Campania, cit., pp. 644-50. La progressiva diffusione di (n)ce dativale nel
dialetto napoletano (contro i concorrenti esiti di illi, illis) è documentata da Ledgeway,
Grammatica, cit., § 8.3.1.2.

240
il ruolo della grammatica fra scuola e università

LC
comprensibile per 67 (97,1%);
corretto per 28 (40,6%);
impiegato nello scritto per 9 (13%);
TOT
comprensibile per 167 (83,5%);
corretto per 71 (35,5%);
impiegato nello scritto per 35 (17,5%).

2. Gli dico di tornare per cena a Mario.


LM
comprensibile per 106 (80,9%);
corretto per 10 (7,6%);
impiegato nello scritto per 9 (6,8%);
LC
comprensibile per 62 (89,9%);
corretto per 4 (5,8%);
impiegato nello scritto per 2 (2,9%);
TOT
comprensibile per 168 (84%);
corretto per 14 (7%);
impiegato nello scritto per 11 (5,5%).

3. Ai tuoi fratelli gli hai detto che usciamo?


LM
comprensibile per 111 (84,7%);
corretto per 13 (9,9%);
impiegato nello scritto per 9 (6,8%);
LC
comprensibile per 63 (91,3%);
corretto per 3 (4,3%);
impiegato nello scritto per 4 (5,8%);
TOT
comprensibile per 174 (87%);
corretto per 16 (8%);
impiegato nello scritto per 13 (6,5%).

4. Se sapevo che eri in difficoltà, ti aiutavo.


LM
comprensibile per 131 (100%);
corretto per 40 (30,5%);
impiegato nello scritto per 38 (29%);
LC
comprensibile per 68 (98,5%);

241
chiara de caprio - francesco montuori

corretto per 15 (21,7%);


impiegato nello scritto per 15 (21,7%);
TOT
comprensibile per 199 (99,5%);
corretto per 55 (27,5%);
impiegato nello scritto per 53 (26,5%).

5. Penso che fai male a non ascoltare i consigli di tuo fratello.


LM
comprensibile per 125 (95,4%);
corretto per 78 (59,5%);
impiegato nello scritto per 72 (54,9%);
LC
comprensibile per 68 (98,5%);
corretto per 41 (59,4%);
impiegato nello scritto per 41 (59,4%);
TOT
comprensibile per 193 (96,5%);
corretto per 119 (59,5%);
impiegato nello scritto per 113 (56,5%).

6. Mi sono mangiato una pizza e mi sono bevuto una birra ghiacciata.


LM
comprensibile per 110 (83,9%);
corretto per 8 (6,1%);
impiegato nello scritto per 6 (4,5%);
LC
comprensibile per 66 (95,6%);
corretto per 2 (2,9%);
impiegato nello scritto per 2 (2,9%);
TOT
comprensibile per 176 (88%);
corretto per 10 (5%);
impiegato nello scritto per 8 (4%).

Per gli enunciati con tratti ben acclimatati nell’italiano locale di Napoli si
hanno i seguenti dati:
7. Hai chiamato a Luca?
LM
comprensibile per 126 (96,1%);
corretto per 16 (12,2%);
impiegato nello scritto per 19 (14,5%);

242
il ruolo della grammatica fra scuola e università

LC
comprensibile per 66 (95,6%);
corretto per 7 (10,1%);
impiegato nello scritto per 7 (10,1%);
TOT
comprensibile per 192 (96%);
corretto per 23 (11,5%);
impiegato nello scritto per 26 (13%).

8. Hai salito la valigia che ho lasciato vicino all’ascensore?


LM
comprensibile per 121 (92,3%);
corretto per 64 (48,8%);
impiegato nello scritto per 50 (38,2%);
LC
comprensibile per 69 (100%);
corretto per 27 (39,1%);
impiegato nello scritto per 24 (34,8%);
TOT
comprensibile per 190 (95%);
corretto per 91 (45,5%);
impiegato nello scritto per 74 (37%).

9. Puoi telefonarlo?
LM
comprensibile per 111 (84,7%);
corretto per 73 (55,7%);
impiegato nello scritto per 71 (54,2%);
LC
comprensibile per 67 (97,1%);
corretto per 40 (58%);
impiegato nello scritto per 40 (58%);
TOT
comprensibile per 178 (89%);
corretto per 113 (56,5%);
impiegato nello scritto per 111 (55,5%).

Per gli enunciati con tratti substandard panitaliani, invece, i risultati sono i
seguenti:
10. Quella è la ragazza che ti ho parlato.
LM
comprensibile per 84 (64,1%);
corretto per 6 (4,5%);

243
chiara de caprio - francesco montuori

impiegato nello scritto per 6 (4,5%);


LC
comprensibile per 47 (68,1%);
corretto per 3 (4,3%);
impiegato nello scritto per 2 (2,9%);
TOT
comprensibile per 135 (67,5%);
corretto per 9 (4,5%);
impiegato nello scritto per 8 (4%).

11. A Mario ci piace uscire con il motorino.


LM
comprensibile per 99 (75,6%);
corretto per 0 (0%);
impiegato nello scritto per 0 (0%);
LC
comprensibile per 60 (87%);
corretto per 0 (0%);
impiegato nello scritto per 1 (1,4%);
TOT
comprensibile per 159 (79,5%);
corretto per 0 (0%);
impiegato nello scritto per 1 (0,5%).

Per completezza, si espongono anche i dati sugli enunciati privi di qualsiasi


tratto estraneo allo standard:
12. Hai notato che anche lui ha le scarpe blu?
LM
comprensibile per 125 (95,4%);
corretto per 120 (91,6%);
impiegato nello scritto per 112 (85,5%);
LC
comprensibile per 69 (100%);
corretto per 65 (94,2%);
impiegato nello scritto per 66 (95,6%);
TOT
comprensibile per 194 (97%);
corretto per 185 (92,5%);
impiegato nello scritto per 178 (89%).

13. Per favore, puoi chiudere la finestra?


LM
comprensibile per 127 (96,9%);

244
il ruolo della grammatica fra scuola e università

corretto per 109 (83,2%);


impiegato nello scritto per 111 (84,7%);
LC
comprensibile per 69 (100%);
corretto per 65 (94,2%);
impiegato nello scritto per 66 (95,6%);
TOT
comprensibile per 196 (98%);
corretto per 164 (82%);
impiegato nello scritto per 177 (88,5%).

14. Potrei dare un’occhiata al suo giornale?


LM
comprensibile per 129 (98,5%);
corretto per 127 (96,9%);
impiegato nello scritto per 125 (95,4%);
LC
comprensibile per 68 (98,6%);
corretto per 68 (98,6%);
impiegato nello scritto per 64 (92,7%);
TOT
comprensibile per 197 (98,5%);
corretto per 195 (97,5%);
impiegato nello scritto per 189 (94,5%).

6.3.1. I giudizi di correttezza

Le risposte danno alcune informazioni di massima:


a) alcune possibilità fornite dalla norma, più frequentemente adoperate
nel parlato, sono sanzionate con giudizi di scorrettezza (nni 2-3 e 1, 4-5);
b) l’ordine sintatticamente marcato dei costituenti, se viene dislocato l’og­
getto indiretto (nni 2 e 3), è giudicato non corretto da oltre il 90% del cam­
pione;
c) i tratti dell’italiano regionale non connotati come diastraticamente bas­
si (nni 6 e 7) vengono giudicati scorretti in misura molto maggiore di quelli
che hanno una più marcata caratterizzazione popolare e locale, il cui giudi­
zio di correttezza è espresso da poco meno (n° 8) e poco più (n° 9) della me­
tà del campione;
d) alcuni tratti substandard sono a tal punto censurati che possono fun­
zionare come indicatori di usi linguistici del tutto privi di prestigio (nni 10 e
11);
245
chiara de caprio - francesco montuori

e) lo stigma ipercorretto, dettato dal timore di non riconoscere un errore


che in realtà non è presente, raramente supera il 5%.87
I giudizi di correttezza degli enunciati da parte degli studenti corrispon­
dono alla valutazione che parlanti diplomati, ma con un profilo sociolingui­
stico presumibilmente non del tutto omogeneo, danno sulla norma. Tali giu­
dizi rinviano sostanzialmente a un modello grammaticale, sentito come con­
diviso, che è stato acquisito a scuola.
La norma appresa dagli studenti tende ad aderire alle forme dello scritto
pianificato e corrisponde ai registri più formali, prescritti o descritti nei libri
di testo.88 Tuttavia i criteri di valutazione degli studenti spesso si allontana­
no dalle regole dettate dalle grammatiche,89 manifestando un atteggiamen­
to idiosincratico che può essere in parte spiegato dalla diversa preparazione
e sensibilità dei docenti di italiano e dalla maggiore o minore efficacia del lo­
ro invito ad analizzare e riflettere esplicitamente sulla diversa caratterizza­
zione dell’italiano in relazione ai parametri di variazione.90
Inoltre, forse per effetto della scarsa attenzione delle grammatiche scola­

87. I tre enunciati privi di elementi marcati sono: 12. Hai notato che anche lui ha le scarpe blu?;
13. Per favore, puoi chiudere la finestra?; 14. Potrei dare un’occhiata al suo giornale?. L’unico dato sor­
prendente è relativo al n° 13, giudicato come corretto “solo” dall’82% del campione. Probabil­
mente sul giudizio di correttezza ha pesato non solo l’atteggiamento psicologico di ricerca
dell’errore, ma anche l’insensibilità alla varietà degli stili possibili dell’interrogazione, alla cui
equipollenza grammaticale corrispondono diverse specializzazioni pragmatiche. Nel caso
specifico sembra chiaro che i modelli di giudizio degli studenti siano fondati su frasi caratte­
rizzate dall’espressione più accurata della formalità: l’allocutivo di seconda persona e l’assenza
del condizionale, attesi come necessari ingredienti della cortesia, comportano un giudizio di
scorrettezza. Un’efficace conferma è fornita dall’enunciato 14. Potrei dare un’occhiata al suo gior­
nale?, che riscuote un giudizio di correttezza del 98,5%.
88. Cfr. ad es. il giudizio su 4. Se sapevo che eri in difficoltà, ti aiutavo, enunciato corretto solo
per il 27,5% del campione, o su 5. Penso che fai male a non ascoltare i consigli di tuo fratello, corretto
per il 59,5%.
89. In direzioni opposte, i casi più chiari sono l’enunciato 6. Mi sono mangiato una pizza e mi
sono bevuto una birra ghiacciata, giudicato corretto solo dal 5% del campione; 8. Hai salito la valigia
che ho lasciato vicino all’ascensore? e 9. Puoi telefonarlo? riportano giudizi di correttezza relativa­
mente più alti, il 45,5% e il 56,5%.
90. Per la definizione della norma trasmessa dagli insegnanti come norma sommersa cfr. L.
Serianni, La norma sommersa, « Lingua e stile », xlii 2007, pp. 283-95 (p. 284); L. Serianni-Giusep­
pe Benedetti, Scritti sui banchi. L’italiano a scuola tra alunni e insegnanti, Roma, Carocci, 2009, pp.
65-68. Una tripartizione delle valutazioni della norma in « agrammaticalità; possibilità di più
esecuzioni equipollenti; casi d’incertezza » è delineata in Serianni, Prima lezione, cit., p. 42. I
modelli grammaticali dei docenti si manifestano nel lungo lavoro di correzione degli elabora­
ti scolastici (e hanno ripercussioni nella relativa riflessione sulle regole cui sono invitati gli
studenti): cfr. Serianni-Benedetti, Scritti sui banchi, cit.; rinvii bibliografici utili anche in Sgroi,
Qualche riflessione, cit.

246
il ruolo della grammatica fra scuola e università

stiche per gli italiani regionali,91 circa la metà degli studenti giudica corretti
gli enunciati nni 8-9, dei quali non riconosce la marcatezza diatopica,92 al
punto che si può parlare di forme di “regionalizzazione” della norma.93 In­
vece l’oggetto preposizionale (n° 7), sebbene sia nell’uso locale, comunque
resta estraneo alla norma di riferimento degli studenti, come dimostra il giu­
dizio di scorrettezza dato da quella parte significativa del campione che ne
ha riconosciuto l’estraneità alla varietà nazionale di italiano.94 Anche in que­
sto caso i risultati dipendono dalla prassi didattica, perché a scuola i frutti
del­l’interferenza tra lingua e dialetto, se riconosciuti, vengono sempre as­se­
gnati a un’interlingua di scarso prestigio sociale o direttamente alla varie­tà
linguistica locale, e quindi comunque debitamente sanzionati.95

6.3.2. Comprensibilità e correttezza: comparazione tra i due campioni

L’incertezza tra un giudizio di scorrettezza e l’accettazione di una delle


possibili diverse realizzazioni della norma si manifesta, a nostro parere, an­

91. È facile constatare che talvolta gli esercizi, se proposti in modo generico, mirando a
eliminare alcuni comportamenti di deviazione dalla norma che hanno una diffusione solo
regionale, risultano essere del tutto scontati per gli studenti delle altre parti d’Italia.
92. Si fa riferimento ai due enunciati nni 8 e 9: Hai salito la valigia che ho lasciato vicino all’ascen­
sore? e Puoi telefonarlo?, corretti per il 45,5% e 56,5% del campione.
93. Cfr. G.C. Lepschy, Popular Italian: Fact or Fiction?, in Id., Mother Tongues and other reflections
on the Italian Language, Toronto, Univ. of Toronto Press, 2002, pp. 49-69; Sobrero, Nell’era del
post-italiano, cit., pp. 274-75; Sgroi, Qualche riflessione, cit., p. 325.
94. Come si è detto, la percentuale di correttezza dell’oggetto preposizionale (n° 7) è solo
dell’11,5%.
95. Della “repressione” scolastica del lessico regionale è esempio non dimenticato il capi­
tolo A ciascuno il suo in L’idioma gentile di De Amicis (1905). Nel secolo XIX « gli autori dei ma­
nuali di provincialismi, nel perseguire un puro italiano, constatano spesso, con disappunto, l’esi­
stenza di una varietà intermedia (che oggi definiremmo italiano regionale) » ritenuta “arbi­
traria”: ne consegue che l’involontaria interferenza regionale era severamente sanzionata (for­
se perfino più dello stesso dialetto), proprio perché più difficilmente controllabile da parte
del discente (N. De Blasi, L’italiano parlato e la scuola tra Ottocento e Novecento, in Langue parlée et
langue écrite dans le présent et dans le passé, a cura di Rika Van Deyck, R. Sornicola e Johannes
Kabatek, fasc. monografico di « Communication & Cognition », xxxvii 2004, pp. 25-53, a p. 34).
L’ampia area della dialettizzazione dell’italiano, favorita nei casi di relativa vicinanza tipologica
dei due sistemi, comporta effetti sistemici sui codici in contatto (cfr. Italiano, italiani regionali e
dialetti, a cura di A. Cardinaletti e Nicola Munaro, Milano, Franco Angeli, 2009), ma anche una
percezione polare del repertorio linguistico, con il conseguente “schiacciamento” dell’italiano
regionale verso il dialetto (cfr. T. Telmon, Una ricerca sulla percezione dei parlanti circa i rapporti tra
italiano e dialetto, in Gli italiani e la lingua, a cura di Franco Lo Piparo e Giovanni Ruffino, Paler­
mo, Sellerio, 2005, pp. 229-54, in partic. a p. 233).

247
chiara de caprio - francesco montuori

che nelle opinioni sulla comprensibilità. Se infatti è condivisibile quanto


affermato da Claudio Marazzini:
Sicuramente il confine per la legittimità della norma non potrà mai essere misurato
con il parametro della comprensibilità complessiva del messaggio, considerata co­
me punto di rottura del canale comunicativo96

è pur vero che, in enunciati fuori contesto come quelli del questionario sot­
toposto agli studenti, il giudizio di incomprensibilità può essere una marca
di sanzione estrema.
Gli enunciati non sono strutturalmente ambigui, sono lessicalmente tra­
sparenti e hanno significati « desumibili dal significato delle parti ».97 Eppure
solo in pochissimi casi si ha un giudizio del 100% di comprensibilità, e solo
su una porzione del campione.98 Si osservano due dati fondamentali:
a) gli studenti di Lettere Classiche danno un giudizio di comprensibilità
percentualmente sempre superiore ai colleghi di Lettere Moderne;99
b) nel complesso, i giudizi di comprensibilità sono attribuiti in modo
scalare: sono molto vicini al 100% per alcuni costrutti influenzati dalla sin­
tassi dialettale (nni 8-9)100 e per altri che presentano una scelta dei modi ver­
bali del tutto “naturale” nel parlato (nni 4 e 5);101 sono meno frequenti per
quegli enunciati che presentano un ordine marcato dei costituenti (nni 1, 2 e
3);102 sono inferiori al 70% per i tratti popolari dell’italiano (nni 10 e 11).103

96. Cfr. Claudio Marazzini, Sulla norma dell’italiano moderno. Con una riflessione sull’origine e
sulla legittimità delle “regole” secondo gli antichi grammatici, « Lingua italiana d’oggi », iii 2006, pp.
85-101 (p. 99).
97. Gli enunciati quindi non hanno particolare forza pragmatica: cfr. Simone, Fondamenti,
cit., p. 506.
98. Sono l’enunciato n° 4 per gli studenti di Lettere Moderne; i nni 8, 12 e 13 per gli iscritti
a Lettere Classiche. I tre enunciati non marcati (nni 12-14) raggiungono valori complessivi
molto alti, oscillanti tra il 97% e il 98,5%.
99. Le uniche eccezioni, per quantità trascurabili, sono gli enunciati nni 4 e 7.
100. I valori totali di comprensibilità sono 96% per l’enunciato con accusativo preposizio­
nale (n° 7) e 95% per quello con salire (n° 8), mentre per il tipo lo telefono (n° 9) ci si ferma
all’89%; si aggiunga che per i verbi transitivi pronominali (n° 6) il dato della comprensibilità
raggiunge l’88%.
101. Gli enunciati nni 4 e 5, sugli usi dell’imperfetto indicativo nel costrutto ipotetico dell’ir­
realtà e del congiuntivo nelle completive, riportano rispettivamente il 99,5% e il 96,5% di
giudizi di comprensibilità.
102. Per gli enunciati nni 1, 2 e 3, che presentano la dislocazione di un costituente argomen­
tale, i valori della comprensibilità sono l’83,5, l’84 e l’87%.
103. L’enunciato n° 10 (relativo indeclinato senza ripresa clitica) è comprensibile per il
67,5% del campione; il n° 11 (ci ‘gli’) è comprensibile per il 79,5%.

248
il ruolo della grammatica fra scuola e università

Il primo dato è, con ogni probabilità, effetto della diversa modalità di


somministrazione del questionario ai due gruppi: si è scelto di non forni­
re spiegazioni sul concetto di comprensibilità ad una parte del campione
(Lettere Moderne); al contrario, agli studenti di Lettere Classiche è stato
esplicitato che dovesse intendersi per comprensibilità la possibilità di capi­
re il contenuto semantico dell’enunciato (cfr. § 6.1). È possibile che proprio
per effetto di questo diverso approccio gli studenti di Lettere Moderne,
rispetto ai loro colleghi, abbiano giudicato come meno comprensibili que­
gli enunciati che necessitano di inferenze (n° 9) o che sono caratterizzati da
marcatezza sintattica (nni 1-3). Inoltre il dato della comprensibilità è sen­
sibilmente più basso (circa del 12%) rispetto al resto del campione anche
quando sono coinvolte sovraestensioni funzionali del pronome personale
ci, come in 11. Quindi sulla valutazione di una parte degli studenti in Lette­
re Moderne avrà influito l’idea che gli enunciati avrebbero dovuto esser
parte di un più ampio testo non dato: l’assenza di informazioni extralingui­
stiche ha comportato incertezza nell’individuare i valori illocutivi degli enun­
ciati e difficoltà nel ricostruire un possibile contesto comunicativo, atteg­
giamenti tradottisi talvolta nell’espressione di un giudizio di non compren­
sibilità.104
Più complesso è stabilire se il giudizio degli studenti sulla comprensibili­
tà degli enunciati sia stato influenzato da quello sulla correttezza.105 Si leg­
gano i seguenti dati:

Campione stimato: Lettere Moderne 131 (rigo superiore);


Lettere Classiche 69 (rigo inferiore)
Comprensibile Comprensibile Totale giudizi di
Enunciato
e corretto ma non corretto comprensibilità
1. Le ha comprate Maria, le 37 (28,2%) 63 (48,1%) 100 (76,3%)
uova. 28 (40,6%) 39 (56,5%) 67 (97,1%)
2. Gli dico di tornare per cena 10 (7,6%) 96 (73,3%) 106 (80,9%)
a Mario. 4 (5,8%) 58 (84,1%) 62 (89,9%)
3. Ai tuoi fratelli gli hai detto 13 (9,9%) 98 (74,8%) 111 (84,7%)
che usciamo? 3 (4,3%) 60 (87%) 63 (91,3%)

104. Cfr. T. De Mauro, Capire le parole, Bari-Roma, Laterza, 20022.


105. Si precisa che nel questionario gli studenti erano chiamati a dare prima il giudizio di
comprensibilità e poi quello di correttezza.

249
chiara de caprio - francesco montuori

4. Se sapevo che eri in difficol­ 40 (30,5%) 91 (69,5%) 131 (100%)


tà, ti aiutavo. 15 (21,7%) 53 (76,8%) 68 (98,5%)
5. Penso che fai male a non 78 (59,5%) 47 (35,9%) 125 (95,4%)
ascoltare i consigli di tuo fra­ 41 (59,4%) 27 (39,1%) 68 (98,5%)
tello.
6. Mi sono mangiato una piz­ 7 (5,3%) 103 (78,6%) 110 (83,9%)
za e mi sono bevuto una birra 2 (2,9%) 64 (92,7%) 66 (95,6%)
ghiacciata.
7. Hai chiamato a Luca? 15 (11,4%) 111 (84,7%) 126 (96,1%)
7 (10,1%) 59 (85,5%) 66 (95,6%)
8. Hai salito la valigia che ho 64 (48,8%) 57 (43,5%) 121 (92,3%)
lasciato vicino all’ascensore? 27 (39,1%) 42 (60,9%) 69 (100%)
9. Puoi telefonarlo? 69 (52,7%) 42 (32%) 111 (84,7%)
40 (58%) 27 (39,1%) 67 (97,1%)
10. Quella è la ragazza che ti 6 (4,6%) 78 (59,5%) 84 (64,1%)
ho parlato. 3 (4,3%) 44 (63,8%) 47 (68,1%)
11. A Mario ci piace uscire con 0 (0%) 99 (75,6%) 99 (75,6%)
il motorino. 0 (0%) 60 (87%) 60 (87%)

In tutto il campione il valore assoluto della comprensibilità è minore per i


tratti substandard (nni 10 e 11), tanto da sembrare correlato ai giudizi sulla
correttezza: alcuni allievi mostrano di valutare incomprensibile ciò che è
esplicitamente sanzionato nella prassi didattica. Si è visto (§ 6.3.1) che per gli
studenti tendenzialmente è la norma scolastica ad orientare il giudizio di
correttezza sugli usi “tipizzati” negli enunciati del questionario; tuttavia l’in­
completezza e l’inadeguatezza delle conoscenze apprese, unite al diffuso
analfabetismo metalinguistico, si concretizzano nell’espressione esplicita di
dissenso verso i costrutti marcati dai tratti “popolari”, che pertanto vengono
etichettati con la massima sanzione possibile: l’incomprensibilità.106

106. Gli studenti di Lettere Classiche non giudicano mai un enunciato non comprensibile
ma corretto. Nel campione di Lettere Moderne ciò accade raramente; oltre all’insignificante
0,7% negli enunciati nni 8 e 9, si hanno due casi più “inquietanti”: per il 5,3% degli studenti di
Lettere Moderne che giudicano non comprensibile ma corretto l’enunciato n° 1 (Le ha compra­
te Maria, le uova) si può invocare come giustificazione il fatto che tale risposta occorre nel pri­
mo enunciato del questionario e poi non si ripete, come se fosse un’incertezza di esordio;
francamente più difficile da spiegare è il 3,1% di studenti che hanno risposto di giudicare non
comprensibile ma corretto l’enunciato n° 6 (Mi sono mangiato una pizza e mi sono bevuto una bir­

250
il ruolo della grammatica fra scuola e università

Lo stesso modello di comportamento sembra essere attivo anche per


quei tratti neo-standard che rinviano a ordini delle parole marcati dal punto
di vista sintattico (nni 2-3): i pareri di incomprensibilità, comunque minori­
tari, devono essere interpretati come una reazione nei confronti di quegli
usi dell’italiano oralizzante che sono percepiti dagli studenti come molto
diffusi nella lingua quotidiana, il cui impiego è fatto oggetto di sanzione sco­
lastica attraverso la correzione esplicita negli elaborati da parte dei docenti
di italiano:107 perciò tali enunciati, oltre ad essere giudicati scorretti,108 sono,
da alcuni, valutati incomprensibili, come se l’inosservanza dell’ordine delle
parole proprio dello scritto implicasse meccanicamente un allentamento del­
la coerenza e dell’efficacia comunicativa.
Gli enunciati contenenti tratti regionali dell’italiano presentano valori
assoluti di comprensibilità molto alti: in questi casi, quindi, le risposte sono
indipendenti dai giudizi sulla correttezza, le cui percentuali, come si è visto
(§ 6.3.1), variano in funzione del riconoscimento della marginalità regiona­
le e sociale della regola. Alla luce di tali dati, appare chiaro che il giudizio di
comprensibilità degli enunciati contenenti tratti regionali è molto alto per­
ché si poggia sugli usi linguistici della comunità di cui lo studente ha diretta
percezione e non varia in base a una valutazione fondata sull’insegnamento
scolastico o sulla capacità del parlante di riconoscere l’interferenza tra siste­
mi in contatto.
Si osservi, infine, che nel rapporto tra giudizi di comprensibilità e valu­
tazioni di correttezza i due campioni degli studenti di Lettere Moderne e
Lettere Classiche si comportano sostanzialmente allo stesso modo: per i
motivi già detti, infatti, differisce la percentuale totale di comprensibilità ma
non il rapporto tra comprensibilità e correttezza, che è abbastanza omoge­
neo tra i due campioni. Nei due diagrammi si riportano le percentuali delle
valutazioni di correttezza relativi al campione di coloro che hanno giudica­
to comprensibili gli enunciati:

ra ghiacciata): si può solo ricordare che tali dati derivano da quella parte del campione cui non era
stata spiegata cosa si dovesse intendere per comprensibilità.
107. La prassi di eliminare negli elaborati degli studenti caratteristiche dei registri collo­
quiali talvolta « nasce da pulsioni ipercorrettistiche » e quindi occorre anche quando tali tratti
siano imposti dal tipo di prova scelta dal docente (cfr. L. Serianni, Gli insegnanti, i temi, la “forma”,
in Perché la grammatica?, cit., pp. 51-66, a p. 53). I costrutti oralizzanti nelle grammatiche sono del
tutto omessi oppure “descritti” in parti del libro di testo poco utilizzate nella didattica.
108. L’enunciato n° 1, che presenta dislocazione a destra dell’oggetto diretto, ha un valore
di giudizi di correttezza molto più alto degli altri due, in cui l’argomento dislocato è un ogget­
to indiretto.

251
chiara de caprio - francesco montuori

Gli studenti di Lettere Moderne, quindi, sebbene non siano stati pre­
ventivamente istruiti come i loro colleghi, hanno lasciato che il loro giudi­
zio di comprensibilità variasse in funzione di quello sulla correttezza in
modo affine a quello degli allievi iscritti al corso di laurea in Lettere Clas­
siche.
252
il ruolo della grammatica fra scuola e università

6.3.3. Correttezza e uso nello scritto

Dal prospetto presentato al § 6.3 si osserva che comprensibilità, correttez­


za e possibilità di uso nello scritto si dispongono omogeneamente lungo un
percorso scalare, nel quale i dati quantitativi vanno progressivamente dimi­
nuendo.
In particolare, sebbene senza un generale appiattimento, ciò che si di­
chiara di scrivere tende a coincidere con ciò che si giudica corretto.109 Evi­
dentemente è molto forte l’associazione di norma e scrittura, effetto non sor­
prendente della scolarizzazione:110 sebbene questo non implichi meccanica­
men­te che la norma detenuta sia quella delle grammatiche, tuttavia sembra
chia­ro che i propri usi scritti siano stati messi in relazione con quella norma
del­la scrittura scolastica formale e autoreferenziale propria dei temi, e non
con quella meno pianificata e fortemente dialogica che si può riscontrare,
per esempio, negli sms o su Internet.
Tendenzialmente il dato della correttezza è sempre leggermente mag­
giore di quello relativo a ciò che gli studenti affermano di utilizzare nello
scritto.111 A questo generale comportamento sfuggono solo i tre enunciati
che apparivano per primi nel questionario, rispettivamente i nni 1, 7 e 8.112
Solo dal quarto enunciato, non marcato (12. Hai notato che anche lui ha le scarpe
blu?), i valori relativi alla correttezza e all’uso scritto si appiattiscono in serie
omogenee.

109. Ciò è particolarmente chiaro nei pochissimi studenti che affermano di usare nello
scritto il che indeclinato (n° 10): si tratta di una minoranza che considera tale tratto substandard
corrispondente alla norma dell’italiano e quindi lo giudica corretto. I sei studenti di Lettere
Moderne che giudicano corretto e dichiarano che utilizzerebbero nello scritto un relativo
indeclinato sono gli stessi: tre hanno il diploma del Liceo Scientifico, uno del Classico e due
provengono da Istituti tecnici; dei tre studenti di Lettere Classiche che giudicano corretto l’e­
nunciato, due lo userebbero nello scritto.
110. Come si è visto al § 6.3, solo quindici studenti di Lettere Classiche giudicano corretto
l’enunciato n° 4 (Se sapevo che eri in difficoltà, ti aiutavo): di questi, tredici (più altri due) ne nega­
no la scrivibilità.
111. Solo una minima percentuale di allievi (2%) afferma il contrario, cioè che, talvolta, non
utilizza nello scritto ciò che giudica corretto (evidentemente nel parlato).
112. Nell’enunciato n° 1 (Le ha comprate Maria, le uova), gli studenti distinguono e diversifi­
cano nettamente il giudizio sulla correttezza (35,5%) da quello sulla scrivibilità (17,5%). Una
forbice significativa tra i due giudizi (rispettivamente del 45,5% e del 37%) è ancora nell’enun­
ciato n° 8 (Hai salito la valigia che ho lasciato vicino all’ascensore? ), il terzo nell’ordine del questiona­
rio. Esiste anche un piccolissimo gruppo di studenti che dinanzi al secondo enunciato della
tabella, il n° 7 (Hai chiamato a Luca?), risponde « è scorretto ma io lo scrivo lo stesso », manife­
stando una prevaricazione dell’uso parlato o dello scritto oralizzante a scapito della norma
dell’italiano scritto appresa a scuola.

253
chiara de caprio - francesco montuori

Tale comportamento eccezionale, relativo ai primi tre enunciati della se­


rie, permette un’ulteriore riflessione sulla sovrapposizione tra correttezza
e possibilità d’uso nello scritto. All’inizio lo studente ha valutato l’enuncia­
to in relazione al proprio sentimento della norma e ai propri usi reali nella
scrittura; in seguito sembra essere stato indotto dalla serialità e dalla polarità
delle domande ad associare meccanicamente correttezza e scrivibilità in
una valutazione progressivamente uniforme.

7. La definizione di dialetto

Ultimo spunto della nostra analisi è la valutazione dei giudizi espressi da­
gli studenti sulla variazione linguistica nello spazio. Come è noto, la diato­
pia ha importanti implicazioni nello studio del repertorio dell’italiano e dun­
que non è sorprendente che sia entrata con forza nella rinnovata pedagogia
linguistica e sia stata recepita nei programmi della scuola superiore.
Nell’esame degli enunciati caratterizzati da tratti con più marcata conno­
tazione diatopica, si è rilevato che una percentuale significativa di studenti
giudica corrette forme regionali francamente popolari (§ 6.3.1). La scarsa
coscienza dei fenomeni di interferenza tra dialetti locali e italiano appare
meno sorprendente se correlata con la percezione puramente esperienziale
dello spazio linguistico italiano, giudicato senza alcuna consapevolezza cul­
turale.113
Infatti, anche alle domande che richiederebbero più articolate cognizio­
ni sulla situazione linguistica italiana e sul plurilinguismo dialettale gli stu­
denti non sanno rispondere in modo soddisfacente. In particolare, al quesito
« In che modo spiegheresti ad uno straniero che cosa sono i dialetti italiani? »
(mas­simo 50 parole) si leggono le seguenti risposte:
LM
Non risponde 49 (37,4%)
Lingue (parlate) locali 37 (28,2%)
Varietà regionali dell’italiano 25 (19,1%)
Lingue (parlate) locali in contatto con l’italiano 12 (9,2%)
Varietà arcaiche di lingua 3 (2,3%)
Altro 5 (3,8%)
LC
Non risponde 10 (14,5%)

113. Cfr. G. Ruffino, L’indialetto ha la faccia scura. Giudizi e pregiudizi linguistici dei bambini italia­
ni, Palermo, Sellerio, 2006, soprattutto alle pp. 35-51.

254
il ruolo della grammatica fra scuola e università

Lingue (parlate) locali 31 (44,9%)


Varietà regionali dell’italiano 22 (31,9%)
Minoranze linguistiche 1 (1,5%)
Altro 5 (7,2%)
TOT
Non risponde 59 (29,5%)
Lingue (parlate) locali (in contatto con l’italiano) 80 (40%)
Varietà regionali dell’italiano 47 (23,5%)
Varietà arcaiche di lingua 3 (1,5%)
Minoranze linguistiche 1 (0,5%)
Altro 10 (5%)

È rilevante che il 30% del campione non risponda e che un altro quarto degli
studenti creda che i dialetti siano varietà locali di italiano: di fatto, metà degli
allievi mostra di essere giunto all’Università senza sapere cosa sia realmente
un dialetto, mentre quella parte del campione che dà una risposta accettabi­
le non è in grado di fornire adeguata profondità storica e indicazioni sull’uso
e sul contatto tra i codici.
A dispetto della persistente vitalità dei dialetti,114 dunque, le risposte dei
nostri allievi inducono a pensare che il loro percorso di studi non abbia pre­
visto momenti di riflessione dedicati alla presenza dei dialetti nel repertorio
linguistico e che sia mancata una didattica contrastiva che affinasse le capa­
cità di riconoscere quanto appartiene alle lingue locali, quanto alle varietà
regionali dell’italiano e quanto allo standard.115
Dato il ruolo che i dialetti hanno nella storia linguistica e letteraria ita­

114. Sulle prospettive della presenza dei dialetti nel repertorio linguistico degli italiani non
c’è identità di vedute tra gli studiosi, soprattutto nella valutazione dei mutamenti indotti da
fenomeni strutturali, quali la regionalizzazione o l’italianizzazione dei dialetti, o da eventi di
carattere sociale, come il “decadimento”, l’abbandono o le “risorgenze” delle parlate locali. In­
dagini originali e puntualizzazioni sui parametri da utilizzare per misurare la vitalità di tali lin­
gue sono in G. Berruto, Come si parlerà domani: italiano e dialetto, in Come parlano gli italiani, a cu­ra
di T. De Mauro, Firenze, La Nuova Italia, 1994, pp. 15-24; Bruno Moretti, Ai margini del dia­
letto. Varietà in sviluppo e varietà in via di riduzione in una situazione di ‘inizio di decadimento’, Bellin­
zona, Osservatorio Linguistico della Svizzera Italiana, 1999; A.A. Sobrero-Annarita Miglietta,
Creatività lessicale e vitalità dei dialetti: dall’agonismo all’agonia, « Rivista italiana di dialettologia »,
xxix 2005, pp. 7-27; G. Berruto, Quale dialetto per l’Italia del Duemila? Aspetti dell’italianizzazione e
risorgenze dialettali in Piemonte e altrove, in Lingua e dialetto nell’Italia del Duemila, a cura di A.A.
Sobrero e A. Miglietta, Galatina, Congedo, 2006, pp. 101-27. Cfr. il riepilogo di M. Loporcaro,
Profilo linguistico dei dialetti italiani, Roma-Bari, Laterza, 2009, pp. 171-82.
115. Sull’importanza dei dialetti nella didattica dell’italiano cfr. P. Bianchi, Dialetti e scuola, in
I dialetti italiani, cit., pp. 977-92. Una recente esortazione alla pratica contrastiva è in Pietro
Maturi-Fabio M. Risolo, Il dialetto è un plus, « Italiano & oltre », xvi 2001, pp. 100-3 (p. 103).

255
chiara de caprio - francesco montuori

liana,116 e pur tenendo conto della complessità della definizione di dialetto,117


a nostro avviso gli studenti mostrano un’allarmante disposizione ad avere
non una matura consapevolezza dei dialetti ma opinioni preconcette e per­
cezioni ideologiche.

8. Conclusioni

In questo lavoro sono state analizzate le risposte a tre domande di un que­


stionario somministrato a 200 studenti iscritti al i anno della Facoltà di Let­
tere dell’Università « Federico II » di Napoli. Con il test si intendeva misura­
re la capacità di riflessione metalinguistica sia in relazione alla struttura del­
la lingua sia in relazione all’architettura variazionale del repertorio linguisti­
co italiano.
Il nostro campione di studenti mostra che, a dispetto dei progressi delle
discipline linguistiche e della disponibilità di buoni libri di testo, permango­
no nozioni che, se non obsolete o banalizzanti, sono frutto di un’inadeguata
trasmissione della norma118 e di uno studio elementare privo di quell’auspi­
cabile e più raffinato esercizio metalinguistico che può essere conseguito
negli ultimi anni di scuola.119
Inoltre, attraverso l’educazione linguistica la scuola trasmette a una par­
te del campione un’idea della lingua inadeguata alla varietà delle situazioni
comunicative a cui gli studenti sono e saranno esposti: infatti l’acquisizione
della norma non è accompagnata dalla consapevolezza delle molte alterna­
tive fornite dalla variazione e dalle ragioni strutturali e storiche delle oscil­
lazioni e delle incertezze negli usi linguistici. Non invitando gli studenti a

116. Sul ruolo del dialetto nel repertorio linguistico italiano, cfr. da ultimo Mari D’Agosti­
no, Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo, Bologna, Il Mulino, 2007, in partic. i capp. vi-viii.
Sull’articolazione “lingua-dialetto”, costitutiva e fondante nella storia letteraria italiana, si ve­
da da ultimo N. De Blasi, Uso letterario del dialetto, in Enciclopedia dell’Italiano, a cura di R. Simo­
ne, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, i.c.s.
117. Si veda al proposito il primo capitolo di Corrado Grassi-A.A. Sobrero-T. Telmon, Fon­
damenti di dialettologia italiana, Bari-Roma, Laterza, 1997, pp. 3-31.
118. Come ha notato da ultimo L. Serianni nel suo intervento al xvi Convegno nazionale
GISCEL La grammatica a scuola. Quando? Come? Quale? Perché?, Padova, 4-6 marzo 2010, dal ti­
tolo Dal testo di grammatica alla grammatica in atto.
119. Si veda Lo Duca, Lingua italiana, cit., pp. 176-77. Per gli stimoli a insegnare una gram­
matica “ragionevole” e per alcuni sviluppi concreti cfr. risp. Lorenzo Renzi, Una grammatica
ragionevole per l’insegnamento, in Id., Le piccole strutture, linguistica, poetica, letteratura, Bologna, Il
Mulino, 2008, pp. 207-34 (ed. or. 1977), e M.G. Lo Duca, Esperimenti grammaticali. Riflessioni e
proposte sull’insegnamento della grammatica dell’Italiano, Roma, Carocci, 20042.

256
il ruolo della grammatica fra scuola e università

meditare sulla variazione, la scuola determina due effetti contraddittori: la


censura dei tratti tipici del parlato panitaliano, che sono ormai giudicati am­
missibili anche nello scritto di media formalità,120 e l’accettazione non con­
sapevole di tratti fortemente marcati in diatopia e anche in diastratia.
La mancanza di una competenza che includa la conoscenza delle struttu­
re della lingua italiana e di una visione storica e pluridimensionale degli usi
linguistici segnala una carenza educativa che alla lunga incide sugli atteggia­
menti dei parlanti e sulla ricchezza ed ampiezza delle possibilità espressive
garantite dalla lingua, fino a influire concretamente sulla tenuta dello spazio
linguistico:
La sussistenza di un’unità linguistica riposa dunque, in ultima analisi, sulla plurima
“competenza” dei parlanti; la quale non è però né un dono del cielo né una conqui­
sta irreversibile, ma il prodotto della continua interrelazione tra le diverse varietà
della lingua, di una “manutenzione”, se così si può dire, dello spazio linguistico.121

E a incidere sulla consistenza stessa del repertorio:


Quando in una comunità linguistica viene meno la “manutenzione” del proprio mul­
tiforme bagaglio linguistico, è più facile che tale bagaglio si impoverisca e, per dirla
semplicemente, si cominci poi a confondere una lingua con un’altra.122

Le citazioni sono riportate in modo provocatoriamente apocalittico: sareb­


be però opportuno che a scuola la variazione e il plurilinguismo fossero ela­
borati a un livello elevato di coscienza, al fine di ottenere, per la totali­tà dei
parlanti, quella ricca e sicura conoscenza della lingua nazionale che è « una
precondizione per un paese civile che intenda restare competitivo nel­la con­
temporaneità e nel futuro prossimo ».123
Ci sembra auspicabile che l’acquisizione dell’uso consapevole della lin­
gua scritta e parlata avvenga a scuola: ove ciò non accada, la conseguente ina­
deguatezza nell’educazione linguistica rappresenta un problema che non
può essere eluso dalle facoltà universitarie, cui corre l’obbligo di rilevare le
esigenze formative degli studenti in entrata e di programmare attività che

120. Come notano Serianni-Benedetti, L’italiano sui banchi, cit., p. 65, « alcune prescrizioni
particolari, senza effettivo fondamento nella grammatica o negli usi reali della lingua, si tra­
smettono con una costanza degna di miglior causa nel corso delle generazioni attraverso le
aule scolastiche: è quello che è stato chiamato sprezzantemente ‘italiano delle maestre’ ».
121. Livio Petrucci, Il problema delle Origini, in Storia della lingua italiana, cit., vol. iii. Le altre
lingue, pp. 5-73 (p. 8).
122. N. De Blasi, Piccola storia della lingua italiana, Napoli, Liguori, 2008, p. 12.
123. Lingua italiana, scuola, sviluppo, cit., p. 9.

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chiara de caprio - francesco montuori

ne favoriscano il recupero,124 particolarmente utili per coloro che hanno ap­


preso l’italiano come seconda lingua.
La capacità di fare osservazioni metalinguistiche è competenza desidera­
bile in ingresso negli studenti di tutte le Facoltà, ma deve essere considerata
un prerequisito per quelli iscritti a Lettere. Eventuali carenze dovrebbero
essere sanate in corsi di Lingua italiana perché possedere un’elementare ter­
minologia tecnica così come avere un’idea chiara delle strutture della lingua
sono competenze di base in vista della formazione linguistica da svolgere
all’interno del curriculum triennale. Alla luce dei bisogni formativi dei neo-
diplomati che si iscrivono all’università, sarebbe necessario che tutte le fa­
coltà di Lettere prevedessero nel triennio momenti mirati alla riflessione
metalinguistica sulle strutture dell’italiano contemporaneo e al potenzia­
mento delle varietà scritte di ambito più decisamente professionale,125 accan­
to a corsi che abbiano contenuti di storia della lingua italiana e grammatica
storica, sociolinguistica e dialettologia.
Tale ricco e ampio ventaglio di nozioni e saperi può essere garantito solo
da un’offerta formativa diversificata che permetta agli studenti di sviluppare
e potenziare il proprio atteggiamento speculativo nell’analisi della lingua e
del linguaggio in momenti distinti, progressivamente e coerentemente di­
stribuiti nell’arco dell’intero triennio.

Chiara De Caprio
Francesco Montuori

Nel lavoro sono analizzate le risposte ad un questionario sottoposto ad un campione


degli iscritti al primo anno della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi
di Napoli « Federico II » nell’anno accademico 2008-2009, al fine di valutare le conoscen­
ze grammaticali e la capacità di riflessione metalinguistica acquisite a scuola. I risultati

124. Cfr. E.Li.C.A., cit. Per es. in G. Basile-A.R. Guerriero-Sergio Lubello, Competenze lin­
guistiche per l’accesso all’Università, Roma, Carocci, 2006, si propone la gestione del lessico, delle
tipologie testuali e della relativa scrittura come competenze di accesso all’università.
125. Nella didattica curriculare universitaria interventi operativi che rafforzino gli usi lin­
guistici orali e scritti possono essere un risultato realizzabile come effetto secondario di atti­
vità tese a conseguire specifici obiettivi, per esempio l’insegnamento dell’uso professionale
della scrittura. Si tratta, quindi, di finalità di altra natura rispetto ai temi qui trattati e di inte­
resse molto più generale, perché la capacità di realizzare una scrittura corretta ed efficace in­
fluisce sullo svolgimento di quasi tutte le attività professionali. Un esempio è in Dora De
Maio, L’italiano dei (super?)colti: la lingua dei docenti universitari, « Lingua italiana d’oggi », iv 2007,
pp. 133-91.

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il ruolo della grammatica fra scuola e università

consentono di riflettere sui requisiti necessari per l’educazione linguistica di livello uni­
versitario e in previsione di una più specifica formazione di abilitazione all’insegnamen­
to. A margine della discussione sui dati del campione, sono svolte alcune considerazioni
sui contenuti e sui metodi dell’insegnamento della grammatica a scuola e all’università e
sulla funzione che la conoscenza delle strutture della lingua dovrebbe avere nella forma­
zione degli studenti delle facoltà umanistiche.

The essay analyzes the answers given to a questionnaire by a group of first-year students in Hu­
manities at the University of Naples « Federico II » during the academic year 2008-2009. Its main aim
is to assess the students’ grammatical competence and the metalinguistic abilities developed by them at
the secondary school. The results allow the authors to reflect upon the prerequisites of a university lin­
guistic education and are also useful to identify the abilities essential to their teaching qualification. In
addition to this, the essay makes some remarks about the teaching of grammar at schools and universi­
ties and underlines the role that the knowledge of language structures should have for undergraduates
in Humanities.

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