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TEORIE RELATIVISTICHE
Dispensa N. 2
2. CINEMATICA RELATIVISTICA
dy 0 (t0 )
= uy (t);
dt
dz 0 (t0 )
= uz (t).
dt
dt
Il fattore dt0 si può ottenere derivando rispetto a t la regola di trasfor-
q
2
mazione del tempo t = [t − c2 x(t)]/ 1 − vc2 . Quindi otteniamo
0 v
q
2
dt 1 − vc2
= .
dt0 1 − cv2 ux (t)
d 0 d 0 d 0
Per ricavare i termini u , u , u,
dt x dt y dt z
possiamo derivare rispetto al tempo
le equazioni per la trasformazione delle velocità valide nel sistema di rifer-
imento Σ0 . In tal modo otteniamo:
¡ ¢
d 0 ax 1 − cv2 ux + cv2 ax (ux − v)
u = ;
dt x (1 − cv2 ux )2
q q
v2 2
d 0 1− 1 − vc2 · cv2 ax
c2
u = ay · + uy · =
dt y (1 − cv2 ux ) (1 − cv2 ux )2
r £ ¤
v 2 ay − cv2 ux ay + cv2 uy ax
= 1− 2 · ;
c (1 − cv2 ux )2
q q
v2 2
d 0 1− 1 − vc2 · cv2 ax
c2
u = az · + uz · =
dt z (1 − cv2 ux ) (1 − cv2 ux )2
r £ ¤
v 2 az − cv2 ux az + cv2 uz ax
= 1− 2 · .
c (1 − cv2 ux )2
Andando a sostituire nella (2.6) i risultati appena trovati, siamo in grado
di ottenere le equazioni per trasformare le componenti dell’accelerazione
di una particella:
q
¡ ¢ v2
ax 1 − v
u + cv2 ax (ux − v) 1− c2
c2 x
a0x (t0 ) = v · v =
(1 − u )2
c2 x
(1 − u )
c2 x
h 2
i q
v v2
ax · 1 − u
c2 x
+ cv2 ux − vc2 · 1− c2
= =
(1 − cv2 ux )3
³ ´3/2
v2
ax 1 − c2
= v ; (2.7)
(1 − u )3
c2 x
q
r £ ¤ v2
v2 ay − cv2 ux ay + cv2 uy ax 1− c2
a0y (t0 ) = 1− · · =
c2 (1 − cv2 ux )2 (1 − v
u )
c2 x
7
³ ´£ ¡ ¢ ¤
v2 v v
1− c2
ay 1 − u
c2 x
+ u a
c2 y x
= v ; (2.8)
(1 − u )3
c2 x
q
r £ ¤ v2
v2 az − cv2 ux az + cv2 uz ax 1− c2
a0z (t0 ) = 1− · · =
c2 (1 − cv2 ux )2 (1 − v
u )
c2 x
³ ´£ ¡ ¢ ¤
v2 v v
1− c2
az 1 − u
c2 x
+ ua
c2 z x
= v . (2.9)
(1 − u )3
c2 x
(t − v2 x1 )
t01 = q c
2
1 − vc2
e il secondo al tempo
(t − v2 x2 )
t02 = q c
2
1 − vc2 .
Allora
(x1 − x2 ) cv2
∆t0 = t02 − t01 = q . (2.11)
2
1 − vc2
Ciò significa che per l’osservatore in Σ0 gli eventi non avvengono contem-
poraneamente a meno che x1 = x2 .
Quindi in relatività speciale anche la simultaneità degli eventi è una pro-
prietà relativa. In generale, se un osservatore verifica che due eventi
avvengono simultaneamente, questo non accadrà per gli osservatori in
moto rispetto al primo.
9
Nel capitolo precedente abbiamo visto che la velocità della luce nel vuoto,
c, non dipende dal sistema di riferimento inerziale rispetto al quale viene
misurata. Il carattere invariante di c conduce all’esistenza di un altro
invariante: il tempo proprio.
Consideriamo una particella che si muove in un sistema di riferimento
inerziale Σ. Al tempo t, il corpo possiede una posizione ~x(t) ≡ ~x e una ve-
locità ~u(t) che, in generale, dipende da t. Possiamo considerare, per ogni
istante t, un sistema di riferimento inerziale Σp che si muove, rispetto a
Σ, con la stessa velocità ~u(t) del corpo all’istante t. Il sistema Σp è detto
sistema di riferimento proprio della particella. Esso è un sistema di rifer-
imento inerziale rispetto al quale il corpo ha velocità nulla. È importante
sottolineare che non si può, in generale, assegnare un unico sistema di
riferimento proprio ad un particella. Se ad esempio, la particella possiede
un’accelerazione, la sua velocità è diversa ad ogni istante diverso, pertanto
ci sarà un sistema proprio diverso ad ogni istante. L’evento x = (t, ~x(t))
corrisponde all’evento ξ = (τ, ~ξ(τ )) in Σp , dove ~ξ(τ ) = (ξ(τ ), η(τ ), ζ(τ )).
Dopo un tempo dt in Σ la variazione – al primo ordine rispetto a t –
della posizione della particella è
La quantità dt, rappresenta la distanza temporale tra gli eventi x = (t, ~x) e
x + dx = (t + dt, ~x + d~x) rispetto a Σ. Determineremo adesso la relazione
che intercorre fra la variazione temporale dt tra gli eventi x e x + dx
rispetto a Σ (variazione del tempo coordinato) e la variazione temporale
dτ tra gli eventi corrispondenti ξ e ξ + dξ in Σp (variazione del tempo
proprio).
10
dτ + u2 dξ̂
dt = q c ;
u2
1 − c2
dτ
dt = q , (3.2)
u2
1− c2
da cui si ottiene r
u2
dτ = dt .1− (3.3)
c2
Questa relazione permette di calcolare il valore di dτ , cioè la differenza
tra le coordinate temporali rispetto al sistema proprio degli eventi cor-
rispondenti agli eventi x + dx e x di Σ. Questa grandezza è un invariante:
per calcolare questa grandezza rispetto ad un sistema Σ0 in moto relativo
11
3.2 Quadrivettori.
Una rotazione dello spazio tridimensionale comporta una trasformazione
lineare delle componenti di un vettore; analogamente, le trasformazioni
di Lorentz comportano una trasformazione lineare delle quattro coordi-
nate spazio-temporali. Modifichiamo il formalismo in maniera da rendere
omogenee le dimensioni fisiche delle componenti del vettore di R4 che
rappresenta la posizione spazio-temporale di un evento. In generale, in-
dicheremo tale posizione mediante il vettore
ct x◦
x x
x = ≡ 1,
y x2
z x3
dove x0 è la nuova coordinata temporale, che assume le dimensioni fisiche
delle altre coordinate, cioè queele di lunghezza. Usando tale notazione,
possiamo riscrivere le trasformazioni di Lorentz nel seguente modo:
1 v
0 p 2 p− c 2 0 0
x◦ v
1−v c2 1− v2
c x◦
x1
0
p −c
p 1
0
x1
0
x = 0 =
0
1− vc22 2
x2 =
x2
1− v2
c
x03 0 0 1 0 x3
0 0 0 1
12
x◦
x
= L 1. (3.4)
x2
x3
Un quadrivettore è una grandezza fisica vettoriale rappresentabile,
rispetto a un riferimento inerziale Σ, mediante un vettore q = (q0 ,~q ) di
R4 , tale che il suo valore (vettoriale!) q 0 rispetto ad un altro riferimento
inerziale Σ0 si ottiene applicando a q la stessa trasformazione di Lorentz
L che trasforma gli eventi:
q 0 = Lq. (3.5)
La componente q0 di un quadrivettore q è detta parte temporale di q,
mentre il vettore ~q ne costituisce la parte spaziale.
(Lu)y = uy .
dq(t)
proprio, la sua derivata rispetto al tempo proprio, α(t) = dτ
è ancora
un quadrivettore.
Dimostrazione. Siano Σ e Σ0 due sistemi di riferimento inerziali legati
dalla trasfrmazione di Lorentz L. Sia ~x(t) la posizione della particella
rispetto a Σ; dunque (ct0 , ~x0 (t0 )) = L(ct, ~x(t)). Allora
dq 0 (t0 ) dq 0 (t0 )
α0 (t0 ) = =
dτ 0 dτ
per l’invarianza del tempo prorio. D’altronde q 0 (t0 ) = Lq(t), pertanto
0 0
dq 0 (t0 ) dq(t) dq(t)
α (t ) = = =L = Lα(t).
dτ dτ dτ
dq
Pertanto la grandezza vettorial α definita da α = dτ
è un quadrivettore.
3.3 La quadrivelocità
Come accennato nel paragrafo precedente, il vettore velocità non può
essere esteso a un quadrivettore. Il precedente teorema permette però di
generare un quadrivettore, la quadrivelocità, da cui è possibile ottenere
direttamente la velocità.
Consideriamo nello spazio di Minkowski un evento x(t) = (ct, ~x(t)) che
rappresenta la posizione spazio-temporale di una particella. Esso è un
quadrivettore; pertanto possiamo generare un altro quadrivettore derivando
x rispetto al tempo proprio:
d ct
ct dτ
dx d d x d
x
= (ct, ~x) = y= dτ
y .
d
(3.6)
dτ dτ dτ dτ
z d
z dτ
dτ = p 2
1− v2
c
dy vy
= p v2
dτ
1− 2
c
dz
dτ = p vz
,
v2
1−
c2
cioè
c
dx 1 vx
⇒ =q v . (3.8)
dτ 1− v2 y
c2 vz
dx
La grandezza vettoriale q(t) = dτ
è un quadrivettore per il teorema prece-
dente. Esso avrà come componenti:
q◦ = p
c
2
1− v2
p ~v
c
(3.9)
~q = 2
.
1− v2
c
3.4 La quadriaccelerazione
Definiamo, ora, un quadrivettore legato direttamente all’accelerazione di
un corpo, ovvero la quadriaccelerazione. Essa può essere ricavata diret-
tamente dalla quadrivelocità derivando quest’ultima rispetto al tempo
proprio. Cosı̀ facendo otteniamo:
· ¸ · ¸
dq d 1 c dt d 1 c
α= = q = q .
dτ dτ 2 ~v dτ dt 1 − v2 ~v
1 − vc2 c2
15
1 0 1 ~v~a c
= v2
+ v2 2
· c2 .
(1− 2 ) ~ a (1− 2 ) ~v
c c
L’interpretazione delle varie componenti della quadriaccelerazione risulta
chiara se la riferiamo a un sistema di riferimento Σ in cui la direzione
dell’asse x coincide con la direzione del moto della particella, per cui la
sua velocità risulta essere ~v = (v, 0, 0). Sotto queste ipotesi, l’espressione
della quadriaccelerazione diventa:
0 c
1 ax 1 vax v
α= v 2 ay
+ · 2 =
(1 − c2 ) v2 2
(1 − c2 ) c 0
az 0
vax
2
c(1− v2 )2
ax
c α◦
2
(1− v2 )2 αx
= c
ay = . (3.10)
2 αy
(1− v2 )
c αz
az
v2
(1− 2 )
c
α = L(−v,0,0) αp , (3.12)
dove v
p1 2
pc 2
0 0
1− v2 1− v2
c c
p v
p 1
L (−v,0,0)
=
c
0 0.
1− v2
2
1− v2
2
c c
0 0 1 0
0 0 0 1
v2 3
ax = ap x (1 − c2 ) 2
2
⇒ ay = ap y (1 − vc2 ) (3.15)
2
az = ap z (1 − vc2 ).
Calcolando ap x , ap y e ap z , possiamo ricavare le equazioni di trasformazione
dell’accelerazione nella direzione parallela al moto e nelle direzioni ad esso
perpendicolari: ax
ap x = 2 3
(1− v2 ) 2
c
ay
ap y = 2 (3.16)
(1− v2 )
c
a = pz
az
v2
.
(1− 2 )
c
18
in particolare
0 0 1 ρ(x)c − vc0 jx (x)
ρ (x ) = q .
c v02
1 − c2
Quindi, la densità di carica in Σ0 non dipende solo dalla densità di carica
in Σ, ma anche dalla densità di corrente ~j(x).
21
~ = ∂ Bx + ∂ By + ∂ Bz = 0.
5·B
∂x ∂y ∂z
~ nella (3) otteniamo:
Sostituendo la nuova espressione di B
5 ~ =−∂B
~ ∧E ~ ∧ ∂A
~ = −5 ~
∂t ∂t
µ ¶
~ ~ ∂~
⇒ 5 ∧ E + A = 0.
∂t
~ +
Tale relazione indica che il campo E ∂ ~
A è irrotazionale e può essere
∂t
espresso come il gradiente di un campo scalare φ. Quindi
~ =−∂A
E ~
~ − 5φ. (4.2)
∂t
23
~ =−∂A
E ~ ◦
~ ◦ − 5φ
∂t
allora i seguenti potenziali
½
~ =A
A ~
~ ◦ − 5ψ
∂ (4.3)
φ = φ◦ + ∂t ψ
5 ~ + 1 · ∂φ=0
~ ·A (4.4)
c2 ∂t
detta gauge di Lorentz. Vediamo quali sono le equazioni per i poten-
ziali derivanti dalle equazioni di Maxwell quando adottiamo tale gauge.
Consideriamo l’equazione (4)
~
c2 · 5 ~ = j + ∂ E.
~ ∧B ~
²◦ ∂t
24
~ ∧ (5
5 ~ ∧ C) ~ 5
~ = 5( ~ · C)
~ − ∆C
~
dove l’operatore ∆ = ∂2
+ ∂2
+ ∂2 ~
è il laplaciano; applicando ad A
∂x2 ∂y 2 ∂z 2
questa relazione la (4.5) diventa:
∂ ∂2 ~ ~j
~ 5
c2 · 5( ~ · A)
~ − c2 · ∆A ~
~ +5 φ + 2A = .
∂t ∂t ²◦
Dividendo tutti i termini per c2 otteniamo:
2 ~
~ 5
5( ~ · A) ~ + 1 ·5
~ − ∆A ~ ∂ φ+ ∂ A ~ = j
c2 ∂t c2 ∂t2 c2 ²◦
cioè µ ¶
∂2 ~ ∂ ~j
A − ∆ A ~ 5
~ +5 ~ ·A
~ + φ = .
c2 ∂t2 c2 ∂t ²◦ c2
Tenendo conto della gauge di Lorentz otteniamo:
∂2 ~ ~
A − ∆ ~ = j
A (4.6)
c2 ∂t2 ²◦ c2
che è l’equazione per il potenziale vettore.
Dall’equazione (1), tenendo conto della (4.2), otteniamo:
µ ¶
~ ~ ~ ∂~ ρ
5 · E = 5 · −5φ − A =
∂t ²◦
∂ ~ ~ ρ
ovvero −∆φ − 5·A= .
∂t ²◦
2
Sommando ad ambo i membri la quantità c2∂∂t2 φ otteniamo:
µ ¶
∂2 ρ ∂ ~ ~ ∂
−∆φ + 2 2 φ = + 5·A+ 2 φ .
c ∂t ²◦ ∂t c ∂t
25
∂2 ρ
2 2
φ − ∆φ = (4.7)
c ∂t ²◦
che è l’equazione per il potenziale scalare.
Verifichiamo che (4.8) non soddisfa la (4.9). Infatti, applicando 5̂0 alla
funzione g(x0 ) = f (x) otteniamo:
∂ ∂
5̂0◦ g(x0 ) = c∂t0
g(x0 ) = c∂t0
f (x) =
26
∂ ∂t ∂ ∂x
= c∂t
f · ∂t0
+ ∂x
f · c∂t0
=
= p1 2
· ∂
c∂t
f + ∂
· p v v2 =
∂x
f
1− v2 c 1− 2
c
£∂ ¤ c
= p1 2
v ∂
· c∂t f + c · ∂x f =
1− v2
c
h i
= p1 2
· 5̂◦ f + vc · 5̂x f
1− v2
c
e
∂ ∂
5̂0x g(x0 ) = ∂x0
g(x0 ) = ∂x0
f (x) =
∂ ∂t ∂ ∂x
= ∂t
f · ∂x0
+ ∂x
f · ∂x0
=
v
=p c2
2
· ∂
∂t
f + p1 2
· ∂
∂x
f =
1− v2 1− v2
c
£v c
¤
= p1 2
· c2
· ∂
∂t
f + = ∂
∂x
f
1− v2
c
h i
= p1 2
· v
c2
· 5̂◦ f + 5̂x f .
1− v2
c
e h i
∂ 1 v
50x g = − 0
f=q · 5x f − · 5 ◦ f . (4.12)
∂x 1− v2 c
c2
Teorema 4.1. Sia ψ una funzione scalare invariante della variabile vet-
toriale x = (ct, ~x), cioè tale che ψ(x0 ) = ψ(x) per ogni x e x0 = Lx.
Allora
50 ψ(x0 ) = L5ψ(x).
e h v i
1
Cx0 =q · − C◦ + Cx .
1− v2 c
c2
Calcoliamo la quadridivergenza 50 C0 .
¯
Per la derivata temporale temporale si ha:
∂
50◦ C◦0 = c∂t 0
0 C◦ =
· ¸
¡ ¢
∂ 1
= c∂t0 p v2 · C◦ − c Cx = v
1− 2
£c∂ ¤
1
= p v2 · c∂t v ∂
0 C◦ − c · c∂t0 Cx =
1− 2
c
£∂ ¤
1
= p v2 · c∂t ∂t
C◦ · ∂t ∂ ∂x
0 + ∂x C◦ · c∂t0 −
v
c
· ∂
C
c∂t x
· ∂t
∂t0
− v
c
· ∂
C
∂x x
· ∂x
c∂t0
=
1−
c2
28
· ¸
1 1 ∂ v 1 ∂ v 1 ∂ v2 1 ∂
=p 2
· p v2 · + · p v2 ·C
c∂t ◦ c
C
∂x ◦
− · p v2 ·
c
C
c∂t x
− c2
·p 2
· C
∂x x
=
1− v2 1− 2 1− 2 1− 2 1− v2
c
h c c
i c c
1 v2
= 2 · 5◦ C◦ + vc · 5x C◦ − vc · 5◦ Cx − c2
· 5x Cx . (4.14)
(1− v2 )
c
Allora:
50◦ C◦0 + 50x Cx0 = 5◦ C◦ + 5x Cx .
∂2
= c2 ∂t2
φ − ∆φ. (4.16)
L’operatore t
u è noto come operatore dalembertiano.
Se applichiamo il dalembertiano ad un campo quadrivettoriale C, ot-
teniamo un nuovo campo quadridimensionale:
t
uC = (t
uC◦ , u
tCx , t
uCy , t
uCz ). (4.17)
t u0 g(x0 ) ,
uf (x) = t dove g(x0 ) = f (x) e x0 = Lx (4.18)
∂ ∂t ∂ ∂x ∂
0
= 0· + · =
c∂t ∂t c∂t c∂t0 ∂x
· ¸
1 ∂ v ∂
=q · + ·
v2
1 − c2 c∂t c ∂x
· ¸
∂2 1 ∂ ∂ v ∂ ∂
⇒ 2 02 = q · ·
0 c∂t
+ · ·
0 ∂x
=
c ∂t v2
1 − c2 c∂t c c∂t
· 2 ¸
1 ∂ v ∂2 v ∂2 v2 ∂ 2
= 2 · + · + · + · =
(1 − vc2 ) c2 ∂t2 c c∂t∂x c ∂x∂t c2 ∂x2
· 2 ¸
1 ∂ v ∂2 v2 ∂ 2
= 2 · +2 · + · (4.20.a)
(1 − vc2 ) c2 ∂t2 c c∂t∂x c2 ∂x2
30
· ¸
∂ ∂t ∂ ∂x ∂ 1 v ∂ ∂
= · + · = q · · +
∂x0 ∂x0 ∂t ∂x0 ∂x 1− v2 c c∂t ∂x
c2
· 2 ¸
∂2 1 v ∂2 v ∂2 ∂2
⇒ = 2 · · +2 · + (4.20.b)
∂x02 (1 − vc2 ) c2 c2 ∂t2 c c∂t∂x ∂x2
Sostituendo nella (4.19) i risultati trovati nelle (4.20), otteniamo:
· 2 ¸
0 1 ∂ v ∂2 v2 ∂ 2 v2 ∂2 v ∂2 ∂2
t
u = 2 · +2 · + − 2 · 2 2 −2 · − =
(1 − vc2 ) c2 ∂t2 c c∂t∂x c2 ∂x2 c c ∂t c c∂t∂x ∂x2
·µ ¶ µ ¶ ¸
1 v2 ∂2 v2 ∂2
= 2 · 1− 2 · 2 2 − 1− 2 · 2 =
(1 − vc2 ) c c ∂t c ∂x
∂2 ∂2
= − =t
u.
c2 ∂t2 ∂x2
Abbiamo, cosı̀, dimostrato l’invarianza del dalembertiano.
Osserviamo che se C è un quadrivettore, cioè C è tale che
applicando il dalembertiano a
C◦ (x) − vc Cx (x)
C◦0 (x0 ) = q
2
1 − vc2
si ha:
1 ³ v ´
u0 C◦0 )(x0 ) = q
(t · tu0 C◦ (x) − · t
u0 Cx (x) =
1− v2 c
c2
uC◦ (x) − vc · t
t uCx (x)
= = [Lt
uC]◦ )(x).
p1 2
1− v2
c
In generale, quindi
u0 C 0 )(x0 ) = L(t
(t uC)(x). (4.21)
31
∂2 ~ ~
A − ∆ ~ = j
A (4.6)
c2 ∂t2 ²◦ c2
e
∂2 ρ
2 2
φ − ∆φ = (4.7)
c ∂t ²◦
Mediante la notazione introdotta nel paragrafo precedente possiamo riscri-
vere tali equazioni come
ρc ~j
t
u(φ/c) = , t
uA~ = .
²◦ c2 ²◦ c2
I membri destri di queste equazioni sono, a meno di una costante molti-
plicativa, la componente temporale e la componente spaziale della quadri-
densità di corrente (diviso ²◦ c2 ) che, come abbiamo dimostrato nel capitolo
precedente, è un quadrivettore. Allora esse possono essere scritte come
un’unica equazione
j
t
uA = (4.22)
²◦ c2
· ¸
φ/c
dove A = ~ è detto quadripotenziale.
A
Applicando a questa equazione la trasformazione di Lorentz L otte-
niamo
L j(x) j 0 (x0 )
t
uL A(x) = =
²◦ c2 ²◦ c2
perchè j è un quadrivettore. Se al membro sinistro utilizziamo le proprietà
del dalembertiano otteniamo
0 ∗
j 0 (x0 )
0
t A (x ) =
u
²◦ c
32
A∗ (x0 ) = L A(L−1 x0 ).
A0 = A∗ = L A. (4.23)
~ 0 + 1 · ∂ φ0 = 0,
50 · A
c2 ∂t0
p
dove abbiamo tenuto conto del fatto che r0 = x0 2 + y 0 2 + z 0 2 .
34
Passiamo ora alle componenti perpendicolari alla direzione del moto rel-
ativo:
Ey0 = − ∂y∂ 0 φ0 − ∂t∂ 0 A0y =
³ ´ ¡ ¢
∂ 0 ∂t ∂ 0 ∂y ∂ ∂t ∂ ∂x
= − ∂t φ · ∂y 0 + ∂y φ · ∂y 0 − ∂t A0y · ∂t 0 + A0
∂x y
· ∂t0
=
∂ 0
¡ ¢
= − ∂y φ − p 1 v2 · ∂t ∂ ∂
A0y + v · ∂x A0y =
1−
c2
h i
= −p 1 2
· ∂
∂y
(φ − vAx ) + ∂
A
∂t y
+v· ∂
A
∂x y
=
1− v2
c
h i
= −p 1 2
· ∂
∂y
φ −v· ∂
A
∂y x
+ ∂
A
∂t y
+v· ∂
A
∂x y
=
1− v2
c
h i
= −p 1 ~ ∧ A)
· −Ey + v · (5 ~ z =
2
1− v2
c
= p1 2
(Ey − vBz ); (4.31)
1− v2
c
h i
= −p 1 ~ ∧ A)
· −Ez − v · (5 ~ y =
2
1− v2
c
= p1 2
(Ez + vBy ) . (4.32)
1− v2
c
∂ ∂
Bz0 = A0
∂x0 y
− A0
∂y 0 x
=
38
∂ ∂
= A
∂x0 y
− A0
∂y x
=
∂ ∂t ∂ ∂x ∂
= A
∂t y
· ∂x0
+ A
∂x y
· ∂x0
− A0
∂y x
=
³ ´
= p1 2
· v
c2
· ∂
A
∂t y
+ ∂
A
∂x y
+ v
c2
· ∂
∂y
φ − ∂
A
∂y x
=
1− v2
c
h ³ ´i
= p1 2
· ∂x∂ ∂
Ay − ∂y Ax + v
c2
· ∂
∂y
φ + ∂
A
∂t y
=
1− v2
c
¡ ¢
= p1 2
Bz − cv2 Ey . (4.37)
1− v2
c
1 ¡ ¢
Ez0 = q · (Ez + vBy ) Bz0 = p 1 2
· Bz − v
E
c2 y
.
v2 1− v2
1− c2
c
39
5. DINAMICA RELATIVISTICA
d ~ + ~v ∧ B).
~
~a = ~v = λ · q(E
dt
~ eB
dove E ~ sono il campo elettrico e mangetico che agiscono sulla parti-
cella all’istante t0 .
~ p.
m0~ap = q E (5.2)
p 2 = mv◦2 ay (5.5)
1− v2 (1− 2 )
c c
~ ~
q(E+~v ∧B)z
p1− v2 = (1− v2 ) az .
m◦
c2 c2
~ L = d qm0~v .
F (5.6)
dt 1 − v2
c2
L=T −U (5.8)
Rt
assume il valore minimo rispetto all’integrale t12 L(~x1 (t) + δ~x1 (t), ~x2 (t) +
δ~x2 (t), ..., ~xn (t)+δ~xn (t); ~x˙1 (t)+δ~x˙ 1 (t), ~x˙2 (t)+δ~x˙ 2 (t), ..., ~x˙n (t)+δ~x˙ n (t); t) dt,
per ogni scelta delle variazioni δ~xi (t) tali che δ~xi (t1 ) = δ~xi (t2 ) = 0. Questa
equivalenza è il contenuto del principio di Hamilton.
Per estendere la formulazione lagrangiana alla dinamica di una parti-
cella relativistica lentamente accelerata da campi elettromagnetici, bisogna
individuare una funzione lagrangiana L(~x,~v , t), per la quale le equazioni
di Eulero-Lagrange (5.7) coincidano con l’equazione del moto relativistica
(5.6), cioè L deve essere tale che
µ ¶
d ∂L ∂L ~ L = d~p = d qm◦~v .
− =0⇔F
dt ∂vi ∂xi dt dt 1− v
2
c2
Sostituendo tale valore nella (5.10) troviamo che la lagrangiana per una
particella libera è: r
v2
L = −m◦ c2 1−
+ c. (5.11)
c2
Si verifica immediatamente che sostituendo tale lagrangiana nelle equazioni
di Eulero-Lagrange si ottiene il risultato corretto vi = costante.
Passiamo ora al caso più generale di una particella non libera. Nella
fisica non-relativistica, la lagrangiana di una particella lentamente accel-
erata da un campo elettromagnetico è:
1 ~
L = mv 2 − qφ + q~v · A. (5.12)
2
Verifichiamo che, nel caso relativistico, sommando alla lagrangiana (5.11)
gli ultimi due termini figuranti nella (5.12), si trova che le equazioni di
Eulero-Lagrange coincidono con le corrette equazioni del moto relativis-
tiche (5.6), cosicchè la lagrangiana relativistica per una particella non
libera potrà essere scritta come:
r
v2 ~
L = −m◦ c2 1− − qφ + q~v · A. (5.13)
c2
Infatti, derivando la (5.13) rispetto a vi troviamo:
µ ¶
∂L 1 2vi m◦ vi
= q · − 2 · (−m◦ c2 ) + qAi = q + qAi
∂vi v2
2 1 − c2 c 1 − c2v2
∂L
cioè = pi + qAi . (5.14)
∂vi
Derivando rispetto ad xi , invece, troviamo:
∂L ∂φ ~
∂A
= −q · + q~v · ;
∂xi ∂xi ∂xi
46
~ =E
~ + ~
∂A
ma abbiamo visto nel capitolo 4 che −5φ ∂t
, allora
∂L ∂Ai ~
∂A
= qEi + q + q~v · . (5.15)
∂xi ∂t ∂xi
dove
L(~x,~v , t(τ ))
Lcov (~x,~v , τ ) = q .
v2
1 − c2
~ = −m◦ c2 − qu·M A.
Lcov = −m◦ c2 − q(u0 φ/c − ~u · A)
P q Pn
2 v2
= i=1 p̃i vi + m◦ c 1− c2
+ eφ − e i=1 vi Ai
dove e rappresenta la carica elettrica della particella.
Innanzitutto determiniamo i momenti coniugati. Per definizione
∂L
p̃i = .
∂vi
Sostituendo in tale espressione la lagrangiana relativistica troviamo:
¡ ¢
m◦ c2 2 cv2i m◦ vi
p̃i = q + eAi = q + eAi .
v2 v2
2 1 − c2 1 − c2
P
i=1 (p̃i − eAi )2
= P (p̃i −eAi )2
. (5.21)
m2◦ + i=1 c2
50
³ ´
v2
Nella (5.20) compare il termine 1− c2
che dobbiamo trasformare se-
condo il formalismo hamiltoniano. Per fare ciò, basta sostituire in esso la
(5.21); cosı̀ facendo troviamo:
P
(p̃ −eA )2
v2
1 − c2 = 1 − µ i=1 P i i ¶ =
(p̃i −eAi )2
c2 m2◦ + i=1
c2
µ P 2
¶
=1 − P (p̃i −eAi )
i=1
=
m◦ c2 + (p̃i −eAi )2
i=1
P P
m2◦ c2 + (p̃i −eAi )2 − (p̃i −eAi )2
= i=1 P i=1
=
m2◦ c2 + (p̃i −eAi )2
i=1
2 2
= m2 c2 +Pm◦ c (p̃ −eA )2
◦ i i
i=1
r
v2 m◦ c
cioè 1− 2
=p P . (5.22)
c m2◦ c2 + i=1 (p̃i − eAi )2
Sostituendo tale espressione nella (5.20), otteniamo:
(p̃i − eAi ) m◦ c
vi = ·p P =
m◦ m2◦ c2 + i=1 (p̃i − eAi )2
(p̃i − eAi )c
=p P .
m◦ c + i=1 (p̃i − eAi )2
2 2
P
(p̃i − eAi )2 c + m2◦ c3
= p i=1 P + eφ.
m2◦ c2 + i=1 (p̃i − eAi )2
Mettendo in evidenza c la (5.23) diventa:
( P )
2 2 2
(p̃i − eA i ) + m◦ c
H = c · p i=1 P + eφ =
m2◦ c2 + i=1 (p̃i − eAi )2
s
X
= c m2◦ c2 + (p̃i − eAi )2 + eφ. (5.24)
i=1
1 − c2
s 2 2
2 1 − vc2 + vc2
= m◦ c 2 + eφ =
1 − vc2
m◦ c2
=q + eφ. (5.25)
2
1 − vc2
La (5.24) è l’hamiltoniana relativistica espressa come funzione delle vari-
abili lagrangiane q, v, t.
Osservazione 5.2. In analogia col caso classico, possiamo chiamare tale
quantità energia. Essa si conserva durante il moto (in analogia con il
caso classico), quando il potenziale elettromagnetico non dipende esplici-
tamente dal tempo. Pertanto, nel caso di campi stazionari si ha che se
∂L m c2
= 0 implica q ◦ + eφ = cost.
∂t v2
1 − c2
Banalmente, quindi, per una particella libera si ha che se eφ = 0
m◦ c2
E=q .
2
1 − vc2