Ma perché la musica d'uso è considerata di serie B?
di Fabrizio Festa
La storia della musica in Occidente… non è semplicemente il
progressivo evolversi di un linguaggio artistico, che a volte viene prestato ad altri usi. Al contrario, il cammino evolutivo dell’arte dei suoni si presenta molto accidentato e spesso, molto spesso, le ragioni del cambiamento non risiedono affatto all’interno del suo mondo. Come tutti i linguaggi, anche quello musicale non si è sviluppato in maniera lineare, e le sue modificazioni sono il frutto dell’interazione con ciò che gli sta intorno. Tra questi elementi hanno giocato un ruolo essenziale la tecnologia (tanto quella della costruzione degli strumenti musicali, quanto quella tipografica prima, poi dell’informazione e della comunicazione in generale) e, soprattutto a partire dal XIX secolo, l’industria. Infine, ma non certo per ultimi, sono stati e sono altrettanto importanti i rapporti con le altre arti performative e quello biunivoco con il pubblico. Nel caso della musica, la relazione che lega l’opera a chi l’ascolta è una relazione vitale: la musica esiste se e solo se c’è almeno un ascoltatore disponibile. Le partiture nei cassetti non sono altro che punti neri sulla carta. Per queste ragioni l’aver relegato la musica d’uso in un canto è stato un grave errore storiografico, che s’inserisce del resto nella miopia che tutt’oggi affligge gli studi storico-musicali. È un po’ come se si fosse osservata la storia della musica con un cannocchiale girato al contrario. Invece che vedere l’universo nella sua interezza, si è preferito osservare qualche piccolo sistema solare, fors’anche un solo minuscolo pianeta, e finire per considerarlo come il centro del cosmo, e sullo studio di quel preteso centro si sono focalizzati tutti gli sforzi. Trattandosi di studi storici, non è difficile intuire che le ragioni di un simile atteggiamento poggiano su pilastri ideologici, che, in quanto tali, sono a loro volta figli dei tempi. Primo fra questi pilastri, il rifiuto netto da parte di storici, musicologi e filosofi della musica (anche di provenienza marxista) di considerare il legame tra musica, industria, tecnologia e mercato (pubblico incluso) come ontogenetico, come parte del dna dell’arte dei suoni in Occidente, e in quanto tale ineludibile, indipendentemente da qualsiasi considerazione d’ordine estetico. Si è preferito, invece, immaginare il compositore schiavo alla catena, alla mercé delle leggi dell’economia pre- capitalistica prima, capitalistica tout court poi, in perenne lotta, novello Prometeo, per conquistare una presunta libertà. Da qui discende il convincimento che la musica d’arte, frutto di questa solitaria pugna, sarebbe qualitativamente superiore a ogni altro tipo di musica. Ovviamente, poiché si tratterebbe di una sorta di affrancamento, lo sviluppo della musica d’arte è lineare: va dalla polifonia rinascimentale fino ai giorni nostri, con i suoi eroi, i suoi santi e i suoi martiri (e ovviamente anche apostati e traditori). […] Eppure sarebbe bastato girare il cannocchiale, e trasformarlo semmai in un telescopio, per capire il gigantesco abbaglio di cui si era vittime. […] In realtà, qualora usassimo davvero un telescopio, vedremmo qualcosa di molto diverso. Vedremmo probabilmente molte galassie, all’interno delle quali registreremmo la presenza di forme di vita differenti, e che di conseguenza si evolvono in maniera diversa (e possono ovviamente pure estinguersi). Volendo giocare con l’astrofisica, potremmo dire che vale per l’universo artistico il principio cosmologico, per cui tale universo, su una scala sufficientemente grande (non ci stancheremo mai di ripeterlo, le misure contano anche nella storiografia) è omogeneo e isotropo, e il suo aspetto è indipendente dalla posizione dell’osservatore. Di conseguenza, non ci sono aree o direzioni privilegiate. Essendo l’arte un prodotto umano, le disomogeneità locali non sarebbero difficili da spiegare. D’altronde, questo universo non ha leggi tanto rigide da non ammettere la sua dose di caos, con tutto quello che d’imprevedibile (soprattutto in termini di relazioni tra le aree e gli oggetti al suo interno) può e/o potrebbe sempre accadere. Tratto da Musica: usi e costumi, Edizioni Pendragon, 2008. Per gentile concessione dell’editore.