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Marco Tullio Cicerone

Nome originale Marcus Tullius Cicero


3 gennaio 106 a.C.
Nascita
Arpinum, Latium, Italia
7 dicembre 43 a.C.
Morte
Formiae, Latium, Italia
Terenzia (79-46 a.C.)
Coniuge
Publilia (46-45 a.C.)
Tullia
Figli
Marco Tullio Cicerone
Marco Tullio Cicerone il
Padre
Vecchio
Madre Elvia
Questura 75 a.C.
Edilità 69 a.C.
Pretura 66 a.C.
Consolato 63 a.C.
Proconsolato 51 a.C.
Princeps senatus 43 a.C.
Giovinezza
L'infanzia e la famiglia
Marco Tullio Cicerone nacque il 3 gennaio del 106 a.C.[2] in località Ponte Olmo,[3] in prossimità
della confluenza del fiume Fibreno nel Liri, nell'area attualmente occupata dall'Abbazia di San
Domenico,[4] oggi nel territorio di Sora ma all'epoca nel comune di Arpinum, antica città di collina
fondata dai Volsci 100 chilometri a sud-est di Roma.[5] Gli Arpinati avevano ricevuto la civitas sine
suffragio già nel IV secolo a.C., e i pieni diritti di cittadinanza nel 188 a.C.; in seguito la città aveva
ottenuto anche lo status di municipium.[5] La lingua latina vi era in uso già da lungo tempo. [6] Ad
Arpino, tuttavia, era diffuso anche l'insegnamento della lingua greca, che l'élite senatoriale romana
preferiva spesso a quella latina, riconoscendone la maggiore raffinatezza e precisione. [7]
L'assimilazione da parte dei Romani delle comunità italiche nelle vicinanze di Roma, avvenuta tra il
II ed il I secolo a.C., rese possibile il futuro di Cicerone come scrittore, statista ed oratore.
Cicerone apparteneva alla classe equestre, la piccola nobiltà locale, e, anche se lontanamente
imparentato con Gaio Mario, il leader dei Populares durante la guerra civile contro gli optimates di
Lucio Cornelio Silla,[8] non aveva alcun legame con l'oligarchia senatoriale romana; era dunque un
homo novus. La famiglia era composta dal padre Marco Tullio Cicerone il Vecchio, uomo colto ma
di origine sconosciuta, dalla madre Elvia, di nobile casato e integri costumi,[9] e dal fratello Quinto.
Il cognomen Cicero era il soprannome di un suo antenato abbastanza noto, che aveva
un'escrescenza carnosa sul naso (presumibilmente una verruca), che ricordava nella forma un cece
(cicer, ciceris è il termine latino per cece). Quando Marco presentò per la prima volta la sua
candidatura ad un ufficio pubblico, alcuni amici gli sconsigliarono l'utilizzo del suo cognomen, ma
lui rispose che «avrebbe fatto sì che esso diventasse più noto di quello degli Scauri e dei Catuli.»[10]
Studi
Di straordinaria intelligenza, si distinse tra i suoi coetanei a scuola e accumulando fama e onore. [11]
Il padre, auspicando per i figli una brillante carriera forense e politica, li condusse a Roma dove
Marco venne introdotto nel circolo dei migliori oratori del suo tempo, protettori della sua famiglia,
Lucio Licinio Crasso e Marco Antonio. Particolare influenza la ebbe il primo su Cicerone, per cui
rimase sempre modello di oratore e di statista. A Roma Cicerone poté anche formarsi nella
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giurisprudenza, grazie alla scuola di Quinto Mucio Scevola, eminente giurista.[12] Tra i compagni di
Cicerone c'erano Gaio Mario il Giovane, Servio Sulpicio Rufo (destinato a divenire un celebre
avvocato, uno dei pochi che Cicerone considerò superiori a se stesso) e Tito Pomponio, che prese
poi il cognomen di Attico dopo una lunga permanenza ad Atene e che divenne intimo amico di
Cicerone. In una lettera, infatti, gli scrisse: «Sei per me come un secondo fratello, un alter ego al
quale posso dire ogni cosa».[13]
In questo periodo Cicerone si avvicinò anche alla poesia [14] cimentandosi nella traduzione di Omero
e dei Fenomeni di Arato, che influenzarono, più tardi, le Georgiche di Virgilio.
Particolarmente attratto dalla filosofia,[15] alla quale avrebbe dato grandi contributi, tra i quali la
creazione del primo vocabolario filosofico in lingua latina, nel 91 a.C. incontrò, assieme all'amico
Tito Pomponio (Attico), il filosofo epicureo Fedro in visita a Roma. I due ne furono affascinati, ma
solo Attico rimase per tutta la vita seguace della dottrina epicurea. Tra il 79 e il 77 conobbe il
maestro di retorica Apollonio Molone[16] (che istruì, pochi anni dopo, anche Gaio Giulio Cesare) e
l'accademico Filone di Larissa, che esercitò in lui un'influenza profonda. Questi era, infatti, a capo
dell'Accademia che Platone aveva fondato ad Atene circa trecento anni prima e Cicerone, grazie
alla sua influenza, assimilò la filosofia platonica - pur rigettando, ad esempio, la teoria delle idee -
arrivando spesso a definire Platone come il suo dio.
Poco tempo dopo, Cicerone incontrò Diodoto, esponente dello stoicismo. Lo stoicismo era già stato
precedentemente introdotto a Roma, dove aveva ricevuto larghi consensi grazie all'enfasi posta sul
controllo delle emozioni e sulla forza di volontà, che sposava gli ideali romani. Cicerone non adottò
completamente l'austera filosofia stoica, ma preferì uno stoicismo modificato. Diodoto divenne poi
un protetto di Cicerone, dal quale fu ospitato fino alla morte. Il filosofo, dimostrando la sua piena
adozione dello stoicismo, continuò ad insegnare anche dopo la perdita della vista.[15]
Cursus honorum
Prime esperienze
Il sogno di infanzia di Marco Tullio Cicerone era quello di "essere sempre il migliore ed eccellere
sugli altri", in linea con gli ideali omerici. Cicerone desiderava dignitas ed auctoritas, simboleggiati
dalla toga pretesta e dalla verga dei littori. C'era un solo modo per ottenerli: percorrere i gradini del
cursus honorum. Nel 90 a.C., tuttavia, Cicerone era troppo giovane per approdare a qualsiasi carica
del cursus honorum, ma non per acquisire l'esperienza preliminare in guerra che una carriera
politica richiedeva. Tra il 90 a.C. e l'88 a.C., Cicerone servì sotto Gneo Pompeo Strabone e Lucio
Cornelio Silla durante le campagne della Guerra sociale, sebbene lui non provasse alcuna attrazione
per la vita militare. Era prima di tutto un intellettuale. Infatti, molti anni dopo scrisse al suo amico
Attico, che stava raccogliendo statue marmoree per le ville di Cicerone: "Perché mi spedisci una
statua di Marte? Sai che io sono un pacifista!"[17]
L'ingresso di Cicerone nella carriera forense avvenne ufficialmente nell'81 a.C. con la sua prima
orazione pubblica, la Pro Quinctio, per una causa in cui ebbe come avversario il più celebre oratore
del tempo, Quinto Ortensio Ortalo. Ma il suo vero esordio nell'oratoria a carattere politico, almeno
secondo le testimonianze scritte a noi disponibili, si ebbe con la Pro Roscio Amerino, molto
concitata ed a tratti enfatica, che conserva molto di scolastico nello stile esuberante. [18][19] Qui
Cicerone difese con successo un figlio ingiustamente accusato di parricidio, dimostrando grande
coraggio nell'assumersene la difesa: il parricidio era considerato tra i crimini peggiori, e i veri
colpevoli dell'omicidio erano sostenuti dal liberto di Silla, Lucio Cornelio Crisogono. Se Silla
avesse voluto, sarebbe stato fin troppo facile eliminare Cicerone, proprio alla sua prima apparizione
nei tribunali.
Cicerone divise le sue argomentazioni in tre parti: nella prima, difese Roscio e tentò di provare che
non era stato lui a commettere l'assassinio; nella seconda, attaccò quelli che avevano realmente
commesso il crimine - tra cui anche un parente dello stesso Roscio - e dimostrò come l'assassinio
favoriva più quelli che Roscio; nella terza, attaccò direttamente Crisogono, affermando che il padre
di Roscio era stato assassinato per ottenere i suoi terreni ad un prezzo conveniente, una volta messi
all'asta. In forza di queste argomentazioni, Roscio fu assolto.
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Per sfuggire ad una probabile vendetta di Silla,[20] tra il 79 ed il 77 a.C. Cicerone si recò,
accompagnato dal fratello Quinto, dal cugino Lucio e probabilmente anche dall'amico Servio
Sulpicio Rufo, in Grecia ed in Asia Minore.[21] Particolarmente significativa fu la sua permanenza
ad Atene. Qui incontrò nuovamente l'amico Attico che, fuggito da un'Italia sconvolta dalle guerre, si
era rifugiato in Grecia. Egli era poi diventato cittadino onorario di Atene e poté presentare a
Cicerone alcune tra le più importanti personalità ateniesi del tempo. Ad Atene, inoltre, Cicerone
visitò quelli che erano i luoghi sacri della filosofia, a cominciare dall'Accademia di Platone, di cui
era allora capo Antioco di Ascalona. Di quest'ultimo Cicerone ammirò la facilità di parola, senza
tuttavia condividerne le idee filosofiche, ben differenti da quelle di Filone, delle quali era convinto
ammiratore.[22][23] Dopo un breve soggiorno a Rodi, dove conobbe lo stoico Posidonio, Cicerone
tornò in Grecia, dove fu iniziato ai misteri eleusini, che lo impressionarono molto, e dove poté
visitare l'Oracolo di Delfi. Qui domandò alla Pizia in quale modo avrebbe potuto raggiungere la
gloria, ed ella gli rispose che avrebbe dovuto seguire il suo istinto, e non i suggerimenti che
riceveva.[24]
Ingresso in politica
Tornato a Roma dopo la morte di Silla (78 a.C.), Cicerone diede inizio alla sua vera e propria
carriera politica, in un ambiente sostanzialmente favorevole: nel 76 a.C. si presentò come candidato
alla questura, la prima magistratura del cursus honorum.[25] I questori, eletti in numero di venti, si
occupavano della gestione finanziaria, o assistevano propretori e proconsoli nel governo delle
province. Eletto alla carica per la città di Lilibeo (l'odierna Marsala), nella Sicilia Occidentale,
svolse il lavoro con scrupolo ed onestà tanto da guadagnarsi la fiducia degli abitanti del luogo.
Durante la sua permanenza in Sicilia visitò, a Siracusa, la tomba di Archimede. Grazie all'interesse
di Cicerone per lo scienziato siracusano sono in nostro possesso alcune importanti informazioni su
di lui e in particolare la migliore testimonianza sul suo planetario. Al termine del mandato, i
Siciliani gli affidarono la causa contro il propretore Verre, reo di aver tiranneggiato l'isola nel
triennio 73-71 a.C.[26][27] Cicerone raccolse con zelo le prove della colpevolezza, pronunciò due
orazioni preliminari (Divinatio in Quintum Caecilium e Actio prima in Verrem) e l'ex governatore,
oberato da prove schiaccianti, scelse l'esilio volontario.[28] Le cinque orazioni preparate per le
successive fasi del processo (che costituiscono l'Actio secunda) furono pubblicate più tardi e
costituiscono un'importante prova del malgoverno che l'oligarchia senatoria esercitava a seguito
delle riforme sillane. Attaccando Verre, Cicerone attaccò la prepotenza della nobiltà corrotta, ma
non l'istituzione senatoria, anzi fece proprio appello alla dignità di tale ordine perché estromettesse i
membri indegni. Acquisì, inoltre, un enorme prestigio perché a difendere Verre era Quinto Ortensio
Ortalo, considerato il più grande avvocato dell'epoca:[29] "sconfitto", Ortensio dovette accettare che
il suo posto venisse preso da Cicerone il quale si guadagnò il titolo di principe del foro. Nonostante
l'episodio, i due strinsero poi un buon legame di amicizia. Ad Ortensio, anzi, che elogiò anche nel
Brutus, Cicerone dedicò un'intera opera, non pervenutaci, l'Hortensius.
L'oratoria e l'attività forense erano, a Roma, uno dei principali mezzi di propaganda per i politici
emergenti, in quanto non esistevano documenti scritti di argomento politico, ad eccezione degli
Acta Diurna, che godevano di scarsa diffusione.
Contro Cicerone, però, rimaneva la naturale diffidenza dei nobili verso chi era un homo novus,
accresciuta dal fatto che l'ultimo homo novus ad acquisire rilevante peso politico era stato il
concittadino dello stesso Cicerone, Gaio Mario. Anche lo stesso Silla, tuttavia, fiero oppositore di
Mario, aveva preso alcuni provvedimenti che permettevano e facilitavano l'ingresso degli equites
alla vita politica, dando così a Cicerone la possibilità di raggiungere le vette del cursus honorum.
Il successo ottenuto da quelle orazioni (che vennero poi chiamate Verrine), anticipatrici dei principi
di un governo umano ed ispirato ad onestà e filantropia, portò Cicerone in primo piano sulla scena
politica: nel 69 a.C. venne eletto alla carica di edile curule (all'età di 37 anni),[30] nel 66 a.C. diventò
pretore con una elezione all'unanimità (a 40 anni). [31] Nello stesso anno pronunciò il suo primo
discorso politico, Pro lege Manilia de imperio Cn. Pompei, in favore del conferimento dei pieni
poteri a Pompeo per la guerra mitridatica. In questa occasione Pompeo era appoggiato dai cavalieri,
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interessati alla rapida risoluzione della guerra in Asia, mentre gli era contraria la maggioranza del
senato.[32] Il motivo dell'impegno di Cicerone in una causa ostile all'alta aristocrazia (che d'altronde
era restìa ad accoglierlo tra le proprie file) sta probabilmente nell'importanza che essa aveva per i
pubblicani (titolari degli appalti pubblici e della riscossione delle imposte) e gli affaristi, minacciati
nei loro interessi da Mitridate VI. La provincia dell'Asia Minore, minacciata dal sovrano del Ponto,
era, infatti, particolarmente attiva dal punto di vista dell'economia e del commercio.

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