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ARTE NEL XX SECOLO

20 Febbraio 2017

Writing, Street art e muralismo

Writing (graffitismo o aerosol art): i graffiti esistono da sempre e continuano ad esistere. Tuttavia,
negli anni ’60 del Novecento fu inventata la bomboletta spray ad aerosol che offrì a questi giovani
disillusi uno strumento particolarmente efficace per lasciare delle iscrizioni sui muri delle città. In
particolar modo in zone considerate, fino ad allora, non dei luoghi d’arte.
È stata la bomboletta spray che ha dato slancio al movimento del writing che negli Stati Uniti è
dominato dalla cultura hip-hop, mentre in Europa si avvicina più al punk e al rock.
Quindi, la prima generazione fu quella dei writers cha definirono i codici di una nuova cultura
urbana il cui impatto sulla Cultura è paragonabile a quello che il rock’n’roll ha avuto sulla musica
del Novecento.

I writers erano spesso anarchici e disinteressati→ non si curavano minimamente di diventare


famosi. Essi facevano cose pericolose e la loro performance puntava a trasgredire e a provocare in
uno spazio pubblico così che la loro calligrafia (poiché i writers originali utilizzavano le lettere) si
evolse nel tempo fino ad arrivare quasi a non riuscire distinguere queste lettere. Il loro scopo era
piacere al gruppo di appartenenza, mentre non gli interessava piacere alla società anzi la volevano
provocare. Quindi, era una specie di logica tribale che gli spingeva a impossessarsi di uno spazio
pubblico.
Le loro azioni devono essere interpretate in due modi:

1. Come una reazione alla cementificazione delle città.


2. Come una reazione a una società che continua a evolvere e a spersonalizzare.

Pertanto essi cercarono di affermare il loro esserci. Il loro tratto distintivo era la ricerca continua di
uno pseudonimo che ripetevano su qualunque superficie ed essi erano gli unici in grado di decifrare
queste tag. E il fatto che fossero decifrabili solo da loro era importante perché significava che la
società non poteva decifrarli→ puntavano all’anonimato.
Di fatto i writers non volevano commercializzare la propria arte poiché la loro non era altro che una
contestazione sociale e una performance fisica. Essi volevano intervenire senza autorizzazione e
senza il riconoscimento sociale.
Si trattava una generazione di disillusi che volevano riconquistare uno spazio considerato pubblico.
Pertanto essi misero in discussione il concetto di proprietà privata. Ovviamente questa prima
generazione di writers venne profondamente bollata dalle autorità e anche dalla società stessa. E
quest’ondata di repressione non comportò solo ridipingere le carrozze dei treni o i muri imbrattati,
ma anche la carcerazione.

“Se un giorno autorizzano le tag, smetto”.

O’Clock

Street Art: in qualche modo la Street Art è figlia del writing. Ma che cos’è la Street Art?
Innanzitutto bisogna ricordare che nel 2000 vi furono alcune importanti innovazioni tecnologiche
che misero a disposizione degli “artisti” dei nuovi strumenti: il computer e internet, che cambiarono
gli equilibri mediatici.
Si può dire che internet aiutò una nuova generazione di artisti a raggiungere i veri e famosi attori del

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sistema dell’arte, ovvero i giornalisti, i critici, i curatori e i galleristi. Questa nuova generazione di
writers s’impossessò d’internet ed esso diventò un luogo non-luogo dell’arte (esattamente come
prima lo erano stati i muri e i vagoni della metropolitana).
Tra l’altro questi giovani del 2000 erano cresciuti in mezzo ai graffiti e conoscevano i codici della
strada alla perfezione. L’evolversi di questi fece sì, quindi, che molti di loro desiderassero diventare
artisti, frequentando corsi di graphic design, studiando la cultura e l’estetica dei graffiti.

Pertanto essi fondarono il proprio lavoro sui loro antenati immediati. Tuttavia, il loro desiderio di
diventare artisti professionisti li portò a deviare dai codici dei writers perché il loro interesse era di
poter commercializzare le loro cose. Di fatto quello che contava per i protagonisti della Street Art
era il marketing che era chiaramente una necessità per qualsiasi professionista→ importante poiché
favorisce la ricerca del consenso. È chiaro, però, che questo rappresentò una lama a doppio taglio
perché la Street Art venne condizionata dal consenso.
Inoltre, questi artisti di strada presero si in prestito le forme dai writers, ma le modificarono per
poterle diffondere, per trovare consenso e affinché potessero piacere.

Quindi, mentre ai writers interessava solo il riconoscimento di altri writers, la Street Art voleva
sedurre quanti più spettatori possibili.
Tuttavia, questo non valeva per tutti i protagonisti della Street Art→ Bansky, che è uno dei writers
più conosciuti al mondo, tiene tantissimo al proprio anonimato.

Quindi, per poter ottenere il consenso del pubblico, la generazione di artisti di strada di oggi ha
sviato un po’ dai principi dei writers. Perché, come già ricordato, mentre i graffiti dei writers
puntavano a non piacere affatto, gli artisti della Street Art contemporanea cercavano assolutamente
di piacere e di allargare il più possibile il proprio pubblico. Inoltre, mentre i writers proteggevano la
propria identità a tutti i costi, per gli artisti di strada era l’esatto contrario. L’ultima cosa che
differenzia queste due generazioni è che i writers deturpavano lo spazio pubblico, gli artisti di
strada cercavano o pensavano di abbellirlo; per esempio riqualificando quartieri popolari
abbandonati. Il che non significa che essi si siano tutti allontanati dallo spirito originario dei writers
perché molti hanno mantenuto le apparenze e lo spirito romantico dei writers (i codici di
abbagliamenti, gli strumenti, la grafia e anche la voglia di provocare poiché non tutti cercano
esclusivamente il consenso).
Quello che però è venuto meno nella Street Art è il portato rivendicativo che era proprio dei writers.
La grossa differenza, quindi, è che la generazione degli artisti di strada contemporanei si è
avvicinata sempre di più al sistema, al contrario dei writers.
Si potrebbe definire la Street Art come un surrogato del graffitismo che, quindi è rivendicativo
mentre è la Street Art è più edonistica.

Muralismo: la parola murales deriva dallo spagnolo. Infatti, nasce in Messico negli anni ’20 del
Novecento grazie a tre personaggi particolarmente interessanti: Rivera, Orozco e Siqueros (Rivera è
famoso per essere stato il marito di Frida Khalo). I loro murales avevano una forte valenza politica
e spesso erano stati commissionati dal governo stesso (vedi manuale).
Come si è detto, la Street Art, che è figlia più o meno legittima del writing, verso il 2010 raggiunge
un duplice obbiettivo: da un lato ottiene un riscontro da parte del pubblico e dall’altro, i suoi
protagonisti diventano dei professionisti (fanno quello di mestiere). Negli anni recenti questa
commercializzazione ha addirittura raggiunto apici impensabili perché le istituzioni pubbliche
hanno iniziato a investire in questa nuova branca dell’arte.
Tra l’altro in alcune occasioni, in maniera non del tutto legittima e accettabile, sono state
organizzate delle mostre di Street Art, ma esse non sono per l’appunto del tutto legittime e
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accettabili perché se si tratta di Street Art, esse dovrebbero riguardare solo l’arte di strada.
E questa è un’altra enorme differenza rispetto al writing perché all’epoca sarebbe stato impensabile
che le loro opere potessero essere commercializzabili.

Qual è, però, uno dei problemi che è emerso con il muralismo, ma anche con la Street Art?
Innanzitutto il ritorno in campo dei mediatori (galleristi, collezionisti, giornalisti e mass media)
perché in questo modo si è creata un’economia molto simile a quella dell’industria
dell’intrattenimento. E si è arrivati al punto che i protagonisti della Street Art vengono chiamati a
decorare salotti oppure case di persone abbienti→ l’essere un’artista di strada è diventato quasi un
mestiere qualunque.

Quando si parla di murales s’intendono delle commissioni di muri di dimensioni monumentali. Essi
prevedono un iter preciso ovvero un progetto preliminare che deve avere un messaggio politically
correct che deve andare bene al committente (in genere un’istituzione) e che non deve turbare la
cittadinanza. Questi murales, infatti, sono realizzati in gran parte in festival sostenuti dalle autorità
cittadine (es: Bologna) quindi, non è concessa alcuna trasgressione o provocazione.
Tuttavia il muralismo, con questa pratica (il finanziamento da parte di varie
organizzazioni/sponsor/autorità) rischia di perdere la libertà di espressione che era tipica dei writers
ma anche l’indipendenza stessa degli artisti. Quello che c’è da sperare è che il muralismo non
riduca la Street Art a una semplice arte decorativa, piatta e senza contenuti polemici.
Questo porta anche a chiedersi se il muralismo sia una pratica moderna oppure se non sia una
semplice ripresa di quello che accadeva in passato con le commissioni degli affreschi.

“Now we wonder if graffiti will ever last”. Ora noi ci chiediamo se i graffiti dureranno.

21 Febbraio 2017

Writing: è una forma artistica che è entrata a fa parte della nostra vita quotidiana. Tuttavia, non si
può dire che sia sempre arte. Anche perché la forbice è molto ampia poiché si va da quelli che si
definiscono graffiti (ben definiti, interessanti per fattura e invenzione) e che, quindi, si considerano
opere d’arte (masterpieces), a quelli che, invece, rappresentano dei semplici atti vandalici.
Bisogna comunque dire che quando si parla di writing o di graffitismo si parla dell’arte d’incidere,
marchiare, segnare una superficie cui si assegna il ruolo di transfert di un messaggio.
Questo è curioso perché, quando noi oggi pensiamo ai graffiti, ci vengono subito in mente dei
disegni che ricoprono delle superfici. Però in realtà il termine graffitismo/writing merita un discorso
un po’ più approfondito.
Innanzitutto bisogna capire he cosa distingue il writing dal vandalismo puro. La differenza sta
nell’intenzione, insita nell’autore, di provocare o di dire qualcosa di forte; quindi, in genere, è
sintomo di rabbia, malessere, e solo raramente di felicità.

Ma allora che cosa spinge una persona a scrivere su un muro?


Per capire questa questione bisogna risalire all’origine del fenomeno. Il termine graffitismo, infatti,
deriva dal latino graphium, che a sua volta deriva dal greco grapein che significa scrivere,
disegnare o dipingere.

Quindi, la pratica di dipingere, incidere disegni o iscrizione, tramite strumenti inizialmente molto
rudimentali (come scalpelli, chiodi, punteruoli o stiletti) su pietra o metallo è un’usanza molto
primitiva che si fa risalire al Paleolitico superiore.
Se si va avanti cronologicamente, il primo esempio interessante riguarda le incisioni fenice. Questo
grazie al ritrovamento di una tomba, quella del re Ahiram di Biblio (antica città Cananea; nella
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zona dell’attuale Libano) del X secolo a.C. Il sarcofago fu ritrovato nel 1923 in una zona, dove
erano state rinvenuti anche altre tombe.

Sulle incisioni è riportata una maledizione contro coloro che avrebbero violato il sarcofago. I rilievi,
infatti, occupano tutta la superficie del coperchio e sono tra i più importanti dell’arte fenicia. Essi
rappresentano il re seduto in trono, fiancheggiato da due sfingi, davanti a una tavola carica di cibo,
mentre riceve omaggi da una lunga fila di uomini e donne. Il sarcofago fa corpo unico con quattro
leoni che sembrano sostenerlo. Tuttavia, la sua importanza è data appunto dall’iscrizione che corre
lungo tutto il coperchio. Essa, innanzitutto, afferma che la tomba è stata costruita per il re per
volontà del figlio, ma poi formula delle minacce contro coloro che oseranno profanarla.
Ecco perché si può considerare come un antenato del writing→ c’è una volontà di lanciar un
messaggio deciso.

Un altro esempio è costituito dal graffito di Alessameno (chiamato anche graffito blasfemo del
Palatino). Esso risale al III secolo d.C (probabilmente) e fu ritrovato nel 1857 in uno dei locali del
pegagogium, che era la scuola dei paggi imperiali.

Il graffito rappresenta il copro di un uomo crocifisso la cui testa è però quella di un animale (un
asino) mentre a sinistra vi è un altro uomo che sembra in adorazione. È presente anche una scritta
che recita: “Alessameno adora il suo Dio”. In quest’incisione è evidente l’uso di un greco non
proprio corretto (alternanza di lettere maiuscole a quelle minuscole e mancanza di accenti), il che
significa che chi l’ha scritto non era un letterato.
Inoltre, una lettera, la C, in realtà è sostituita dalla Σ (sigma) e questo avveniva solo nel greco
orientale. Si tratta di una performance grafica e figurativa senza precedenti. Probabilmente uno dei
giovani che frequentavano questa scuola di paggi, che si nasconde dietro all’anonimato (come il
writing) elabora un prodotto del tutto funzionale al suo obiettivo.

 L’uomo appeso alla croce commissa indossa una tunica senza manica che è l’indumento
tipico degli schiavi, così come anche la figura in basso.
 L’altra figura è rappresentata in modo abbastanza schematico e ciò ci può far capire che la
persona che ha realizzato tale disegno probabilmente era un ragazzino non particolarmente
dotato.

Uno dei giovani paggi, quindi, indirizza a un suo compagno di fede cristiana un messaggio che è
insieme di derisione e di dissacrazione. Questo perché egli aveva la certezza che in un ambiente
come quello non sarebbe stato punito (siamo nel periodo delle persecuzioni del Cristianesimo). Tra
l’altro l’atteggiamento di derisione è enfatizzato anche dall’atteggiamento di Alessameno verso il
crocefisso. Il suo, infatti, non è un atteggiamento di preghiera cristiana, ma è tipicamente romano
(con le braccia allargate; la sinistra abbassata e la destra alzata. Le dita, invece, sono aperte e questo
corrisponde al gesto di iactare basia, in altre parole, mandare baci).

Per capire il perché di questo bisogna contestualizzare il graffito. Esso, infatti, si colloca in
un’epoca in cui Roma teme la nascita e la proliferazione della comunità dei cristiani che era
tendenzialmente bersaglio di contestazioni e prese in giro dure e volgari. Questo perché i romani
consideravano la fede in Cristo come una terribile superstizione. Tra queste convinzioni aveva
raggiunto una grandissima fama quella che è documentata nel graffito, cioè l’onolatria (adorazione
di un asino)→ Alessameno adora il suo Dio = Alessameno adora un asino.

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Pertanto, mentre nel caso del sarcofago avevamo un messaggio forte di minaccia, qui abbiamo un
messaggio ironico ma pungente, che può rientrare negli antenati del writing.

Un altro esempio sono i Graffiti di Pompei. Ovviamente non sono gli unici, siccome ne esistono
moltissimi altri, ma per esempio, i graffiti delle caverne non hanno lo spirito che noi stiamo
ricercando poiché erano fatti per motivi religiosi o per la semplice comunicazione, mentre lo hanno
quelli ritrovati all’interno delle prigioni antiche.

Soprattutto a Pompei si aveva un alto tasso di alfabetizzazione, quindi vi era una vasta circolazione
della cultura scritta. Per tale motivo Pompei divenne famosa per la diffusione dei graffiti latini.
Questo è dovuto anche alla loro ottima conservazione, che è dipesa dall’eruzione del Vesuvio
avvenuta nel 49 d.C. Pompei era una città commerciale pertanto la scrittura era fondamentale per gli
scambi economici e proprio per questo vi era un costante afflusso di stranieri.
I graffiti pompeiani si possono dividere in due categorie:

 I graffiti colti, influenzati dalle opere classiche. Per esempio citazioni poetiche inserite, però,
in un contesto tutt’altro che poetico.
 I graffiti divertiti e divertenti.

Si tratta di brevi incisioni che hanno in comune il desiderio dell’autore di dar voce a quello che
pensa e per potersi differenziare dalla massa.

“Mi stupisco, parete, che tu non sia ancora crollata dato che devi reggere il peso di tanti noiosi
messaggi scritti dagli imbrattatori”

La cosa abbastanza divertente è che l’autore non se la prende direttamente con gli imbrattatori, ma
compatisce la parete. Quello che differenza i graffiti pompeiani da quelli moderni è sicuramente il
senso di humor che prevale in quasi tutti. Oggi (anni ’60-’70-‘80) prevale, invece, il rancore e la
rabbia. Mentre ciò che accomuna i graffiti di Pompei a quelli moderni è il forte desiderio di
distinguersi dalla massa, di dire qualcosa di originale e di non essere omologato.

Si definisce il writing come una nuova forma d’arte che nasce in un nuovo panorama artistico e
storico che caratterizza il dopoguerra. Quest’ultimo, nel panorama occidentale (Europa e Stati
Uniti) coincide con il periodo più attivo e propulsivo del XX secolo. Infatti, tra la fine degli anni ’50
e l’inizio degli anni ’80 si hanno le più grandi svolte in tutti gli ambiti (scientifico, tecnologico,
economico e artistico).

 Cambia il modo di percepire e comunicare la realtà.


 Nasce e si sviluppa il sistema mediatico prima e il consumismo poi.
 Si diffonde il benessere in una società che ormai è divenuta di massa e dei consumi.
 Nasce la pubblicità che diventa espressione del desiderio di possesso di beni divenuti
emblema dei nuovi costumi sociali e culturali.

Ovviamente il capofila di tutto ciò sono gli Stati Uniti. Nelle case iniziano a entrare cose e oggetti
che sino a pochi anni prima non esistevano (automobili, frigoriferi, cibo in scatola, bevande
confezionate, poster pubblicitari). Il possesso di tutte queste cose definisce un nuovo status symbol:
è il modo per creare una separazione tra le classi sociali.
Sono questi i presupposti che portano alla nascita di forti movimenti giovanili, come la beat
generation che si caratterizza per una dottrina anti materialista e una vita più “spirituale”, o gli

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hipster dediti soprattutto all’esistenzialismo americano e che sentono come un peso, il fatto che la
società sia diventata una società dei consumi e vedono come asfissiante la massificazione.

A New York, a partire dalla Columbia University, incominciarono le manifestazioni contro questa
nuova immagine di modernità (partendo dal modo di vestirsi: l’ abolizione delle giacche e delle
scarpe con il tacco). In seguito, si ebbero tutta una serie di portavoce di questo disagio giovanile:

 James Dean
 Elvis Presley
 I Beatles
 I Rolling Stones

Essi fecero della musica, il rock’n’ roll, e del cinema, degli strumenti di protesta (il periodo della
guerra in Vietnam). Ci furono i primi grandi raduni, come quello di Woodstock nel 1969.
Contro un uomo, visto come prodotto di una società unilaterale, vennero elette come icone tutta una
serie di personaggi fuori dagli schemi e in genere morti precocemente come Che Guevara e Jimi
Hendrix.

Da queste premesse nacque il grande movimento del ’68: studenti, operai, gruppi di etnie
minoritarie si unirono con l’intento di destabilizzare i sistemi politici e trasformare radicalmente la
società.
Newman (1905-1970), esponente dell’espressionismo astratto americano disse:

“Non possiamo più dipingere uomini che suonano il violoncello o mazzi di fiori. Il soggetto è
l’elemento primo della pittura. La storia della mia generazione comincia con il problema numero
uno che è cosa dipingere”.

È ovvio che con questa frase viene cancellata un’intera tradizione della pittura (dal Romanticismo
fino agli Impressionisti).

Di conseguenza Newman sostenne che la loro arte non era più un tipo d’arte che rappresentava la
realtà, ma che essa presentava quest’ultima modificandola. Anche là dove si continuava a dipingere
in maniera più canonica, si ricorreva comunque a nuovi mezzi d’espressione: il fumetto; la
fotografia; il cartellone pubblicitario.
Tra l’altro, prese sempre più piede il concetto, che veniva dal Dadaismo, del legame tra opera d’arte
e oggetto comune→ realizzare un’opera servendosi di oggetti già esistenti che non erano stati
prodotti con finalità estetiche e nemmeno destinati alla fruizione artistica.
Il messaggio implicito che veniva dal Dadaismo era la dissacrazione dell’arte. Il che significava che
chiunque poteva fare arte partendo da oggetti comuni. Per il Dadaista, l’artista era colui che era in
grado di reinventare gli oggetti comuni dando ad essi nuovi significati.

È su queste basi che nasce nel 1960 la Pop Art con Andy Warhol. I presupposti della Pop Art erano:

1. La deificazione dell’oggetto seriale che era di produzione industriale e di uso comune.


2. Gusto del popolare e del kitsch.
3. Iconografia dei nuovi modelli della società (divi del cinema, cantanti, politici).
4. Uso di tecniche nuove: la serigrafia, che è una specie d’incisione che permette di ripetere in
serie le cose e l’assemblage, che consiste nel mettere insieme tecniche e oggetti diversi.
5. Oggetti quotidiani e immagini comuni venivano trasformate in opere d’arte.

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Con l’esplosione della Pop Art si ebbero nuovi e grandi cambiamenti che ebbero come centro
sempre New York, che divenne la capitale dell’arte.
Nella prima metà degli anni ’70 si ebbe una nuova generazione di rock star, cantanti e ballerini che
provenivano da ogni parte del mondo, ma che sceglievano New York come loro patria→ il costo
della vita era molto basso ed era facile trovare fortuna.
I giovani di New York, influenzati dai punk inglesi, cominciarono la loro rivoluzione sul fronte
artistico e di moda, la cui reazione andò nei confronti dell’arte che stava prendendo piede all’epoca,
ovvero, l’arte minimalista o concettuale.
Si tratta un’arte fondata sul pensiero e non sul piacere estetico (Joseph Kosuth come Tre
sedie;1963). Il suo scopo è meditare sulla relazione tra oggetto, immagine dell’oggetto e parola che
definisce l’oggetto stesso.

Tutto quello di cui abbiamo parlato favorisce quel mix selvaggio di musica, moda e arte della New
York degli anni ’70. Quello che, però, differenzia questi nuovi movimenti da quelli precedenti è che
manca una vera e propria ideologia (è una ribellione priva di scopo).

Il graffitismo moderno: è caratterizzato dalla volontà di marchiare gli spazi di quella metropoli che
ha privato il singolo della sua identità. Pertanto, bisogna interferire con le forme di comunicazione
di quest’ultima; bisogna appropriarsi degli spazi e farli propri.

Metropoli Comunicazione

Muri

Oppure ci si può appropriare delle aree dismesse di vecchie industrie in cui “graffiare” il proprio
nome o pseudonimo anche se i writers pionieri avevano l’assoluto rispetto nei confronti delle opere
degli altri.

27 Febbraio 2017

Apriamo una parentesi per ritornare sulla questione dell'arte concettuale e, in particolar modo, per
analizzare che cosa s’intende per valore di un’opera.

Innanzitutto bisogna partire dagli anni ’60 che sono stati anni storici, ricchi di cambiamenti importanti in
cui si è rivoluzionata la società europea e mondiale, attraverso precisi avvenimenti storici (grandi proteste
fatte da giovani, cortei nelle piazze con un'ideologia politica dietro). Queste portarono, ovviamente, a una
rivoluzione globale e a grandi tensioni che, soprattutto negli Stati Uniti, sfociarono in nuove idee.

Nacquero, infatti, nuove idee di creatività e di pensiero artistico (sovvertimento della concezione dell'arte
che si era avuto sino a quel momento). Ciò comportò la nascita di nuove correnti artistiche come:
 La Pop Art (che non finisce con Andy Warhol ma si sviluppa anche negli anni seguenti).
 La Op Art (Optical Art)
 La Minimal Art.
 L’arte concettuale

Una delle caratteristiche principali dell'arte concettuale è quella di rappresentare e definire delle idee e dei
concetti anziché trasmettere l'oggetto d'arte vero e proprio. L’importante non è l'oggetto ma l'idea che ci
sta dietro. Ogni artista che si riconosce nell'arte concettuale cerca di mettere in risalto la dimensione

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mentale e non quella fattuale (il ragionamento che sta dietro all'opera). Pertanto, la progettazione e
l'ideazione dell'opera sono più importanti dell'opera stessa.

Di conseguenza, quanto può costare un'opera del genere?


Innanzitutto, bisogna tener conto che se c’è una cosa che agli artisti concettuali non interessa è il denaro.
Perché l'arte concettuale è in contrapposizione alla mercificazione dell'arte (allo sfruttamento dell'arte per
l'interesse personale).
Gli artisti realizzano per questo motivo opere che non possono essere vendute, ma che possono solo
essere fruite in modo collettivo da tantissime persone (non si tratta di un'arte elitaria).

Inoltre, bisogna tener conto che un'opera (e questo in generale) non vale in base al prezzo (basti pensare
che agli inizi del Novecento un quadro di Van Gogh veniva praticamente regalato). Dietro a tutto questo
c’è, infatti, un'azione di mercato fatta da persone. Sono gli operatori del mercato che finiscono col
stabilire il valore di un'opera (se viene sufficientemente pubblicizzata un'opera schizza di valore).

Per esempio, nella sua opera Kosuth rappresenta una semplice sedia, la fotografia della sedia (immagine
visiva che ci suggerisce l'idea dell'oggetto) e una scritta che è presa da un vocabolario inglese che
descrive la parola “sedia” (parole che ci fanno pensare all'oggetto).
Per l’arte concettuale si tratta di una concezione che non ha quasi precedenti nella storia perché in realtà
esiste un precedente nelle avanguardie storiche del Novecento: Magritte con il Surrealismo, movimento
che nasce a Parigi nel 1924 quando Breton scrive il manifesto.

L’atteggiamento dell'arte concettuale a prima vista sembra un atteggiamento di marca spiccatamente


idealistica per cui, ciò che davvero importa dell'opera non è tanto la sua fisicità oggettuale quanto
piuttosto l'idea che la precede.
Kosuth, in questo caso, mette davanti allo spettatore tre manifestazioni dell’entità “sedia”. Egli intende
mettere a confronto tre modi di acquisizione della realtà.
 La parte verbale perché se si dice “sedia” si tratta di una comunicazione, anche se in realtà si
pensa alla sedia come oggetto concreto. Essa è la parte più colta o acculturata.
 La parte iconica, quindi, la fotografia della sedia che è quella più vicina al metodo usato dalle arti
plastiche (una rappresentazione di qualcosa).
 La parte fisica che è la sedia vera e propria e che è quella meno colta (illustra la nozione e la
semplifica).

Tuttavia, nessuno dei tre metodi raggiunge realmente l’oggetto perché sono tutte delle proposizioni di
linguaggio dell’oggetto. La sedia reale non è altro che uno delle centinaia di casi che servono a indicare
una sedia. Mentre la fotografia, che apparentemente sembrerebbe parlare dell’oggetto, è un’astrazione.
Kosuth mette in scena il problema della rappresentazione, ovvero, che rapporto c’è tra un oggetto, la sua
rappresentazione e la sua definizione linguistica? Si tratta, di fatto, di un problema filosofico di difficile
soluzione.
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Come già detto, però, questa concezione ha un antecedente nel surrealismo di Magritte e in particolar
modo nell’opera Ceci n’est pas un pipe (1929; titolo originale Il
tradimento o l’inganno dell’immagine).

Magritte = pittore di origine belga. Nasce nel 1898 e muore nel


1967.

Magritte ha fatto uno studio sul problema del confronto tra diversi sistemi di rappresentazione e di
nominazione della realtà. Quest’opera è di per sé una contraddizione, ma al tempo stesso non lo è.
È evidente il fatto che si tratti di una pipa, ma che non sia LA pipa è altrettanto sicuro. Quindi,
l’immagine non è l’oggetto, ma solo la sua rappresentazione. E a noi è l’immagine che ci suggerisce
l’idea dell’oggetto.
Su quest’opera sono stati poi realizzati dei saggi molto importanti come quello di Paul Michel Foucault.

“Paragonato alla tradizionale funzione della didascalia, il testo di Magritte è doppiamente paradossale.
Si propone di nominare ciò che evidentemente non ha bisogno di essere nominato. La forma è troppo
nota,il nome estremamente famigliare. Ed ecco che, nel momento in cui dovrebbe dare un nome, lo da
negandolo”.

Pertanto, la didascalia di Magritte contesta il criterio di equivalenza tra somiglianza e affermazione, e


afferma che la pipa è solo la rappresentazione di un oggetto tangibile che non ha nulla a che vedere con
l’oggetto.
Il suo messaggio è quasi un avvertimento a non confondere la rappresentazione con la realtà.
Magritte inizia, quindi, a scardinare il rapporto tra oggetto, rappresentazione e significato. Egli separa
l’elemento grafico dall’elemento plastico e induce l’osservatore a domandarsi quale sia il vero oggetto.

Tutto ciò ha il suo fondamento nelle teorie del linguista Ferdinand de Saussure. Egli definisce due
concetti molto importanti:
 Il significante: parte fisicamente percepibile del segno linguistico cioè l’insieme degli elementi
fonetici e grafici (“pipa”).
 Il significato: il concetto mentale cui si riferisce (l’oggetto pipa).

Perciò l’arte concettuale ha come base il rifiuto dell’opera. Essa ripropone problemi generali intorno al
ruolo, alla ragione d’essere e alla sopravvivenza stessa dell’arte. Per esempio ripropone il problema del
riconoscimento degli artisti (anche a livello economico), oppure il riconoscimento di un’opera in base alla
sua collocazione (musei, gallerie ecc), ma anche il ruolo dell’arte all’interno di una società che tende a
percepirla come inutile (nei secoli precedenti l’arte aveva un ruolo ben preciso, per esempio, serviva per
creare consenso).
L’evoluzione di tutto ciò è la performance art, dove non vi è che un gesto e dove spesso non rimane altro
che un breve filmato.

Concettuale: il termine può essere utilizzato in maniera più ristretta, per riferirsi a un numero limitato di
esperienze, oppure in modo più ampio per indicare tutte quelle figure che contestano “l’opera”. Di fatto è
soprattutto in questa seconda accezione che si manifesta appieno l’arte concettuale (seconda metà degli
anni ’60 - fine anni ’70).

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Tornando al writing di fine anni ’60, inizi anni ’70, la metropoli è l’oggetto per comunicare (muri,
vagoni, aree dismesse). Pertanto, tutte queste superfici divengono dei luoghi dove gli artisti possono
graffiare i propri nomi (quella che è stata definita la guerra dei segni). Di fronte a una metropoli che
spersonalizza, quello del writer è un modo di spezzare l’anonimato. Anche questa è una
contraddizione: spezzare l’anonimato usando un metodo anonimo.

Bisogni farsi metropoli per avere diritto di parola.

Quasi tutta la metropoli viene, quindi, contaminata con centinaia di tag o nomi (in realtà linee e
colori). Questa non era una novità, ma mai prima questa pratica era stata caricata da contenuti tali
da creare un movimento.

I primi strumenti furono i pennarelli di feltro: erano veloci, lasciavano tratti netti e si potevano
utilizzare su quasi tutti i materiali. Tuttavia, la vera rivoluzione avvenne con l’invenzione della
bomboletta spray (molto più comode per coprire ampie superfici).
Così nacque il getting up, cioè portare il proprio nome ovunque.

28 Febbraio 2017

I graffiti rappresentano un grande paradosso perché come superficie per l’espressione di queste
forme artistiche viene utilizzato un supporto resistente e che dura, eppure i graffiti sono una cosa
estremamente effimera perché a causa della loro accessibilità e della loro illegalità possono
scomparite in breve tempo.

Una domanda a questo punto può sorgere spontanea: si tratta di arte oppure no?

I primi writers non la consideravano arte ma piuttosto una disciplina che prevedeva una storia, uno
studio, delle regole, ma soprattutto passione e costanza. Il risultato di tutto ciò è un’espressione
comunicativa realizzata all’aperto, attraverso segni grafici cui si aggiungerà nel corso del tempo
qualcosa di figurato. Pertanto, solo quando questi elementi si evolvono nel tempo, arrivano a essere
considerati una forma artistica.

La pratica del writing è un’espressione artistico-culturale assolutamente democratica e anche


proletaria e proprio per queste sue caratteristiche fu bollata da cert’uni e lodata da altri. Si tratta,
quindi, di un’arte dinamica e ancora viva.

Critica di uno storico che lega il writing all’Arte Concettuale.

“Il graffito è contro l’arte, quella ufficialmente conosciuta come tale. È contro quel fantasma di
morte che aleggia sull’opera d’arte tradizionale; quell’aurea di morte perché destinati a durare e a
distribuire godimento al pubblico nei secoli. Il graffito non è da museo, da galleria, da collezione e
da esposizione. Se pensiamo che una gran parte della comunicazione artistica ufficiale è uccisa
nella misura in cui viene imbalsamata per un’eterna sopravvivenza e conservazione, è chiaro che il
graffito murale non si preoccupa di vita lunga o breve e può dare il massimo di sé nell’attimo
fuggente, non nel mortifero attimo fermati perché sei bello. L’accessibilità totale del graffio, senza
orari, è contro il godimento a ore fisse del museo, è contro quell’eutanasia dell’arte che è la
muesealizzazione”.

Quando parla di comunicazione artistica imbalsamata, intende “ricoverare” un’opera nei musei per
garantirne l’eternità. Però, di fatto, esse perdono il loro significato originario (e questo risulta
particolarmente evidente con l’arte sacra, ma anche con i ritratti che erano le fotografie dell’epoca).
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Il writing, quindi, è un fenomeno che nasce volutamente nelle strade, da parte di un gruppo di
ragazzini e che si configura come una sorta di guerriglia urbana per poi evolvere in tendenza
artistica. È a New York che il writing nasce, cresce e si sviluppa sino a diventare una forma d’arte.
Questo perché New York era una città che si stava espandendo a vista d’occhio, ma anche perché
era (e lo è ancora) una sorta di melting pot di razze e culture.

I pionieri del writing

Nonostante questo miscuglio di etnie e culture, i primi writers sono sostanzialmente afroamericani o
ispanoamericani provenienti dai ghetti più degradati delle periferie.

Nella metà degli anni ’60 le tags iniziano a dilagare su quasi tutti i muri dei quartieri periferici, sui
mezzi pubblici e soprattutto lungo le strade, dove passa il maggior numero di persone.
I writers vogliono dare colore alla vita usando l’anonimato nel tentativo di opporsi
all’omologazione della società di massa. L’obiettivo è diventare famosi facendo girare i propri nomi
che possono essere il nome di battesimo, gli pseudonimi o dei nomi d’arte inventati. Solitamente a
questi fa seguito il numero della strada dove si vive. I writers sostengono che il primo a lanciare
questa moda sia stato Julio 206.

Nell’estate del 1971 si ha, letteralmente, l’invasione della metropolitana da parte delle tags e il 21
luglio del 1971 il New York Times pubblica un articolo che ha come protagonista un writer: Taki
183 (diminutivo del nome greco Demetrius).
Nell’articolo viene detto che, proprio a seguito di Taki 183, sono nati tutta una seri di imitatori (Jo
136, Barbara 62 ecc) e che per ripulire tutte queste parole nella metropolitana ci sono volute 80,000
ore di lavoro e 300,000$. Lo stesso Taki, però, interviene dicendo che, di fatto, queste sue scritte
non fanno male a nessuno (“Io lavoro, pago le tasse e questo non fa male a nessuno”) e si chiede
anche perché le autorità se la siano presa con lui e non con l’associazione che attaccava adesivi
sulla metro durante le elezioni. Aggiunge poi di non sentirsi una celebrità e che nell’estate
precedente nessuno faceva graffiti come lui. Un’alta cosa importante che Taki sottolinea è che i suoi
graffiti non sono fatti per attirare l’attenzione delle ragazze ma solo per se stesso. Inoltre, egli li
realizza in posti sempre diversi in modo che le persone non possano
risalire a lui. Taki parla anche dell’origine dei graffiti stessi, citando
Kilroy.

Questo graffito faceva riferimento i soldati americani durante la


Seconda guerra Mondiale; si trattava di una sorta di comunicazione
tra i soldati stessi.

Tuttavia, secondo l’articolista il problema è che i graffiti si sono


diffusi a macchia d’olio negli ultimi due anni ed è diventato sempre
più difficile combatterli perché il magic marker e gli altri pennarelli
di feltro sono praticamente indelebili soprattutto sulle superfici grezze
e di calcestruzzo. Di fatto, con i nuovi detersivi si può rimuovere quasi tutto, tranne l’inchiostro
indiano che è quello che utilizzano i writers.

Nell’articolo viene riportato anche il pensiero del presidente delle guardie di sicurezza il quale,
ovviamente, aveva notato che la maggior parte dei graffiti comparivano prima e dopo l’orario
scolastico. Le persone sorprese in questi atti venivano poi arrestate, ma non trattavano nemmeno il
loro rilascio poiché venivano liberati nel giro di poco. Lo stesso presidente afferma di aver catturato
persone di ogni etnia, età, sesso, religione e classe sociale. Il reato è classificato come una
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violazione poiché proibito dalla Transit Autority ma non dalla legge degli Stati Uniti e chi veniva
sorpreso riceveva un mandato di comparizione.

Ovviamente, quest’articolo ebbe degli effetti notevoli perché il writing da attività clandestina si
trasformò in una grande performance e il numero stesso dei writers raddoppiò (Lee 163 e Phase 2).
Un altro fenomeno che nacque fu quello delle crew cioè bande di ragazzi armate di bombolette
spray che rispettavano solo la legge della strada e propagandavano quello in cui credevano:

 L’interrazzialità; non c’è differenza di colore, quartiere o classe sociale.


 Il rispetto fra i writers; ciò che conta è coprire la città il più possibile, ma non bisogna mai
ricoprire con la propria opera, l’opera di qualcun altro (era forse l’accordo meno facile da
rispettare perché di fronte alla mancanza di altro spazio bisognava necessariamente andare a
coprire i disegni di altre persone).

Essere un writer divenne uno stile di vita (con le sue regole e i suoi codici da rispettare), ma anche
un’occupazione con cui migliorare continuamente il writing. In questo modo s’iniziò a creare una
distinzione tra chi aveva già raggiunto uno stile personale e che voleva continuamente evolversi.
Avvenne così quella che si può definire l’esplosione degli stili perché tutti cercarono di migliorarsi
e di diversificarsi dagli altri (usando le tags seguite dal numero, ma utilizzando stili distinti).

Nell’ottobre del 1971 arriva a Harlem Topcat 126. Le sue lettere sono caratterizzate da una base
piuttosto ampia che le percorre tutte e le tiene unite→ stile platform (stile piattaforma).
Topcat 126 diviene immediatamente riconoscibile da tutti.

Una cosa simile avviene nel Bronx con Phase 2 che è un personaggio molto particolare poiché
nasce come writer pioniere, ma avrà poi una certa fama che andrà anche oltre l’America. Egli si
rese conto (nel ’72-’73) che la scena era completamente mutata rispetto all’anno precedente. Gli
spazi si erano ridotti, i nomi si stavano sovrapponendo e non c’era più rispetto per le opere degli
altri→ il passo successivo deve essere l’evoluzione dello stile. Nasce così l’idea che sarà poi alla
base di tutto il writing: creare una scrittura immediatamente riconoscibile attraverso uno stile
personale, allo scopo di essere anche rispettato.

“Il mio logo, la mia tag aveva una P


annodata, la H con un piede e una
gobba, la A trasparente che appariva
attraverso la gobba della H e la S
connessa. La E aveva un punto per ogni
segno che incrociava”
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Egli, quindi, crea l’idea delle lettere ingobbite. Ed è proprio a seguito dell’apparizione di tutti questi
stili perfettamente riconoscibili che il writing inizia a essere considerato una forma di arte. Ciò
rappresenta una sorta di seconda rivoluzione per il writing stesso, poiché la parola d’ordine per
essere riconosciuti è “innovare”.

Agli inizi del ’72 nasce anche un’altra innovazione: il masterpiece (il capolavoro). Esso rappresenta
uno dei primi passi verso le enormi firme, spesso con colori sgargianti, che ancora adesso si
ammirano sui vagoni dei treni e della metro. Nei masterpieces le lettere vengono riempite di colore
e incorniciate da un bordo nero che si chiama outline.

Un altro elemento che viene introdotto per poter coprire grandi superfici è il cloud che è uno spazio
a forma di nuvola. Alcuni dicono sia stato inventato da Kool 223 altri dallo stesso Phase 2.
Quest’innovazione divenne immediatamente importante e fu imitata dalla maggior parte dei writers
perché permetteva il crossing over (letteralmente “andare sopra”), cioè la totale copertura di tutti gli
altri nomi senza lasciarne traccia. Di conseguenza, a seguito di questi cambiamenti le tag caddero in
disuso.

Chi arriva a fare il masterpiece deve essere un writer in grado di far uso dei caps, che sono gli
erogatori delle bombolette appositamente allargati o ristretti in base alle esigenze, in grado di
produrre anche notevoli spruzzi.

I masterpieces si distinguono in vari tipi:

 Top to botton: masterpiece che ricopre un vagone in tutta la sua altezza.


 End to end: masterpiece che ricopre un vagone per tutta la sua lunghezza.

Con il masterpiece s’introduce anche il sabotaggio poiché esso, ricoprendo ampie superfici, spesso
oscurava anche i finestrini delle carrozze.

Nell’autunno del 1972 parte il più grande tentativo di pulire i vagoni della metropolitana che però
ha esiti opposti a quelli sperati. Questo dà un’ulteriore spinta all’evoluzione dello stile del writing.
In questi stessi anni si sviluppa lo stile più apprezzato dai writers di New York e del Bronx, quello
delle softy letters: lettere con contorni morbidi e arrotondati (tant’è che questo stile è definito anche
bubble perché le lettere ricordavano i palloni delle gomme da masticare).

Nel febbraio del 1973 Tracy 168 introduce delle innovazioni all’interno delle cloud di Phase 2:
s’inseriscono i contorni a festoni e le fiamme. Inoltre, nella primavera di quello stesso, anno appare
il primo pezzo tridimensionale che appartiene a Priest 167.

Opera di Blade in stile tridimensionale.

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Grazie a questo stile le lettere sembrano schizzare via dalla fiancata dei treni e questo crea un
effetto di movimento che prima non c’era.

Attraverso tutto ciò si arriva a quello che si può definire wild style che è lo stile per eccellenza
perché porta a un’elaborazione delle lettere particolarmente complessa e difficile. Perciò si arriva a
un alfabeto incomprensibile perché fatto di lettere ma con l’aggiunta di frecce o simboli geometrici.
L’idea iniziale del wild style parte dalle lettere bubble che iniziano a essere allungate, contorte e poi
si ornano di altri elementi. Le lettere, inoltre, s’intersecano e si sovrappongono formando un
alfabeto non più leggibile. Con il wild style i codici semantici dettati dalla consuetudine sociale
vengono stravolti in nome di una rivalutazione interiore e soggettiva che rifiuta le regole sociali
stabilite da autorità che non riconoscono come tali. Ai writers interessa di più che il loro messaggio
sia leggibile, ma non universalmente (non da tutti)→ il significante prende il sopravvento sul
significato per cui, per esempio, la A non è più la A, ma solo un segno grafico rielaborato in mille
modi.

Il wild style, inoltre, incarna il significato dell’arte come guerriglia, dominata da una foresta di
simboli e invenzioni che cambiano i codici della comunicazione. Sono simboli anticonvenzionali
che vanno contro la consuetudine e obbligano a interrogarsi.

Nella primavera del ’74 compare sulla scena


Mico, un graffitista di Brooklyn che fa un
ulteriore passo in avanti: introduce
l’elemento politico. I suoi pezzi presentano
un’evoluzione dal punto di vista del
contenuto. Un altro elemento dei suoi pezzi è
la bandiera portoricana o la scritta Free
Portorico.

In questo stesso periodo nascono i pezzi a


copertura completa cioè pezzi che ricoprono
completamente la superficie, soprattutto se si
tratta dei vagoni dei treni. Questo anche grazie alla progressiva professionalizzazione dei writers.
Infatti, nell’evoluzione si aggiunge la progettazione: il writer comincia a preparare il proprio lavoro
in piccola scala. Questo consente anche una notevole qualità estetica poiché il disegno viene
studiato e permette anche di evitare eventuali errori.

In questo periodo s’introduce anche un’altra innovazione che è quella del loop: tecnica secondo la
quale si agganciano a catena le lettere e i pezzi si arricchiscono ulteriormente con personaggi
provenienti dai cartoni animati e il primo a farlo è Cliff 149.

L’evoluzione dello stile arriva al top con Rammellzee, un personaggio molto interessante che, tra le
sue peculiarità aveva quella di andare in giro vestito da samurai con pezzi recuperati
dall’immondizia. Di fatto, per i writers lo stile era tutto perché consentiva di essere riconosciuti
all’interno dei gruppo (era un vero e proprio punto d’onore, un modo per riscattarsi
dall’indifferenza) e di manifestare la propria individualità.

Dalla metà degli anni ’70 lo scopo è quello di raggiungere lo stile estremo. Quello che faceva di un
writer una persona “cool” era la forza del suo stile, legata, ovviamente, alla forza della sua fantasia.

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06 Marzo 2017

Un altro termine fondamentale all’interno del mondo del writing è il throw up che è la
rielaborazione delle tags secondo diversi stili. Grazie al throw up si ha il passaggio dalle semplici
scritte a quelle che sono considerate le prime forme d’arte. Solitamente il throw up prevedeva due
colori principali, scelti liberamente dal writer.

“Non importa quanto bene dipingiate,è importante lo stile. È necessario portare a un livello
superiore il concetto di scienza e architettura della lettera in modo da capire che cosa è giusto e
che cosa non lo è. La forza del writing deriva fondamentalmente dalla bombola e si estende
attraverso le menti di chi tra noi la considera una scienza”.

Phase2

Phase2 utilizza il termine “scienza” come alternativa al termine arte. Egli è sicuramente uno dei più
rivoluzionari tra i writers e anche uno di quelli che è rimasto coerente con se stesso e con le proprie
convinzioni (per questo con Phase non si può parlare di Street Art che egli considera una cosa
completamente distinta).
Phase, inoltre, è considerato un king, ossia un maestro di stile. È il primo a introdurre cambiamenti
ed elementi innovativi come nuovi font, che sono i tipi di carattere (per esempio il Bubble è uno dei
font più utilizzati).

Verso la seconda metà degli anni ’60 inizia quella che si può definire la seconda generazione* dei
writers. Inizia così una ricerca stilistica→ il comparire sulla scena di nuovi stili, che sono
identificabili, comporta una vera e propria rivoluzione all’interno del movimento che inizia a
muoversi verso la sperimentazione (nuove forme e nuovi tratti che fossero sconcertanti; che
colpissero il maggior numero di persone). Pertanto, la parola d’ordine diviene innovare, cambiare .

*attenzione quando si parla di seconda generazione, non s’intende che gli artisti precedenti siano
morti. Essa era comunque composta da alcuni writers originari che però si erano evoluti.

Sempre nel 1971 uscì sul Times un altro articolo molto importante che però era di marca
completamente opposta. Questo criticava i writers e quello che, a parere di molti, era solo
vandalismo. Tuttavia, entrambi gli articoli ebbero come unico effetto un boom d’imitatori che
iniziarono a dedicarsi alla cultura del writing.

Con la seconda generazione, i writers vogliono farsi riconoscere e uscire dall’anonimato. I graffiti
non sono più dei semplici pezzi, ma sono dei pieces.
Uno dei primi king fu Lee163D perché fu il primo a colpire all’esterno dei vagoni→ a seguito
dell’avvento della bomboletta, l’interno dei vagoni divenne inutilizzabile (sia perché non vi era più
spazio sia perché i fumi delle vernici spray rendevano l’ambiente tossico). L’esterno, invece,
possedeva più spazio e quindi, era molto più facile dare sfogo alla creatività.
Molto comune era la pratica del biting che consisteva nel prendere spunto da uno stile preesistente,
modificandolo, facendolo evolvere o inserendo ulteriori elementi, al fine di creare uno stile nuovo
(ovviamente non tutti i writers erano contenti del fatto che qualcun altro si appropriasse del loro
stile).

Tra le prime novità vi fu l’introduzione di simboli tre le lettere come la freccia. Questa era molto
utilizzata perché indirizzava la lettura e rendeva più facile la fruizione del pezzo. Tra i primi a
usarla vi furono CoolEarl e Tracy168. Tuttavia, la novità più importante (che fa si che nascano i

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masterpieces) è, appunto, l’outline perché grazie a questa era solitamente molto grande e arrivava a
coprire tutta la lunghezza del vagone.

Ci sono, inoltre, altri termini fondamentali nel mondo del writing:

 Sabotaggio: è un pezzo che ricopre i finestrini di un vagone.


 Window-down: è un pezzo che risparmia i finestrini di un vagone e viene realizzato sotto di
essi.
 Married couple: è un pezzo che prende due vagoni insieme.
 Whole car: è un pezzo che ricopre un’intera carrozza. Il primo compare nel 1974.
 Dot: sono i punti.
 Candy Stripes: sono le strisce colorate.
 Cloud: è uno sfondo a forma di nuvola che serve per riempire lo spazio.

Bisogna ricordare, però, che il passaggio dalle tags ai masterpieces non è immediato, ma si
compone di vari passaggi intermedi (di cui il throw up è la prima evoluzione).

Grazie a tutte queste innovazioni le semplici firme passano un po’ in secondo piano. I writers,
infatti, si concentrano sempre di più sulla rielaborazione e il miglioramento dei propri pezzi.
Di conseguenza, tutto ciò porta alla nascita del wild style, che è il punto d’arrivo, l’apice della
carriera di un writer (o meglio di un king*; questo termine fu usato per la prima volta da Tracy168
per definire lo stile di Phase2).

*un writer non poteva assolutamente partire dal wild style perché quello era il punto d’arrivo (era
una forma di libera espressione).

In realtà, ai writers non interessava farsi capire o far capire quello che scrivevano. Non gli
interessava essere leggibili perché il loro unico interesse era invadere la metropoli per un bisogno di
imporsi (non era importante la comprensione quanto il gioco di linee e colori).

Con l’avvento del wild style cambiò anche il metodo di ricezione del pezzo perché il writer non
veniva più riconosciuto per il suo nome, ma per il suo stile (ovviamente quando si parla di
riconoscimento non s’intende quello della gente, ma quello degli altri writers).

Graffiti is not an art, is a crime


Style war

Questa frase è pronunciata proprio all’inizio del filmato da parte di un agente della polizia dei
trasporti di New York (M.T.A). Durante l’esplosione del writing nella metropolitana Newyorkese, i
membri della M.T.A, insieme ai vari sindaci, cercarono con ogni mezzo di arginare il fenomeno e fu
una battaglia che durò quasi vent’anni.
La metropolitana di New York, infatti, viaggia quasi interamente sottoterra e risale in superficie in
tre zone: nel Bronx, nel Queens e a Brooklyn. Queste erano le zone predilette dei writers perché si
potevano ammirare i capolavori realizzati sulle carrozze.

Questi realizzavano i loro pezzi nelle zone chiamate anche arene, che erano principalmente:

 Le yards: erano i depositi veri e propri.


 I lay-up: erano i binari centrali della metropolitana→ binari dove venivano depositati i
treni fuori servizio.

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Il modus operandi dei writers consisteva nel colpire prevalentemente di notte e nei fine settimana;
saltavano i tornelli, correvano fino alla linea della metropolitana e arrivavano nella rimessa. Tutto
questo non era casuale poiché i viaggi erano sempre ben organizzati. I writers più ambiziosi
lavoravano a coppie o gruppi poiché questo consentiva di realizzare nel minor tempo possibile
opere sempre più grandi.
Esisteva anche una gerarchia: i writers meno esperti si occupavano degli sfondi o del riempimento
delle lettere ed erano chiamati toy (ragazzini). E per un toy era un onore poter lavorare con un king.
Si poteva arrivare anche a 15 writers che lavorano a uno stesso pezzo. Inoltre, siccome i vagoni
erano parcheggiati uno di fianco all’altro, si lavorava o con un piede su un vagone e uno sull’altro
oppure con entrambi i piedi sullo stesso vagone ma con la possibilità di aver sempre le mani libere.

Intorno al 1970, però, iniziarono ad arrivare le prime lamentele anche da parte della popolazione
riguardo a questo fenomeno. Di fatto, sino a quel periodo non era esistita alcuna legge che regolasse
il writing. Semplicemente, se i ragazzi venivano catturati, venivano ripresi pesantemente e se
recidivi, venivano affidati al giudice minorile. La pena consisteva, solitamente, nel ripulire i treni e
lavare le carrozze (operazione Clean Up). Tuttavia, questa pena era assai relativa: innanzitutto non
portava alcun giovamento alla pulizia dei treni e, inoltre, i pezzi finirono con l’aumentare.

Il 27 ottobre del 1972 il sindaco di New York firmò la prima legge anti graffiti. Cominciò così una
delle numerose campagne di pulizia. Nonostante ciò, però, il fenomeno non fece altro che crescere.
Infatti, il 1973 fu considerato l’anno d’oro del writing sulla metropolitana. Per questo motivo, alla
fine dell’anno, il sindaco decise di fare un’ulteriore campagna di pulizia (convinto che fosse
l’ultima). Quest’ultima consistette nel coprire i pezzi con un colore blu scuro e per un certo periodo
sembrò funzionare perché i writers cessarono per un po’ di sperimentare (in quell’anno New York
spese quasi 10 milioni di dollari per le opere di pulizia e alla fine arrivò a stanziarne quasi 24).

In realtà, non è che questi non stessero facendo nulla, semplicemente si stavano impegnando per
raffinare il loro stile.
Il 1974, infatti, si aprì con quello che venne definito il syntetic period e che rappresentò una sorta di
spartiacque poiché iniziò a emergere la terza generazione di writers (anche se le pulizie
continuarono fino al 1977 quando si pensò di utilizzare gli acidi, i quali però provocarono più danni
che altro).

Questa terza generazione iniziò a manifestare le proprie caratteristiche già nell’estate del 1973 e
rappresentò l’apice del masterpiece. Nel biennio 1973-74 i pezzi iniziarono a riempirsi di particolari
sempre più accurati; le campiture divennero più precise e si aggiunsero elementi come fiamme e
componenti esotici.

Gli stili, quindi, divennero sempre più sofisticati:

 Il 3D style.
 Il cartoon style.
 Il wild style.

Solitamente, un pezzo occupava dai 15 ai 60 minuti per essere realizzato e doveva essere
impeccabile: i colori non dovevano stridere e l’outline non doveva sbavare (il risultato estetico era
la cosa più importante). Pertanto, i writers iniziarono a considerare il loro lavoro come una vera
forma d’arte.

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Un’altra cosa che nacque in questo periodo fu lo sguardo dei writers verso l’esterno: iniziarono a
interessarsi di politica e problemi sociali.

07 Marzo 2017

Sicuramente Phase2 rappresentò lo stile all’interno della Cultura del writing.


Egli fu l’unico a far parte della scena sin dai suoi esordi e divenne per tutti gli appartenenti a questo
mondo un vero e proprio monumento vivente. Il suo vero nome era Lonny Wood, nato nel 1955 ed
era afroamericano (caratteristica non banale poiché i primi writers erano quasi tutti portoricani).
La sua fama gli fece pienamente onore poiché egli rappresentò lo stile delle firme e delle lettere
all’interno del writing. Inoltre, fu il primo a inserire dei puppets, ovvero, delle facce all’interno
delle firme e il wild style nacque proprio dalle sue lettere soft→ egli trasformò il throw up in
masterpiece.

Esempio di throw up trasformato in


masterpiece.

Phase2 divenne famose anche a livello internazionale e si recò più di una volta in Italia. Nel 1995,
infatti, partecipò al festival Coloriamo Genova, dove dipinse la parete dell’ostello della gioventù e il
sottopassaggio della stazione Brignole. Purtroppo, nel 2011 quest’ultimo lavoro venne cancellato da
una mano di colore arancione.

Muro dell’ostello della gioventù.

Passaggio della stazione Brignole.

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Nell’articolo in cui si parla della cancellazione di quest’opera, Phase2 viene definito come una
leggenda vivente di una nicchia culturale e artistica, tanto contemporanea da mancare di un
storiografia sistematica→il writing era una forma d’arte nuova e contemporanea che non aveva
ancora elaborato una propria storia. Phese2, sempre secondo l’articolista, dipingeva in una forma di
rivendicazione esistenziale che diffondeva il proprio alfabeto dalla periferia al centro (per spezzare
le catene dell’omologazione).
Di fatto il writing, costituisce una sorta di sottocultura (ma una cultura non riconosciuta); un codice
di linee, lettere e nomi innestato frontalmente nel tessuto urbano che, a causa dei suoi natali
intrinsecamente illegali, non viene quasi mai considerato nei suoi aspetti puramente estetici ed
espressivi.
Il writing ha una sua dignità artistica che gli viene ormai riconosciuta anche negli ambienti più
conservatori della critica d’arte.
Il fatto grave in tutta questa faccenda è che, nessuno si sia mai reso conto che il graffito di Phase2
rappresentasse un’opera d’arte di valore inestimabile. Per fortuna, non sempre questa indifferenza è
prevalsa: a Pisa, infatti, è stato recentemente protetto sotto una teca di vetro un lavoro realizzato da
Keith Haring.

Tornando a Phase2, per lui evolvere, progettare e sperimentare erano parole d’ordine per rimanere
all’interno della cultura dell’aerosol art. Egli è sempre stato legato a tutte le norme che regolavano
il writing e per questo motivo, fu uno dei più aspri critici nei confronti di coloro che passarono dal
muro al museo. Inoltre, egli criticò anche coloro che si dedicarono al comics (i cartoni animati)
poiché a sue parere l’essenza della cultura dell’aerosol risiedeva esclusivamente nelle parole
(writing = lettering).

Esempio di comics realizzato da COF.

Come writer completo posso definire quello che è writing e di sicuro lo separo dai cartoni animati,
dalle illustrazioni, dagli elefanti. La parola è realtà non è solo fottuta immagine.
Phase2

Come già detto tutte le evoluzioni dello stile portarono al wild style che incarnava il writing come
guerriglia e nacque dall’incontro di universo nero, prevalentemente ghettizzato, con la metropoli
bianca. Il wild style mise in discussione i regolamenti della comunicazione; frantumò i linguaggi
convenzionali e tagliò fuori chi non apparteneva alla cultura perché chi non apparteneva alla cultura
non poteva capire niente.

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Rammellzee

Il suo vero nome era Stefen Piccirello, nacque a New York nel 1960 e morì nel 2010. Fu la figura
che arrivò alla realizzazione estrema del wild style oltre a essere un personaggio molto eccentrico e
complesso.

Rammellzee divenne ben presto il protagonista della vita sotterranea della metropoli.
Nella New York degli anni ’80 (quella che forse meglio esprime i cambiamenti politici, sociali ed
economici di un secolo intero) nacque la poetica di Rammellzee che fu l’iniziatore di un movimento
che di divise poi in due fasi:

1. Il futurismo gotico.
2. Il panzerismo iconoclasta.

Erano stili caratterizzati da un armamento delle lettere, come se si trattasse di una sorta di guerra,
che portò alla riformulazione della loro struttura di significato (queste lettere vennero estrapolate
dal loro significato e diventarono dei semplici significanti).

Certamente Rammellzee era una figura molto particolare. Era


un grande amico di Jean Michel Basquiat e un appassionato di
hip hop tant’è che scrisse un pezzo rap che venne prodotto
dallo stesso Basquiat che realizzò anche la copertina del
disco. Inoltre, prese parte a diversi film e scrisse anche un
piccolo trattato di semiotica.

A un certo punto della sua carriera egli si richiuse a dipingere


nel suo studio per circa 15 anni e, le poche volte che usciva,
lo faceva vestito da samurai.

 Il panzerismo iconoclasta: si trattava di uno stile


basato sulla decorazione delle lettere (con frecce,
armi ecc) al fine di rendere quest’ultime
incomprensibili alla gente comune. Le lettere,
quindi, si armavano per combattere il linguaggio
stesso (si riappropriarono del loro status di segno).
Fu il primo a scatenare questa guerra dello stile
contro i contenuti. Le lettere del panzerismo erano
in movimento, armate e realizzate con due colori
principali (marker di sangue; solitamente il rosso e
il bianco).
 Il futurismo gotico: si distingue dal panzerismo per essere un po’ più dolce e ornamentale;
le lettere non erano arricchite con frecce o armi, ma tendenzialmente di fiori. Il nome voleva
richiamare il gotico dei codici miniati.
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Rammellzee fondò anche una crew con A One, Koor e Toxic, facendosi chiamare Tag Master
Killers. A ogni componente era stata affidata un’unica lettera affinché la modificasse al fine di
renderla illeggibile.

 A One: la A.
 Koor: la B.
 Toxic: la C.
 Rammellzee: la Σ che è la diciottesima lettera dell’alfabeto greco oltre a essere il simbolo
dell’ouroboros→ il serpente che si morde la coda che è il simbolo della vita eterna.

Rammellzee, inoltre, facendo riferimento al Dadaismo, utilizzò spesso la logica del collage. Grazie
a questa fu in grado di giustapporre vari ordini di conoscenza, creando un linguaggio ermetico
(slanguage) al fine di inserire le lettere in un universo alternativo, in cui diventano un’altra cosa. Il
linguaggio si spogliava del suo potere comunicativo, favorendo un nuovo tipo di linguaggio che era
così criptico che solo chi apparteneva la cultura poteva comprendere.

Dal muro al museo

All’inizio degli anni ’70 pochissimi consideravano il writing una forma artistica e nemmeno i
writers stessi si ritenevano tali.
Però nel 1972, un sociologo, Hugo Martines, ebbe un’intuizione: trasformare la forza del writing,
portarla via dalla strada e metterla sulle tele. Quest’intuizione iniziò con un gruppo di artisti scelti:

 Stitch I.
 Coco144.
 Charmin65.
 Freddie173.

Insieme formarono la United Graffiti Artist e il 7 dicembre 1972 tennero la loro prima mostra al
City College. Per i tre anni successivi essi furono molto attivi, tenendo diverse mostre di writing.
Tuttavia, gli stessi artisti si resero conto che nel trasferire i graffiti dai muri alle tele veniva meno
l’eccitazione (dovuta al fatto che si stava facendo qualcosa d’illegale; il pericolo costituiva una sorta
di rituale). Martines, però, continuò a sperare che la vitalità implicita dei graffiti potesse essere
trasferita sulla tela.
Mancava, di fatto, il braccio di ferro tra la creatività di questi ragazzi e l’autorità che reputava i loro
lavori illegali, per questo alla fine molti se ne distaccarono.

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In seguito dell’esperienza della United Graffiti Artist, molti writers tentarono di emergere come veri
e propri artisti. Tuttavia, questi writers, chiusi negli studi e intrappolati nei difficili meccanismi per
entrare nel mondo dell’arte, si resero conto che stavano perdendo la loro carica aggressiva.
Il 4 settembre del 1974 i membri della United Graffiti Artist esposero le loro opere in una galleria di
Soho e anche nel ’75; dopo di che il gruppo si sciolse.
Tuttavia, nonostante il fallimento di questo progetto, la United Graffiti Artist rappresentò per alcuni
writers un’importante opportunità per essere conosciuti.

A partire da quegli stessi anni, i pezzi divennero quasi tutti a copertura totale, andando a occupare
superfici sempre più ampie in modo da far emergere la perizia e la bravura di coloro che li
realizzavano. I writers volevano attirare un pubblico sempre più vasto e, consapevoli della loro
abilità, iniziarono a creare nuovi esempi sempre più preziosi perché esposti al tentativo di essere
cancellati.

Vi fu anche un altro tentativo di associazione: quello di Fashion Moda. In uno scantinato del
Bronx*, trasfigurato in laboratorio di ricerca artistica, si creò un’aggregazione rivolta solo ai
writers.

*Negli anni ’80 il Bronx divenne il protagonista della scena dell’aerosol art. Questo perché
all’epoca vi era situazione ambientale particolare. Negli anni ’70 il Bronx e in particolar modo il
sud del Bronx era diventato il simbolo del degrado della metropoli. Infatti, erano state realizzate due
importanti costruzioni che avevano infangato la sua vita:

1. La Cross Bronx Express Way: una sorta di autostrada che aveva portato al sacrificio di
molti edifici della zona (realizzata tra il ’45 e il ’72; primo esempio di un’autostrada
realizzata in un contesto urbano) .
2. La Coop City: un complesso residenziale, situato nella parte nord, che è uno dei più grandi
al mondo. Si tratta, di fatto, di una città nella città i cui condomini vanno dai 24 ai 33 piani
ed è divisa in cinque sezioni (8 immensi garage, 3 centri commerciali, una scuola superiore,
2 scuole medie, 3 licei e numerosi uffici). La Coop City fu costruita in un’area di un ex
parco dei divertimenti (da cui il perché della definizione di “mostro”). Ovviamente, ben
presto sorse il problema della droga.

La prima organizzazione artistica che comparve in questo ambiente fu il Bronx Council on the Art
(1962). Lo scopo era quello di far nascere la cultura all’interno del Bronx. Negli anni ’80 fiorirono
numerosi progetti, ma quello che riuscì a strappare il Bronx dalla situazione di ghetto fu la presenza
di numerosi artisti che scelsero questa zona come luogo di residenza.

Da questa fucina di nuove idee emerse un nuovo personaggio: Stefan Eins, fondatore di Fashion
Moda, un’organizzazione mondiale d’arte. Non si trattava di una galleria d’arte, ma come definito
dallo stesso Eins in un’intervista del 1980:

Una collezione di scienza, tecnologia, arte e fantasia

Eins non era originario degli Stati Uniti ma veniva dall’Austria. Si era laureato in Teologia e poi
aveva conseguito una laurea in Belle Arti, trasferendosi nel ’76 in America. Egli s’impegnò a creare
un ambiente in grado di scardinare le regole per far emergere la creatività. Voleva unire la strada al
mondo artistico.

22
Nel frattempo si ebbe un’altra organizzazione: nel 1977, nel distretto di Manhattan, John Ahearn,
uno scultore statunitense, fondò la Colab (Collaborative project); una sorta di collaborazione tra
artisti specializzati in diverse discipline. Lo scopo era quello fondere arte e vita quotidiana.

Poco tempo dopo, Colab insieme a Fashion Moda, organizzò un evento chiamato The Real Estate
Show, una mostra, tenutasi nel 1980. In seguito a questa manifestazione, le due organizzazioni
iniziarono ad avvicinare l’arte alle persone comuni. Infatti, fu proprio nel Bronx che si ebbero i
primi tentativi di elevare il writing a forma d’arte.

L’arte del Bronx o arte del ghetto era un’arte spontanea, illegale e che, ovviamente, si nutriva della
vita del ghetto stesso. Questi ultimi, quindi, divennero dei laboratori di modernità, al contrario dei
centri (in un certo senso i ruoli finirono con l’invertirsi perché un numero sempre maggiore di
ribelli scelse i ghetti come loro residenza). Quella che veniva praticata qui era un’arte sempre in
bilico tra popolarità e marginalità; ricca di conflittualità; un’arte soffocata dal caos che la
circondava ma che, al tempo stesso, prendeva spunto da questo.

Di conseguenza, il writing finì con l’intrecciarsi a questa nuova realtà e Fashion Moda divenne così
il trampolino di lancio di molti writers. Oggi Fashion Moda è famosa per aver lanciato artisti del
calibro di Jean Michel Basquiat e Keith Haring.

Negli anni ’80 Fashion Moda si trovò ad affrontare una situazione molto complessa. Innanzitutto
questi furono anni molto interessanti ma anche estremamente confusi (a causa di un miscuglio di
tendenze). Quindi, se già il writing era nato come un movimento indefinibile, accostandosi a queste
nuove organizzazioni lo divenne ancora di più.

Pertanto, si fece sempre più pressante il desiderio di sfondare, anche a seguito di tutta una serie di
mostre (anche se queste non vennero accettate da tutti. Infatti, non tutti i writers volevano diventare
artisti riconosciuti). La scena, quindi, si spaccò: c’era chi approvava queste mostre e chi riteneva
che con queste venisse meno la forza del messaggio tipico del writing →Fashion Moda tentò di
porsi a cavallo tra queste due tendenze.

Il primo tentativo di fondere queste due realtà si ebbe nell’autunno del 1980, quando si tenne il
primo Graffiti Show. Da questa emersero alcuni nomi nuovi come LadyPink e Futura, ma anche
nomi già conosciuti come Lee e Rammellzee. Nel giugno del 1981 Fashion Moda organizzò un
altro evento importante: The South Bronx Show.

Nel 1980, Diego Cortez, organizzò una mostra molto importante: New York, New Wave cui
parteciparono nomi molto famosi come lo stesso Jean Michel Basquiat che venne chiamato anche a
Modena per decorare la galleria Mazzoli.

Un’altra mostra fondamentale fu la Graffiti Production che fu realizzata da un laboratorio di


writers.
Tuttavia, l’evento fondamentale per il riconoscimento internazionale del writing fu Documenta (la
cui prima edizione risale al 1955). Si tratta della più grande rassegna di arte contemporanea. Questa
si svolge ogni 5 anni a Kassel ed è ancora oggi una delle più importanti.
Essa ripropone una della domande fondamentali: ma il writing è arte o semplice vandalismo?

A Documenta, Fashion Moda portò un gruppo di writers tra i quali Lee, Toxic, Keith Haring e Jean
Michel Basquiat. Purtroppo, la partecipazione di Fashion Moda a Documenta comportò un lento ma

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inesorabile declino (anche se per alcuni artisti rappresentò un’importante occasione). Questo
declino fu legato anche al fatto che il Bronx non era più il peggior ghetto della nazione.

13 Marzo 2017

Keith Haring

Rappresentò un po’ un ponte tra chi praticava il writing e la Street Art. Lavorò nel South Bronx e
con Fashion Moda, ma lo si poteva considerare solo in parte un writer perché anche lui non voleva
che gli si attribuisse questa etichetta.

Nacque il 4 maggio 1958 in Pennsylvania e morì nel 1990 a causa dell’AIDS. Quando si parla di
Keith Haring si fa riferimento alle sperimentazioni segniche che appartenevano al writing, solo che
queste non venivano da esperienze della strada ma erano il frutto dei suoi studi artistici.

Questi studi Haring gli affrontò prima alla Ivy School e poi alla School of Visual Art di New York.
Qui scoprì artisti che lo influenzarono molto come: Jean de Buffet, Pierre Alechinsky e Christo
(vedi manuale).

La produzione di Keith Haring è estremamente vasta, ma quella che più si avvicina all’aerosol art è
quella che realizza sui manifesti o sui muri. Si tratta di figure schematiche e facilmente ripetibili.

The Radiant Child

Figura di un bambino che cammina a carponi,


circondato da raggi che lo investono di un potere.

Anche K.H iniziò in metropolitana ma si trattava


di grandi disegni realizzati su manifesti neri che attaccava sopra le immagini pubblicitarie (lo faceva
volutamente; andare contro la comunicazione di massa). Per questa cosa pagò multe salatissime e
andò anche in carcere.

Presto la sua fama crebbe e iniziò la sua collaborazione con Fashion Moda. Nel giugno del 1980
partecipò al Times Square Show.

Fu un punto di svolta per l’arte di quel periodo perché per la prima volta tutti i tipi di arte
underground venivano esposti in un unico spazio, compresi i graffiti. E per la prima volta il mondo
dell’arte riconobbe l’esistenza di un’arte underground.

Keith Haring

Alla mostra prese parte anche Fab Five Fred, molto famigerato tra i writers per aver ricoperto un
treno della metropolitana con le lattine della zuppa Campbell.

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I graffiti stavano diventando sempre più sofisticati e ricchi di riferimenti all’arte vera che a sua volta
iniziò a prestare molta più attenzione al modo dei graffitari.

Times Square Show fu una mostra allestita in un edificio abbandonato e organizzata da Colab. Lo
scopo era indagare come l’arte potesse comunicare attraverso la razza, la classe sociale e potesse
rappresentare la complessità della vita urbana. Durante questo evento K.H iniziò la sua
collaborazione con Basquiat.
K.H, infatti, si sentiva molto stimolato da questi eventi che accoglievano ragazzi di ogni età, privi di
sovvenzioni ed esclusi dal circuito ufficiale dell’arte e che, in questo modo, avevano occasione di
farsi conoscere dagli addetti al mondo dell’arte e dal pubblico vero e proprio.

 Nel 1982 K.H realizzò il primo grande murales presso la Huston street di N.Y. che però ora
non esiste più.
 Nel 1986 realizzò un altro murales a Berlino. Venne chiamato dal Check Point Charlie
Museum per dipingere questo muro di 300 metro con figure legate tra di loro e caratterizzate
dai colori della bandiera tedesca. Anche questo non esiste più.
 Nel 1989 realizzò Tutto Mondo un’opera sulla facciata di una chiesa sconsacrata di S.
Antonio a Pisa. Si tratta dell’ultima opera pubblica realizzata da K.H. Questa esiste ancora
oggi perché nel 2013 è stata vincolata dalla
sovraintendenza e protetta con una parete di
vetro. Keith arrivò a Pisa casualmente perché
Pier Giorgio Castellani, uno studente
diciannovenne, andò in viaggio negli U.S.A e lo
incontrò, invitandolo poi a Pisa.
Si tratta di un’opera di 180 m2 che Haring
realizzò in collaborazione con gli studenti del
liceo artistico di Pisa. Lui si dedicò all’outline
mentre le figure furono riempite dai ragazzi. In
totale sono 30 figure tutte collegate tra di loro
che raccontano un universo di pace e armonia. La
scelta dei colori non fu casuale perché questi
sono ispirati dal lungarno di Pisa. Qui si trovano
alcune delle figure più usate da Haring: il
Radiant Child, il cane, la figura umana con al
posto della testa la televisione, la mamma con in braccio il bambino, la croce pisana che
però è formata da quattro figure. Nella parte superiore a destre vi è la raffigurazione delle tre
grandi razze umane. Queste vengono attaccate da un serpente (che simboleggia il male) e
sono protette dalle forbici che tagliano l’animale in due. A sinistra, invece, è rappresentato il
circolo della vita con una figura il cui braccio passa attraverso la pancia e prende la gamba,
formando un otto (un po’ come il sigma di Rammellzee). Lui stesso si riproduce nel dipinto
in posizione di fuga.
 Nel 1994 presso il castello di Rivoli a Torino viene dedicata la prima mostra a Keith Haring.

Writing o Street Art?

Il writing negli anni ha subito varie mutazioni sia nella forma sia nei contenuti e nella ricezione
perché nel corso del tempo si è allargata la cerchia di chi praticava o apprezzava questa forma di

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arte. Tutto ciò ha portato alla comparsa di sottogeneri o generi paralleli, raggruppati con il termine
di Street Art.

Per Street Art s’intende qualsiasi tipo d’intervento artistico nel tessuto urbano. Però, il termine
Street Art, che ormai è entrato nel linguaggio comune, ha provocato non poche discussioni perché
molti writers, ancora adesso, non vogliono essere definiti Street Artists poiché sostengono che le
loro opere e quelle della Street Art appartengono a due generi distinti e non comunicanti.

Inoltre, molti rappresentanti della Street Art non hanno mai fatto writing. Tuttavia, queste due
forme d’arte hanno qualcosa in comune:

1. Il rifiuto, non solo iniziale, del sistema ufficiale dell’arte.


2. La realizzazione di opere in spazi urbani.
3. Il fatto che queste opere non sono autorizzate.

Pertanto, nel momento in cui si vuole fare una distinzione, non si può usare il termine Street Art
come omnicomprensivo. Se si vogliono raggruppare tutte queste manifestazioni, è necessario usare
il termine arte urbana.

14 Marzo 2017

Introno agli anni ’80 s’inizia a parlare di AIDS (conosciuto anche come cancro dei gay perché
colpiva soprattutto chi aveva avuto rapporti omosessuali). L’AIDS cambia la vita di Keith Haring e
di New York. Ciò che non cambia è il suo modo di dipingere.

K.H, infatti, s’imbatte in una sfida importante: organizza due mostre personali, una presso la
galleria Shafrazy e un’altra presso Leo Castelli (due importanti galleristi). Qui espone alcune della
sue opere→ molto grandi, estremamente colorare e caratterizzate dall’uso di colori acrilici e a olio.
I temi sono quelli della violenza, della minaccia, della repressione sessuale, della morte e della
malattia.

Importanti sono anche le allusioni religiose, spesso accostate alla brutalità e alla crudeltà.
Numerosissimi sono i riferimenti alla simbologia cristiana anche se non si hanno sufficienti
elementi per dire che Haring ce l’aveva con il Cristianesimo.

È fondamentale tener conto di quest’aspetto perché tendenzialmente si pensa a Keith Haring come a
un artista le cui opere hanno contenuti semplici e allegri. In realtà i suoi lavori contengono messaggi
importanti e molto seri, come testimoniano la presenza di scheletri, serpenti o metamorfosi (sia dal
punto di vista fisico che sessuale) che conferiscono una nota angosciante all’insieme. Lo scopo era
quello di creare opere che fossero un deterrente e che potessero salvare delle vite. Tuttavia, nel
1978, durante un soggiorno in Giappone, le macchie del sarcoma di Kaposi fecero la loro comparsa
condannandolo definitivamente.

1985-86: furono anni molto intensi dal punto di vista artistico. Haring entrò a far parte della scena
americana, esponendo in diverse gallerie.

Un altro concetto fondamentale della sua visione del mondo era


l’autoaffermazione sessuale come diritto umano che veniva a
mancare negli episodi negativi (stupri, coercizioni sessuali e
castrazioni).

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1985: realizzò un’opera che affrontava questo tema con brutale schiettezza. C’è anche un’implicita
denuncia politica perché la sfigura che subisce la castrazione è un nero mentre la mano è quella di
un bianco.

1985: realizzò un’altra opera (304 cm x 365 cm; olio su


tela) che esprimeva una critica nei confronti
dell’influenza negativa della religione sugli uomini. La
religione qui è rappresentata come un flagello, una
creatura mostruosa avida di denaro, munita di una serie di
occhi e con due bocche dalle quali fuoriescono delle
lingue biforcute che s’impossessano della figura umana.
Sulla destra ritorna il tema delle forbici, mentre sulla
sinistra è presente una croce impiantata in un cervello che
rappresenta l’imposizione della fede sulla ragione umana.

Lo stile di questo periodo si discosta dai lavori


precedenti:

 Rimangono l’outline e i colori accesi.


 Le figure non sono più stilizzate ma be definite (quasi disturbano).
 È presente una sorta di horror vacui: la paura di lasciare spazi vuoti. I dipinti si riempiono di
figure e particolari in sintonia con il soggetto.

1985: realizzò un’opera intitolata AIDS, 304 cm x 304


cm, olio e acrilico su tela (una delle poche ad avere un
titolo). È la prima opera che Haring realizza a seguito
della scomparsa di alcuni amici. Nella parte centrale è
rappresentata una creatura mostruosa, portatrice di morte,
con una croce sopra i genitali. Questo mostro sembra
soddisfare i molteplici istinti sessuali delle sue vittime
che poi porterà alla morte. Infatti, le creature collocate ai
lati sono contrassegnate da croci sugli occhi e dalla
lingua che gli pende dalla bocca. Tutto ciò è
ulteriormente enfatizzato dalla presenza di teschi alati
nella parte superiore del dipinto, che costituiscono una
sorta di cornice.

1988: Keith Haring realizzò una serie di disegni con l’inchiostro suni. Si servì di una serie di
metafore crude per spiegare le vie di contagio dell’AIDS. C’è un po’ il racconto di come si diffonde
la malattia e la denuncia del sesso non protetto. In quell’estate, infatti, egli scoprì, di essere malato,
pertanto i suoi dipinti acquisirono una freddezza e una durezza che prima non avevano.

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1989: realizza Waliking in
the rain, acrilico su mussola,
183 cm x 243 cm.
Quest’opera fa riferimento
alla mitologia greca perché
raffigura un’arpia (volto di
donna e corpo da rapace),
vista come colei che annuncia una morte. Qui si
discosta dal suo stile tipico e si può chiaramente
percepire la disperazione e la tristezza (le gocce di acrilico che ricordano le lacrime).

1989: realizzò anche un manifesto propagandistico sull’AIDS al fine di spronare le persone a


reagire perché nascondere la malattia significa propagarla (61 cm x 110 cm).

La mattina del 26 febbraio 1989 Keith Haring


realizzò un murale sul muro di un edificio malfamato della città. Si tratta di un serpente che rincorre
delle persone schiacciando una siringa. Sulla destra ci sono delle figure che tagliano l’animale in
due, mentre al centro è ripreso il
motivo delle figure che si coprono gli
occhi, la bocca e le orecchie.

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All’opposto di queste figure è presente una frase: “Todos juntos podemos parar el SIDA”

Dopo aver realizzato il murale di Pisa, Haring rientrò a New York e si ritirò a vita privata sino alla
sua morte.

I musei della Street Art

Nell’ottobre del 2016 a Parigi è stato aperto il primo museo dedicato interamente all’arte urbana
chiamato Art 42, si tratta di 4000 m2 di una scuola d’informatica nel quartiere di Batignolles. Il
museo raccoglie 150 opere di ben 50 artisti diversi.
Tuttavia, quello che ci si potrebbe chiedere è: ha senso una muesealizzazione dell’arte urbana?
L’apertura di questo museo, infatti, ha creato tutta una serie di dilemmi ideologici e tecnici, poiché
per “trasportare” queste opere nel museo, esse sono state sradicate dal loro luogo d’origine.

È legittimo? È una contraddizione di genere?

Prendiamo ad esempio Blue. Egli, infatti, è stato protagonista di un’accesa polemica sulla
contraddizione tra un’arte votata all’estemporaneità e l’appropriazione capitalistico museale che per
qualcuno snatura la caratteristica dell’arte urbana.

In una notte del 2016, in polemica con un museo che aveva staccato alcune opere senza il suo
consenso per esporle in una galleria a Palazzo Pepoli, Blue decise di cancellare tutte le sue opere
presenti a Bologna.

La felicità che mi era sempre stata negata, avevo il diritto di viverla. Non me lo avete concesso e
allora peggio per me, peggio per voi, peggio per tutti. Rimpianti sì, ma in ogni caso nessun
rimorso.

È chiaro che la questione riguarda ancora il rapporto tra arte e soldi: la vendita delle opere, quindi il
loro inserimento in collezioni pubbliche o private, rappresenta l’unica fonte di autofinanziamento
per gli artisti dell’arte urbana. Questo permette loro di spostarsi in tutto il mondo e di mantenersi in
questi viaggi. Un altro vantaggio è che se una cosa è musealizzata viene anche legittimata→ riceve
una legittimazione e un riconoscimento ufficiale.

Dal writing alla Street Art

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Esiste un libro molto interessante chiamato The Graffiti Revolution che fa un paragono interessante:
il writing e la Street Art come la musica jazz e la musica tecno, perché entrambi appartengono alla
macro categoria dell’arte urbana e della musica, pur rimanendo generi distinti e separati.

Pertanto, si può dire che la Street Art, pur avendo qualcosa in comune con il writing, non è
un’evoluzione di quest’ultimo, ma un’alternativa; un modo diverso di affrontare lo stesso problema
e lo stesso spazio.

Lucamaleonte: altro artista italiano abbastanza famoso; in un’intervista egli ha affermato che il
writing e la Street Art sono due cose distinte e che devono rimanere tali. Il writing, infatti, è lo
studio e l’evoluzione delle lettere. Mentre la Street Art è un calderone all’interno del quale ognuno
mette un po’ quello che vuole.

 1^ differenza = ricezione delle opere. Tutto ciò che è Street Art è (malamente) inteso come
post graffitismo, ma il writing resta comunque un linguaggio chiuso, che lo spettatore
comune non riesce a decifrare, mentre la Street Art, essendo più figurativa e basata sul
disegno, è molto più fruibile. Pertanto, i writers puri usano questi codici per comunicare tra
di loro o, al massimo, per diffondere la propria tag.
 2^ differenza = pur riconoscendo il valore artistico del writing, la lettura dei graffiti rimane
per lo più incomprensibile perché ai writers non interessava essere capiti. La Street Art,
invece, si rivolge a un pubblico più ampio; è un’arte in grado di parlare a tutto l’insieme
demografico urbano. Non c’è un messaggio nascosto e le opere sono intellegibili e
apprezzate da tutti.
Es: Miss Van (Tolosa 1973) che
dipinge solo soggetti femminili o
Flower Guy che dipinge solo
margherite; ovviamente questi
soggetti sono molti più facili da
capire. Ecco perché nei confronti del
writing c’è uno scetticismo di
fondo→ ci si continua a chiedere se
sia arte o vandalismo.

 Dal punto di vista formale:


 Gli strumenti: i writers usano bombolette o markers, mentre gli Street Artist
usano stencil, adesivi e fanno uso del digitale.
 La forma estetica: il writing nasce come studio e sviluppo del lettering,
mentre la Street Art crea simboli o immagini come elementi espressivi (le
lettere contano e non contano). Spesso le loro creazioni diventano loghi
(vagamente accomunate alle tags)→ es: Above che è un altro Street Artist che
lavora dal 1995 con frecce che vanno verso l’alto.
 3^ differenza: il tempo e la modalità perché il writing lavora totalmente sul luogo,
impiegando da qualche minuto a svariate ore, mentre per la Street Art l’azione sulla strada è
solo l’ultima parte di un processo preparatorio realizzato in studio (il tempo in strada si
riduce drasticamente).

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 4^ differenza: la scelta del luogo che è molto importante per la Street Art, mentre le opere
del writing sono degli esercizi di stile e, pertanto, va bene qualsiasi luogo. Inoltre, i writers
preferiscono grandi spazi (periferie) mentre la Street Art punta alla visibilità→ centri storici.
 5^ differenza: essendo il writing standardizzato, una tag ha lo stesso effetto in ogni parte del
mondo, mentre la Street Art crea le sue opere in base al luogo, pensando i lavori in base al
posto.

Critiche alla Street Art:

 Accusa di creare pezzi seriali, mentre i graffiti erano dei pezzi unici,
irripetibili. In realtà questa è proprio una della sue caratteristiche:
creare pezzi di massa (es: Obey the Giant, una campagna di Shepard
Fairey che ha creato un fenomeno che dura ormai da 20 anni).

20 Marzo 2017

Che cosa accomuna la Street Art al writing?

1. Lo sfruttamento dello spazio urbano; un senso di appropriazione di


base e la rivendicazione di uno spazio proprio.
2. Dovendo compiere azioni illegali, sia i writers che gli Street Artist, tendono a rimanere
anonimi. Tuttavia, alcuni artisti, col crescere della loro fama, hanno deciso di farsi
riconoscere.
a. Shepard Fairey: noto sia al pubblico che alle autorità→ ha all’attivo ben 14 arresti.
b. Banksy: ha deciso di sfruttare l’anonimato come strategia di marketing.
3. Come per alcuni dei writers, anche molti Street Artist una volta entrati nel mondo dell’arte,
decidono di abbandonare l’illegalità, iniziando a lavorare in studio o su commissione.

Le commissioni riguardano soprattutto coloro che realizzano murales perché si tratta di opere di
grandi dimensioni e, quindi, più facilmente illegali e più difficili da realizzare senza che vi sia,
appunto, una commissione. Si tratta di un tipo d’arte che è sempre più apprezzata. Infatti, si sono
moltiplicati i festival dedicati alla Street Art. Le stesse autorità cittadine sempre più spesso
ingaggiano questi artisti per la riqualificazione di alcune zone o per decorare/abbellire quartieri
anonimi→ va detto, però, che la maggior parte dei capolavori delle Street Art è frutto dell’illegalità.

La Street Art, inoltre, è apprezzata soprattutto dai giovani→ la considerano un tipo d’arte diversa e
stimolante; sinonimo di creatività, freschezza e novità.
In pochi anni, quindi, la Street Art è passata dall’essere un atto illegale all’essere un oggetto di
culto. Sino ad attivare il processo di gentrification→ insieme dei cambiamenti urbanistici e
socioculturali di un’area urbana.

Spesso tale processo è stato dato in mano proprio agli artisti di strada. Si parte, infatti, da un
quartiere poco noto e popolato. Le zone colpite attirano altri artisti, che decidono di aprire i loro
studi, e anche i protagonisti del mondo dell’arte (collezionisti, galleristi e critici). In seguito
compaiono i locali di tendenza e, infine, si trasferiscono i giovani e le famiglie di giovani. La zona
viene, quindi, riqualificata, ma la conseguenza di tutto questo è un aumento dei prezzi degli
immobili.

 Hackney→ quartiere a nord-est di Londra che ha subito il processo di gentrification.


31
Lo stesso Banksy nel suo libro Wall and Piece (2005) ha parlato di questo fenomeno, riportando
una lettera a lui inviata da un certo Daniel. Questi accusa proprio Bansky e le sue opere di essere
responsabili dell’aumento dei prezzi delle case del suo quartiere e lo invita a farsi da parte.

La Street Art, quindi, è un fenomeno che travalica l’arte stessa e che ricade sulla società, la cultura e
l’ambiente. È un tipo d’arte più politicamente impegnata rispetto al writing che rimane un
linguaggio estetico atto a segnalare solo la propria presenza.

Gli Street Artists tendono, infatti, a ribellarsi all’oppressione del mondo contemporaneo, ma anche a
mettere a servizio della società le proprie opere. Pertanto non esiste un’altra forma di arte così
diretta e comunicativa→ interloquiscono direttamente con il pubblico.

La loro crociata più grande è contro la pubblicità (billboards) e la critica principale che essi
muovono a quest’ultima è che non dà la possibilità al cittadino di ribattere a questi manifesti.
Gli Street Artists considerano la pubblicità come qualcosa che deturpa e disturba l’ambiente, il cui
unico scopo è vendere la merce e imporsi sull’ambiente→ per loro è vandalismo.

La Street Art, invece, s’integra con l’ambiente e lo conosce→ quando un


artista decide di realizzare un’opera studia sempre il luogo e lo rispetta.

Pertanto, esiste una Street Art più politicamente impegnata (movimento di


protesta) e una più interessata all’abbellimento della città senza fini politici.
Il culmine dell’attivismo politico si raggiunse nel 2008, quando Shepard
Fairey realizzò il manifesto della campagna elettorale di Obama.

I colori sono quelli della bandiera americana (rosso, bianco e blu). Lo


sguardo è rivolto all’orizzonte e vi è la scritta “Hope”.

Fu fondamentale per la creazione della sua immagine.

Street Art→ è una sorta di contenitore per forme diverse.

 Espressioni di creatività più o meno legittime.


 Opere di artisti legittimati e quotati nel mondo dell’arte, esposte in luoghi ufficiali (musei,
gallerie e collezioni private).
 Forme di arte pubblica commissionate.
 Operazioni di recupero di aree metropolitane anonime o degradate.
 Campagne di marketing non usuali→ dal linguaggio urbano mutuano, oltre alle
caratteristiche estetiche, le modalità di azione nell’ambiente urbano.

Stili e tecniche

 Stancil Art: è la prima branca a svilupparsi in concomitanza e in alternativa al writing e


deriva direttamente dalla serigrafia. Lo stancil è una maschera che si realizza tramite il
taglio di un supporto (cartone), creando così un negativo. Ancora oggi è una delle più
diffuse perché permette un’esecuzione veloce e dà buoni risultati. Gli stancil si diffondono a
partire dagli anni ’80, ma in realtà hanno un’origine remota che risale alle pitture rupestri,
agli egizi e ai cinesi. Come detto, la Stancil Art deriva dalla serigrafia:
 Serigrafia: tipo di stampa che consiste nel trasferire il colore attraverso un
tessuto che è teso in una cornice. Il colore è bloccato dal supporto laddove
non deve andare il colore e va a finire solo dove gli è permesso di andare.
32
Con l’evoluzione della serigrafia, le immagini riprese attraverso la Stancil Art si elevano
qualitativamente→ inizia a essere usata per grandi opere d’arte. I massimi fautori della
serigrafia furono Robert Rauschenberg e Andy Warhol. Con Warhol la serigrafia venne
applicata alla ripetizione infinita dell’immagine e all’uso dei colori accesi.
In genere, per la Stancil Art, sono usate le bombolette spray o i pennelli e negli ultimi anni,
sempre più spesso, gli stancil sono stati realizzati a computer, anche se ci sono ancora coloro
che li realizzano a mano. La principale caratteristica della
Stancil Art è l’eterogeneità dei soggetti:
 Frutta: Thomas Baumgärtel (1960)
conosciuto anche con il nome di Banana
Sprayer perché dipinge soprattutto banane.
Per esempio ha decorato un’intera parete del
Küppersmühle Museum che è un museo di
arte contemporanea.
 Femme Fatale: Miss Tic (1956) nata a
Montmartre. In seguito trasferita a New York
e poi ritornata in Francia. Dal 1985 ha
iniziato la sua attività artistica di strada. Il suo stile è un miscuglio di
elementi che vanno dal pop alle scritte provocatorie. È spesso presente la
figura stereotipata della donna
provocante, non al fine di
pubblicizzarla, ma per metterla in
discussione→ la tematica della donna
oggetto è quella che vuole denunciare.
Ogni sua figura è accompagnata da
una frase provocante che porta una
certa ironia alla situazione
d’inferiorità della donna rispetto all’uomo→ sempre in maniera sarcastica. A
partire dal 1990 ha iniziato a lavorare per varie gallerie per cui il suo lavoro
di strada si è ridotto notevolmente.

Altri soggetti che sono stati rappresentati dalla


Stancil Art sono: eroi dei fumetti, ritratti vari,
animali e oggetti. Per quanto riguarda quest’ultimi
vi è un esempio interessante a Milano con i
panettoni dipinti da un artista di nome Pao. Dal
punto di vista dello stile sono semplici, ben definiti
(riduzione dei dettagli al minimo), colori brillanti e
campiture compatte e ben definite→ campitura:
colore che riempie l’outline; le campiture compatte
sono il contrario delle campiture sfumate.

Questa scelta rimanda a personaggi come


Matisse e i Fauves→ termine che significa
“bestie” e che fu dato proprio a seguito di un
commento di un critico che così definì i loro
33
lavori. I Fauves sono considerati la versione francese e più allegra dell’espressionismo
tedesco.

Un’altra corrente di cui gli Stancil Artist sono eredi è il Cloisonnisme (qualcosa di
chiuso)→ racchiudere le campiture cromatiche entro un contorno netto e senza effetti
chiaroscurali. I teorici del Cloisonnisme furono Emile Bernard e Louis Anquentin.
Tuttavia, il maggior rappresentante fu sicuramente Gauguin→ La visione dopo il
sermone, 1888, olio su tela, 73 cm x 92 cm. Si tratta di un’opera con blocchi di colore
compatti e senza chiaroscuro. Inoltre, spesso le figure sono essenziali e simboliche.

Un punto di riferimento per la Stancil Art è anche la segnaletica stradale (quella


temporanea) che è caratterizzata da lettere spezzate, segni molto chiari e lineari, come
frecce e messaggi brevi. Questi vengono ripresi perché attraggono l’attenzione e creano
spaesamento, poiché tali messaggi sono spesso usati dalle amministrazioni. L’esempio
più provocatorio è Banksy, il quale per un suo intervento ha ripreso quello che si chiama
utilitarian style→ font usato nei messaggi ufficiali dal British Council di Londra.

“This wall is a designated graffiti area”→ utilizzando quel tipo di font, voleva dare
l’impressione che fossero state le autorità
cittadine a dare il permesso di realizzare i
graffiti. La conseguenza di tutto ciò fu che i
muri vennero invasi da disegni, causando non
poco imbarazzo alle autorità.

La Stancil Art, quindi, possiede un’aurea di


ribellione anche perché in passato lo stancil
era usato per messaggi politici (Francia =
Rivolta del ’68) o da correnti contro cultura
come i punk. In Italia, questo tipo di lettere
vennero molto utilizzare durante il periodo del fascio.

Pertanto la Stancil Art è qualcosa di trasgressivo, giovanile, ironico e dissacrante, ma


anche immediato e rassicurante. È uno strumento versatile e poliedrico per dare
messaggi diversi.

 Blek le Rat: pseudonimo di Xavier Pouf (1952) nato a Parigi. È uno dei primi
iniziatori della Stancil Art. Nel ’81-’83 iniziò la diffusione degli stancil, ma si ebbero
anche gli anni d’oro del writing. Blek le Rat decise di utilizzare gli stancil per
differenziarsi dai writers americani e per avere un proprio stile. Ratti→ unici animali
selvaggi della città; essi sopravvivranno anche quando l’uomo sarà estinto. Inoltre,
oltre ad essere liberi, sono considerati mitologicamente portatori di piaghe e queste
una volta iniziate, non possono essere fermate, un po’ come i graffiti che sono
contagiosi.

Rat→ anagramma di Art.

Blek scoprì lo stancil proprio in Italia, grazie alle immagini della guerra e agli slogan
propagandistici del fascio (in seguito fu testimone del ’68 francese). Compì degli
importanti studi d’arte presso l’accademia, dove si avvicinò alla tecnica Pochoir→ è
diversa dalla tecnica ordinaria dello stancil perché più raffinata. La colorazione avviene
34
solo a mano, l’immagine è molto ricercata e altamente definita. I massimi esponenti
della tecnica Pochoir furono Picasso e Mirò.
Oltre agli stancil dei ratti, egli è famoso anche per quelli delle persone a grandezza
naturale→ personaggi generici e ma anche famosi.
I suoi lavori, inoltre, sono site specific→ i lavori sono studiati i base al luogo dove
verranno realizzati.

 Christian Guémy: conosciuto con il nome di C215. Nato nel 1983 in Francia. È uno
dei più famosi e apprezzati Stancil Artist. Egli realizza ritratti profondi ed espressivi.
Un’altra sua dote è quella di armonizzare
l’opera con l’ambiente. Inizialmente, i suoi
stancil erano monocromatici affinché
s’integrassero con l’ambiente→ campiture
piatte e larghe. Ma col tempo sviluppò una
tecnica molto raffinata: i suoi lavori si
arricchirono di dettagli e colori. Si è
specializzato nella realizzazione di volti.

Nelle sue opere uno dei colori più utilizzati è il


blu→ ripresa del Cavaliere Azzurro che è la
seconda fase dell’espressionismo tedesco (Kandinskij e Marc).

Quando realizza ritratti di mendicanti e senzatetto si rifà ai


classici come Caravaggio e la scultura ellenica. Quindi, riduce
l’utilizzo dei colori e tende alla monocromia. Queste sono forse
le opere che colpiscono di più perché raccontano una storia. Il
suo obiettivo era quello di restiuire dignità e personalità a
queste persone che vivevano ai margini della società. In
seguito, però, ha smesso perché riteneva di non amare i pittori
falsi che vendevano finta miseria. Tuttavia, le sue opere
rimangono in ogni caso dei capolavori indiscussi.

Quando, invece, utilizza ampi contrasti cromatici è evidente il


richiamo ai Fauves.

Guémy va considerato come un artista dalla vasta


conoscenza e dalla vasta perizia pittorica. Per la sua
formazione fondamentali furono: Veronese, Caravaggio
(per l’uso della luce), Gericault, Dürer , George de la
Tour, Philippe de Champagne. Per quanto riguarda gli
Street Artist, sicuramente, Ernest Pignon Ernest e
Banksy.

 Poster Art: è la Street Art realizzata per mezzo di poster.


Può essere realizzata in studio, ha un impatto molto grande e sicuramente dura di più nel
tempo. Tuttavia, è meno apprezzata rispetto a altre forme, forse perché la gente è
maggiormente abituata a vedere poster rispetto ai graffiti. Ovviamente, anche i poster sono
attaccati illegalmente, ma non sono considerati così incisivi perché il loro supporto dura di

35
meno (è di cartone). La rivoluzione della Poster Art iniziò negli anni ’60 con la diffusione
della fotocopiatrice. Per realizzare un’opera di Poster Art è necessario:
 Un soggetto→ realizzato con varie tecniche come la serigrafia, la stampa, le
fotocopie o dipinto direttamente sul poster.
 Una carta specifica→ deve essere sottile perché più la carta è sottile, e più dura sul
muro, ma non deve esserlo troppo.
Tra i massimi esponenti della Poster Art vi sono:
 Ernest Pignon Ernest (1942). È il precursore della Poster Art e a partire dagli anni
’60 ha iniziato a creare immense serigrafie dipinte o disegnate. Anche qui il legame
tra immagine e ambiente è fondamentale→ l’immagine e l’ambiente devono essere
una cosa sola. Pertanto, entra in campo
anche il deterioramento dell’immagine:
esattamente come il luogo muta e si
deteriora nel tempo, anche la figura posta
sul poster deve subire lo stesso
deterioramento→ la fragilità della carta è
un elemento essenziale. Una delle sue
opere più famose è La morte della Vergine,
realizzata a Napoli nel 1990.
 Swoon: pseudonimo di Caledonia Dance Curry
(1978) nata in Connecticut. La sua arte si basa su
stampe di figure umane a grandezza naturale.
Interessante è il fatto che nel 2009, durante la
Biennale di Venezia, Swoon si sia presentata con
un progetto innovativo→ Swimming cities of
Serenissima. Infatti, insieme a un gruppo di
artisti specializzati nel recupero di oggetti vari, è
arrivata a bordo di alcune zattere costruite con i
rifiuti di New York.
 Judith Supine: è un nome d’arte che deriva da quello della madre. Questo artista
realizza opere grazie alla tecnica del collage,
realizzando immagini surreali e dai colori
acidi. Nel 2009 ha realizzato un poster che è
stato poi affisso (illegalmente) su un ponte di
New York. Tra le fonti d’ispirazione di
quest’opera vi è George Grosz→
rappresentante della Nuova Oggettività, un
movimento che va contro l’espressionismo
tedesco. Esso nasce alla fine della Prima
guerra Mondiale allo scopo di ritornare alla realtà nuda e cruda. Si tratta di un’arte
spietata che voleva essere specchio di una società corrotta e malata com’era quella
della Germania durante il periodo tra le due guerre. Per questo motivo Nuova
Oggettività fu erseguitata duramente da Hitler poiché considerata arte degenerata. Di
Judith Supine, Barilli ha detto: “I singoli elementi tagliati, benché ricavati con
procedimenti non artistici, entrano in un contesto artistico, venendo armonizzati tra
di loro e sfruttati nel loro potenziale estetico, cioè nell’unione tra colore e materia”.
La Poster Art, inoltre, si presta molto bene anche al subvertising→ la rivolta contro i
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cartelloni pubblicitari. Pertanto, in questo caso la Street Art si avvicina molto
all’attivismo sociale e politico. Questo perché i poster utilizzano lo stesso strumento
dell’azione pubblicitaria e, quindi, entrano più facilmente in contrasto e in
competizione con quest’ultima. Il subvertising nacque negli anni anni ’70 per lottare
contro l’usurpazione dello spazio urbano e liberare la città dai manifesti pubblicitari.
 Shepard Fairey: nato nel 1970 in South Carolina. È un personaggio a tutto tondo→
Street Artist, grafico, illustratore e disegnatore. La sua formazione lo fece entrare in
contatto con il Costruttivismo Russo, un movimento che gli ispirò i caratteri, i colori
cromatici, ma anche i soggetti. Infatti, alcuni dei suoi poster sono dei veri e propri
omaggi al Costruttivismo Russo.
Egli scelse di usare l’arte come veicolo sociale→ veicolo di contenuti importanti
rivolti alle masse, quindi, non un’arte superficiale e fine a se stessa.
La sua ascesa avvenne alla fine degli anni ’80 (1989) quando decise di riprodurre
André René Roussimoff (André the Giant), un wrestler professionista. Egli trovò una
sua immagine e vi aggiunse la scritta: “André has a posse”, ossia, una crew/banda.
La campagna divenne virale anche grazie alla gente comune. Shepard, infatti,
pubblicò l’immagine su varie riviste con la promessa di inviare poi gli adesivi che, in
effetti, poi si diffusero per tutta la città e non solo. All’inizio, l’immagine non aveva
un significato specifico→ ognuno ci vedeva quello che voleva.
La campagna di Obey The Giant, quindi, in qualche modo richiama quello che è
conosciuto come il test di Rorschach→ test che parla delle immagini ambigue e che
serve per valutare la personalità di un individuo. In realtà, questa tecnica ha origini
molto più antiche, che risalgono a Michelangelo e Botticelli, ma fu usata da
Rorschach per l’interpretazione delle macchie d’inchiostro nei casi psichiatrici. Dopo
aver studiato 300 pazienti e 100 casi soggetto, nel 1921, Rorschach scrisse un libro
intitolato Psychodiagnostik. Egli era vicepresidente della società svizzera di
psicoanalisi, però ebbe molti problemi a pubblicare il libro che, peraltro, non ottenne
grande successo. Mentre Walter Morgenthaler, psichiatra famoso per la produzione
d’arte negli istituti psichiatrici, nel 1932 produsse una seconda edizione del test, che
poi nel ’42 fu tradotto in inglese.
Il test si componeva di 10 tavole con riportate delle macchie d’inchiostro: cinque
erano monocromatiche, due erano bicolori e re avevano tre colori. Queste venivano
sottoposte all’attenzione del soggetto al quale si chiedeva cosa vedesse in
quest’ultime. Ovviamente, non esistevano risposte giuste o sbagliate, ma la lettura di
queste macchie permetteva allo psicoterapeuta di capire la personalità del paziente.

27 Marzo 2017

“Ogni interpretazione di un’immagine ambigua, che sia una macchia d’inchiostro o


un lottatore di wrestling, è una riflessione sulla personalità di chi li guarda”.

Pertanto, l’immagine di Obey The Giant, per qualcuno può sembrare sinistra,
pericolosa o aggressiva, mentre altri possono considerarla benevola, buona e sciocca.
Quello che emerge dal suo operato è una chiara contestazione del potere che priva
l’uomo del suo diritto inalienabile di libertà. Non a caso i protagonisti dei suoi lavori
sono personaggi politici, spesso controversi (il presidente Bush).

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Inoltre, il termine “Obey” significa letteralmente “obbedisci”→ anche nel
denominare le sue campagne gioco sul messaggio ironico. In questo caso il
messaggio è: fai quello che ti dico senza pensare. Infatti, una delle sue stampe
ricorrenti riporta la scritta: “Non ti fidare mai dei tuoi occhi e credi in ciò che ti viene
detto”.
Questo porterebbe a chiedersi perché Fairey abbia relizzato la campagna elettorale di
Obama→ inizialmente credeva fortemente in lui; pensava che potesse cambiare il
mondo e non solo gli Stati Uniti. Infatti, questi manifesto sono tra i suoi lavori più
famosi e contengono tutti un messaggi di speranza. In seguito, Fairey rimase
profondamente deluso dallo stesso Obama→ la hope è passata, ma l’arte resta.
In quanto personaggio a tutto tondo, Fairey ha profondi legami con la musica: nel
corso degli anni ha realizzato decine di ritratti di icone della musica, ha creato cover
di dichi e CD. Ha anche uno studio di grafica pubblicitaria, il Number One, che è
uno dei più famosi negli Stati Uniti. Nel 2001 ha fondato una sua linea di
abbigliamento Obey Clothing. È molto attivo nel sociale, infatti, ha un’
organizzazione no profit che s’impegna per la tutela del patrimonio artistico di
Venezia. Nel 2009 ha creato e collaborato al progetto S.O.S Venice durante il quale
realizzò 200 serigrafie della città.
Per quanto riguarda la campagna di Obama, Fairey s’ispirò alle serigrafie di Andy
Warhol. Il suo primo ritratto di Obama oggi è conservato alla National Portrait
Gallery di Washington. Nonostante la fama, però, la sua passione è rimasta quella di
lavorare in strada, illegalmente.
 J.R: nato nel 1983 in Francia, è stato vincitore nel 2011 del Ted Price→ il Ted è
un’organizzazione no profit fondata nel 1984 allo scopo di diffondere idee tramite
conferenze. Il premio viene assegnato annualmente a un personaggio ritenuto
eccezionale o di spicco. Nello stesso anno, la rivista Forbes lo inserì tra le 30
personalità più influenti al di sotto dei 30 anni nella categoria Art&Style.
La sua filosofia artistica è differente rispetto a quella di Obey→ vuole rendere le
persone comuni protagoniste delle opere d’arte e fare in modo che l’arte arrivi a tutti.
Egli si definisce un photagrapher, una figura che unisce il fotografo al writer. Iniziò
a fare arte di strada all’età di 15 anni facendo graffiti, immortalando le sue imprese o
quelle dei compagni con la macchina fotografica. Alcuni anni più tardi, iniziò a
stampare le fotografie, a fotocopiarle e ad attaccarle clandestinamente sui muri delle
città→ crea le così dette gallerie a cielo aperto. Una delle sue caratteristiche
peculiari è il contorno realizzato tramite la bomboletta spray che circonda le sue
opere, come se si trattasse di una sorta di cornice. Questo allo scopo di mettere in
evidenza le sue opere e distinguerle dalla pubblicità. Con il passare del tempo,
ovviamente, le fotografie si sgretolavano, ma rimaneva comunque la cornice.
Il suo modus operandi è rimasto lo stesso nel corso di tutta la sua carriera: scatta le
foto (in genere a volti di persone), crea un effetto grandangolare (per cui il soggetto
deve essere molto vicino), le stampa in bianco e nero su poster di dimensioni
considerevoli e poi li incolla nelle varie città. Nel corso del tempo la sua arte è
evoluta e si è interessato sempre di più a problemi sociali→ ha influito sulle
dimensioni dei suoi poster che sono diventati sempre più grandi. J.R agisce sempre
nell’anonimato e nell’illegalità, senza entrare in contatto con gli enti governativi.
 Nel 2005 ha realizzato dei poster raffiguranti i rivoltosi delle banlieue
parigine. J.R rimase molto colpito dalle immagini mostrate dei media.
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Tuttavia, qualcuno usò il suo poster senza il suo permesso, motivo per cui
decise di ritrarre i quattro protagonisti di questa rivolta. Il suo obiettivo era
quello di fotografare consapevolmente questi ragazzi, le cui immagini erano
state rubate e distorte dai media.
 Nel 2007 ha dato vita al progetto Face to Face→ J.R si recò in Medioriente
allo scopo di capire quanto siano diversi israeliani e palestinesi. Lui e i suoi
collaboratori scattarono foto di
palestinesi e israeliani,
generalmente intenti a fare una
smorfia, che svolgevano la stessa
professione. Queste immagini
vennero poi ingigantite, stampate,
accostate una all’altra e affisse in
varie zone delle città (anche sul
muro divisorio). Lo scopo era di
creare dei dittici di persone
appartenenti a popoli estremamente diversi e in
conflitto. Questa campagna ebbe notevole
successo perché le persone di entrambi i paesi
accettarono di buon grado di farsi ritrarre.
 Nel 2009 ha dato vita alla campagna Women are
heroes→ la campagna voleva agire in luoghi
particolarmente aspri e difficili; luoghi di cui
nessuno parlava e dove, invece, imperversava la
violenza, la povertà e l’abbandono. Lo scopo era
raccontare storie di donne, la cui storia non veniva
mai raccontata, facendole uscire dall’anonimato.
Una delle città simbolo di questa campagna fu la
favela di Providencia a Rio de Janeiro. Un altro
posto dove realizzò questi poster fu Quimera, una città del Kenya, dove
affisse le immagini sui vagoni dei treni e sui tetti delle città (in questo caso
utilizzò il vinile anche per rinforzare il tetto stesso). In seguito, portò questi
ritratti e le loro storie con sé in tutta
Europa, affiggendoli in diverse
città.
 Nel 2012 ha realizzato un altro
interessante progetto chiamato The
Wrinkles of the City→ si tratta di
un progetto che ha toccato vari
paesi del mondo (Cina, Spagna e
Stati Uniti). J.R ritrasse persone anziane e affisse le loro immagini su antichi
edifici segnati dal tempo.
 Nel 2011 ha portato avanti il progetto The People’s art project→ lo studiò e
realizzò immediatamente dopo la vittoria del Ted Price poiché il premio
stesso gli richiedeva di realizzare un progetto globale e di dare un apporto
sostanziale al miglioramento del mondo. J.R chiese a tutte le persone che
poteva contattare di mandargli delle foto che, poi, lui gli rispedì sotto forma
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di poster per poter essere attaccate in tutto il mondo (120.000 partecipanti in
più di 108 paesi).
 Nel 2012 è iniziata anche un’altra campagna intitolata L’Italia sono anche
io→ l’idea alla base era quella di favorire l’integrazione razziale in Italia. La
campagna si componeva di oltre 2000 ritratti, affissi in varie città, e
rappresentanti, ovviamente, persone non italiane.
 La Sticker Art: si tratta dell’arte degli adesivi. È forse la branca che utilizza il metodo più
semplice e veloce e questo ha fatto sì che in pochi anni gli sticker proliferassero in tutte le
città. Gli sticker, in un cero senso, sono come le tag per i writer (più assomigliano a dei
logo, meglio è)→ sono le più semplici e le più diffuse proprio per il loro formato ridotto.
Inoltre, gli sticker sono apprezzati anche dagli street artist perché essi possono essere
appiccicati praticamente ovunque.
Per poter realizzare uno sticker è necessario scegliere un soggetto→ dalle linee semplici e
poco complesse; non troppo particolareggiati perché l’eccessiva ricercatezza non rende su
un oggetto di piccole dimensioni. In seguito, si tratta solo di creare un supporto adesivo.
La Sticker Art è sicuramente la più tollerata tra quelle che abbiamo visto, ma anche la più
sfruttata. Gli sticker evolvono, si sviluppano e si diffondono con la cultura dell’arte di
strada→ prima ancora di invadere le città, avevano invaso le tavole degli skate board e le
chitarre. In seguito, vennero utilizzati in campagne sovversive di protesta.
Proprio nella campagna di Obey the Giant, gli sticker sono stati utilizzati per la prima volta
a livello artistico (dal 1989 al 1996 sono stati venduti un milione di adesivi).

Ovviamente, esistono anche artisti che dipingono a mano libera→ non tutta la Street Art, infatti, usa
strumenti seriali. Alcuni preferiscono creare le loro opere a
mano libera, direttamente sui muri. E questi sono coloro che
creano un’unione tra la tradizione dei murales messicani e
quella del writing. Essi recuperano dai muralisti il rifiuto
dell’arte borghese (l’arte da cavalletto) e, quindi, la
realizzazione di grandi opere sui muri.
Uno dei più famosi è Dan Witz (1957) che realizza colibrì
colorati in punti strategici delle città per colpire i passanti. In
questi casi impiega dalle 4/5 ore per realizzare opere di una
decina di centimetri.

Mentre ci sono due street artist, Roa che è un artista belga nato nel 1976 e Barry MacGee che è
americano, nato nel 1966 a San Francisco, che preferiscono ampi spazi.

28 Marzo 2017

Questo tipo di arte, che si rifà ai muralisti messicani, ha uno scopo sostanzialmente politico→
diventare pubblica e accessibile a tutti; è lontana dall’arte borghese dei musei e delle gallerie.
Nel caso dei muralisti messicani, inoltre, le opere erano spesso realizzate con l’accordo del
governo→ si trattava di un’arte che voleva insegnare (racconti della storia antica del Messico).

Pertanto, le opere di Street Art a mano libera sono generalmente grandiose, uniche ed enormi, per
cui sono spesso necessari diversi giorni per portare a termine un progetto, anche se gli artisti non
lavorano mai soli.

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Roa: ha realizzato alcune opere molto famose come quella a Katowice (Polonia) e a Lagos
(Portogallo). Si tratta di opere spietatamente realistiche che rappresentano la sofferenza animale
(una sorta di naturalista moderno). La sua idea è quella di esporre il ciclo della vita→ i soggetti
sono animali locali (per lo più ratti e piccioni→ considerati sporchi e portatori di malattie, ma
esistono e l’uomo deve imparare a convivere con loro). Egli realizza le sue opere basandosi sullo
studio del luogo, per cui gli animali si adattano sui muri sui quali vengono dipinti (quasi sempre in
bianco e nero). I tratti sono rapidi e sottili e sono caratterizzati da un’assoluta accuratezza biologica.
Gli animali sono rappresentati vivi, morti, a riposo o, addirittura, in decomposizione→ riflessione
sulla vita; la morte è una parte indissolubile di quest’ultima.

← opera di Lagos

→ opera di Katowice

I suoi sono murales che fanno riflettere e in essi vi è un aspetto di denuncia→ spesso quando
dipinge sugli edifici abbandonati o decadenti, questi diventano una sorta di gabbia di cemento. Si
tratta di solito di animali in difficoltà e privati della propria libertà (spesso gli dipinge impigliati
nelle reti o affamati). Pertanto, non sono opere concilianti o piacevoli da vedere. La sua, quindi, è
un’idea diversa della Street Art; un’arte che però è di altissimo livello.

Opera di Chicago; a seconda della prospettiva


con cui si guarda, il dipinto appare diverso
perché spezzato su due muri.

Barry MacGee: ha iniziato a fare l’artista di strada intorno agli


anni ’80 ed è molto importante poiché rappresenta una sorta di
ponte tra il writing e la Street Art. infatti, agli inizi, era conosciuto
con lo pseudonimo di Twist e Ray Fong. Anche nel suo caso la
città rimane il luogo prediletto dove realizzare le sue opere che
sono sempre studiate in base al luogo. Al contrario di Roa, la sua
arte ha una vitalità contagiosa→ raccontare da una parte lo
spettacolo della vita, ma anche le sue malattie e frustrazioni (c’è
comunque un aspetto di denuncia). Alla fonte vi sono comunque i muralisti messicani e l’arte di
strada degli inizi. Si tratta di grandi dipinti colorati che traboccano di una grande capacità grafica.

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Opera di Brooklyn al Mark Morris Dance
Centre.

Si tratta di una sorta di collage con disegni


e lettering.

La Guerrilla Art

Per quanto riguarda questa figura fondamentale nel panorama dell’arte urbana, c’è un passaggio che
pochi conoscono e che è il legame tra Banksy e la Guerrilla Art.

Il 15/10/69, infatti, venne fondata a New York la Guerrilla Art Action Group (G.A.A.G) da parte di
Jon Hendricks e Jean Toche allo scopo di distinguersi da un altro gruppo chiamato Art Worker
Qualition che affrontava il problema dell’arte secondo il loro punto di vista. Questo era nato nel
gennaio del ’69 ed era formato da scrittori, artisti e vari creativi americani. Esso si focalizzava sulla
responsabilità dei musei nei confronti degli artisti e cercava d’instaurare un dialogo tra le due parti.

Nel caso della G.A.A.G, il loro metodo d’azione è diverso: vogliono qualcosa di più efficace e
diretto; qualcosa che scioccasse le persone e le scuotesse al punto da obbligarle a interrompere
qualunque cosa stessero facendo per ascoltarli. Il 30/10/69 i due fondatori pubblicarono il
manifesto del gruppo (termine legato alle Avanguardie storiche; quello che distingue
un’Avanguardia da un semplice movimento artistico è proprio la pubblicazione di un manifesto, che
è una dichiarazione d’intenti). Nel manifesto essi chiesero al MOMA di donare 1 milione di dollari
ai poveri del paese→ credevano che non ci fosse modo migliore d’impiegare l’arte, se non a livello
sociale. Credevano, inoltre, che la donazione fosse un modo per riparare i torti subiti dai poveri
perché l’arte aveva sempre servito l’elite→ chiedevano che l’arte fosse tolta ai potenti e ridata ai
poveri.

Nel dicembre del 1967 erano stati pubblicati altri due manifesti. Il primo di questi due era intitolato
Some Notes e fu scritto da Jon Hendricks che sosteneva di voler battersi per un’arte distruttiva in
opposizione a quella creativa. Nel secondo, intitolato invece Judson Publication Manifesto, si
parlava della necessità di un nuovo tipo di cultura; una cultura in grado di andare contro quella del
profitto e della mercificazione.

 Il 10/05/68→ manifestazione alla Judson Gallery; veniva contestato la vitalità dell’arte


come istituzione perché quell’arte era legata a una società malata che puntava ad alienare le
masse, ignorando i veri bisogni umani. Per Toche era importante che gli artisti scegliessero
tra due ruoli fondamentali:
1. Rimanere un giocattolo nelle mani di una società corrotta.
2. Impegnarsi nel mondo sociale, mostrando la realtà dei fatti. Artista come capofila
di una protesta. E questo è possibile solo portando l’arte nelle strade.
 Il 18/11/69→ il gruppo entra al MOMA e compie una performance (azione artistica fatta di
azioni) intitolata: Bagno di sangue. Le donne indossavano degli abiti stracciati, mentre gli
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uomini giacca e cravatta. Essi recavano in mano centinaia di copie di volantini, dove erano
elencate le loro rivendicazioni. In seguito, iniziarono a strapparsi i vestiti l’un l’altro,
urlando: stupro. Poi fecero scoppiare delle sacche, nascoste sotto i vestiti, contenenti del
liquido simile a sangue e si sdraiarono a terra come soffocati da questo sangue. Dopo alcuni
minuti di lamenti, la performance terminò nel silenzio più totale, come se fosse
sopravvenuta la morte. Lo scopo era dimostrare che le persone agiate usavano l’arte per
manipolare gli artisti, per fare propaganda nei confronti del capitalismo oppure per scopi
personali. Essi volevano dare vita a un’azione simbolica per rendere evidente la loro rabbia
nei confronti del museo e dei soldi sporchi che avevano portato l’arte a essere mercificata.
 Il 14/11/69→ manifestazione al Whitney Museum. I membri del gruppo decisero di spargere
per terra della polvere rossa e del detergente per dimostrare il loro disaccordo nei confronti
della politica adottata dal museo in occasione della Giornata della Memoria, poiché il museo
aveva deciso di rimanere aperto.
 Il 16/12/69→ manifestazione nella chiesa di St. Peter, dove si stava celebrando il
compleanno di Beethoven. Volevano dimostrare la brutalità degli americani nella guerra in
Vietnam.
 Un’altra manifestazione si svolse davanti alla Guernica che era allora ancora negli Stati
Uniti, mentre ora si trova al Reina Sofia. Lo scopo era rendere omaggio ai bambini del
villaggio vietnamita di My Lai che erano stati sterminati dai soldati americani durante la
guerra.
 Il 01/05/70→ i membri del gruppo fecero un’intervista presso una radio di New York nella
quale affermarono che il profitto corrompeva la vera natura dell’arte perché manipolava gli
uomini per distrarli dai veri problemi della vita e per portarli ad accettare più facilmente la
repressione. Per cui, l’arte era diventata qualcosa d’irrilevante poiché entrata in un
meccanismo di tipo industriale. Sempre nell’intervista, essi affermarono che il concetto di
priorità era diventato più importante della cultura e delle persone stesse. Di conseguenza,
l’arte doveva tornare a essere impegnata (dar voce ai valori spirituali, ai problemi politici e
sociali della società). Bisognava, quindi, ricreare un legame tra l’arte e le persone comuni, di
modo che quest’ultime si sentano rappresentate (artista = leader).
 Il 19/01/71→ il gruppo pubblica un comunicato nel quale sono elencate le 15 caratteristiche
di un artista rivoluzionario:
 Occuparsi della realtà e non della fantasia.
 Deve essere attivo, versatile e creativo.
 Deve essere flessibile, disponibile, non deve imporre il proprio stile e deve affrontare
i problemi che lo circondano.
 Un altro attacco del gruppo fu nei confronti dei musei, criticati perché davano troppa
importanza al denaro, ma anche in quanto simbolo del sessismo della società→ rinforzano la
figura maschile contro quella femminile.

La G.A.A.G diede anche il suo sostegno incondizionato ad Angela Davis (1944), attivista del
movimento afroamericano e fondatrice del gruppo delle Black Panters.

03 Aprile 2017

Ovviamente, questi non sono da intendere come degli spettacoli, ma come delle azioni provocatorie
per fare aprire gli occhi alla gente, portando l’arte per strada, mostrandola a tutti senza
discriminazioni e rendendo chiunque partecipe.

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Ecco perché Banksy è associato alla Guerrilla Art→ vuole fare qualcosa per smuovere le coscienze,
parlando di temi come la guerra, il capitalismo o l’inquinamento. Sia la Guerrilla Art che Banksy
ritengono le istituzioni negative e chiedono che l’arte sia tolta dalle loro mani; richiedono uno
spazio pubblico che gli permetta di realizzare le loro opere ed effettuano i loro interventi nelle zone
marginali, creando qualcosa che colpisca e faccia pensare.

Quali sono le caratteristiche che da sempre contraddistinguono l’arte?

L’arte, sin dalle sue origini, ha avuto sempre dei ruoli be definiti:

 Scopo celebrativo: opere che celebrano un personaggio o un avvenimento importante.


Rientrano in questa categoria anche i ritratti, di cui però si è un po’ persa la tradizione.
 Scopo devozionale: opere che servono per favorire il culto o raccontare, per esempio, le vite
dei santi.
 Scopo espiatorio: opere commissionate per espiare i propri peccati.
 Scopo estetico – decorativo: opere, ma anche vere e proprie correnti, che avevano lo scopo
di abbellire o decorare un ambiente (stile liberty).
 Scopo provocatorio: opere che si distaccano dai canoni tradizionali e diventano una
provocazione per l’arte che andava per la maggiore.
 Scopo educativo: opere realizzate per educare (come i murales messicani).
 Scopo espressivo: opere realizzate per comunicare degli stati d’animo.
 Scopo esortativo: opere realizzate per persuadere l’osservatore a compiere certe azioni,
come i manifesti di Obey per la campagna di Obama.
 Scopo magico – propiziatorio: opere realizzate perché si credeva che esse potessero
influenzare la realtà come le grotte preistoriche in cui si pensava che le immagini potessero
portare a qualcosa di positivo o allontanare il maligno.

Alcuni di questi scopi possono essere attribuiti anche all’arte di strada, come lo scopo estetico –
decorativo, quello provocatorio, quello educativo e quello esortativo.

Il caso di Banksy è quello più incredibile per quanto riguarda l’arte provocatoria→ il suo scopo è
quello di proporre qualcosa che faccia riflettere poiché si tratta di un’arte che diventerà poi
proprietà di tutti. Di fatto, siccome si tratta di arte di strada, deve essere propositiva, quindi, deve
dire qualcosa.

Qual è la poetica della Street Art? È un’arte che spezza le cornici e invade la strada. Quindi, il
pubblico deve essere soprattutto il passante occasionale, quello che magari non sa nulla di arte.
Ovviamente, per poter fare Street Art di un certo livello è necessaria creatività, capacità tecnica e
intelligenza. La Street Art, infatti, è un’arte che prende le distanze dalla società intermini etici ed
educativi→ va contro la morale dominante e quello che la società vuole farci credere.

Per la Street Art fondamentali sono la libertà espressiva e la fruibilità gratuita (per cui non ha scopo
di lucro). Come movimento che nasce dopo il writing, la Street Art portò forti contenuti emotivi alle
opere della strada. Tuttavia, la Street Art non sarebbe nata se prima non ci fosse stato il writing.
Inoltre, essa deve al writing il concetto di comunicazione→ senza la volontà di dire qualcosa non
esisterebbe nessuna delle due.

La Street Art ha però scelto come luoghi prediletti i muri, mentre il writing i vagoni, le carrozze e le
aree dismesse. Non va dimenticato poi che, mentre il writing è sempre assolutamente illegale, la

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Street Art può anche non esserlo. Infine, anche se la Street Art vive nelle strade, ha anche una
valenza commerciale, nel senso che esistono artisti che lavorano per le gallerie e i collezionisti.

La Street Art, a livello stilistico, differisce moltissimo dal writing che è soprattutto lo studio
dell’evoluzione delle lettere. Invece, la Street Art indaga su soggetti e tecniche diversi. Con essa,
infatti, si ha un forte ritorno al figurativismo (immagini più comprensibili). Inoltre, la Street Art ha
favorito la diffusione d’immagini identificative→ cose che fanno capire al fruitore chi ha realizzato
l’opera, mentre il writing cercava l’anonimato.

Banksy

Sicuramente è inglese ed è noto per l’uso dello stancil e per il suo anonimato. Nonostante alcuni
giornalisti, designer e un direttore artistico di nome Tristan Manco, sostengano di conoscerlo con il
nome di Robin Banx, le informazioni che si hanno su di lui sono poche e incerte.

Di fatto a Banksy non interessa diventare una celebrità né uscire allo scoperto. Anzi, forse è stato
proprio il suo anonimato a renderlo così famoso.

Manco sostiene che sia nato a Bristol, che abbia frequentato la Bristol Cathedral School, cosa
affermata anche da alcuni presunti amici. Al contrario Mark Simmons, un fotografo che in passato
ha collaborato con Banksy stesso, sostiene che è di origine proletaria.

L’unica cosa che si sa per certo è che è nato nel 1974 in un paesino nel sud dell’Inghilterra, vicino a
Bristol, perché affermato da Banksy stesso in un’intervista.

Nel libro Home Sweet Home, Simmons sostiene che Banksy sia un uomo molto sicuro di sé,
sfacciato e un po’ arrogante. Mentre altri due che si dicono suoi amici, lo descrivono come un tipo
socievole, determinato e che sa cosa vuole. Una caratteristica che sicuramente si può notare in
Banksy è il suo vedere il lato satirico delle cose.

È stata una sua scelta quella di non rivelare né il suo nome né la sua immagine. Da una parte l’ha
fatto per alimentare il misero attorno alla sua figura, ma anche perché, essendo perennemente
perseguitato dalle autorità, era meglio mantenersi nell’ombra. Inoltre, il suo anonimato gli permette
di proiettare la sua personalità esclusivamente nelle opere→ interessante perché spesso si è
condizionati dalla biografia delle persone famose e si finisce per giudicare i loro lavori sulla base
delle cose che sappiamo di loro. Banksy, invece, non è interessato a imporre la sua opinione su
quella degli altri, ma vuole solo far riflettere le persone.

La sua è una forma di Guerrilla perché per veicolare un messaggio prende degli spazi pubblici,
dando loro un nuovo senso; lavora con e sull’ambiente per stupire e sceglie luoghi che diventano
parte integrante dei suoi disegni.

Nonostante sia sempre stato attento a non farsi scoprire, nel 2008 un giornali inglese, Mail of
Sunday, pubblicò un reportage su di lui, in cui veniva reso noto il suo nome, con l’aggiunta di una
fotografia e di alcuni dettagli sulla sua famiglia. La giornalista, Claudia Joseph, affermò che il suo
vero nome era Robin Gunningham, che aveva 34 anni e che effettivamente aveva frequentato la
Bristol Cathedral School. Per dimostrare questa sua tesi pubblicò una foto dell’album scolastico,
accompagnata da una foto dei presunti genitori e di quello che si riteneva fosse Banksy adulto, per
dimostrare la somiglianza. Tuttavia, i così detti genitori, non rilasciarono alcuna dichiarazione di
conferma, per cui le affermazioni della giornalista furono bollate dal pubblico come illazioni.

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In seguito, uno pseudo vicino di casa affermò che il nome era effettivamente Robin Gunningham e
che durante la giovinezza il giovane spariva spesso, finché un giorno non sparì definitivamente. Di
tutto questo, però, nulla è certo.

Banksy sostiene di essersi avvicinato alla politica quando la società inglese stava attraversando un
periodo particolare. In particolar modo fa riferimento ai disordini di Heartchiffe (1980), in cui due
uomini rubarono una motocicletta di un agente e rimasero uccisi in una collisione con un’auto della
polizia che il stava inseguendo.

04 Aprile 2017

In linea di massima Banksy affronta temi che possono sembrare scontate, ma che in realtà non lo
sono per nulla→ la guerra e l’inquinamento (spesso pensiamo che non possano toccarci poiché ci
siamo abituati alla loro presenza).
Un altro tema a lui caro è la mercificazione dell’arte→ è un tema che ci tocca perché Banksy in
questo modo toglie tutte quelle caratteristiche che abbiamo già visto. Di conseguenza, l’arte diviene
un semplice status symbol, poiché si comprano cose solo per ostentare la propria ricchezza.
Quest’aspetto riguarda anche la stigmatizzazione di un’arte ritenuta d’elite→ in fondo l’arte
dovrebbe essere un patrimonio fruibile a tutti, mentre sempre più spesso è finita per essere un
qualcosa legato a una nicchia di persone.

1980→ Banksy lascia il quartiere natale e si trasferisce a Barton Hill; si tratta sempre di un
quartiere di Bristol noto per essere una zona estremamente pericolosa, degradata e con una pessima
reputazione a causa della criminalità e della droga. Questo quartiere è uno degli esempi in cui la
Street Art ha fatto qualcosa perché John Nation, uno Street Artist, ha trasformato lo Youth Centre,
che era un centro delinquenziale, in un centro giovanile in cui gli artisti potevano dipingere tutto
quello che volevano. E questo ha dato inizio a un risanamento del quartiere.

Banksy inizia a dipingere all’età di 14 anni, sperimentando stili e nomi diversi (il primo
pseudonimo che utilizza è Robin Banx). Negli anni ’90 collabora con un altro protagonista della
Street Art, Inkye, iniziando a realizzare graffiti a mano libera. In seguito nel 2000 si trasferisce a
Londra, dove inizia a usare la tecnica dello Stancil (ipotesi avvalorata anche nel libro Banksy il
terrorista dell’arte).

Tuttavia, Banksy non è famoso solo per i suoi lavori realizzati sui muri, ma anche per le
intrusioni→ nei parchi divertimento, negli zoo, nei musei e nelle gallerie più importanti. Si è
introdotto al British Museum e al Metropolitan di New York, dove, di nascosto ed eludendo la
sorveglianza, è riuscito ad appendere delle sue opere in cui denuncia i suoi temi. In tanti casi, è
trascorso diverso tempo prima che la sorveglianza si accorgesse dell’intrusione e della presenza
delle opere appese ai muri. Alcune volte queste sono state rimosse, mentre altre volte sono rimaste.

Si tratta sicuramente di un gesto rivoluzionario→ è come se Banksy ignorasse il riconoscimento che


normalmente queste istituzioni danno agli artisti le cui opere vengono affisse
al loro interno.

Un esempio è quello che è stato affisso al Brooklyn Museum nel 2005.

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Qui sono presenti alcune graffiti pacifisti, tracciati con una bomboletta spray, sui quali spicca la
frase “No War”. In primo piano vi è un condottiero settecentesco, che s’ipotizza possa essere La
Fayette, che reca in mano una bomboletta.

Banging your head against a brick wall (2001)→ primo libro autobiografico pubblicato da
Banksy. Qui egli sostiene che la giustizia non esiste e che non ha senso comportarsi bene. Banksy
racconta un episodio che gli era accaduto quando aveva nove anni: venne espulso dalla scuola per
aver sollevato di peso un suo compagno e averlo fatto roteare in aria e poi cadere sul selciato. Il
compagno finì in ospedale, dove rimase per una settimana senza riprendere conoscenza e al
risveglio purtroppo non ricordava nulla dell’accaduto. Il problema fu che a commettere l’atto non
era stato Banksy ma un suo amico che aveva poi convinto un altro a dare la colpa a lui. Il fatto che
lo colpì di più fu che egli dichiarò più volte la propria innocenza, ma nessuno gli credette, nemmeno
la madre. Il titolo si riferisce alle frustrazioni della società moderna, in cui il capitalismo e lo stato
hanno sempre più spazio e nessuno fa niente per cambiare le cose→ in italiano è reso con “sbattere
la testa contro il muro”: fare qualcosa più volte senza mai cambiare la situazione.

Il libro fa parte di una serie di volumi. Il secondo è intitolato Existencilism (2002)→ è un


neologismo che metter insieme “esistenza” e “stancil”. Il terzo, invece, è intitolato Cut it out
(2004). Banksy li chiama libretti neri, dove mette insieme le sue riflessioni, le immagini delle sue
opere e le sue considerazioni filosofiche. Questi si sono rivelati una grande operazione strategica
poiché costavano pochissimo (2-3 sterline) e questo ha determinato il loro successo, favorendo la
diffusione delle sue idee.

In questi suoi libri sostiene che il mondo è pieno di morte e di difficoltà e che sia più interessante
dipingere alle fermate dell’autobus, piuttosto che nei musei poiché così facendo tutti possono
vedere le opere e capirle. Un’altra cosa che egli sostiene è che le sue opere sono realizzate con lo
scopo di cambiare le cose→ è convinto di dar voce alle persone che non ne hanno. Tuttavia, questi
argomenti così seri e duri sono sempre affrontati con ironia e sarcasmo. Inoltre, sempre in questi
libri, Banksy afferma che gli interessano solo le opere di artisti paranoici→ soltanto chi lavora in
uno stato di paranoia realizza grandi opere.

Il suo odio è diretto anche contro il mondo dell’arte poiché lo ritiene marcio e dominato solo dai
privilegiati. Pertanto, se la prende anche con i suoi colleghi che realizzano un’arte piatta e fasulla→
ritiene l’arte il prodotto di una casta interessata solo a promuovere il proprio successo . Nel caso di
Banksy c’è sì la provocazione (come c’è in moltissimi artisti contemporanei), ma è una
provocazione per prendere coscienza di qualcosa.

“Esporre le proprie opere in una galleria è come osservare i trofei nella galleria di un millenario”.

Gallerie→ sono cose vecchie, fatte solo per esibire, ma con poco contenuto. Questo è il motivo
principale per cui egli decide di realizzare le proprie opere in strada, in modo da stabilire una
comunicazione diretta con il pubblico. Egli sostiene anche che per persone tendono ad ascoltare le
parole degli altri solo quando questi indossano una maschera.

Banksy inizia a usare lo stancil in un’occasione particolare che racconta nel libro Wall and Piece→
dopo aver praticato per anni la pittura a mano libera, decide di abbandonarla. A 18 anni, nel
dipingere la parole “Late Again” su un treno, viene visto da alcuni poliziotti ed è costretto a
scappare insieme alla sua crew. i suoi compagni riescono a scappare in macchina, mentre lui è
costretto a nascondersi sotto un camion, con l’olio del motore che li cola in faccia, in attesa che gli
agenti se ne vadano. Capisce che dipingere a mano libera è troppo pericoloso e che deve realizzare
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qualcosa di più veloce → produrre lavori nel minor tempo possibile. Ovviamente, la creatività è
legata alla complessità del disegno e alla grande attenzione ai dettagli e alla preparazione.

Il lanciatore di fiori: si trova su un edificio privato e


rappresenta un militare che sembra coinvolto in uno scontro
ed è pronto a caricare, ma che in mano non reca una bomba
ma un mazzo di fiori. L’unica cosa colorata sono i fiori che
rappresentano la speranza. Per realizzare un’opera del genere
sono necessari 8 strati di colori, uno per l’uomo e ben sette
per i fiori (verde, giallo, rosa, blu, arancione, magenta e
azzurro). Banksy, a differenza di molti artisti, non usa
Photoshop per creare gli stancil, ma li ritaglia con carta e
forbici, aggiungendo poi a mano i dettagli.

La Gioconda (Monnalisa): si tratta di uno dei dipinti che ha appeso nei


musei. Di questa particolare opera esistono diverse versioni. L’opera è
quella famosissima di Leonardo, realizzata tra il 1503-1506, un olio su
tela, conservato al Louvre. Gli artisti moderni e contemporanei hanno
spesso sentito il richiamo della tradizione e si sono spesso cimentati in
soggetti tradizionali (Picasso e Duchamp).

In alcuni casi, la Gioconda realizzata da Banksy è stata dipinta


direttamente sui muri di varie città, in altri casi la raffigura, sempre sui
muri, ma con in mano un bazooka. In un caso particolare la rappresenta
mentre mostra il posteriore. In questo caso è interessante anche notare le
sfumature inserite per evidenziare l’anatomia dei corpi, la tensione dei
muscoli o in alcuni casi l’espressione del volto. Certamente Banksy è un pittore di talento,
conoscitore profondo della prospettiva e riuscendo in questo modo a dare alle sue opere una
profondità e una volumetria che mancano, invece, in altre opere di Street
Art.

L’ultima versione è quella del 2008→ è uno stancil, ma è ancora un po’


grezzo perché la vernice cola nella parte inferiore del busto, dandole un
aspetto decadente. Gli occhi sono coperti da una sorta di fazzoletto che reca
la scritta: “Stop using my image”.

Banksy è stato il primo e forse anche l’unico artista della Street Art a
cimentarsi con l’arte del passato e a indagare il rapporto tra arte
contemporanea e arte antica e quello tra arte contemporanea e istituzioni. Il
suo ruolo è d’avanguardia perché anticipa e risolve il problema tra artisti e
musei→ come l’artista debba porsi nei confronti di questi ultimi; critica tutti
i filtri che le istituzioni pongono nei confronti dell’arte. Nel senso che se
l’istituzione non ti riconosce, non sei un grande artista.

Un altro artista con cui Banksy si cimenta è Monet. L’opera è il Ponte Giapponese, un olio su tela
del 1899, conservato a New York nel Museum of Modern Art. L’opera di Banksy è un’esatta
ripresa di quest’ultimo, ma il giardino è stato trasformato in una discarica. Anche in questo caso si
tratta di un’azione dissacratoria volta a criticare non l’artista, ma l’istituzione museale che è
simbolo del sistema socio – economico che schiaccia l’individuo.

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La sua carriera è decollata proprio alla fine degli anni ’90 quando ha
iniziato a usare lo stancil→ il suo messaggio si diffonde, così come le sue
opere che nella maggior parte dei casi lui firma. Ovviamente, Banksy
non fu il primo a usare questo strumento: prima di lui vi fu Blek le Rat e
3D. Banksy sostiene di non essere stato influenzato da Blek ma da 3D,
anche se entrambi influiscono sul suo percorso artistico. Di fatto, Blek e
Banksy sono stati i primi a usare gli stancil come nuova forma
comunicativa, sfruttando lo spazio pubblico.

Tuttavia, le sue opere sono riempite di messaggi e sono spesso basate su giochi di parole. Lo stancil
consente a Banksy di realizzare opere con messaggi facilmente comprensibili, diffondendo i suoi
ideali con un pizzico d’umorismo. Anche lui, come moli altri, adatta l’opera in base al luogo e su
quest’aspetto egli non ha delle predilezioni (marciapiede rotto, muri crollati oppure manifesti
pubblicitari sbiaditi su cui poi dipinge le sue opere). Per esempio, una volta ha realizzato una
striscia bianca lunga alcune decine di metri che correva lungo un marciapiede e che terminava su un
muro dove era dipinto una guardia che sniffava la striscia (cocaina).

Le sue denunce tendono anche a ridicolizzare immagini considerate delle icone. Per esempio, il
lanciatore di fiori si rifà a un manifesto rumeno del 1989 in cui si riprendeva questo manifestante
che protestava contro il governo di Ceausescu. Oppure, l’immagine che ritrae Phan Thi Kim Phuc,
una bambina vietnamita sfuggita a una bomba al napalm lanciata dagli americani durante la guerra
in Vietnam e divenuta il simbolo di questo conflitto. È divenuta famosa per essere stata ritratta in
questa fotografia (vincitrice del premio Pulitzer), scattata l’8 Giugno del 1972, mentre fuggiva dal
suo villaggio ormai completamente distrutto. Nella sua versione Banksy elimina lo sfondo e la fa
camminare tra due personaggi iconici negli U.S.A: Topolino e Ronald McDonald. Crea una
contrapposizione forte tra l’espressione felice dei due e quella di dolore della bambina. Qui c’è la
volontà di sottolineare l’occidente ignaro, che durante la guerra in Vietnam ha continuato a vivere
felicemente

Un altro argomento molto caro a Banksy è quello del contrasto con le autorità costituite. Un
esempio è l’opera The Mild Mild West che è un graffito realizzato a mano libera che si trova a
Bristol. Qui è rappresentato un orsacchiotto che sta per lanciare una bomba molotov; di fronte ha tre
agenti in versione anti sommossa che gli stanno andando contro. Si tratta di un’allusione alla rivolta
di St. Paul→ nel 1980 si verificò una rivolta, causata da tensioni razziali, che portò la polizia a fare
irruzione in un caffè chiamato Black and White. Le autorità comunali, infatti, stavano cercando di
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porre fine alla pratica dei Free Party (molto di moda negli anni ’80 erano gruppi di persone che
facevano irruzione in spazi abbandonati, facendo delle feste), che erano considerati illegali.
L’opera è stata realizzata nel 1999, sotto consiglio di Jim Paine, proprietario di un negozio di dischi,
il quale gli fece notare che proprio nel palazzo in cui lui lavorava c’era un spazio vuoto. I primi
schizzi di quest’opera comprendevano una critica al consumismo poiché rappresentavano un
edificio in fiamme con uno sciacallo che fuggiva con un carrello della spesa pieno di roba. Tuttavia,
dopo aver saputo dell’irruzione della polizia a uno di questi party, cambiò idea.

Da una parte Banksy vuole sottolineare l’ambiente un po’


frivolo di questi party e dall’altra vuole mettere in evidenza
il contrasto tra le guardie armate e gli onesti→ persone
tranquille che, però, sono anche in grado di fare del male.
L’orsetto, quindi, ha due facce: una candida e l’atra
pericolosa.

Nel 2000 Banksy arriva a Londra e dalle sue opere


realizzate in quel periodo ci rendiamo conto dell’influenza di Blek le Rat→ anche lui inizia a
dipingere i topi perché, citando le sue stesse parole: “Loro esistono senza permesso, sono odiati,
braccati e perseguitati; vivono in silenziosa disperazione tra il sudiciume e tuttavia, sono in grado
di mettere in ginocchio intere civiltà. Se sei sporco, insignificante e nessuno ti ama, allora i topi

Topo = emarginato; colui che nessuno vuole, che non si adegua alle regole della società e che è
costretto a vivere ai margini. Inoltre, nonostante siano odiati da tutti, quando i topi si uniscono
diventano una grande forza e sono in grado di dettare legge.

Tendenzialmente i protagonisti dei suoi lavori sono bambini, poliziotti, soldati, guardie o
personaggi famosi della società inglese e non solo. I poliziotti, in particolare, sono spesso
rappresentati in situazioni compromettenti o imbarazzanti.

L’opera raffigura una guardia di Buckingham Palace


mentre infrange la legge. Qui l’ironia è molto forte nella
macchia sul muro.

Un’altra molto famosa è quella


che ritrae due poliziotti che si
baciano appassionatamente. L’opera fu realizzata dopo che la Regina
Elisabetta si rifiutò di riconoscere il matrimonio omosessuale.

Spesso si è preso gioco anche del sistema raffigurando soldati sorridenti o


guardie che disegnavano il simbolo dell’anarchia sui muri. Nemmeno la
regina è stata risparmiata poiché Banksy l’ha rappresentata mentre compiva un atto sessuale con
un’altra donna. Oppure ha realizzato delle banconote da 10 sterline raffiguranti, però, il volto di
Diana e modificando il logo originale.
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Si tratta d’interventi in cui s’incitavano le persone a
mettere in discussione l’autorità e a combattere per
una più equa distribuzione del potere.

Un altro tema è quello della guerra. Banksy, infatti,


è un fervente pacifista e critica pesantemente ogni forma di conflitto.

Bomb Hugger: opera realizzata tramite uno stancil nel 2003 che si trova nell’East End di Londra e
che raffigura una bambina che sta abbracciando una bomba. Si tratta di un lavoro estremamente
satirico: Bansky ridicolizza la guerra perché ha rappresentato una ragazzina innocente che, invece,
che stringere una bambola, stringe una bomba. Questo accostamento è volto a sottolineare la vera
natura della guerra: che è uguale per tutti e che uccide tutti senza alcuna distinzione. La sua è anche
una sfida nei confronti dei media che hanno spacciato/spacciano certo guerre come positive.

Nel libro Wall and Piece quest’immagine è accompagnata da una didascalia.

Ci vuole un sacco di coraggio a manifestarsi in forma anonima in una democrazia occidentale e a


dichiararsi per le cose in cui nessuno crede come la pace, la giustizia e la libertà.

Potrebbe sembrare una frase banale, ma non lo è, perché il fatto di rimanere anonimo significa che,
anche se farai delle battaglie, nessuno ti riconoscerà il merito di quest’ultime.

L’altro significato è che l’amore per la pace potrebbe sopraffare l’odio e


la violenza→ bisogna imparare dai bambini a essere più buoni. Si tratta
ancora una volta di una sfida alla società che ritiene illegale dipingere
sui muri, ma accetta di gettare delle bombe sopra a dei villaggi.

La bomba atomica: un’opera realizzata a Londra nel 2007. C’è ancora


l’accostamento tra violenza e bambini per sottolineare cosa c’è di
sbagliato nella guerra: morte degli innocenti. Il disegno rappresenta un
gruppo di bambini che fa il girotondo attorno a un fungo atomico→
contrapposizione tra bene e male; contrastare l’idea di una guerra
“buona”.

10 Aprile 2017

La tematica della contestazione del sistema dell’arte


Non è una cosa che si è inventato Banksy. Infatti, negli anni ’60 del Novecento nacque l’arte post –
moderna la quale attaccò il mondo dell’arte e, soprattutto, la consacrazione dell’arte come oggetto
chiaramente distinto (quella da esposizione).
In realtà questo fenomeno risaliva agli anni ’20 del Novecento in cui nacque un atteggiamento di
rifiuto nei confronti dell’arte elitaria.
Il Dadaismo e il Surrealismo furono le correnti che maggiormente incarnarono tale rifiuto→ totale
avversione per quelle opere d’arte che erano indipendenti dal contesto.
Essi volevano abbattere le barriere tra arte e vita quotidiana (richiamo a Duchamp) per opporsi a
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un’arte che stava diventando un oggetto da museo.

Negli anni ’60 venne ripreso il concetto secondo il quale l’oggetto d’arte doveva trasformarsi in un
oggetto sensorio all’interno della società o del mondo. Pertanto veniva data enfasi sulla sensazione:
un tipo d’arte che fosse comprensibile e che tutti potessero sentire.
Il corpo stesso finì col diventare un’opera d’arte (Body Art) così come una semplice azione
(Performance Art).
Si voleva, quindi, abbattere le barriere tra l’ala cultura e la cultura di massa (Pop Art)→ l’oggetto
quotidiano divenne un’opera d’arte e, in particolar modo, lo divennero i prodotti di consumo, i
quali vennero tolti dal loro contesto abituale e vennero ricoperti di valore artistico. Questa strategia
era già stata usata dai Dadaisti→ ricoprire la quotidianità con la percezione estetica.

Negli anni ’60, di fatto, tutta la cultura venne contestata (esattamente come accadrà anche con la
Street Art). Era, infatti, presente:
 Disgusto per tutto ciò che era convenzionale.
 Lo spirito di rivolta contro la guerra
 Rifiuto di una civilizzazione moderna.

Il Dadaismo, infatti, nacque come una reazione alla Prima Guerra Mondiale. I dadaisti erano
contrari a qualunque intervento armato, pur non avendo alcuna pretesa utopistica e, così, il loro
spirito ribelle finì col dilagare.
La rivoluzione vera e propria risale al 1913 quando si tenne a New York l’Armory Show→ era un
International Exibition of Modern Art che venne organizzata nell’ armeria della caserma del 69°
reggimento. Questa mostra comprendeva circa 1300 opere di 300 artisti diversi, in parte americani
e in parte europei. Per la prima volta nella storia venivano radunate opere provenienti da tutto
l’occidente anche se con qualche esclusione perché il Futurismo non venne incluso. Tuttavia,
parteciparono: il Simbolismo, l’Impressionismo (fino a Cezanne), il Cubismo, l’Espressionismo
tedesco e il Dadaismo (scandalo con un’opera di Duchamp; Nudo che scende una scala).
Tramite questa mostra la cultura americana prese coscienza della rivoluzione estetica europea.
Nacque così il proto dadaismo newyorkese che rappresentò un punto di rottura con tutto ciò che era
venuto prima e che cercava un nuovo modo per esprimersi (per esempio tramite l’utilizzo di
materiali nuovi come quelli ricavati dalla meccanica e dalle industrie).

Il dadaismo era caratterizzato da una visione nichilistica e da contenuti critici anche nei confronti
delle altre avanguardie storiche. Esso voleva provocare le istituzioni proponendo un’arte in grado
di stupire il pubblico tramite meccanismi nuovi; si trattava di un’arte innovativa e dissacrante.
Lo stesso termine Dadaismo non voleva dire nulla. Era stato preso a caso dal vocabolario francese
e adottato come etichetta di riconoscimento di un modo di essere e fare arte.

Il Dadaismo andava al di là delle forme espressive; era un modo per coinvolgere la vita, un
fenomeno che l’artista stesso doveva vivere. Essi, quindi, fecero della spontaneità il loro valore
fondamentale, per cui non s’ispiravano ad alcun guru.
Alla base del loro pensiero vi erano:
 L’irrazionalità: per fini provocatori; era un mezzo per cambiare le convenzioni borghesi.
Bisognava distruggere tutte le convenzioni sociali e artistiche e per fare ciò ogni mezzo era
idoneo.
 Casualità.
L’arte tradizionale, pertanto, deve essere distrutta per fare un’arte della gente che faccia parte della
vita stessa.
Opera→ non dipende dalle capacità dell’artista, ma dalle sue idee (negazione di tutti i valori
estetici). Gli oggetti decontestualizzati si rivestivano di significati nuovi, ma soprattutto polemici
perché veniva stravolata la loro funzione originale.
Es: la ruta di bicicletta di Duchamp che è un esempio di Ready Mate anche se questo non è l’unica
modalità espressiva del Dadaismo.
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Quali sono le caratteristiche comuni tra il Dadaismo e la Street Art?
 Liberazione dalle convenzioni sociali.
 Visione nichilistica della realtà.
 Critica al buonsenso comune e all’omologazione.
 Indipendenza di pensiero.
 Carattere di un’arte non d’elite.
 Arte e vita come elementi inseparabili. È, infatti, la vita che determina l’arte, quindi, il
contesto è fondamentale.
Inoltre, se non ci fosse stata la Prima Guerra Mondiale il Dadaismo non avrebbe potuto esprimersi
così e la Street Art non sarebbe nata se non ci fosse stato il dissenso nei confronti della società.
Il motivo di tale dissenso era da imputare alla ricerca della verità; una verità non manipolata e
soggetta alle regole della società.

Anche il Surrealismo contribuì in un certo senso alla nascita della Street Art. Questa corrente
artistica nacque sempre negli anni ’20 (il manifesto fu pubblicato nel ’24). I Surrealisti si
rendevano conto della rottura tra arte e società, ma non erano nichilisti. Essi proposero una nuova
visone della società dove la libertà non era necessariamente anarchia. Pertanto, cercarono di
contribuire al suo miglioramento. Nel Surrealismo è evidente l’influenza del pensiero di Freud→
arte che sembra uscire da un sogno (produzione psichica). Le loro erano immagini, percezioni e
sensazioni che erano prodotte, però, in un modo irreale (si svincolano dalla catena logica). Si
trattava di situazioni impossibili nella realtà.
Le loro immagini non partivano da un’analogia ma una dissimilitudine con la realtà (l’oggetto
veniva modificato in modo incoerente perché sotto l’impulso della psiche). Queste provocavano
uno shock→ metteva in moto l’immagine a cui seguiva una riflessione al fine di provocare uno
straniamento.

Il lanciatore di fiori
Abbiamo già visto quest’opera, ma quali sono le sue caratteristiche principali:
 L’elemento a sorpresa; i fiori a posto della bomba.
 L’ironia.
 Il fatto che racchiude l’ideologia di Banksy.
 L’antimilitarismo.
Nelle opere di Banksy c’è sempre un protagonista che è (quasi) sempre un personaggio umano,
realizzato con un solo colore (in questo caso il nero) e poi c’è un coprotagonista che è l’oggetto che
usa nella scena per cambiare il significato; in questo caso sono i fiori realizzati con più colori.
Quest’opera è stata realizzata con la tecnica dello stencil. Ne consegue che gli spazi di colori non
presentano delle sfumature, ma sono delle semplici campiture.
L’essenzialità è dovuta al fatto che non vi è prospettiva→ lo spazi è creato con colori contrari e in
contrasto, ma non c’è senso di profondità che, nella maggior parte dei casi, nelle opere di Street Art
è data da più strati di colore. Ma quasi mai questo avviene con Banksy perché le sue opere
presentano un unico strato. L’elemento centrale è il mazzo di fiori che stona con il resto perché fa
saltare il significato originale.

È un quadro in senso lato, ma allora la cornice qual è?


Non c’è (non è definita) ed è così per la maggior parte delle sue opere.
Dov’è il suo limite? Forse non esiste; si tratta di un’opera creata su un muro di una città che
diventa essa stessa la cornice. Chi la osserva finisce per entrare nell’opera e immergersi nella stessa
realtà del dipinto.

Le linee di forza: si può confrontare quest’opera con lo Zeus di Capo Artemisio, una scultura di 2,
09 metri, risalente al 480-470 a.C, ritrovato nel 1926 e conservato oggi nel museo di Atene. C’è

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una relazione analogica tra le due opere: entrambi stanno lanciando qualcosa (presi nel momento
specifico); entrambi scaricano il peso sul piede destro (è il pondus); entrambi hanno le gambe
divaricate per bilanciare il corpo; entrambi hanno gli occhi in asse diretto percettivo con la mano
sinistra in modo che il peso passi dal piede alla mano sinistra che dà la direzione al lancio (indica
che c’è un’intenzione).
Molto importanti sono le diagonali che si tracciano seguendo gambe, braccia e busto. La mano
destra è legata con una diagonale alla mano sinistra, che è parallela a quella della gamba destra.
Un’altra diagonale ortogonale a queste due è tracciabile dalla testa al piede sinistro (è l’asse su cui
ruta il busto e racchiude l’energia cinetica del lancio).

L’opera può essere ascritta in un quadrato composto da 4 assi e 2 diagonali; un asse verticale che la
taglia nella lunghezza, una orizzontale che lo taglia nella larghezza e le diagonali che collegano i
punti estremi del quadrato. Il punto d’incontro è detto baricentro. Questa griglia ci permette di
analizzare l’opera in modo diverso.
La diagonale funge da asse di rotazione. La torsione che si ottiene è marcata dal ginocchio sinistro
del ragazzo che è piegato e che sembra racchiudere l’energia del lancio che poi realizzerà.

La griglia che questi assi generano, è utile per studiare la posizione del ragazzo:
 La testa si trova interamente nel settore 8 ed è indietro rispetto al corpo→ si tratta di una
posizione che non è naturale ma temporanea, nel momento in cui deve fare il lancio.
 Nella sezione 1 vi sono il busto e il braccio sinistro che è teso verso il vertice
corrispondente del quadrato. Il busto e il braccio sinistro formano un arco.
 Nelle sezioni 3 e 4 vi sono un pezzo di gamba sinistra (fino al ginocchio) e il piede. La
gamba destra parte dal baricentro e occupa tutta la sezione 5.
 Tra le sezioni 4 e 5 vi è una macchia di colore che è perfettamente parallela alla linea del
suolo ed è l’ombra del personaggio.
 Nella sezione 7 vi è una parte del mazzo di fiore e il braccio destro.
 Il braccio e la gamba delle sezioni 1 e 5 creano un altro arco.

Le categorie cromatiche ed eidetiche


Le categorie eidetiche sono relative alle forme grafiche: per esempio la linea curva richiama la
femminilità e la dolcezza, mentre la linea retta richiama la virilità.
Con lo stancil si genera un disegno composto dal colore spruzzato, ma anche dagli spazi non
colorati perché lì si trova il pezzo di tavola o di cartone ritagliato. Ne consegue che lo sfondo dello
stancil è contrario a livello cromatico rispetto all’immagine principale.

La maggior parte dei disegni realizzati da Banksy prevedono uno sfondo chiaro e un’immagine
scura (nera o grigia). Inoltre, in ogni suo lavoro i soggetti sono essenziali e scarni, sia nell’uso del
colore che è estremamente minimale, sia perché gli elementi plastici che compongono l’opera sono
pochi e ridotti→ i personaggi ritratti non sono composti da unità minimali, dove ogni parte del
corpo è chiaramente individuabile. Il corpo, quindi, costituisce un tutt’uno.
Quali sono le unità minimali individuabili nel Lanciatore di Fiori?
 Il ragazzo.
 L’involucro dei fiori.
 I fiori.
Queste unità costituiscono dei formanti figurativi→ sono parti di una catena che genera
l’espressione. Ognuna di queste unità corrisponde a un’unità contenutistica (significano ciascuna
qualcosa). Esse sono in relazione contraddittoria tra di loro:
 Il corpo del ragazzo è unitario e ha una cromaticità omogenea.
 Il mazzo di fiori non ha un carattere unitario, ma frammentario perché è colorato. I fiori,
infatti, sono riconducibili a quattro colori fondamentali: 3 fiori gialli e arancioni; 2 rossi;
alcuni azzurri; un rametto verde e due foglie a sinistra che sono verde acido, colore ripreso
dai gambi che fuoriescono dal mazzo.
54
 L’involucro è definito solo dai contorni neri perciò ha il colore dello sfondo (bianco).
A livello cromatico, quindi abbiamo un doppio contrasto:
1. La figura nera vs lo sfondo bianco.
2. La figura nera vs il mazzo di fiori colorati.
L’elemento dei fiori colorati sembra fare da tramite tra lo sfondo bianco e il ragazzo nero. Il nero è
poi ripreso dall’involucro.
Un altro contrasto evidente è che tutti i colori citati sono brillanti, si oppongono al nero e sono sub
contrari del bianco.

Dalla compresenza di questi termini opposti, si genera un contrasto plastico (che è lo scopo
primario di questa raffigurazione). Pertanto i contrasti sino ad ora evidenziati sono sia cromatici
che eidetici.
Tuttavia, il cromatismo, che nella maggior parte delle opere d’arte ha una funzione estetica, non
vale per le opere di Banksy→ il suo cromatismo va al di là dell’estetica. L’obiettivo è quello di
amplificare il contrasto generato dalla coesistenza all’interno dell’immagine di elementi fortemente
in disaccordo (la scelta cromatica esalta la scelta del contrasto tra i fiori e il guerrigliere).
Se il mazzo di fiori venisse coperto, tutti noi saremmo propensi a pensare che il ragazzo stesse
lanciando una bomba. Invece, la presenza dei fiori provoca una sorta di shock→ ci si pone delle
domande.
Se Banksy avesse rappresentato una molotov a posto dei fiori, questa sarebbe stata una classica
immagine di guerra. Invece, l’opera, così come ci viene presentata, è qualcosa di più: è
un’immagine surreale che provoca straniamento.
La manifestazione originaria (il ragazzo che protesta) è un’icona della realtà (un’immagine che
potremmo tranquillamente incontrare nella vita di tutti i giorni). L’immagine di Banksy ha un
carattere d’irrealtà, pur avendo l’apparenza della realtà.
Il gesto è estremamente simbolico, perché i fiori sono, nella nostra cultura, un simbolo di pace e
armonia. Inoltre, questi sono recisi (il che significa che sono stati coltivati), ma si trovano in un
involucro, il che ci fa pensare che sono un regalo→ incontro tra natura e cultura, quella che
produce il bene. Per questo contrastano con il protagonista.
L’immagine, nella sua totalità, rappresenta una sorta di conflitto perché da una parte abbiamo
l’ambito del male e dall’altro quello del bene.
Un ulteriore contrasto è dato dal fatto che i fiori sono usati come un arma, pur non essendolo, ma
sono trattati dal protagonista come se lo fossero.
Il protagonista, quindi, cambia il proprio ruolo→ ancora con le vesti di un manifestate tenta,
invece, un’azione che si può interpretare come pacifica. Inoltre, non è possibile immaginare quale
sarà l’effetto del lancio dei fiori o, almeno, Banksy non fa nulla per farci capire che effetto sortirà
questo lancio di fiori.

A quest’opera è stato dato anche il nome di Love is in the Air, che è un riferimento a una famosa
canzone di Paul Young. Di fatto, denominandola in questo modo, si può immaginare che il gesto
compiuto dal ragazzo sia un gesto d’amore.

Il contrasto cromatico, evidenziato fino ad ora, è un contrasto che si riversa anche sui contenuti,
che sono retti dalla categoria euforia vs disforia; e, in questo caso specifico, il contrasto è dato
dalla mitezza e dalla violenza→ è la chiave per capire l’opera.

Mitezza: cultura positiva; produzione di oggetti innocui; caratteristiche dei fiori→ naturalezza,
colore, freschezza e carattere effimero.
Violenza: cultura negativa; produzione di oggetti di distruzione; caratteristiche del conflitto→
artificialità, assenza di colore, cenere/grigio, carattere teoricamente eterno.

I fiori, quindi, vengono usati come arma di pace affinché essi producano un effetto positivo.
Nell’opera essi sono la coincidenza del mezzo con l’effetto: simbolo di pace e si lanciano per
ottenere la pace.
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Generalmente le guerre e i conflitti non sono rappresentati con simboli particolari (a meno che non
ci siano delle armi o delle immagini specifiche della guerra). Pertanto, Banksy le rappresenta con
l’inserimento di una bomba nucleare, mentre per altre opere ricorre a immagini famose (iconismo).
Pertanto, Il lanciatore di fiori si può leggere come creazione vs distruzione→ nei fiori il carattere
dominante è la nascita e la crescita naturale, mentre il carattere della guerra è la forza distruttrice.
Inoltre, la natura è imprevedibile, anche quando si prova a piegarla, mentre la guerra è frutto di un
calcolo da parte delle persone che ci stanno dietro (provoca una rottura e un annullamento).
Il calcolo delle guerra è perfettamente visibile nel lanciatore di fiori→ il ragazzo lancia i fiori allo
scopo di ottenere un effetto preciso. Il protagonista, infatti, è come fotografato nell’atto di una
performance.
I fiori, quindi, trasformano l’icona originaria in un simbolo; cosa che Banksy fa in quasi tutti i suoi
lavori.

11 Aprile 2017

Banksy si muove all’interno dell’area della critica socio culturale: i suoi messaggi, infatti, non sono
mai fini a se stessi ma hanno sempre uno scopo ben preciso che è quello di provocare una presa di
posizione nell’opinione pubblica che punta al risveglio della coscienza. La sua idea di arte è
abbastanza diversa rispetto a quella degli artisti in generale.

“L’arte non è come l’altra cultura perché il suo successo non è prodotto dal suo pubblico. Il
pubblico riempie le sale dei concenti e dei cinema ogni giorno. Leggiamo romanzi a milioni e
ascoltiamo dischi a miliardi. La gente, dunque, influenza la produzione della qualità della maggior
parte della cultura, ma non influenza l’arte. L’arte che guardiamo è fatta da una selezione. Un
piccolo gruppo decide il successo dell’arte. Quando si va a una galleria d’arte, si è semplicemente
turisti che guardano un armadio di trofei che appartengono a pochi milionari”.

Banksy, Wall and Piece

Qui vi è la critica a quello che è definito sistema dell’arte: non è il gusto delle masse che decide il
successo di un’artista. Questo perché un’artista di successo costa al punto che le masse non se lo
possono permettere e poi perché ci si adatta alle proposte che il sistema dell’arte fa al pubblico. Di
fatto, nel giro di pochi anni, il sistema dell’arte ha deciso di lanciare tutta una serie di artisti,
indipendentemente dal loro merito. Tuttavia, esattamente come li lanciano, il sistema è anche in
grado di farli cadere→ è quello che Banksy contesta.

L’arte dovrebbe essere di tutti, ma non lo è. Prima di tutto perché esistono i collezionisti e poi
perché ci sono i musei, accusati da Banksy di privatizzare l’arte e di commercializzarla. I graffiti,
invece, sono disponibili a tutti; non sono elitari perché sono semplici e comprensibili a vari livelli di
lettura (il messaggio immediato viene percepito da tutti).

Inoltre, mentre nelle gallerie e nei musei si paga un biglietto, per la strada questo non succede.
Pertanto fare Street Art non è un atto vandalico quando è quella giusta, ma è, almeno nelle
intenzioni dei grandi artisti, rendere l’arte disponibile a tutti, senza obiettivi di profitto→ critica al
consumismo che intacca anche il mondo dell’arte.

La gente che deturpa veramente i nostri vicinati, sono le compagnie che scarabocchiano slogan
giganti su palazzi e autobus, cercando di farci sentire inadeguati se non compriamo la loro roba.
Loro credono di essere abili a strillare i loro messaggi sulla tua faccia da ogni superficie

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disponibile ma non ti è mai permesso di rispondere a quel messaggio. Bene, loro hanno iniziato la
battaglia e il muro è la mia arma per contrattaccare.

Banksy, Wall and Piece

Di fatto, si cerca di occupare tutto lo spazio disponibile per far sì che la gente noti i prodotti e li
acquisti. La critica di Banksy è rivolta nei confronti di questo modo di convincere la gente ed è
diretta, più che nei confronti del consumismo, alle persone che provocano il consumismo.

Banksy critica anche la competitività che regna all’interno dei mezzi di comunicazione. La Street
Art e i graffiti, invece, sono mezzi non convenzionali per esprimersi perché si collocando al di fuori
della sfera canonica dei mezzi di comunicazione e soprattutto si collocano al di fuori del mercato. E
ciò comporta almeno quattro vantaggi per l’artista:

1. Non deve competere con altri media.


2. Il messaggio che lancia non sarà oggetto di filtri culturali, ma sarà genuino e coerente con le
sue intenzioni.
3. Non necessita di particolari risorse economiche per acquistare uno spazio in cui dipingere.
4. Il messaggio avrà una grandissima visibilità e l’artista diventerà famoso senza dover rendere
conto a nessuno.

Indice della sfiducia di Banksy nei confronti dei media è il libro del 2011 Banging your head
against a brick wall che è il suo primo libro fotografico. In questo emerge il suo atteggiamento
politico (liberal no - global) e che ha dei cardini: la lotta alla guerra, all’inquinamento, al
maltrattamento degli animali, alla manipolazione da parte dei media e al consumismo.

Tra i suoi soggetti prediletti vi sono: animali, tipo scimmie o topi; personaggi che possono essere
guardie e poliziotti; fotografie famose che poi lui modifica allo scopo di fare satira. Pertanto, la sua
è una comunicazione sociale importante perché s’incentra su problematiche discusse e spesso
controverse.

Lo stesso titolo del libro Wall and Piece è in realtà un messaggio linguistico con almeno due
significati:

1. Letteralmente il titolo significa “Il muro e il pezzo”. Il muro che è il supporto per realizzare i
propri pezzi.
2. Tuttavia, Piece è allofono di Peace che significa, appunto, pace. Mentre Wall ha una
pronuncia molo simile a War, che significa Guerra. Di conseguenza, si ottiene un nuovo
titolo Guerra e Pace, composto da due termini contrari tra loro, il cui accostamento genera
un ossimoro.

Sniper (2007, Bristol): realizzata con la tecnica dello stancil.


Rappresenta un cecchino pronto a sparare, ma dietro c’è un
bambino con un sacchetto di carta, pronto a farlo scoppiare. La
posizione è strategica perché per Banksy è importante sia la
concezione dell’opera sia la posizione del luogo dove
realizzarla. Questo stancil è stato realizzato sopra un muro sotto
il quale c’è una gioielleria chiamata Fireworks Gallery and
Glass Studio. Banksy gioca sul nome del negozio (Fire =
sparare). Tuttavia, il cecchino non sta sparando sulle persone

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che passano sotto, ma su quelle di fronte perché dall’altro lato della strada c’è l’ospedale pediatrico
della città→ la guerra colpisce gli innocenti; anche se dietro c’è il ragazzo con il sacchetto che
distrarrà il cecchino che, quindi, non colpirà i bambini. Purtroppo, quest’opera è stata pesantemente
rovinata da alcuni vandali.

Gli edifici che interessano a Banksy sono aree marginali e inconsuete e quasi sempre egli dice cose
scomode ma con ironia.

28 Aprile 2017

Tra gli altri temi prediletti da Banksy vi sono:

Il patriottismo esasperato
Che vale sia per il suo paese sia per gli Stati Uniti. Questo, lo si
vede soprattutto in opere che egli realizza nella capitale
(Londra). Per esempio ve n’è una che realizza nel 2010 e che
rappresenta un bambino che sta costruendo un castello di
sabbia sulla cui torre più alta si può notare la bandiera inglese.
Al di sotto vi è la scritta “TESCO” (che è una catena di
supermercati). Lo scopo era quello di mettere in evidenza
l’idea di una repubblica/regno fondato sui supermercati e,
quindi, di una società basata sul consumismo.

Un’altra opera rappresenta, invece, un bambino asiatico che sta


cucendo la bandiera inglese. Qui lo scopo era di denunciare lo
sfruttamento minorile dei paesi asiatici. In entrambi questi
dipinti i personaggi sono in bianco e nero, mentre la bandiera è
l’unico elemento colorato poiché questo era quello su cui
Banksy voleva focalizzare l’attenzione.

Nel 2008 ha realizzato un’opera che si potrebbe intitolare


Bandiera Tesco e che rappresenta due bambini che cantano
l’inno inglese con la mano sul cuore, mentre un terzo innalza la
bandiera che, però, non è quella della patria ma è, appunto, il
simbolo della Tesco. Lo scopo era quello di prendere in giro il
patriottismo e di denunciare la società fondata sul
supermercato.

L’inquinamento

Nel 1998 Banksy progettò e realizzò un’opera con altri artisti


intitolata The new pollution. È diversa dal suo stile solito e fu
realizzata in memoria di un ragazzo, Abi Clay, morto a 21 anni
per un attacco di asma. Sulla sinistra si può notare un’ape con
una maschera antigas (chiara allusione all’asma che aveva
portato il ragazzo alla morte), mentre sulla destra si può notare la
scritta: “Abi rest in peace”. Purtroppo questa non esiste più
poiché il muro è stato distrutto.

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Il tema dell’inquinamento è stato ripreso anche in un’opera del 2005 che egli appese nel
Metropolitan Museum.

Un altro quadro molto interessante è quello intitolato Crimewatch UK Has


Ruined the Countryside for All of Us. Si tratta di un’opera che Banksy trovò in
un mercatino e che modificò aggiungendo il nastro della polizia, appendendola
poi alla Tate Gallery nel 2003. Si tratta di una scena bucolica che però
disturbata dalla presenza di un elemento che non dovrebbe esserci. La denuncia,
in questo caso, è nei confronti della paura di essere soli in posti isolati. Siamo
talmente influenzati dalle brutte notizie che non riusciamo più a goderci le
bellezze del paesaggio.

Il controllo delle agenzie pubblicitarie

Banksy se la prende anche con le agenzie pubblicitarie perché invadono gli spazi pubblici con lo
scopo di influenzare le nostre scelte, facendoci sentire quasi inadeguati per il non possesso di un
determinato bene. Banksy decide di prendere in giro queste agenzie modificando o rifacendo i
cartelloni sui quali poi aggiunge degli slogan ironici.

In questo modo Banksy ha dato inizio a un movimento chiamato Subvertising/Brandalism: lo


scopo è di far prendere coscienza alle persone del lavaggio del cervello cui sono sottoposte da parte
delle agenzie pubblicitarie. Si tratta di fare in modo che la Street Art diventi una pubblicità anti
pubblicitaria.

Il termine Brandalism è un neologismo che viene della fusione tra Brand e Vandalism proprio
perché si trattava di un tipo d’arte che voleva andare contro le grandi marche.

Il Subvertising trae, comunque, le sue origini dal Dadaismo e del Situazionismo→ movimento
culturale, artistico e politico nato nella metà del Novecento in Francia e diffusosi poi anche in altri
paesi. È un movimento di sinistra ma di rottura e anche vagamente scomodo (contestava il regime
sovietico e quello maoista). Esso sosteneva che attraverso l’uso creativo di tutti i mezzi artistici
(pittura, scultura, musica, poesia, letteratura ecc) si potesse realizzare un’autentica e libera
comunicazione tra le persone.
Un’altra fonte d’influenza del Subvertising è la Guerrilla Art.

Si tratta di un’opera che non è stata realizzata da


Banksy, ma sicuramente è una delle più famose al
mondo.

Essa prende in giro la pubblicità che rese famosa la


Nike nel 1988→ all’epoca la Nike era “famosa” solo
negli Stati Uniti.
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Si può notare che la I è un coltello e vi è del sangue che cola dal simbolo.

Questa, invece, è stata realizzata da Banksy a


Betlemme. Nella parte superiore vi è il manifesto di
un’isola tropicale, mentre in quella inferiore vi sono
due bambini che giocano con la sabbia e il secchiello
su un marciapiede sporco.

L’opera

rappresenta Rooney, un giocatore del


Manchester United, che al braccio porta
appeso un sacchetto della Foot Locker,
mentre in alto sulla destra si può notare la
scritta: “Just loot it”→
saccheggialo.

Sicuramente tra i punti di forza del Subvertising vi è il fatto di utilizzare gli stessi strumenti e mezzi
della pubblicità, con la differenza che il Subvertising vuole veicolare messaggi profondamente
polemici. Inoltre, il Subvertising ha una visione democratica della strada che è il luogo dove si può
comunicare ai cittadini. E i temi sono vari: il consumismo, il capitalismo, l’inquinamento ecc.

↑ opera del 2013 ↑ opera di, Pøbel,un artista norvegese. ↑ opera di Banksy

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Opera di Blu intitolata El hombre
banano realizzata in Nicaragua. Si
tratta di una denuncia nei confronti
della piaga dei bananeros. Infatti,
queste persone vivono in condizioni
terribili perché per coltivare questi
frutti è stato impiegato, a partire dagli
anni ’70, un pesticida che a provocato
moltissime vittime nonché tumori e
malformazioni congenite. Il suo
scopo era quello di denunciare l’assoluta indifferenza dei governi di fronte a questo problema.

Non va dimenticato che Blu è forse l’artista che meglio ha saputo mantenere il proprio anonimato.
Egli, infatti, non firma mai le proprie opere (in quanto sempre riconoscibili per lo stile) che dipinge
a mano libera e che vogliono sempre provocare.

Gli animali

Questo è un altro dei temi cari a Banksy. Egli, infatti, ha realizzato un’opera costituita da un carro
come quelli che vengono utilizzati per il trasporto degli animali nelle autostrade, riempito però di
peluche che emettevano il verso di quest’ultimi. Lo scopo era di denunciare i maltrattamenti, ma
anche le terribili condizioni di trasporto e di uccisione di questi animali. Il carro venne poi fatto
circolare per le strade di Londra e sulle fincate si
potevano notare scritte come: “Fatemi uscire da
qui”. Egli, quindi, ha raccontato un fatto
drammatico, ma con sarcasmo.

Uomo nudo
appeso alla finestra (2006). È stato dipinto sul muro del
consultorio famigliare di Bristol.

Rappresenta l’amante appeso alla finestra perché il


marito è appena rientrato, mentre la moglie tenta di
rivestirsi. Lo scopo era di prendere in giro l’infedeltà
delle mogli.

Quello per cui si nota la sua perizia artistica è il fatto che la


finestra sembra reale e non dipinta.

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L’opera fu al centro di un grande dibattito per cui fu chiesto alla popolazione se cancellarla o
tenerla e il 97% votò a favore del mantenimento, considerandola una forma d’arte.

Tutte le sue opere quindi hanno alla base la critica sociale attuale. Egli, infatti, ha sempre difeso la
libertà e ha sempre protestato contro le nuove tecnologie e i mezzi di comunicazione. Questo è il
tema di un graffito che realizzò negli anni ’90 intitolato C’è tutto questo rumore ma non stai
dicendo niente in cui rappresenta delle persone e degli animali ipnotizzate dalla televisione e dalle
sue stupide chiacchiere.

Non è l’unica che attacca le tecnologie. Esiste anche


Spy Booth (Aprile 2014) che rappresenta tre uomini
appostati fuori da una cabina telefonica che sono
intenti a registrare le conversazioni che avvengono
all’interno. Quest’opera è stata realizzata su una casa
che su trova vicino alla società responsabile della
sorveglianza in Inghilterra. La denuncia riguarda il
fatto di essere costantemente controllati (mancanza di
libertà).

Mobile Lovers (Amanti del cellulare):


realizzata su un muro di Bristol (Aprile2014),
vicino a un club per ragazzi. È straordinaria
per il gioco di luci che nasce dal riverbero egli
schermi dei telefoni. Rappresenta due giovani
che con una mano si abbracciano e con l’altra
guardano il telefono→ diventa più importante
il telefono della persona.

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Non c’è una nota di colore ma ci sono quattro punti luce che diventano quasi colorati e che sono gli
elementi che vuole mettere in evidenza. Sopra l’opera compare anche del filo spinato a forma di
cuore per suggerire l’idea dell’amore malato.

02 Maggio 2017

Questa è stata realizzata sulla porta del Broad Plain Boys Club, un istituto che offre servizi di
doposcuola ai bambini bisognosi e che nel 2014 festeggiava i 120 anni di fondazione, anche se
stava attraversando una grande crisi a livello finanziario. I fondatori, infatti, stavano cercando di
raccogliere la cifra simbolica di 120.000 £ per garantire la sopravvivenza del club. Qualcuno,
perciò, informò Banksy di questo e così egli realizzò l’opera allo scopo di far sapere a tutti quanto
fosse riconoscente del lavoro svolto da queste persone.

La porta venne poi staccata dal suo supporto per poter portare l’opera all’interno dell’istituto perché
le opere di Banksy erano state spesso deturpate o da vandali o da altri artisti che contestavano la sua
fama. L’opera venne in seguito caricata su Internet e, nel giro di poco tempo, si scatenò il putiferio
(tutto quello che fa Banksy provoca sempre grande entusiasmo o forti polemiche).

Alla fine quest’opera finì per salvare l’istituto poiché venne venduta all’asta (Banksy stesso aveva
inviato all’istituto un certificato di autenticità) alla cifra di 400.000 £.

Quando si parla di Banksy, si parla di un artista a tutto tondo (sculture, installazioni, stancil e
graffiti).

 Nell’aprile del 2006 realizzò a Londra una sorta di scultura che rappresentava una classica
cabina telefonica londinese con un piccone che la colpiva e la rompeva e il sangue che
colava. Il titolo che gli venne dato fu Cabina telefonica assassinata. La compagnia
telefonica inglese, la British Telecom, dichiarò che l’opera
mostrava la fine irrimediabile del vecchio sistema di
comunicazione e celebrava la trasformazione dell’azienda
stessa verso servizi più moderni. In realtà si tratta di una
lettura piuttosto dubbia.
Forse egli voleva protestare per la privatizzazione e la
rimozione delle cabine oppure la sua opera voleva essere una
metafora della globalizzazione che inghiottiva tutta la cultura
e la tradizione del passato.
 L’8 settembre del 2006 Banksy si recò a Disneyland insieme a un altro street artist chiamato
Thierry Guetta, dove compì un’altra performance. Egli, infatti, collocò nella zona vicino alle
montagne russe una bambola gonfiabile vestita come prigioniero di Guantanamo→ tuta
arancione; guanti e cappuccio nero; ammanettato. Questa venne poi rimossa due ore dopo.
Si tratta di una figura che Banksy aveva già presentato in alcuni stancil del 2005 (uno in
California e uno a Londra) posizionati nelle zone di traffico e di maggior passaggio delle
persone affinché queste venissero a conoscenza
della terribile situazione di Guantanamo.
Guantanamo→ campo di prigionia americano a
Cuba in cui (ufficialmente) vengono rinchiusi i
terroristi. In seguito si scoprì che venivano
praticate anche torture e pesanti abusi anche su

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minori. Nel 2008, l’allora presidente Obama, decretò la chiusura di Guantanamo che, però,
ancora oggi non è stata effettuata.
L’opera è stata collocata proprio lì perché voleva sottolineare il contrasto tra il luogo dei
sogni (Disneyland) e quello degli incubi (Guantanamo).
Inoltre, si tratta di una bambola/fantoccio→ essa, quindi, non parla perché i prigionieri non
hanno né diritto di parola né diritto d’opinione. La sua figura, pertanto, non fa riferimento a
un prigioniero specifico ma ai detenuti in generale, i quali indipendentemente dall’età, il
sesso o il colore della pelle, subiscono tutti le stesse torture.
 Il 15 settembre 2006 Banksy organizzò una mostra a Los Angeles intitolata Bearly Legal (A
mala pena legale) che era anche il titolo di un’opera.
Si trattava di un elefante indiano vivo che era stato
dipinto con gli stessi colori della tappezzeria della
stanza che accoglieva gli ospiti. All’ingresso della
mostra veniva distribuito un cartellino con la scritta
“There is an elephant in the room”→ modo di dire
inglese per riferirsi a un problema di cui non si vuole
parlare. Il cartellino, poi, spiegava anche qual era il
problema di cui non si voleva parlare: 20 milioni di
persone che vivevano sotto la soglia della povertà→
un problema di cui non si era trovata una soluzione perché a nessuno era interessato trovarla.
Alla fine la cosa che più colpì fu che l’elefante era dipinto, per cui vi furono molte proteste
da parte degli animalisti. Nonostante ciò la mostra ebbe un enorme successo con quasi
70.000 visitatori.
 Nel 2007 Banksy si recò a Piccadilly Circus vestito da Ronald McDonald attaccando un
manichino a forma di bambino a un enorme palloncino rosso con il simbolo di McDonald.
Egli poi lo lasciò andare e questi rimase in aria per 9 ore fino a che non ridiscese a terra.
L’opera è stata intitolata McDonald sta rubando i nostri figli.
 Nel 2008 Banksy realizzò una mostra a Bristol. Egli si
mise in contatto con il museo per realizzare una
mostra gratuita di 3 settimane per ringraziare la sua
città e ridare vita al museo stesso. Il titolo dato alla
mostra fu Banksy contro Bristol (ancora una volta si
tratta di una contraddizione volta a provocare). Si
trattava di un’esposizione strutturata come una sorta di
caccia al tesoro perché tra le varie opere già presenti,
egli inserì le sue. Fuori dal museo, sul ballatoio, ad
accogliere i visitatori, vi era una statua di Ronald McDonald ubriaco con accanto una
bottiglia di whisky.
Entrando i visitatori si trovavano un leone con in bocca una fruta e il muso macchiato di
sangue per essersi mangiato il domatore.
Poi vi era, per esempio, Paris Hilton con sotto braccio delle borse della spesa.
Oppure la Venere di Milo, rappresentata come una mendicante con un cagnolino ai piedi e
con delle monete sparse attorno.
O anche quella intitolata Pain Pot Angel (Angelo con una pentola di vernice) che
rappresentava una donna angelo che aveva in mano un fiore e in testa un barattolo da cui
colava della vernice rossa.

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↑ opera all’ingresso

↑ Paris Hilton ↑ Venere di Milo

← Pain Pot Angel

Il salone principale prevedeva alcuni graffiti sulle pareti ai lati


mentre al centro vi era un camioncino dei gelati con un enorme
cono sul tetto che colava tutto intorno e che diffondeva un tipico
jingle.

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Nella sala sul retro vi era una specie di “negozio di animali” che
però non ne conteneva di vivi. Per esempio, un’opera sembrava
rappresentare delle galline, ma in realtà si trattava di crocchette di
pollo a forma di gallina che mangiavano da una ciotola contenente
della salsa al pomodoro. Oppure una pelle di leopardo messa sopra
un albero come se fosse sdraiato. O anche delle bocce di vetro,
contenenti, invece dei pesciolini rossi, dei bastoncini di pesce.

Com’era strutturata la mostra?

All’ingresso era evidente l’invasione totale dello spazio (quasi caos). Si trattava quasi di
un’invasione organica, che cresceva man mano che si andava avanti. E già qui si notavano le
motivazioni di Banksy:

1. La capacità di dissacrare.
2. La capacità di rovesciare i simboli.
3. Il giocare con le icone della storia dell’arte, appropriandosi di queste e cambiandogli il
significato.
4. L’appropriarsi di personaggi famosi e di ridicolizzarli.

L’occhio era attratto subito dall’installazione di un grosso aeroplano d’epoca appeso al soffitto su
cui troneggiava un pilota con una tuta arancione e che indossava un passamontagna. Dopo di che vi
era il camioncino dei gelati e poi si passava alla sala delle statue, che effettivamente esiste nel
museo, e dove Banksy ha poi aggiunto le sue. Si trattava di 8 statue di finto marmo e tutte ricoperte
di nuovi simboli.

 Il David di Michelangelo che indossa i panni di un giovane kamikaze con il fazzoletto sulla
bocca e intorno al busto dei candelotti di dinamite. Suggerisce quasi l’idea che stia per farsi
saltare in aria.
 Il Buddha con il collare ortopedico e un occhio nero. Poteva trattarsi, forse, di un
riferimento alle persecuzioni cinesi in Tibet.

Oggetti strani, quindi si sovrapponevano, all’iconografia classica.

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Poi si attraversava un corridoio sulla sinistra, attraverso il quale si accedeva a tutta una serie di
stanze chiamate stanze di Banksy. In realtà si trattava di un unico ambiente diviso in due, quindi, di
fatto, le stanze erano due.

1. La prima era un’installazione che rappresentava lo studio dell’artista.


2. La seconda era una sorta di magazzino dove erano riversate in numero impressionante delle
opere (tendenzialmente tele di piccole/medie dimensioni).

Il corridoio nascondeva, però, una sorpresa: un dipinto


particolare che, apparentemente, sembrava passare
inosservato ma che aveva un particolare interessante perché
ad di sotto di esso erano stati collocati dei fiori bianchi e
delle candele. Si trattava di un quadro in bianco e nero che
raffigurava Michael Jackson che offriva dei bastoncini di
zucchero a dei bambini, che sono l’unico elemento colorato
del dipinto (con un chiaro richiamo a Hansel e Gretel ma
anche alla pedofilia). Tuttavia, anche qui vi è dell’ambiguità
proprio perché al di sotto di quest’opera egli colloca i fiori e
le candele.

1^stanza = stanza studio; rappresenta un’altra contraddizione perché nonostante si sappia poco di
lui, egli decide comunque di condurre lo spettatore nel suo studio. Forse con questa installazione
voleva confermare la sua origine a Bristol (gioca con il pubblico sulla sua identità).

2^stanza = deposito; ci parla di caos ma è anche la summa


del suo lavoro dove egli ha raccolto tutto quello che parla di
lui. Vi erano due installazioni: un bidone della spazzatura in
metallo dentro il quale vi era un quadro con la scritta “This
is where I draw the line”. E vi era appunto una linea bianca
che fuoriusciva dal quadro per finire sul pavimento. Il
messaggio era quello di far capire allo spettatore che i
quadri appesi nei musei in realtà venivano da un’altra parte.

Dopo queste stanze, la prima immagine che s’incontrava era quella di una Marilyn ritratta su una
bottiglia e con un dente in meno→ la bottiglia era un riferimento ai problemi di alcolismo noti
dell’attrice, mentre il dente il meno voleva dissacrare la bellezza di cui lei era l’emblema.

Poi c’erano altre icone che denunciavano la guerra e lo sfruttamento come una tela che
rappresentava un bambino africano che indossava una maglia con la scritta “I hate Mondeys”.
Oppure quella che rappresentava un bambino asiatico intento a trascinare un risciò sul quale era
seduta una coppia europea intenta a farsi un selfie.

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C’erano poi tutta una serie d’icone della classicità agghindate in maniera provocante.

C’era anche l’area dello zoo, dove erano esposti gli “animali”→ zona caratterizzata per le luci più
basse per dare l’idea dell’ingresso in una giungla urbana; la musica soffusa sopra la quale erano
riprodotti i suoni e i rumori della foresta (alcuni ripresi dal circo). Inoltre, piccoli riflettori
illuminavano gli oggetti e gli animali. Tutto ciò rendeva l’atmosfera surreale e anche vagamente
inquietante. Le 7 gabbie totali avevano le inferriate alte che delimitavano le opere dal pubblico.
Ogni opera rappresentava degli animali particolari, come se si trattasse di una messa in scena.

Esempio: nella gabbia anteriore vi era uno scimpanzé mentre in quella posteriore vi era una tigre.
Queste due opere erano state accostate perché lo scimpanzé sembrava deridere lo spettatore mentre
la tigre sembrava accusarlo.

Lo scimpanzé era un robot particolarmente espressivo con in testa un basco (simbolo dei pittori) e
una tavolozza in mano mentre dipinge una tela davanti a lui. Egli schernisce gli umani in due modi:

1. La sostituzione dell’artista con la scimmia.


2. L’assimilazione dell’artista esposto nel museo con l’animale esposto nello zoo.

La tigre, invece, era in realtà una pelliccia: era vista di schiena, s’intravedevano le orecchie e la
cassa toracica e respirava ritmicamente in quanto vi era un meccanismo per farla muovere. Quando
si faceva il giro della gabbia si scopriva che, in realtà, si trattava di una pelliccia foderata di rosso.

Si trattava di una denuncia nei confronti degli zoo


ma anche delle pellicce.

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L’ultima parte della mostra poteva essere chiamata disseminazione perché Banksy aveva
disseminato le sue opere tra quelle del museo (una sorta di guerrilla tra Banksy e il museo). Egli
aveva lasciato delle tracce per farsi riconoscere. Egli prese opere del passato più o meno recente e le
modificò aggiungendovi qualcosa di suo. Per esempio, quadri bucolici del ‘700-‘800 in cui aveva
aggiunto automobili. Oppure, Madonne col bambino con l’aggiunta dell’ipod. O anche il quadro di
Millet, Le spigolatrici di grano, dove una bracciante nera è stata collocata fuori dal dipinto mentre
fumava una sigaretta. O, ancora il quadro di Damien Hirst, che viene cancellato da un topo.

La mostra raccoglieva circa un centinaio di sue opere, alcune delle quali erano facilmente
riconoscibili, mentre altre meno.

Questa mostra è stata la summa delle sue idee e delle sue provocazioni.

Nel 2010 ha realizzato una giostra per bambini: si tratta di un delfino impigliato in una rete e che
tenta di saltare un barile contenente petrolio. La sua era una manifestazione di protesta contro il
disastro avvenuto il 20 aprile 2010 nel Golfo del Messico→ un impianto era esploso causando un
grande rilascio di petrolio in mare. Il titolo è Pier Pressure.

La sua ultima installazione risale al 22 agosto 2015 in cui egli creò un parco divertimenti chiamato
Dismaland Bemused Park (nome ironico che gioca su Disneyland e l’aggettivo amused, per cui si
trattava di un parco lugubre/brutto e che causava sconcerto). Essa è stata realizzata nella contea
inglese del Somerset ed è rimasta per circa 5 settimane.

 Vi era il castello Disney in decadenza con vicino la carrozza di Cenerentola che però aveva
subito un incidente. Da questa sbucava la principessa apparentemente morta che veniva
fotografata dai paparazzi.
 C’era un’orca assassina che saltava fuori dal water per entrare in un cerchio tenuto da un
manichino.
 All’entrata c’era un mezzo della polizia messo in uno stagno fangoso ma trasformato in uno
scivolo per bambini.

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 Non molto lontano aveva realizzato tre barconi con cui i bambini avevano la possibilità di
giocare. In realtà questi erano i barconi dei rifugiati.
 All’interno del parco era trattato anche il tema dell’inquinamento presentato da alcune
paperelle galleggianti imbrattate di petrolio.
 Oppure vi era il fungo nucleare trasformato in una Play House.

08 Maggio 2017

Riprendendo l’argomento di Dismaland, vi sono alcune riflessioni da fare perché molti hanno
definito questo “progetto” come la parodia di Disneyland oppure come la sua versione horror, ma
ciò è estremamente riduttivo.

Innanzitutto, è evidente che l’estetica di Dismaland sovverte quella del classico parco dei
divertimenti, facendosi beffe dell’immaginario disneyano. Anche la comunicazione che egli ha
utilizzato, gioca su un’alternativa rispetto a quella di Disneyland.
Disneyland, infatti, viene sempre presentato nella comunicazione come il luogo più felice del
mondo, mentre Dismaland era presentato come l’attrazione più deludente del Regno Unito.

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Un’altra cosa di cui tenere conto è che Disneyland è un amusement park, cioè un parco dei
divertimenti, mentre Dismaland era un bemusement park, cioè un parco che disorientava e lasciava
spiazzati.

Ma perché Banksy fa riferimento a Disneyland?

Il riferimento non è casuale perché per Banksy, Disneyland è l’emblema planetario di un’egemonia
culturale che ci alleva fin da piccoli, confezionando per noi sogni e rassicurazioni che ci
accompagnano poi, più o meno consapevolmente, per tutta la vita. E proprio per questo, il marchi
Disney è da sempre nel mirino di Banksy.

Per cui, dire che Dismaland è solo la versione horror di Disneyland è riduttivo perché in Dismaland,
Banksy utilizza l’estetica di quest’ultimo (la forma del parco divertimenti), ma ciò è solo un
supporto narrativo a quello che lui vuole raccontare: una critica alla cultura di massa.

Egli approfitta del potere evocativo dei simboli di Disneyland per esercitare una sorta di paradosso
(anche se, non va dimenticato, che Disneyland non fu l’unico bersaglio di questa sua azione).
Infatti, in Dismaland vi erano sì dei chiari riferimenti all’originale (Topolino, Ariel, Cenerentola),
ma non tutte le attrazioni avevano quest’impronta.

Nella completa sovversione di quello che Disneyland rappresenta, rientravano anche le espressioni
depresse dei dipendenti di Dismaland→ anche qui Banksy ribalta l’elemento originale. Il personale
di Dismaland, infatti, era volutamente scontento, scontroso e indifferente (al punto che gli stuart
accoglievano i visitatori con sguardi vacui, sussurrando uno stanco “Buongiorno” e indossando le
orecchie da topolino e i gilet rosa acceso, che contrastavano con l’atmosfera deprimente del parco).

Da dove venivano queste persone? Durante il periodo in cui Banksy stava allestendo il parco, il
cantiere rimase completamente recintato. La voce che Banksy aveva fatto circolare era che stavano
girando un film per cui stavano cercando delle comparse. Tutte le persone che si presentarono,
divennero, invece, il personale di Dismaland (gente che avrebbe voluto recitare e che poi, alla fine,
recitò davvero nel parco).

Oltre agli stuart, c’erano anche delle guardie che assalivano i visitatori ai cancelli d’ingresso per
pseudo controlli di sicurezza. Anche questi erano attori che impersonavano un po’ il cliché
universale dello sbirro (tronfi, aggressivi, avevano un atteggiamento arrogante e insistevano con
severità per controllare ogni borsa e oggetto in mano alle persone che entravano. Infatti, facevano
passare i visitatori sotto un metal detector fatto, però, di cartapesta bianca. Di fatto, tutti gli
strumenti come computer, telefoni e telecamere, erano tutti finti. La performance di questi pseudo
sbirri si concludeva a una condizione: che le persone non avessero con se stancil, bombolette o
adesivi. Si trattava, ovviamente, di una presa in giro e non di un controllo effettivo).

Dismaland è, comunque, un’opera che ha vari livelli di lettura e per poterli comprendere è
necessario far riferimento all’esperienza personale di Banksy, anche e soprattutto per capire le dieci
opere inedite che disseminò nel parco (proprio perché non tutte le opere erano sue. Infatti, egli
collaborò con diversi artisti).

Il primo livello di lettura è quello del semplice


divertimento, dell’originalità e dell’horror. Alcune cose,
infatti, sono immediatamente percepibili, come l’opera
Mediterranean Boat Ride che rappresenta i barconi che

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attraversano il Mediterraneo e che prende il posto delle barchette che si trovano solitamente nei
parchi divertimenti. Mentre, invece, ci sono altre opere che non
sono immediatamente comprensibili, a meno di non conoscere la recente storia inglese. Per
esempio, una delle attrazioni principali dei parchi di divertimento sono le giostre, ma in quella di
Dismaland vi è un cavallo che è stato ucciso e macinato per diventare carne delle lasagne. Questo fa
riferimento a un fatto di cronaca successo recentemente in Inghilterra perché l’autorità britannica di
sicurezza alimentare ha scoperto dal 60% al 100% di carne di cavallo non dichiarata nelle lasagne
Findus. Un’altra opera che potremmo far fatica a capire è
quella che rappresenta l’orca assassina che fuoriesce da un wc e salta in un cerchio per finire poi in
una piscinetta gonfiabile per bambini. Per capirla bisogna ricordare che l’orca è il simbolo del Sea
World, che è uno dei più grandi parchi acquatici di Disney. Inoltre, il posto dove è stata realizzata
Dismaland, ovvero, il Somerset Weston Super Mare, era il luogo dove un tempo vi era un parco dei
divertimenti chiamato Tropicana che Banksy da piccolo aveva frequentato molti anni, finché questo
non venne abbandonato a se stesso. Nella brochure
ufficiale, Dismaland veniva descritta come “festival di arte, divertimenti e anarchia per
principianti”. Pertanto, Dismaland è stata un gioiello di quella Guerrilla Art di cui Banksy è, ancora
oggi, uno dei maggiori rappresentanti.

Il parco rimase aperto dal 22 agosto al 27 settembre 2015, accogliendo 4 mila visitatori al giorno.
Le attrazioni totali erano 18 distribuite in maniera circolare attorno al “castello delle favole”. Il
castello di Dismaland, però, era malandato, decrepito e circondato da uno stagno fangoso, dove era
affondato un camion delle polizia, trasformato in scivolo per bambini.

Nelle varie installazioni, gli aspetti positivi venivano volti al negativo. L’esempio più famoso è
quello della carrozza di Cenerentola, vittima di un incidente, dove il cadavere della giovane è
riverso a terra ed è subito circondato da paparazzi. Qui Banksy voleva colpire la comunicazione un
po’ sensazionalistica dei mass media.

Mike Ross, artista americano di Brooklyn, è il realizzatore di


un’altra opera molto interessante chiamata Big Dig Jig, che è
sia una scultura sia un’opera architettonica. Essa rappresenta
due camion cisterna uniti tra loro. I visitatori potevano
entrare nel primo camion cisterna, salire attraverso la
petroliera e giungere alla piattaforma superiore. Lo scopo era
evidenziare l’uso insostenibile del petrolio.

Un’altra opera, realizzata questa volta da Banksy, è intitolata


Pocket Money Loans che è un chiosco che offre mutui per
bambini la cui paghetta non è sufficiente per comprare quello
che desiderano. Il tutto propagandato da manifesti con bambini
sorridenti che invitavano le persone a entrare con la scritta:
“Liberati dai tuoi debiti chiedendo un prestito”.

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Tra gli altri artisti che parteciparono alla realizzazione di Dismaland vi fu anche Damien Hirst che
realizzò un’opera intitolata The History of Pain che consisteva in un pallone gonfiabile che si
manteneva pericolosamente sospeso nel vuote su una selva di coltelli, mentre un soffio d’aria
continuava a farlo muovere.

Poi vi era anche l’opera di Dietrich Wagner intitolata Play House, che rappresentava un fungo
nucleare in cui era stata ricavata una capanna per bambini.

Come detto, il parco rimase aperto per cinque settimane accogliendo 150 mila visitatori e
incassando 20 milioni di sterline. Inoltre, gran parte delle installazioni sono poi state trasferite in un
centro profughi a Calais per essere trasformate in case di accoglienza (essendo fatte di legno).

Esperienza di una ragazza a Dismaland

Nei 150 mila visitatori c’era anche questa ragazza, una non esperta d’arte, che la descrive come la
più bella esperienza di arte contemporanea della sua vita. Inizialmente, ella era scettica perché
temeva la solita storia: di veder trasformata in un’operazione commerciale le idee di Banksy.
Questo anche a seguito della frustrazione della ricerca dei biglietti online, assolutamente introvabili,
se non ricorrendo ai bagarini che però avevano messo il 2000% in più sul prezzo del biglietto, che
era di 3£ e alla lunga coda in macchina sotto la pioggia.

All’inizio ci si guarda intorno, alzando gli occhi dallo smartphone, è si vede l’umanità in attesa di
entrare: giovani; famiglie con bambini, alcuni vecchi inglesi in tweed; alcune ragazze con gli
infradito nel fango; bimbi a piedi nudi che giocavano nella sabbia gelida. Quindi, tutte persone
normali. Dismaland, una volta dentro, bisognava capirla da sola, a proprio modo e senza che
nessuno spiegasse nulla (per esempio vi era un distributore di merendine che conteneva feti di
plastica o un’installazione che rappresentava la morte che ballava Staying alive).

Le attrazione non incluse nel prezzo, che costavano 1£ ciascuna, erano “presidiate” da un addetto
che allungava spudoratamente la mano per chiedere quella sterlina, come se stesse chiedendo
l’elemosina.

Banksy e la Palestina

Banksy si è occupato molto della Palestina e del dramma dei palestinesi divisi da un muro. Nel
2005 Banksy organizzò a Betlemme una sorta di mostra che chiamò Il ghetto di Babbo Natale in cui
voleva richiamare l’attenzione sulla situazione in Palestina. Nel 2002, infatti, i due stati, la Palestina
e Israele, erano stati separati da un muro lungo 730 km, perennemente presidiato da guardie, che
secondo il diritto internazionale era illegale. Banksy chiamò, quindi, artisti da tutto il mondo e mise
le loro opere, insieme alle sue, all’aste, raccogliendo più di 1 milione di dollari tuttavia, chi voleva
acquistare queste opere doveva sottostare a una condizione: recarsi personalmente in Palestina per
rendersi conto della situazione del paese. I soldi vennero utilizzati per opere di beneficienza e per
pagare la retta universitaria a 30 ragazzi con difficoltà economiche. Si trattava di opere disseminate
sui muri di Betlemme, Abu Dis e Ramallah; 9 appartenevano a Banksy ed erano, sicuramente, le più
ironiche ma anche quelle che più invitavano alla speranza→ una forma di evasione per il popolo
palestinese, con cui Bansky si schiera in quanto popolo costantemente perseguitato e posto sotto
controllo.

Di questa avventura, Banksy ha riferito quanto sia stato difficile dipingere in questi luoghi. Infatti,
non ha mai osato dipingere di notte per paura di rimanere ucciso. Probabilmente se il governo

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israeliano avesse saputo che gli stancil di Banksy erano a favore del popolo palestinese, non gli
avrebbero mai dato il permesso.

Le opere volevano evidenziare lo squilibrio tra il popolo palestinese e quello israeliano,


stigmatizzando la supremazia di quest’ultimo e le umiliazioni subite dai palestinesi, ma anche
mostrare le vie di fuga da questa situazione. Questa zona, infatti, fu descritta da Banksy come il
carcere all’aperto più grande del mondo.

Una delle opere più significative è Armored Dove che rappresenta una colomba che indossa un
giubbotto antiproiettile e ha nel becco un ramo d’ulivo e che ha un mirino puntato al cuore
(contrapposizione tra pace e guerra).
Un’altra è quella che rappresenta un asino a cui un soldato israeliano sta controllando i documenti.
Lo stancil è stato però cancellato dagli stessi palestinesi che non volevano essere rappresentati come
degli asini. In realtà, si trattava di una presa in giro del soldato che controlla tutti, persino gli asini.

09 Maggio 2017

Un’altra opera realizzata sempre a Betlemme è quella che


rappresenta un salottino con un tavolino, due poltrone e un vasetto
di fiori sopra che guardano verso una finestra aperta su un bel
paesaggio montano. Qui l’idea era quella dell’evasione.

Un altro lavoro realizzato con la stessa tecnica è quello intitolato


Children on the beach che rappresenta i due bambini intenti a
giocare sul marciapiede (opera già vista). Sullo sfondo s’intravede
una scena paradisiaca che contrasta con la povertà dei bambini, uno
dei quali osserva direttamente lo spettatore. L’effetto ottenuto qui è
chiamato trompe d’oeil (ingannare l’occhio) ed è utilizzato per far sembrare che il paesaggio sia
vero.

Il trompe d’oeil è l’illusione di stare a guardare oggetti o


situazioni tridimensionali che però sono dipinti su una
superficie bidimensionale. Uno dei trompe d’oeil più famosi
è l’opera di Andrea Mantegna La camera degli sposi
(meglio nota come La camera Picta) che si trova nel
palazzo ducale di Mantova ed è del 1464. Infatti, la cupola

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sembra aperta, con il cielo che si scorge dal buco e questi angioletti che sembrano affacciarsi a una
sorta di balaustra.

Un’altra opera di Betlemme è quella del soldato con la bambina in cui si ha un sovvertimenti di
ruoli perché non è il soldato che perquisisce la bambina, ma il contrario. Tuttavia, oggi vicino
all’opera è stato costruito uno shop che vende oggetti dedicati a Banksy che ha finito per rovinare
l’opera stessa.

Le opere più belle, però, sono quelle che presentano l’effetto trompe
d’oeil, soprattutto quando questo si traduce in un tentativo di scavalcare
il muro stesso. Per esempio, ve n’è una che rappresenta il muro rotto dal
quale poi s’intravede un altro paesaggio idilliaco. Il titolo è Break in the
wall with a child and sand bucket.

Un’altra opera realizzata sempre su un muro è quella che ritrae un


bambino ai piedi di una scala che arriva in cima al muro, dando
l’impressione che possa andare al di là.

Lo stesso vale per lo stancil, realizzato sempre sul muro, che rappresenta
una bambina che viene trasportata da un paio di palloncini.

Con quest’iniziativa importante sono


iniziati dei pellegrinaggi di gente
appassionata di Street Art o Guerrilla Art,
che si sono ritrovati spesso a cercare sotto strati di vernice bianca
le opere di Banksy (poiché poche sono sopravvissute). E poi ci sono stati i tassisti che facevano fare
i tour ai turisti, anche se le opere non esistevano
più.

L’ultima trovata, inaugurata il 20 marzo 2017,


inventata da Banksy è quella dell’hotel, chiamato

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L’albergo murato (The Walled off hotel). Si tratta dell’hotel con la peggior vista al mondo, anche se
pare che sia richiestissimo e prenotatissimo.

La vista è proprio quella del muro poiché l’hotel è


stato costruito a ridosso di quest’ultimo. Tra l’altro il
nome gioca un po’ sull’assonanza con una famosa
catena di alberghi di lusso inglesi. L’hotel esisteva
già da prima, l’unica cosa che è stata fatta è la
ristrutturazione dato che l’hotel versava in condizioni
critiche proprio a seguito della costruzione del muro.

Banksy ha decorato 7 delle 9 camere, mentre le altre due sono opera di artisti provenienti da tutto il
mondo. Il must è la Banksy Room dove l’ospite può dormire con sopra un murales di Banksy che
rappresenta la guerra tra palestinesi e israeliani, ma fatta con i cuscini.

Si tratta di un luogo che è un mix tra hotel, arte e protesta.

L’idea che lo ha spinto ad aprire questo hotel era sia di ridare slancio all’economia palestinese,
pregiudicata dalla costruzione del muro, sia cercare di mettere in relazione le due parti in guerra.
Per cui, questo hotel con la peggior vista al mondo, vuole proprio contestare la costruzione del muro
stesso.

← Questa è la camera con la miglior vista sul muro. Tant’è che per
vederlo ancora meglio è stato posto al suo interno un cannocchiale.

← Questo è il bar.

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← Questa è quella che si potrebbe definire la suite
dell’albergo. È completamente rossa e sopra al letto vi è un
quadro con un cuore di metallo che attorno ha del filo spinato.

← Questa è la reception.

Questo è un bagno →

← Questo è il piano bar che è un’irriverente celebrazione


dell’epoca coloniale (angioletti con la maschera anti gas e le armi
alle pareti) perché la Gran Bretagna prese il controllo della
Palestina nel 1917.

← Un’altra sala presenta questo caminetto finto (sia


nelle pietre sia nell’immagine). La spiegazione è che nel
2017 ricorre il centenario della dichiarazione di Balfour
in cui la Gran Bretagna si esprimeva a favore della
creazione in Palestina di un focolare nazionale per dare
ospitalità agli ebrei che vivevano già in Palestina e per
quelli sparsi nel mondo (primo intento per la creazione
dello stato d’Israele).

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L’attenzione che Banksy pone sui problemi grossi e mondiali è fatta allo scopo di far si che questi
non vengano dimenticati e che vi si possa riflettere. Pertanto, Banksy incarna alla perfezione quello
che dovrebbe essere il ruolo della Street Art: quello di provocare, ma anche di far riflettere.
Ovviamente, poi per essere uno Street Artist di un certo livello è necessario un notevole background
culturale e artistico.

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