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VERSO LA RIVOLUZIONE RUSSA

La rivolta del 1905

La domenica del 22 gennaio 1905 (9 gennaio anno giuliano) fu per la dinastia degli
Zar, un colpo decisivo verso la disgregazione del loro secolare impero.
Quel giorno un prete, il pope GEORGIJ APOLLONOVIC GAPON, si mise alla testa di
oltre centomila lavoratori diretti verso il palazzo d'inverno sede dello ZAR NICOLA II,
quel giorno assente, con la richiesta di protezione e di riforme che andassero
incontro alla loro misera situazione.
Non era una manifestazione antizarista, molti lavoratori avevano con se immagini e
ritratti di Nicola II, ma la polizia fedele allo zar dimostro' tutta la propria incompetenza;
apri' il fuoco verso i manifestanti credendo di trovarsi davanti ad una folla ostile; i
morti furono circa un centinaio, molto di più i feriti.
Un moto di indignazione si diffuse ben presto in tutto il paese. Scoppiarono altre
agitazioni spontanee a Varsavia e a Riga con scontri con le truppe governative e si
registrarono altre perdite in vite umane. Fu la cosiddetta "Domenica di sangue" e
molti storici asseriscono che da quel giorno lo zar perse la fiducia di quasi tutti i
lavoratori, rimastigli fino allora fedeli.
Ormai da tempo l'opposizione al regime andava montando: lo sviluppo dell'industria e
l'espandersi del capitalismo avevano colto impreparata la societa' russa. La nascita
di nuove fabbriche concentrate nelle citta' aveva creato una massa di proletari che vi
lavoravano e che sempre piu' andava assumendo una coscienza di classe, e sempre
piu' reclamava un miglioramento delle proprie condizioni, visto che il lavoro si
svolgeva in ambienti sporchi e malsani con una paga irrisoria.
Inoltre, era sempre irrisolta la questione agraria che da secoli affliggeva la Russia. La
servitu' della gleba era stata abolita dallo zar ALESSANDRO II solo nel 1861, ma in
quegli anni i contadini parevano intravedere un barlume di speranza. Finalmente si
sarebbero dovuti veder assegnare parte delle terre che lavoravano. Ma all'iniziale
entusiasmo subentro' ben presto la rabbia, le terre assegnate erano scarse ed
improduttive, le migliori restavano nelle mani dei nobili che venivano pure
indennizzati per le terre date ai loro ex-servi. Per cui la questione contadina era ben
lungi dall'essere risolta ad inizio secolo.
Ma vi era anche un'opposizione detta liberale, formata da medici, professori o
ingegneri, che mal sopportava il clima reazionario di fine secolo e che spingeva verso
riforme che aprissero di piu' la Russia al mondo esterno.
Cosi' l'opposizione comincio' a darsi delle organizzazioni: i liberali formarono nel
1902 "l'unione della liberazione" che nel 1905 divenne partito dei cadetti. Piu' a
sinistra erano nati due partiti di grande importanza: il socialdemocratico,
dichiaratamente marxista, e il socialrivoluzionario che si richiamava alla tradizione
populista ed era forte nelle campagne russe. Il socialdemocratico in seguito ai
congressi di Londra e Bruxelles, visto che in patria fu dichiarato illegale, si scisse in
due componenti: la MENSCEVICA, piu' moderata, e la BOLSCEVICA, che puntava
su un nucleo di rivoluzionari di professione ed alla cui guida c'era VLADIMIR ILIC
ULIANOV meglio noto come LENIN.
Dunque il nuovo secolo cominciava per gli zar sotto i peggiori auspici, un po'
ovunque vi erano proteste e scioperi, ma sostanzialmente il governo pareva riuscire
a restare in sella e tuttavia in un momento in cui anche minime aperture, specie
verso il popolo, si stavano rendendo necessarie niente di tutto cio' avvenne, anzi il
regime si scredito' ancora di piu' in seguito alla disastrosa sconfitta rimediata in
oriente ad opera del Giappone, in una guerra portata avanti in larga misura per
distogliere l'attenzione del popolo dalla situazione interna e sperando in una grande
vittoria che avrebbe compattato la societa' col suo zar.
Tutte queste tensioni finirono per esplodere definitivamente nella gia' citata
"Domenica di sangue", che fu una sorta di punto di non ritorno.
Sotto pressioni ormai insostenibili lo zar decise di cominciare a venire incontro alle
richieste dei sudditi. Aboli' alcune leggi illiberali, promulgo' la tolleranza religiosa e
promise un parlamento (la DUMA) con funzione solo consultiva. Ma ormai non
bastava piu', si voleva un vero parlamentarismo, il popolo rispose con un grandioso
sciopero di 10 giorni, durante il quale la Russia si fermo'. E fu in quel momento che a
Pietroburgo si formo' il primo SOVIET, un consiglio di operai, che 12 anni dopo
ebbero un ruolo centrale nella RIVOLUZIONE BOLSCEVICA.
Fu cosi' che NICOLA II dovette allargare le sue concessioni, egli varo' il cosiddetto
"MANIFESTO DI OTTOBRE" nel quale prometteva una Duma con reali funzioni
legislative, liberta' civili e politiche oltre che il suffragio universale.
Le successive "LEGGI FONDAMENTALI" del maggio 1906 parvero dettero corpo a
quanto promesso; tuttavia il potere dello zar restava enorme: egli controllava
l'esercito, aveva solo lui il diritto di dichiarare guerra, cosi' in sua mano restava la
politica interna ed estera ed inoltre poteva sciogliere la Duma.
Ma parte dell'opposizione moderata fu soddisfatta, vedeva la Russia avanzare verso
l'auspicato liberalismo, ma l'opposizione piu' radicale non accetto' quelle che reputo'
concessioni minime; voleva un'assemblea costituente e riteneva eccessivo il potere
dello zar.
Tuttavia, per la prima volta si voto' col suffragio universale e si formo' una Duma con
una maggioranza ostile al governo, e ben presto lo zar comincio' a non tollerare le
richieste a suo dire troppo radicali della Duma.
La grande questione era quella della terra, la maggioranza della Duma voleva che
essa fosse davvero distribuita a chi la lavorava ponendo un freno al potere dei
latifondisti, ma da quell'orecchio lo zar pareva non sentirci. Fu cosi' che decise di
sciogliere la Duma e di indire nuove elezioni, ma la maggioranza fu ancora ostile allo
zar ed anche la seconda Duma ebbe vita breve e fu sciolta dopo 3 mesi.
A questo punto NICOLA II decise di cambiare arbitrariamente la legge elettorale, atto
molto grave che fini' per alienargli quella parte del consenso ottenuto con le prime
concessioni del manifesto d'ottobre. Il suffragio divenne ristretto, in modo che la
maggioranza fosse dei ricchi possidenti e che l'opposizione piu' radicale venisse
emarginata.
Inoltre NICOLA II, nomino' primo ministro STOLIPYN, un reazionario, ma di grande
abilita'. Egli intraprese una lotta durissima con quelli che definiva rivoluzionari, ma
capi' anche che era necessario non chiudersi in un grigio conservatorismo e cerco' di
attirare dalla propria parte i contadini con una riforma agraria. La politica di Stolypin
e' ancora oggi oggetto di varie interpretazioni, c'e' chi dice che la sua fu una riforma
che andava nella giusta direzione e chi invece definisce la sua politica un modo per
salvaguardare ancora di piu' i grandi latifondisti.
Stolypin punto' a creare un gruppo di agricoltori che , resi autonomi, sarebbero dovuti
diventare fedeli allo zar, sciogliendo le comuni contadine create dopo il 1861 e
facendo nascere singoli proprietari.
Fu un'opera importante, ma davvero ben lontana dal risolvere i veri problemi delle
campagne, la vita dei contadini rimase povera ed inalterato il potere feudale. In
politica interna, su mandato dello zar, Stolypin agi' col pugno di ferro, cercando di
infliggere duri colpi ai gruppi radicali che sempre piu' andavano formandosi; numerosi
furono gli arresti e le condanne a morte. Ma lo stesso Stolypin il 14 settembre 1911
venne ucciso da un poliziotto affiliato ad un gruppo terroristico.
Ormai ci si stava avvicinando alla guerra mondiale e la Russia stava per entrarvi in
condizioni di troppa arretratezza e con troppi squilibri. Le due Dume elette dopo il
cambio della legge elettorale non avevano fatto altro che esacerbare ancora di piu' gli
animi.
Tuttavia sarebbe ingiusto dire che la Russia era un paese povero e disastrato,
l'industria c'era e fiorente era il commercio con l'estero, ma la ricchezza restava in
poche mani. Da una parte poche persone ricche, dall'altra una massa di diseredati.
La Russia aveva ottime scuole e valide universita', ma il sapere era per pochi, solo
per i rampolli delle famiglie nobili.
Nelle fabbriche la legislazione sociale era ben poca cosa di fronte alla triste vita degli
operai, ai miseri salari, ai massacranti turni di lavoro. Per non parlare della cronica
arretratezza contadina, nelle campagne ci si sentiva traditi, le promesse fatte non si
erano realizzate. I contadini volevano le terre dei padroni, altre concessioni non gli
interessavano.
Con queste paurose differenze sociali la Russia si stava apprestando ad entrare nel
conflitto mondiale, durante il quale la dinastia zarista dei ROMANOV, nella persona
di Nicola II, conobbe la propria definitiva capitolazione durante quelli che vennero poi
chiamati "i dieci giorni che sconvolsero il mondo" che portarono i bolscevichi diretti da
LENIN a prendere il potere ed ad abbattere una dinastia secolare.
LA RUSSIA
Dalla prima guerra mondiale all'ottobre 1917

Il 28 giugno 1914, a Sarajevo, l'erede al trono asburgico, l'Arciduca FRANCESCO


FERDINANDO, venne assassinato da uno studente nazionalista (PRINCIP)

L'Austria lancio' un ultimatum alla Serbia, presto trasformatosi in una dichiarazione di


guerra; e con l'impero austro-ungarico si schiero' la Germania.
La Russia voleva assolutamente evitare un'avanzata austriaca nei Balcani e decise
di stare dalla parte serba. La stessa cosa fece la Francia e piu' tardi l'Inghilterra. Ad
esse si aggiunse poi anche l'Italia. Era la prima guerra mondiale, ma tutti erano
persuasi che sarebbe stato un conflitto di breve durata; la realta' fu ben diversa, fu
una spaventosa guerra che in tragiche e sanguinose battaglie vide la morte di oltre
10 milioni di persone. Ed alla sua conclusione imperi secolari, come quello tedesco o
austro-ungarico, erano stati cancellati.
Ed anche in Russia, la guerra segno' la fine decisiva della dinastia dei ROMANOV,
nell'ottobre del 1917, lo Zarismo venne spazzato via dalla rivoluzione comunista di
LENIN.
Ma, come abbiamo gia' visto ( RUSSIA 1905 ) ormai da tempo l'impero zarista era
attraversato da una grave crisi che nella guerra conobbe il suo atto finale.
Gia' le prime fasi del conflitto mostrarono l'inadeguatezza dell'esercito russo, che
combatteva con ardore, ma le armi erano scarse ed inefficienti, i soldati mal
addestrati e pareva non esserci alcuna programmazione; l'esercito spesso sembrava
un'armata allo sbaraglio. Vi era assenza di munizioni, trasporti e validi capi militari.
I disastri delle battaglie di Tannenberg e dei laghi Masuri subìti ad opera della
Germania furono la conseguenza di queste deficienze. Tuttavia l'esercito russo
combatteva con coraggio, riuscendo ad impegnare soprattutto gli austriaci nelle
prime fasi della guerra, e pur avendo subìto le due pesanti sconfitte dalla Germania
riusciva a tenere le potenze "tedesche" impegnate anche sul fronte orientale.
Ma i costi umani che la guerra nel corso dei mesi imponeva alla Russia diventarono
ben presto insostenibili. L'esercito russo sacrifico' al suo ardore quasi 5 milioni fra
morti e feriti. Il coraggio era inutile di fronte alla troppa disorganizzazione.
Naturalmente questo non poteva non avere ripercussioni interne, in patria la
situazione gia' critica con la guerra si fece insostenibile. Ben presto cominciarono a
mancare alimenti e ogni bene di prima necessita', l'impoverimento del popolo russo
aumento' a dismisura ed inoltre milioni di famiglie, specie contadine, vedevano partire
i loro giovani verso una guerra che si stava rivelando un'orrenda carneficina.
In quel momento lo zar NICOLA II avrebbe dovuto quantomeno accogliere alcune
minime richieste del popolo affamato, ma niente di cio' avvenne e le conseguenze
furono tragiche. NICOLA II poi, con una decisione quantomeno avventata, decise di
mettersi lui al comando delle forze armate, lasciando in pratica la Russia nelle mani
della Zarina, una donna di vedute miopi e reazionarie. Negli anni precedenti, di fatto il
potere in Russia era nelle mani dell'ambiguo consulente della zarina, il misterioso
monaco RASPUTIN, un uomo che ha alimentato numerose leggende.
Costui era un avventuriero d'origine contadina che, sfruttando il fanatismo religioso
della zarina, si era conquistato la sua fiducia, spacciandosi nientemeno che
"emissario di Dio". Il governo, i ministri erano in pratica succubi di Rasputin. A questo
punto anche negli ambienti aristocratici la situazione era giudicata non piu' tollerabile:
un vero governo in pratica non c'era, la guerra si era rivelata un disastro e nelle
piazze le agitazioni andavano montando. Gran parte dei deputati della Duma decise
che era ora di fare qualcosa. Era il febbraio 1917 (tra l'altro c'e' da segnalare che nel
dicembre del 1916 Rasputin, in circostanze mai pienamente chiarite, era stato
assassinato da esponenti di circoli conservatori)

LA RIVOLUZIONE DI FEBBRAIO
Nei giorni dal 23 al 26 febbraio (secondo il calendario russo) si consumo' il destino
dello Zar. In quei giorni Pietrogrado (nome assunto da Pietroburgo durante la guerra)
fu teatro di violente e spontanee manifestazioni di piazza contro la mancanza di viveri
e la diffusa poverta'. La polizia zarista, quella che sparo' sul popolo nella gia' citata
"domenica di sangue" del 1905, venne disarmata, anzi, in larga parte solidarizzo' con
gli insorti. Le truppe fedeli al regime richiamate dal fronte non riuscirono a giungere
sul posto per un massiccio sciopero dei ferrovieri.
Cosi' l'iniziativa la prese la Duma, contro il volere dello Zar. Venne formato un
governo provvisorio guidato dal principe LIVOV, tra i cui ministri c'erano il capo del
partito dei cadetti MILJUKOV e KERENSKIJ, unico esponente di sinistra.
NICOLA II, giudico' illegittimo questo governo, ma non pote' che prenderne atto e, su
insistenza dello stesso nuovo governo, fini' per abdicare. La futura guida istituzionale
- si disse - l'avrebbe decisa un'assemblea costituente. Cadeva cosi' il dominio degli
zar, era la cosiddetta rivoluzione di febbraio.
Nei mesi in cui il governo opero', circa 7 furono i provvedimenti presi, abbastanza
notevoli: vi fu davvero liberta' sia di stampa sia di parola sia di religione. I cittadini
divennero uguali davanti alla legge e fu sancito il diritto allo sciopero. Ma i nuovi
governanti dovettero ben presto rendersi conto di quanto la guerra aveva
radicalizzato la situazione. Il governo, pur nelle sue benevole intenzioni, ignoro' le
vere richieste del popolo: che chiedeva pace e terra.
Il popolo non voleva piu' la guerra, voleva le terre dei padroni ed una vera riforma
agraria.
Invece il governo decise di proseguire la guerra, non rendendosi conto che, specie
dopo la caduta dello Zar, l'esercito si stava sfaldando e migliaia di soldati tornavano
da disertori in patria desiderosi di farla pagare ai responsabili delle loro sofferenze.
Ma il nuovo governo aveva un altro insidioso avversario: dopo la caduta dello Zar si
era riformato il SOVIET DEGLI OPERAI, nato nel 1905 come abbiamo in precedenza
visto, che divenne ben presto una sorta di contropotere per il governo. Con il Soviet i
nuovi ministri si consultavano prima di prendere le loro decisioni, si creo' la
cosiddetta "dualita' di poteri". E ben presto in tutta la Russia i Soviet cominciarono a
spuntare come funghi; le masse cominciarono a vedere in quegli organismi le
persone che potevano davvero rappresentarle. Essi furono una sorta di pungolo per il
governo, e se inizialmente dominati da socialisti moderati, si rivelarono decisivi nella
futura rivoluzione di ottobre. Collaborazione tra governo e Soviet vi fu, ma la
questione della guerra e della terra li divise irrimediabilmente.
Gli attacchi contadini alle proprieta' padronali si moltiplicavano ed il governo
comincio' ad essere pressato anche dagli ambienti conservatori che chiedevano
ristabilimento dell'ordine.

LENIN E LE TESI DI APRILE


Il 16 aprile 1916, LENIN, leader del partito, all'epoca minoritario, bolscevico, torno' in
Russia dopo l'esilio decretato all'epoca di STOLYPIN, grazie, ironia della sorte,
all'aiuto tedesco che gli mise a disposizione un vagone ferroviario (indubbiamente si
aspettavano qualcosa in cambio una volta che Lenin avesse preso le redini della
rivoluzione). Fino a quel momento tra governo e Soviet vi erano stati contrasti, ma gli
operai ritenevano impossibile prendere loro il potere essendo ancora una forza
minoritaria.
LENIN invece, nelle sue "Tesi di aprile", stupi' tutti, anche all'interno del partito.
Assunse una posizione estrema e decisa: era ora che la rivoluzione da borghese
diventasse proletaria, la guerra aveva dimostrato il fallimento del capitalismo, era
l'ora del socialismo, l'ora che il potere andasse al popolo. "Tutto il potere ai Soviet"
diceva LENIN, basta con la guerra imperialista, i proletari mandati dai loro corrotti
governi ad ammazzarsi per nulla, dovevano in ogni contrada della Russia
solidarizzare.
LENIN auspicava una sorte di "guerra civile europea", ovunque gli sfruttati dovevano
reagire alle prepotenze dei loro governi. E, - disse ancora - era ora che le terre dei
ricchi padroni "arcisfruttatori" venissero confiscate e date a chi le lavorava. Non si
doveva piu' appoggiare il governo provvisorio, ma i Soviet dovevano prendere il
potere.
LENIN sapeva quali corde toccare, era un programma con venature demagogiche,
ma e' innegabile che veniva incontro alle vere esigenze del popolo. Le masse, specie
contadine, non conoscevano ne' MARX, ne' il COMUNISMO, ma parole come PACE
e TERRA bastavano per accontentarli.
Tuttavia le resistenze che LENIN incontro' all'interno del partito furono notevoli, molti,
fra cui il giovane STALIN (1879-1953) lo reputarono un avventuriero.
Ma il governo sottovalutò la forza propulsiva delle tesi leniniane; la guerra era ormai
persa, ed era ora di uscirne, ma cio' non avvenne.
I contadini rischiavano di diventare una massa senza controllo. Verso l'inizio
dell'estate del 1917 gli assalti alle proprieta' dei ricchi assunsero i connotati di una
rivolta incontrollata. Le dimore dei latifondisti vennero date alle fiamme, si
prendevano i loro averi, le loro terre, e numerosi furono gli omicidi. Vasti settori
nobiliari chiesero con insistenza che il governo ristabilisse l'ordine.
E' tuttavia bene sottolineare, il carattere spontaneo di quei moti, nessuno dirigeva gli
operai o i contadini che si ribellavano, erano mossi solo dall'odio verso i ricchi. Come
e' stato dagli storici sottolineato, le masse erano ben lungi dall'essere già
bolscevizzate, agivano d'istinto e con gli atavici livori nei confronti dei loro sfruttatori.
Ma LENIN con abilita' ed un po' di cinismo capi' l'importanza che potevano assumere
quei moti, si era formato un clima ideale per abbattere il potere.
Nel governo vi furono importanti cambiamenti, KEREMSKIJ divenne primo ministro
ed il leader del partito socialrivoluzionario, CERNOV, forte nelle campagne, ministro
dell'agricoltura. Ma non servi' anzi, il governo si stava screditando e stavolta a tutto
vantaggio dei bolscevichi che mai vollero entrare a farvi parte.
Quando nel luglio 1917 gruppi di soldati, marinai ed operai tentarono un colpo di
stato, LENIN giudico' prematuro il moto, ancora non aveva ottenuto l'auspicata
maggioranza alla sua linea nei soviet. Cosi' quel tentativo di prendere il potere, venne
duramente stroncato e fu allora che vasti settori della destra, capeggiati dal generale
KORNILOV, chiesero di arrestare i bolscevichi e di ristabilire l'ordine al piu' presto
anche nelle campagne. Il governo capeggiato da KERENSKIJ fece arrestare
numerosi seguaci di LENIN, ma ben presto si trovo' sospeso nel vuoto. L'obiettivo di
KORNILOV era quello di far cadere KERENSKIJ e di prendere lui il potere, il che
avrebbe probabilmente voluto dire una dittatura militare, fu cosi' che minacciato da
destra e da sinistra KERENSKIJ si rivolse a quest'ultima e per la prima volta si
appello' al popolo.
Libero' i bolscevichi che lui stesso aveva arrestato e consegno' loro armi perche'
insieme ad altre forze socialiste salvassero il suo governo dalla minaccia di
KORNILOV.
L'operazione riusci', dal 9 al 14 settembre a Pietrogrado gruppi di operai
ingaggiarono un duello feroce con le truppe fedeli a Kornilov riuscendo a
sconfiggerle. Il governo era salvo e Kornilov venne arrestato, ma ormai Kerenskij si
era screditato agli occhi dei bolscevichi e di gran parte delle masse che lo
giudicarono ondivago ed opportunista.
Vi fu una nuova crisi ministeriale, Kerenskij formò il 25 ottobre il suo ultimo governo, il
prossimo lo avrebbe fatto Lenin.

LA RIVOLUZIONE DI OTTOBRE
Dopo che fu battuto KORNILOV, LENIN, che era nuovamente stato esiliato in
Finlandia, insiste' sempre piu' che ora era davvero il momento di prendere il potere.
Intanto raggiunse l'agognato obbiettivo: avere la maggioranza nei Soviet, specie in
quelli fondamentali di Pietrogrado e Mosca. A questo punto le sue pressioni verso
un'insurrezione divennero continue e con lui si distinse il futuro capo dell'armata
rossa: LEV TROCKIJ.
Ormai i bolscevichi vedevano aumentare ovunque i consensi, da partito minoritario
quale erano prima della guerra, interpretando LENIN i desideri del popolo e sapendo
ben adattare il programma bolscevico ai sommovimenti spontanei, i bolscevichi si
erano guadagnati un appoggio ormai molto vasto.
KERENSKIJ, ormai isolato, promosse una conferenza democratica per ridare
prestigio al governo, ma fu inutile, come inutile fu decretare di nuovo l'arresto dei
bolscevichi; non aveva piu' truppe fedeli in grado di eseguire i suoi ordini.
LENIN incoraggio' la spontaneita' rivoluzionaria. Manifesti che incitavano a prendere
il potere, ad espropriare i ricchi, a lottare contro gli oppressori borghesi; ed
esaltavano l'antico desiderio popolare di giustizia e vendetta sociale.
Cosi' lenin riusci' ad imporre la sua linea al partito anche a chi come KAMENEV
chiedeva un'assemblea costituente.
Il 12 ottobre TROCKIJ creo' un comitato militare rivoluzionario che comincio' i
preparativi per l'insurrezione.
La rivoluzione ebbe inizio il 25 ottobre 1917 e , come LENIN aveva previsto, incontrò
scarsissima opposizione. Kerenskij inutilmente cercò di chiamare truppe fedeli, poi
decise di fuggire.
Nella giornata del 25 i bolscevichi occuparono la capitale Pietrogrado, ed il 26
entrarono quasi indisturbati nel Palazzo d'Inverno.
Quel giorno nasceva il primo governo "socialista rivoluzionario della storia", e il
"Consiglio dei Commissari del Popolo".
I primi provvedimenti furono il decreto che sanciva la pace ed il decreto che dava le
terre ai contadini, attuando il quale, in pratica LENIN finì per adottare il programma
dei socialrivoluzionari che in passato non aveva condiviso la linea rivoluzionaria.
LENIN prese il potere convinto dell'imminente scoppio della rivoluzione a livello
europeo, il che non avvenne mai, ma in occidente il suo governo non venne visto
come duraturo, fu giudicato di passaggio, ma anche questa fu un'illusione.

I PRIMI ANNI DI GOVERNO BOLSCEVICO


Il nuovo governo bolscevico s'insedio' a Pietrogrado il 9 novembre 1917, LENIN n'era a capo,
TROCKIJ il responsabile degli affari esteri, mentre il "commissario del popolo per gli affari
interni" fu RIKOV. Tra i nuovi governanti c'era anche l'allora semi sconosciuto STALIN come
responsabile dei rapporti con le minoranze nazionali.
C'era ora da ricostruire un paese uscito prostrato dalla guerra, da ricreare il settore
industriale ed agricolo e da risollevare tutta l'economia. Non a caso, Lenin aveva preso il
potere nella ferma convinzione che di li a poco lo scoppio di una rivoluzione a livello europeo,
a partire soprattutto dalla Germania, avrebbe consentito una sorta di cooperazione
internazionale fra Russia ed Occidente.
Ma la convinzione dominante ovunque, in parte anche fra gli stessi bolscevichi, era che
difficilmente il nuovo governo avrebbe potuto durare e che la sua caduta sarebbe stata al
massimo, questione di mesi.
Verso la fine del 1917 si voto' per la creazione dell'assemblea costituente, una questione che
Lenin aveva rimandato, come abbiamo visto, a dopo la presa del potere (mentre alcuni
bolscevichi ne chiedevano la nascita quando ancora era in vita il governo provvisorio).
L'assemblea si riuni' per la prima volta il 18 gennaio 1918, ma essa a dispetto delle speranze
bolsceviche, segno' una netta maggioranza per i socialrivoluzionari, che ottennero, nelle loro
varie componenti, 410 seggi su 707. I bolscevichi n'ebbero solo 170, ma i partiti moderati,
praticamente scomparvero (i cadetti ebbero solo 16 seggi). Certo, si era votato in condizioni
particolari, ma cio' testimoniava quando la situazione si fosse radicalizzata nel corso della
guerra.
I socialrivoluzionari, partito comunque con connotati marxisti, e i bolscevichi insieme avevano
590 seggi ai quali si dovevano aggiungere gli ulteriori 16 dei menscevichi. La maggioranza
per i partiti di sinistra era schiacciante. Ma ai bolscevichi non basto'. Il voto contadino era
andato in massa ai socialrivoluzionari, ma Lenin sostenne che era diritto del proletariato
urbano delle fabbriche, roccaforte bolscevica, di decidere la vera forma di governo. Cosi' il 19
gennaio, truppe bolsceviche sciolsero l'assemblea con la forza. Da quel momento iniziava a
tutti gli effetti, il dominio bolscevico in Russia. Sarebbe terminato 72 anni dopo.
Tuttavia in quel frangente il popolo, ceti contadini compresi, non reagi' con particolari proteste
allo scioglimento dell'assemblea. Infatti, nelle campagne i contadini cominciavano a vedersi
assegnare le terre degli odiatissimi padroni e cio', unito alle promesse di imminente fine della
guerra bastava a contentarli.
Ed infatti, il primo vero provvedimento del governo bolscevico fu l'uscita dalla guerra,
attraverso l'armistizio con la Germania. Il protagonista delle trattative fu Trockij, ma arrivare
alla pace fu molto difficile. Le condizioni che la Germania voleva imporre alla Russia erano
tremende sotto il punto di vista territoriale ed economico. Nello stesso partito bolscevico,
molti esitavano davanti alle pretese tedesche, che rischiavano di annichilire definitivamente la
Russia, anche se ancora confidavano che presto anche in Germania la rivoluzione avrebbe
risolto tutto. Fu Lenin che decise di tagliare la testa al toro, fondamentale disse che era l'ora
di "uscire dalla guerra", perche' lo voleva il popolo, che cosi' anche piu' in fretta avrebbe
dimenticato lo scioglimento dell'assemblea costituente. Si arrivo' allora alla pace di Brest-
Litovsk. Le condizioni imposte alla Russia furono davvero terribili. Essa perse: Finlandia,
Lettonia, Estonia, Lituania, Ucraina e Polonia, quasi 1/4 del suo territorio. In piu' dovette
cedere un numero enorme di zone agricole oltre a fabbriche e miniere.
Era una vera catastrofe, che pero' venne parzialmente attenuata quando la Germania fu
irrimediabilmente sconfitta nella guerra dalle forze dell'intesa (ed, ironia della sorte, tocco'
allora alla Germania subire una pace punitiva di dimensioni enormi, voluta soprattutto dalla
Francia, cioe' la pace di Versailles).
In politica interna intanto i bolscevichi avevano cominciato a dare ai contadini gran parte delle
terre disponibili, iniziando una collaborazione col mondo rurale, destinata ben presto ad
incrinarsi.
(E' di questo periodo -1918- la nascita dei primi KOLKHOZ. Cooperative volontarie di
contadini, proprietari dei mezzi di produzione usati, mentre la terra rimaneva di proprietà dello
stato che la cedeva gratuitamente in uso al kolchoz. Questa istituzione divenne dal 1927 il
fulcro della collettivizzazione agricola forzata.
Comitati di operai si formarono nelle fabbriche dove i lavoratori potevano controllare la
produzione ed avevano ottenuto le auspicate otto ore lavorative. Nella primavera del 1918 il
governo decise poi di avviare un'ampia opera di nazionalizzazioni e fu cosi' che banche,
industrie e l'intero commercio fini' nelle mani dello Stato.
Naturalmente adesso si doveva trovare il personale in grado di gestire tutto cio', e la
creazione di un apparato statale valido fu uno dei piu' grandi problemi dei primi mesi di
governo bolscevico. Ed inoltre ben presto i rapporti con le masse contadine peggiorarono. La
nazionalizzazione delle terre imponeva che i contadini consegnassero parte delle eccedenze
della loro produzione allo Stato, che li avrebbe indennizzati per quanto ceduto. Ma la cosa
era assolutamente improponibile, perche' la quantita' di cereali, grano, mais o altro ancora
che lo stato comincio' a richiedere era ben superiore alle capacita' di produzione del mondo
rurale e gli indennizzi erano ben poca cosa. Fu cosi' che la risposta dei bolscevichi per
garantire l'approvvigionamento dello stato fu quella di creare le cosidette "squadre
annonarie" che si sarebbero occupate di requisire ai contadini i beni in eccesso. Inoltre in
questo compito furono coadiuvati dalla polizia politica creata dai bolscevichi fin dai primi mesi
di governo: la CEKA.. L'esigenza di avere una sorta di "guardiano della rivoluzione" era infatti
nata fin da subito. I poteri della Ceka, formata da nuclei di bolscevichi fedeli, erano molto
estesi, essa doveva snidare i "controrivoluzionari" e i "nemici del popolo". Poteva incarcerare
e procedere ad esecuzioni sommarie qualora lo ritenesse necessario. Fu presieduta da
DZERZINSKIJ ed ebbe la sua sede nel famigerato palazzo della Lubjanka. Il ruolo delle
squadre annonarie e della Ceka divenne ancora piu' importante, come vedremo, nell'era del
"comunismo di guerra".
Qui preme sottolineare un'altra questione centrale che fini' col lacerare in lunghe discussioni
il partito bolscevico. Come accennato le nazionalizzazioni rendevano necessario creare un
apparato burocratico ed amministrativo efficiente. Uno degli slogan che aveva dominato negli
anni della rivolta era: " potere alle masse" .
Ma le masse erano davvero in grado di gestire il potere? Ben presto Lenin capi', che la
risposta a quella domanda era no. Nelle fabbriche ad esempio gli operai esercitavano il
controllo operaio, il piu' delle volte divertendosi ad ingiuriare e malmenare gli ex-proprietari
declassati, col rischio che alla fine a rimetterci era la produttivita'. Lenin, indubbiamente con
lucidita', capi' che non era possibile dare il potere in mano a persone che avevano contribuito
alla vittoria bolscevica, ma che non avevano nessuna esperienza, ne' tantomeno
conoscevano l'economia.
Nacque cosi' il dibattito sui cosiddetti specialisti borghesi, in altre parole sul ruolo da
assegnare alle persone formatesi al tempo degli zar, ma in possesso delle adeguate
competenze per gestire l'apparato statale. Ed il loro ruolo fu di grande importanza per lo
sviluppo della futura societa' russa. Cosi' Lenin riconobbe che nelle fabbriche gli operai
dovevano controllare la produzione e non essere sfruttati, ma che era ugualmente necessario
che vi fosse qualcuno che conosceva i mezzi per produrre e che coordinasse gli operai nel
loro lavoro. E questo qualcuno era quasi sempre un ex- funzionario zarista. Naturalmente la
base operai non accetto' queste decisioni, loro odiavano profondamente i vecchi padroni, ma
dovette adeguarsi. Lenin fu infatti irremovibile, per incentivare l'economia ed aumentare la
produzione il ricorso a chi gia' conosceva il mestiere era fondamentale. Per cui stimo'
necessario che, per esempio, medici, ingegneri, professori, formatisi nelle scuole zariste
venissero tutelati e ben pagati pur essendo afflitti da "una mentalita' borghese" .
Naturalmente pero', per evitare che creassero problemi, che facessero propaganda
antibolscevica vennero anche pesantemente controllati in tutte le loro azioni. Ma anche per
esempio nella costruzione dell'armata rossa, il ruolo degli ex-ufficiali zaristi fu fondamentale
per sviluppare un esercito forte ed addestrato; i nuclei proletari avevano entusiasmo, ma
scarsissime conoscenze dell'arte militare.
Se parte degli specialisti borghesi vennero costretti a collaborare, bisogna riconoscere che
molti lo fecero davvero con convinzione. D'altronde trovare un'intesa era nell'interesse sia del
partito sia degli stessi specialisti. E' pero' vero che essi spesso rischiavano di essere i capri
espiatori di qualsiasi problema venisse a crearsi, e questo specialmente nelle fabbriche piu'
lontane dalla capitale.

IL COMUNISMO DI GUERRA
Abbiamo visto che l'iniziale accordo tra Stato e ceto contadino, si era andato incrinando con
la nascita delle prime squadre annonarie che avevano il compito di requisire il surplus
agricolo. Presto il conflitto divenne una vera e propria guerra, quando cioe' venne instaurato il
cosiddetto "comunismo di guerra". Per garantire la produzione e gli approvvigionamenti si
creo' una vera e propria militarizzazione della societa' dal 1918 al 1920. In quegli anni il
partito fu per lungo periodo isolato dal paese e resto' in sella spesso grazie solo al pugno di
ferro.
Il lavoro divenne obbligatorio, si era pagati (spesso in natura) in base a quanto si produceva, i
sindacati vennero scavalcati, i lavoratori non potevano lasciare il posto di lavoro ne'
tantomeno scioperare. In caso contrario la Ceka reagiva con estrema brutalita'. Fu introdotto
un rigoroso razionamento ed aumentarono a dismisura le "missioni" delle squadre annonarie
nelle campagne.
Ma nelle zone rurali, e poi anche nelle fabbriche, la reazione fu dura. Cominciarono ben
presto a scoppiare una lunga e violenta serie di scioperi di protesta e di insurrezioni
contadine col risultato che il paese fini' nel caos totale. La rivolta piu' celebre fu quella della
regione di Tambov, all'inizio del 1920, quando un uomo, ANTONOV, riuni' sotto di sè un vero
e proprio esercito contadino deciso a lottare contro i soprusi delle squadre annonarie.
Per reprimere quella rivolta dovette intervenire l'esercito guidato dal maresciallo
TUHACESVKY, che agi' con una brutalita' estrema riuscendo solo dopo dure battaglie ad
averla vinta. Ma rivolte minori si erano diffuse in numerose zone agricole e piu' volte parve
che i bolscevichi stessero ormai per capitolare. La risposta fu il "terrore rosso", ovvero lo
stroncare sempre e con decisione qualsiasi rivolta. I contadini spesso creavano vere e
proprie organizzazioni con programmi politici e proprie rivendicazioni.
Merita pero' di essere sottolineato come spesso i contadini non mettevano in discussione la
Rivoluzione d'Ottobre e la caduta dello zar, ma contestavano il dominio bolscevico, volevano
che fosse rispettata la maggioranza uscita dall'assemblea costituente. Cioe' non era in
discussione il socialismo, ma il modo di attuarlo, si puo' dire, che inizio' qui il dibattito sul
"socialismo dal volto umano", che trovo' il suo apice tanti anni dopo nella primavera di Praga.
Tuttavia i bolscevichi non vollero, in quegli anni, alcuna collaborazione da parte dei
socialrivoluzionari, forti fra i contadini, che anzi furono tra i maggiori obiettivi delle repressioni.
Ma all'inasprimento degli anni del comunismo di guerra, aveva contribuito anche un altro
pericolo che pareva minacciare il potere bolscevico. Truppe controrivoluzionarie si andavano
creando nella zona del Don, con la ferma intenzione di dare vita ad una controrivoluzione.

LA GUERRA CIVILE
e le prime difficoltà del governo bolscevico fino al 1921

Per guerra civile si intende il conflitto che dal 1918 al 1920 circa oppose l'Armata
Rossa alle forze cosidette bianche controrivoluzionarie, ma anche le battaglie che,
all'interno della Russia, continuarono ad opporre il ceto contadino, ma non solo, al
potere bolscevico.
Fin dagli ultimi mesi del 1918 i generali KONILOV, DENIKIN e KOLCAK,
cominciarono a radunare eserciti di volontari decisi a lottare contro il governo di
LENIN. In poco tempo nel sud della Russia sorsero governi antibolscevichi presto
estesisi verso le zone orientali. Cosi' importanti citta' come Vladivostok, Samara e
Murmansk caddero nelle mani delle forze bianche. Oltretutto varie nazionalita' dell'ex
impero zarista presero a chiedere l'indipendenza, come avvenne ad esempio in
Crimea, rendendo ancora piu' difficile per i bolscevichi riuscire a resistere.
L'intenzione delle forze bianche era quella di arrivare a stringere d'assedio Mosca e
poi Pietrogrado e costringere Lenin alla capitolazione, restaurando la monarchia
zarista. Inoltre queste truppe furono rafforzate da soldati che specialmente Francia
ed Inghilterra inviarono di supporto. Ma anche Italia, pur in misura ridotta, e Stati
Uniti, decisero di sostenere la battaglia delle forze bianche. La loro iniziale avanzata
pareva inarrestabile, Denikin riusci' a penetrare in Ucraina ed a marciare verso la
citta' di Tula, che in pratica era l'ultimo importante avamposto bolscevico sulla strada
per Mosca.
Intanto Kolcak la faceva da padrone in Siberia e da qui si spinse con decisione verso
gli Urali. Sicuro della sua imminente vittoria Kolcak assunse il titolo di "capo supremo
di tutta la Russia". Ma il pericolo piu' grande per i bolscevichi, lo creo' un altro
generale, JUDENIC, che penetrando con le sue truppe in Estonia riusci' ad arrivare a
meno di 100 km. da Pietrogrado. L'armata rossa era inizialmente disorientata, troppi
erano i fronti contro cui combattere e gli eserciti bianchi parevano nettamente
superiori. Il governo bolscevico, alle prese anche con le agitazioni contadine e la
penuria di approvvigionamenti, pareva ormai stretto in una morsa implacabile. Nel
momento peggiore, con le truppe di Kolcak che premevano sugli Urali, i bolscevichi
decisero di giustiziare lo zar deposto NICOLA II e tutta la sua famiglia per evitare che
una vittoria "bianca" potesse significare il suo ritorno sul trono.

Dapprima i capi bolscevichi avevano pensato di istitruire contro lo zar un processo in


cui Trockij avrebbe sostenuto il ruolo di pubblica accusa, ma gli sviluppi della guerra
civile fecero precipitare la situazione. Nicola II, la zarina e i loro cinque figli furono
barbaramente uccisi, i loro corpi vennero quindi bruciati e i resti furono gettati in un
pantano.
Verso la fine del 1918 il governo di Lenin pareva stretto in una morsa implacabile; la
sua caduta era ormai considerata certa.
Tuttavia anche le forze bianche fecero male i loro conti. Nelle zone che esse
avevano invaso non si erano mai curate di ingraziarsi il favore della popolazione, anzi
i loro metodi furono spesso piu' brutali di quelli dei bolscevichi. Abbiamo parlato del
terrore rosso, ma esistette anche un terrore detto bianco di altrettanta violenza.
Specie in Ucraina, le truppe di Denikin scatenarono furiosi assalti ai lavoratori
sospettati di simpatie bolsceviche, cercando di guadagnarsi con la forza il consenso
per creare i governi antibolscevichi. Oltretutto i generali "bianchi" si rifiutarono di
riconoscere i movimenti di indipendenza nazionale sorti all'inizio della guerra civile.

Cosi' vennero a crearsi delle situazioni paradossali. I contadini, pur essendo nemici
del potere bolscevico, ancora di piu' cominciarono a temere le forze bianche.
Abbiamo visto come nelle loro rivendicazioni, spesso i contadini non mettessero in
discussione la caduta dello zarismo, ma sostanzialmente volessero che venisse
attuato il programma social-rivoluzionario e che i bolscevichi non esercitassero piu' il
totale monopolio del potere. Cosi' agli occhi dei numerosi eserciti contadini creatisi
per lottare contro le squadre annonarie bolsceviche, una eventuale vittoria di Kolcak
o Denikin appariva come un possibile pericoloso ritorno al passato. Ovvero all'era di
quello che chiamavano "il conservatorismo borghese", si temeva il ritorno del potere
nelle campagne degli odiatissimi latifondisti "arcisfruttatori" come venivano definiti
negli anni della rivoluzione.
Ed ecco che nacquero cosi' casi come quello, molto celebre, di NESTOR MACHNO.
Costui aveva creato una vera milizia, non solo contadina, decisa a lottare contro il
potere bolscevico, ma davanti alla possibile vittoria di Kolcak, non esitò a schierarsi
dalla parte di Lenin e a combattere a fianco dell'armata rossa. E furono molti i casi
simili a quello di Machno; le truppe controrivoluzionarie in larga parte vennero viste
come più pericolose della stessa armata rossa, perchè motivate da un livore atavico.
Presto poi, tra le truppe bianche cominciarono a scoppiare rivolte e diserzioni. Quelli
erano eserciti giovani e molto etrogenei, uniti davanti alle prime vittorie, ma che
quando l'armata rossa cominciò a riorganizzarsi ed a resistere iniziarono a sfaldarsi.
Infatti l'esercito bolscevico, sotto l'abile guida di TROCKIJ, compi' notevoli progressi
che lo portarono ad infliggere le prime sconfitte alle armate bianche. Fu cosi' che
molti soldati di Denikin e di Kolcak cominciarono ad essere sensibili alla propaganda
rivoluzionaria dei bolscevichi, che piu' volte lanciarono proclami verso i soldati nemici,
perche' non combattessero per i voleri di generali "borghesi e reazionari".
Nel corso del 1919 numerosi soldati di origine popolare rifiutarono di scagliarsi contro
l'armata rossa, che definirono composta da "amici". Le diserzioni raggiunsero l'apice
nel contingente inglese, formato da persone spesso reduci dalla prima guerra
mondiale partite per la Russia convinte di una facile vittoria, ma trovatisi di fronte ad
una situazione che col tempo diventava piu' complessa. Si era diffuso insomma
quello che FURET ha definito "fascino universale dell'ottobre", ovvero, nonostante
tutti gli errori commessi dai bolscevichi nei loro primi anni di governo, essi apparivano
pur sempre agli occhi di milioni di operai e non solo, nel mondo, i primi ad aver dato
vita ad un governo di popolo.
Cosi' il 1920 segno' la riscossa bolscevica, le truppe rimaste fedeli a Denikin vennero
assalite in Ucraina, da dove il generale pensava di attaccare Mosca, e respinte in
Crimea. Qui vennero male accolte dagli abitanti del luogo, che nei primi mesi della
guerra civile avevano sperato di poter ottenere l'autodeterminazione ed avere un loro
stato autonomo, ambizione che venne frustrata proprio dalle forze bianche.
JUDENIC provo' ad attaccare Pietrogrado, ma venne respinto da un'accanita
resistenza dell'armata rossa; ma la sorte peggiore tocco' a KOLCAK, il cui restante
esercito venne travolto, il generale arrestato e condannato a morte. L'ultima sacca di
resistenza bianca era quella del generale VRANGEL, che provo' a scatenare una
nuova offensiva proprio verso la Crimea per sostenere l'esercito di DENIKIN ormai in
rotta, ma fu inutile.
I bolscevichi attaccarono a loro volta Vrangel e lo respinsero verso la Turchia. La
guerra contro le forze "bianche" si stava ormai per concludere con la vittoria dei
bolscevichi.
Tuttavia un'altra grande insidia per il governo di Pietrogrado si creo' quando nella
primavera del 1920, la Polonia, sperando che le forze bianche riuscissero a resistere
almeno qualche altro mese, decise di attaccare la Russia. L'intento polacco era
quello di impadronirsi dell'Ucraina, nel tentativo di dare corpo alle antiche aspirazioni
di una "grande Polonia" che inglobasse i territori definiti "etnicamente affini".
L'esercito polacco era molto ben organizzato e riuscì a penetrare in vaste zone
ucraine infliggendo duri colpi ai soldati bolscevichi. Tuttavia la recente vittoria contro
le forze bianche permise alla Russia rossa di poter scatenare una controffensiva
senza il timore che gli eserciti controrivoluzionari potessero approfittare del nuovo
fronte di guerra venutosi a creare.
Alla guida dell'armata rossa contro i polacchi ci fu il maresciallo TUHACESVKIJ, che
gia' aveva represso col pugno di ferro vari moti contadini. L'armata rossa scompaginò
l'esercito polacco ed iniziò un'avanzata verso Varsavia senza incontrare una vera
resistenza. Ma arrivati alle porte della città, dovette scontrarsi con una dura
opposizione delle truppe polacche. Ne seguì la battaglia di Varsavia, nella quale
l'armata rossa subì una dura sconfitta. Ciò frustrò le ambizioni bolsceviche, nate in
seguito alle prime vittorie sui polacchi, di esportare la rivoluzione fino in Germania
come Lenin da sempre auspicava.
Polonia e Russia alla fine giunsero alla pace di Riga che consentì ai polacchi di
inglobare vasti territori nell'Ucraina.
Tuttavia adesso la guerra contro eserciti stranieri e controrivoluzionari era davvero
finita; il nuovo governo bolscevico, piu' volte sull'orlo della caduta, aveva resistito.
Ma la fine di questa dura guerra non significo' certo la pacificazione interna.
Le prime difficoltà del governo bolscevico
I mesi di combattimento aggravarono una situazione già molto delicata. Le spese
sostenute durante le battaglie contro le forze "bianche" e contro la Polonia aveva
avvicinato la Russia al definitivo tracollo economico.
Molte industrie infatti erano devastate e nelle campagne -da tempo senza braccia-
già si intravedeva i drammatici effetti della carestia. Molto peggio la situazione nelle
città -dove dalle campagne non arrivava più nulla - qui c'era ad ogni angolo lo spettro
della fame.
L'unica risposta che il governo bolscevico seppe dare in quei mesi (e lo ritenne
necessario) fu l'inasprimento del sistema del "comunismo di guerra". Le requisizioni
nelle campagne crebbero a dismisura, sul lavoro si impose una durissima disciplina e
si volle cancellare ogni forma di commercio privato (questo perchè ormai la borsa
nera - con molti contadini che avevano nascoste le derrate- applicava prezzi da
capogiro).
Così tra la fine del 1920 e l'inizio del 1921 si ebbe l'apogeo delle rivolte contadine. La
piu' celebre, come detto in precedenza, avvenne nella provincia di Tambov, e fu
guidata da un ex socialista-rivoluzionario, ANTONOV, che riuscì a creare una vera e
propria milizia contadina formata da oltre quarantamila persone. Contro Antonov fu
scagliato lo stesso esercito che aveva cacciato i polacchi dal suolo russo, sotto la
guida di TUHACESVKIJ. In pratica adesso la guerra civile si era spostata sul fronte
interno, i contadini, che come abbiamo visto, nella lotta contro i "bianchi" in gran
parte si erano schierati con i bolscevichi, chiedevano adesso che il governo
soddisfacesse i loro bisogni e che soprattutto terminassero le requisizioni forzate.
Ma la politica bolscevica fu quella della sola repressione; chi si rivoltava era un
controrivoluzionario, e percio' con lui non si poteva trattare. Ma a preoccupare ancora
di piu' il governo di Lenin, furono le proteste che cominciarono a venire in misura
sempre maggiore dal ceto operaio, da sempre feudo bolscevico. Anche nelle
fabbriche si estesero scioperi, che subito vietati, sfociarono in vere e proprie
insurrezioni contro la militarizzazione del lavoro ed i turni massacranti. Cio'
spaventava i bolscevichi ancora di piu' della rabbia contadina, perche' gli scioperi
nelle fabbriche potevano paralizzare definitivamente la produzione. Percio' la
repressione del malcontento operaio fu fulminea: e la si volle esemplare per evitare
che potesse estendersi.
Ma il piu' duro colpo per i bolscevichi in quei mesi fu sicuramente l'ammutinamento
della base militare di Kronstadt, che nel 1917 era stata uno dei fulcri della rivoluzione.
Ora i marinai, delusi dal governo bolscevico, si rivoltarono. Era dunque evidente che i
bolscevichi non potevano continuare con quella politica, il regime rischiava il piu'
totale isolamento dal grosso della popolazione. Nello stesso governo serpeggiava
malumore e cominciarono a formarsi dei gruppi d'opposizione; il proibire le correnti
nel partito nel 1921 servi' a ben poco.
Come se non bastasse nel corso di tutto il 1921 esplose nelle zone agricole una
terribile carestia, che portò alla fame milioni di persone.
LENIN si rese conto che era ora di cambiare politica, non era piu' possibile
giustificare la durezza del momento e dare la colpa agli effetti devastanti della guerra
mondiale e della guerra civile.
Era pur vero che le guerre avevano contribuito ad immiserire la Russia, ma di certo
fino a quel punto, poco o quasi nulla i bolscevichi avevano fatto per risollevarla.
Fino allora la risposta alle lamentele della società era stata la militarizzazione,
adesso si doveva cambiare.

LA NEP
La Nuova Politica Economica

Il X° Congresso del partito bolscevico segnò la fine del "comunismo di guerra" ed il varo della
cosiddetta "Nuova Politica Economica", la NEP.
Non tutti erano concordi con la decisione di Lenin, ma il massimo capo sovietico utilizzò la
sua autorità per superare le opposizioni. Non c'é dubbio che il mutamento rispetto agli anni
del comunismo di guerra apparve notevole. Finalmente si stabilì che venissero attenuate le
requisizioni nelle campagne (dove molti imboscavano le derrate) e che il loro posto fosse
preso da un'imposta in natura che i contadini dovevano consegnare secondo una quota
prefissata; dal 1923 questa imposta venne pagata in denaro. Così ai contadini restava la
possibilità di tenere parte del raccolto e fu loro consentito anche di commerciarlo. Vi furono
infatti, delle piccole ma significative aperture alla ripresa del commercio privato. Poterono
così sorgere piccole e medie aziende private autorizzate pure a tenere una modesta
manodopera libera.
Lo Stato attenuò il suo controllo burocratico sulla società, pur controllando ancora la grande
industria, i sistemi di trasporto e le banche; essendo ancora lo Stato e solo questo a poter
gestire il commercio con i paesi esteri. Si parlò allora di sistema di "capitalismo di stato".
(l'antibolscevico Mussolini, nel 1931 (vedi) copiò integralmente la NEP, quando fameliche
banche fagocitandole con i crediti inesigibili, stavano trascinando le industrie italiane al
disastro. Si erano registrati 14.000 fallimenti)
Inoltre agli specialisti borghesi furono riconosciuti nuovi ed importanti diritti. Essi avrebbero
ricevuto maggiori stipendi ed una più ampia libertà nei loro compiti. Così ingegneri, professori
o economisti (solo per fare qualche esempio) cresciuti nell'era zarista furono maggiormente e
con profitto utilizzati secondo le loro competenze. Inoltre molti di loro potevano viaggiare
all'estero, e tenersi informati sugli sviluppi scientifici e culturali dell'occidente. Ma con
l'occidente iniziò anche un'importantissima collaborazione economica e commerciale.
Ford impiantò, ad esempio, in Russia una celebre fabbrica di trattori. Vennero, così grazie
alla tecnologia occidentale, migliorate numerose fabbriche con nuovi e moderni macchinari.
Furono migliorate le tecniche di estrazione di carbone e petrolio. Sicuramente la
collaborazione occidentale permise una ricostruzione dell'apparato industriale e, pur in
misura minore, un miglioramento delle tecniche agricole. Sotto il profilo militare, a NEP, ormai
pienamente avviata, fu nel 1925 di grande importanza il trattato di Rapallo firmato con la
Germania della Repubblica di Weimar. (tra l'altro numerosi aerei tedeschi - dopo che Hitler
prese il potere - che vennero impiegati contro i russi prima nella guerra civile spagnola poi
nella guerra mondiale erano stati costruiti proprio in Russia. Quanto ai carri armati, la
Germania proprio in Russia apprese alcune tecniche costruttive, e in Russia inviò i suoi
militari ad apprendere la tecnica delle truppe corazzate).
Intanto sul fronte interno si decise di abolire la CEKA, che era una sorta di polizia
emergenziale nata per "salvare la rivoluzione", ma in pratica un organo provvisorio. Il suo
posto venne preso dalla nuova polizia politica: la GPU, che comunque conservò estesi poteri
repressivi.
Nei primi Anni 20 furono pure emanate delle riforme dette "civili". Ad esempio fu legittimato il
matrimonio civile, garantito il divorzio e si cercò di incentivare in ogni modo l'istruzione. E va
detto che sotto questo profilo il governo bolscevico si adoperò con grande impegno nel
tentativo (riuscito) di alfabetizzare la Russia.
Tuttavia la svolta politica segnata dalla NEP, più che da vera convinzione, era stata dettata
da necessità. Come infatti il partito bolscevico era stato portato al potere nel 1917 da un
movimento di protesta del tutto spontaneo, del quale ben seppe interpretare le esigenze
primarie (pace e terra), nei primi anni 20, i bolscevichi rischiavano di essere loro travolti dalle
masse, esasperate dal comunismo di guerra, che li avevano aiutati nel prendere il potere.
Le masse nel 1917 in larga parte, come abbiamo detto, non erano bolscevizzate, ma videro
in Lenin la persona che faceva al caso loro, così come Lenin seppe abilmente adattare il suo
originario programma alle esigenze primarie che il popolo esprimeva nelle sue proteste. Ma é
sempre bene ricordare la totale spontaneità dei violenti moti contadini e non solo dell'estate
del 1917. Ora, nel 1921, Lenin si rese conto che continuando con la politica del comunismo di
guerra, rischiava di essere vittima della rabbia popolare esattamente come successe ai
governi provvisori, nati dopo la cosiddetta "Rivoluzione borghese del Febbraio 1917". Ovvero
Lenin, indubbiamente con lucidità, non commise l'errore che 4 anni addietro avevano fatto
prima lo Zar e poi i governi provvisori, che perseguirono una politica nettamente impopolare,
senza venire incontro almeno alle primarie esigenze delle masse.
Ecco perché venne varata la NEP, ma come Lenin disse, essa era una "ritirata" momentanea
dalla via maestra che restava sempre il socialismo.
Perciò la NEP non fu la svolta decisiva nella politica economica, ma solo un modo, disse
Lenin, di permettere al paese di "riaversi" dopo gli anni della guerra, un tentativo di trovare un
modus-vivendi con la società senza compromettere l'obiettivo finale che era e restava il
socialismo.
Per atturalo Lenin affermò che in un paese arretrato come la Russia era necessaria una via
"graduale".
Ma già alla fine del 1922 Lenin fu chiaro: non ci sarebbero state altre "ritirate".
Preliminare al varo della NEP era ristabilire l'ordine nelle campagne. Così fino al 1923
continuarono i duri scontri fra truppe dell' armata rossa e contadini, con la prima pronta a
reagire contro ogni minima insubordinazione o tentativo di protesta. Fino agli ultimi mesi del
1922, le squadre di requisizione proseguirono le loro spedizioni nelle campagne,
costringendo ancora, nonostante la Nuova Politica Economica, i contadini a consegnare le
loro eccedenze. Tuttavia il clima parve cambiare verso il 1923 quando venne finalmente
consentito una ripresa di un'economia di mercato, cercando anche di favorire il commercio
fra città e campagne, fino a quel momento due mondi del tutto contrapposti. Perciò i contadini
più ricchi, dopo aver devoluto allo stato l'imposta stabilita potevano adesso commerciare
liberamente ciò che a loro rimaneva.
Inoltre, fu loro consentito, come detto, di tenere una modesta manodopera salariata al fine di
incentivare la produzione. Questo favorì nei villaggi lo sviluppo della classe dei cosidetti
KULAKI (contadini più ricchi) che vennero notevolmente rafforzati dal proseguimento della
NEP. Col tempo il loro potere nelle campagne cominciò a crescere, finché arrivarono ad
essere loro a gestire gli approvvigionamenti agricoli per le città, stabilendone i prezzi.
I KULAKI, come era facile da prevedere, vennero ben presto guardati con estremo sospetto
dai bolscevichi che vedevano in loro una sorta di nuovo ceto borghese che continuava ad
acquisire potere, e vennero apertamente odiati quando cominciarono a richiedere prezzi
sempre più alti nel vendere le loro eccedenze.
Un altro obbiettivo fondamentale della NEP era quello di cercare di favorire la ripresa
industriale.
Ma nelle fabbriche il clima restò quello del comunismo di guerra. I ritmi di lavoro imposti
restarono terribili e la disciplina oltremodo severa. Non erano tollerati scioperi né tantomeno
assenze ingiustificate, i sindacati non avevano praticamente alcun potere, anzi dovevano
essere loro ad incitare i lavoratori ad una maggiore produzione. Si introdusse inoltre una forte
differenziazione salariale con la quale si intendeva retribuire l'operaio in base a quanto
produceva, con l'intenzione naturalmente di incentivarlo ad un lavoro sempre maggiore per
ottenere così un salario più alto.
Intanto però fu tollerato lo sviluppo di una classe piccoli imprenditori privati. Ed anche ad essi
fu consentito, nelle loro aziende, di poter mantenere una manodopera, in genere mai
superiore alle venti persone. Naturalmente, come detto, la grande industria restava
saldamente nelle mani dello stato, tuttavia queste modeste aperture facilitarono la nascita di
un congruo numero di piccole e medie aziende e, nelle città, della cosiddetta classe dei
NEPMANY (le persone che operavano privatamente).
E' certo che l'industria nel periodo della NEP ebbe una ripresa, riuscendo almeno a tornare al
livello precedente alla guerra mondiale, ma era pur sempre un valore troppo basso. I
bolscevichi volevano avviare uno sviluppo industriale, ma la Russia restava pur sempre un
paese in larghissima parte agricolo. La maggior parte degli abitanti erano contadini; e
basilare per l'avvio di una vera politica che favorisse lo sviluppo dell'industria era disporre di
una vasta manodopera da utilizzare per questo scopo, ma non c'era. Di certo il
proseguimento della NEP, pur con la sua parte di effetti positivi, non avrebbe mai creato una
rinascita industriale. Da qui i dubbi nel partito bolscevico: come conciliare la NEP e lo
sviluppo industriale e soprattutto come conciliarla con l'obiettivo primario del socialismo?
Oltretutto gli auspicati scambi commerciali fra città e campagna avvenivano con grande
difficoltà. I beni industriali costavano troppo, era impossibile che la maggior parte dei
contadini avesse interesse ad acquistare in città, spesso non ne avevano le possibilità e
neanche sarebbe loro convenuto. Fu quella la cosiddetta "crisi a forbice", ovvero il divario
sempre crescente fra il costo dei beni industriali e quelli delle campagne. Un divario che rese
quasi impossibile qualsiasi vera collaborazione fra quei due mondi, come sarebbe invece
stato nelle intenzioni bolsceviche.
Col passare del tempo i bolscevichi guardavano con sempre più timore agli effetti della NEP.
Nelle campagne si stava registrando un aumentato potere dei KULAKI, i quali potevano
imporre prezzi sempre maggiori per la vendita dei loro prodotti agricoli. Ma con timore misto a
disprezzo si guardò anche al peso che, nelle città, stavano assumendo i NEPMANY. Essi
furono identificati come portatori di "pericolosi elementi capitalistici". Così a vasti settori del
partito parve di andare verso una indesiderata "deriva borghese". Ed inoltre la BSE
bolscevica mal sopportava l'accresciuto potere degli specialisti borghesi, che cominciavano
ad avere sempre più voce in capitolo nell'insegnamento, nelle attività scientifiche, in quelle
militari, arrivando pure a trattare di questioni economiche. Ciò divenne ben presto intollerabile
per larga parte dei bolscevichi; la NEP ai loro occhi, più che essere una ritirata momentanea
dalla via maestra del socialismo, stava diventando una resa ad un capitalismo "strisciante".
Dubbi e perplessità si estesero nel partito, che fu ben lungi dal trovare una linea comune. In
passato, nei momenti di crisi, quando non si riusciva a trovare un accordo, spesso l'autorità di
Lenin aveva risolto i problemi, imponendo la sua posizione. Ma stavolta non poté essere così.
Già nel 1922 in Lenin vi erano stati i primi problemi di salute. Nel corso del 1923, fu poi
colpito da un primo attacco cerebrale che ne minò le funzioni vitali rendendolo in breve
inabile alla vita politica, proprio nel momento in cui il dibattito all'interno del partito si faceva
serrato. Negli ultimi mesi del 1923 Lenin, subì altri due attacchi cerebrali; le sue condizioni
fisiche peggiorarono rapidamente, finché dovette assentarsi definitivamente dalla scena
politica. Il 24 gennaio 1924 poi l'epilogo; Lenin muore all'età di 54 anni, senza che le
questioni che l'avvio della NEP aveva posto fossero risolte.
La domanda primaria era: continuare o no la NEP? e se si, come era possibile farlo senza
farsi attrarre da "soluzioni capitalistiche"?.
Inoltre, era evidente la necessità di uno sviluppo industriale, ma per ottenerlo serviva
un'adeguata manodopera, che ancora scarseggiava, visto il carattere rurale della Russia.
Ed intanto si cominciarono ad affilare le armi per la successione di LENIN.
L'opinione di TROCKIJ era che la Russia, data la sua arretratezza ed il suo isolamento, non
poteva diventare potente nel campo industriale con le sue sole forze. La NEP andava abolita,
perché dava troppo spazio agli elementi capitalistici. Bisognava dare vita ad una vera politica
socialista, ma soprattutto uscire dall'isolamento politico internazionale. Andavano finanziati
ed incoraggiati, disse Trockij, i movimenti rivoluzionari all'estero, perché una rivoluzione
europea, come era il progetto originale dei bolscevichi, consentisse una cooperazione
europea fra altri paesi socialisti.
Nel partito si distinse poi l'opinione di BUCHARIN, che, passati gli anni in cui fu sostenitore
del comunismo di guerra, riconosceva adesso, che se aveva ragione Trockij nell'auspicare
una rivoluzione europea, dato che essa non dava segno di esplodere, era necessario fare
professione di realismo. Bisognava insistere con la NEP, perché la via del compromesso era
quella che avrebbe salvato la Russia.
Vi era poi un altro personaggio, fino a quel momento un po' nell'ombra e di certo non
conosciuto come altri bolscevichi quali, oltre naturalmente a LENIN, TROCKIJ, RIKOV o
ZINOVEV. La persona in questione era JOSIF STALIN.
Egli nel corso degli anni, sfruttando la sua posizione di segretario generale, era però andato
acquisendo consenso all'interno del partito. Nel dibattito in corso, la sua posizione fu definita
quella del "socialismo in un solo paese". Stalin affermò che quelle di Trockij erano chimere,
che la Russia non doveva attendere un'improbabile rivoluzione europea per avviare il
socialismo e che nemmeno si dovesse continuare col compromesso della NEP. La
grandezza territoriale della Russia e le sue risorse rendevano assolutamente possibile
percorrere la via socialista senza dover dipendere dai paesi esteri o dagli elementi
capitalistici come i KULAKI o i NEPMANY.
"Che cos'é la possibilità della vittoria del socialismo in un solo paese?" disse Stalin, "E' la
possibilità di risolvere le contraddizioni tra proletari e contadini poggiando sulle nostre forze
interne; se tale possibilità non esistesse edificare il socialismo vorrebbe dire agire senza
prospettive. Ma negare quella possibilità vuol dire mancare di fiducia nella nostra causa, vuol
dire abbandonare il leninismo." Stalin sapeva quali corde toccare, molti quadri operai furono
entusiasti delle sue parole.
Stalin prometteva di far grande la Russia, di erigerla a superpotenza, di farle superare
l'arretratezza senza alcun compromesso "borghese". Aveva intuito, che in larga parte del
partito, pur non volendo mettere in discussione Trockij, non si credeva più alle sue idee di
"rivoluzione permanente". Ed ancora peggio per la base bolscevica era ciò che diceva
Bucharin, che in pratica, volendo insistere con la NEP, era come se affermasse che il
socialismo, per raggiungere il quale si era combattuto, in pratica non si sarebbe realizzato.
Inoltre lo stesso Lenin aveva detto che la NEP era una ritirata "momentanea".
Prima di esaminare come si risolse la lotta per il potere e quale linea riuscì a prevalere é
utile ricordare ciò che Lenin in quello che é stato definito il suo testamento politico scrisse
ormai minato dalla malattia: "Compagni propongo di pensare alla maniera di sollevare Stalin
dall'incarico di segretario generale e di sostituirlo con un uomo che si distingua dal
compagno Stalin solo per questa qualità: di essere più tollerante, più leale, più riguardoso
verso gli altri compagni. Stalin é troppo rude e se questo difetto può essere tollerato nei
rapporti fra noi comunisti diventa intollerabile nella funzione di segretario generale. Potrà
apparirvi una piccolezza tutto ciò, ma penso che dal punto di vista dell'evitare una scissione
e considerando i rapporti che si vanno creando fra Stalin e Trockij ciò non sia una
piccolezza, e se anche lo fosse, sarebbe una piccolezza che può avere importanza decisiva"

(by GIACOMO PACINI)

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