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CONSERVATORIO “R.

FRANCI”

CORSO DI ANALISI DELLE FORME COMPOSITIVE – I° ANNO

STUDENTE: ALESSANDRO MUSCIANESE

Numero di matricola 363

IL CONTROMOVIMENTO, OVVERO
GRANDI INNOVATORI DEL LORO TEMPO
Confronto tra Beethoven (op.110) e Boulez (12 notations)

ANNO ACCADEMICO 2020/2021

1
APPENDICE, OVVERO INTRODUZIONE

Ma come, l’appendice all’inizio e non alla fine? Credo sia questa la prima domanda
a voi sorta, miei cari interlocutori. Forse siete due, tre o qualcuno in più ma ciò non
importa; sappiate solo che da ora siete miei metaforici ospiti, e vi condurrò in questo
viaggio borderline, tra rispetto della tradizione e innovazione costante. Scrivo
queste poche righe per tentare di giustificare il confronto tra due compositori
apparentemente così lontani, quali Beethoven e Boulez, che se visti dal mio stesso
punto di vista sono in realtà molto vicini. Ah, un’ultima postilla, prima di
immergerci completamente nel discorso e sprofondare sempre più giù: ritengo
superflue qualsivoglia notizia biografica di tutti i compositori che prenderò in
esame, di conseguenza non me ne curerò, tratterò molto volentieri, invece, di fasi
salienti della loro produzione artistica.
Facciamo un passo indietro; in questa breve introduzione mi occuperò di analizzare
a livello teorico punti in comune tra dodecafonia (e quindi, inevitabilmente,
Schoenberg) e il grande innovatore tedesco.
Come possono andare d’accordo Schoenberg, padre della dodecafonia e l’ultimo
Beethoven? Beh, entrambi attuano un processo di ristrutturazione, solo che nel
primo viene ristrutturato il linguaggio ereditando vecchi schemi del passato
(soprattutto la polifonia del 1400/1500); il secondo, principalmente nella sonata
presa in esame oggi (sonata per pianoforte n.31 op. 110) studia un ribilanciamento
delle forze interne sempre tenendo conto dei vecchi schemi, ovvero nella classica
forma-sonata tripartita.
Schoenberg nasce come compositore tardo-romantico; inizia un primo processo di
sgretolamento della tonalità aprendosi ad un linguaggio basato su quarte e quinte;
ricordiamo il Pierrot lunaire, 1912, brano atonale per voce ed ensemble di strumenti.
Dopo la prima guerra mondiale nacque l’esigenza di una riflessione critica: la
tonalità era stata bruciata ed i parametri musicali azzerati; in questo contesto il
movimento espressionista trovava una magnifica collocazione. Tra le caratteristiche
ricordiamo, prima su tutte, una grande libertà compositiva: la scelta era determinata
dal gusto timbrico (Beethoven sicuramente fu di ispirazione, lo vedremo poi nel
terzo movimento della sonata op. 110), pensate che nacque in questo contesto una
tecnica chiamata klangfarbenmelodie, letteralmente melodia di timbri. La
soggettività inoltre, e questa è la seconda caratteristica da ricordare, prevale sulla
struttura, che tuttavia non va mai persa d’occhio (e questa, invece, la ritroveremo in
Boulez che non cede al serialismo rigoroso per aumentare l’espressività, senza
tuttavia perdere troppo di vista la serie).
Nel dicembre 1914 (ricordiamo che il compositore austriaco smise di scrivere dopo
il Pierrot lunaire) in una sua sinfonia Schoenberg inserisce un tema composto da 12
note, tuttavia è ancora lontano da usarlo come idea unificatrice di un’intera
composizione.

2
Nel 1923 pubblicò “5 pezzi dall’op.29” nel quale è apprezzabile un vero primo
intento dodecafonico. In questa composizione utilizzò le note secondo la tecnica
chiamata comporre con note ; l’idea era quella di avere una serie dodecafonica alla
base della sua composizione. Essendo una suite vi è il recupero di forme
preesistenti.
A metà degli anni ’20 teorizzò il metodo per comporre con dodici note in relazione
fra loro, la dodecafonia, dichiarando: sono cosciente del vero senso del mio
intento: unità e regolarità. Giunti a questo punto la distanza che separava i
neoclassici e Schoenberg non era certo trascurabile: mentre i neoclassici riprendono
forma e linguaggio del passato sporcandolo, Schoenberg introduce un nuovo
linguaggio mantenendo le vecchie forme. La dodecafonia per lui era necessaria, il
punto d’arrivo del proprio cammino. È una riflessione storica a portarlo qui, infatti
quando i suoi allievi andavano da lui, convinti di imparare il nuovo linguaggio, il
maestro li metteva a fare i bassi, dicendogli di arrivare ad un loro punto d’arrivo.
La locuzione riflessione storica, più in generale, può intendersi come un vero e
proprio studio sull’uomo e sulle sue capacità espressive: le regole sono fatte apposta
per essere rispettate ma, in questi tipi di linguaggi come quello musicale, lo
stravolgimento della regola può portare a risultati a dir poco stupefacenti, come
succede anche nella sonata op. 110 di Beethoven.
Quest’ultimo attraversò principalmente due periodi della sua produzione artistica:
all’inizio diede una risposta precisa e ben direzionata alle composizioni di Haydn e
Mozart, dall’op. 31 in poi si aprì ad un percorso più sperimentale in cui la forma-
sonata si trasforma e modella in altre possibilità, fino a quel momento non prese in
considerazione.
Il concetto alla base di questa sonata è quello della continuità, tutti i passaggi sono
edulcorati; uno su tutti, ad esempio, nel primo movimento, quando nel passare al
secondo tema non vi è un chiaro passaggio alla dominante (che vedremo nel
dettaglio più in la). De la Motte si espresse a tal proposito dicendo che questa
rappresentava una privazione enorme per le abitudini del pubblico dell’epoca;
Mozart, ovvero l’espressione più magnifica del classicismo, era morto da soli
trent’anni!
Beethoven era un vero e proprio rivoluzionario che, mentre chiedeva molto
all’ascoltatore dell’epoca, si divertiva a scardinare dall’interno la forma-sonata;
forse aveva in dotazione qualche sorta di trapano speciale che gli faceva
manomettere lo sviluppo in modo pratico e veloce, come se fosse in una televendita
pubblicitaria. Infatti nel primo movimento capovolge drasticamente le forze interne
di esposizione, ripresa e sviluppo.
Questo sviluppo, paragonato con le sonate di Beethoven del periodo centrale,
sembra non avere il climax del primo movimento; la tensione si allenta rispetto alla
parte espositiva. Nella parte mediana, infatti, la composizione è volta a ripetere un
modello.

3
Mentre prima vi era un equilibrio di questo tipo:

Sviluppo
Climax; il materiale viene “remixato”
attraverso tecniche compositive rielaborative

Esposizione Ripresa
Elaborazione “prevedibile”, con Riproposizione dell’esposizione,
processi modulatori direzionati con secondo tema in tonalità d’impiant.

Beethoven le ripensa così, creando nuove possibilità:

Esposizione Ripresa
Il processo variativo è già Riprende il concetto di rielaborazione,
in atto a partire da battuta 3! precedentemente affidato allo sviluppo.

Sviluppo
Il processo modulante è presente ma in maniera
meno forte rispetto alle altre sonate; questa sezione
si limita a ripetere un modello pre-esistente.

4
Volendo fare dei paragoni in chiave filosofica:
Possiamo ritrovare il primo esempio nella teoria della dialettica hegeliana
Antitesi

Tesi Sintesi

Oppure nella psiche di Freud, segnando così anche l’evoluzione di essa stessa.

PROCESSO EVOLUTIVO…
Psiche da bambini Psiche da adulti

Es Io Superio

Io Superio Es

Mentre Schoenberg lo dichiara apertamente, già da questi primi indizi intuiamo che
anche per Beethoven quest’evoluzione doveva essere un passaggio obbligato per la
sua crescita personale, portandoci ad una riflessione più ampia sull’uomo e sulle
sue capacità espressive (su cui mi sono interrogato ma che non tratterò in questa
tesina poiché fuorviante).
Inoltre quella sorta di ancora nel passato in cui Schoenberg (come del resto, più
avanti, anche Berio per citarne uno) crede fortemente è presente anche nella sonata
beethoveniana: le prime quattro battute, fungendo da matrice, vengono riproposte
quindi per tutta la composizione, con rielaborazioni mirabolanti, che a volte
rasentano la follia (come ad esempio i fiamminghismi nella fuga finale).
Dopo aver trovato punti in comune tra l’innovativa sonata op. 110 e la grande
innovazione della dodecafonia, quindi, dopo aver legittimato la possibilità di un
confronto tra questi due mondi titanici, procedo adesso con la tesina vera e propria,
la parte analitica, in cui confronterò la sonata sopracitata con alcune delle 12
notations di Boulez, più precisamente la n.1, n.2, e n.5. Buona visione.

5
SOMMARIO

1.1 MOTTO, OVVERO MATRICE……………………………………...7

1.2 CONFRONTO CON NOTATION n.1………………………………..9

1.3 CONFRONTO CON NOTATION n.2………………………………16

1.4 CONFRONTO CON NOTATION n.5 e n.6…………………………21

6
1.1 MOTTO, OVVERO “MATRICE”

Nella sonata n.31 di Beethoven le prime quattro battute sono fondamentali: si


ritroveranno per tutto il brano (soprattutto primo e terzo movimento) ma rielaborate.
Si potrebbe pensare che b. 3 e 4 siano già una prima elaborazione di b. 1 e 2.

Nella composizione 12 notations, di Pierre Boulez, si nota come la serie impiegata


per i dodici brani, composti da dodici battute ciascuno, sia sempre la stessa; nel
secondo brano, però, la serie parte dalla seconda nota della serie originale, nel terzo
parte dalla terza nota e così via. Nelle prossime “notations” vedremo meglio questo
concetto.

A volte, nelle riproposizioni del motto o rielaborazioni di esso durante tutta la


sonata non vi è una precisione “millimetrica” per quanto riguarda le note utilizzate:
ad esempio, come si può notare nella figura sottostante, nel primo fugato del terzo
movimento vengono riprese alcune note del motto per realizzare il soggetto della
fuga.

1
: Le prime quattro battute della sonata.
2
: Serie originale, ovvero della prima “notation” .
3
: Confronto tra motto e prima fuga.

7
Capita anche però, ad esempio quando ci troviamo cinque e tre battute prima della
fine del primo movimento, che il motto venga chiaramente riecheggiato, in questo
caso prima dalla mano sinistra e poi dalla destra.

In Boulez, come in Beethoven il motto, non vi è sempre il pieno rispetto della serie,
viene elaborata già a partire dalla prima esposizione di questa: basta vedere cosa
succede nella prima delle 12 notations, più precisamente a battuta 4.

Nella figura 5 si può notare come la serie originale venga esposta da battuta 1 a
battuta 3 solo parzialmente: per avere la serie completa, infatti, dobbiamo aspettare
battuta 4, nella quale compare una riproposizione di alcune note (con note che
mancano, ovvero buchi) seguite dal si, ultimo suono che completa la serie originale.

4
: Riecheggio del motto 5 e 3 battute prima della fine.
5
: Prima delle “12 notations”, da battuta 1 a battuta 4.

8
2.1 CONFRONTO CON NOTATION n.1

Tra la sonata e la prima delle 12 notations ci sono alcune affinità: prima su tutte la
struttura circolare di entrambe.
Nella sonata, più precisamente nella parte finale del terzo movimento, si ha un
ritorno della parte iniziale del primo movimento apprezzabile in alcuni elementi,
quali la tonalità, ovvero un ritorno a Lab maggiore, che avviene per mezzo di un
arpeggio sviluppatosi dopo il raggiungimento del “do apice” (in figura) il quale,
dopo la prima parte del primo movimento, non fu più raggiunto.

Nella notations n.1 si ritrova quest’idea di circolarità ma resa in maniera diversa. Il


brano è come incorniciato da due arabeschi, rispettivamente a battuta 1 e battuta 12.

6
: “DO APICE” raggiunto nel primo movimento.
7
: Finale del terzo movimento, in cui dal “DO APICE” parte l’arpeggio di LAb.
8
: Notations n.1, b.1 e b.12

9
Inoltre nelle battute 5 e 6 del brano del compositore francese preso in esame vi è un
ribattuto, sulla nota sol.

È possibile vedere un rimando a battuta 5 e 6 del terzo movimento della sonata, le


quali presentano un ribattuto anch’esse, stavolta sulla nota la. In questa sezione
della sonata abbiamo parlato di come prenda piede una forma libera, quasi
spontanea, che si propone una ricerca particolare sul suono; un primo passo che
apre le porte di quella musica che fa del suono il focus principale. Ricordiamo infatti
che è nell’epoca novecentesca che il suono coincide con la struttura e concorre alla
ricerca di nuove modalità espressive. Questo ribattuto ci fa pensare anche al
secondo arioso, di cui tratterò più avanti.

10

A battuta 7 del brano dodecafonico compare una figurazione che potremo assumere
come se fosse una melodia accompagnata.

9
Notations n1, b. 5 e 6
10
Terzo movimento della sonata, b. 5 e 6

10
11

Il rimando, qui, è all’arioso dolente, il primo, poiché presenta una melodia più
regolare rispetto al secondo; non viene infatti interrotta da pause o da ribattuti
interni.

12

Quest’arioso è una forma lied bipartita, con le due sezioni simmetriche, che a loro
volta si dividono in due sezioni anch’esse simmetriche, da quattro battute ciascuna
(fatta eccezione per la terza ripetizione, in cui l’ultima battuta del modello si ripete
per due volte).

11
Boulez, b.7
12
Beethoven, mvt 3, arioso dolente

11
13

La melodia è in relazione con quella del secondo movimento, come si può vedere
dall’esempio sottostante, che a sua volta prende spunto dalla scala discendente di
mib presente nel primo movimento (proposta nella FIG. 18).

14

Nel brano di Boulez da battuta 9 a battuta 11 compaiono due voci sincrone, con le
note che provengono dalla serie originale trasportata in do; serie che, come ormai
avremmo capito, non viene seguita perfettamente.

13
Le quattro frasi di cui si compone l’arioso dolente.
14
Relazione fra primo tema del secondo movimento e prima frase dell’arioso.

12
15

Questa zona omoritmica rimanda molto all’inizio del primo movimento della
sonata, al motto, più precisamente alle prime due battute, nelle quali viene rispettata
una scrupolosa omoritmia; è presente anche nelle due battute seguenti, tuttavia
inizia da lì la rielaborazione.

16

La differenza tra questi due estratti è principalmente una, data per scontato quella
di linguaggio: riguarda il contromovimento. Mentre, infatti, in Beethoven se ne
evince una forte componente sin da queste prime battute, con l’inversione delle voci
da parte del soprano e del basso, Boulez in questo estratto mette tutto in parallelo,
salvo l’ultimo intervallo.

Nella sonata il contromovimento non si limita solamente ad essere un procedere


per moto contrario fra le mani, nonostante anche quest’aspetto sia una
componente fondante dell’intera composizione.

17

15
Notations n1, b. 9-11.
16
Motto, ovvero prime quattro battute della sonata.
17
Contromovimento fra le voci esterne, b.1-4.

13
18

Il contromovimento è, oltre che concettuale, quindi un andare contro la regola


dell’epoca e rompere gli schemi, anche ritmico; questo si può apprezzare nelle
prime 19 battute, ovvero dal motto alla transizione.

19

Andando da b.1 a b.5 vi è un cambio del ritmo di superficie (da ottavi a sedicesimi),
seguito da un cambio repentino di scrittura quando si arriva nella transizione di
battuta 12 (da sedicesimi a trentaduesimi), in cui compare una scrittura più
virtuosistica rispetto alle prime due sezioni (in cui lo stile di scrittura era dapprima
quartettistico, poi melodia accompagnata).
Questo variare della pulsazione base superficiale, volto a diminuire le figurazioni
ritmiche, si controbilancia con ciò che viene percepito: all’inizio un ritmo più
variegato, nella parte mediana un ritmo regolare che sfocia nella terza sezione, in
cui compare un modulo che si ripete ogni due battute.
Oltre a questo caso particolare del primo movimento, il contromovimento tra
“basso” e “soprano”, o più genericamente tra le due mani, essendo un punto cardine
nella sonata beethoveniana, garante di coerenza, è presente in tutta la sonata: qui
sotto ne vediamo un altro esempio nell’incipit del secondo movimento.

18
Altro esempio di contromovimento, b. 29-31.
19
Schema del contromovimento ritmico.

14
20

Così come nella sonata beethoveniana si smussano le zone di passaggio (come


approfondiremo più avanti) io, in queste poche righe, mi propongo di introdurre il
prossimo paragrafo, nel quale andremo a confrontare il brano denominato
semplicemente “2.”, ovvero la seconda delle dodici notations con la sonata. Nella
mia mente avevo intenzione di fare tutta la tesina sotto forma di un unico discorso,
rendendo tutto più fluido sotto un unico paragrafo, ma non mi sento di essere un
innovatore fino a questo punto. Magari chissà, alla mia trentunesima tesina lo farò.

20
Esempio di contromovimento nel secondo movimento.

15
2.2 CONFRONTO CON NOTATION n.2

Anche in questa “notation” torna l’idea della circolarità, vista anche nella prima e
contenuta anche nella sonata.

21

E non finisce qui! Non sono solo queste le battute che fungono da cornice, come
possiamo notare nella prossima immagine.

22

Nella parte centrale (b.4-10) vengono assegnati dei ribattuti alla mano destra, con
frequenti spostamenti d’accento; irregolarità (apprezzabile nelle figure 23/24/25)
che richiama il sincopato presente nel secondo movimento della sonata.

23

21
Glissandi e cluster che aprono e chiudono la seconda notation.
22
Tremoli che si aggiungono alla cornice.
23
Sincopato della sezione B della prima parte, sonata, secondo movimento.

16
Nell’immagine riportata su, più precisamente, ci troviamo nella prima parte del
movimento (tripartito), nelle battute 10-16. Sembra assolutamente irregolare dal
punto di vista ritmico ma viene conferita regolarità dalla costruzione del periodo:
tutte le frasi di questa prima sezione sono costruite da 4 o 8 battute (si può parlare
anche in questo caso di contromovimento?).
Tornando a Boulez, mentre la mano destra gioca sui ribattuti e i loro sfasamenti di
accento, la sinistra:
- Seguendo una direzione ascendente enuncia la serie a partire da Sib (da b. 4 fino
a metà b. 6 circa);

24

- Scendendo, invece, utilizza la stessa serie ma trasportata in la (da metà b.6 a


b.8), la serie è di undici note e manca la nota sol;

25

- Come ultima serie compare, ascendendo, il retrogrado della serie di si


composto da 10 note, omettendo il lab ed il sol (b. 9-11).

26

24
Boulez, b. 4-6
25
Boulez, b.6-8
26
Boulez, b. 9-11

17
Un esempio d’impiego del retrogrado nella sonata è apprezzabile nelle battute 20-
21, riprendendo battuta 4; essendo però battuta 4 costruita sul quinto grado di lab
(mib), le note della coppia 20-21 saranno trasportate una quarta sotto rispetto
all’originale (costruite, infatti, sull’accordo ambiguo di lab).

27

Ho conferito il nomignolo “ambiguo” all’accordo di Lab non a caso: battuta 20


coincide con l’inizio del secondo tema, in genere posto alla dominante rispetto la
tonalità d’impianto, quindi iniziarlo con il quarto grado conferisce ambiguità al
processo modulatorio! In questo processo, che coinvolge le battute da 16 a 19,
ovvero in piena transizione, assistiamo ad una trascolorazione delle zone di
passaggio, come se fossero edulcorate da un’armonia non ben definita.

28

27
Comparsa di una melodia retrograda nel primo movimento.
28
Descrizione dell’evoluzione dei processi armonici nel ponte modulante.

18
Tale attenuazione si verificherà in tutta la sonata, specialmente nel primo e nel terzo
movimento e, proprio come il concetto di motto o di contromovimento, anche la
trascolorazione delle zone di passaggio è un’innovazione beethoveniana, forse la
più irriverente ed importante tra le tre. De la Motte infatti ci ricorda che il passaggio
chiaro alla dominante, per l’ascoltatore dell’epoca, era un punto saldo
imprescindibile per quanto concerne l’orientamento; inoltre l’assenza del ritornello
alla fine dei gruppi cadenzati (quindi a battuta 38) era un altro punto di forte
frastornamento.
L’ammorbidire le zone di passaggio, come già detto, è garante di coerenza, questa
continua fluidità quindi è presente anche in altre parti della sonata, come ad esempio
nella transizione dallo sviluppo alla ripresa (anche qui non è ben chiaro, almeno
senza partitura, dove termina l’uno e comincia l’altro),
La parte in cui, però, questa volontà di fluidità diventa davvero forte, e che mi ha
sinceramente stupito, è il passaggio tra il secondo ed il terzo movimento.

29

Questo passo della sonata è davvero incredibile. Il secondo movimento, costruito


sulla tonalità di fa minore, si conclude con questa coda in cui anche il silenzio
sembra accentuato, e porta all’attenuazione di tutto con un diminuendo che parte
dal primo grado, ovvero dall’accordo di fa minore. Da questo si passa ad un accordo
di dominante che risolve, in cadenza piccarda, su un accordo di fa maggiore. Non
finisce qui: si scopre che l’accordo di fa maggiore in realtà era un pretesto per
introdurre il Sib minore del terzo movimento, che inizia con l’esposizione di una
melodia nella battuta 1. Ma, nelle battute due e tre, questo mondo viene interrotto:
è come se subentrasse un altro strumento, che, al posto di mostrare chiaramente la

29
Passagggio fra coda del secondo movimento e terzo movimento.

19
melodia, ci porta su un altro piano, quello dello sfondo, proprio come in un quadro
impressionista si accantona il soggetto per favorire il colore dello sfondo,
invertendo così i ruoli raffigurativi. Questo secondo piano nella battuta quattro
acquisisce un senso ben delineato: si scopre, infatti, che tutto ciò era un enorme
pretesto per introdurre un recitativo, il quale si pone come obiettivo una ricerca più
profonda di quelle proposte fino a quel momento: rompendo le convenzioni formali
(infatti ci troviamo davanti ad una forma libera che esula da una sonata per
pianoforte, almeno fino a quel momento) si ragiona alla radice del suono, cercando
di introdurre un nuovo pensiero del e sul suono. Dal recitativo, poi, si passerà
all’arioso dolente, visto in precedenza (fig. 12-14).
Ma ora passiamo alle notations n.5 e n.6.

20
2.3 CONFRONTO CON NOTATION n.5 e n.6

La notations n.5 è divisa in due parti, composte da sei battute a testa. Entrambe le
sezioni sono introdotte da un arpeggio, il quale viene tenuto per 5 battute e
collimano su uno sforzato nell’ultima battuta.
Nella prima sezione la serie inizia dall’ultima nota dell’arpeggio, ed è quella
originale ma retrograda che parte dalla nota re.

30

Anche nella seconda sezione la serie di riferimento è retrograda; corrisponde


all’originale, la quale parte dalla nota la, quinta nota della serie, e viene trasportata
in mi. Nella figura sottostante vediamo da dove nasce questa specifica serie.

31

Questa bipartizione in due parti uguali ed ugualmente introdotte da un arpeggio mi


ha rimandato al terzo movimento della sonata, più precisamente all’alternanza che
si palesa tra arioso e fuga.

30
Processo per ricavare serie impiegata nelle battute 1-6 della notations n.5.
31
Processo per ricavare serie impiegata nelle battute 7-12 della notations n.5.

21
In Beethoven infatti, nel terzo movimento, è presente un primo arioso (di cui
abbiamo parlato in precedenza), volto ad introdurre la prima fuga ed il secondo
arioso che introduce la seconda fuga; nel brano del compositore francese vi è un
primo arpeggio che introduce la prima sezione, seguita da un secondo arpeggio che
introduce la seconda sezione. I parallelismi su cui ragionerò sono arpeggi/ariosi e
sezioni post-arpeggi/fughe.

32

Gli arpeggi, come si può evincere dalla figura su riportata, non sono esattamente
uguali: il secondo è più breve e già contiene le note della serie impiegata nella sua
sezione, oppositamente al primo che fa partire la serie di riferimento dalla sua
ultima nota (re).
Una differenza invece tra i due ariosi è presente non a livello strutturale (in quanto
tutti e due sono bipartiti, suddivisibili entrambi in due periodi da quattro battute)
bensì a livello melodico: sebbene gli apici diastematici siano pressappoco simili
(non considerando la discrepanza armonica), la melodia del secondo arioso è molto
più frammentata, caratterizzata da ribattuti continui, una continua immissione di
pause e presenta un maggior dialogo fra le due mani.

32
Boulez, b.1 e b,7, notation n.5.

22
33

Il percorso armonico generale dei due ariosi è praticamente uguale, se non fosse
che sono costruiti su due tonalità diverse: il primo parte dalla tonalità di Lab minore
e, dopo aver raggiunto la relativa maggiore Dob si riavvia a tornare su Lab minore;
il secondo parte da Sol minore e, dopo esser approdati sulla tonalità della relativa
maggiore, si ritorna alla tonalità di Sol minore.
Sul piano delle figurazioni ci sono dei rimandi interni sia nelle due fughe che nelle
due sezioni.

34

33
Confronto tra primo e secondo arioso.
34
Boulez, notation n.5: si può notare come tra le due sezioni ci sia un simile andamento melodico.

23
Queste sezioni corrispondono melodicamente in maniera simile ai due ariosi ma in
maniera “inversa” rispetto ai due fugati.
Nella prima fuga, infatti, è presente un soggetto che, come abbiamo visto nel
paragrafo 1.1, è tratto dalle prime note del motto.

35

La seconda fuga, rispetto alla prima, applica dei cosiddetti fiamminghismi, ovvero
utilizza artifici compositivi tipici della musica fiamminga del ‘400. Primo su tutti
l’inversione del soggetto. È chiamato inversione quell’artificio per cui vengono
invertiti “a specchio” gli intervalli. Per spiegarla prendiamo come esempio proprio
questo estratto: l’intervallo che passa fra le prime due note è un intervallo di quarta
giusta ascendente, di conseguenza nell’inversione l’intervallo fra le prime due note
sarà sempre di quarta giusta ma discendente. Oppure, andando avanti, l’intervallo
che si presenta tra la seconda e la terza nota è una terza minore discendente, per
questo nell’inversione l’intervallo sarà una terza minore ascendente. Verifichiamo
ciò nell’estratto seguente, ovvero l’incipit della seconda fuga.

36

Altri artifici contrappuntistici di cui si serve Beethoven sono l’aumentazione del


soggetto, che consiste nell’aggravamento dei valori del soggetto (in questo caso
raddoppiano), e la diminuzione del soggetto che, dapprima, si presenta sola
(dividendo di un terzo i valori), poi accoppiata ad un taglio di due note (dividendo
di un sesto i valori ritmici), come vedremo negli esempi sottostanti.

35
Soggetto della prima fuga, con la classica ripetizione da parte della seconda voce alla dominante.
36
Soggetto inverso della seconda fuga.

24
37

38

In questa notation, nella n.5, non troviamo l’impiego di artifici o tecniche


compositive compositive che organizzano il materiale in maniera particolare; la
situazione cambia non appena passiamo ad analizzare la notation successiva.
La notation n.6 è anch’essa bipartita, divisa da una piccola m inserita sullo spartito.
La legenda inserita a piè del foglio indica che, in corrispondenza di questo simbolo,
ci sono due scelte possibili, entrambe vincolate dal fatto che nel pianissimo bisogna
adoperare uno staccato leggerissimo che lascia spazio ad uno staccato più marcato
nel fortissimo: o si parte pianissimo e si cresce fino al raggiungimento di un
fortissimo in corrispondenza della “m”, per poi decrescere di nuovo e raggiungere
un pianissimo sul finale oppure viceversa, quindi partire da fortissimo e decrescere
fino alla “m”, per poi tornare gradualmente fortissimi sul finale.

39

37
Aumentazione + diminuzione
38
Diminuzione + taglio di due note iniziali
39
Boulez, notation n.6, legenda.

25
La tecnica compositiva di questo brano è la cosiddetta “tecnica a ponte”, con la
quale la serie può rinnovarsi ogni volta.

40

Come si nota nell’eloquente immagine, questa tecnica consiste nel far evolvere la
serie attuando una trasposizione a partire dall’ultima nota di questa, che funge da
prima nota per la serie successiva. In questo caso la serie si accorcia ad ogni sua
proposizione di una nota (la seconda serie sarà da 11 suoni, la terza da 10 e così
via…) fino a “m”, dove arriviamo addirittura a sole tre note! Giunti a questo punto
il gioco si inverte e la serie comincia a riallungarsi, sempre un suono per volta.

41

La tecnica vista poc’anzi non è l’unico artificio utilizzato; il restringimento riguarda


anche l’arpeggio e gli intervalli. Le note dell’arpeggio, infatti, all’inizio oscillano
prevalentemente tra le 6 e le 8, per giungere ad “m” ed oscillare tra 4 e 2; da “m”,
però, l’arpeggio acquisisce progressivamente note, fino a tornare alla situazione
originaria. Questo discorso vale sia per la mano destra che per la sinistra le quali,
infatti, per le prime sei battute si muovono creando un canone per moto retto; dopo
il raggiungimento di “m” (spartiacque tra b.6 e b.7) formano un canone invertito.
Il viaggio finisce qui, purtroppo ho completato la tesina. Mi ha stimolato molto dal
punto di vista musicale questo confronto: non sempre è stato semplice riuscire ad
incastrare in modo soddisfacente e, soprattutto, capire quando fosse il momento di
parlare in maniera appagante di certi argomenti e quando, invece, lasciar fluire la
narrazione e continuare con il confronto tra i brani analizzati.

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Tecnica a ponte, b. 1-2
41
Tecnica a ponte, b.7

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