Lezione 1
Presentazione del corso
Lezione 1
Obiettivi
Lo scopo del corso è di fornire le conoscenze di geometria analitica e
algebra lineare necessarie per comprendere in maniera soddisfacente i
corsi successivi.
Risultati di apprendimento
Alla fine dell’itinerario didattico lo studente/la studentessa dovrebbe
essere capace di risolvere problemi su
• spazi vettoriali,
• matrici,
• spazio euclideo,
• curve e superfici.
Contenuti
Algebra lineare
Spazi vettoriali: Definizione. Dipendenza e indipendenza lineare di
vettori. Basi e dimensione di uno spazio vettoriale. Sottospazi vettoriali.
Lo spazio dei vettori geometrici. Applicazioni lineari.
Geometria analitica
Sottospazi affini: Definizione. Coordinate. Forma implicita e para-
metrica. Parallelismo. Mutua posizione. Fasci. Collinearità e compla-
narità. Applicazioni affini.
Prerequisiti
Una conoscenza di base su insieme, logica, relazioni, funzioni, strutture
algebriche, numeri reali e complessi.
Tutte le nozioni saranno brevemente riviste nelle prime lezioni. Co-
munque sia, una conoscenza di base è utile.
Riscaldamento
1. Presentazione del corso
2. Insiemi
3. Logica
4. Algebra
5. Polinomi
6. Funzioni e classi di equivalenza
7. Rette e piani
Spazi vettoriali
8. Vettori geometrici
9. Operazioni, gruppi e campi
10. Spazi vettoriali
11. Combinazioni lineari
12. Sottospazi vettoriali e sottospazi generati
13. Dipendenza e indipendenza lineare
14. Basi e coordinate
15. Dimensione
Matrici
16. Matrici
17. Operazioni sulle matrici
18. Determinante
19. Proprietà e calcolo del determinante
20. Rango di una matrice
21. Inversione di matrici
Applicazioni lineari
22. Applicazioni lineari
23. Nucleo e immagine
24. Isomorfismi
25. Applicazioni lineari e matrici
26. Cambiamenti di base
Sottospazi affini
33. Sottospazi affini
34. Mutua posizione di sottospazi affini
35. Applicazioni affini
Prodotti scalari
36. Prodotti scalari
37. Angoli e distanze
38. Basi ortonormali e prodotto vettoriale
39. Isometrie e forme quadratiche
Spazi proiettivi
40. Spazi proiettivi
Curve e superfici
41. Curve algebriche
42. Coniche
43. Classificazione delle coniche
44. Polarità
45. Centri, diametri, assi e asintoti
46. Superfici algebriche
47. Quadriche
48. Curve differenziabili
1.6 Note
Si suggerisce di leggere la Scheda insegnamento, pubblicata nella Scheda
docente.
In ogni lezione e in ogni sessione di studio vengono descritti solo i
dettagli che riguardano l’argomento della lezione corrente. I dettagli
che riguardano le lezioni precedenti sono omessi intenzionalmente per
focalizzare l’attenzione sull’argomento della lezione corrente.
Quindi, quando si trova davanti a un problema, il lettore/la lettri-
ce dovrebbe stare attento a capire se il problema riguarda l’argomento
della lezione corrente o un argomento di una lezione precedente (che è
trascurato nella lezione corrente).
Quiz
Nelle Sessioni di Studio 3 sono proposti dei quiz.
Il docente restituirà agli studenti il risultato dei quiz con gli strumenti del
Virtual Learning Environment.
Lezione 2
Insiemi
Lezione 2
Insiemi
2.1 Insiemi
Insiemi Un insieme I è una collezione di oggetti. Un oggetto x di una Insieme
tale collezione I è detto elemento dell’insieme I. Se x è un elemento di
I, si dice che x appartiene a I e ciò si indica con ∈/∋
x∈I oppure I ∋ x;
il caso contrario (ossia, se x non appartiene ad I) si indica con 6∈/6∋
x 6∈ I oppure I 6∋ x.
L’insieme che non ha elementi è detto insieme vuoto ed è indicato con Insieme vuoto
∅. Quindi, qualunque sia l’oggetto x abbiamo x 6∈ ∅. Gli insiemi sono ∅
caratterizzati dai loro elementi, quindi due insiemi che hanno gli stessi
elementi coincidono. Al contrario, due insiemi sono diversi se c’è un
elemento di uno dei due che non appartiene all’altro.
Un insieme può essere definito in due modi: Definizione per elencazione e per
caratteristica
• per elencazione, ossia elencando i suoi elementi;
• per caratteristica, ossia caratterizzando i suoi elementi.
Nel caso della definizione per elencazione, l’elenco può essere com-
pleto oppure no, ma se non è completo gli elementi omessi devono es-
sere deducibili in maniera ovvia (in tal caso vengono usati i punti di
sospensione).
Esempio 2.1. 1. L’insieme {bianco, rosso, verde} è formato dagli ele-
menti “bianco”, “rosso” e “verde”. I colori “blu” e “giallo” non
appartengono all’insieme.
2. L’insieme {1, −1, 2, 0} è formato dagli elementi −1, 0, 1 e 2. I
numeri 4, −2 e 21 non appartengono all’insieme.
3. Al variare del numero intero positivo n, l’insieme In = {1, 2, 3, . . . , n}
è formato dai numeri interi positivi minori o uguali ad n, ossia 1,
3. {1, 2, 3, . . . , n}:
4. {1, 2, 3, . . .}:
4. #{1, 2, 3, . . .} = ∞.
J ⊂I oppure I ⊃ J.
In tal caso diremo che I contiene J . Il contrario (ossia se I non contiene
J ) è indicato con 6⊂/6⊃
J 6⊂ I oppure I 6⊃ J .
Qualsiasi sia l’insieme I, abbiamo ∅ ⊂ I. Due insiemi I1 e I2 coincidono
se e solo se sono l’uno sottoinsieme dell’altro ◮. ◮ Ossia I1 ⊂ I2 e I2 ⊂ I1 .
#{bianco, rosso, verde}+#{bianco, verde, blu} = #{bianco, rosso, verde, blu}+#{bianco, verde}.
2. Consideriamo l’Esempio 2.7-2: abbiamo ◮ ◮ 4 + 3 = 6 + 1.
I \ J = {x ∈ I | x 6∈ J }.
Esempio 2.10. I J
Insiemi numerici Gli insiemi numerici sono particolari insiemi: Insieme numerico
• l’insieme N = {0, 1, 2, 3, . . .} dei numeri naturali;
• l’insieme Z = {. . . , −3, −2, −1, 0, 1, 2, 3, . . .} dei numeri interi;
• l’insieme Q = n n ∈ Z, m ∈ N \ {0} dei numeri razionali ◮;
m
◮ Per essere precisi, bisogna stare attenti alle
6
ripetizioni (ad esempio, 10 = 52 ), ma non
• l’insieme R dei numeri reali, ossia l’estensione dei numeri razionali appesantiremo la trattazione.
considerando anche “numeri che possono essere approssimanti con ◮ La definizione dei numeri reali è non ba-
◮
numeri razionali” (i numeri reali che non sono razionali sono detti nale, ma l’idea è proprio quella di con-
◮;
irrazionali) ◮ siderare gli altri numeri che hanno uno
sviluppo decimale, e quindi possono esse-
• l’insieme C = {a + bi | a, b ∈ R} dei numeri complessi, dove i = re approssimati
√ con numeri razionali, co-
√ me 2 = 1, 41421 . . . , π = 3, 14159 . . . ,
−1. ◮
◮
◮ e = 2, 71828 . . . .
Consideriamo questi insiemi come contenuti ciascuno nel successivo: ◮ ◮
◮
◮ Nessun numero reale può essere la radice
quadrata di un numero negativo, quindi
N ⊂ Z ⊂ Q ⊂ R ⊂ C. i 6∈ R.
◮ In realtà, rigorosamente parlando, questi
insiemi, per come sono stati introdotti so-
pra, non sono contenuti in quelli successivi.
c 2014 Gennaro Amendola
Versione 1.0 Per esempio, il numero intero 3 non è una
frazione; tra le frazioni però c’è 13 che è
pensata uguale al numero intero 3, anche
se sono due oggetti diversi.
Lezione 2. Insiemi 2–6
Esercizio 2.6. Scrivi per elencazione l’insieme {3, 5, 7, 10}\{−2, 3, 8, 10, 11}.
Soluzione. Gli elementi che appartengono a {3, 5, 7, 10} e non a {−2, 3, 8, 10, 11}
sono 5 e 7, quindi {3, 5, 7, 10} \ {−2, 3, 8, 10, 11} = {5, 7}.
Esercizio 2.8. 2+{numeri interi positivi pari} è uguale a {numeri interi positivi pari}?
Soluzione. Se aggiungiamo 2 a un numero intero positivo pari il risulta-
to è un numero intero positivo pari, quindi 2+{2, 4, 6, . . .} ⊂ {2, 4, 6, . . .}.
Inoltre, i numeri interi in {numeri interi positivi pari} cominciano da 2,
quindi i numeri interi in 2 + {numeri interi positivi pari} cominciano
da 4, e otteniamo 2 + {2, 4, 6, . . .} = {4, 6, 8, . . .}. Quindi i due insie-
mi 2 + {numeri interi positivi pari} e {numeri interi positivi pari} sono
diversi perché il primo contiene 2 mentre il secondo no.
Esercizio 2.6. Scrivi per elencazione l’insieme {3, 5, 7, 10}\{−2, 3, 8, 10, 11}.
Soluzione. Gli elementi che appartengono a {3, 5, 7, 10} e non a {−2, 3, 8, 10, 11}
sono 5 e 7, quindi {3, 5, 7, 10} \ {−2, 3, 8, 10, 11} = {5, 7}.
Esercizio 2.8. 2+{numeri interi positivi pari} è uguale a {numeri interi positivi pari}?
Soluzione. Se aggiungiamo 2 a un numero intero positivo pari il risulta-
to è un numero intero positivo pari, quindi 2+{2, 4, 6, . . .} ⊂ {2, 4, 6, . . .}.
Inoltre, i numeri interi in {numeri interi positivi pari} cominciano da 2,
quindi i numeri interi in 2 + {numeri interi positivi pari} cominciano
da 4, e otteniamo 2 + {2, 4, 6, . . .} = {4, 6, 8, . . .}. Quindi i due insie-
mi 2 + {numeri interi positivi pari} e {numeri interi positivi pari} sono
diversi perché il primo contiene 2 mentre il secondo no.
Insiemi
Lezione 2. Insiemi 2–10
Insiemi
Lezione 2. Insiemi 2–12
Domanda 2.2. Quale dei seguenti insiemi definiti per elencazione coin-
cide con l’insieme I = {n ∈ Z | − 3 6 n < 2, n 6= 0} definito per
caratteristica?
(a) {−3, 2}.
(b) {−3, −2, −1, 1}.
(c) {−3, −2, 0, −1, 1}.
(d) {−3, 1}.
c 2014 Gennaro Amendola Versione 1.0
Lezione 2. Insiemi 2–14
c 2014 Gennaro Amendola Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 3
Titolo: Logica
Attività n°: 1
Lezione 3
Logica
Lezione 3
Logica
3.1 Logica
Proposizione Diciamo che P è una proposizione se essa può essere Proposizione
solo o vera o falsa, anche se non sappiamo se è vera o falsa. Il fatto che una proposizione può esse-
re solo o vera o falsa è detto principio
Esempio 3.1. 1. “Tutti gli uomini sono animali” è una proposizione di bivalenza. Ci sono situazioni in cui
vera. “C’è un uomo che non è un animale” è una proposizione falsa. non è soddisfatto, ma per noi sarà sempre
soddisfatto.
2. “Tutte le donne bionde hanno gli occhi verdi” è una proposizio-
ne falsa. “C’è una donna bionda che ha gli occhi azzurri” è una
proposizione vera.
3. “4 è un numero intero pari” è una proposizione vera. “4 è un
numero intero dispari” è una proposizione falsa.
4. “Il latte è scaduto?” oppure “A che ora arrivi?” non sono proposi-
zioni: sono domande. Ad esse si può rispondere con proposizioni:
“Il latte è scaduto” oppure “Il latte non è scaduto”, “Arriverò al-
le 10” o “Arriverò alle 11”. Anche la risposta “Non lo so” è una
proposizione perché è vera (se non lo so) o è falsa (se lo so).
Spesso le proposizioni possono essere riscritte in modo compatto
usando gli insiemi.
Esempio 3.2. 1. Le proposizioni dell’Esempio 3.1-1 possono essere La prima proposizione è vera, la seconda
è falsa, coerentemente con quanto detto
riscritte usando gli insiemi, rispettivamente, come “{uomini} ⊂ nell’Esempio 3.1-1.
{animali}” e “{uomini} 6⊂ {animali}”.
2. Le proposizioni dell’Esempio 3.1-2 possono essere riscritte usando La prima proposizione è falsa, la secon-
da è vera, coerentemente con quanto detto
gli insiemi, rispettivamente, come “{donne bionde} ⊂ nell’Esempio 3.1-2.
{donne con gli occhi verdi}” e “{donne bionde} ∩
{donne con gli occhi azzurri} =
6 ∅”.
3. Le proposizioni dell’Esempio 3.1-3 possono essere riscritte usando La prima proposizione è vera, la seconda
è falsa, coerentemente con quanto detto
gli insiemi, rispettivamente, come “4 ∈ {m ∈ Z | m è pari}” e “4 ∈ nell’Esempio 3.1-3.
{m ∈ Z | m è dispari}”.
Abbiamo visto ◮ che la proposizione “tutte le donne bionde hanno ◮ Esempio 3.1-2.
gli occhi verdi” non è vera, quindi non sappiamo se mia mamma
ha davvero gli occhi verdi ◮, però la proposizione “il fatto che tutte ◮ Infatti ha gli occhi marroni.
le donne bionde hanno gli occhi verdi implica che mia madre (che
è bionda) ha gli occhi verdi” è vera.
3. La proposizione “se 4 è un numero intero pari, allora 5 è un numero
intero dispari” è vera, ma anche la proposizione “se 4 è un numero
intero dispari, allora 5 è un numero intero pari” è vera. ◮ ◮ Infatti il numero intero successivo di un
numero pari è dispari e il numero intero
4. La proposizione “se finisco di lavorare entro le 20, compro il pane” successivo di un numero dispari è pari.
può essere vera o falsa, ma non dice nulla sul fatto che io finisca di
lavorare entro le 20, o meno.
L’implicazione Q ⇒ P è detta l’implicazione inversa di P ⇒ Q. Le Implicazione inversa
due implicazioni P ⇒ Q e Q ⇒ P non sono equivalenti: ci sono casi in
cui è vera solo una delle due, casi in cui sono entrambe false, e casi in
cui sono entrambe vere. Se sia P ⇒ Q che Q ⇒ P sono vere, si usa la
notazione
P ⇔Q:
essa è equivalente a “P è vera se e solo se Q è vera”.
Esempio 3.5. 1. L’implicazione inversa dell’implicazione dell’Esem-
pio 3.4-1 è “se mio padre è un animale, allora tutti gli uomini sono
animali”, ossia
mio padre è un animale =⇒ tutti gli uomini sono animali.
Dal fatto che mio padre sia un animale non possiamo dedurre che
tutti gli uomini lo siano. In realtà, sappiamo a priori che “tutti gli
uomini sono animali” è vera, quindi la proposizione, che può essere
riscritta come
“mio padre è un animale” è vera =⇒ “tutti gli uomini sono animali” è vera,
è vera. ◮ ◮ Questo però è un caso particolare, in cui
la proposizione Q di P ⇒ Q è vera:
2. L’implicazione inversa dell’implicazione “se sono malato, allora io comunque sia, in generale non è così.
vado dal dottore” è l’implicazione “se io vado dal dottore, io sono
malato”. Entrambe le implicazioni sono false. Infatti a volte sono
malato, ma non così tanto da andare dal dottore. Inoltre, vado dal
dottore anche per avere certificati che sono sano.
3. Consideriamo le due implicazioni dell’Esempio 3.4-3. L’implicazio-
ne inversa della proposizione “se 4 è un numero intero pari, allora
5 è un numero intero dispari” è “se 5 è un numero intero dispari,
allora 4 è un numero intero pari”, che è vera ◮; quindi abbiamo ◮ Infatti il numero intero precedente di un
numero intero dispari è pari.
4 è pari ⇐⇒ 5 è dispari,
L’implicazione inversa della proposizione “se 4 è un numero intero
dispari, allora 5 è un numero intero pari” è “se 5 è un numero
intero pari, allora 4 è un numero intero dispari”, che è vera ◮; quindi ◮ Infatti il numero intero precedente di un
numero intero pari è dispari.
abbiamo
5 è pari ⇐⇒ 4 è dispari.
∀ x uomo, x è un animale
l l
∃ x uomo, x non è un animale.
L’uomo che non è un animale sarebbe un controesempio alla pro-
posizione “Tutti gli uomini sono animali”. ◮ ◮ Non c’è un tale controesempio, infatti la
proposizione “Tutti gli uomini sono anima-
2. Le negazioni delle due proposizioni dell’Esempio 3.3-2 si ottengono li” è vera, e “C’è un uomo che non è un
come segue: animale” è falsa.
∄ (non esiste).
Esempio 3.8. Neghiamo le proposizioni dell’Esempio 3.7 che contengo-
no “∃”.
1. Scambiamo ∃ e ∄:
∃ x uomo, x non è un animale
l
∄ x uomo, x non è un animale.
2. Scambiamo ∃ e ∄:
∃ x donna bionda, x non ha gli occhi verdi
l
∄ x donna bionda, x non ha gli occhi verdi;
∃ k ∈ Z, 4=2k
l l
∄ k ∈ Z, 4=2k;
∃ k ∈ Z, 4=2k + 1
l l
∄ k ∈ Z, 4=2k + 1.
Osservazione 3.9. L’implicazione P ⇒ Q è equivalente a nonP ⇐
nonQ.
L’implicazione nonP ⇐ nonQ è detta contronominale di P ⇒ Q. Contronominale
Dimostrazione. Dimostriamo l’enunciato per assurdo. Supponiamo per Dimostrazione di “4n non è divisibile per
8 ⇒ n ∈ N non è pari”.
assurdo che 4n non sia divisibile per 8. Allora la decomposizione di
4n in numeri primi è della forma 2α1 3α2 5α3 · · · pαh h con α1 < 3 ◮. Visto Utilizziamo il Teorema fondamentale del-
l’aritmetica: “Ogni numero naturale mag-
che 4n è divisibile per 4, abbiamo α1 = 2, ossia 4n = 22 3α2 5α3 · · · pαh h . giore di 1 si può esprimere come prodotto
Allora abbiamo n = 3α2 5α3 · · · pαh h , che è dispari. Abbiamo ottenuto un di numeri primi (se il numero è primo sti-
puliamo che il prodotto è formato da un
assurdo: n è pari per ipotesi. solo numero); tale decomposizione è uni-
ca, a meno dell’ordine in cui compaiono i
fattori.”
◮ 8 = 23 .
Dimostrazione. Visto che n è pari se e solo se n = 2k con k ∈ N, possiamo Scritto così, non serve una dimostrazione
per induzione, ma facciamo finta di non no-
dimostrare la proposizione equivalente k ∈ N ⇒ 4(2k) è divisibile per 8. tare che 4(2k) = 8k e quindi dimostriamo
Dimostriamo l’enunciato per induzione su k. che 4(2k) è divisibile per 8 per induzione.
Caso base. Per k = 0 abbiamo 4 · (2 · 0) = 0, e 0 è divisibile per 8 ◮. ◮ 0 è divisibile per tutti i numeri naturali,
Passo induttivo. Supponiamo che sia vero che per k ∈ N abbiamo che infatti 0 = 0 · h per ogni h ∈ N.
4(2k) è divisibile per 8; dimostriamo che per k+1 abbiamo che 4(2(k+1))
è divisibile per 8. Abbiamo 4(2(k + 1)) = 4(2k + 2) = 4(2k) + 8. Per
l’ipotesi induttiva ◮ abbiamo che 4(2k) è divisibile per 8. Se sommiamo ◮ Che stiamo supponendo vera.
8 a un numero divisibile per 8, otteniamo un altro numero divisibile per
8 ◮, quindi 4(2k) + 8 è divisibile per 8: la dimostrazione è completa. ◮ Infatti due numeri consecutivi divisi-
bili per 8 differiscono proprio per 8:
Dimostriamo che ci sono numeri reali che non sono razionali ◮◮ . Dato 0, 8, 16, 24, 32, . . . .
a ∈ R non negativo, c’è un unico numero reale non negativo x tale che ◮ In realtà i numeri razionali sono “molti
◮
meno” di quelli reali.
x2 = a. Esso è detto radice quadrata principale di a ed è indicato con
√ Radice quadrata principale
a. √
·
2 √
C’è un solo altro numero
√ √tale che x = a, che è − a ed è negativo; se
◮ ◮ Ricorda che a deve essere sempre non
negativo.
a = 0, abbiamo − 0 = 0.
√
Esempio 3.13. 1. Abbiamo 0 = 0, perché 02 = 0 e 0 > 0.
√ √
2. Abbiamo 4 = 2, perché 22 = 4 e 2 > 0. 4 6= −2, infatti anche se abbiamo
q (−2)2 = 4, la condizione (−2) > 0 non
5 2
3. Abbiamo 25 5
9 = 3 , perché 3 = 25 5
9 e 3 > 0.
è soddisfatta.
√ √
Proposizione 3.14. Il numero 2 ∈ R non appartiene a Q. L’ipotesi è che√ 2 ∈ R.
La tesi è che 2 6∈ Q.
Dimostrazione.
√ Dimostriamo √ l’enunciato per assurdo. Supponiamo che
n
2 ∈ Q. Allora abbiamo 2 = m con n ∈ N e m ∈ N \ {0} primi
n 2
tra loro ◮. Abbiamo quindi che m = 2, cosicché n2 = 2m2 . Da ciò ◮ Più precisamente, semplificando i fattori
n
2 comuni possiamo considerare la frazione m
deduciamo che n è pari, e quindi anche n lo è, ossia n = 2k con k ∈ Z. ◮
◮
ridotta ai minimi termini.
2 2 2 2
Abbiamo quindi che (2k) = 2m , ossia 4k = 2m . Semplificando, ◮ Esercizio 3.3.
◮
otteniamo 2k2 = m2 . Per lo stesso ragionamento fatto sopra per n,
abbiamo che anche m è pari. ◮ Abbiamo ottenuto che sia n che m sono ◮ Non ripetiamo la dimostrazione, perché è
la stessa di prima, sostituendo n con m.
divisibili per 2, ossia un assurdo: n e m erano primi tra loro.
Logica
Lezione 3. Logica 3–9
Esercizio 3.4. Dimostra che la somma dei primi k numeri naturali non
nulli è k(k+1)
2 .
Logica
Lezione 3. Logica 3–11
Logica
Lezione 3. Logica 3–13
c 2014 Gennaro Amendola Versione 1.0
Lezione 3. Logica 3–15
Domanda 3.8. Quale dei seguenti non può essere chiamato teorema?
(a) Dato x ∈ N, se x è dispari allora 2 è dispari.
(b) Dato x ∈ N, se x è dispari allora x + 1 è pari.
(c) Dato x ∈ N, se x è pari allora x + 1 è dispari.
(d) Dato x ∈ N, se x è pari allora 2 è pari.
c 2014 Gennaro Amendola Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 4
Titolo: Algebra
Attività n°: 1
Lezione 4
Algebra
Lezione 4
Algebra
4.1 Algebra
Lettere Per rappresentare i numeri non specificati (o altri elementi ◮), ◮ Funzioni, vettori, ecc.
nelle formule matematiche sono usate le lettere ◮. Ogni lettera, a seconda ◮ L’abbiamo già visto nelle lezioni preceden-
del caso, rappresenta un elemento appartenente a un particolare insieme ti.
Esempio 4.2. Nella formula ax2 , le due lettere a e x sono variabili (ad
esempio, numeri interi, ossia a, x ∈ Z). Se però consideriamo la lettera
x fissata, essa diventa un parametro (o una costante) e la formula è
pensata come un modo sintetico per scrivere a · (−1)2 , a · 02 , a · 12 , a · 22 ,
ecc. Se cerchiamo i valori di x per cui ax2 = 18, allora la lettera x è
un’incognita.
Oltre alle lettere, maiuscole e minuscole, dell’alfabeto latino, si usano
anche le lettere, maiuscole e minuscole, dell’alfabeto greco (Tabella 4.1). ◮ ◮ Non usiamo le lettere maiuscole dell’al-
fabeto greco se coincidono con quelle
A volte, quando sono necessarie molte variabili, o se è utile numerare dell’alfabeto latino.
le variabili, possono essere usati apici e pedici; ad esempio, possiamo
◮, o a′ , a′′ , a′′′ ◮ (0) (1) (2)
◮
avere a0 , a1 , a2 , . . . ◮ ◮, o a , a , a , . . . ◮. Nel terzo caso ◮ Si pronunciano “a (con) zero”, “a (con)
◮
uno”, “a (con) due”, ecc.
usiamo le parentesi per evitare confusione con l’elevamento a potenza,
◮ Si pronunciano “a primo”, “a secondo”, “a
ma a volte usiamo anche la notazione a0 , a1 , a2 , a3 , . . . specificando, in ◮
◮
terzo”, ecc.
ogni caso, che non stiamo elevando a potenza. A volte, è utile usare la
◮ Si pronunciano “a (con) zero”, “a (con)
stessa lettera per rappresentare due oggetti simili ma diversi, in tal caso uno”, “a (con) due”, ecc.
usiamo un segno per distinguere le due lettere, come ad esempio x e x.
La scelta delle lettere in base alla situazione è completamente arbi-
traria, a patto di non usare la stessa lettera con due diversi significati. Ci
sono però delle convenzioni, per aiutare a comprendere meglio le formule,
anche se ci sono situazioni in cui esse non sono seguite: ad esempio,
• le lettere x, y, z sono tipicamente riservate alle variabili/incognite,
• le lettere a, b, c sono tipicamente riservate alle costanti,
• le lettere m, n sono tipicamente riservate agli interi,
• per gli indici sono tipicamente usate le lettere i, j, h, k,
• per gli angoli sono tipicamente usate le lettere minuscole dell’alfa-
beto greco (α, β, γ, . . . ),
• per i punti della retta, del piano o dello spazio sono tipicamente
usate le lettere maiuscole dell’alfabeto latino (A, B, C, . . . ),
• per le rette del piano o dello spazio sono tipicamente usate le lettere
minuscole dell’alfabeto latino (r, s, t, . . . ),
Equazioni
Equazioni Una equazione è una uguaglianza in cui compaiono una o Equazione
più incognite appartenenti ciascuna a un dato insieme. A meno che non
sia indicato esplicitamente, le incognite sono quelle che compaiono nell’e-
quazione, ◮ e l’insieme in cui variano è R. Il segno di uguaglianza divide ◮ Le incognite che non compaiono nell’e-
quazione sono libere di assumere qualsiasi
l’equazione in due membri, il membro sinistro e il membro destro. Una valore.
soluzione di una equazione consiste in una n-upla di valori, uno per ogni Membri
incognita, tali che se ogni incognita assume il valore corrispondente, l’e- Soluzione
quazione è soddisfatta ◮. Quindi una soluzione può essere pensata come ◮ Se c’è più di una incognita, non basta tro-
un elemento del prodotto cartesiano degli insiemi a cui appartengono le vare un valore per una particolare incogni-
ta: una soluzione è formata da più valori,
incognite. Una risoluzione di una equazione consiste nel trovare tutte le uno per ogni incognita.
soluzioni dell’equazione; in tal caso diremo che risolviamo l’equazione.
Esempio 4.5. 1. L’equazione 3x − 2 = 0 nell’insieme dei numeri
reali ◮ ha la soluzione x = 23 , infatti 3 · 32 − 2 = 0. ◮ Ma anche nell’insieme dei numeri razionali
o in quello dei numeri complessi.
2. L’equazione 0 = 0 nell’insieme dei numeri reali R ha come insieme
delle soluzioni tutto R, infatti per ogni x ∈ R l’equazione è sod-
disfatta. ◮ Al contrario, l’equazione 0 = 1 nell’insieme dei numeri ◮ Qualsiasi numero scegliamo
√ (ad esempio,
x = 3, x = π 3 , x = 11) l’equazione 0 = 0
reali R non ha soluzioni, infatti per ogni x ∈ R l’equazione non è è verificata.
soddisfatta. ◮
◮ ◮ Qualsiasi numero scegliamo (ad esempio,
◮ √
x = 3, x = π 3 , x = 11) l’equazione 0 = 1
3. L’equazione
√ x2 − 2 = 0 nell’insieme dei numeri
√ reali ha la soluzione non è verificata.
x1 = 2, ma anche la soluzione x2 = − 2. Invece, la stessa equa-
zione nell’insieme dei numeri razionali non ha soluzioni: l’abbiamo
dimostrato nella Proposizione 3.14.
L’equazione x2 + 2 = 0 nell’insieme dei numeri reali non ha solu- x2 + |{z}
|{z} 2 > 0.
zioni, infatti sommando un quadrato (che è positivo o nullo) a un >0 >0
Equazioni equivalenti Due equazioni sono dette equivalenti se hanno Equazioni equivalenti
le stesse soluzioni.
Osservazione 4.7. Applicando una delle seguenti operazioni a una Il viceversa non è vero: con queste ope-
razioni non riusciamo a ottenere tutte le
equazione otteniamo un’equazione equivalente: equazioni equivalenti. Ad esempio, sia
• scambiare i membri; x2 + 1 = 0 che 0 = 1 non hanno soluzio-
ni reali (quindi sono equivalenti), ma non
• sommare o sottrarre la stessa quantità da entrambi i membri; riusciamo a ottenerle l’una dall’altra con
queste operazioni.
• moltiplicare o dividere per la stessa quantità non-nulla entrambi i
membri. ◮ ◮ Abbiamo già visto che non è possibile divi-
dere per 0. Per quanto riguarda la molti-
Esempio 4.8. • Le equazioni 3x + 1 = 5x2 e 5x2 = 3x + 1 so- plicazione per 0, invece, può succedere che
no equivalenti perché sono ottenute l’una dall’altra scambiando i dopo la moltiplicazione compaiano nuove
soluzioni.
membri.
• Le equazioni 3x + 1 = 5x2 e 3x + 3 = 5x2 + 2 sono equivalenti
perché la seconda è ottenuta sommando 2 a entrambi i membri
della prima. Le equazioni 3x + 1 = 5x2 e 3x = 5x2 − 1 sono
equivalenti perché la seconda è ottenuta sottraendo 1 da entrambi
i membri della prima. ◮ ◮ In questo caso, è come se avessimo sposta-
to l’1 al secondo membro, cambiandolo di
• Le equazioni 3x + 1 = 5x2 e 9x + 3 = 15x2 sono equivalenti perché segno.
la seconda è ottenuta moltiplicando per 3 entrambi i membri della
prima. Le equazioni 3x + 1 = 5x2 e 3x+1 5 = x2 sono equivalenti
Sistemi di equazioni
Sistemi di equazioni Un sistema (di equazioni) è una collezione di Sistemi (di equazioni)
equazioni eq1 , eq2 , . . . , eqn , ed è indicato con
eq1
eq2
.. .
.
eqn
Una soluzione del sistema è una soluzione comune a tutte le equazioni Soluzione
eq1 , eq2 , . . . , eqn . Una risoluzione di un sistema (di equazioni) consiste
nel trovare tutte le soluzioni del sistema (di equazioni); in tal caso diremo
che risolviamo il sistema (di equazioni). Visto che prenderemo in consi-
derazione solo sistemi di equazioni (e non, ad esempio, di disequazioni),
non ripeteremo ogni volta le parole “di equazioni”.
La tecnica più semplice per risolvere un sistema è la sostituzione. Sostituzione
Essa consiste nel risolvere un’equazione del sistema rispetto a una va-
riabile (considerando le altre parametri), sostituire poi la soluzione (o le
soluzioni) trovata nelle altre equazioni, e ripetere il processo finché non
viene trovata l’ultima variabile; in seguito si ripetono i passi in ordine
inverso trovando ricorsivamente le altre variabili; alla fine, si controlla
che le soluzioni trovate soddisfano le equazioni che non sono state usate.
Si noti che alcune variabili possono essere libere di assumere qualsiasi
valore.
3x = 5
Esempio 4.11. 1. Il sistema y 2 − 2 = 0 nelle incognite x, y ∈ R
1=1
√
ha tre equazioni e due incognite. Ha due soluzioni: (x, y) = 35 , 2
√
e (x, y) = 35 , − 2 .
Lo stesso sistema nelle incognite x, y ∈ Q non ha soluzioni. ◮ ◮ Non esistono coppie di numeri razionali
(x, y) tali che y 2 = 2 (Proposizione 3.14).
Sistemi equivalenti Due sistemi sono detti equivalenti se hanno le Sistemi equivalenti
stesse soluzioni.
Osservazione 4.12. Applicando una delle seguenti operazioni alle equa- Il viceversa non è vero: con queste ope-
razioni non riusciamo a ottenere tutti
zioni di un sistema ottieniamo un sistema equivalente: i sistemi equivalenti. Ad esempio, sia
I) scambio di due equazioni del sistema; x2 + 1 = 0 che 0 = 1 sono sistemi
(con una sola equazione) che non hanno so-
II) moltiplicazione di entrambi i membri di una equazione del sistema luzioni reali, ma non riusciamo a ottenerle
l’una dall’altra con queste operazioni.
per lo stesso valore non nullo; ◮
◮ Questa operazione è stata già considera-
III) sostituzione di un’equazione del sistema con l’equazione ottenuta ta nell’Osservazione 4.7: la ripetiamo qui
sommando a ciascun membro dell’equazione stessa il corrisponden- perché ci sarà utile in seguito.
te membro di un’altra equazione moltiplicato per un numero ◮◮. ◮ Il numero per cui moltiplichiamo deve es-
◮
sere lo stesso per entrambi i membri. Inol-
Per semplicità, diremo semplicemente che “moltiplichiamo un’equa- tre non richiediamo che il numero sia non
zione per un numero” per il caso II e che “aggiungiamo un multiplo di nullo, ma se scegliamo 0 l’operazione non
cambia il sistema, quindi è “inutile”.
un’equazione a un’altra” per il caso III.
Definizione 4.13. Le tre operazioni descritte nella precedente osserva- Operazioni di tipo I/II/III
zione sono dette rispettivamente di tipo I, di tipo II e di tipo III.
Esempio 4.14. 1. Applichiamo alcune operazioni al sistema
3x = 5
y2 − 2 = 0
1=1
dell’Esempio 4.11-1.
2
y −2=0
I) Il sistema 3x = 5 è ottenuto scambiando le prime due
1=1
equazioni (operazione di tipo I).
3x = 5
II) Il sistema 4y 2 − 8 = 0 è ottenuto moltiplicando entram-
1=1
bi i membri della seconda equazione per 4 (operazione di
tipo II).
3x = 5
III) Il sistema y 2 − 2 + 6x = 10 è ottenuto sostituendo alla
1=1
seconda equazione l’equazione ottenuta sommando a ciascun
membro dell’equazione stessa (la seconda) il corrispondente
membro della prima equazione moltiplicato per 2 (operazione
di tipo III).
2. Applichiamo alcune operazioni al sistema
2x + z = 3
2y = 0
2z − y + 4x = 6
dell’Esempio 4.11-2.
2z − y + 4x = 6
I) Il sistema 2y = 0 è ottenuto scambiando la pri-
2x + z = 3
ma equazione con la terza (operazione di tipo I).
2x + z = 3
II) Il sistema y=0 è ottenuto moltiplicando la
2z − y + 4x = 6
seconda equazione per 12 (operazione di tipo II).
2x + z = 3
III) Il sistema 2y = 0 è ottenuto aggiungendo alla
4 8
3 z − y + 3 x = 4
terza equazione la prima moltiplicata per − 32 (operazione di
tipo III).
Osservazione 4.15. Nell’operazione di tipo II è fondamentale la richie-
sta che il numero per cui moltiplichiamo sia diverso da zero, altrimenti
l’equivalenza non è assicurata, perché moltiplicando per zero possono
comparire nuove soluzioni.
Esempio 4.16. 1. Se moltiplichiamo
entrambi i membri della se-
3x = 5
conda equazione del sistema y 2 − 2 = 0 nelle incognite x, y ∈
1=1
3x = 5
R per 0 otteniamo il sistema
◮ 0 = 0 (sempre nelle incognite ◮ Esempio 4.11-1.
1=1
x, y ∈ R) che ha infinite soluzioni: (x, y) = 53 , α with α ∈ R.
2. Se moltiplichiamo
entrambi i membri della terza equazione del si-
2x + z = 3
stema 2y = 0 nelle incognite x, y, z ∈ R ◮ per 0 otte- ◮ Esempio 4.11-2.
2z − y + 4x = 6
2x + z = 3
niamo il sistema 2y = 0 (sempre nelle incognite x, y, z ∈
0=0
R) che ha le stesse soluzioni del sistema iniziale ◮: (x, y, z) = ◮ Qui siamo stati “fortunati” ad aver
annullato una equazione “inutile”.
(α, 0, 3 − 2α) ∈ R3 con α ∈ R.
2x + z = 3
essere eliminata ottenendo il sistema equivalente a
2y = 0
quello iniziale. ◮ ◮ Sostituendo alla terza equazione l’equa-
zione ottenuta aggiungendo all’equazione
stessa la seconda equazione moltiplicata
per 21 (operazione di tipo III), otteniamo
2x + z = 3
il sistema equivalente 2y = 0 .
2z + 4x = 6
Moltiplicando poi entrambi i membri del-
la terza equazione per 21 (operazione di
tipo
II), otteniamo il sistema equivalente
2x + z = 3
2y = 0 .
z + 2x = 3
Algebra
Lezione 4. Algebra 4–11
2
y =1
Esercizio 4.3. Risolvi il sistema 6x + 2z − 2y − y 2 = 3 .
3x + z − y = 2
Soluzione. La seconda equazione è dipendente dalle altre due, infatti è
ottenuta moltiplicando entrambi i membri della terza equazione per 2,
e poi sottraendo a ciascun membro dell’equazione ottenuta il corrispon-
dente membro della prima equazione. Quindi la seconda
2 equazione può
y =1
essere eliminata, ottenendo il sistema equivalente .
3x + z − y = 2
Dalla prima equazione otteniamo y = ±1. Dalla seconda otteniamo
z = y − 3x + 2, e quindi due casi a seconda di y: ossia z = −1 − 3x + 2 e
z = 1 − 3x + 2. Allora otteniamo le soluzioni (x, y, z) = (α, −1, 1 − 3α)
con α ∈ R e (x, y, z) = (α, 1, 3 − 3α) con α ∈ R.
x + 2y + 2z = 3
Esercizio 4.4. Risolvi il sistema 2x − 3y − z = −1 .
3x + 2z = 2
Soluzione. Dalla terza equazione otteniamo z = 1 − 32 x. Sostituendolo
x + 2y + 2 1 − 32 x = 3 −2x + 2y + 2 = 3
3 7
nelle altre otteniamo 2x − 3y − 1 − 2 x = −1 , e quindi 2 x − 3y − 1 = −1 .
z = 1 − 32 x z = 1 − 32 x
x + 2y − z = −2
Esercizio 4.5. Risolvi il sistema dove le incognite
2x + 4y + z = 5
sono x, y, z, t.
Soluzione. Sottraendo dalla seconda equazione la prima moltiplicata
x + 2y − z = −2
per 2 (operazione di tipo III) otteniamo , e quindi
3z = 9
x + 2y − z = −2
.
z=3
Sostituendo il valore assunto da z nella prima equazione otteniamo
x + 2y − 3 = −2 x = 1 − 2y
, e quindi .
z=3 z=3
La variabile t è libera di assumere qualsiasi valore, quindi le soluzioni
sono (x, y, z, t) = (1 − 2α, α, 3, β) con α, β ∈ R.
3x1 + 3x2 − 2x3 + x4 = 1
2x1 + x2 − x3 + x4 = −2
Esercizio 4.6. Risolvi il sistema .
x 1 + 2x2 − x3 = 2
x1 + x2 − x3 + 2x4 = 0
Soluzione. La terza equazioneè x1 = 2 − 2x2 + x3 , quindi sostituendo
3 (2 − 2x2 + x3 ) + 3x2 − 2x3 + x4 = 1
2 (2 − 2x2 + x3 ) + x2 − x3 + x4 = −2
nelle altre equazioni otteniamo ,
x + 2x2 − x3 = 2
1
(2 − 2x2 + x3 ) + x2 − x3 + 2x4 = 0
−3x2 + x3 + x4 = −5
−3x2 + x3 + x4 = −6
e quindi .
x + 2x2 − x3 = 2
1
(2 − 2x2 + x3 ) + x2 − x3 + 2x4 = 0
Sottraendo la seconda equazione dalla prima (operazione di tipo III),
otteniamo l’equazione 0 = 1, che non ha soluzione, quindi il sistema non
ha soluzione.
Algebra
Lezione 4. Algebra 4–13
15
Risultato dell’Esercizio 4.7. 1. 2 .
√
2. 24 5.
Risultato dell’Esercizio 4.8. x = −2.
α2
Risultato dell’Esercizio 4.9. (x, y, z) = con α ∈ R.
2 , α, −3α Usa l’Esempio 4.18.
√
Risultato dell’Esercizio 4.10. In R: (x, y, z) = ± 2, 2, 1 . ◮ ◮ Trova y e z, e poi x.
√
In Q: nessuna soluzione. ◮ ◮ Ricorda che 2 6∈ Q.
Risultato dell’Esercizio 4.11. (x, y, z) = − 47 , 15
4 , − 3
4 .
Risultato dell’Esercizio 4.12. (x1 , x2 , x3 , x4 ) = (−8 − 5a, −2 − a, 3 +
4a, a) con a ∈ R.
Risultato dell’Esercizio 4.13. Nessuna soluzione.
Algebra
Lezione 4. Algebra 4–15
Algebra
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 4/S3
Titolo: Algebra
Attività n°: 3
Lezione 5
Polinomi
Lezione 5
Polinomi
5.1 Polinomi
Monomi
Definizione 5.1. Un monomio è il prodotto di un numero e di alcune Monomi
variabili (anche nessuna), ciascuna delle quali compare una volta sola
con un certo esponente intero positivo. Il numero è detto coefficiente Coefficiente (numerico)
numerico o semplicemente coefficiente, mentre la parte formata dalle
variabili è detta parte letterale. Tutti i monomi senza parte letterale, Parte letterale
ossia senza variabili, sono detti costanti. Tutti i monomi con coefficiente
uguale a zero sono considerati uguali, e sono detti monomi nulli e indicati Monomio nullo
semplicemente con 0. Il grado di un monomio m è Grado
• la somma degli esponenti delle variabili se m 6= 0, ◮ ◮ I monomi costanti hanno grado 0, perché
la somma di nessun esponente è 0.
• −∞ se m = 0;
il grado di m è indicato con deg(·)
Dall’inglese “degree”.
deg(m).
Osservazione 5.2. • Non abbiamo considerato monomi che hanno
alcune variabili con esponente nullo, perché, analogamente a quan-
to succede per i numeri non nulli, stipuliamo che ogni variabile
elevata a zero sia uguale a 1.
• Le particolari variabili utilizzate nel monomio non sono fondamen-
tali: ad esempio, i monomi 3xy 2 e 3zt2 sono diversi, ma per molti
aspetti si comportano allo stesso modo.
• L’ordine delle variabili non è rilevante.
• Il grado di un monomio può essere solamente un numero intero Il grado di un monomio non può essere un
numero negativo (ad esempio, −1, −2 o
positivo o nullo, oppure −∞. −27)
7
√ o un numero non intero (ad esempio,
Notazione 5.3. Può succedere che il coefficiente di un monomio sia una 4
, 5 o π).
◮ Tanto è uguale.
Lezione 5. Polinomi 5–6
Polinomi
Definiamo i polinomi, che ovviano al fatto che la somma di monomi non
simili non si può fare.
Definizione 5.19. Un polinomio è la somma di monomi non simili. ◮ Polinomio
Ciascun monomio è detto termine. Il termine di grado 0 è detto termine ◮ La somma è astratta: non possiamo calco-
larla, perché i monomi non sono simili, e la
noto. Il polinomio formato solo dal monomio nullo è detto polinomio lasciamo indicata. Se nella somma ci sono
nullo ed è indicato semplicemente con 0. Il grado di un polinomio p è il monomi simili, facciamo la somma come
abbiamo visto nella Definizione 5.17.
grado massimo dei suoi termini, ed è indicato con
Termine
deg(p). Termine noto
Polinomio nullo
L’insieme dei polinomi in una variabile (ad esempio, x) con coefficienti
Grado
in un insieme (ad esempio, I) è indicato con
deg(·)
I[x] , I[·]
I6m[x] o I6m[x1 , x2 , . . . , xn ]
(a seconda delle variabili).
Esempio 5.20. 1. Il polinomio 8x3 + 15x2 − x + 2 nella variabile x
è formato da quattro termini: i monomi 8x3 , 15x2 , −x e 2. Ha
grado 3, infatti il termine di grado massimo è 8x3 . Se pensiamo i
coefficienti in Z, il polinomio appartiene all’insieme Z[x]; se invece
li pensiamo in R, esso appartiene all’insieme R[x].
√
2. Il polinomio 21 a4 b5 − 3a6 b nelle variabili a e b è formato da due
√
termini: i monomi 21 a4 b5 e − 3a6 b. Ha grado 9, infatti il termine
√
di grado massimo è 21 a4 b5 . Un coefficiente non appartiene a Q ◮, ◮ 3.
quindi il polinomio non appartiene all’insieme Q[a, b]; invece, visto
che tutti i coefficienti appartengono ad R, il polinomio appartiene
all’insieme R[a, b].
3. Il polinomio x4 yz 3 −xyz 5 +2z 3 può essere visto come un polinomio Nella penultima colonna abbiamo indica-
to il termine di grado massimo, nell’ultima
in modi diversi a seconda di quali lettere scegliamo come variabili. l’insieme a cui appartengono i polinomi, se
pensiamo i coefficienti come numeri reali.
Notazione 5.24. Se al polinomio p (a1 , a2 , . . . , an ) manca un termine Questa è una finezza, ma, strettamente
parlando, il polinomio p(x) = 2x2 − 3 non
di grado k 6 deg(p), nelle variabili a1 , a2 , . . . , an , questo termine sarà ha il termine con parte letterale x: con
considerato contenuto nel polinomio con coefficiente 0. questa notazione possiamo dire che il po-
linomio p(x) contiene il termine con parte
Definizione 5.25. La somma di due polinomi, p1 e p2 , è il polinomio letterale x con coefficiente 0.
p1 + p2 ottenuto sommando i monomi di p1 e p2 . ◮ ◮ Somma di polinomi
Per ricorrenza, la somma di k polinomi p1 , p2 , . . . , pk , con k > 2, è ◮ Se ci sono monomi simili, la somma viene
◮
ottenuta facendo la somma dei primi k − 1 polinomi, e poi facendo la fatta utilizzando la Definizione 5.17.
2x3 − 23 x2 −4x +3 4x − 3
2x3 − 23 x2 −4x +3 4x − 3
2x3 − 32 x2 1 2
x
2
−4x +3
2x3 − 23 x2 −4x +3 4x − 3
3 2 1 2
2x3 2x x −1
2
−4x +3
−4x +3
0
Teorema 5.39 (del resto). Il resto della divisione di un polinomio in Teorema del resto
una variabile p(x) per un polinomio d(x) = x − α, con α costante, è
uguale a p(α).
Dimostrazione. Facendo la divisione di p(x) per x − α otteniamo
p(x) = q(x) · (x − α) + r(x),
con deg(r) < 1, ossia r(x) è formato solo dal termine noto r(x) = r0 .
Inoltre, abbiamo
p(α) = q(α) · (α − α) + r(α) = q(α) · 0 + r0 = r0 .
La dimostrazione è completa.
Definizione 5.40. Dato un polinomio in una variabile p(x), un numero Zero di un polinomio
α è detto zero di p(x) se
p(α) = 0,
ossia se, sostituendolo alla variabile, si ottiene 0, ossia se α è una solu-
zione dell’equazione p(x) = 0.
Esempio 5.41. 1. Consideriamo il polinomio p(x) = x3 −2x2 −x+2. Per ora, non possiamo dire se il polinomio
x3 −2x2 −x+2 ha altri zeri: sappiamo solo
I numeri 1, −1 e 2 sono zeri di p(x), infatti abbiamo rispettivamente che ±1 e 2 sono zeri. Vedremo tra poco che
p(1) = 0, p(−1) = 0 e p(2) = 0. I numeri 0 e −2 non sono zeri di non ce ne sono altri.
p(x), infatti abbiamo rispettivamente p(0) = 2 e p(−2) = −12.
2. Consideriamo il polinomio p(x) = x3 − 5x2 + 3x + 9. I numeri −1 Anche qui non possiamo dire se il polino-
mio x3 − 5x2 + 3x + 9 ha altri zeri: sappia-
e 3 sono zeri di p(x), infatti
√ abbiamo rispettivamente p(−1) = 0 e mo solo che −1 e 3 sono zeri. Vedremo tra
p(3) = 0. I numeri 1 e 2 non √ sono
zeri
√ di p(x), infatti abbiamo poco che non ce ne sono altri.
√
rispettivamente p(1) = 8 e p 2 = 5 2 − 1 ◮. ◮ Che non è 0, altrimenti avremmo 2 =
1
5
∈ Q.
3. Consideriamo il polinomio p(x) = 2x3 −x2 . I numeri 0 e 12 sono zeri
Questa volta possiamo dire che il polino-
di p(x), infatti abbiamo rispettivamente p(0) = 0 e p 12 = 0. I mio 2x3 − x2 non ha altri zeri. Infatti,
numeri 1 e 2 non sono zeri di p(x), infatti abbiamo rispettivamente l’equazione 2x3 − x2 = 0 può essere riscrit-
ta come x2 (2x − 1) = 0; un prodotto di
p(1) = 1 e p(2) = 12. due numeri è nullo se e solo se almeno uno
di essi è nullo, cosicché abbiamo x2 = 0 o
4. Il polinomio p(x) = x2 + 1 non ha zeri reali ◮
◮, ma ne ha complessi:
2x − 1 = 0, quindi le uniche soluzioni sono
i numeri i e −i sono zeri di p(x), infatti abbiamo rispettivamente x = 0 e x = 12 .
p(i) = 0 e p(−i) = 0. ◮ x2 + |{z}
◮ |{z} 1 > 0.
>0 >0
Teorema 5.42 (Ruffini). Dato un polinomio in una variabile p(x), un
Teorema di Ruffini
numero α è uno zero di p(x) se e solo se p(x) è divisibile per x − α.
Dimostrazione. Per il Teorema del resto ◮ abbiamo che p(α) = 0 se e ◮ Teorema 5.39.
solo se il resto della divisione di p(x) per x − α è 0. Ciò significa che p(x)
è divisibile per x − α ◮. ◮ Definizione 5.34.
Definizione 5.43. Siano p(x) un polinomio in una variabile e sia α un Molteplicità di uno zero di un
polinomio
suo zero. Il massimo esponente m tale che p(x) è divisibile per (x − α)m
è detto molteplicità di α. Per il Teorema di Ruffini p(x) è divisibile
almeno per (x − α)1 .
Esempio 5.44. Consideriamo i polinomi dell’Esempio 5.41.
1. Abbiamo p(x) = x3 − 2x2 − x + 2 = (x − 1)(x + 1)(x − 2) ◮: ◮ Vedremo tra poco come abbiamo scritto il
polinomio x3 − 2x2 − x + 2 come prodotto
• p(x) è divisibile per x − 1 e lo zero x = 1 ha molteplicità 1, di polinomi di grado 1.
• p(x) è divisibile per x + 1 e lo zero x = −1 ha molteplicità 1,
• p(x) è divisibile per x − 2 e lo zero x = 2 ha molteplicità 1.
2. Abbiamo p(x) = x3 − 5x2 + 3x + 9 = (x + 1)(x − 3)2 ◮: ◮ Vedremo tra poco come abbiamo scritto il
polinomio x3 − 5x2 + 3x + 9 come prodotto
• p(x) è divisibile per x + 1 e lo zero x = −1 ha molteplicità 1, di polinomi di grado 1.
• p(x) è divisibile per (x − 3)2 e lo zero x = 3 ha molteplicità
2.
3. Abbiamo p(x) = 2x3 − x2 = 2x2 x − 12 :
b
c Sostituzione È zero?
1
1 p(1) = 3 · 14 − 14 · 13 + 24 · 12 − 18 · 1 + 5 = 0 Sì
1
−1 p(−1) = 3(−1)4 − 14(−1)3 + 24(−1)2 − 18(−1) + 5 = 64 No
5
1 p(5) = 3 · 54 − 14 · 53 + 24 · 52 − 18 · 5 + 5 = 640 No
− 51 p(−5) = 3(−5)4 − 14(−5)3 + 24(−5)2 − 18(−5) + 5 = 4320 No
1
4 3 2
3 p 31 = 3 13 − 14 13 + 24 13 − 18 13 + 5 = 27 32
No
4 3 2
− 31 p − 13 = 3 − 13 − 14 − 13 + 24 − 31 − 18 − 13 + 5 = 128 9 No
5
4 3 2
3 p 35 = 3 53 − 14 53 + 24 53 − 18 53 + 5 = 0 Sì
4 3 2
− 53 p − 53 = 3 − 53 − 14 − 53 + 24 − 35 − 18 − 53 + 5 = − 512027 No
b
c Sostituzione È zero?
1
= 22
1 p(1) = 2 · 13 + 3 · 12 − 5 · 1 − 6 = −6 No
− 11 = − 22 p(−1) = 2(−1)3 + 3(−1)2 − 5(−1) − 6 = 0 Sì
2
1 p(2) = 2 · 23 + 3 · 22 − 5 · 2 − 6 = 12 No
− 21 p(−2) = 2(−2)3 + 3(−2)2 − 5(−2) − 6 = 0 Sì
3 6
1 = 2 p(3) = 2 · 33 + 3 · 32 − 5 · 3 − 6 = 60 No
− 31 = − 26 p(−3) = 2(−3)3 + 3(−3)2 − 5(−3) − 6 = −18 No
6
1 p(6) = 2 · 63 + 3 · 62 − 5 · 6 − 6 = 504 No
− 61 p(−6) = 2(−6)3 + 3(−6)2 − 5(−6) − 6 = −300 No
1
3 2
2 p 12 = 2 12 + 3 12 − 5 21 − 6 = − 15 No
1 3
1 2
2
− 21 1
p − 2 = 2 − 2 + 3 − 2 − 5 − 2 − 6 = −3 1
No
3
3 2
2 p 32 = 2 32 + 3 32 − 5 23 − 6 = 0 Sì
3 2
− 32 p − 32 = 2 − 23 + 3 − 32 − 5 − 32 − 6 = 32 No
p(x) = 0
nell’incognita x è detta equazione polinomiale. Il grado del polinomio Grado
p(x) è detto grado dell’equazione. Risolvere l’equazione consiste nel cer-
care i valori di x tali che p(x) = 0, ossia gli zeri del polinomio p(x) ◮. Se ◮ Definizione 5.40.
uno zero x = α ha molteplicità 1 diremo che la soluzione α è semplice, se Soluzioni semplici, doppie, triple,. . .
ha molteplicità 2 diremo che la soluzione α è doppia, se ha molteplicità
3 diremo che la soluzione α è tripla, e così via.
Se deg(p) = 1, ossia p(x) è della forma ax + b, con a 6= 0, abbiamo
visto che l’equazione ax + b = 0 ha una soluzione x1 = − ab ◮. ◮ Esempio 4.6.
Se deg(p) = 2, ossia p(x) è della forma ax2 + bx +√c, con a 6= 0, Formula risolutiva delle equazioni di
b2 −4ac secondo grado
l’equazione ax2 + bx + c = 0 ha due soluzioni x1 = −b− 2a e x2 =
√
−b+ b2 −4ac ◮
2a . Le soluzioni coincidono se b2 −4ac = 0, e sono complesse se ◮ Useremo anche la notazione x1/2
√
=
b2 − 4ac < 0. ◮◮ Questa formula è detta formula risolutiva delle equazioni −b± b2 −4ac
2a
.
di secondo grado. ◮ Se b2 − 4ac < 0 non ci sono soluzioni reali.
◮
Prima di aumentare il grado, analizziamo i due casi più semplici:
• se deg(p) = 0, ossia p(x) = a, con a 6= 0, non ci sono soluzioni; ◮
◮
◮
◮
◮ Sostituendo alla x un qualunque numero,
◮
otteniamo sempre a, ossia non otteniamo
• se deg(p) = −∞, ossia p(x) = 0, tutti i numeri sono soluzioni. ◮ mai 0.
Analizziamo il caso generico, ossia supponiamo che deg(p) = n > 2 e ◮ Sostituendo alla x un qualunque numero,
otteniamo sempre 0.
consideriamo l’equazione p(x) = 0. Non esiste un metodo che funziona
per tutti i polinomi di qualsiasi grado. ◮ Se però i coefficienti del polino- ◮ Se deg(p) = 3 oppure deg(p) = 4, esistono
formule esplicite per trovare le soluzioni,
mio p(x) sono interi, un metodo per trovare le soluzioni dell’equazione ma sono lunghe e complicate. Se invece
p(x) = 0 consiste nel cercare di abbassare il grado del polinomio fino ad deg(p) > 5, è stato dimostrato che ci sono
arrivare a 1 o 2, e quindi usare le formule viste sopra. ◮◮ Questo meto- polinomi i cui zeri possono essere espressi
tramite radicali, e che ce ne sono altri i
do funziona solo se tutti gli zeri del polinomio, eccetto al più due, sono cui zeri non possono essere espressi tramite
razionali. I passi da fare per abbassare il grado sono i seguenti. radicali.
◮ Questo metodo non funziona se anche uno
◮
solo dei coefficienti del polinomio non è in-
tero: ad esempio, per il polinomio x3 −
√
2x + 1.
c 2014 Gennaro Amendola
Versione 1.0
Lezione 5. Polinomi 5–20
A questo punto abbiamo abbassato il grado di p(x), infatti deg(q) = ◮ Un altro metodo per trovare q(x) consi-
◮
ste nell’usare la “Regola di Ruffini”: abbia-
deg(p) − 1, e possiamo ripetere i passi precedenti finché otteniamo un mo preferito utilizzare la divisione (che è
polinomio di grado 1 o 2. Infine, possiamo trovare gli ultimi zeri con una generalizzazione della divisione tra nu-
meri, conosciuta dalle scuole elementari),
le formule descritte sopra. Il problema anticipato prima sul fatto che evitando di imparare un altro metodo.
questo procedimento potrebbe non funzionare dipende dal fatto che al
Passo 1 potremmo non riuscire a trovare uno zero del polinomio: ciò
succede se il polinomio non ha abbastanza zeri razionali. ◮ ◮ Servono almeno deg(p) − 2 zeri razionali.
Se riusciamo a trovare tutti gli zeri di p(x), diciamo α1 , α2 , . . . , αn , Per completezza, diciamo che la scrittura
possiamo scrivere p(x) = pn (x − α1 ) (x − α2 ) · · · (x − αn ) è
detta fattorizzazione di p(x).
p(x) = pn (x − α1 ) (x − α2 ) · · · (x − αn ) ,
dove pn è il coefficiente del termine di grado massimo di p(x).
Esempio 5.55. 1. Cerchiamo le soluzioni dell’equazione
3
x − 7x − 6 = 0. (5.1)
Visto che il polinomio p(x) = x3 − 7x − 6 ha coefficienti interi,
cominciamo cercando le soluzioni razionali, ossia proviamo con i
numeri bc , con b che divide −6 e c che divide 1. Abbiamo 8 casi:
±1, ±2, ±3, ±6. Abbiamo p(−1) = 0, quindi una soluzione è
x = −1. Allora il polinomio p(x) è divisibile per x + 1: facendo
la divisione otteniamo come quoziente x2 − x − 6 ◮, quindi p(x) = ◮ E, naturalmente, resto 0: se non trovassi-
mo 0 saremmo sicuri di aver fatto un errore
x2 − x − 6 (x + 1). (nel fare la divisione o nel cercare gli zeri
Cerchiamo quindi le soluzioni dell’equazione x2 −x−6
√ = 0 che pos- prima).
−(−1)± (−1)2 −4·1·(−6)
siamo trovare con la formula risolutiva: x = 2·1 =
1±5
2 , ossia x = 3 oppure x = −2. ◮ L’equazione (5.1) ha tre solu- ◮ Essendo razionali, le avremmo potute tro-
vare anche proseguendo con il metodo ini-
zioni: x = −1, x = −2 e x = 3. ziale, con cui abbiamo trovato la soluzione
2. Cerchiamo le soluzioni dell’equazione x = −1.
11 17
x4 + x3 + x2 − 6 = 0. (5.2)
2 2
Notiamo che moltiplicando entrambi i membri per 2 otteniamo l’e-
quazione equivalente 2x4 +11x3 +17x2 −12 = 0. Quindi, cerchiamo
gli zeri del polinomio a coefficienti interi p(x) = 2x4 +11x3 +17x2 −
12.
Cominciamo cercando le soluzioni razionali, ossia proviamo con i
numeri bc , con b che divide −12 e c che divide 2. Abbiamo molti
casi da analizzare: ±1, ±2, ±3, ±4, ±6, ±12, ± 12 , ± 32 . Abbiamo
p(−2) = 0, quindi una soluzione è x = −2. Allora il polinomio p(x)
è divisibile per x+2: facendo la divisione otteniamo come quoziente
2x3 + 7x2 + 3x − 6, quindi p(x) = 2x3 + 7x2 + 3x − 6 (x + 2).
Polinomi
Lezione 5. Polinomi 5–22
Il prodotto è
2x2 y − x2 y 3 · x + 3xy 2 − x2 y = 2x3 y − x3 y 3 + 6x3 y 3 − 3x3 y 5 − 2x4 y 2 + x4 y 4 =
= 2x3 y + 5x3 y 3 − 3x3 y 5 − 2x4 y 2 + x4 y 4 .
• Il grado del primo polinomio è 5 perché il termine di grado massimo
è −x2 y 3 . Il grado del secondo polinomio è 3 perché un termine con
grado massimo è 3xy 2 ◮. ◮ Anche il termine −x2 y ha grado 3.
Esercizio 5.3. Trova gli zeri del polinomio 2x3 − 9x2 + x + 12, e le loro
molteplicità.
Soluzione. Gli zeri razionali del polinomio 2x3 − 9x2 + x + 12, che ha
coefficienti interi, hanno la forma bc con b che divide 12 e c che divide 2.
I divisori di 12 sono ±1, ±2, ±3, ±4, ±6 e ±12, mentre i divisori di 2
Quindi cerchiamo gli zeri del polinomio √ 2x2 − 11x + 12, che possiamo
11± (−11)2 −4·2·12
trovare con la formula risolutiva: x = 2·2 = 11±5 3
4 , ossia 2 e
3
4. Le soluzioni sono x1 = −1 con molteplicità 1, x2 = 2 con molteplicità
1, x3 = 4 con molteplicità 1.
Polinomi
Lezione 5. Polinomi 5–24
Risultato dell’Esercizio
5.5.
• ab2 − 3ab + ab − ab2 = −2ab,
ab2 − 3ab · ab − ab2 = 4a2 b3 − 3a2 b2 − a2 b4 .
• deg ab2 − 3ab = 3, deg ab − ab2 = 3.
• deg ab2 − 3ab + ab − ab2 = 2, deg ab2 − 3ab · ab − ab2 = 6.
• R[a, b].
• m = 6. ◮ ◮ L’insieme dei polinomi è R66 [a, b].
Polinomi
Lezione 5. Polinomi 5–26
Polinomi
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 5/S3
Titolo: Polinomi
Attività n°: 3
Lezione 6
Funzioni e classi di equivalenza
Lezione 6
Funzioni e classi di
equivalenza
6.1 Funzioni
Definizione 6.1. Dati due insiemi I e J , una funzione o mappa o appli- Funzione/mappa/applicazione
cazione da I a J è una legge f che associa ad ogni elemento dell’insieme
I uno e un solo elemento dell’insieme J . L’insieme I è detto dominio,
I J
mentre l’insieme J è detto codominio. La funzione è sintetizzata con
f : I −→ J ,
Il dominio e il codominio sono parte
o con integrante della funzione.
f
I −→ J ,
o semplicemente con f .
Per ogni elemento x ∈ I l’elemento di J che f associa a x ◮ è detto ◮ È uno solo.
immagine (rispetto a f ) di x, ed è indicato con f (x) ∈ J .
Definizione 6.5. Sia f : I → I una funzione il cui dominio coincide Punto fisso
con il codominio. Un elemento x ∈ I tale che f (x) = x è detto punto Se il dominio e il condominio sono diversi,
può non avere senso chiedere se un elemen-
fisso di f . to x del dominio è un punto fisso, perché
f (x) appartiene a un insieme diverso.
Esempio 6.6. 1. La funzione σ : {1, 2, 3} −→ {1, 2, 3} definita da
σ(1) = 3, σ(2) = 2, σ(3) = 1 ha l’insieme {1, 2, 3} sia come dominio
che come codominio. L’elemento 2 è un punto fisso di σ, perché
σ(2) = 2. Gli elementi 1 e 3 non sono punti fissi di σ, perché
σ(1) = 3 6= 1 e σ(3) = 1 6= 3.
è uguale al codominio, I.
Definizione 6.13. Una funzione f : I → J è detta iniettiva, se elementi Funzione iniettiva
diversi del dominio hanno immagini diverse: Attenzione a non confondere la condizio-
ne sull’iniettività con la definizione di fun-
x1 6= x2 =⇒ f (x1 ) 6= f (x2 ) . zione. In una funzione ad ogni elemento
del dominio è associato uno e un solo ele-
Osservazione 6.14. Considerando la contronominale ◮ di quella del- mento del codominio (in un diagramma di
Eulero-Venn, da ogni punto del dominio
la definizione di iniettività, otteniamo che una funzione f : I → J è parte esattamente una freccia), ma posso-
iniettiva se e solo se ◮
◮ no esserci elementi del codominio che “pro-
vengono” da più elementi del dominio (in
f (x1 ) = f (x2 ) =⇒ x1 = x2 . un punto del codominio possono arrivare
più frecce). La funzione è iniettiva se ogni
Esempio 6.15. Consideriamo le funzioni dell’Esempio 6.2. elemento del codominio “proviene” da al
più un elemento del dominio (ossia in tut-
1. La funzione f non è iniettiva, infatti abbiamo f (2) = f (3), ossia i ti i punti del codominio arriva al più una
due elementi 2 e 3 hanno la stessa immagine. freccia).
4. La funzione g è iniettiva. Infatti, se supponiamo che g (x1 , y1 ) =
g (x2 , y2 ) , otteniamo
(x1 + 2y1 , x1 + y1 , 2x1 − y1 ) = (x2 + 2y2 , x2 + y2 , 2x2 − y2 ) ,
ossia il sistema
x1 + 2y1 = x2 + 2y2
x1 + y 1 = x2 + y 2 .
2x1 − y1 = 2x2 − y2
Sottraendo ciascun membro della seconda equazione dal corrispon-
dente membro della prima, otteniamo y1 = y2 , e quindi la seconda
equazione diventa x1 = x2 . Abbiamo dimostrato che (x1 , y1 ) =
(x2 , y2 ), ossia l’iniettività di g. ◮ ◮ Osservazione 6.14.
n o
esse formano una partizione di Z. L’insieme [0]∼R , [1]∼R è
2 2
l’insieme quoziente dell’insieme Z per la relazione di equivalenza
∼R2 .
3. Le classi di equivalenza {automobili gialle}, {automobili rosse},
{automobili verdi}, ecc. hanno a due a due intersezione vuota e
la loro unione è tutto l’insieme {automobili}; esse formano una
partizione di {automobili}. L’insieme ◮ ◮ Questo insieme quoziente può essere
pensato come un insieme di colori
{automobili gialle}, {automobili rosse}, {automobili verdi}, . . . ({giallo, rosso, verde, . . .}), ma, volendo es-
sere precisi, non è un insieme di colo-
è l’insieme quoziente dell’insieme {automobili} per la relazione di ri: i suoi elementi non sono colori, so-
no classi di equivalenza (ossia sottoinsiemi
equivalenza ∼R3 . dell’insieme {automobili}).
Esercizio 6.3. La funzione f : R3 ∋ (x, y, z) 7−→ y + 1, x2 + y 2 , x − 2z ∈
R3 è iniettiva? È surgettiva?
Soluzione. Cerchiamo di trovare la controimmagine di un elemento
(a, b, c) del codominio, ossia di risolvere f (x, y, z) = (a, b, c).
L’equazione
y+1=a
y + 1, x2 + y 2 , x − 2z = (a, b, c) è equivalente al sistema x2 + y 2 = b .
x − 2z = c
Abbiamo b > 0, quindi f non è surgettiva (per esempio, Preimf (0, −1, 0) =
∅).
Inoltre, trovando x dalla
terza equazione e y dalla prima, abbiamo che
y =a−1
il sistema è equivalente a (c + 2z)2 + (a − 1)2 = b . La seconda equa-
x = c + 2z
zione è 4z 2 +4cz+c2 +(a−1)2 −b = 0. Se 16c2 −16 c2 + (a − 1)2 − b > 0
√
−4c± 16c2 −16(c2 +(a−1)2 −b)
ci sono due soluzioni per z, ossia z1/2 = 8 . Que-
sto succede per esempio se c = 0 e a = b = 1 (precisamente, 16 > 0),
quindi # Preimf (1, 1, 0) = 2 e f non è iniettiva.
Esercizio 6.4. Dimostra che la funzione f : R2 ∋ (x1 , x2 ) 7−→ (x2 − x1 , 3x1 − 2x2 ) ∈
R2 è bigettiva, e calcola la sua inversa.
Soluzione. Cerchiamo la controimmagine Preimf (a1 , a2 ) di un elemen-
to generico
(a1 , a2 ) del codominio, ossia cerchiamo le soluzioni del siste-
x 2 − x 1 = a1
ma . C’è esattamente una soluzione per ogni (a1 , a2 ),
3x1 − 2x2 = a2
Risultato dell’Esercizio
6.8. Im(f ) = (a, −a) ∈ R 2 a ∈ R .
Preimf (I) = (a + 1, a) ∈ R2 a ∈ R ∪ (a, a) ∈ R2 a ∈ R .
Risultato dell’Esercizio 6.9. −1, 0, 1. ◮ ◮ Abbiamo già visto nella Sezione 5.4
come trovare le soluzioni di equazioni
Risultato dell’Esercizio 6.10. Non iniettiva: f (1, 1, 1) = f (0, 0, 0). polinomiali.
Non surgettiva: (1, 0, 0) 6∈ Im(f ).
Risultato dell’Esercizio 6.11. Dimostra che la controimmagine Preimf (a, b, c)
di un elemento generico (a, b, c) del codominio è formata daesattamente
a+b−c −a+b+c
un elemento. f −1 : R3 ∋ (a, b, c) 7−→ a−b+c
2 , 2 , 2 ∈ R3 .
Risultato dell’Esercizio 6.12. Calcola esplicitamente f ◦f −1 e f −1 ◦f , Proposizione 6.26.
dimostrando che
f ◦f −1 : R2 ∋ (x1 , x2 ) 7−→ (x1 , x2 ) ∈ R2 e f −1 ◦f : R2 ∋ (a1 , a2 ) 7−→ (a1 , a2 ) ∈ R2 .
Risultato dell’Esercizio 6.13. g ◦ f non può essere definita.
2
f ◦ g : R2 ∋ (a, b) 7−→ 2, a2 − b, a2 − b − a2 − b ∈ R3 .
Risultato dell’Esercizio 6.14. Dimostra le tre proprietà della defini-
zione. ◮ L’insieme quoziente è ◮ Definizione 6.29.
{Ia | a ∈ R}
dove le classi di equivalenza sono Ia = [(0, a)]∼R = (x, a) ∈ R2 x ∈ R .
Risultato dell’Esercizio 6.15. R1 non è simmetrica: 0 6 1 ma 1 6 0.
R2 non è transitiva: (x − 1)(x − 2) e (x − 2)(x − 3) hanno uno zero
comune, (x − 2)(x − 3) e (x − 3)(x − 4) hanno uno zero comune, ma
(x − 1)(x − 2) e (x − 3)(x − 4) non hanno uno zero comune. ◮ ◮ Teorema fondamentale dell’algebra (Teore-
ma 5.50).
Lezione 7
Rette e piani
Lezione 7
Rette e piani
Mutua posizione di rette e piani Due rette nel piano possono Mutua posizione di due rette nel
piano: rette coincidenti, incidenti,
essere: parallele
• coincidenti se in realtà sono la stessa retta;
• incidenti se sono distinte e si intersecano (in un punto ◮), come s′
e r1′ (ma anche come s′ e r2′ ) nella figura;
• parallele se non si intersecano, come r1′ e r2′ nella figura.
◮ Due rette che si incontrano in due pun-
Due piani nello spazio possono essere: ti distinti sono coincidenti, perché per due
punti distinti passa una sola retta.
• coincidenti se in realtà sono lo stesso piano;
Mutua posizione di due piani nello
◮), come α
• incidenti se sono distinti e si intersecano (in una retta ◮ spazio: piani coincidenti, incidenti,
e γ (ma anche come β e δ) nella figura sopra; paralleli
◮ Due piani nello spazio non si possono
◮
• paralleli se non si intersecano, come α e β nella figura sopra. incontrare in un solo punto.
Inoltre, vale qualcosa di più forte: ogni retta è intersezione di due piani ◮
◮.
◮ ◮
◮ Infiniti piani contengono la retta: sce-
◮
gliendone due qualsiasi distinti, la loro
Due rette nello spazio possono essere complanari o no. Se sono intersezione è la retta stessa.
complanari, possono essere ◮: Mutua posizione di due rette nello
• coincidenti se in realtà sono la stessa retta; spazio: rette coincidenti, incidenti,
parallele, sghembe
• incidenti se sono distinte e si intersecano (in un punto), come s e
r1 (ma anche come s e r2 ) nella figura;
• parallele se non si intersecano, come r1 e r2 nella figura.
Se le due rette sono incidenti o parallele, il piano in cui sono contenute
◮ È la stessa situazione vista sopra: due rette
è unico. Se le due rette non sono complanari, sono dette sghembe. In nel piano.
questo caso le due rette non sono né coincidenti, né incidenti, né parallele,
come s e t (ma anche come r1 e t, e come r2 e t) nella figura mostrata
quando abbiamo introdotto le rette.
Una retta rispetto a un piano nello spazio può essere Mutua posizione di una retta rispet-
to a un piano nello spazio: contenuta,
• contenuta se la retta è contenuta nel piano, come r e α nella figura; incidente, parallela
• incidente se la retta non è contenuta nel piano e lo interseca (in un
punto), come s e α nella figura;
Fasci e stelle L’insieme di tutte le rette del piano che contengono un Fascio di rette
punto fissato è detto fascio di rette proprio. L’insieme di tutte le rette del
piano parallele a una data retta è detto fascio di rette improprio. Ogni
fascio di rette improprio può essere pensato come la classe di equivalenza
della relazione di parallelismo: due rette sono in relazione se e solo se
sono parallele. ◮ In un fascio di rette improprio le rette hanno in comune ◮ Per i fasci propri questo non è vero, perché
ogni retta appartiene a infiniti fasci propri
la direzione: più precisamente, un fascio di rette improprio è formato da diversi.
tutte le rette che hanno in comune la direzione.
L’insieme di tutti i piani dello spazio che contengono una retta fissata Fascio di piani
è detto fascio di piani proprio. L’insieme di tutti i piani dello spazio
paralleli a un dato piano è detto fascio di piani improprio. Ogni fascio
improprio può essere pensato come la classe di equivalenza della relazione
di parallelismo: due piani sono in relazione se e solo se sono paralleli. ◮ ◮ Per i fasci propri questo non è vero, perché
L’insieme di tutte le rette dello spazio che contengono un punto fissa- ogni piano appartiene a infiniti fasci propri
diversi.
to è detto stella di rette propria. L’insieme di tutte le rette dello spazio Stella di rette
parallele a una data retta è detto stella di rette impropria. Ogni stella
impropria può essere pensata come la classe di equivalenza della relazio-
ne di parallelismo: due rette sono in relazione se e solo se sono parallele. ◮
◮
In una stella di rette impropria le rette hanno in comune la direzione:
più precisamente, una stella di rette impropria è formata da tutte le rette ◮ Per le stelle proprie questo non è vero, per-
◮
che hanno in comune la direzione. ché ogni retta appartiene a infinite stelle
proprie diverse.
Concetti pseudo-primitivi
Dai concetti primitivi possiamo dedurre altri concetti pseudo-primitivi,
come la semiretta, il segmento, l’angolo.
• Una semiretta è ciascuna delle due parti in cui un punto di una Semiretta
retta la divide (il punto è considerato appartenere alla semiretta).
Nelle figure è rappresentata con una linea dritta delimitata in un
verso da un punto. Solitamente una semiretta è contrassegnata
con una lettera minuscola dell’alfabeto latino, r, s, t, . . . .
• Un segmento è la parte di una retta delimitata due punti distinti (i Segmento
due punti sono considerati appartienenti al segmento). Solitamente
un segmento è identificato dalla coppia di punti che lo delimitano,
AB, CD, EF, . . . ; nelle figure è rappresentato con una linea dritta
delimitata da due punti.
• Un angolo è una parte di un piano delimitata da due semirette Angolo
che hanno in comune il punto estremo. Nelle figure è rappresen-
tato con le due semirette e con una porzione di circonferenza che
indica quale porzione di piano è considerata. Solitamente un ango-
lo è contrassegnato con una lettera minuscola dell’alfabeto greco,
α, β, γ, . . . .
Angolo L’ampiezza di un angolo può essere misurata con due unità di Ampiezza di un angolo
misura: il grado e il radiante. Due semirette coincidenti delimitano due
mo:
– quelli con due lati di uguale lunghezza, che sono detti isosceli;
– quelli con tutti e tre i lati di uguale lunghezza, che sono detti
equilateri.
• I poligoni che hanno 4 lati sono chiamati quadrilateri. Tra essi
abbiamo:
– quelli che hanno due coppie di lati paralleli, che sono chiamati
parallelogrammi;
– i parallelogrammi con tutti gli angoli retti, che sono chiamati
rettangoli;
– i rettangoli con i lati di uguale lunghezza, che sono chiamati
quadrati.
Un poliedro è la porzione di spazio delimitata da un numero finito di Poliedro
poligoni, ogni coppia dei quali ha in comune o un lato, o un vertice, o
niente. I poligoni sono chiamati facce. Esempi di poligoni sono i seguenti.
• Quelli con 6 facce che sono parallelogrammi, che sono chiamati
parallelepipedi.
• I parallelepipedi con le facce quadrate, che sono chiamati cubi.
Rette nel piano Una retta nel piano è il luogo ◮ dei punti le cui Forma implicita di una retta nel
piano
coordinate sono soluzione di un’equazione polinomiale di grado 1, ossia
◮ “Luogo” è un sinonimo di “insieme” in geo-
un’equazione come
metria quando l’insieme è caratterizzato
ax + by + c = 0, da un’equazione o un sistema.
◮ Visto che vogliamo che l’equazione abbia
◮
◮ , nelle variabili x e y. Questa equazione è detta forma
con (a, b) 6= (0, 0) ◮ grado 1, i due parametri a e b non possono
implicita della retta nel piano. essere entrambi zero.
y = mx + q,
con m = − ab e q = − cb . Questa equazione è detta forma esplicita della
retta nel piano. Se invece b = 0, abbiamo l’equazione ax + c = 0 (dove Possiamo scrivere in forma esplicita tutte
le rette eccetto quelle parallele all’asse y.
a 6= 0 ◮), ossia l’equazione
◮ Almeno uno tra a e b deve essere diverso
x = k, da 0, perché il grado è uno.
con k = − ac .
Due equazioni ax + by + c = 0 e a′ x + b′ y + c′ = 0 rappresentano la ◮ h non può essere 0 perché altrimenti la se-
◮
conda equazione diventerebbe 0 = 0, che
stessa retta se e solo se i coefficienti sono proporzionali, ossia se e solo non rappresenta una retta.
◮
◮ tale che a′ = ha, b′ = hb e c′ = hc ◮ ◮ Qualcuno indica′ questa proporzionalità
◮
se esiste h ∈ R \ {0} ◮ ◮. Invece,
◮
′ ′
con la formula aa = bb = cc . Ciò è lie-
due equazioni in forma esplicita diverse non rappresentano mai la stessa vemente impreciso, infatti è giusto solo se
retta, infatti i due coefficienti m e q sono univocamente determinati dalla tutti i coefficienti sono diversi da 0. Se
invece alcuni coefficienti sono 0, in questa
retta: formula può comparire una divisione per 0
• il coefficiente m, detto coefficiente angolare, indica l’inclinazione che non si può fare.
della retta rispetto all’asse x, ed è la tangente dell’angolo α tra la Coefficiente angolare
retta e l’asse x mostrato nella figura ◮;
• il coefficiente q, detto intercetta o ordinata all’origine, indica l’in-
tersezione della retta con l’asse y, ossia la retta interseca l’asse y
nel punto con coordinate (0, q).
◮ È positivo se l’inclinazione della retta è
Due rette distinte nel piano sono parallele se e solo se i coefficienti a, verso l’alto, mentre è negativo se l’incli-
b e a′ , b′ sono proporzionali, ossia se e solo se esiste h ∈ R \ {0} tale che nazione della retta è verso il basso (sempre
spostandosi nel verso delle x crescenti).
a′ = ha e b′ = hb. ◮◮
Intercetta/ordinata all’origine
Esempio 7.2. La figura di questo esempio è la seguente. ◮ Se anche a, b, c e a′ , b′ , c′ sono
◮
proporzionali, le due linee coinciderebbero.
λ(ax+by +c)+µ a′ x + b′ y + c′ = 0 con (λ, µ) ∈ R2 \{(0, 0)}.
In questo caso diremo che il fascio è generato dalle due rette r e s. Se
(λ, µ) = (1, 0) la retta è r, mentre se (λ, µ) = (0, 1) la retta è r ′ . Se λ′ e
µ′ sono proporzionali a λ e µ ◮ la retta rappresentata è la stessa. ◮ λ′ = hλ e µ = hµ, con h ∈ R \ {0}.
Piani nello spazio Un piano nello spazio è il luogo dei punti le cui Forma implicita di un piano nello
spazio
coordinate sono soluzione di un’equazione polinomiale di grado 1, ossia
un’equazione come
ax + by + cz + d = 0,
con (a, b, c) 6= (0, 0, 0) ◮ , nelle variabili x, y e z. Questa equazione è detta ◮ Visto che vogliamo che l’equazione abbia
grado 1, i tre parametri a, b e c non
forma implicita del piano nello spazio. Due equazioni ax+by +cz +d = 0 possono essere tutti zero.
e a′ x + b′ y + c′ z + d′ = 0 rappresentano lo stesso piano se e solo se sono
proporzionali, ossia se e solo se esiste h ∈ R \ {0} ◮ tale che a′ = ha, ◮ Come per le rette, h non può essere 0 per-
ché altrimenti la seconda equazione diven-
b′ = hb, c′ = hc e d′ = hd ◮ ◮.
terebbe 0 = 0, che non rappresenta un
Due piani distinti nello spazio sono paralleli se e solo se i coefficienti piano.
a, b, c e a′ , b′ , c′ sono proporzionali, ossia se e solo se esiste h ∈ R \ {0} ◮ Come per le rette, qualcuno indica questa
◮
tale che a′ = ha, b′ = hb e c′ = hc. ◮ ◮
◮ proporzionalità con la formula
a′ b′ c′ d′
Esempio 7.4. 1. Il piano α che ha la forma implicita 2x+3y−z−1 = a
=
b
=
c
= .
d
0 contiene i punti A = (0, 0, −1), B = (1, 0, 1), C = (1, 1, 4), infatti Ciò è lievemente impreciso, infatti è giusto
abbiamo rispettivamente 2 · 0 + 3 · 0 − (−1) − 1 = 0, 2 · 1 + 3 · 0 − solo se tutti i coefficienti sono diversi da 0.
Se invece alcuni coefficienti sono 0, in que-
1 − 1 = 0, 2 · 1 + 3 · 1 − 4 − 1 = 0. Un’altra forma implicita di α è sta formula può comparire una divisione
6x + 9y − 3z − 3 = 0, che è il triplo dell’altra. per 0 che non si può fare.
◮
2. Il piano β che ha la forma implicita 6x + 9y − 3z − 2 = 0 è parallelo ′ ′ ′ ′
◮ Se anche a, b, c, d and a , b , c , d sono
◮
proporzionali, i due piani coincidono.
a α, infatti i suoi coefficienti 6, 9 e −3 sono proporzionali a quelli
di α, ossia 2, 3 e −1, ma gli ultimi coefficienti, rispettivamente
e −1, non sono proporzionali agli altri . Infatti, il sistema
−2 ◮ 6 = h · 2, 9 = h · 3 e −3 = h · (−1), con
◮
2x + 3y − z − 1 = 0 h = 3, ma −2 6= h · (−1). Se anche gli ul-
non ha soluzione. timi fossero proporzionali le due equazioni
6x + 9y − 3z − 2 = 0 rappresenterebbero lo stesso piano.
3. Il piano γ che ha la forma implicita x − y + 2z − 1 = 0 non è
parallelo a α, infatti i suoi coefficienti 1, −1 e 2 non sono pro-
porzionali
a quelli di α, ossia 2, 3 e −1 ◮. Infatti, il sistema ◮ Non c’è nessun h ∈ R\{0} tale che 1 = h·2,
2x + 3y − z − 1 = 0 = 0 −1 = h · 3 e 2 = h · (−1).
ha solutione.
x − y + 2z − 1 = 0
4. Il piano xy ha la forma implicita z = 0, il piano xz ha la forma
implicita y = 0, e il piano yz ha la forma implicita x = 0.
L’equazione di un fascio di piani può essere costruita partendo da
due piani distinti qualsiasi nel fascio. Dato α con forma implicita ax +
Rette nello spazio Dal fatto che ogni retta è intersezione di due piani Forma implicita di una retta nello
spazio
distinti deduciamo che essa è il luogo dei punti le cui coordinate sono
soluzione di un sistema di due adeguate equazioni polinomiali di grado
1, ossia un sistema come
a1 x + b1 y + c1 z + d1 = 0
a2 x + b2 y + c2 z + d2 = 0
nelle variabili x, y e z, tali che i coefficienti a1 , b1 , c1 e a2 , b2 , c2 non sono
proporzionali, ossia che non esiste nessun h ∈ R \ {0} tale che a2 = ha1 ,
b2 = hb1 e c2 = hc1 . ◮ Questo sistema è detto forma implicita della retta ◮ Altrimenti i due piani o coinciderebbero o
sarebbero paralleli.
nello spazio.
2x + y − z + 3 = 0
Esempio 7.6. 1. Il sistema rappresenta una
4x − y + 2z − 1 = 0
retta, perché i coefficienti 2, 1, −1 e 4, −1, 2 non sono proporzio-
nali ◮. ◮ Non c’è nessun h ∈ R\{0} tale che 4 = h·2,
−1 = h · 1 e 2 = h · (−1).
2x + y − z + 3 = 0
2. Il sistema non rappresenta una retta, per-
4x + 2y − 2z − 1 = 0
ché i coefficienti 2, 1, −1 e 4, 2, −2 sono proporzionali ◮. ◮ 4 = h · 2, 2 = h · 1 e −2 = h · (−1), con
h = 2.
y=0
3. L’asse x ha la forma implicita , l’asse y ha la forma
z=0
x=0 x=0
implicita , e l’asse z ha la forma implicita .
z=0 y=0
Area e volume L’area dei poligoni può essere calcolata per mezzo Area
della distanza.
• L’area di un triangolo è bh
2 , dove b è la lunghezza di un lato e h è la
lunghezza del segmento dal vertice opposto alla retta che contiene
il lato, che è ortogonale alla retta e ha il secondo estremo sulla
retta (si veda la figura).
• L’area di un parallelogramma è bh, dove b è la lunghezza di un
lato e h è la lunghezza del segmento da un vertice opposto alla
retta che contiene il lato, che è ortogonale alla retta e ha il secondo
estremo sulla retta (si veda la figura). Vedremo un’altra formula
nella Lezione 18.
• L’area di un rettangolo è bh, dove b è la lunghezza di un lato e h
è la lunghezza di un lato ortogonale a esso (si veda la figura).
• L’area di un quadrato è l2 , dove l è la lunghezza di un lato (si veda
la figura).
Anche il volume dei poliedri può essere calcolato per mezzo della Volume
distanza.
• Il volume di un parallelepipedo può essere calcolato, ma evitiamo
di farlo: vedremo una formula nella Lezione 18.
• Il volume di un cubo è l3 , dove l è la lunghezza di un lato (si veda
la figura).
Rette e piani
Lezione 7. Rette e piani 7–11
Soluzione.
Soluzione.
Esercizio 7.3. Trova la retta nel piano che contiene i due punti (1, 5) e
(−1, −1).
Soluzione. Sia ax + by + c = 0 l’equazione della retta. Visto che la
retta deve contenere (1, 5), abbiamo a · 1 + b · 5 + c = 0; visto che la retta
deve
contenere (−1, −1), abbiamo a · (−1) + b · (−1) + c = 0. Il sistema
a + 5b + c = 0
ha come soluzioni le terne (a, b, c) = (3k, −k, 2k)
−a − b + c = 0
con k ∈ R. La soluzione con k = 0 deve essere scartata perché a e b
non possono essere entrambi zero. Le altre soluzioni portano alla stessa
retta (perché i parametri sono proporzionali), la cui forma implicita è
3x − y + 2 = 0, ottenuta con k = 1. ◮ ◮ Per esempio, con k = 2 avremmo ottenuto
6x − 2y + 4 = 0, che rappresenta la stessa
retta.
Esercizio 7.4. Trova il piano nello spazio che contiene i tre punti (4, 0, 1),
(1, 1, 0) e (−2, 3, −1).
Soluzione. Sia ax + by + cz + d = 0 l’equazione del piano. Visto che il
piano deve contenere (4, 0, 1), abbiamo a · 4 + b · 0 + c · 1 + d = 0; visto
che il piano deve contenere (1, 1, 0), abbiamo a · 1 + b · 1 + c · 0 + d = 0;
visto che il piano deve contenere (−2, 3, −1), abbiamo a · (−2) + b ·
4a + c + d = 0
3 + c · (−1) + d = 0. Il sistema a+b+d=0 ha come
−2a + 3b − c + d = 0
soluzioni le 4-uple (a, b, c, d) = (k, 0, −3k, −k) con k ∈ R. La soluzione
con k = 0 deve essere scartata perché a, b e c non possono essere tutti
zero. Le altre soluzioni portano allo stesso piano (perché i parametri
sono proporzionali), la cui forma implicita è x − 3z − 1 = 0, ottenuta con
k = 1. ◮ ◮ Per esempio, con k = −1 avremmo otte-
nuto −x + 3z + 1 = 0, che rappresenta lo
stesso piano.
Esercizio 7.5. I tre punti (−3, 0), (1, −1) e (4, −2) nel piano sono
allineati?
Esercizio 7.6. Trova la mutua posizione delle due rette la cui forma
implicita è rispettivamente x + 2y + 1 = 0 e 3x + 4y − 1 = 0, nel piano.
Soluzione. Le due rette sono diverse, perché i loro coefficienti non so-
x + 2y + 1 = 0
no proporzionali. ◮ Visto che il sistema ha come ◮ Non c’è nessun h ∈ R\{0} tale che 3 = h·1,
3x + 4y − 1 = 0 4 = h · 2 e 1 = h · (−1).
soluzioni solo (3, −2), le rette sono incidenti.
Esercizio 7.7. Trova la mutua posizione dei due piani la cui forma
implicita è rispettivamente 3x + 5y − z + 1 = 0 e 9x + 15y − 3z − 3 = 0,
nello spazio.
Soluzione. I due piani sono diversi, perché i loro coefficienti non sono
proporzionali. ◮ Invece, visto che i coefficienti 9, 15, −3 sono proporzio- ◮ Non c’è nessun h ∈ R\{0} tale che 9 = h·3,
◮ 15 = h · 5, −3 = h · (−1) e −3 = h · 1.
◮, i piani sono paralleli. ◮
nali a 3, 5, −1 ◮ ◮
◮ 9 = h · 3, 15 = h · 5 e −3 = h · (−1), con
◮
h = 3.
Esercizio 7.8. Trova la mutua posizione della retta la cui forma im- ◮
◮ Ciò
◮ può anche essere dimostra-
2x + y + 1 = 0 to
controllando che il sistema
plicita è rispetto al piano la cui forma implicita è 3x + 5y − z + 1 = 0
non ha
2y − 3z + 5 = 0 9x + 15y − 3z − 3 = 0
6x + y + 3z = 0, nello spazio. soluzione.
2x + y + 1 = 0
Soluzione. Visto che il sistema 2y − 3z + 5 = 0 non ha soluzione,
6x + y + 3z = 0
la retta e il piano non si intersecano, quindi la retta è parallela al piano.
Esercizio 7.9. Scrivi l’equazione del fascio di rette nel piano che con-
tengono il punto (3, −2). Trova la retta nel fascio che contiene il punto
(−4, 1).
Soluzione. Due rette che contengono il punto (3, −2) hanno forma im- Questo è un altro modo per trovare l’e-
quazione della retta per due punti nel
plicita x − 3 = 0 e y + 2 = 0, quindi il fascio di rette ha equazione piano.
λ(x − 3) + µ(y + 2) = 0, con (λ, µ) ∈ R2 \ {(0, 0)}.
Sostituendo le coordinate del punto nell’equazione del fascio ottenia-
mo λ(−4−3)+µ(1+2)
= 0, ossia 7λ = 3µ, le cui soluzioni sono le coppie
λ, 37 λ , con λ 6= 0. ◮ Scegliendo arbitrariamente λ = 3 ◮ ◮, otteniamo la ◮ Esse sono proporzionali, quindi rappresen-
tano la stessa retta.
soluzione (3, 7), che porta alla retta 3(x − 3) + 7(y + 2) = 0.
◮ È fondamentale
◮ scegliere un numero
diverso da zero.
Esercizio 7.10. Calcola la distanza tra i due punti (3, −2) e (5, 2) del
piano.
p √
Soluzione. La distanza è (5 − 3)2 + (2 − (−2))2 = 2 5.
Rette e piani
Lezione 7. Rette e piani 7–13
L’area è 50.
• Rette e piani
Lezione 7. Rette e piani 7–15
Domanda 7.1. Date le rette nel piano indicate in figura, quali delle
seguenti coppie sono incidenti?
(a) r1 e r2 .
(b) r2 e r3 .
(c) r3 e r4 .
(d) r4 e r5 .
Domanda 7.2. Date le rette nello spazio indicate in figura, quali delle
seguenti coppie sono parallele?
(a) r1 e r2 .
(b) r2 e r3 .
(c) r3 e r4 .
(d) r4 e r1 .
Domanda 7.3. Date le rette nello spazio indicate in figura, quali delle
seguenti coppie sono sghembe?
(a) r1 e r2 .
(b) r2 e r3 .
(c) r3 e r4 .
(d) r4 e r1 .
c 2014 Gennaro Amendola Versione 1.0
Lezione 7. Rette e piani 7–17
Domanda 7.4. Date le rette nel piano indicate in figura, quali delle
seguenti coppie sono ortogonali?
(a) r1 e r2 .
(b) r2 e r3 .
(c) r3 e r4 .
(d) r4 e r1 .
Domanda 7.5. Dati i piani nello spazio indicati in figura, quali delle
seguenti coppie sono paralleli?
(a) α e β.
(b) β e γ.
(c) γ e δ.
(d) δ e α.
Domanda 7.6. Dato il punto nel piano indicato in figura, quali sono le
sue coordinate?
c 2014 Gennaro Amendola Versione 1.0
Lezione 7. Rette e piani 7–18
c 2014 Gennaro Amendola Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 8
Titolo: Vettori geometrici
Attività n°: 1
Lezione 8
Vettori geometrici
Lezione 8
Vettori geometrici
Vettori fisici Un vettore fisico è un oggetto caratterizzato da tre at- Vettore fisico
tributi:
• la direzione, ossia una classe di equivalenza della relazione di paral-
lelismo sulle rette (ossia una stella o un fascio di rette improprio ◮), Alcuni considerano l’informazione sull’o-
rientazione contenuta nella direzione, quin-
• il verso, ossia una delle due scelte su come si può percorrere una di una stella o un fascio di rette impro-
qualsiasi delle rette della stella o del fascio, prio può rappresentare due direzioni, ma
noi preferiamo fare una distinzione.
• il modulo, ossia un numero reale positivo. ◮ Nello spazio consideriamo una stella,
Oltre a questi vettori fisici bisogna considerane un altro: il vettore fisico mentre nel piano consideriamo un fascio.
nullo, indicato con 0, ossia un vettore fisico caratterizzato solo dall’avere
modulo uguale a 0; esso non ha né direzione né verso.
Un vettore fisico è detto applicato se oltre alle tre caratteristiche dei Vettore fisico libero e applicato
vettori fisici consideriamo un quarto attributo:
• il punto di applicazione, ossia un punto.
Per distinguere i vettori fisici non applicati (ossia quelli caratterizzati
solo dai tre attributi descritti sopra) da quelli applicati, i primi sono
anche detti liberi.
Somma sui vettori geometrici La somma di due vettori geometrici Somma sui vettori geometrici
v e w è il vettore geometrico, indicato con
v + w,
e ottenuto tramite le seguenti operazioni:
• scegliamo rappresentanti per v e w con la stessa coda O ◮, ◮ Ciò può essere fatto sempre: è sufficiente
scegliere (arbitrariamente) lo stesso punto
• costruiamo il parallelogramma che ha come coppia di lati adiacenti di applicazione O.
i due rappresentanti scelti,
• definiamo il vettore geometrico somma v + w come il vettore geo-
metrico che ha la coda in O e la punta nel vertice opposto del
parallelogramma.
Non è difficile verificare tramite la geometria euclidea che il vettore geo-
metrico v + w non dipende dalla scelta dei rappresentanti dei due vettori
geometrici v e w.
Moltiplicazione per scalare sui vettori geometrici Il prodotto per Moltiplicazione per scalare sui vetto-
ri geometrici
scalare di un vettore geometrico v per un numero reale λ è il vettore
geometrico, indicato con
λ · v,
che, per v 6= 0,
• se λ > 0, ha la stessa direzione e lo stesso verso di v, ma modulo Il vettore è allungato (o accorciato) di un
fattore λ.
ottenuto moltiplicando il modulo di v per λ;
◮ Il vettore geometrico 0 non ha né direzione
• se λ = 0, è il vettore geometrico nullo 0 ◮; né verso.
• se λ < 0, ha la stessa direzione di v, ma verso opposto e modulo Il vettore è ribaltato rispetto alla sua coda
e allungato (o accorciato) di un fattore |λ|.
ottenuto moltiplicando il modulo di v per |λ|;
per v = 0, vale 0 qualsiasi sia λ. Se non è necessario, omettiamo il Qui non dobbiamo dimostrare l’indipen-
denza dal rappresentante scelto, perché
simbolo “·”, quindi λv significa λ · v. Il vettore geometrico λ · v è detto non abbiamo utilizzato i rappresentanti
multiplo del vettore geometrico v. Il vettore geometrico (−1) · v è anche (come abbiamo fatto sopra per la somma),
indicato con −v. bensì solo direzione, verso e modulo di v.
Multiplo di un vettore geometrico
Esempio 8.1. Consideriamo i tre vettori geometrici v, w e u, mostrati
nella figura sotto.
Coordinate
Se fissiamo un sistema di riferimento cartesiano con origine O, tra i La scelta dipende dal sistema di riferimen-
to cartesiano fissato.
rappresentanti di un vettore geometrico possiamo scegliere come rap-
presentante “speciale” l’unico vettore geometrico applicato ◮ con punto ◮ Ossia, freccia.
di applicazione in O. In questo modo, ad ogni punto P possiamo far
corrispondere il vettore geometrico che, applicato in O, ha la punta in
P , e viceversa. Le coordinate del punto quindi identificano univocamen- L’identificazione dipende dal sistema di
riferimento cartesiano fissato.
te il vettore geometrico, e sono dette coordinate del vettore geometrico
Coordinate di un vettore geometrico
(rispetto al sistema di riferimento cartesiano).
Coordinate nel piano Supponiamo ora di avere a che fare con il pia-
no. Fissiamo un sistema di riferimento cartesiano (O; x, y). Allora i
vettori geometrici sono identificati dalle coppie di numeri reali ◮. Nel-
la figura vediamo un esempio con due sistemi di riferimento cartesiani,
(O; x, y) e (O ′ ; x′ , y ′ ). ◮ Le coordinate di un punto nel piano sono
due.
Esempio 8.2. Nella figura è mostrato un sistema di riferimento carte-
siano nel piano, e il vettore geometrico le cui coordinate sono (5, 2).
Le coordinate della somma di due vettori geometrici sono la somma
delle rispettive coordinate dei vettori geometrici, ossia se v ha coordi-
nate (v1 , v2 ) e w ha coordinate (w1 , w2 ), allora v + w ha coordinate
(v1 + w1 , v2 + w2 ). Le coordinate del prodotto per scalare di un vettore
geometrico per un numero reale λ sono il prodotto delle rispettive coor-
dinate del vettore geometrico con λ, ossia se v ha coordinate (v1 , v2 ),
allora λ · v ha coordinate (λv1 , λv2 ).
Esempio 8.3. Dati v = (1, 2), w = (3, 1) e λ = 3, abbiamo
v + w = (1 + 3, 2 + 1) = (4, 3),
v − w = (1 − 3, 2 − 1) = (−2, 1),
w − v = (3 − 1, 1 − 2) = (2, −1),
λv = (3 · 1, 3 · 2) = (3, 6),
λw = (3 · 3, 3 · 1) = (9, 3).
Utilizzando le coordinate, è facile dimostrare ciò che abbiamo enun-
ciato sopra per V 2E .
• Per ogni v, w, u ∈ V 2E , si ha v + (w + u) = (v + w) + u.
Fissiamo un sistema di riferimento cartesiano (O; x, y). I vetto-
ri geometrici v, w e u hanno coordinate rispettivamente (v1 , v2 ),
Vettori geometrici
Lezione 8. Vettori geometrici 8–6
Soluzione.
Vettori geometrici
Lezione 8. Vettori geometrici 8–8
Vettori geometrici
Lezione 8. Vettori geometrici 8–10
Vettori geometrici
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 8/S3
Titolo: Vettori geometrici
Attività n°: 3
Lezione 9
Operazioni, gruppi e campi
Lezione 9
9.1 Operazioni
Definizione 9.1. Una operazione su un insieme X è una funzione Operazione
• : X × X → X.
Dati due elementi x, y ∈ X, l’immagine della coppia (x, y) è detta
risultato dell’operazione ed è indicata con x • y. Risultato
Osservazione 9.2. Per essere più precisi, avremmo dovuto utilizzare Operazione binaria
il termine operazione binaria, perché possono essere considerate anche
operazioni con più di due argomenti. Visto che però useremo solo ope-
razioni con due argomenti, per non appesantire la trattazione, useremo
solo il termine operazione.
Inoltre, alcuni libri di testo usano il termine operazione interna perché Operazione interna
possono essere considerate anche operazioni che hanno come risultato
elementi che non sono nell’insieme X.
Osservazione 9.3. Con la notazione classica delle funzioni, avremmo
dovuto indicare l’immagine della coppia (x, y) con •(x, y). Invece, usia-
mo la notazione x • y per due motivi. Da una parte semplifichiamo la
notazione, ottenendo formule più semplici; dall’altra usiamo una nota-
zione analoga a quella delle operazioni che già conosciamo (la somma e
la moltiplicazione tra numeri).
Esempio 9.4. 1. Consideriamo l’insieme {0} formato da un solo ele- Se c’è un solo elemento, non c’è scelta per
la definizione delle operazioni.
mento; su esso possiamo definire in modo banale una operazione
(che consideriamo un’addizione per motivi che vedremo in segui-
to ◮): ◮ Esempio 10.6-2.
è x2 + y + 3x2 − y 2 = 4x2 − y 2 + y.
secondo il loro prodotto p (x1 , x2 , . . . , xn ) · q (x1 , x2 , . . . , xn ). ◮
◮
Per quanto riguarda i polinomi di grado al più m, vale la stessa cosa ◮ Ad esempio, il prodotto di
◮
x + y e 3x −
2 2
y 2 è x2 + y · 3x2 − y 2 = 3x4 − x2 y 2 +
per l’addizione, ma non per la moltiplicazione. Infatti, abbiamo 3x2 y − y 3 .
l’operazione
+ : I6m [x1 , x2 , . . . , xn ]×I6m[x1 , x2 , . . . , xn ] → I6m[x1 , x2 , . . . , xn ] ,
ossia ad ogni coppia di polinomi
p (x1 , x2 , . . . , xn ) , q (x1 , x2 , . . . , xn )
di grado al più m associamo la loro somma p (x1 , x2 , . . . , xn ) +
q (x1 , x2 , . . . , xn ), che ha grado al più m ◮. Per quanto riguarda la ◮ Osservazione 5.26.
moltiplicazione, non è più vero che il grado del prodotto di polinomi
è minore o uguale al massimo dei gradi dei singoli polinomi ◮, quindi ◮ Osservazione 5.31.
la moltiplicazione sull’insieme dei polinomi di grado al più m non
è una operazione.
Notazione 9.5. Ogni operazione che soddisfa proprietà simili a quelle
soddisfatte dall’addizione sui numeri interi è chiamata addizione ed è Addizione
indicata con un simbolo analogo a “+”. Ogni operazione che soddisfa
proprietà simili a quelle soddisfatte dalla moltiplicazione sui numeri ra-
zionali o reali è chiamata moltiplicazione ed è indicata con un simbolo Moltiplicazione
analogo a “·” o a “×”.
Notazione 9.6. D’ora in poi, se non specifichiamo i coefficienti dei po-
linomi, supponiamo che essi appartengano a un insieme su cui tutte le
operazioni necessarie sono definite. Inoltre, per semplificare la notazio-
ne, supponiamo che tutti i polinomi abbiano coefficienti in Q, R o C.
Qualcosa di ciò che diremo vale anche per altri insiemi (ad esempio, Z
o N), ma ci concentreremo su Q, R o C, perché essi soddisfano tutte le
proprietà di cui avremo bisogno. ◮ ◮ Esempio 9.31-3.
n · m = m · n.
3. Dati due numeri interi qualsiasi h, k ∈ Z abbiamo h + k = k + h e Per esempio, abbiamo (−2) · 5 = 5 · (−2),
infatti abbiamo (−2) · 5 = −10 e 5 · (−2) =
h · k = k · h. Lo stesso vale per Q, R e C. ◮ −10.
4. Abbiamo visto nella Lezione 8 che l’addizione sui vettori geometrici ◮ La dimostrazione per C è rispettivamente
soddisfa la proprietà commutativa. negli Esercizi 9.3 e 9.8.
abbiamo
p (x1 , x2 , . . . , xn ) · q (x1 , x2 , . . . , xn ) +r (x1 , x2 , . . . , xn ) =
p (x1 , x2 , . . . , xn ) · q (x1 , x2 , . . . , xn ) + p (x1 , x2 , . . . , xn ) · r (x1 , x2 , . . . , xn )
e
q (x1 , x2 , . . . , xn ) + r (x1 , x2 , . . . , xn ) · p (x1 , x2 , . . . , xn ) =
q (x1 , x2 , . . . , xn ) · p (x1 , x2 , . . . , xn ) + r (x1 , x2 , . . . , xn ) · p (x1 , x2 , . . . , xn ) .
Non daremo la dimostrazione di questo fatto, ma mostreremo solo
un esempio nell’Esercizio 9.11.
Osservazione 9.25. 1. Sia • una operazione su un insieme X che Questa osservazione dimezza i conti, infat-
ti nei casi che considereremo le dimostra-
gode della proprietà commutativa. Allora, per dimostrare che e è zioni delle coppie di uguaglianze sarebbero
l’elemento neutro, non dobbiamo dimostrare che per ogni x ∈ X molto simili e ne faremo solo una.
sono verificate entrambe le uguaglianze, x • e = x e e • x = x.
Ci possiamo limitare a dimostrare, per ogni x ∈ X, una sola delle
due uguaglianze; l’altra è automaticamente verificata, infatti per
la proprietà commutativa abbiamo x • e = e • x.
Analogamente, per dimostrare che un elemento x ∈ X ha un oppo-
• •
sto/inverso, possiamo limitarci a trovare x ∈ X tale che x • x = e
•
o x • x = e; l’altra uguaglianza è automaticamente soddisfatta.
2. Sia X un insieme dotato di due operazioni ⊕ e ⊙, tali che ⊙ sod-
disfa la proprietà commutativa. Allora, per dimostrare che l’ope-
razione ⊙ soddisfa la proprietà distributiva rispetto all’operazione
⊕, non dobbiamo dimostrare che per ogni x, y, z ∈ X sono verifi-
cate entrambe le uguaglianze, (x ⊕ y) ⊙ z = (x ⊙ z) ⊕ (y ⊙ z) e
z ⊙ (x ⊕ y) = (z ⊙ x) ⊕ (z ⊙ y). Ci possiamo limitare a dimostrare,
per ogni x, y, z ∈ X, una sola delle due uguaglianze; l’altra è auto-
maticamente verificata, infatti per la proprietà commutativa le due
condizioni (x⊕y)⊙z = (x⊙z)⊕(y⊙z) e z⊙(x⊕y) = (z⊙x)⊕(z⊙y)
sono equivalenti.
Nel seguito useremo quasi sempre operazioni che soddisfano tutte le
proprietà descritte sopra (le uniche eccezioni saranno la moltiplicazione
righe per colonne e il prodotto vettoriale, che non soddisfano la proprietà
commutativa), quindi possiamo applicare quasi tutti i risultati enunciati
in questa sezione.
⊕: K × K → K
e una detta moltiplicazione Moltiplicazione
⊙ : K × K → K,
che soddisfano le seguenti proprietà:
(K1) l’insieme K dotato dell’operazione di addizione ⊕ è un gruppo
abeliano, ossia
a) per ogni λ, µ, ν ∈ K si ha λ ⊕ (µ ⊕ ν) = (λ ⊕ µ) ⊕ ν (proprietà
associativa per l’addizione),
Dimostrazione. Dimostriamo solo la prima delle due uguaglianze, 0⊙λ = Qui dobbiamo dimostrare entrambe le
uguaglianze. Non possiamo infatti applica-
0 e λ ⊙ 0 = 0: la seconda è analoga e la lasciamo al lettore. Utilizzeremo re l’Osservazione 9.25-1, perché sappiamo
le proprietà della definizione di campo: sopra i segni di uguaglianza solo che l’operazione ⊙ gode della proprie-
abbiamo indicato quale proprietà abbiamo utilizzato. Abbiamo tà commutativa solo sull’insieme K \ {0},
per la proprietà (K2d), ma non sappia-
(K1b) (K3) mo se gode della proprietà commutativa
0 ⊙ λ = (0 ⊕ 0) ⊙ λ = (0 ⊙ λ) ⊕ (0 ⊙ λ); su tutto l’insieme K (un fatto vero, ma che
dimostreremo nell’osservazione sotto).
per la proprietà di cancellazione dell’addizione ⊕ ◮ otteniamo 0 = 0 ⊙
λ. ◮ Osservazione 9.17.
Risultato dell’Esercizio 9.7. Per esempio, calcola esplicitamente Questo esercizio non ha un’unica soluzione,
quindi il lettore può trovare una soluzione
x + x2 + x + (x + 3) e x + x2 + x + (x + 3), diversa.
Risultato dell’Esercizio 9.9. Per esempio, calcola esplicitamente Questo esercizio non ha un’unica soluzione,
quindi il lettore può trovare una soluzione
x3 + yz − y + z + x2 − yz + y e x2 − yz + y + x3 + yz − y + z , diversa.
Lezione 10
Spazi vettoriali
Lezione 10
Spazi vettoriali
(λ + µ)v1 , (λ + µ)v2 , (λ + µ)v3 =
= (λv1 ) + (µv1 ), (λv2 ) + (µv2 ), (λv3 ) + (µv3 ) ,
ossia le stesse coordinate di (λ · v) + (µ · v).
• Per ogni v, w ∈ V 3E e λ ∈ R abbiamo λ · (v + w) = (λ · v) + (λ ·
w) (proprietà distributiva della moltiplicazione per scalare rispetto
all’addizione di vettori).
Per dimostrare ciò, fissiamo un sistema di riferimento cartesiano Questa proprietà potrebbe anche essere di-
mostrata con le omotetie, ma di nuovo con
(O; x1 , x2 , x3 ). Se v ha coordinate (v1 , v2 , v3 ) e w ha coordinate l’identificazione dei vettori geometrici con
(w1 , w2 , w3 ), allora λ · (v + w) ha coordinate ◮ le terne di numeri reali la dimostrazione è
molto semplice e corta.
λ(v1 + w1 ), λ(v2 + w2 ), λ(v3 + w3 ) = ◮ Abbiamo usato la proprietà distributiva
= (λv1 ) + (λw1 ), (λv2 ) + (λw2 ), (λv3 ) + (λw3 ) , della moltiplicazione rispetto all’addizione
in R (Esempio 9.24-3).
ossia le stesse coordinate di (λ · v) + (λ · w).
Inoltre, la moltiplicazione per scalare gode di una semplice proprietà:
analizziamo V 3E . Per V 2E la dimostrazione è analoga e la lasciamo al
lettore. ◮ ◮ Esercizio 10.11.
2. Qualsiasi sia il campo K, l’insieme {0} dotato dell’operazione di Abbiamo fatto un piccolo cambio di no-
tazione rispetto all’Esempio 9.4 (0 invece
addizione definita nell’Esempio 9.4 e dell’unica moltiplicazione per di 0) perché ora stiamo considerando l’e-
scalare che possiamo definire, lemento di {0} come un vettore, quindi lo
scriveremo in grassetto.
· : K × {0} → {0}
dato da λ·0 := 0 per ogni λ ∈ K, è uno spazio vettoriale sul campo
K. Infatti, abbiamo già visto che la proprietà (SV1) è soddisfatta,
Notazione 10.9. Come abbiamo fatto per i campi ◮ stipuliamo che la ◮ Notazione 9.37.
moltiplicazione per scalare è fatta prima dell’addizione. La scrittura λ ·
v+µ·w quindi non è ambigua: essa significa (λ·v)+(µ·w). Nel caso in cui
la somma debba essere fatta prima, usiamo le parentesi
opportunamente:
ad esempio, λ · (v + µ · w) significa λ · v + (µ · w) .
Inoltre, se non è necessario, eviteremo di scrivere il simbolo della
moltiplicazione per scalare “·”, quindi la scrittura λv significa λ · v. Il
vettore λv è detto multiplo del vettore v. Multiplo di un vettore
x1 y1 z1
x2 y2 z2
a) per ogni . , . , . ∈ Kn abbiamo
.. .. ..
xn yn zn
x1 y1 z1 x1 y1 + z1 x1 + (y1 + z1 )
x2 y2 z2 x2 y2 + z2 x2 + (y2 + z2 ) (K1a)
.. + .. + .. = .. + .. = .. =
. . . . . .
xn yn zn xn yn + zn x + (yn + zn )
n
(x1 + y1 ) + z1 x1 + y 1 z1 x1 y1 z1
(K1a) (x2 + y2 ) + z2 x2 + y2 z2 x2 y2 z2
= .. = .. + .. = .. + .. + .. ;
. . . . . .
(xn + yn ) + zn xn + y n zn xn yn zn
b) l’elemento
neutro dell’addizione è il vettore colonna nullo
0
0
.. , infatti
.
0
0 x1 0 + x1 x1
0 x2 0 + x2 (K1b) x2
.. + .. = .. = ..
. . . .
0 xn 0 + xn xn
x1 0 x1 + 0 x1
x2 0 x2 + 0 (K1b) x2
.. + .. = .. = .. ;
. . . .
xn 0 xn + 0 xn
x1
x2
c) l’opposto di un vettore colonna . ∈ Kn è il vettore
..
xn
−x1
−x2
colonna . , infatti
..
−xn
x1 −x1 x1 − x1 0
x2 −x2 x2 − x2 (K1c) 0
.. + .. = .. = .. ;
. . . .
xn −xn xn − xn 0
x1 y1
x2 y 2
d) per ogni . , . ∈ Kn abbiamo
.. ..
xn
yn
x1 y1 x1 + y 1 y 1 + x1 y1 x1
x2 y2 x2 + y2 (K1d) y2 + x2 y2 x2
.. + .. = .. = .. = .. + .. .
. . . . . .
xn yn xn + y n y n + xn yn xn
x1
x2
(SV2) Per ogni . ∈ Kn e λ, µ ∈ K abbiamo
..
xn
x1 µx1 λ(µx1 ) (λµ)x1 x1
x2 µx2 λ(µx2 ) (K2a) (λµ)x2 x2
λ·µ · . = λ· . = . = . = (λ·µ)· . .
.. .. .. .. ..
xn µxn λ(µxn ) (λµ)xn xn
x1
x2
(SV3) Per ogni . ∈ Kn e λ, µ ∈ K abbiamo
..
xn
x1 (λ + µ)x1 λx1 + µx1 λx1 µx1
x2 (λ + µ)x2 (K3) λx2 + µx2 λx2 µx2
(λ + µ) · . = .. = .. = .. + .. =
.
. . . . .
xn (λ + µ)xn λxn + µxn λxn µxn
x1 x1
x2 x2
= λ · . + µ · . .
.. ..
xn xn
x1 y1
x2 y 2
(SV4) Per ogni . , . ∈ Kn e λ ∈ K abbiamo
.. ..
xn yn
x1 y1 x1 + y 1 λ (x1 + y1 ) λx1 + λy1
x2 y2 x2 + y2 λ (x2 + y2 ) (K3) λx2 + λy2
λ · . + . = λ · .. = .. = .. =
.. .. . . .
xn yn xn + y n
λ (xn + yn ) λxn + λyn
λx1 λy1 x1 y1
λx2 λy2 x2 y2
= . + . = λ · . + λ · . .
.. .. .. ..
λxn λyn xn yn
x1 x1 1 · x1 x1
x2 x2 1 · x2 (K2b) x2
(SV5) Per ogni . ∈ Kn abbiamo 1· . = . = . .
.. .. .. ..
xn xn 1 · xn xn
Equazioni vettoriali
Definizione 10.28. Una equazione vettoriale è una equazione in cui le Equazione vettoriale
incognite sono vettori. Una equazione in forma vettoriale è una equazione Equazione in forma vettoriale
in cui i due membri sono vettori.
Osservazione 10.29. Nel caso dei vettori colonna le incognite numeri-
che di una equazione vettoriale sono le coordinate dei vettori incogniti.
Nel caso di una equazione in forma vettoriale con due vettori colonna
nei due membri dell’uguaglianza, i due vettori colonna devono avere lo
Spazi vettoriali
Lezione 10. Spazi vettoriali 10–14
2 −4 2 + (−4) −2
1+i 0 (1 + i) + 0 1+i
2 − 3i + 1 − i = (2 − 3i) + (1 − i) = 3 − 4i .
i −2 i + (−2) −2 + i
Esercizio 10.10. Risolvi l’equazione in forma vettoriale ◮ ◮ Qui i polinomi sono pensati come vettori.
a(x − 1) + 2x2 = b x2 − x + 2
con a, b ∈ R.
Soluzione. Riscrivendo l’equazione abbiamo
(2 − b)x2 + (a + b)x + (−a − 2) = 0
2−b=0
Quindi, abbiamo a + b = 0 , la cui soluzione è (a, b) = (−2, 2).
−a − 2 = 0
Spazi vettoriali
Lezione 10. Spazi vettoriali 10–17
−9 1 −3
Esercizio 10.19. Risolvi le seguenti equazioni in forma vettoriale:
−1 2 2
1. α 0 + β 3 = 1 con α, β ∈ R,
2 1 1
−3 −1 0
2. x +y = con x, y ∈ R,
5 2 1
i 2 2+i 0
3. a 0 + b 1 + c 1 = 0 con a, b, c ∈ C.
i 0 i 0
Risultato dell’Esercizio 10.12. Scegli polinomi arbitrariamente: per Questo esercizio non ha un’unica soluzione,
quindi il lettore può trovare una soluzione
esempi, diversa.
(SV1) a) x21 + 2x21 + (x1 + 1) = 3x21 + x1 + 1 = x21 + 2x21 + (x1 + 1),
b) 0 + (x1 x2 − x2 ) = (x1 x2 − x2 ) + 0 = (x1 x2 − x2 ),
c) x21 x3 + 1 + −x21 x3 − 1 = −x21 x3 − 1 + x21 x3 + 1 = 0,
d) x1 x22 + x3 +(x1 x2 − 3x3 ) = x1 x22 +x1 x2 −2x3 = (x1 x2 − 3x3 )+
x1 x22 + x3 ;
(SV2) λ µ x22 + x1 = λµx22 + λµx1 = (λµ) x22 + x1 ;
(SV3) (λ + µ) x32 − x1 = λ x32 − x1 + µ x32 − x1 ;
(SV4) λ (x1 + x2 ) = (λx1 ) + (λx2 );
(SV5) 1 · x23 + 2x1 = x23 + 2x1 .
Risultato dell’Esercizio 10.13. Dimostra che tutte le proprietà della
definizione sono soddisfatte. ◮ ◮ Le proprietà sono quasi ovvie, perché C è
un campo e la moltiplicazione per scalare
1 per un elemento λ di R è essenzialmente la
−2 7 + 3i moltiplicazione in C, se λ è pensato come
Risultato dell’Esercizio 10.14. .
. un numero complesso.
2 10 − 4i
4
8
−4 − 3i −6
Risultato dell’Esercizio 10.15. 1 − 2i . 2 .
1
10
−6 + 2i
−i 0
−1
Risultato dell’Esercizio 10.16. . . 0 .
−2 + 7i 0
1
3
5
Risultato dell’Esercizio 10.17. −5.
17
2
−3 − 3i
Risultato dell’Esercizio 10.18. 1. Nessuna soluzione. 2. X = 4 + i .
4+i
3. Tutti gli Y sono soluzioni.
Risultato dell’Esercizio 10.19. 1. Nessuna soluzione. 2. (x, y) =
(−1, 3). 3. (a, b, c) = (−α, −α, α) con α ∈ R.
Spazi vettoriali
Lezione 10. Spazi vettoriali 10–20
Spazi vettoriali
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 10/S3
Titolo: Spazi vettoriali
Attività n°: 3
Lezione 11
Combinazioni lineari
Lezione 11
Combinazioni lineari
−1
è una combinazione lineare diversa dalla precedente ◮ : essa ha, ◮ Non c’è il vettore colonna
0
.
però, lo stesso risultato della precedente.
3. La combinazione lineare
2 −1 1
0· +0· +0·
3 0 1
ha come risultato il vettore colonna 02 .
1
4. La combinazione lineare del vettore colonna 3 con coefficiente
−4
3 è la scrittura
1
3 · 3 ,
−4
3
il cui risultato è il vettore colonna 9 .
−12
5. La combinazione lineare dei polinomi x2 +x e 3x+1 con coefficienti
−1 e 2 è la scrittura
(−1) · x2 + x + 2(3x + 1)
il cui risultato è il polinomio −x2 + 5x + 2.
Ogni polinomio può essere visto come il risultato di una combina-
zione lineare delle parti letterali dei suoi monomi ◮ con coefficienti ◮ Per i monomi costanti consideriamo 1
come parte letterale.
i coefficienti numerici dei suoi monomi: per esempio,
4x2 y − 3xy + 3 = 4 · x2 y + (−3) · (xy) + 3 · (1),
dove le parti letterali sono x2 y, xy e 1, e i coefficienti sono 4, −3 e
3.
Osservazione 11.3. Una combinazione lineare non è solo il risultato
v, infatti ci possono essere combinazioni lineari diverse (anche con gli
stessi vettori) che hanno lo stesso risultato ◮, come vedremo nell’esempio ◮ Nell’Esempio 11.2-2 abbiamo visto combi-
nazioni lineari diverse che hanno lo stesso
seguente. risultato, ma con vettori diversi.
Nota che, però, dal punto di vista grafico la combinazione lineare e
il risultato sono indicati nello stesso modo: λ1 v 1 + λ2 v 2 + · · · + λn v n .
Esempio 11.4. 1. La combinazione lineare dei vettori geometrici v
e w, mostrati nella figura, con coefficienti 1 e 0, ossia 1 · v + 0 · w,
e quella con coefficienti 0 e 2, ossia 0 · v + 2 · w, hanno lo stesso
risultato, v.
2. Le due combinazioni lineari dell’Esempio 11.2-2 hanno ovviamente
lo stesso risultato. Questo può succedere anche cambiando so-
2
lo i coefficienti: la combinazione lineare dei vettori colonna ,
3
−1 1 2 −1
e con coefficienti 1, 1 e 0, ossia 1 · +1· +0·
0 1 3 0
1
, è diversa dalla prima dell’Esempio 11.2-2, perché i coefficienti
1
sono diversi, ma ha lo stesso risultato.
Lezione 11
Aula virtuale
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 11
Titolo: Combinazioni lineari
Attività n°: 3
Aula virtuale
Combinazioni lineari
Lezione 11. Combinazioni lineari 11–4
Combinazioni lineari
Lezione 11. Combinazioni lineari 11–5
Risultato dell’Esercizio 11.4. Per esempio, 2·v +1·w e (−1)·v +0·w. Questo esercizio non ha un’unica soluzione,
quindi il lettore può trovare una soluzione
diversa.
3 −1
Risultato dell’Esercizio 11.5. Per esempio, 0 2 + 0 −2 il cui Questo esercizio non ha un’unica soluzione,
quindi il lettore può trovare una soluzione
0 4 diversa.
0 3 −1 7
risultato è 0, e 2 2 − 1 −2 il cui risultato è 6 .
0 0 4 −4
3 2 −1
Risultato dell’Esercizio 11.6. 2 1 − 3 0 − 2 1 .
0 1 −3
Risultato dell’Esercizio 11.7. Per esempio, m1 = x, m2 = 2x: 0 · Questo esercizio non ha un’unica soluzione,
quindi il lettore può trovare una soluzione
(x) + 0 · (2x) e 2 · (x) + (−1) · (2x) hanno entrambe risultato 0. diversa.
2 −1
Risultato dell’Esercizio 11.8. Per esempio, (−1) · +1· + Questo esercizio non ha un’unica soluzio-
3 0 ne, quindi il lettore può trovare una solu-
1 zione diversa. Controlla che il risultato è
3· . davvero 02 .
1
Combinazioni lineari
Lezione 11. Combinazioni lineari 11–7
(a) 2u.
(b) u.
(c) w.
(d) v.
c 2014 Gennaro Amendola Versione 1.0
Lezione 11. Combinazioni lineari 11–9
Domanda 11.3.
Quale delle seguenti combinazioni lineari dei vettori
2 4
colonna e ha come risultato il vettore colonna nullo?
3 6
2 4
(a) 2 + .
3 6
2 4
(b) −2 .
3 6
2 4
(c) 2 − .
3 6
2 4
(d) 2 +2 .
3 6
(a) 1 e 1.
(b) 1 e −1.
(c) −1 e 1.
(d) 0 e 0.
c 2014 Gennaro Amendola Versione 1.0
Lezione 11. Combinazioni lineari 11–10
Domanda
11.10.
Esiste una combinazione lineare dei vettori colonna
−1 −2
e con i coefficienti non tutti nulli con risultato il vettore
3 6
0
nullo ?
0
(a) Sì.
(b) No.
(c) Dipende dallo spazio vettoriale.
(d) Nessuna delle altre risposte.
c 2014 Gennaro Amendola Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 11/S3
Titolo: Combinazioni lineari
Attività n°: 3
Combinazioni lineari
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 11/S3
Titolo: Combinazioni lineari
Attività n°: 3
Lezione 12
Sottospazi vettoriali e sottospazi
generati
Lezione 12
Sottospazi vettoriali e
sottospazi generati
(SSV2) per ogni X, Y ∈ W abbiamo a1 x1 + · · · + an xn = 0 and x1
◮ Perché i due vettori colonna X = .. e
a1 y1 + · · · + an yn = 0 ◮, sommando membro a membro .
otteniamoa1 (x1 + y1 ) + · · · + an (xn + yn ) = 0, quindi
xn
y1
x1 + y 1
Y = ... appartengono a W .
..
◮.
X +Y = . ∈W◮ yn
xn + y n ◮ Definition 10.22.
◮
(SSV3) per ogni X ∈ W e λ ∈ K abbiamo a1 x1 + · · · + an xn = 0 ◮ ◮,
◮ x1
Analogamente, un piano che contiene l’origine nello spazio è un Vedremo sotto che questo è un caso
particolare di sottospazio generato.
sottospazio vettoriale di R3 , che corrisponde a un sottospazio vet-
toriale di V 3E .
Osservazione 12.6. I sottospazi vettoriali descritti nell’Esempio 12.5-4
sono formati dai valori di tutte le combinazioni lineari del vettore fissato
v.
Esempio 12.7. I seguenti sottoinsiemi W dello spazio vettoriale V non Affinché W non sia un sottospazio vetto-
riale di V , è sufficiente che anche una so-
sono sottospazi vettoriali di V . la delle condizioni della Proposizione 12.3
n o
1. V = R2 e W = X ∈ R2 2x1 − 3 (x2 )3 + 1 = 0 . ◮ Verifichia- non sia verificata.
◮ Ricordiamo che x1 e x2 sono le coordinate
mo che una delle tre condizioni della Proposizione 12.3 non è
x1
del vettore colonna X, ossia X =
soddisfatta: x2
(Notazione 10.21).
(SSV1) 02 6∈ W infatti 2 · 0 − 3 · 03 + 1 6= 0.
2. V = Kn e W = {X ∈ Kn | p (x1 , . . . , xn ) = 0}, dove p è un polino-
mio con termine noto non nullo ◮. Verifichiamo che una delle tre ◮ Ad esempio, 3x1 + x3 − x4 − 7 con K = R e
n = 4, oppure i (x2 )3 + (2 − 3i)x4 − (x6 )2 +
condizioni della Proposizione 12.3 non è soddisfatta: (−3 + i) con K = C e n = 7.
(SSV1) 0n 6∈ W infatti p(0, . . . , 0) 6= 0 ◮
◮. ◮ Abbiamo che p(0, . . . , 0) è il termine noto
◮
di p, che non è nullo.
3. Analogamente a quanto abbiamo fatto nell’Esempio 12.5-5, ab-
biamo che, dopo aver fissato un sistema di riferimento cartesiano
(O; x, y) nel piano, una retta che non contiene l’origine non è un
sottospazio vettoriale di R2 , che corrisponde a un sottoinsieme di
V 3E che non è un sottospazio vettoriale di V 2E . ◮
◮
◮
Lo stesso vale per un piano che non contiene l’origine nello spazio: ◮
◮ Ciò segue dal Punto 2 sopra, infatti l’equa-
◮
esso non è un sottospazio vettoriale di R3 , che corrisponde a un zione della retta è ax+by +c = 0 con c 6= 0
(perché la retta non contiene O = (0, 0)).
sottoinsieme di V 3E che non è un sottospazio vettoriale di V 3E .
n o
4. V = R2 e W = X ∈ R2 9x2 − (x1 )2 = 0 . Verifichiamo che una
Al contrario di quanto fatto sopra per il
caso del termine noto non nullo, questo ri-
delle tre condizioni della Proposizione 12.3 non è soddisfatta: sultato non si può generalizzare a Kn (e
nemmeno a Rn ), ossia tipicamente il luogo
3
(SSV3) il vettore colonna appartiene a W , infatti abbiamo degli zeri di un polinomio di grado mag-
1 giore di uno non è un sottospazio vettoria-
le, ma in alcuni casi lo è (Esercizio 12.5-3
2 3 6
9 · 1 − 3 = 0, ma il suo multiplo 2 · = non and 12.17-3).
1 2
appartiene a W , perché 9 · 2 − 62 6= 0.
Anche se questo insieme contiene l’origine, esso è una parabola e
non è una retta, ossia non è dritta.
Proposizione 12.8. Sia V uno spazio vettoriale dotato di addizione
+ e moltiplicazione per scalare · su un campo K, e siano W 1 e W 2 Intersezione di sottospazi vettoriali
due sottospazi vettoriali di V . Allora, l’intersezione W 1 ∩ W 2 è un
sottospazio vettoriale di V .
Dimostrazione. Dimostriamo le tre condizioni della Proposizione 12.3
per il sottoinsieme W 1 ∩ W 2 di V . ◮ ◮ Esse sono equivalenti al fatto che W 1 ∩W 2
è un sottospazio vettoriale di V .
(SSV1) Dimostriamo che 0 ∈ W 1 ∩ W 2 . Visto che abbiamo 0 ∈ W 1
e 0 ∈ W 2 perché W 1 e W 2 sono sottospazi vettoriali di V ,
abbiamo che 0 ∈ W 1 ∩ W 2 .
dello spazio vettoriale V = R3 . ◮ Per la Proposizione 12.8 their ◮ W 1 e W 2 sono sottospazi vettoriali per
l’Esempio 12.5-2.
intersection
W 1 ∩ W 2 = X ∈ R3 2x1 − 3x2 + x3 = 0, 3x1 + x2 − x3 = 0
è un sottospazio vettoriale di V . ◮ ◮ Possiamo
verificare che
X ∈ R3 2x1 − 3x2 + x3 = 0, 3x1 + x2 − x3 = 0
2. Consideriamo m sottospazi vettoriali è un sottospazio vettoriale di R esplici-
3
3. Abbiamo
3 −2 3 −2
Span −1 , 0 = a −1 + b 0 ∈ R3 a, b ∈ R .
4 3 4 3
linomio di grado al più m è am xm + am−1 xm−1 + · · · + a1 x + ◮ Per esempio, si veda il Punto 3 sopra.
◮
a0 .
Esempio 12.17. Nel precedente esempio abbiamo considerato solo un
numero finito di vettori. Consideriamo
ora il caso con infiniti vettori.
k
1. Considera i vettori −2k con k ∈ Z. Possiamo considerare
3k
k
Span −2k ∈ R3 k ∈ Z ,
3k
k
i cui elementi sono le combinazioni lineari dei vettori −2k: ad
3k
1 5 −1 3 −4
esempio, 7 −2 − 2 −10, e 2 − −6 + 3 8 .
3 15 −3 9 −12
h
2. Abbiamo K[x] = Span x h ∈ N , infatti un generico polino-
◮ La differenza con l’Esempio 12.16-6 è che
mio è an xn + an−1 xn−1 + · · · + a1 x + a0 . ◮ ora non abbiamo un limite superiore per il
grado dei polinomi, e quindi per il grado
Abbiamo monomi xh .
deio
n
h
{p(x) ∈ K[x] | tutti i termini hanno grado pari} = Span x h ∈ N, h pari ,
infatti un generico polinomio che ha solo termini di grado pari è
a2n x2n + a2n−2 x2n−2 + · · · + a2 x2 + a0 . ◮ ◮ Per esempio, 3x6 − x4 + 5.
(SSV2) Consideriamo due vettori, v, v ′ ∈ Span(X), ossia Gli scalari λ∗ e λ′∗ sono elementi di K.
v = λ1 v 1 + λ2 v 2 + · · · + λ n v n
con v 1 , v 2 , . . . , v n ∈ X e λ ∈ K; allora abbiamo
λv = (λλ1 ) v 1 + (λλ2 ) v 2 + · · · + (λλn ) v n ∈ Span(X).
Definizione 12.19. Sia X un sottoinsieme di uno spazio vettoriale V . Il Sottospazio vettoriale generato
sottospazio vettoriale Span(X) di V è detto sottospazio vettoriale gene-
rato da X. L’insieme X e i vettori di X sono detti generare il sottospazio
vettoriale Span(X).
Esempio 12.20. Tutti gli insiemi degli Esempi 12.16 e 12.17 sono sotto-
spazi vettoriali dello spazio vettoriale in cui sono contenuti ◮. Per alcuni ◮ A seconda dei casi, abbiamo che lo spa-
zio vettoriale è V 2E , V 3E , R2 , R3 , K[x],
di essi l’avevamo già dimostrato esplicitamente ◮ ◮ , ma, comunque, non è
K6m [x] o un V generico.
più necessario: è sufficiente applicare la Proposizione 12.18.
◮ Ad esempio, per l’Esempio 12.16-1 l’abbia-
◮
Può succedere che non tutti i vettori di X sono “necessari” per gene- mo dimostrato nell’Esempio 12.5-3.
rare Span(X) ◮, inoltre insiemi di vettori completamente diversi possono ◮ Non possiamo rimuovere tutti i vettori per-
ché altrimenti otterremmo Span(∅) = {0}.
generare lo stesso sottospazio vettoriale, come si può vedere nel seguente Vedremo sotto quali vettori possono essere
esempio. rimossi.
2 −1
viceversa, il risultato di una combinazione lineare a +b
3 0
2 −1
è anche il risultato della combinazione lineare a +b +
3 0
1
0· .
1
2 1
Analogamente, possiamo dimostrare che W = Span ,
3 1
−1 1
e che W = Span , .◮ ◮ Si vedano gli Esercizi 12.6 e 12.15.
0 1
L’enunciato della Proposizione 12.18 vale anche se sostituiamo V con
un suo sottospazio.
Proposizione 12.22. Sia W un sottospazio vettoriale di uno spazio
vettoriale V su un campo K, e sia X un sottoinsieme di W . L’in-
sieme Span(X) è un sottospazio vettoriale di W . In particolare, si ha
Span(X) ⊂ W .
Dimostrazione. Il fatto che Span(X) ⊂ W segue dal fatto che W è
un sottospazio vettoriale di V e quindi un qualsiasi elemento λ1 v 1 +
λ2 v 2 + · · · + λn vn (con v 1 , v 2 , . . . , v n ∈ X ⊂ W e λ1 , λ2 , . . . , λn ∈ K) di
Span(X) appartiene a W ◮. ◮ W è un sottospazio vettoriale di V ,
Adesso applichiamo la Proposizione 12.18 ◮ e otteneniamo che Span(X) quindi
◮ l’addizione e la moltiplicazio-
ne per scalare sono operazioni su esso
è un sottospazio vettoriale di W . (Proposizione 12.3).
◮ Sostituendo V con W .
◮
Un semplice corollario della proposizione precedente è il seguente.
Corollario 12.23. Siano v1 , v 2 , . . . , v n e v vettori di uno spazio vetto-
riale V . Abbiamo che
v ∈ Span (v 1 , v 2 , . . . , v n ) se e solo se Span (v 1 , v 2 , . . . , v n , v) = Span (v1 , v 2 , . . . , v n ) .
Non daremo la dimostrazione di questo corollario, anche se non è
difficile.
Esempio 12.24. 1. Consideriamo il sottospazio vettoriale W = X ∈ R2 3x1 − 2x2 = 0
2 2
di R . Il vettore colonna
◮ appartiene a W , quindi la Propo- ◮ Esempio 12.5-1.
3
sizione 12.22 ci assicura che tutto ◮ ◮ Esempi 12.5-3 e 12.16-1.
2 2
Span = k· ∈ R2 k ∈ R
3 3
è contenuto in W . ◮ ◮ In questo caso, possiamo anche dimostrare
che vale l’uguaglianza, infatti vale anche
2. Riferendoci all’Esempio 12.21-2, visto che abbiamo che ◮
◮ l’altra inclusione.
Notando che i vettori
x1
colonna che appartengono a W de-
1 2 −1 x2
∈ Span , , vono soddisfare l’equazione3x1− 2x 2 = 0,
1 3 0 x1 α
e risolvendola, otteniamo = 3
il corollario 12.23 ci assicura che x2 2
α
con α ∈ R. Esso è un elemento di
2 −1 1 2 −1 Span
2
, infatti possiamo scriverlo
Span , , ⊂ Span , , 3
3 0 1 3 0
2
come 21 α · . Tuttavia, la doppia in-
3
senza fare nessun calcolo. ◮
◮
◮ clusione può non valere in generale, per-
ché la Proposizione 12.22 implica solo una
inclusione.
c 2014 Gennaro Amendola
Versione 1.0 1 2 −1
◮ 1 =1· 3 +1· 0 .
◮
◮
◮ L’altra inclusione è ovvia per definizione.
◮
Lezione 12. Sottospazi vettoriali e sottospazi generati 12–10
Definizione 12.27. Un sottospazio vettoriale W di uno spazio vet- Sottospazio vettoriale finitamente
toriale V è detto finitamente generato se esiste un sottoinsieme finito generato
{w1 , w 2 , . . . , wn } di W tale che Span (w1 , w 2 , . . . , w n ) = W .
Uno spazio vettoriale V è detto finitamente generato se V , pensato Spazio vettoriale finitamente genera-
come sottospazio vettoriale di sé stesso, è finitamente generato, ossia se to
esiste un sottoinsieme finito {v1 , v 2 , . . . , v n } di V tale che Span (v 1 , v 2 , . . . , v n ) =
V.
Osservazione 12.28. Visto che l’insieme vuoto è finito, lo spazio vet-
toriale {0} = Span (∅) è finitamente generato.
Esempio 12.29. 1. Lo spazio vettoriale 2 è finitamente genera-
R
1 0
to, infatti abbiamo R2 = Span , perché un generi-
0 1
x1
co vettore ∈ R2 è il risultato della combinazione lineare
x2
1 0 ◮
x1 + x2 . ◮ Abbiamo
dimostrato solo che R2 ⊂
0 1 1
0
Span , , ma il viceversa è ovvio
0 1
2. Lo spazio vettoriale Kn è generato da n vettori e quindi è finita- (Definizione 12.13).
mente generato. La dimostrazione è analoga a quella dell’esem- Questa è una generalizzazione dell’esempio
pio precedente: visto che sarà una parte della dimostrazione della precedente.
Proposizione 14.12, adesso la omettiamo. ◮ ◮ Tuttavia, non è difficile, quindi un lettore
volenteroso può provare a farla da solo.
3. Lo spazio vettoriale dei polinomi K[x1 , x2 , . . . , xn ] non è finitamen-
te generato. Infatti, supponiamo, per assurdo, che lo sia, ossia
K[x1 , x2 , . . . , xn ] = Span (p1 , p2 , . . . , pm ). Il grado del risultato di
una qualsiasi combinazione lineare dei polinomi p1 , p2 , . . . , pm è al
più il massimo grado dei polinomi p∗ , diciamo d, quindi il polino-
mio xd+1
1 non appartiene a Span (p1 , p2 , . . . , pm ), e quindi abbiamo
una contraddizione.
4. Invece, lo spazio vettoriale K6m [x] è finitamente generato. Infatti,
abbiamo K6m [x] = Span (1, x, . . . , xm ). ◮ ◮ Esempio 12.16-6.
2 −1 1
Esercizio 12.2. Il vettore colonna 3 appartiene a Span 0 , 1?
0 1 2
−1 1
Soluzione. Un vettore generico di Span 0 , 1 è
1 2
−1 1
a 0 + b 1 con a, b ∈ R.
1 2
2 −1 1
Il vettore colonna 3 appartiene a Span 0 , 1 se e solo se
0 1 2
−1 1 2
l’equazione in forma vettoriale a 0 + b 1 = 3 ha un soluzio-
1 2 0
2
ne. L’equazione non ha soluzione ◮, quindi il vettore colonna 3 non ◮ Abbiamo visto come risolvere le equazioni
in forma vettoriale nella Lezione 10.
0
−1 1
appartiene a Span 0 , 1.
1 2
α−β
−2α + 3β
W è con α, β ∈ R. Il vettore generico di W può esse-
α
β
1 −1
−2 3
re riscritto come α
1 + β 0 con α, β ∈ R, cosicché abbiamo
0 1
1 −1
1 −1
−2 3
W = Span , e quindi X = −2 , 3 .
1 0 1 0
0 1 0 1
z1 2
Esercizio 12.4. Il sottospazio vettoriale W = ∈ C iz1 + 2z2 = 0
z2
di C2 è finitamente generato?
Soluzione. Dall’equazione iz1 + 2z2 = 0 otteniamo z2 = − 2i z1 , dove
la
prima coordinata z1 ∈ C è libera, quindi un generico vettore di W è
α
con α ∈ C. Il vettore generico di W può essere riscritto come
− 2i α
1 1
α i con α ∈ C, cosicché abbiamo W = Span e quindi W
−2 − 2i
è finitamente generato.
Esercizio 12.5. Quali dei seguenti sono sottospazi vettoriali del rispet-
tivo spazio vettoriale?
1. {p(t) ∈ C[t] | p(0) = 3} di C[t].
2. f ∈ Funz (I, V ) f (x) = 0 in Funz (I, V ), dove x è un elemento
fissato di I. ◮ ◮ Esempio 10.6-6 e Esercizio 10.1.
n o
t
x1 x2 x3 ∈ R3 (x1 )2 + (x2 )2 = 0 di R3 .
3.
Soluzione. 1. No. Abbiamo che il polinomio nullo p0 assume sem-
pre il valore 0, cosicché abbiamo p0 (0) = 0 6= 3 e quindi p0 non
appartiene a {p(t) ∈ C[t] | p(0) = 3}. Visto che l’elemento neutro
per l’addizione di C[t] non appartiene a {p(t) ∈ C[t] | p(0) = 3},
l’insieme {p(t) ∈ C[t] | p(0) = 3} non è un sottospazio vettoriale di
C[t]. ◮ ◮ La prima condizione della Proposizio-
ne 12.3 is not satisfied.
2. Sì. Controlliamo che f ∈ Funz (I, V ) f (x) = 0 soddisfa le tre
condizioni della Proposizione 12.3.
(SSV1) L’elemento neutro di Funz (I, V ), che è la funzione
identi-
camente
nulla f 0 ∈ Funz (I, V ), appartiene a f ∈ Funz (I, V ) f (x) =
0 , infatti f0 (x) = 0.
(SSV2) Per ogni g, h ∈ f ∈ Funz(I, V ) f (x) = 0 abbiamo
g + h ∈ f ∈ Funz (I, V ) f (x) = 0 , infatti visto che
g (x) = 0 e h (x) = 0 abbiamo (g + h) (x) = g (x)+ h (x) =
0 + 0 = 0. ◮ ◮ Nella prima uguaglianza abbiamo usato la
definizione dell’addizione in Funz (I, V ),
e nell’ultima uguaglianza il fatto che 0 è
c 2014 Gennaro Amendola
Versione 1.0 l’elemento neutro dell’addizione in V .
Lezione 12. Sottospazi vettoriali e sottospazi generati 12–13
(SSV3) Per ogni g ∈ f ∈ Funz (I, V ) f (x) = 0 and λ ∈ K
abbiamo λ·g ∈ f ∈ Funz (I, V ) f (x) = 0 , infatti visto
che g (x) = 0 abbiamo (λ · g) (x) = λ · g (x) = λ0 = 0. ◮ ◮ Nella prima uguaglianza abbiamo usa-
n
t o to la definizione della moltiplicazione
x1 x2 x3 ∈ R3 (x1 )2 + (x2 )2 = 0 è forma-
3. Sì. L’insieme per scalare in Funz (I, V ), e nell’ultima
uguaglianza una proprietà di 0 in V .
t
to dai vettori colonna x1 x2 x3 tali che x1 = x2 = 0, ossia
t
0 0 α con α ∈ R. Questi vettori possono essere riscritti come
t t
α · 0 0 1 con α ∈ R, quindi l’insieme è Span 0 0 1 ,
che è un sottospazio vettoriale di R3 per la Proposizione 12.18. ◮ ◮ Confronta con l’Esempio 12.7-4.
Soluzione. Abbiamo
k
1
Span −2k ∈ R3 k ∈ Z = Span −2 ,
3k 3
infatti
k
1
3
Span −2k ∈ R k ∈ Z
⊂ Span −2
3k 3
k 1
vale perché ogni vettore −2k appartiene a Span −2, e
3k 3
k
1
3
Span −2k ∈ R k ∈ Z
⊃ Span −2
3k 3
1 k k
vale perché −2 è uno dei vettori −2k . Allora, l’insieme Span −2k ∈ R3 k ∈ Z
3 3k 3k
è generato da un vettore, e quindi è finitamente generato.
2 1
Esercizio 12.8. Dimostra che R2 = Span , .
3 1
2 2 1
Soluzione. Chiaramente abbiamo R ⊃ Span , . Inoltre,
3 1
2 2 1 x1
abbiamo R ⊂ Span , , perché ogni vettore colonna di
3 1 x2
2 1
R3 è il risultato di una combinazione lineare dei vettori e , in-
3 1
x1 2 1
fatti l’equazione in forma vettoriale =a +b nelle variabili
x2 3 1
a, b ∈ R ha soluzione (a, b) = (x2 − x1 , 3x1 − 2x2 ).
3 0 −4
1 4 0
Esercizio 12.11. Scrivi un generico elemento di Span 2 , 0 , 0.
3 −1 0
1 1 5
Esercizio 12.12. Il vettore colonna appartiene a Span , ?
4 1 4
2 −1 1
Esercizio 12.13. Il vettore colonna 3 appartiene a Span 0 , 1?
7 1 2
Esercizio 12.14. Il polinomio 2x4 +x2 −x+7 appartiene a Span x − x2 , 2 + x2 , x4 − 3x2 + 1 ?
Esercizio 12.15. Dimostra con la definizione che Esempio 12.21-2.
2 −1 1 −1 1
Span , , = Span , .
3 0 1 0 1
x
Esercizio 12.16. Considera i sottoinsiemi W 1 = 3
y ∈ R x + 2y − 5z = 0
z
x
e W2 = 3
y ∈ R 3x − y − z = 0, x − y + z = 0 of R3 .
z
1. Scrivi alcuni elementi di W 1 e W 2 .
2. W 1 e W 2 sono sottospazi vettoriali di R3 ?
3. Trova insiemi X1 e X2 tali che W 1 = Span (X1 ) e W 2 = Span (X2 ).
4. W 1 e W 2 sono finitamente generati?
5. La loro intersezione W 1 ∩ W 2 è un sottospazio vettoriale di R3 ?
6. Trova un insieme X tale che W 1 ∩ W 2 = Span(X).
Esercizio 12.17. Quali dei seguenti sono sottospazi vettoriali del ri-
spettivo spazio vettoriale?
a+1
1. ∈ R a ∈ R di R2 .
2
3a
3+i 3i
2. Span −1 , 4 di C3 .
1−i 0
x1
3. x2 ∈ K3 (3x1 − x2 + x3 )2 = 0 of K3 .
x3
4. {X ∈ Kn | 0 = 0} di Kn .
1 1 0
2 0 1
Risultato dell’Esercizio 12.10. −1, −2, −3, Questo esercizio non ha un’unica soluzione,
quindi il lettore può trovare una soluzione
3 0 −4 diversa.
1 1 0 3 1 1
2 0 1 1 2 0
+ 2 − = , 0 + 0 = 04 .
−1 −2 −3 −2 −1 −2
3 0 −4 7 3 0
1 4 0
Risultato dell’Esercizio 12.11. a 2 +b 0 +c 0 con a, b, c ∈
3 −1 0
◮ Nota che l’ultimo addendo è 03 , cosicché
R. ◮ esso non dà contributo e quindi il generico
elemento può anche essere scritto come
Risultato dell’Esercizio 12.12. Sì.
1 4
Risultato dell’Esercizio 12.13. Sì. ◮
◮ a 2 + b 0 con a, b ∈ R.
3 −1
Risultato dell’Esercizio 12.14. No.
◮ Confronta con l’Esercizio 12.2.
◮
Risultato
dell’Esercizio
12.15. Scrivi ogni combinazione
lineare
di Esempio 12.21-2 e Esercizio 12.6.
2 −1 1 −1 1
, e come una combinazione lineare di e ,e
3 0 1 0 1
viceversa.
2 1 0
Risultato dell’Esercizio 12.16. 1. Ad esempio, −1 , 2 , 0 ∈
0 1 0 Questo esercizio non ha un’unica soluzione,
quindi il lettore può trovare una soluzione
1 0 diversa.
W 1 e 2 , 0 ∈ W 2 .
1 0
2. Sì.
−2 5 1
3. Ad esempio, X1 = 1 , 0
e X2 = 2 . Questo esercizio non ha un’unica soluzione,
quindi il lettore può trovare una soluzione
0 1 1 diversa.
4. Sì.
5. Sì.
1
6. X = 2 . ◮ Questo esercizio non ha un’unica soluzione,
1
quindi il lettore può trovare una soluzione
diversa.
Risultato dell’Esercizio 12.17. 1. No. ◮
◮ ◮ In questo caso abbiamo W 1 = W 1 ∩ W 1 ,
ma nota che ciò può non succedere in
2. Sì. generale.
◮ Non contiene 02 .
◮
3. Sì. ◮
◮
◮ ◮
x1
4. Sì. ◮ ◮ 3
2
◮
◮ x2 ∈ K (3x1 − x2 + x3 ) = 0 =
◮
x
3
x1
x2 ∈ K3 3x1 − x2 + x3 = 0 .
x3
◮ {X ∈ Kn | 0 = 0} = Kn .
◮
Dipendenza e indipendenza
lineare
la seguente definizione.
Definizione 13.2. Sia V uno spazio vettoriale su un campo K, e siano
v 1 , v 2 , . . . , v n vettori di V .
• I vettori v 1 , v 2 , . . . , v n sono detti linearmente indipendenti se il Indipendenza lineare
vettore nullo è il risultato di una sola combinazione lineare dei
vettori v 1 , v 2 , . . . , v n (quella con tutti i coefficienti nulli), ossia se,
comunque vengono scelti i coefficienti λ1 , λ2 , . . . , λn ∈ K non tutti
Osservazione 13.8. Nel caso n = 2, l’enunciato della Proposizione 13.7 Come abbiamo visto sopra, non è detto che
entrambi siano sempre multipli uno dell’al-
può essere rienunciato come segue. tro, perché uno può essere nullo mentre
Due vettori sono linearmente dipendenti se e solo se uno di l’altro no.
Se, però, sono entrambi diversi da 0, al-
essi è multiplo dell’altro. lora dalla dimostrazione della Proposizio-
ne 13.7 possiamo dedurre che due vettori
Esempio 13.9. 1. I due vettori v e w, mostrati nella figura, sono li- sono linearmente dipendenti se e solo se
nearmente indipendenti, infatti non abbiamo né che v è un multiplo ciascuno di essi è multiplo dell’altro.
di w né che w è un multiplo di v.
Invece, i due vettori v e u, mostrati nella figura, sono linearmente
dipendenti, infatti abbiamo che u è un multiplo di v.
2 1
2. I due vettori e sono linearmente indipendenti ◮, infatti ◮ Example 13.5-1.
3 1
2 1 1
non abbiamo né che è un multiplo di né che è un
3 1 1
2 ◮
2
1
multiplo di . ◮ Né l’equazione =k né l’equazio-
3
3 1
1 2
ne =k hanno soluzione.
2 −1 1 1 3
3. I tre vettori , e ◮,
sono linearmente dipendenti ◮
3 0 1 ◮ Example 13.5-2.
◮
2
infatti abbiamo che è il risultato di una combinazione lineare
3
2 −1 1 ◮
−1
degli altri due vettori =1 +3 . ◮ In questo caso abbiamo anche che
3 0 1 0
è il risultato di una combinazione
lineare
Osservazione 13.10. Sia V uno spazio vettoriale, e siano degli altri due vettori
−1
= 1·
2
+
0 3
v 1 , v 2 , . . . , v n ∈ V linearmente dipendenti. Comunque giustapponiamo
1
1
(−3) · e che è il risultato di una
ad essi vettori w1 , w 2 , . . . , wm ∈ V , abbiamo che i vettori 1 1
v 1 , v 2 , . . . , v n , w 1 , w 2 , . . . , wm ∈ V sono linearmente dipendenti. In- combinazione
lineare deglialtridue vettori
1 1 2 1
−1
fatti, abbiamo una combinazione .
Pn lineare dei vettori v i con coefficienti λi
= 3· + −3 ·
1 3 0
non tutti P nulli che vale
P 0: i=1 λi v i = 0. Allora anche la combinazione
lineare ni=1 λi v i + m i=1 0w i non ha tutti i coefficienti nulli e vale 0.
Ciò è equivalente a dire che, se i vettori v 1 , v 2 , . . . , v n ∈ V sono Stiamo considerando la contronomiale a
quella dell’affermazione precedente (Osser-
linearmente indipendenti, allora, comunque scegliamo tra essi m vettori vazione 3.9).
wi , ossia {w1 , w 2 , . . . , wm } ⊂ {v 1 , v 2 , . . . , v n }, abbiamo che i vettori
w1 , w2 , . . . , w m ∈ V sono linearmente indipendenti.
2 1
Esempio 13.11. 1. I due vettori e sono linearmente indi-
3 1
pendenti◮,quindi, per l’osservazione precedente, anche il singolo ◮ Esempio 13.5-1.
2
vettore è linearmente indipendente, e anche il singolo vettore
3
1 ◮ L’Osservazione 13.6 lo conferma.
è linearmente indipendente. ◮
1
◮ Esempio 13.5-2.
◮
2 −1 1 ◮ 2
2. I tre vettori , e sono linearmente dipendenti ◮ ◮, ◮
◮ La combinazione lineare 1 ·
3
+ (−1) ·
3 0 1
−1 1 0
quindi,
per l’osservazione precedente,
comunque
scegliamo
un vet- 0
+(−3)·
1
=
0
dei tre vettori si
x1 2 −1 1 x1
2
tore i quattro vettori , , e sono linear- estende alla combinazione lineare 1 ·
3
+
x2 3 0 1 x2
−1 1 x1
mente dipendenti. ◮ ◮
◮ (−1) ·
0
+ (−3) ·
1
+0·
x2
=
0
Un caso particolare dell’osservazione precedente è il seguente. 0
che ha come risultato 02 e non tutti i
Proposizione 13.15. Sia V uno spazio vettoriale, e siano v 1 , v 2 , . . . , v n Per la Definizione 13.2 sappiamo che i vet-
tori v1 , v 2 , . . . , v n sono linearmente indi-
vettori di V . Essi sono linearmente indipendenti se e solo se ogni vettore pendenti se e solo se il vettore nullo è
di Span (v 1 , v 2 , . . . , v n ) è il risultato di una sola combinazione lineare dei il risultato di una sola combinazione li-
vettori v 1 , v 2 , . . . , v n . neare dei vettori v 1 , v 2 , . . . , v n . Se que-
sto è vero (per il vettore nullo), auto-
maticamente è vero per tutti i vettori di
Dimostrazione. (∗∗) Dobbiamo dimostrare due implicazioni. Supponia- Span (v 1 , v2 , . . . , v n ).
mo che ogni vettore di Span (v 1 , v 2 , . . . , v n ) è il risultato di una sola
combinazione lineare dei vettori v 1 , v 2 , . . . , v n . In particolare, il vettore
0 è il risultato di una sola combinazione lineare dei vettori v 1 , v 2 , . . . , v n ,
quindi i vettori v1 , v 2 , . . . , v n sono linearmente indipendenti.
Allora si ha m 6 n.
Non daremo la dimostrazione di questa proposizione, anche se non è
difficile.
Considerando l’implicazione contronominale ◮ all’enunciato della pro- ◮ Osservazione 3.9.
posizione precedente otteniamo la proposizione equivalente seguente.
Proposizione 13.19. Sia V uno spazio vettoriale, e siano v 1 , v 2 , . . . , v n
vettori in V . Si supponga inoltre che w 1 , w 2 , . . . , wm ∈ V siano tali che
• w1 , w 2 , . . . , wm ∈ Span (v 1 , v 2 , . . . , v n ),
• m > n.
Allora, i vettori w1 , w2 , . . . , w m sono linearmente dipendenti.
Esempio 13.20. 1. Abbiamo
1 1 2 −1 1
1
1
• , ∈ Span , , ,◮ ◮ Per è ovvio, mentre per ab-
1 3 3 0 1 1 3
biamo mostrato una combinazione lineare
1 2 nell’Esempio 11.2-2.
• e sono linearmente indipendenti ◮
◮.
1 3 ◮ Esempio 13.5-1.
◮
Infatti abbiamo 2 6 3.
2. Abbiamo
2 −1 1 1 0
• , , ∈ Span , ,◮ ◮ Nell’Esempio
12.29-1 abbiamo visto che
3 0 1 0 1 1 0
Span , = R2 .
• 3 > 2. 0 1
2 −1 1
Infatti i vettori , e sono linearmente dipendenti. ◮ ◮ Esempio 13.5-2.
3 0 1
3. L’esempio precedente può essere generalizzato e possiamo dimo-
strare che non possono esistere tre vettori linearmente indipen-
2
né in R2 né
denti 2
nel piano V E , infatti abbiamo visto che R =
1 0
Span , e quindi, per la Proposizione 13.19, comunque
0 1
consideriamo m vettori colonna con m > 2, essi sono linearmente
dipendenti. ◮ ◮ Usando un sistema di riferimento cartesia-
no in V 2E possiamo identificare i vettori
4. Generalizzando ancora abbiamo che non possono esistere n+1 vet- geometrici con gli elementi di R2 , quindi
tori linearmente indipendenti in Kn , infatti Kn è generato da n vet- lo stesso risultato vale anche per V 2E .
diversi da i1 , i2 , . . . , im , ossia
(1) (2) (k)
x i1 x i1 x i1
(1) (2) (k)
(1)
x i2 (2)
xi2 (k)
x i2
Y = . , Y
= . ,..., Y
= .
.
. . .
. ..
(1) (2) (k)
x im x im x im
Se i vettori colonna Y (1) , Y (2) , . . . , Y (k) sono linearmente indipen-
denti, allora anche i vettori colonna X (1) , X (2) , . . . , X (k) sono li-
nearmente indipendenti.
Per dimostrarlo, consideriamo una combinazione lineare dei vettori
colonna X (1) , X (2) , . . . , X (k) il cui risultato è nullo,
α1 X (1) + α2 X (2) + · · · + αk X (k) = 0n ,
e dimostriamo che αi = 0 per ogni i = 1, 2, . . . , k. Utilizzando le
coordinate abbiamo il sistema
(1) (2) (k)
α1 x1 + α2 x1 + · · · + αk x1 = 0
α x(1) + α x(2) + · · · + α x(k) = 0
1 2 2 2 k 2
.. .
.
(1) (2) (k)
α1 xn + α2 xn + · · · + αk xn = 0
Considerando soltanto le equazioni i1 -esima, i2 -esima,. . . , im -esima,
abbiamo il sistema
(1) (2) (k)
α1 xi1 + α2 xi1 + · · · + αk xi1 = 0
α x(1) + α x(2) + · · · + α x(k) = 0
1 i2 2 i2 k i2
. ,
..
(1) (2) (k)
α1 xim + α2 xim + · · · + αk xim = 0
che, in forma vettoriale, è equivalente a
α1 Y (1) + α2 Y (2) + · · · + αk Y (k) = 0m .
Visto che stiamo assumendo che i vettori colonna Y (1) , Y (2) , . . . , Y (k)
sono linearmente indipendenti, abbiamo αi = 0 per ogni i =
1, 2, . . . , k, ossia che i vettori colonna X (1) , X (2) , . . . , X (k) sono
linearmente indipendenti.
2. Considerando l’implicazione contronominale ◮ di quanto enunciato Rimuovendo coordinate da vettori linear-
mente dipendenti, essi restano linearmente
sopra otteniamo che se i vettori colonna X (1) , X (2) , . . . , X (k) sono dipendenti.
linearmente dipendenti, allora anche i vettori colonna ◮ Remark 3.9.
Y (1) , Y (2) , . . . , Y (k) sono linearmente dipendenti.
2 1
Esempio 13.22. 1. I due vettori colonna e sono linear-
3 1
mente indipendenti ◮ , quindi per l’Osservazione 13.21-1 anche i ◮ Esempio 13.5-1.
due vettori colonna,
ottenuti inserendo arbitrariamente la seconda
2 1
coordinata, −1 e 4 sono linearmente indipendenti ◮.
◮ Il conto esplicito (Esercizio 13.9-3) è
inutile.
3 1
2 −1 1
2. I tre vettori colonna 3, 0 e 1 sono linearmente di-
7 1 2
pendenti ◮, quindi per l’Osservazione 13.21-2 anche i tre vettori ◮ La combinazione lineare con coefficien-
ti 1, −1, −3 ha come risultato 03
colonna,
ottenuti
rimuovendo arbitrariamente la terza coordinata, (Esercizio 13.1).
2 −1 1
, e sono linearmente dipendenti ◮. ◮ Esempio 13.5-2.
3 0 1
Osservazione 13.23. Il viceversa di quanto enunciato nell’Osservazio-
ne 13.21 non è vero (i controesempi sono nell’esempio sotto).
1. Se i vettori colonna X (1) , X (2) , . . . , X (k) sono linearmente indipen- Inserendo coordinate in vettori colonna
linearmente dipendenti, essi possono re-
denti, allora i vettori colonna Y (1) , Y (2) , . . . , Y (k) possono essere stare linearmente dipendenti o diventare
linearmente dipendenti (oppure essere linearmente indipendenti). linearmente indipendenti.
2. Analogamente, se i vettori colonna Y (1) , Y (2) , . . . , Y (k) sono linear- Rimuovendo coordinate da vettori colonna
linearmente indipendenti, essi possono re-
mente dipendenti, allora i vettori colonna X (1) , X (2) , . . . , X (k) pos- stare linearmente indipendenti o diventare
sono essere linearmente indipendenti (oppure essere linearmente linearmente dipendenti.
dipendenti).
1
Esempio 13.24. 1. Il singolo vettore 0 è linearmente indipen-
0
0
dente. Rimuovendo la prima coordinata diventa che è li-
0
nearmente dipendente, mentre rimuovendo la seconda coordinata
1
diventa che è linearmente indipendente. ◮ ◮ Osservazione 13.6.
0
2 −1 1
2. I tre vettori , e sono linearmente dipendenti ◮. In- ◮ Esempio 13.5-2.
3 0 1
2
serendo una terza coordinata possiamo ottenere i tre vettori 3,
7
−1 1
0 e 1 che sono linearmente dipendenti ◮, oppure i tre ◮ La combinazione lineare con coefficien-
ti 1, −1, −3 ha come risultato 03
1 2 (Esercizio 13.1).
2 −1 1
vettori 3 ,
0 e 1 che sono linearmente indipendenti ◮ .
◮ Esercizio 13.2.
0 1 2
Proposizione 13.25. Sia V uno spazio vettoriale, siano v 1 , v 2 , . . . , v n
vettori linearmente indipendenti in V , e sia v un vettore in V . I seguenti
fatti sono equivalenti fra loro:
• v1 , v 2 , . . . , v n , v sono linearmente indipendenti,
• v 6∈ Span (v 1 , v 2 , . . . , v n ).
Non daremo la dimostrazione di questa proposizione, anche se non è
difficile.
Osservazione 13.26. La proposizione precedente è vera anche se consi-
deriamo zero vettori (che sono linearmente indipendenti) di V e v ∈ V .
Infatti, v è linearmente indipendente se e solo se v 6= 0 ◮, ossia v 6∈ ◮ Osservazione 13.6.
{0} = Span (∅).
Dipendenza e indipendenza
lineare
la seguente definizione.
Definizione 13.2. Sia V uno spazio vettoriale su un campo K, e siano
v 1 , v 2 , . . . , v n vettori di V .
• I vettori v 1 , v 2 , . . . , v n sono detti linearmente indipendenti se il Indipendenza lineare
vettore nullo è il risultato di una sola combinazione lineare dei
vettori v 1 , v 2 , . . . , v n (quella con tutti i coefficienti nulli), ossia se,
comunque vengono scelti i coefficienti λ1 , λ2 , . . . , λn ∈ K non tutti
Osservazione 13.8. Nel caso n = 2, l’enunciato della Proposizione 13.7 Come abbiamo visto sopra, non è detto che
entrambi siano sempre multipli uno dell’al-
può essere rienunciato come segue. tro, perché uno può essere nullo mentre
Due vettori sono linearmente dipendenti se e solo se uno di l’altro no.
Se, però, sono entrambi diversi da 0, al-
essi è multiplo dell’altro. lora dalla dimostrazione della Proposizio-
ne 13.7 possiamo dedurre che due vettori
Esempio 13.9. 1. I due vettori v e w, mostrati nella figura, sono li- sono linearmente dipendenti se e solo se
nearmente indipendenti, infatti non abbiamo né che v è un multiplo ciascuno di essi è multiplo dell’altro.
di w né che w è un multiplo di v.
Invece, i due vettori v e u, mostrati nella figura, sono linearmente
dipendenti, infatti abbiamo che u è un multiplo di v.
2 1
2. I due vettori e sono linearmente indipendenti ◮, infatti ◮ Example 13.5-1.
3 1
2 1 1
non abbiamo né che è un multiplo di né che è un
3 1 1
2 ◮
2
1
multiplo di . ◮ Né l’equazione =k né l’equazio-
3
3 1
1 2
ne =k hanno soluzione.
2 −1 1 1 3
3. I tre vettori , e ◮,
sono linearmente dipendenti ◮
3 0 1 ◮ Example 13.5-2.
◮
2
infatti abbiamo che è il risultato di una combinazione lineare
3
2 −1 1 ◮
−1
degli altri due vettori =1 +3 . ◮ In questo caso abbiamo anche che
3 0 1 0
è il risultato di una combinazione
lineare
Osservazione 13.10. Sia V uno spazio vettoriale, e siano degli altri due vettori
−1
= 1·
2
+
0 3
v 1 , v 2 , . . . , v n ∈ V linearmente dipendenti. Comunque giustapponiamo
1
1
(−3) · e che è il risultato di una
ad essi vettori w1 , w 2 , . . . , wm ∈ V , abbiamo che i vettori 1 1
v 1 , v 2 , . . . , v n , w 1 , w 2 , . . . , wm ∈ V sono linearmente dipendenti. In- combinazione
lineare deglialtridue vettori
1 1 2 1
−1
fatti, abbiamo una combinazione .
Pn lineare dei vettori v i con coefficienti λi
= 3· + −3 ·
1 3 0
non tutti P nulli che vale
P 0: i=1 λi v i = 0. Allora anche la combinazione
lineare ni=1 λi v i + m i=1 0w i non ha tutti i coefficienti nulli e vale 0.
Ciò è equivalente a dire che, se i vettori v 1 , v 2 , . . . , v n ∈ V sono Stiamo considerando la contronomiale a
quella dell’affermazione precedente (Osser-
linearmente indipendenti, allora, comunque scegliamo tra essi m vettori vazione 3.9).
wi , ossia {w1 , w 2 , . . . , wm } ⊂ {v 1 , v 2 , . . . , v n }, abbiamo che i vettori
w1 , w2 , . . . , w m ∈ V sono linearmente indipendenti.
2 1
Esempio 13.11. 1. I due vettori e sono linearmente indi-
3 1
pendenti◮,quindi, per l’osservazione precedente, anche il singolo ◮ Esempio 13.5-1.
2
vettore è linearmente indipendente, e anche il singolo vettore
3
1 ◮ L’Osservazione 13.6 lo conferma.
è linearmente indipendente. ◮
1
◮ Esempio 13.5-2.
◮
2 −1 1 ◮ 2
2. I tre vettori , e sono linearmente dipendenti ◮ ◮, ◮
◮ La combinazione lineare 1 ·
3
+ (−1) ·
3 0 1
−1 1 0
quindi,
per l’osservazione precedente,
comunque
scegliamo
un vet- 0
+(−3)·
1
=
0
dei tre vettori si
x1 2 −1 1 x1
2
tore i quattro vettori , , e sono linear- estende alla combinazione lineare 1 ·
3
+
x2 3 0 1 x2
−1 1 x1
mente dipendenti. ◮ ◮
◮ (−1) ·
0
+ (−3) ·
1
+0·
x2
=
0
Un caso particolare dell’osservazione precedente è il seguente. 0
che ha come risultato 02 e non tutti i
Proposizione 13.15. Sia V uno spazio vettoriale, e siano v 1 , v 2 , . . . , v n Per la Definizione 13.2 sappiamo che i vet-
tori v1 , v 2 , . . . , v n sono linearmente indi-
vettori di V . Essi sono linearmente indipendenti se e solo se ogni vettore pendenti se e solo se il vettore nullo è
di Span (v 1 , v 2 , . . . , v n ) è il risultato di una sola combinazione lineare dei il risultato di una sola combinazione li-
vettori v 1 , v 2 , . . . , v n . neare dei vettori v 1 , v 2 , . . . , v n . Se que-
sto è vero (per il vettore nullo), auto-
maticamente è vero per tutti i vettori di
Dimostrazione. (∗∗) Dobbiamo dimostrare due implicazioni. Supponia- Span (v 1 , v2 , . . . , v n ).
mo che ogni vettore di Span (v 1 , v 2 , . . . , v n ) è il risultato di una sola
combinazione lineare dei vettori v 1 , v 2 , . . . , v n . In particolare, il vettore
0 è il risultato di una sola combinazione lineare dei vettori v 1 , v 2 , . . . , v n ,
quindi i vettori v1 , v 2 , . . . , v n sono linearmente indipendenti.
Allora si ha m 6 n.
Non daremo la dimostrazione di questa proposizione, anche se non è
difficile.
Considerando l’implicazione contronominale ◮ all’enunciato della pro- ◮ Osservazione 3.9.
posizione precedente otteniamo la proposizione equivalente seguente.
Proposizione 13.19. Sia V uno spazio vettoriale, e siano v 1 , v 2 , . . . , v n
vettori in V . Si supponga inoltre che w 1 , w 2 , . . . , wm ∈ V siano tali che
• w1 , w 2 , . . . , wm ∈ Span (v 1 , v 2 , . . . , v n ),
• m > n.
Allora, i vettori w1 , w2 , . . . , w m sono linearmente dipendenti.
Esempio 13.20. 1. Abbiamo
1 1 2 −1 1
1
1
• , ∈ Span , , ,◮ ◮ Per è ovvio, mentre per ab-
1 3 3 0 1 1 3
biamo mostrato una combinazione lineare
1 2 nell’Esempio 11.2-2.
• e sono linearmente indipendenti ◮
◮.
1 3 ◮ Esempio 13.5-1.
◮
Infatti abbiamo 2 6 3.
2. Abbiamo
2 −1 1 1 0
• , , ∈ Span , ,◮ ◮ Nell’Esempio
12.29-1 abbiamo visto che
3 0 1 0 1 1 0
Span , = R2 .
• 3 > 2. 0 1
2 −1 1
Infatti i vettori , e sono linearmente dipendenti. ◮ ◮ Esempio 13.5-2.
3 0 1
3. L’esempio precedente può essere generalizzato e possiamo dimo-
strare che non possono esistere tre vettori linearmente indipen-
2
né in R2 né
denti 2
nel piano V E , infatti abbiamo visto che R =
1 0
Span , e quindi, per la Proposizione 13.19, comunque
0 1
consideriamo m vettori colonna con m > 2, essi sono linearmente
dipendenti. ◮ ◮ Usando un sistema di riferimento cartesia-
no in V 2E possiamo identificare i vettori
4. Generalizzando ancora abbiamo che non possono esistere n+1 vet- geometrici con gli elementi di R2 , quindi
tori linearmente indipendenti in Kn , infatti Kn è generato da n vet- lo stesso risultato vale anche per V 2E .
diversi da i1 , i2 , . . . , im , ossia
(1) (2) (k)
x i1 x i1 x i1
(1) (2) (k)
(1)
x i2 (2)
xi2 (k)
x i2
Y = . , Y
= . ,..., Y
= .
.
. . .
. ..
(1) (2) (k)
x im x im x im
Se i vettori colonna Y (1) , Y (2) , . . . , Y (k) sono linearmente indipen-
denti, allora anche i vettori colonna X (1) , X (2) , . . . , X (k) sono li-
nearmente indipendenti.
Per dimostrarlo, consideriamo una combinazione lineare dei vettori
colonna X (1) , X (2) , . . . , X (k) il cui risultato è nullo,
α1 X (1) + α2 X (2) + · · · + αk X (k) = 0n ,
e dimostriamo che αi = 0 per ogni i = 1, 2, . . . , k. Utilizzando le
coordinate abbiamo il sistema
(1) (2) (k)
α1 x1 + α2 x1 + · · · + αk x1 = 0
α x(1) + α x(2) + · · · + α x(k) = 0
1 2 2 2 k 2
.. .
.
(1) (2) (k)
α1 xn + α2 xn + · · · + αk xn = 0
Considerando soltanto le equazioni i1 -esima, i2 -esima,. . . , im -esima,
abbiamo il sistema
(1) (2) (k)
α1 xi1 + α2 xi1 + · · · + αk xi1 = 0
α x(1) + α x(2) + · · · + α x(k) = 0
1 i2 2 i2 k i2
. ,
..
(1) (2) (k)
α1 xim + α2 xim + · · · + αk xim = 0
che, in forma vettoriale, è equivalente a
α1 Y (1) + α2 Y (2) + · · · + αk Y (k) = 0m .
Visto che stiamo assumendo che i vettori colonna Y (1) , Y (2) , . . . , Y (k)
sono linearmente indipendenti, abbiamo αi = 0 per ogni i =
1, 2, . . . , k, ossia che i vettori colonna X (1) , X (2) , . . . , X (k) sono
linearmente indipendenti.
2. Considerando l’implicazione contronominale ◮ di quanto enunciato Rimuovendo coordinate da vettori linear-
mente dipendenti, essi restano linearmente
sopra otteniamo che se i vettori colonna X (1) , X (2) , . . . , X (k) sono dipendenti.
linearmente dipendenti, allora anche i vettori colonna ◮ Remark 3.9.
Y (1) , Y (2) , . . . , Y (k) sono linearmente dipendenti.
2 1
Esempio 13.22. 1. I due vettori colonna e sono linear-
3 1
mente indipendenti ◮ , quindi per l’Osservazione 13.21-1 anche i ◮ Esempio 13.5-1.
due vettori colonna,
ottenuti inserendo arbitrariamente la seconda
2 1
coordinata, −1 e 4 sono linearmente indipendenti ◮.
◮ Il conto esplicito (Esercizio 13.9-3) è
inutile.
3 1
2 −1 1
2. I tre vettori colonna 3, 0 e 1 sono linearmente di-
7 1 2
pendenti ◮, quindi per l’Osservazione 13.21-2 anche i tre vettori ◮ La combinazione lineare con coefficien-
ti 1, −1, −3 ha come risultato 03
colonna,
ottenuti
rimuovendo arbitrariamente la terza coordinata, (Esercizio 13.1).
2 −1 1
, e sono linearmente dipendenti ◮. ◮ Esempio 13.5-2.
3 0 1
Osservazione 13.23. Il viceversa di quanto enunciato nell’Osservazio-
ne 13.21 non è vero (i controesempi sono nell’esempio sotto).
1. Se i vettori colonna X (1) , X (2) , . . . , X (k) sono linearmente indipen- Inserendo coordinate in vettori colonna
linearmente dipendenti, essi possono re-
denti, allora i vettori colonna Y (1) , Y (2) , . . . , Y (k) possono essere stare linearmente dipendenti o diventare
linearmente dipendenti (oppure essere linearmente indipendenti). linearmente indipendenti.
2. Analogamente, se i vettori colonna Y (1) , Y (2) , . . . , Y (k) sono linear- Rimuovendo coordinate da vettori colonna
linearmente indipendenti, essi possono re-
mente dipendenti, allora i vettori colonna X (1) , X (2) , . . . , X (k) pos- stare linearmente indipendenti o diventare
sono essere linearmente indipendenti (oppure essere linearmente linearmente dipendenti.
dipendenti).
1
Esempio 13.24. 1. Il singolo vettore 0 è linearmente indipen-
0
0
dente. Rimuovendo la prima coordinata diventa che è li-
0
nearmente dipendente, mentre rimuovendo la seconda coordinata
1
diventa che è linearmente indipendente. ◮ ◮ Osservazione 13.6.
0
2 −1 1
2. I tre vettori , e sono linearmente dipendenti ◮. In- ◮ Esempio 13.5-2.
3 0 1
2
serendo una terza coordinata possiamo ottenere i tre vettori 3,
7
−1 1
0 e 1 che sono linearmente dipendenti ◮, oppure i tre ◮ La combinazione lineare con coefficien-
ti 1, −1, −3 ha come risultato 03
1 2 (Esercizio 13.1).
2 −1 1
vettori 3 ,
0 e 1 che sono linearmente indipendenti ◮ .
◮ Esercizio 13.2.
0 1 2
Proposizione 13.25. Sia V uno spazio vettoriale, siano v 1 , v 2 , . . . , v n
vettori linearmente indipendenti in V , e sia v un vettore in V . I seguenti
fatti sono equivalenti fra loro:
• v1 , v 2 , . . . , v n , v sono linearmente indipendenti,
• v 6∈ Span (v 1 , v 2 , . . . , v n ).
Non daremo la dimostrazione di questa proposizione, anche se non è
difficile.
Osservazione 13.26. La proposizione precedente è vera anche se consi-
deriamo zero vettori (che sono linearmente indipendenti) di V e v ∈ V .
Infatti, v è linearmente indipendente se e solo se v 6= 0 ◮, ossia v 6∈ ◮ Osservazione 13.6.
{0} = Span (∅).
2 −1 1
Esercizio 13.2. I vettori 3, 0 e 1 sono linearmente indi- Esempio 13.24-2.
0 1 2
pendenti?
2 −1
Soluzione. Sì, infatti l’equazione in forma vettoriale a 3 +b 0 +
0 1
1
c 1 = 03 ha solo la soluzione nulla (a, b, c) = (0, 0, 0).
2
2 −1 1
Esercizio 13.3. I vettori , e sono linearmente indipen-
0 0 1
denti?
2 −1 1 ◮
Soluzione. No, perché = −2 +0 . ◮ Proposizione 13.7.
0 0 1
2 0
Esercizio 13.4. I vettori e sono linearmente indipendenti?
0 0
Soluzione. No, perché uno di essi è nullo. ◮ ◮ Osservazione 13.12.
2 −1
Esercizio 13.6. 1. Dimostra che i vettori 3 e 0 sono linear-
0 1
mente indipendenti.
2
2. Giustapponi a essi un vettore colonna X ∈ R3 tale che 3,
0
−1
0 e X sono linearmente dipendenti.
1
2
3. Giustapponi a essi un vettore colonna X ∈ R3 tale che 3,
0
−1
0 e X sono linearmente indipendenti.
1
Soluzione. 1. Nessuno dei due vettori è un multiplo dell’altro. Osservazione 13.8.
0 2 −1 0
2. Ad esempio, X = 0 , infatti 3 ,
0 e 0 sono linear-
0 0 1 0
mente dipendenti perché uno di essi è nullo.
3. Per la Proposizione 13.25, il vettore colonna
X che
stiamo
cer-
2 −1
cando è uno qualsiasi tale che X 6∈ Span 3 , 0 . ◮ Un ◮ Nota che possiamo usare la Proposizio-
0 1 ne 13.25
perché
abbiamo
già dimostra-
2 −1
2 −1 2 −1 to che 3 e 0 sono linearmente
vettore generico di Span 3 , 0
è a 3 +b 0 =
0 1
indipendenti.
0 1 0 1
2a − b
3a , quindi, se per esempio la seconda e la terza coordinata
b
sono
0, anche la prima deve essere
0
◮. Allora, il vettore colonna
◮ Esso corrisponde a (a, b) = (0, 0).
1 2 −1
0 non appartiene a Span 3 , 0 e quindi esso è il
0 0 1
vettore X che stiamo cercando.
3 1
Esercizio 13.7. 1. Dimostra che i vettori e sono linear-
0 0
mente dipendenti.
2. Inserisci in essi una coordinata in modo che diventino linearmente
indipendenti.
3. Inserisci in essi una coordinata in modo che rimangano linearmente
dipendenti.
Soluzione. 1. Il primo vettore è un multiplo (il triplo) del secondo.
2. Per
esempio,
inseriamo una terza coordinata, ottenendo i vettori
3 1
0 e 0, che sono linearmente indipendenti perché nessuno di
0 1
essi è un multiplo dell’altro.
3. Peresempio,
inseriamo una terza coordinata, ottenendo i vetto-
3 1
ri 0 e 0, che sono linearmente dipendenti perché il primo
0 0
vettore è un multiplo (il triplo) del secondo.
1 2 5
−3 + i 0
8. , .
5 2i
2−i 1 + 2i
9. , .
i −1
10. I due vettori geometrici v 1 e v 2 mostrati nella figura.
11. I tre vettori geometrici w1 , w2 e w3 mostrati nella figura.
12. t3 − 2t2 + t, t2 − t − 1, t3 − t − 2 ∈ R[t].
2 3 −6
Esercizio 13.10. 1. Dimostra che i vettori , e sono
1 1 −2
linearmente dipendenti.
2. Scegli due di essi che sono linearmente dipendenti.
3. Scegli due di essi che sono linearmente indipendenti.
1 0
Esercizio 13.11. 1. Dimostra che i vettori −1 e 0 sono li-
1 1
nearmente indipendenti.
2. Rimuovi da essi una coordinata in modo che rimangano linearmen-
te indipendenti.
3. Rimuovi da essi una coordinata in modo che diventino linearmente
dipendenti.
Lezione 14
Basi e coordinate
Lezione 14
Basi e coordinate
14.1 Basi
Per semplicità, d’ora in poi, considereremo quasi esclusivamente spa-
zi vettoriali finitamente generati. Molte delle cose che diremo possono
essere generalizzate (alcune in maniera naturale, altre in maniera non
banale) anche a spazi vettoriali che non sono finitamente generati.
Definizione 14.1. Una base di uno spazio vettoriale V è un insieme Base
finito ordinato B = {v 1 , v 2 , . . . , v n } i cui vettori v 1 , v 2 , . . . , v n generano
V e sono linearmente indipendenti.
2 1
Esempio 14.2. 1. L’insieme ordinato , è una base di
3 1
2 1
R2 , infatti i due vettori e sono linearmente indipendenti ◮ ◮ Esempio 13.5-1.
3 1
e generano R2 . ◮ ◮ Esercizio 12.8.
2 −1 1
2. L’insieme ordinato , , non è una base di R2 , in-
3 0 1
2 −1 1
fatti i tre vettori , e sono linearmente dipendenti ◮; ◮ Esempio 13.5-2.
3 0 1
essi generano R2 ◮, ma ciò non è sufficiente affinché formino una ◮ Per la Proposizione
12.22 ab-
2 1
base. biamo Span
3
,
1
⊂
1 2 −1 1
3. L’insieme ordinato non è una base di R2 , infatti il vettore Span
3
,
0
,
1
; visto che
1
il primo è tutto R , anche il secondo lo è.
2
1
non genera R2 ◮ ◮; esso è linearmente indipendente ◮
◮
◮ , ma ciò
1
1
1 ◮ Ad esempio, 0 6∈ Span
◮
1
.
non è sufficiente affinché formi una base. ◮
◮ Osservazione 13.6.
◮
En := {e1 , e2 , . . . , en },
x1
x2
dove ei è il vettore colonna . tale che xi = 1 e xj = 0 per ogni
..
xn
j 6= i, ossia
1 0 0
0 1 0
e1 := . , e2 := . , ..., en := . .
.. .. ..
0 0 1
Notazione 14.10. Se non ci sono ambiguità, indicheremo En semplice-
mente con E.
Osservazione 14.11. La notazione è lievemente ambigua: ad esempio,
con 1 2
e1 indichiamo sia il vettore colonna ( 0 ) ∈ K che il vettore colonna
1
0 ∈ K3 . Tuttavia, sarà chiaro dal contesto quale dei vettori stiamo
0
considerando.
Proposizione 14.12. La base canonica En è effettivamente una base di Dobbiamo dimostrare che l’insieme ordina-
to En è effettivamente una base di Kn : non
Kn . è sufficiente chimarlo “base canonica” per
essere sicuri che sia una base.
Dimostrazione. (∗∗) Cominciamo dimostrando che i vettori e1 , e2 , . . . , en
sono linearmente indipendenti. Consideriamo una combinazione lineare
che ha come risultato il vettore colonna nullo,
λ1 e1 + λ2 e2 + · · · + λn en = 0,
e dimostriamo che i coefficienti λi sono tutti nulli ◮. Abbiamo ◮ Osservazione 13.4.
1 0 0 λ1 0
0 1 0 λ2 0
λ1 e1 +λ2 e2 +· · ·+λn en = λ1 . +λ2 . +· · ·+λn . = . = . ,
.. .. .. .. ..
0 0 1 λn 0
ossia λi = 0 per ogni i = 1, 2, . . . , n.
Dimostriamo ora che i vettori colonna e1 , e2 , . . . , en generano
Kn .
t
Consideriamo un generico vettore colonna x1 x2 · · · xn di Kn e
dimostriamo che esso è il risultato di una combinazione lineare dei vettori
colonna e1 , e2 , . . . , en . Abbiamo
x1 1 0 0
x2 0 1 0
.. = x1 .. +x2 .. +· · ·+xn .. = x1 e1 +x2 e2 +· · ·+xn en ,
. . . .
xn 0 0 1
t
quindi x1 x2 · · · xn ∈ Span (e1 , e2 , . . . , en ) e la dimostrazione è
completa.
Algoritmo 14.13 (Estrazione di una base). Sia X = {v 1 , v 2 , . . . , v n } Estrazione di una base
un insieme finito ordinato di generatori di uno spazio vettoriale V . I passi
dell’algoritmo sono n. Al passo i-esimo si decide se tenere o scartare il
vettore vi :
• il vettore v i viene tenuto se esso, insieme agli altri vettori tenu-
ti fino a quel momento, forma un insieme di vettori linearmente
indipendenti;
• il vettore v i viene scartato altrimenti (ossia se esso, insieme agli
altri vettori tenuti fino a quel momento, forma un insieme di vettori
linearmente dipendenti).
I vettori tenuti dopo gli n passi, ordinati come in X, sono il risultato
dell’algoritmo.
Osservazione 14.14. Nel primo passo dobbiamo controllare se il vettore
v 1 , da solo, è linearmente indipendente, ossia se è diverso da 0. Se non
è nullo lo teniamo, altrimenti lo scartiamo. Se scartiamo v 1 dobbiamo
ripetere questa procedura per v 2 , e così via finché non troviamo un
vettore diverso da 0.
Quando abbiamo trovato il primo vettore da tenere (ossia il primo
non nullo), dobbiamo proseguire cercando il secondo vettore da tenere.
Dobbiamo controllare se il vettore che stiamo considerando, con il primo
vettore che abbiamo tenuto, forma una coppia di vettori linearmente in-
dipendenti. Visto che il primo vettore tenuto è diverso da 0, ciò significa
che il vettore che stiamo considerando non è multiplo del vettore tenuto.
Quando troviamo il secondo vettore da tenere, proseguiamo cercando
il terzo vettore da tenere. Dobbiamo controllare se il vettore che stiamo
considerando, con i primi due vettori che abbiamo tenuto, forma una
terna di vettori linearmente indipendenti.
Proseguendo, ad ogni passo, dobbiamo controllare se il vettore che
stiamo considerando, con i vettori già tenuti, forma un insieme di vettori
linearmente indipendenti, ossia se il vettore che stiamo considerando non
appartiene allo spazio vettoriale generato dai vettori già tenuti ◮. ◮ Proposizione 13.25.
2 −1
Il risultato è l’insieme ordinato , .
3 0
4. Fissiamo un sistema di riferimento cartesiano (O; x1 , x2 , x3 ) nello
spazio V 3E . Chiamiamo i, j e k i tre vettori geometrici che han-
no coordinate rispettivamente (1, 0, 0), (0, 1, 0) e (0, 0, 1), che sono
linearmente indipendenti per la Proposizione 14.12. Consideria-
mo i vettori geometrici, i, j, 2i + j, k, i + k ∈ V 3E . Applicando
l’algoritmo a questo insieme ordinato di vettori i passi sono
Teorema 14.22. Ogni spazio vettoriale finitamente generato ha una Esistenza di una base
base. Questo teorema è il viceversa dell’osserva-
zione precedente.
Dimostrazione. Chiamiamo V lo spazio vettoriale. Se V = {0}, allora
∅ è una base di V . ◮ Se invece V è uno spazio vettoriale finitamente ◮ Osservazione 14.5.
generato diverso da {0}, consideriamo un insieme finito di generatori
{v 1 , v 2 , . . . , v n } di V ; per il Teorema 14.20, esiste una base di V .
Esempio 14.23. 1. Fissiamo un sistema di riferimento cartesiano
(O; x, y) nel piano V 2E . Chiamiamo i e j i due vettori geometrici
che hanno coordinate rispettivamente (1, 0) e (0, 1), che formano
una base in virtù della Proposizione 14.12.
Analogamente, fissiamo un sistema di riferimento cartesiano (O; x, y, z)
nello spazio V 3E . Chiamiamo i, j e k i tre vettori geometrici che
hanno coordinate rispettivamente (1, 0, 0), (0, 1, 0) e (0, 0, 1), che
formano una base in virtù della Proposizione 14.12.
2. Lo spazio vettoriale Kn ha la base En . ◮ ◮ Proposizione 14.12.
14.2 Coordinate
Definizione 14.28. Sia B = {v1 , v 2 , . . . , v n } una base di uno spazio Coordinate rispetto a una base
vettoriale V , e sia v un vettore di V . Le coordinate di v rispetto alla
base B sono i coefficienti λ1 , λ2 , . . . , λn della (unica) combinazione lineare
di v 1 , v 2 , . . . , v n il cui risultato è v ◮, ◮ Proposizione 14.24.
v = λ1 v 1 + λ2 v 2 + · · · + λn vn .
Esempio 14.29. 1. Consideriamo l’Esempio 14.25-1. Le coordinate
del vettore geometrico v rispetto alla base {i, j} di V 2E sono i
coefficienti 3 e 2 della (unica) combinazione lineare di i e j il cui
risultato è v:
v = 3i + 2j.
2 1
2. Consideriamo la base B = , di R2 . ◮ Le coordinate del ◮ Esempio 14.2-1.
3 1
5
vettore colonna rispetto alla base B sono i coefficienti 4 e −3
9
2 1
della (unica) combinazione lineare di e il cui risultato è
3 1
5 ◮
: ◮ Esempio 13.17-1.
9
5 2 1
=4 −3 .
9 3 1
1 0
3. Consideriamo ora la base standard E2 = , di R2 . ◮ Le ◮ Definizione 14.9.
0 1
5
coordinate del vettore colonna rispetto alla base E2 sono i
9
1 0
coefficienti 5 e 9 della (unica) combinazione lineare di e
0 1
5
il cui risultato è :
9
5 1 0
=5 +9 .
9 0 1
Definizione 14.30. Siano λ1 , λ2 , . . . , λn le coordinate di un vettore v Vettore delle
coordinate/rappresentazione
rispetto a una base B di uno spazio vettoriale V . Il vettore colonna di
Kn che ha come entrate queste coordinate è detto vettore delle coordinate
o rappresentazione di v rispetto alla base B, ed è indicato con [·]·
λ1
λ2
[v]B := . .
..
λn
Esempio 14.31. Consideriamo i vettori dell’Esempio 14.29.
1. Il vettore delle coordinate del vettore geometrico v rispetto alla
base {i, j} è
3
[v]{i,j} = .
2
5
2. Il vettore delle coordinate del vettore colonna rispetto alla Per i vettori colonna, attenzione a non con-
9 fondere le coordinate delvettore colonna,
base B è che in questo caso è
5
, e le coordina-
9
5 4 te dello stesso vettore rispetto a una base
= .
9 B −3 diversa dalla base canonica.
5
3. Il vettore delle coordinate del vettore colonna rispetto alla
9
base E2 è
5 5
= .
9 E 9
2
2. Cambiando l’ordine degli elementi di una base B di uno spazio vet- Adesso risulta chiaro il motivo per cui l’or-
dine dei vettori fa parte della definizione di
toriale V le coordinate di un vettore v cambiano per un opportuno base.
riordinamento delle coordinate di v rispetto alla base B. Più pre-
cisamente, se B = {v 1 , v 2 , . . . , v n } e se σè una funzione bigettiva
da {1, . . . , n} in sé stesso ◮, allora B ′ = v σ(1) , v σ(2) , . . . , v σ(n) è ◮ Una tale funzione è detta permutazione.
infatti abbiamo
5 0 1
=9 +5 .
9 1 0
Osservazione 14.34. Sia B = {v 1 , v 2 , . . . , v n } una base di uno spazio
vettoriale V . La funzione
[·]B : V ∋ v 7−→ [v]B ∈ Kn
è bigettiva. Infatti, la funzione [·]B è ben definita
einiettiva per la
λ1
λ2
Proposizione 14.24, ed è surgettiva perché per ogni . ∈ Kn abbiamo
..
λn
λ1
λ2
.. = [λ1 v 1 + λ2 v 2 + · · · + λn v n ]B .
.
λn
Esempio 14.35. 1. Consideriamo la base {i, j} di V 2E dell’Esem-
pio 14.23-1. Le coordinate di un generico vettore geometrico v che
2
ha coordinate (x, y) ∈ V E rispetto
alla base {i, j} sono x e y,
x
quindi abbiamo [v]{i,j} = . La funzione
y
x
[·]{i,j} : V 2E ∋ (x, y) 7−→ [(x, y)]{i,j} = ∈ R2
y
è bigettiva.
2 1
2. Consideriamo la base B = , di R2 . Le coordinate di
3 1
x1
un generico vettore colonna ∈ R2 rispetto alla base B sono
x2
x1 x2 − x1
x2 − x1 e 3x1 − 2x2 , quindi abbiamo
◮ = . ◮ Esempio 13.17-2.
x2 B 3x1 − 2x2
La funzione
2 x1 x1 x2 − x1
[·]B : R ∋ 7−→ = ∈ R2
x2 x2 B 3x1 − 2x2
è bigettiva. ◮ ◮ Esercizio 6.4.
Basi e coordinate
Lezione 14. Basi e coordinate 14–11
Esercizio 14.2. Quali dei seguenti insiemi ordinati di vettori sono una
base del rispettivo spazio vettoriale?
3 6
1. , di R2 .
5 10
1 −1 1
2. 0 , 1 − i , 1 di C3 .
i 0 0
3. x2 , x, 3x − 2x2 di R62 [x].
4. {v 1 , v 2 , v 3 , v 4 } di V 3E .
Soluzione. 1. No. I vettori non sono linearmente indipendenti. ◮ ◮ Abbiamo visto come controllare se alcuni
vettori sono linearmente indipendenti nella
2. Sì. I vettori generano C3 e sono linearmente indipendenti. ◮
◮ Lezione 13.
◮ Abbiamo visto come controllare se alcu-
◮
3. No. I polinomi non generano R62 [x]. ◮
◮
◮ ni vettori generano uno spazio vettoriale
3 e se sono some linearmente indipendenti
4. No. Il numero degli elementi di una base di V E deve essere tre. ◮ rispettivamente nelle Lezioni 12 e 13.
◮
◮ Abbiamo visto come controllare se alcuni
◮
vettori generano uno spazio vettoriale nella
Esercizio 14.3. Trova una base dello spazio vettoriale Lezione 12.
W = X ∈ R3 x1 − 3x2 + 5x3 = 0 . ◮ Esempio 14.23-1 e Teorema 14.26.
3 −5
Soluzione. Abbiamo che W = Span 1 , 0 . ◮ Visto che i ◮ Abbiamo visto come trovare alcuni vetto-
ri che generano uno spazio vettoriale nella
0 1 Lezione 12.
3 −5
vettori 1 e 0 sono linearmente indipendenti ◮, abbiamo che ◮ Abbiamo visto come controllare se alcuni
vettori sono linearmente indipendenti nella
0 1 Lezione 13.
3 −5
l’insieme ordinato 1 , 0 è una base di W .
0 1
3
Soluzione. 1. La soluzione dell’equazione in forma vettoriale =
−1
5 4
λ1 + λ2 è (λ1 , λ2 ) = (7, −8), quindi le coordinate sono 7
1 1
7
e −8. Il vettore delle coordinate è [X]B = .
−8
2. La soluzione
dell’equazionein forma vettoriale 1 = α x3 − x +
β x2 + γ(x+ 3)+ δ x2 − 2 è (α, β, γ, δ) = 0, 12 , 0, − 21 , quindi le
coordinate sono 0, 12 , 0 e − 21 . Il vettore delle coordinate è [p(x)]B =
0
1
2 .
0
− 21
Basi e coordinate
Lezione 14. Basi e coordinate 14–13
◮ Esempio 14.23-1.
7
1 0 −1 1
0 , , , 0
1 1
B′ = −2 −1 0 −1
2 2 1 0
di R4 , usando il risultato dell’Esercizio 14.9-4.
3
3
5. 3, −2, 1. [p(t)]B = −2.
1
−1
6. −1, 1. [v]{i,j} = .
1
3
1
Risultato dell’Esercizio 14.10. 3, 1, −1, 0. [X]B′ −1.
=
Basi e coordinate
Lezione 14. Basi e coordinate 14–16
Basi e coordinate
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 14/S3
Titolo: Basi e coordinate
Attività n°: 3
Lezione 15
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Lezione 15
Dimensione
15.1 Dimensione
Definizione 15.1. La dimensione di uno spazio vettoriale finitamente Dimensione
generato V è il numero degli elementi di una qualsiasi delle sue basi, ed
è indicata con dim(V ).
Osservazione 15.2. La definizione ha senso, infatti: Dobbiamo essere sicuri che la definizio-
ne possa essere data per ogni spazio vet-
• visto che V è uno spazio vettoriale finitamente generato, esso ha toriale finitamente generato, che la de-
almeno una base; ◮ finizione non dipenda dalla base scelta
(arbitrariamente).
• tutte le basi di V hanno lo stesso numero di elementi. ◮
◮
◮ Teorema 14.22.
2
Esempio 15.3. 1. La dimensione di V è 2, infatti {i, j} è una base
E ◮ Teorema 14.26.
◮
di V 2E ◮
◮
◮ con 2 elementi. dim V 2E = 2
di V 3E ◮ con 3 elementi.
dim V 3E = 3
◮ Esempio 14.23-1.
2 2 1
2. La dimensione di R è 2, infatti , è una base di R2 ◮ ◮
◮ Esempio 14.2-1.
◮
3 1
con 2 elementi.
3. Generalizzando, we have that the dimension of Kn è n, infatti la dim (Kn ) = n
base canonica En di Kn ◮ ha n elementi. ◮ Proposizione 14.12.
Definizione 15.7. Uno spazio vettoriale finitamente generato è anche Spazio vettoriale di dimensione finita
detto di dimensione finita. Abbiamo definito la dimensione solo per
spazi vettoriali di dimensione finita, quindi
Osservazione 15.8. La dimensione dello spazio vettoriale C sul campo la dimensione è un numero naturale e que-
R ◮ è 2. Infatti, una base è {1, i}. ◮
◮ sta definizione sembra essere inutile. Tut-
tavia, la definizione di dimensione può es-
Notiamo che invece la dimensione dello spazio vettoriale C sul campo sere data anche per spazi vettoriali che non
C stesso è 1. Infatti, C = C1 quindi, per l’Esempio 15.3-3, abbiamo sono finitamente generati: in questo caso
essa sarebbe infinita e quindi non un nu-
dim C1 = 1. mero naturale. Ciò spiega perché abbiamo
Alcuni distinguono questi casi con la notazione dimK (V ), ma noi dato questa definizione.
non avremo bisogno di questa distinzione, quindi non appesantiremo la ◮ Esempio 10.6-5.
notazione e useremo solamente dim(V ). Gli spazi vettoriali Cn saranno ◮ Esercizi 12.9 e 13.8.
◮
1
• a) Dal fatto che è linearmente indipendente deduciamo
1
che dim R2 > 1.
b) Se sappiamo che i k vettori di Kn sono linearmente indi-
pendenti, deduciamo che dim (Kn ) > k.
2 −1 1
• a) Dal fatto che , e generano R2 deduciamo
3 0 1
che dim R2 6 3.
b) Se sappiamo che i k vettori generano Kn , deduciamo che
dim (Kn ) 6 k.
2. Al contrario, possiamo dedurre indicazioni sui vettori da informa-
zioni note sulla dimensione di R2 o Kn .
• a) Dal fatto che dim R2 = 2, deduciamo che, visto che
2 −1 1
3 > 2, i tre vettori , e non possono essere
3 0 1
linearmente indipendenti.
b) Dal fatto che dim (Kn ) = n, deduciamo che, se k > n, i
k vettori di Kn sono linearmente dipendenti.
• a) Dal fatto che dim R2 = 2, deduciamo che, visto che
1
1 < 2, il vettore non può generare R2 .
1
b) Dal fatto che dim (Kn ) = n, deduciamo che, se k < n, i
k vettori di Kn non possono generare Kn .
Corollario 15.12. Sia M il massimo numero di vettori linearmente
indipendenti di uno spazio vettoriale finitamente generato V , e m il
minimo numero di generatori di V . Allora, si ha dim(V ) = M = m.
Dimostrazione. (∗∗) Chiamiamo, per semplicità, n la dimensione di V .
Allora esiste una base B = {v 1 , v 2 , . . . , v n } di V formata da n vettori.
Visto che M è il massimo numero di vettori linearmente indipendenti
di V , esistono M vettori w1 , w2 , . . . , w M linearmente indipendenti. Vi-
sto che m è il minimo numero di generatori di V , esistono m vettori
u1 , u2 , . . . , um che generano V .
Visto che i vettori v 1 , v 2 , . . . , v n sono linearmente indipendenti e che
M è il massimo numero di vettori linearmente indipendenti di V , abbia-
mo n 6 M . Ma per il Corollario 15.9 applicato ai vettori w 1 , w2 , . . . , wM ,
we have M 6 n. Quindi abbiamo n = M .
Visto che i vettori v 1 , v 2 , . . . , v n generano V e che m è il minimo
numero di generatori di V , abbiamo m 6 n. Ma per il Corollario 15.9
applicato ai vettori u1 , u2 , . . . , um , abbiamo n 6 m. Quindi abbiamo
n = m.
Esempio 15.13. Il minimo numero di generatori di R2 , il massimo nu-
mero di vettori linearmente indipendenti di R2 , e la dimensione di R2 è
2.
Analogamente, il minimo numero di generatori di Kn , il massimo
numero di vettori linearmente indipendenti di Kn , e la dimensione di Kn
è n.
Span (v 1 , v 2 , . . . , v m ) 6= V scegliamo
v m+1 6∈ Span (v 1 , v 2 , . . . , v m )
Span (v 1 , v 2 , . . . , v m , v m+1 ) 6= V scegliamo
v m+2 6∈ Span (v 1 , v 2 , . . . , v m , v m+1 )
Span (v 1 , v 2 , . . . , v m , v m+1 , v m+2 ) 6= V scegliamo
v m+3 6∈ Span (v 1 , v 2 , . . . , v m , v m+1 , v m+2 )
..
.
Span (v 1 , v 2 , . . . , v m , v m+1 , . . . , v m+k−1 ) 6= V scegliamo
v m+k 6∈ Span (v 1 , v 2 , . . . , v m , v m+1 , . . . , v m+k−1 )
Span (v 1 , v 2 , . . . , v m , v m+1 , . . . , v m+k ) = V l’algoritmo termina
Il risultato è l’insieme ordinato {v 1 , v 2 , . . . , v m , v m+1 , . . . , v m+k }.
2. Applichiamo l’algoritmo all’insieme vuoto X = ∅ in R2 : ◮ ◮ Abbiamo visto come controllare se un vet-
tore appartiene a un sottospazio vettoriale
2 1 generato da alcuni vettori nella Lezione 12.
Span(∅) 6= R scegliamo 6∈ Span(∅) = {0}
0
1 0 1
Span 6= R2 scegliamo 6∈ Span
0
1 0
1 0
Span , = R2 l’algoritmo termina
0 1
1 0
Il risultato è l’insieme ordinato , .
0 1
2
3. Applichiamo l’algoritmo all’insieme (ordinato) X = −1 in
3
R3 : ◮ ◮ Abbiamo visto come controllare se un vet-
tore appartiene a un sottospazio vettoriale
generato da alcuni vettori nella Lezione 12.
2 1 2
Span −1 6= R 3 scegliamo 1 6∈ Span
−1
3 0 3
2 1 0 2 1
Span −1 , 1
6= R 3 scegliamo 0 6∈ Span
−1 , 1
3 0 1 3 0
2 1 0
Span −1 , 1 , 0 = R3 l’algoritmo termina
3 0 1
2 1 0
Il risultato è l’insieme ordinato −1 , 1 , 0 .
3 0 1
0
0
Se al primo passo avessimo scelto il vettore 0 ◮, al secondo ◮ Lo possiamo fare perché 0 6∈
−1
−1
2
0 Span −1.
passo non avremmo potuto scegliere 0 ◮. Avremmo potuto sce-
◮ 3
1 0 2 0
◮
◮ Perché 0 ∈ Span −1 , 0 .
1 1 3 −1
gliere, ad esempio, 0 ◮ ◮, e avremmo ottenuto l’insieme ordinato
◮
1
0 ◮
◮ Lo possiamo fare perché 6∈
◮ 0
2 0 1
0
−1 , 0 , 0 . 2 0
Span −1 , 0 .
3 −1 0 3 −1
Proposizione 15.19. L’algoritmo di completamento a una base (Algo- Dovremmo dimostrare sia che l’algoritmo
termina, sia che il risultato dell’algoritmo
ritmo 15.14) termina dopo un numero finito di passi, e il suo risultato è è effettivamente una base di V .
una base di V .
Non daremo la dimostrazione di questa proposizione, anche se non è
difficile.
Esempio 15.20. Per la proposizione precedente tutti i risultati dell’E-
sempio 15.18 sono basi dei rispettivi spazi vettoriali. ◮ ◮ Non è necessario dimostrarlo per via della
Proposizione 15.19.
Osservazione 15.21. Per essere precisi, vengono fatti dim(V ) − m + 1
passi. Nei primi dim(V )−m passi scegliamo i vettori, mentre nell’ultimo
controlliamo che Span v 1 , v 2 , . . . , v dim(V ) = V , ossia che l’algoritmo
termina.
Esempio 15.22. Rivediamo i casi dell’Esempio 15.18.
1. I passi dell’algoritmo sono k+1. Visto che V = Span (v 1 , v 2 , . . . , v m , v m+1 , . . . , v m+k ),
abbiamo che dim(V ) = m + k, quindi abbiamo che il numero di
passi dell’algoritmo è dim(V ) − m + 1.
2. I passi dell’algoritmo sono 3. Visto che dim R2 = 2, abbiamo che
il numero di passi dell’algoritmo è dim R2 − 0 + 1.
3. I passi dell’algoritmo sono 3. Visto che dim R3 = 3, abbiamo che
il numero di passi dell’algoritmo è dim R3 − 1 + 1.
Teorema 15.23. Sia W un sottospazio vettoriale di uno spazio vetto-
riale finitamente generato V . Allora, anche W è finitamente generato,
e si ha dim(W ) 6 dim(V ).
Dimostrazione. (∗∗) Applichiamo l’algoritmo di completamento a una
base al sottoinsieme X = ∅ dello spazio vettoriale W . Visto che non
sappiamo se W è finitamente generato, non sappiamo se l’algoritmo
termina dopo un numero finito di passi.
Se l’algoritmo termina dopo un numero finito di passi, otteniamo un
insieme ordinato di vettori {w1 , w 2 , . . . , w m } tali che Span (w1 , w2 , . . . , w m ) =
W , ossia W è finitamente generato.
Supponiamo ora che l’algoritmo non termina dopo un numero finito
di passi. Allora, dopo dim(V )+1 passi otteniamo un insieme ordinato di
vettori w1 , w 2 , . . . , wdim(V )+1 . Essi sono linearmente indipendenti ◮, ◮ Osservazione 15.17.
e quindi abbiamo dim(V ) + 1 6 dim(V ) ◮. Questa è una contraddizio- ◮ Corollario 15.9.
ne, quindi l’algoritmo termina dopo un numero finito di passi e W è
finitamente generato.
Per dimostrare che dim(W ) 6 dim(V ), consideriamo una base B =
w1 , w2 , . . . , w dim(W ) di W , che ha dim(W ) elementi e che esiste per il
Teorema 14.22. Visto che i vettori w1 , w 2 , . . . , wdim(W ) sono linearmente
indipendenti, abbiamo dim(W ) 6 dim(V ). ◮ ◮ Corollario 15.9.
Dimensione
Lezione 15. Dimensione 15–8
1 2 3
Esercizio 15.2. 1. 2 , 1 , 2 è una base di R3 ?
−1 0 −1
1 2 0
−1 −1
, , 0 è una base di R4 ?
2. 4 3 −1
0 5 4
Soluzione. 1. Sì. I tre vettori sono linearmente indipendenti
◮ , quin- ◮ Abbiamo visto come controllare se alcuni
3 3 vettori sono linearmente indipendenti nella
di sono anche generatori di R perché dim R = 3. ◮ Quindi, ◮
Lezione 13.
formano una base di R3 . ◮ Corollario 15.26.
◮
2. No. Visto che dim R4 = 4, abbiamo che una base di R4 deve
essere formata da 4 elementi.
1 1
tenuto il vettore è linearmente indipendente
4 4
−2 1 −2
scartato i vettori , sono linearmente dipendenti
−8 4 −8
2 1 2
tenuto i vettori , sono linearmente indipendenti
7 4
7
1 1 2 1
scartato i vettori , , sono linearmente dipendenti
5 4 7 5