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Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010

Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA


Lezione n°: 1
Titolo: Presentazione del corso
Attività n°: 1

Lezione 1
Presentazione del corso
Lezione 1

Presentazione del corso

In questa lezione daremo informazioni sul corso.

1.1 Indicazioni generali


Professore: Gennaro Amendola
e-mail: gennaro.amendola@uniecampus.it

Obiettivi
Lo scopo del corso è di fornire le conoscenze di geometria analitica e
algebra lineare necessarie per comprendere in maniera soddisfacente i
corsi successivi.

Risultati di apprendimento
Alla fine dell’itinerario didattico lo studente/la studentessa dovrebbe
essere capace di risolvere problemi su
• spazi vettoriali,
• matrici,
• spazio euclideo,
• curve e superfici.

Contenuti
Algebra lineare
Spazi vettoriali: Definizione. Dipendenza e indipendenza lineare di
vettori. Basi e dimensione di uno spazio vettoriale. Sottospazi vettoriali.
Lo spazio dei vettori geometrici. Applicazioni lineari.

Matrici: Definizione. Operazioni. Determinante. Rango di una ma-


trice. Trasposta e inversa di una matrice. Applicazioni lineari e matrici.
Autovalori e autovettori. Diagonalizzazione.

c 2014 Gennaro Amendola Versione 1.0


Lezione 1. Presentazione del corso 1–2

Sistemi di equazioni lineari: Definizione. Sistemi lineari omogenei


e non omogenei. Soluzioni di sistemi lineari. Metodo di eliminazione di
Gauss.

Geometria analitica
Sottospazi affini: Definizione. Coordinate. Forma implicita e para-
metrica. Parallelismo. Mutua posizione. Fasci. Collinearità e compla-
narità. Applicazioni affini.

Spazi euclidei: Definizione. Sistemi di riferimento cartesiano. Pro-


dotti scalari. Distanza. Ortogonalità. Angoli. Prodotto vettoriale.

Spazi proiettivi: Definizione. Elementi all’infinito ed estensione pro-


iettiva del piano e dello spazio. Coordinate omogenee. Equazioni di rette
e piani.

Curve: Definizione. Coniche. Fasci. Polarità. Classificazione.

Superfici: Definizione. Quadriche. Classificazione.

Prerequisiti
Una conoscenza di base su insieme, logica, relazioni, funzioni, strutture
algebriche, numeri reali e complessi.
Tutte le nozioni saranno brevemente riviste nelle prime lezioni. Co-
munque sia, una conoscenza di base è utile.

1.2 Elenco delle lezioni


L’elenco delle lezioni, divise in nuclei tematici, è il seguente.

Riscaldamento
1. Presentazione del corso
2. Insiemi
3. Logica
4. Algebra
5. Polinomi
6. Funzioni e classi di equivalenza
7. Rette e piani

c 2014 Gennaro Amendola Versione 1.0


Lezione 1. Presentazione del corso 1–3

Spazi vettoriali
8. Vettori geometrici
9. Operazioni, gruppi e campi
10. Spazi vettoriali
11. Combinazioni lineari
12. Sottospazi vettoriali e sottospazi generati
13. Dipendenza e indipendenza lineare
14. Basi e coordinate
15. Dimensione

Matrici
16. Matrici
17. Operazioni sulle matrici
18. Determinante
19. Proprietà e calcolo del determinante
20. Rango di una matrice
21. Inversione di matrici

Applicazioni lineari
22. Applicazioni lineari
23. Nucleo e immagine
24. Isomorfismi
25. Applicazioni lineari e matrici
26. Cambiamenti di base

Sistemi di equazioni lineari


27. Sistemi di equazioni lineari
28. Esistenza e unicità delle soluzioni
29. Regola di Cramer
30. Metodo di eliminazione di Gauss

Autovalori, autovalori e diagonalizzazione


31. Autovalori e autovettori
32. Diagonalizzazione

Sottospazi affini
33. Sottospazi affini
34. Mutua posizione di sottospazi affini
35. Applicazioni affini

c 2014 Gennaro Amendola Versione 1.0


Lezione 1. Presentazione del corso 1–4

Prodotti scalari
36. Prodotti scalari
37. Angoli e distanze
38. Basi ortonormali e prodotto vettoriale
39. Isometrie e forme quadratiche

Spazi proiettivi
40. Spazi proiettivi

Curve e superfici
41. Curve algebriche
42. Coniche
43. Classificazione delle coniche
44. Polarità
45. Centri, diametri, assi e asintoti
46. Superfici algebriche
47. Quadriche
48. Curve differenziabili

1.3 Modalità d’esame


L’esame può essere svolto in una delle due modalità seguenti:
• una prova scritta e una prova orale opzionale;
• una prova orale.
Per informazioni più dettagliate di veda il "Regolamento per lo svolgi-
mento degli esami di profitto".

1.4 Contatti con il docente


Se lo studente/la studentessa ha bisogno di chiarimenti su argomenti del
programma è invitato a utilizzare il sistema di messaggistica oppure
l’ufficio virtuale del docente nelle ore di ricevimento online indicate
nella Scheda docente (in questo caso può essere utile contattare il docente
del corso in anticipo attraverso il sistema di messaggistica).

1.5 Aule virtuali


Verranno organizzate aule virtuali condotte secondo uno schema di “do-
manda e risposta”. La partecipazione a queste aule virtuali non è obbli-
gatoria. Le date, gli orari e ulteriori indicazioni saranno pubblicate nella
Scheda docente.

c 2014 Gennaro Amendola Versione 1.0


Lezione 1. Presentazione del corso 1–5

1.6 Note
Si suggerisce di leggere la Scheda insegnamento, pubblicata nella Scheda
docente.
In ogni lezione e in ogni sessione di studio vengono descritti solo i
dettagli che riguardano l’argomento della lezione corrente. I dettagli
che riguardano le lezioni precedenti sono omessi intenzionalmente per
focalizzare l’attenzione sull’argomento della lezione corrente.
Quindi, quando si trova davanti a un problema, il lettore/la lettri-
ce dovrebbe stare attento a capire se il problema riguarda l’argomento
della lezione corrente o un argomento di una lezione precedente (che è
trascurato nella lezione corrente).

c 2014 Gennaro Amendola Versione 1.0


Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 1/S1
Titolo: Presentazione del corso
Attività n°: 1

Sessione di Studio 1.1

Presentazione del corso


Lezione 1. Presentazione del corso 1–3

Sessione di Studio 1.1


Le Sessioni di Studio 1 sono formate da esercizi risolti.
Suggeriamo al lettore/alla lettrice di cercare di risolvere gli esercizi
da solo/sola. Quando si trova davanti a un problema, il lettore/la lettrice
dovrebbe controllare la soluzione, cercando di risolvere il problema, per
poi continuare a cercare di risolvere l’esercizio.
Suggeriamo anche un continuo ritorno alla lezione durante la solu-
zione degli esercizi.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 1/S2
Titolo: Presentazione del corso
Attività n°: 1

Sessione di Studio 1.2

Presentazione del corso


Lezione 1. Presentazione del corso 1–4

Sessione di Studio 1.2


Le Sessioni di Studio 2 sono formate da esercizi solo con la risposta,
senza una soluzione completa.
Suggeriamo caldamente il lettore/la lettrice di cercare di risolvere gli
esercizi, controllando il risultato alla fine. Quando si trova davanti a
un problema, il lettore/la lettrice dovrebbe tornare indietro alla Sessio-
ne di Studio 1 o alla Lezione, cercando di trovare un’idea per risolvere
l’esercizio.
Suggeriamo anche un continuo ritorno alla lezione durante la solu-
zione degli esercizi.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 1/S3
Titolo: Presentazione del corso
Attività n°: 1

Sessione di Studio 1.3

Presentazione del corso


Lezione 1. Presentazione del corso 1–5

Sessione di Studio 1.3


Le Sessioni di Studio 3 sono dedicate a letture supplementari.
Le letture supplementari possono essere utili ma non sono obbligato-
rie:
Wikipedia: http://it.wikipedia.org/
Wikibooks: http://it.wikibooks.org/
Algebra lineare e geometria analitica (wikibooks):
http://it.wikibooks.org/wiki/Algebra_lineare_e_geometria_analitica
Wikipedia e Wikibooks possono essere sufficienti come libri di testo,
comunque altri libri online in inglese si possono trovare nei seguenti siti
web:
• http://www.freebookcentre.net/Mathematics/Linear-Algebra-Books.html
• http://www.e-booksdirectory.com/listing.php?category=46
• http://www.e-booksdirectory.com/listing.php?category=40
• Kenneth Kuttler, Elementrary Linear Algebra
(http://www.saylor.org/site/wp-content/uploads/2012/02/Elementary-Linear-Algebra-1-30-11-Kuttler-OTC.pdf
http://www.saylor.org/site/wp-content/uploads/2012/01/Elementary-Linear-Algebra-Solutions-Manual-1-30-11-Kuttler-OTC.pdf )

• Ruslan A. Sharipov, Course of analytical geometry (http://arxiv.org/abs/1111.6521)


Libri di esercizi sono i seguenti:
• Romeo Maurizio – Scimmi Benedetto, Esercizi di algebra lineare e
geometria (seconda edizione), Maggioli Editore
• Carlo Petronio, Geometria e algebra lineare – quesiti ed esercizi,
Esculapio
Altri libri di testo sono i seguenti:
• Marco Abate – Chiara de Fabritiis, Geometria analitica con ele-
menti di algebra lineare (seconda edizione), McGraw-Hill
• Lorenzo Robbiano, Algebra lineare per tutti, Springer
• Carlo Petronio, Geometria e algebra lineare, Esculapio
• Serge Lang, Algebra Lineare, Bollati Boringhieri
Comunque sia, con l’esclusione di alcune eccezioni, ogni libro di
algebra lineare può essere utile, in particolar modo per trovare esercizi.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Corso di Laurea: #corso#
INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
#insegnamento#
Lezione n°: 1/S3
#lezione#
Titolo: Presentazione del corso
#titolo#
Attività n°: 3
#attività#

Sessione di Studio 1.3

Presentazione del corso


Informazioni sui quiz
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 1/S3
Titolo: Presentazione del corso
Attività n°: 3

Quiz
Nelle Sessioni di Studio 3 sono proposti dei quiz.

Questi possono essere utilizzati per controllare il proprio livello di


approfondimento degli argomenti studiati.

L’esito dei quiz non sarà tenuto in considerazione né per l’ammissione


all’esame né per la votazione finale.

Il docente restituirà agli studenti il risultato dei quiz con gli strumenti del
Virtual Learning Environment.

Dopo aver svolto il quiz è fondamentale ricontrollare le domande,


specialmente quelle a cui non si è risposto in maniera corretta.
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 2
Titolo: Insiemi
Attività n°: 1

Lezione 2
Insiemi
Lezione 2

Insiemi

In questa lezione rivedremo brevemente alcune nozioni di base sugli in-


siemi. Esse sono fondamentali per ciò che faremo in seguito, sia per i
concetti (che sono la base per i concetti futuri) che per l’introduzione del
linguaggio matematico (che useremo nelle altre lezioni).

2.1 Insiemi
Insiemi Un insieme I è una collezione di oggetti. Un oggetto x di una Insieme
tale collezione I è detto elemento dell’insieme I. Se x è un elemento di
I, si dice che x appartiene a I e ciò si indica con ∈/∋

x∈I oppure I ∋ x;
il caso contrario (ossia, se x non appartiene ad I) si indica con 6∈/6∋

x 6∈ I oppure I 6∋ x.
L’insieme che non ha elementi è detto insieme vuoto ed è indicato con Insieme vuoto
∅. Quindi, qualunque sia l’oggetto x abbiamo x 6∈ ∅. Gli insiemi sono ∅
caratterizzati dai loro elementi, quindi due insiemi che hanno gli stessi
elementi coincidono. Al contrario, due insiemi sono diversi se c’è un
elemento di uno dei due che non appartiene all’altro.
Un insieme può essere definito in due modi: Definizione per elencazione e per
caratteristica
• per elencazione, ossia elencando i suoi elementi;
• per caratteristica, ossia caratterizzando i suoi elementi.
Nel caso della definizione per elencazione, l’elenco può essere com-
pleto oppure no, ma se non è completo gli elementi omessi devono es-
sere deducibili in maniera ovvia (in tal caso vengono usati i punti di
sospensione).
Esempio 2.1. 1. L’insieme {bianco, rosso, verde} è formato dagli ele-
menti “bianco”, “rosso” e “verde”. I colori “blu” e “giallo” non
appartengono all’insieme.
2. L’insieme {1, −1, 2, 0} è formato dagli elementi −1, 0, 1 e 2. I
numeri 4, −2 e 21 non appartengono all’insieme.
3. Al variare del numero intero positivo n, l’insieme In = {1, 2, 3, . . . , n}
è formato dai numeri interi positivi minori o uguali ad n, ossia 1,

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 2. Insiemi 2–2

2, 3, e così via, fino ad n. Al variare di n, abbiamo diversi insiemi:


per n = 1 abbiamo l’insieme I(1) = {1}, per n = 2 abbiamo l’in-
sieme I(2) = {1, 2}, per n = 3 abbiamo l’insieme I(3) = {1, 2, 3},
per n = 4 abbiamo l’insieme I(4) = {1, 2, 3, 4}, e così via. Per
completezza possiamo considerare anche il caso in cui n = 0 e ab-
biamo l’insieme I0 = ∅. I numeri maggiori di n (ad esempio, n + 1,
n + 2, n + 3, ecc.) non appartengono all’insieme In .
4. L’insieme I∞ = {1, 2, 3, . . .} è formato da tutti i numeri interi
positivi.
Nel caso della definizione per caratteristica, non si conoscono espli-
citamente gli elementi dell’insieme, ma si conosce solo una proprietà che
li caratterizza. Ad esempio, può succedere che un insieme definito per
caratteristica sia in realtà vuoto.
Esempio 2.2. 1. L’insieme rappresentato per elencazione {bianco, rosso, verde} ◮
può essere rappresentato per caratteristica come {x | x è un colore della bandiera italiana}.
I colori “blu” e “giallo” non appartengono all’insieme, perché non ◮ Esempio 2.1-1.
sono colori della bandiera italiana.
2. L’insieme rappresentato per elencazione {1, −1, 2, 0} ◮ può essere ◮ Esempio 2.1-2.
rappresentato per caratteristica come {x | x è un numero intero compreso tra −1 e 2}.
I numeri 4, −2 e 12 non appartengono all’insieme: i primi due perché
non sono compresi tra −1 and 2, il terzo perché non è intero.
3. L’insieme rappresentato per elencazione I(n) = {1, 2, 3, . . . , n} ◮ ◮ Esempio 2.1-3.
può essere rappresentato per caratteristica come {x | x è un numero intero tale che 1 6 x 6 n}.
L’insieme I(0) = ∅ è formato dai numeri interi tali che 1 6 x 6 0:
infatti non ci sono numeri che sono contemporaneamente maggiori
o uguali ad 1, e minori o uguali a 0. I numeri x maggiori di n non
appartengono a I(n) perché non soddisfano la condizione x 6 n.
4. L’insieme rappresentato per elencazione {1, 2, 3, . . .} ◮ può essere ◮ Esempio 2.1-4.
rappresentato per caratteristica come {x | x è un numero intero positivo}.
Un insieme può anche essere rappresentato con un diagramma di Diagramma di Eulero-Venn
Eulero-Venn, ossia racchiudendo gli elementi, rappresentati come punti,
dentro una linea chiusa.
Esempio 2.3. Un diagramma di Eulero-Venn degli insiemi dell’Esem-
pio 2.1 è dato dai seguenti.

1. {bianco, rosso, verde}:

2. {1, −1, 2, 0}:

3. {1, 2, 3, . . . , n}:

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 2. Insiemi 2–3

4. {1, 2, 3, . . .}:

Il numero degli elementi di un insieme I è indicato con #I. Abbiamo #


che #I = 0 se e solo se I = ∅. Dal punto di vista del numero di elementi
gli insiemi si dividono in due categorie.
• Un insieme I è detto finito se ha un numero finito di elementi:
abbiamo #I = n con n numero intero ◮. ◮ Non negativo.

• Un insieme I è detto infinito se ha un numero infinito di elementi:


questo caso è indicato con #I = ∞.
Esempio 2.4. Il numero degli elementi degli insiemi dell’Esempio 2.1 è
il seguente.
1. #{bianco, rosso, verde} = 3.
2. #{1, −1, 2, 0} = 4.
3. #{1, 2, 3, . . . , n} = n. ◮ ◮ Se n = 0, l’insieme è vuoto e ha 0 elementi.

4. #{1, 2, 3, . . .} = ∞.

Sottoinsieme Dato un insieme I, un insieme J è detto sottoinsieme Sottoinsieme


di I se ogni elemento che appartiene a J appartiene anche a I: ciò è
indicato con ⊂/⊃

J ⊂I oppure I ⊃ J.
In tal caso diremo che I contiene J . Il contrario (ossia se I non contiene
J ) è indicato con 6⊂/6⊃

J 6⊂ I oppure I 6⊃ J .
Qualsiasi sia l’insieme I, abbiamo ∅ ⊂ I. Due insiemi I1 e I2 coincidono
se e solo se sono l’uno sottoinsieme dell’altro ◮. ◮ Ossia I1 ⊂ I2 e I2 ⊂ I1 .

Esempio 2.5. 1. Abbiamo {bianco, verde} ⊂ {bianco, rosso, verde},


infatti abbiamo sia “bianco” ∈ {bianco, rosso, verde} che “verde” ∈
{bianco, rosso, verde} ◮. Al contrario, {bianco, rosso, verde} non ◮ Ogni elemento del primo insieme appartie-
ne anche al secondo.
contiene {bianco, verde, blu}, infatti abbiamo che “blu” non appar-
tiene a {bianco, rosso, verde} ◮. ◮ C’è un elemento del secondo insieme che
non appartiene al primo.
2. Abbiamo {1, −1, 2, 0} ⊃ {1, −1}, infatti abbiamo ±1 ∈ {1, −1, 2, 0}.
Al contrario, {1, −2, −1} non è contenuto in {1, −1, 2, 0}, infatti
abbiamo −2 6∈ {1, −1, 2, 0}.
3. Abbiamo {1, 2, 3, . . . , m} ⊂ {1, 2, 3, . . . , n} se e solo se m 6 n.
Quindi {1, 2, 3, . . . , m} è uguale a {1, 2, 3, . . . , n} se e solo se m = n,
infatti abbiamo la doppia inclusione {1, 2, 3, . . . , m} ⊂ {1, 2, 3, . . . , n}
e {1, 2, 3, . . . , m} ⊃ {1, 2, 3, . . . , n} se e solo se m 6 n e n 6 m ◮. ◮ Abbiamo m 6 n e n 6 m, se e solo se
n = m.
4. Abbiamo {1, 2, 3, . . . , n} ⊂ {1, 2, 3, . . .} qualsiasi sia n. Invece,
abbiamo {1, −1} 6⊂ {1, 2, 3, . . . , n}, infatti −1 6∈ {1, 2, 3, . . . , n}.
Un sottoinsieme di un insieme I è definito facilmente per caratteri-
stica, anche perché in questo modo è chiaro che esso è un sottoinsieme
di I:
{x ∈ I | . . .}.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 2. Insiemi 2–4

Esempio 2.6. 1. Consideriamo l’Esempio 2.5-1: abbiamo l’insieme


I = {bianco, rosso, verde} e un suo sottoinsieme, che possiamo de-
finire per caratteristica {bianco, verde} = {c ∈ I | c non è “rosso”}.
2. Consideriamo l’Esempio 2.5-2: abbiamo l’insieme I = {1, −1, 2, 0}
e un suo sottoinsieme, che possiamo definire per caratteristica
{1, −1} = {x ∈ I | x è dispari}.
3. Consideriamo l’Esempio 2.5-3: fixed m 6 n, abbiamo l’insieme
I(n) = {1, 2, 3, . . . , n} e un suo sottoinsieme, che possiamo definire
per caratteristica {1, 2, 3, . . . , m} = {x ∈ I(n) | x 6 m}.
4. Consideriamo l’Esempio 2.5-4: fixed n, abbiamo l’insieme I =
{1, 2, 3, . . .} e un suo sottoinsieme, che possiamo definire per ca-
ratteristica {1, 2, 3, . . . , n} = {x ∈ I | x 6 n}.
◮ Infatti abbiamo la doppia inclu-
5. Fissato n > 4, se I = {1, 2, 3, . . . , n}, abbiamo che i due sottoin- sione {x ∈ I | x > 2 e x 6= n} ⊂
6 n} e {3, 4, . . . , n − 1} sono uguali ◮.
siemi {x ∈ I | x > 2 e x = {3, 4, . . . , n − 1} e {3, 4, . . . , n − 1} ⊂
{x ∈ I | x > 2 e x 6= n}.

Intersezione e unione L’intersezione di due insiemi I1 e I2 è Intersezione



I1 ∩ I2 := {x | x ∈ I1 e x ∈ I2 }. Un elemento appartiene a I1 ∩ I2 se e solo
se appartiene sia a I1 che a I2 .
In particolare, abbiamo
I1 ∩ I2 ⊂ I1 e I1 ∩ I2 ⊂ I2 . (2.1)
I1 I2
Due insiemi sono detti disgiunti se la loro intersezione è vuota. L’inter-
sezione è generalizzata naturalmente a un qualsiasi numero di insiemi.
L’unione di due insiemi I1 e I2 è Insiemi disgiunti
Unione
I1 ∪ I2 := {x | x ∈ I1 o x ∈ I2 }. ∪
Un elemento appartiene a I1 ∪ I2 se e solo
In particolare, abbiamo se appartiene a I1 oppure a I2 .
I1 ⊂ I1 ∪ I2 e I2 ⊂ I1 ∪ I2 . (2.2)
L’unione è generalizzata naturalmente a un qualsiasi numero di insiemi. I1 I2

Esempio 2.7. 1. Abbiamo


{bianco, rosso, verde} ∩ {bianco, verde, blu} = {bianco, verde},
{bianco, rosso, verde} ∪ {bianco, verde, blu} = {bianco, rosso, verde, blu}.
2. Abbiamo
{1, −1, 2, 0} ∩ {1, 3, 4} = {1},
{1, −1, 2, 0} ∪ {1, 3, 4} = {1, −1, 0, 2, 3, 4}.
3. Dati n ed m numeri interi positivi, consideriamo i due insiemi
{1, 2, . . . , n} e {m, m + 1, . . .}. La loro intersezione è
• ∅ if n < m,
• {m, m + 1, . . . , n} se n > m.
La loro unione è
• {1, 2, . . . , n, m, m + 1, . . .} se n < m,
• {1, 2, . . .} se n > m.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 2. Insiemi 2–5

Osservazione 2.8. Siano I1 e I2 due insiemi finiti, e siano m1 = #I1


e m2 = #I1 . Allora abbiamo
#I1 + #I2 = # (I1 ∪ I2 ) + # (I1 ∩ I2 ) .
Infatti, se contiamo gli elementi di I1 ∪ I2 sommando il numero degli
elementi di I1 e I2 , contiamo due volte gli elementi di I1 ∩ I2 .
Esempio 2.9. 1. Consideriamo l’Esempio 2.7-1: abbiamo ◮ ◮ 3 + 3 = 4 + 2.

#{bianco, rosso, verde}+#{bianco, verde, blu} = #{bianco, rosso, verde, blu}+#{bianco, verde}.
2. Consideriamo l’Esempio 2.7-2: abbiamo ◮ ◮ 4 + 3 = 6 + 1.

#{1, −1, 2, 0} + #{1, 3, 4} = #{1, −1, 0, 2, 3, 4} + #{1}.

Complemento relativo Il complemento relativo di un insieme J in Complemento relativo


un insieme I è l’insieme \

I \ J = {x ∈ I | x 6∈ J }.
Esempio 2.10. I J

1. Il complemento relativo dell’insieme {bianco, verde, blu} nell’insie-


me {bianco, rosso, verde} è l’insieme Un elemento appartiene a I \ J se e solo
se appartiene a I e non a J .
{bianco, rosso, verde} \ {bianco, verde, blu} = {rosso}. Notiamo che il complemento relativo di I
in J è diverso dal complemento relativo di
Il complemento relativo dell’insieme {bianco, rosso, verde} nell’in- J in I, come mostrato nell’esempio sotto.
sieme {bianco, verde, blu} è l’insieme
{bianco, verde, blu} \ {bianco, rosso, verde} = {blu}.
2. Il complemento relativo dell’insieme {1, 3, 4} nell’insieme {1, −1, 2, 0}
è l’insieme
{1, −1, 2, 0} \ {1, 3, 4} = {−1, 2, 0}.
Il complemento relativo dell’insieme {1, −1, 2, 0} nell’insieme {1, 3, 4}
è l’insieme
{1, 3, 4} \ {1, −1, 2, 0} = {3, 4}.

Insiemi numerici Gli insiemi numerici sono particolari insiemi: Insieme numerico
• l’insieme N = {0, 1, 2, 3, . . .} dei numeri naturali;
• l’insieme Z = {. . . , −3, −2, −1, 0, 1, 2, 3, . . .} dei numeri interi;

• l’insieme Q = n n ∈ Z, m ∈ N \ {0} dei numeri razionali ◮;
m
◮ Per essere precisi, bisogna stare attenti alle
6
ripetizioni (ad esempio, 10 = 52 ), ma non
• l’insieme R dei numeri reali, ossia l’estensione dei numeri razionali appesantiremo la trattazione.
considerando anche “numeri che possono essere approssimanti con ◮ La definizione dei numeri reali è non ba-

numeri razionali” (i numeri reali che non sono razionali sono detti nale, ma l’idea è proprio quella di con-
◮;
irrazionali) ◮ siderare gli altri numeri che hanno uno
sviluppo decimale, e quindi possono esse-
• l’insieme C = {a + bi | a, b ∈ R} dei numeri complessi, dove i = re approssimati
√ con numeri razionali, co-
√ me 2 = 1, 41421 . . . , π = 3, 14159 . . . ,
−1. ◮

◮ e = 2, 71828 . . . .
Consideriamo questi insiemi come contenuti ciascuno nel successivo: ◮ ◮

◮ Nessun numero reale può essere la radice
quadrata di un numero negativo, quindi
N ⊂ Z ⊂ Q ⊂ R ⊂ C. i 6∈ R.
◮ In realtà, rigorosamente parlando, questi
insiemi, per come sono stati introdotti so-
pra, non sono contenuti in quelli successivi.
c 2014 Gennaro Amendola
Versione 1.0 Per esempio, il numero intero 3 non è una
frazione; tra le frazioni però c’è 13 che è
pensata uguale al numero intero 3, anche
se sono due oggetti diversi.
Lezione 2. Insiemi 2–6

Per non appesantire la trattazione, nel seguito useremo il termine


numero senza essere più precisi. Quando faremo operazioni tra i nume-
ri, considereremo implicitamente solo i numeri su cui quelle operazioni
possono essere fatte: ad esempio, se faremo sottrazioni, supporremo di
avere numeri in Z, Q, . . . , e non in N. Inoltre tutto ciò che diremo può
essere automaticamente esteso a tutti gli insiemi (non ancora definiti) su
cui operazioni analoghe possono essere definite.

Prodotto cartesiano Il prodotto cartesiano di due insiemi I1 e I2 ◮ è Prodotto cartesiano


l’insieme ◮ Può succedere che I1 e I2 non siano insie-
mi diversi: è contemplato anche il caso in
I1 × I2 := {(x1 , x2 ) | x1 ∈ I1 , x2 ∈ I2 } cui I1 = I2 (in effetti, ciò succede spesso).
×
formato dalle coppie ordinate di elementi, il primo di I1 e il secondo di
I2 . Se I1 e I2 sono lo stesso insieme (chiamiamolo semplicemente I)
usiamo la notazione
I 2 := I × I.
Possiamo fare prodotti cartesiani in successione: ad esempio, dati tre
insiemi I1 , I2 e I3 , possiamo fare prima il prodotto cartesiano di I1 e
I2 , e poi di quello che abbiamo ottenuto e I3 , ossia
n  o
(I1 × I2 ) × I3 = (x1 , x2 ) , x3 x1 ∈ I1 , x2 ∈ I2 , x3 ∈ I3 .
Potremmo anche fare il contrario: prima il prodotto cartesiano di I2 e
I3 , e poi di I1 e quello che abbiamo ottenuto, ossia
n  o
I1 × (I2 × I3 ) = x1 , (x2 , x3 ) x1 ∈ I1 , x2 ∈ I2 , x3 ∈ I3 .
I due insiemi sono diversi, ma in pratica si comportano allo stesso modo, Gli elementi dell’insieme I1 × I2 × I3 sono
terne ordinate.
quindi li considereremo uguali; li indicheremo entrambi con
I1 × I2 × I3 ,
e indicheremo i loro elementi con (x1 , x2 , x3 ), con x1 ∈ I1 , x2 ∈ I2 e x3 ∈
I3 . Se I1 , I2 e I3 sono lo stesso insieme (chiamiamolo semplicemente I)
usiamo la notazione
I 3 := I × I × I.
Ciò può essere generalizzato a un numero qualsiasi di insiemi: Ogni elemento dell’insieme I1 × I2 × · · · ×
In è detto n-upla (si legge “enne-upla” o
n elementi n insiemi “ennupla”): ad esempio, se n = 4 abbiamo
z }| { z }| {
“quattro-uple”, se n = 5 abbiamo “cinque-
(x1 , x2 , . . . , xn ) ∈ I1 × I2 × · · · × In con xi ∈ Ii per i = 1, 2, . . . , n, uple”, e così via.
n volte
z }| {
n
I := I × I × · · · × I .
Esempio 2.11. 1. Il prodotto cartesiano {bianco, rosso, verde}×{1, −1, 2, 0}
dei due insiemi degli Esempi 2.1-1 e 2.1-2 ◮ è
{(x, y) | x è un colore della bandiera italiana e y è un numero intero compreso tra −1 e 2} =

= (bianco, 1), (bianco, −1), (bianco, 2), (bianco, 0), ◮ La rappresentazione per caratteristica dei
due insiemi è descritta negli Esempi 2.2-1
(rosso, 1), (rosso, −1), (rosso, 2), (rosso, 0), e 2.2-2.

(verde, 1), (verde, −1), (verde, 2), (verde, 0) ,
che è formato da 3 · 4 = 12 elementi.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 2. Insiemi 2–7

2. L’insieme delle coppie di numeri naturali è


N2 = N×N = {(x, y) | x, y ∈ N} = {(0, 0), (0, 1), (0, 2), . . . , (1, 0), (1, 1), (1, 2), . . . , (2, 0), (2, 1), (2, 2), . . . , . . .}.
3. L’insieme delle coppie di numeri reali è
R2 = R × R = {(x, y) | x, y ∈ R}.
 √ 
Ad esempio, abbiamo (0, 0), e3 , 12 , 2, −2π ∈ R × R.
4. L’insieme delle terne di numeri reali è
R3 = R × R × R = {(x, y, z) | x, y, z ∈ R}.
 √ √ 
Ad esempio, abbiamo (0, 0, 0), e3 , 12 , −1 , 2, −2, 7 11 ∈ R ×
R × R.
5. L’insieme delle n-uple di numeri reali è
n times
z }| {
n
R = R × R × · · · × R = {(x1 , x2 , . . . , xn ) | x1 , x2 , . . . , xn ∈ R}.
n times
z }| { 
Ad esempio, abbiamo (0, 0, . . . , 0), (1, 2, . . . , n), 2n π, 2n−1 π, . . . , 2π ∈
Rn .

Somma di un numero e di un insieme Sia J un sottoinsieme di Somma di un numero e di un insieme


un insieme I su cui possiamo fare l’addizione, e sia x un elemento di I.
La somma di x e dell’insieme J è l’insieme
x + J := {y ∈ I | y = x + z, con z ∈ J }.
Esempio 2.12. 1. La somma di 8 e dell’insieme {1, 3, 5} è 8+{1, 3, 5} =
◮ Infatti abbiamo 8 + 1 = 9, 8 + 3 = 11,
{9, 11, 13}. ◮
8 + 5 = 13.
2. La somma di 2 e dell’insieme {1, 3, 5} è 2 + {1, 3, 5} = {3, 5, 7}. ◮
◮ ◮ Infatti abbiamo 2+1 = 3, 2+3 = 5, 2+5 =

7.
3. La somma di 1 e dell’insieme {numeri interi pari} = {. . . , −4, −2, 0, 2, 4, . . .}
è
1 + {numeri interi pari} = {numeri interi dispari}.
Cominciamo notando che {numeri interi pari} = {. . . , −4, −2, 0, 2, 4, . . .}
e {numeri interi dispari} = {. . . , −3, −1, 1, 3, 5, . . .}. Se aggiungia-
mo 1 a un numero intero pari il risultato è un numero intero dispari,
quindi
1 + {numeri interi pari} ⊂ {numeri interi dispari}.
Inoltre, per ogni numero intero dispari n, abbiamo che n − 1 è un
numero intero pari e che 1 + (n − 1) = n, quindi
1 + {numeri interi pari} ⊃ {numeri interi dispari}.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 2. Insiemi 2–8

Sessione di Studio 2.1


3 1
Esercizio
 2.1. Quale degli
 1 2, 4 , − 2 , π appartiene all’insieme
elementi
2, π, 4 ? E all’insieme x ∈ Q − 2 < x 6 4 ?
1

Soluzione. L’insieme 2, π, 14 contiene gli elementi 2 e π, ma non 43 e
− 12 . 
L’insieme x ∈ Q − 21 < x 6 4 contiene gli elementi 2 e 34 . Esso
non contiene − 21 perché − 21 non è strettamente maggiore di − 12 , né π
perché π non è razionale.

Esercizio 2.2. Quali dei seguenti insiemi sono uguali?


I1 = {−2, 0, 2, 3}, I2 = {0, 1, 2, 4}, I3 = {n ∈ N | n < 5, n 6= 3}, I4 = {k ∈ Z | −3 < k 6 3, k 2 6= 1}.
Soluzione. Gli insiemi I1 e I2 sono diversi, perché il primo non contiene
1. Abbiamo I3 = {0, 1, 2, 4}, perché i numeri naturali minori di 5 e
diversi da 3 sono esattamente 0, 1, 2, 4, e quindi I2 = I3 . Abbiamo
I4 = {−2, 0, 2, 3}, perché gli interi maggiori di −3, minori o uguali a 3,
e diversi da ±1 ◮ sono esattamente −2, 0, 2, 3, e quindi I1 = I4 . Visto ◮ k 2 6= 1 è equivalente a k 6= 1, −1.
che I2 = I3 , I1 = I4 e I1 6= I2 , abbiamo I3 6= I4 .

Esercizio 2.3. Quale dei due insiemi I = {−2, 0, 2, 4, 6} e J = {k ∈


Z | −3 < k < 7} è contenuto nell’altro? A seconda della risposta, scrivilo
come I = {x ∈ J | . . .} o J = {x ∈ I | . . .}. Sono uguali I e J ?
Soluzione. Tutti gli elementi di I sono numeri interi maggiori di −3 e
minori di 7, allora appartengono a J e quindi I ⊂ J . Possiamo scrivere
I = {x ∈ J | x è pari}. I due insiemi sono diversi perché 1 appartiene a
J e non a I. Quindi abbiamo J 6⊂ I.

Esercizio 2.4. Quanti elementi hanno i seguenti insiemi?


I1 = {−2, 0, 2, 3}, I2 = {0, 3, 6, 9, . . .}, I3 = {n ∈ N | n 6 8, n 6= 5}, I4 = {k ∈ Z | k < 3}.
Soluzione. Abbiamo
#I1 = 4, #I2 = ∞, #I3 = 8, #I4 = ∞.
I primi due sono ovvi. Riguardo I3 , abbiamo che l’insieme è {0, 1, 2, 3, 4, 6, 7, 8},
che ha 8 elementi. Riguardo I4 , abbiamo che l’insieme è {. . . , −2, −1, 0, 1, 2},
che ha infiniti elementi.
 √
Esercizio 2.5. Calcola l’intersezione e l’unione degli insiemi I = − 12 , −π, 2, −5, 53
e J = {x ∈ Q | x < 0}?
Soluzione. Gli elementi di I che sono razionali e negativi sono − 21 e
−5 ◮, gli altri sono irrazionali o positivi quindi non appartengono a J . ◮5 = 5
1
.
Allora l’intersezione I ∩ J è
 
1
− , −5 ,
2
e l’unione I ∪ J è
 
√ 3
{x ∈ Q | x < 0} ∪ −π, 2, .
5

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 2. Insiemi 2–9

Esercizio 2.6. Scrivi per elencazione l’insieme {3, 5, 7, 10}\{−2, 3, 8, 10, 11}.
Soluzione. Gli elementi che appartengono a {3, 5, 7, 10} e non a {−2, 3, 8, 10, 11}
sono 5 e 7, quindi {3, 5, 7, 10} \ {−2, 3, 8, 10, 11} = {5, 7}.

Esercizio 2.7. Scrivi per elencazione il prodotto cartesiano degli insiemi


I = {3, 5} e J = {n ∈ Z | − 2 < n 6 1}?
Soluzione. Abbiamo J = {−1, 0, 1}, quindi il prodotto cartesiano I ×J
è
{(3, −1), (3, 0), (3, 1), (5, −1), (5, 0), (5, 1)}.

Esercizio 2.8. 2+{numeri interi positivi pari} è uguale a {numeri interi positivi pari}?
Soluzione. Se aggiungiamo 2 a un numero intero positivo pari il risulta-
to è un numero intero positivo pari, quindi 2+{2, 4, 6, . . .} ⊂ {2, 4, 6, . . .}.
Inoltre, i numeri interi in {numeri interi positivi pari} cominciano da 2,
quindi i numeri interi in 2 + {numeri interi positivi pari} cominciano
da 4, e otteniamo 2 + {2, 4, 6, . . .} = {4, 6, 8, . . .}. Quindi i due insie-
mi 2 + {numeri interi positivi pari} e {numeri interi positivi pari} sono
diversi perché il primo contiene 2 mentre il secondo no.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 2. Insiemi 2–8

Sessione di Studio 2.1


3 1
Esercizio
 2.1. Quale degli
 1 2, 4 , − 2 , π appartiene all’insieme
elementi
2, π, 4 ? E all’insieme x ∈ Q − 2 < x 6 4 ?
1

Soluzione. L’insieme 2, π, 14 contiene gli elementi 2 e π, ma non 43 e
− 12 . 
L’insieme x ∈ Q − 21 < x 6 4 contiene gli elementi 2 e 34 . Esso
non contiene − 21 perché − 21 non è strettamente maggiore di − 12 , né π
perché π non è razionale.

Esercizio 2.2. Quali dei seguenti insiemi sono uguali?


I1 = {−2, 0, 2, 3}, I2 = {0, 1, 2, 4}, I3 = {n ∈ N | n < 5, n 6= 3}, I4 = {k ∈ Z | −3 < k 6 3, k 2 6= 1}.
Soluzione. Gli insiemi I1 e I2 sono diversi, perché il primo non contiene
1. Abbiamo I3 = {0, 1, 2, 4}, perché i numeri naturali minori di 5 e
diversi da 3 sono esattamente 0, 1, 2, 4, e quindi I2 = I3 . Abbiamo
I4 = {−2, 0, 2, 3}, perché gli interi maggiori di −3, minori o uguali a 3,
e diversi da ±1 ◮ sono esattamente −2, 0, 2, 3, e quindi I1 = I4 . Visto ◮ k 2 6= 1 è equivalente a k 6= 1, −1.
che I2 = I3 , I1 = I4 e I1 6= I2 , abbiamo I3 6= I4 .

Esercizio 2.3. Quale dei due insiemi I = {−2, 0, 2, 4, 6} e J = {k ∈


Z | −3 < k < 7} è contenuto nell’altro? A seconda della risposta, scrivilo
come I = {x ∈ J | . . .} o J = {x ∈ I | . . .}. Sono uguali I e J ?
Soluzione. Tutti gli elementi di I sono numeri interi maggiori di −3 e
minori di 7, allora appartengono a J e quindi I ⊂ J . Possiamo scrivere
I = {x ∈ J | x è pari}. I due insiemi sono diversi perché 1 appartiene a
J e non a I. Quindi abbiamo J 6⊂ I.

Esercizio 2.4. Quanti elementi hanno i seguenti insiemi?


I1 = {−2, 0, 2, 3}, I2 = {0, 3, 6, 9, . . .}, I3 = {n ∈ N | n 6 8, n 6= 5}, I4 = {k ∈ Z | k < 3}.
Soluzione. Abbiamo
#I1 = 4, #I2 = ∞, #I3 = 8, #I4 = ∞.
I primi due sono ovvi. Riguardo I3 , abbiamo che l’insieme è {0, 1, 2, 3, 4, 6, 7, 8},
che ha 8 elementi. Riguardo I4 , abbiamo che l’insieme è {. . . , −2, −1, 0, 1, 2},
che ha infiniti elementi.
 √
Esercizio 2.5. Calcola l’intersezione e l’unione degli insiemi I = − 12 , −π, 2, −5, 53
e J = {x ∈ Q | x < 0}?
Soluzione. Gli elementi di I che sono razionali e negativi sono − 21 e
−5 ◮, gli altri sono irrazionali o positivi quindi non appartengono a J . ◮5 = 5
1
.
Allora l’intersezione I ∩ J è
 
1
− , −5 ,
2
e l’unione I ∪ J è
 
√ 3
{x ∈ Q | x < 0} ∪ −π, 2, .
5

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Versione 1.0
Lezione 2. Insiemi 2–9

Esercizio 2.6. Scrivi per elencazione l’insieme {3, 5, 7, 10}\{−2, 3, 8, 10, 11}.
Soluzione. Gli elementi che appartengono a {3, 5, 7, 10} e non a {−2, 3, 8, 10, 11}
sono 5 e 7, quindi {3, 5, 7, 10} \ {−2, 3, 8, 10, 11} = {5, 7}.

Esercizio 2.7. Scrivi per elencazione il prodotto cartesiano degli insiemi


I = {3, 5} e J = {n ∈ Z | − 2 < n 6 1}?
Soluzione. Abbiamo J = {−1, 0, 1}, quindi il prodotto cartesiano I ×J
è
{(3, −1), (3, 0), (3, 1), (5, −1), (5, 0), (5, 1)}.

Esercizio 2.8. 2+{numeri interi positivi pari} è uguale a {numeri interi positivi pari}?
Soluzione. Se aggiungiamo 2 a un numero intero positivo pari il risulta-
to è un numero intero positivo pari, quindi 2+{2, 4, 6, . . .} ⊂ {2, 4, 6, . . .}.
Inoltre, i numeri interi in {numeri interi positivi pari} cominciano da 2,
quindi i numeri interi in 2 + {numeri interi positivi pari} cominciano
da 4, e otteniamo 2 + {2, 4, 6, . . .} = {4, 6, 8, . . .}. Quindi i due insie-
mi 2 + {numeri interi positivi pari} e {numeri interi positivi pari} sono
diversi perché il primo contiene 2 mentre il secondo no.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 2/S2
Titolo: Insiemi
Attività n°: 1

Sessione di Studio 2.2

Insiemi
Lezione 2. Insiemi 2–10

Sessione di Studio 2.2


Esercizio 2.9. Quale dei due insiemi I = {x ∈ Q | x2 6= 4} e J = {x ∈
Q | x 6= 2} è contenuto nell’altro? A seconda della risposta, scrivilo come
I = {x ∈ J | . . .} o J = {x ∈ I | . . .}. Sono uguali I e J ?
Esercizio 2.10. 1. Calcola l’intersezione e l’unione degli insiemi I =
{2, 4, 6} e J = {1, 3, 5, 7}. Calcola il complemento relativo di I in
J , e il complemento relativo di J in I. Quanti elementi hanno gli
insiemi I, J , I ∩ J e I ∪ J ?
2. Calcola l’intersezione e l’unione degli insiemi I = {0, 2, 4, 6, 8} e
J = {n ∈ N | n è pari}. Calcola il complemento relativo di I in
J , e il complemento relativo di J in I. Quanti elementi hanno gli
insiemi I, J , I ∩ J e I ∪ J ?
Esercizio 2.11. Scrivi per elencazione il prodotto cartesiano degli in-
siemi
I = {0, 1}, J = {−2, −1} e K = {π, e}.
Esercizio 2.12. Scrivi, per caratteristica e per elencazione, l’insieme
2 + {numeri interi pari}.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 2. Insiemi 2–11

Risultato dell’Esercizio 2.9. I ⊂ J . ◮ I = {x ∈ J | x 6= −2}. I =


6 J ◮ Nota che chiedere x2 6= 4 è equivalente a
chiedere x 6= ±2.
(J 6⊂ I).
Risultato dell’Esercizio 2.10. 1. I∩J = ∅. I∪J = {1, 2, 3, 4, 5, 6, 7}.
I \ J = ∅. J \ I = ∅. #I = 3, #J = 4, #I ∩ J = 0, #I ∪ J = 7.
2. I ∩ J = {0, 2, 4, 6, 8}. I ∪ J = {n ∈ N | n è pari}. I \ J = ∅.
J \I = {n ∈ N | n è pari, n > 10}. #I = 5, #J = ∞, #I ∩J = 5,
#I ∪ J = ∞.
Risultato dell’Esercizio 2.11.
{(0, −2, π), (0, −2, e), (0, −1, π), (0, −1, e), (1, −2, π), (1, −2, e), (1, −1, π), (1, −1, e)}.
Risultato dell’Esercizio 2.12.
2+{numeri interi pari} = {numeri interi pari} = {. . . , −4, −2, 0, 2, 4, . . .}.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 2/S3
Titolo: Insiemi
Attività n°: 1

Sessione di Studio 2.3

Insiemi
Lezione 2. Insiemi 2–12

Sessione di Studio 2.3


Letture supplementari possono essere le seguenti:
• http://it.wikipedia.org/wiki/Insieme

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 2. Insiemi 2–13

Sessione di Studio 2.Quiz


Seguirà un quiz, le cui domande sono le seguenti, per controllare il li-
vello di approfondimento degli argomenti studiati: assicurati di avere a
disposizione queste domande quando farai il quiz. L’esito del quiz non
sarà tenuto in considerazione per l’esame.
Dopo aver svolto il quiz ricontrolla le domande, specialmente quelle
a cui non hai risposto in maniera corretta.
Per ognuna delle seguenti domande, la risposta esatta è una sola.

Domanda 2.1. Quale dei seguenti elementi appartiene all’insieme I =


{n ∈ N | n > 2}?
(a) 83 .
(b) 10.
(c) 1.
(d) 2.

Domanda 2.2. Quale dei seguenti insiemi definiti per elencazione coin-
cide con l’insieme I = {n ∈ Z | − 3 6 n < 2, n 6= 0} definito per
caratteristica?
(a) {−3, 2}.
(b) {−3, −2, −1, 1}.
(c) {−3, −2, 0, −1, 1}.
(d) {−3, 1}.

Domanda 2.3. Quale dei seguenti insiemi definiti per caratteristica


coincide con l’insieme I = {−3, 0, 3} definito per elencazione?
(a) {x ∈ R | x2 = 9 oppure x2 = 0}.
(b) {x ∈ R | x2 = 9}.
(c) {x ∈ N | x2 = 9 oppure x2 = 0}.
(d) {x ∈ R | − 3 6 x 6 3}.

Domanda 2.4. Quale dei seguenti insiemi è infinito?


(a) {n ∈ N | n < 4}.
(b) {n ∈ Z | n < 4}.
(c) {n ∈ Z | − 8 < n < 4}.
(d) {2, 3, 4, . . . , 15}.

Domanda 2.5. Quale delle seguenti inclusioni è vera?


(a) {n ∈ Z | − 5 < n < −1} ⊂ {−3, −2, −1, . . . , 5}.
(b) {n ∈ Z | − 5 < n < −1} ⊂ {−4, −3, −2, . . . , 5}.
(c) {x ∈ R | − 5 < x < −1} ⊂ {−4, −3, −2, . . . , 5}.
(d) {n ∈ N | 5 < n < 7} ⊂ {5, 7}.


c 2014 Gennaro Amendola Versione 1.0
Lezione 2. Insiemi 2–14

Domanda 2.6. Sapendo che #I1 = 3, #I2 = 4, # (I1 ∩ I2 ) = 2, quanti


elementi ha # (I1 ∪ I2 )?
(a) 3.
(b) 4.
(c) 5.
(d) 7.

Domanda 2.7. Quale dei seguenti numeri è razionale?



(a) 2.
(b) π.
(c) 2.
(d) e.

Domanda 2.8. Quale dei seguenti numeri è reale?


(a) 2 − 2i.
(b) 2 − i.
(c) 2 + 0i.
(d) 2 + i.

Domanda 2.9. Quale dei seguenti insiemi definiti per elencazione


coincide con l’insieme I = {0, 1}3 ?
(a) {(0, 0, 0), (0, 0, 1), (0, 1, 0), (0, 1, 1), (1, 0, 0), (1, 0, 1), (1, 1, 0), (1, 1, 1)}.
(b) {(0, 0, 0), (0, 0, 1), (0, 1, 0), (0, 1, 1)}.
(c) {(0, 0, 0), (1, 1, 1)}.
(d) {(0, 0, 0), (0, 0, 1), (0, 1, 0), (1, 0, 0)}.

Domanda 2.10. Quale dei seguenti insiemi definiti per elencazione


coincide con l’insieme I = 3 + {1, 2, π}?
(a) {4, 5, 3 + π}.
(b) {4, 2, π}.
(c) {4, 8, 9 + π}.
(d) {3, 6, 3π}.


c 2014 Gennaro Amendola Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 3
Titolo: Logica
Attività n°: 1

Lezione 3
Logica
Lezione 3

Logica

In questa lezione rivedremo brevemente alcune nozioni di base di lo-


gica. Esse sono fondamentali per ciò che faremo in seguito, sia per i
concetti (che sono la base per i concetti futuri) che per l’introduzione del
linguaggio matematico (che useremo nelle altre lezioni).

3.1 Logica
Proposizione Diciamo che P è una proposizione se essa può essere Proposizione
solo o vera o falsa, anche se non sappiamo se è vera o falsa. Il fatto che una proposizione può esse-
re solo o vera o falsa è detto principio
Esempio 3.1. 1. “Tutti gli uomini sono animali” è una proposizione di bivalenza. Ci sono situazioni in cui
vera. “C’è un uomo che non è un animale” è una proposizione falsa. non è soddisfatto, ma per noi sarà sempre
soddisfatto.
2. “Tutte le donne bionde hanno gli occhi verdi” è una proposizio-
ne falsa. “C’è una donna bionda che ha gli occhi azzurri” è una
proposizione vera.
3. “4 è un numero intero pari” è una proposizione vera. “4 è un
numero intero dispari” è una proposizione falsa.
4. “Il latte è scaduto?” oppure “A che ora arrivi?” non sono proposi-
zioni: sono domande. Ad esse si può rispondere con proposizioni:
“Il latte è scaduto” oppure “Il latte non è scaduto”, “Arriverò al-
le 10” o “Arriverò alle 11”. Anche la risposta “Non lo so” è una
proposizione perché è vera (se non lo so) o è falsa (se lo so).
Spesso le proposizioni possono essere riscritte in modo compatto
usando gli insiemi.
Esempio 3.2. 1. Le proposizioni dell’Esempio 3.1-1 possono essere La prima proposizione è vera, la seconda
è falsa, coerentemente con quanto detto
riscritte usando gli insiemi, rispettivamente, come “{uomini} ⊂ nell’Esempio 3.1-1.
{animali}” e “{uomini} 6⊂ {animali}”.
2. Le proposizioni dell’Esempio 3.1-2 possono essere riscritte usando La prima proposizione è falsa, la secon-
da è vera, coerentemente con quanto detto
gli insiemi, rispettivamente, come “{donne bionde} ⊂ nell’Esempio 3.1-2.
{donne con gli occhi verdi}” e “{donne bionde} ∩
{donne con gli occhi azzurri} =
6 ∅”.
3. Le proposizioni dell’Esempio 3.1-3 possono essere riscritte usando La prima proposizione è vera, la seconda
è falsa, coerentemente con quanto detto
gli insiemi, rispettivamente, come “4 ∈ {m ∈ Z | m è pari}” e “4 ∈ nell’Esempio 3.1-3.
{m ∈ Z | m è dispari}”.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 3. Logica 3–2

Quantificatori Per chiarire le proposizioni è comodo usare i quantifi- Quantificatori


catori che hanno un ovvio significato:
∀ (per ogni) e ∃ (esiste/esistono).
La differenza tra i due quantificatori può essere pensata anche nel modo
seguente. Supponiamo che io voglia convincere una persona. Se affermo
che “esiste x per cui è soddisfatta una proprietà”, allora convinco la perso-
na se io posso scegliere un x per cui è la proprietà soddisfatta. Se invece
affermo che “per ogni x è soddisfatta una proprietà”, allora convinco la
persona se qualunque x scelga la persona la proprietà è soddisfatta.
Esempio 3.3. 1. Le proposizioni dell’Esempio 3.1-1 possono essere La prima proposizione è vera, la seconda
è falsa, coerentemente con quanto detto
riscritte usando i quantificatori, rispettivamente, come “∀ x uomo, nell’Esempio 3.1-1.
abbiamo che x è un animale” e “∃ x uomo tale che x non è un
animale”.
2. Le proposizioni dell’Esempio 3.1-2 possono essere riscritte usando i La prima proposizione è falsa, la secon-
da è vera, coerentemente con quanto detto
quantificatori, rispettivamente, come “∀ x donna bionda, abbiamo nell’Esempio 3.1-2.
che x ha gli occhi verdi” e “∃ x donna bionda tale che x ha gli occhi
azzurri”.
3. Le proposizioni dell’Esempio 3.1-3 possono essere riscritte usando La prima proposizione è vera, la seconda
è falsa, coerentemente con quanto detto
i quantificatori, rispettivamente, come “∃ k ∈ Z tale che 4 = 2k” e nell’Esempio 3.1-3.
“∃ k ∈ Z tale che 4 = 2k + 1”.

Implicazione Consideriamo due proposizioni P e Q, e costruiamo una Implicazione


nuova proposizione detta “P implica Q” e indicata con
P ⇒Q oppure Q ⇐ P,
equivalente a “se P è vera, anche Q è vera” oppure “se P è vera, allo-
ra/quindi Q è vera”. ◮ Abbiamo che ◮ Il fatto che la proposizione P ⇒ Q sia vera
non dice niente sul fatto che P e/o Q siano
• P è detta sufficiente per Q, vere: dice solo che se P è vera allora anche
Q è vera, ossia non può succedere che Q sia
• Q è detta necessaria per P . falsa quando P è vera, ma può succedere
Abbiamo che se P1 ⇒ P2 e P2 ⇒ P3 , allora P1 ⇒ P3 . ◮
◮ che P sia falsa.
◮ L’implicazione gode della proprietà transi-

Esempio 3.4. 1. La proposizione “il fatto che tutti gli uomini sono tiva, di cui parleremo in seguito.
animali implica che mio padre è un animale” è vera, perché mio
padre è un uomo e quindi, visto che tutti gli uomini sono animali, è
un animale. Questa proposizione può essere riscritta come “se tutti
gli uomini sono animali, allora mio padre è un animale”, oppure
come
tutti gli uomini sono animali =⇒ mio padre è un animale.
2. La proposizione “il fatto che tutte le donne bionde hanno gli occhi
verdi implica che mia madre (che è bionda) ha gli occhi verdi” è
vera, perché mia madre è una donna bionda e quindi, visto che
tutte le donne bionde hanno gli occhi verdi, ha gli occhi verdi.
Questa proposizione può essere riscritta come “se tutte le donne
bionde hanno gli occhi verdi, allora mia madre (che è bionda) ha
gli occhi verdi”, oppure come
tutte le donne bionde hanno gli occhi verdi =⇒ mia madre (che è bionda) ha gli occhi verdi.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 3. Logica 3–3

Abbiamo visto ◮ che la proposizione “tutte le donne bionde hanno ◮ Esempio 3.1-2.
gli occhi verdi” non è vera, quindi non sappiamo se mia mamma
ha davvero gli occhi verdi ◮, però la proposizione “il fatto che tutte ◮ Infatti ha gli occhi marroni.
le donne bionde hanno gli occhi verdi implica che mia madre (che
è bionda) ha gli occhi verdi” è vera.
3. La proposizione “se 4 è un numero intero pari, allora 5 è un numero
intero dispari” è vera, ma anche la proposizione “se 4 è un numero
intero dispari, allora 5 è un numero intero pari” è vera. ◮ ◮ Infatti il numero intero successivo di un
numero pari è dispari e il numero intero
4. La proposizione “se finisco di lavorare entro le 20, compro il pane” successivo di un numero dispari è pari.
può essere vera o falsa, ma non dice nulla sul fatto che io finisca di
lavorare entro le 20, o meno.
L’implicazione Q ⇒ P è detta l’implicazione inversa di P ⇒ Q. Le Implicazione inversa
due implicazioni P ⇒ Q e Q ⇒ P non sono equivalenti: ci sono casi in
cui è vera solo una delle due, casi in cui sono entrambe false, e casi in
cui sono entrambe vere. Se sia P ⇒ Q che Q ⇒ P sono vere, si usa la
notazione
P ⇔Q:
essa è equivalente a “P è vera se e solo se Q è vera”.
Esempio 3.5. 1. L’implicazione inversa dell’implicazione dell’Esem-
pio 3.4-1 è “se mio padre è un animale, allora tutti gli uomini sono
animali”, ossia
mio padre è un animale =⇒ tutti gli uomini sono animali.
Dal fatto che mio padre sia un animale non possiamo dedurre che
tutti gli uomini lo siano. In realtà, sappiamo a priori che “tutti gli
uomini sono animali” è vera, quindi la proposizione, che può essere
riscritta come
“mio padre è un animale” è vera =⇒ “tutti gli uomini sono animali” è vera,
è vera. ◮ ◮ Questo però è un caso particolare, in cui
la proposizione Q di P ⇒ Q è vera:
2. L’implicazione inversa dell’implicazione “se sono malato, allora io comunque sia, in generale non è così.
vado dal dottore” è l’implicazione “se io vado dal dottore, io sono
malato”. Entrambe le implicazioni sono false. Infatti a volte sono
malato, ma non così tanto da andare dal dottore. Inoltre, vado dal
dottore anche per avere certificati che sono sano.
3. Consideriamo le due implicazioni dell’Esempio 3.4-3. L’implicazio-
ne inversa della proposizione “se 4 è un numero intero pari, allora
5 è un numero intero dispari” è “se 5 è un numero intero dispari,
allora 4 è un numero intero pari”, che è vera ◮; quindi abbiamo ◮ Infatti il numero intero precedente di un
numero intero dispari è pari.
4 è pari ⇐⇒ 5 è dispari,
L’implicazione inversa della proposizione “se 4 è un numero intero
dispari, allora 5 è un numero intero pari” è “se 5 è un numero
intero pari, allora 4 è un numero intero dispari”, che è vera ◮; quindi ◮ Infatti il numero intero precedente di un
numero intero pari è dispari.
abbiamo
5 è pari ⇐⇒ 4 è dispari.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 3. Logica 3–4

4. L’implicazione inversa della proposizione dell’Esempio 3.4-4 è “se


compro il pane, finisco di lavorare entro le 20”. Anche se è vero che
“se finisco di lavorare entro le 20, compro il pane”, non possiamo
dire se è vera l’implicazione inversa: ad esempio,
• posso comprare il pane anche se finisco di lavorare dopo le
20, nel qual caso la proposizione “se compro il pane, finisco di
lavorare entro le 20” è falsa,
• possono chiudere tutte le panetterie alle 20, quindi se finisco
di lavorare dopo le 20 non posso comprare il pane, nel qual
caso la proposizione “se compro il pane, finisco di lavorare
entro le 20” è vera.

Negazione La negazione di una proposizione P è la proposizione nonP Negazione


che è vera se P è falsa ed è falsa se P è vera. Quindi abbiamo che tra
le due proposizioni P e nonP ce n’è una vera ed una falsa. Negando
una proposizione due volte si ottiene la proposizione di partenza, ossia
non(nonP ) = P .
Esempio 3.6. 1. Le proposizioni dell’Esempio 3.1-1 sono l’una la ne-
gazione dell’altra, infatti negare che tutti gli uomini sono animali
consiste nell’affermare che c’è un uomo che non è un animale, e
viceversa. ◮ ◮ Una delle due proposizioni è vera (la
prima), l’altra è falsa (la seconda).
2. Anche se una delle due proposizioni dell’Esempio 3.1-2 è vera e
l’altra è falsa, esse non sono l’una la negazione dell’altra, infatti la
negazione di “tutte le donne bionde hanno gli occhi verdi” è “c’è
una donna bionda che non ha gli occhi verdi”. ◮ La proposizione ◮ Una delle due proposizioni è vera (“c’è una
donna bionda che non ha gli occhi verdi”),
“c’è una donna bionda che ha gli occhi azzurri” implica che “c’è l’altra è falsa (“tutte le donne bionde hanno
una donna bionda che non ha gli occhi verdi” ◮ ◮ e quindi implica la gli occhi verdi”).
negazione di “tutte le donne bionde hanno gli occhi verdi”. ◮ Ma non è equivalente, perché il colore de-

gli occhi della donna bionda nella negazio-
3. Le proposizioni dell’Esempio 3.1-3 sono l’una la negazione del- ne della proposizione “tutte le donne bion-
l’altra ◮
◮, infatti negare che 4 è un numero intero pari consiste
◮ de hanno gli occhi verdi” può non essere
l’azzurro.
nell’affermare che 4 è un numero intero dispari, e viceversa. ◮ ◮
◮ Una delle due proposizioni è vera (la

Per negare una proposizione è comodo usare i quantificatori: prima), l’altra è falsa (la seconda).

• ogni ∀ diventa ∃, e viceversa; ◮ Un numero intero o è pari o è dispari, e i


due casi si escludono a vicenda.
• si nega la condizione adatta Negare una proposizione può non essere
semplice.
– scambiando ∈ e 6∈,
– scambiando = e 6=,
– scambiando < e >,
– scambiando > e 6,
– introducendo o rimuovendo una negazione,
a seconda dei casi.
Sostituire un ∀ con un ∃ in una proposizione P significa che bisogna Controesempio
trovare un elemento tale che la negazione è vera: un tale elemento è
detto controesempio alla proposizione P .
Esempio 3.7. 1. Le proposizioni dell’Esempio 3.3-1 sono l’una la
negazione dell’altra, infatti abbiamo

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 3. Logica 3–5

∀ x uomo, x è un animale
l l
∃ x uomo, x non è un animale.
L’uomo che non è un animale sarebbe un controesempio alla pro-
posizione “Tutti gli uomini sono animali”. ◮ ◮ Non c’è un tale controesempio, infatti la
proposizione “Tutti gli uomini sono anima-
2. Le negazioni delle due proposizioni dell’Esempio 3.3-2 si ottengono li” è vera, e “C’è un uomo che non è un
come segue: animale” è falsa.

∀ x donna bionda, x ha gli occhi verdi


l l
∃ x donna bionda, x non ha gli occhi verdi;

∃ x donna bionda, x ha gli occhi azzurri


l l
∀ x donna bionda, x non ha gli occhi azzurri.
La donna che non ha gli occhi verdi (mia madre) è un controe- ◮ Infatti la proposizione “Tutte le donne
sempio alla proposizione “tutte le donne bionde hanno gli occhi bionde hanno gli occhi verdi” è falsa, e
verdi”. ◮ “c’è una donna bionda che non ha gli occhi
verdi” è vera.
3. Le negazioni delle due proposizioni dell’Esempio 3.3-3 si ottengono Nell’Esempio 3.6-3 abbiamo visto che le
due proposizioni “4 è un numero intero pa-
come segue: ri” e “4 è un numero intero dispari” sono
∃ k ∈ Z, 4=2k l’una la negazione dell’altra, ma abbiamo
usato il fatto che un numero intero o è pari
l l o è dispari, e che i due casi si escludono a
∀ k ∈ Z, 46=2k; vicenda. Se non usiamo questo fatto, pos-
siamo solo costruire le due negazioni come
descritto sopra.
∃ k ∈ Z, 4=2k + 1
l l
∀ k ∈ Z, 46=2k + 1.
Il numero intero k tale che 4 = 2k è un controesempio alla propo-
sizione “∀ k ∈ Z abbiamo 4 6= 2k”. ◮ ◮ Infatti la proposizione “∀ k ∈ Z abbiamo
4 6= 2k” è falsa, e “∃ k ∈ Z tale che 4 = 2k”
Se la proposizione è semplice, possiamo utilizzare il quantificatore è vera.

∄ (non esiste).
Esempio 3.8. Neghiamo le proposizioni dell’Esempio 3.7 che contengo-
no “∃”.
1. Scambiamo ∃ e ∄:
∃ x uomo, x non è un animale
l
∄ x uomo, x non è un animale.
2. Scambiamo ∃ e ∄:
∃ x donna bionda, x non ha gli occhi verdi
l
∄ x donna bionda, x non ha gli occhi verdi;

∃ x donna bionda, x ha gli occhi azzurri


l
∄ x donna bionda, x ha gli occhi azzurri.
3. Scambiamo ∃ e ∄:

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Versione 1.0
Lezione 3. Logica 3–6

∃ k ∈ Z, 4=2k
l l
∄ k ∈ Z, 4=2k;

∃ k ∈ Z, 4=2k + 1
l l
∄ k ∈ Z, 4=2k + 1.
Osservazione 3.9. L’implicazione P ⇒ Q è equivalente a nonP ⇐
nonQ.
L’implicazione nonP ⇐ nonQ è detta contronominale di P ⇒ Q. Contronominale

Esempio 3.10. Consideriamo le proposizioni dell’Esempio 3.4.


1. Le due proposizioni seguenti sono equivalenti:
tutti gli uomini sono animali =⇒ mio padre è un animale
c’è un uomo che non è un
⇐= mio padre non è un animale
animale
2. Le due proposizioni seguenti sono equivalenti:
tutte le donne bionde hanno mia madre (che è bionda) ha
=⇒
gli occhi verdi gli occhi verdi
c’è una donna bionda che mia madre (che è bionda)
⇐=
non ha gli occhi verdi non ha gli occhi verdi
3. Le due proposizioni seguenti sono equivalenti:
4 è un numero intero pari =⇒ 5 è un numero intero dispari
5 non è un numero intero
4 non è un numero intero pari ⇐=
dispari
4. Le due proposizioni seguenti sono equivalenti:
finisco di lavorare entro le 20 =⇒ compro il pane
non finisco di lavorare entro
⇐= non compro il pane
le 20
Bisogna fare attenzione a non confondere la contronominale nonP ⇐
nonQ con l’implicazione inversa P ⇐ Q. ◮ ◮ L’implicazione inversa di P ⇒ Q non è
equivalente a P ⇒ Q.
Esempio 3.11. Consideriamo le implicazioni inverse e le contronominali
dell’Esempio 3.4.
1. Le due proposizioni seguenti non sono equivalenti:
tutti gli uomini sono animali ⇐= mio padre è un animale
c’è un uomo che non è un
⇐= mio padre non è un animale
animale
2. Le due proposizioni seguenti non sono equivalenti:
tutte le donne bionde hanno mia madre (che è bionda) ha
⇐=
gli occhi verdi gli occhi verdi
c’è una donna bionda che mia madre (che è bionda)
⇐=
non ha gli occhi verdi non ha gli occhi verdi
3. Le due proposizioni seguenti non sono equivalenti:

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Versione 1.0
Lezione 3. Logica 3–7

4 è un numero intero pari ⇐= 5 è un numero intero dispari


5 non è un numero intero
4 non è un numero intero pari ⇐=
dispari
4. Le due proposizioni seguenti non sono equivalenti:
finisco di lavorare entro le 20 ⇐= compro il pane
non finisco di lavorare entro
⇐= non compro il pane
le 20

Teoremi Un teorema è una proposizione vera della forma P ⇒ Q. La Teorema


proposizione P ⇒ Q (a prescindere dal fatto che sia vera o no) è detta Per essere un teorema, la proposizione
P ⇒ Q deve essere vera.
enunciato del teorema. Un teorema è formato da tre parti:
• l’ipotesi, ossia P ;
• la tesi, ossia Q;
• la dimostrazione, ossia una successione di proposizioni che assicu-
rano che l’enunciato è vero.
Solitamente vengono chiamati teoremi solo le proposizioni più importan-
ti. Se la proposizione è meno importante, si usa chiamarla semplicemente Cambiamo il nome, ma il concetto è lo
stesso: possono essere pensati tutti come
proposizione. Se la proposizione viene solamente utilizzata per dimostra- sinonimi di “teorema”.
re in seguito un teorema, si usa chiamarla lemma. Se la proposizione è
una conseguenza semplice di un teorema si usa chiamarla corollario.
Ci sono tre tipi di dimostrazioni:
• La dimostrazione costruttiva consiste in una successione di im-
plicazioni concatenate che comincia con P ⇒ . . . e finisce con
. . . ⇒ Q.
• La dimostrazione per assurdo consiste nel dimostrare la proposi-
zione nonQ ⇒ nonP , che è equivalente all’enunciato. Invece di
dimostrare nonP , è anche possibile trovare la negazione di una ve-
rità diversa da P , ossia di una ipotesi “nascosta” che sappiamo che
è vera: l’assurdo è proprio la dimostrazione di una proprietà falsa
◮ L’idea è la stessa del domino: per far cade-
che invece sappiamo essere vera (o viceversa). re tutte le tessere, facciamo cadere la prima
• La dimostrazione per induzione ◮ si può usare se la tesi e/o l’ipotesi (caso base) e poi le altre cadono in succes-
sione, perché sono state organizzate in mo-
dipendono da un parametro intero n ∈ {n ∈ N | n > n0 } con n0 ∈ do che ognuna, se cade (ipotesi induttiva),
N, ossia abbiamo P (n) ⇒ Q(n), e consiste di due passi: fa cadere la successiva (passo induttivo).
Più precisamente, P (0) ⇒ Q(0) è vera per
– caso base: dimostrare P (n0 ) ⇒ Q (n0 ); il caso base; P (1) ⇒ Q(1) è vera per il pas-
so induttivo con n = 0 e per il fatto che
◮ dimostrare
– passo induttivo: ◮ P (0) ⇒ Q(0) è vera; P (2) ⇒ Q(2) è vera
  per il passo induttivo con n = 1 e per il fat-
∀ n > n0 si ha P (n) ⇒ Q(n) ⇒ P (n+1) ⇒ Q(n+1) . to che P (1) ⇒ Q(1) è vera; P (3) ⇒ Q(3) è
vera per il passo induttivo con n = 2 e per
La proprietà P (n) ⇒ Q(n) che è supposta vera nel passo il fatto che P (2) ⇒ Q(2) è vera; e così via.
induttivo è detta ipotesi induttiva. ◮ Nel passo induttivo, l’enunciato con para-

metro n è considerato essere l’ipotesi (in-
Vediamo ora come esempio una proposizione, di cui daremo tre dimo- fatti esso è detto ipotesi induttiva), ossia è
strazioni: una per ogni tipo. L’idea che sta dietro alle tre dimostrazioni è supposto vero, e l’enunciato con parametro
n + 1 è considerato essere la tesi.
essenzialmente la stessa, ma formalmente le dimostrazioni sono diverse.
Proposizione 3.12. Sia n ∈ N pari. Allora, 4n è divisibile per 8. L’ipotesi è che n è un numero naturale pa-
ri.
La tesi è che 4n è divisibile per 8.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 3. Logica 3–8

Dimostrazione. Dimostriamo l’enunciato in maniera costruttiva. Visto Dimostrazione di “n ∈ N è pari ⇒ 4n è


divisibile per 8”.
che n è pari, abbiamo n = 2k con k ∈ N ◮. Allora abbiamo 4n = 4(2k) =

◮, ossia 4n è divisibile per 8 ◮ ◮ n è pari ⇒ n = 2k con k ∈ N.
8k ◮ ◮.
◮ n = 2k con k ∈ N ⇒ 4n = 4(2k) = 8k.


◮ 4n = 8k con k ∈ N ⇒ 4n è divisibile per 8.

Dimostrazione. Dimostriamo l’enunciato per assurdo. Supponiamo per Dimostrazione di “4n non è divisibile per
8 ⇒ n ∈ N non è pari”.
assurdo che 4n non sia divisibile per 8. Allora la decomposizione di
4n in numeri primi è della forma 2α1 3α2 5α3 · · · pαh h con α1 < 3 ◮. Visto Utilizziamo il Teorema fondamentale del-
l’aritmetica: “Ogni numero naturale mag-
che 4n è divisibile per 4, abbiamo α1 = 2, ossia 4n = 22 3α2 5α3 · · · pαh h . giore di 1 si può esprimere come prodotto
Allora abbiamo n = 3α2 5α3 · · · pαh h , che è dispari. Abbiamo ottenuto un di numeri primi (se il numero è primo sti-
puliamo che il prodotto è formato da un
assurdo: n è pari per ipotesi. solo numero); tale decomposizione è uni-
ca, a meno dell’ordine in cui compaiono i
fattori.”
◮ 8 = 23 .

Dimostrazione. Visto che n è pari se e solo se n = 2k con k ∈ N, possiamo Scritto così, non serve una dimostrazione
per induzione, ma facciamo finta di non no-
dimostrare la proposizione equivalente k ∈ N ⇒ 4(2k) è divisibile per 8. tare che 4(2k) = 8k e quindi dimostriamo
Dimostriamo l’enunciato per induzione su k. che 4(2k) è divisibile per 8 per induzione.
Caso base. Per k = 0 abbiamo 4 · (2 · 0) = 0, e 0 è divisibile per 8 ◮. ◮ 0 è divisibile per tutti i numeri naturali,
Passo induttivo. Supponiamo che sia vero che per k ∈ N abbiamo che infatti 0 = 0 · h per ogni h ∈ N.
4(2k) è divisibile per 8; dimostriamo che per k+1 abbiamo che 4(2(k+1))
è divisibile per 8. Abbiamo 4(2(k + 1)) = 4(2k + 2) = 4(2k) + 8. Per
l’ipotesi induttiva ◮ abbiamo che 4(2k) è divisibile per 8. Se sommiamo ◮ Che stiamo supponendo vera.
8 a un numero divisibile per 8, otteniamo un altro numero divisibile per
8 ◮, quindi 4(2k) + 8 è divisibile per 8: la dimostrazione è completa. ◮ Infatti due numeri consecutivi divisi-
bili per 8 differiscono proprio per 8:
Dimostriamo che ci sono numeri reali che non sono razionali ◮◮ . Dato 0, 8, 16, 24, 32, . . . .
a ∈ R non negativo, c’è un unico numero reale non negativo x tale che ◮ In realtà i numeri razionali sono “molti

meno” di quelli reali.
x2 = a. Esso è detto radice quadrata principale di a ed è indicato con
√ Radice quadrata principale
a. √
·
2 √
C’è un solo altro numero
√ √tale che x = a, che è − a ed è negativo; se
◮ ◮ Ricorda che a deve essere sempre non
negativo.
a = 0, abbiamo − 0 = 0.

Esempio 3.13. 1. Abbiamo 0 = 0, perché 02 = 0 e 0 > 0.
√ √
2. Abbiamo 4 = 2, perché 22 = 4 e 2 > 0. 4 6= −2, infatti anche se abbiamo
q  (−2)2 = 4, la condizione (−2) > 0 non
5 2
3. Abbiamo 25 5
9 = 3 , perché 3 = 25 5
9 e 3 > 0.
è soddisfatta.
√ √
Proposizione 3.14. Il numero 2 ∈ R non appartiene a Q. L’ipotesi è che√ 2 ∈ R.
La tesi è che 2 6∈ Q.
Dimostrazione.
√ Dimostriamo √ l’enunciato per assurdo. Supponiamo che
n
2 ∈ Q. Allora abbiamo 2 = m con n ∈ N e m ∈ N \ {0} primi

n 2
tra loro ◮. Abbiamo quindi che m = 2, cosicché n2 = 2m2 . Da ciò ◮ Più precisamente, semplificando i fattori
n
2 comuni possiamo considerare la frazione m
deduciamo che n è pari, e quindi anche n lo è, ossia n = 2k con k ∈ Z. ◮

ridotta ai minimi termini.
2 2 2 2
Abbiamo quindi che (2k) = 2m , ossia 4k = 2m . Semplificando, ◮ Esercizio 3.3.

otteniamo 2k2 = m2 . Per lo stesso ragionamento fatto sopra per n,
abbiamo che anche m è pari. ◮ Abbiamo ottenuto che sia n che m sono ◮ Non ripetiamo la dimostrazione, perché è
la stessa di prima, sostituendo n con m.
divisibili per 2, ossia un assurdo: n e m erano primi tra loro.

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Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELLA AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 3/S1
Titolo: Logica
Attività n°: 1

Sessione di Studio 3.1

Logica
Lezione 3. Logica 3–9

Sessione di Studio 3.1


Esercizio 3.1. Riscrivi la seguente implicazione usando i quantificatori.
Scrivi l’implicazione inversa, la contronominale e la negazione.
Se cambiamo il segno di un numero reale positivo, otteniamo
un numero reale negativo.
Soluzione. L’implicazione può essere riscritta come
∀ x ∈ R abbiamo x>0 =⇒ −x < 0.
L’implicazione inversa è
∀ x ∈ R abbiamo −x<0 =⇒ x > 0.
La contronominale è
∀ x ∈ R abbiamo −x>0 =⇒ x 6 0.
La negazione è
∃ x ∈ R tale che x > 0 e − x > 0.

Esercizio 3.2. Trova l’ipotesi e la tesi del seguente enunciato, e dimostra


che è falso.
Dato un numero naturale positivo e un numero reale negativo,
la somma del quadrato del primo e del doppio del secondo è
positiva.
Soluzione. Ipotesi: n ∈ N con n > 0, e x ∈ R con x < 0. Tesi:
n2 + 2x > 0.
L’enunciato può essere riscritto usando i quantificatori come
∀ n ∈ N con n > 0, e ∀ x ∈ R con x < 0 =⇒ n2 + 2x > 0.
La negazione di questo enunciato è
∃ n ∈ N con n > 0, e ∃ x ∈ R con x < 0 =⇒ n2 + 2x < 0.
Scegliamo n = 1 e x = −1, cosicché abbiamo n2 + 2x = 12 + 2(−1) =
−1 < 0.

Esercizio 3.3. Dimostra che n ∈ N è pari se e solo se n2 è pari.


Soluzione. Cominciamo dimostrando “n ∈ N pari ⇒ n2 pari”. Se n è
pari, è uguale a 2k per un qualche k ∈ N. Allora abbiamo n2 = (2k)2 =
4k2 e quindi n2 è pari.
Ora dovremmo dimostrare “n ∈ N pari ⇐ n2 pari”. Invece di di-
mostrare ciò, dimostriamo la sua contronominale “n ∈ N dispari ⇒ n2
dispari”. Visto che n è dispari, è uguale a 2k + 1 per un qualche
 k ∈ N.
2 2 2 2
Allora abbiamo n = (2k + 1) = 4k + 4k + 1 = 4 k + k + 1 e quindi
n2 è dispari. La dimostrazione è completa.

Esercizio 3.4. Dimostra che la somma dei primi k numeri naturali non
nulli è k(k+1)
2 .

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 3. Logica 3–10

Soluzione. Dimostriamo l’enunciato per induzione su k.


Caso base. Per k = 1 abbiamo 1 = 1(1+1) 2 .◮ ◮ Per k = 2 abbiamo 1 + 2 = 2(2+1)
2
.
Passo induttivo. Supponiamo che la somma dei primi k numeri na-
turali non nulli è k(k+1)
2 , e dimostriamo che la somma dei primi k + 1
(k+1) (k+1)+1
numeri naturali non nulli è 2 . Abbiamo che la somma dei
primi k + 1 numeri naturali non nulli è uguale alla somma dei primi k
numeri naturali non nulli più k + 1 ◮. Per l’ipotesi induttiva abbiamo che ◮ Che è il (k + 1)-esimo numero naturale non
la somma dei primi k numeri naturali non nulli è k(k+1)
2 , quindi la somma nullo.
k(k+1)
dei primi k + 1 numeri naturali non nulli è 2 + (k + 1). Abbiamo
k(k+1) (k+1) (k+1)+1
2 + (k + 1) = k(k+1)+2(k+1)
2 = (k+1)(k+2)
2 = 2 , quindi la
dimostrazione è completa.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 3/S2
Titolo: Logica
Attività n°: 1

Sessione di Studio 3.2

Logica
Lezione 3. Logica 3–11

Sessione di Studio 3.2


Esercizio 3.5. Riscrivi la seguente implicazione usando i quantificatori.
Scrivi l’implicazione inversa, la contronominale e la negazione.
Se aggiungiamo 1 a un numero razionale positivo, otteniamo
un numero maggiore o uguale a 2.
Esercizio 3.6. Trova l’ipotesi e la tesi del seguente enunciato, e dimostra
che è falso.
Dato un numero razionale negativo, esiste un intero negati-
vo tale che la somma dei due numeri è la radice quadrata
principale di un numero reale positivo.

Esercizio 3.7. Dimostra che 3 non è razionale.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 3. Logica 3–12

Risultato dell’Esercizio 3.5. L’implicazione può essere riscritta come


∀ q ∈ Q abbiamo q>0 =⇒ q + 1 > 2.
L’implicazione inversa è
∀ q ∈ Q abbiamo q+1>2 =⇒ q > 0.
La contronominale è
∀ q ∈ Q abbiamo q+1<2 =⇒ q 6 0.
La negazione è
∃ q ∈ Q tale che q > 0 e q + 1 < 2.
Risultato dell’Esercizio 3.6. Ipotesi: q ∈ Q con q < 0. Tesi: ∃ k ∈ Z

con k < 0 e ∃ x ∈ R con x > 0 tale che q + h = x.

Cerca un controesempio tale che q + h = x è negativo per ogni
k ∈ Z con k < 0 e x ∈ R con x > 0: per esempio, q = −1.
Risultato dell’Esercizio 3.7. Ripeti la dimostrazione della Proposi-
zione 3.14, cambiando ciò che deve essere cambiato.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 3/S3
Titolo: Logica
Attività n°: 1

Sessione di Studio 3.3

Logica
Lezione 3. Logica 3–13

Sessione di Studio 3.3


Letture supplementari possono essere le seguenti:
• http://it.wikipedia.org/wiki/Proposizione_(logica)
• http://it.wikipedia.org/wiki/Quantificatore
• http://it.wikipedia.org/wiki/Implicazione_logica
• http://it.wikipedia.org/wiki/Negazione_(matematica)
• http://it.wikipedia.org/wiki/Controesempio
• http://it.wikipedia.org/wiki/Teorema
• http://it.wikipedia.org/wiki/Dimostrazione_matematica

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 3. Logica 3–14

Sessione di Studio 3.Quiz


Seguirà un quiz, le cui domande sono le seguenti, per controllare il li-
vello di approfondimento degli argomenti studiati: assicurati di avere a
disposizione queste domande quando farai il quiz. L’esito del quiz non
sarà tenuto in considerazione per l’esame.
Dopo aver svolto il quiz ricontrolla le domande, specialmente quelle
a cui non hai risposto in maniera corretta.
Per ognuna delle seguenti domande, la risposta esatta è una sola.

Domanda 3.1. Quale delle seguenti non è una proposizione?


(a) Il cielo è azzurro?
(b) Tutte le automobili hanno una targa.
(c) Tutti i numeri dispari sono pari.
(d) Esiste un pezzo di carta bianco.

Domanda 3.2. Cosa vuol dire il simbolo “∀”?


(a) “Esiste”.
(b) “Per ogni”.
(c) “Non”.
(d) “Non esiste”.

Domanda 3.3. Cosa vuol dire il simbolo “∃”?


(a) “Non”.
(b) “Esiste”.
(c) “Non esiste”.
(d) “Per ogni”.

Domanda 3.4. Quale delle seguenti implicazioni è vera?


(a) Dato x ∈ N, x è pari =⇒ x + 1 è pari.
(b) Dato x ∈ N, x è pari =⇒ x + 1 è dispari.
(c) Dato x ∈ N, x è pari =⇒ 2 è dispari.
(d) 2 è pari =⇒ 4 è dispari.

Domanda 3.5. Quale delle seguenti è l’inversa dell’implicazione “dato


x ∈ N, se x è pari allora 2x è pari”?
(a) Dato x ∈ N, se x è dispari allora 2x è dispari.
(b) Dato x ∈ N, se 2x è dispari allora x è dispari.
(c) Dato x ∈ N, se x è dispari allora 2x è pari.
(d) Dato x ∈ N, se 2x è pari allora x è pari.


c 2014 Gennaro Amendola Versione 1.0
Lezione 3. Logica 3–15

Domanda 3.6. Quale delle seguenti è la negazione della proposizione


“esiste x ∈ N pari tale che 2x è pari”?
(a) Esiste x ∈ N pari tale che 2x è dispari.
(b) Non esiste x ∈ N pari tale che 2x è dispari.
(c) Per ogni x ∈ N pari si ha che 2x è pari.
(d) Per ogni x ∈ N pari si ha che 2x è dispari.

Domanda 3.7. Quale delle seguenti è la contronominale dell’implica-


zione “dato x ∈ N, se x è pari allora 2x è pari”?
(a) Dato x ∈ N, se x è dispari allora 2x è dispari.
(b) Dato x ∈ N, se 2x è dispari allora x è dispari.
(c) Dato x ∈ N, se x è dispari allora 2x è pari.
(d) Dato x ∈ N, se 2x è pari allora x è pari.

Domanda 3.8. Quale dei seguenti non può essere chiamato teorema?
(a) Dato x ∈ N, se x è dispari allora 2 è dispari.
(b) Dato x ∈ N, se x è dispari allora x + 1 è pari.
(c) Dato x ∈ N, se x è pari allora x + 1 è dispari.
(d) Dato x ∈ N, se x è pari allora 2 è pari.

Domanda 3.9. Come è chiamata la dimostrazione della proposizione


“P ⇒ Q” che consiste nel dimostrare la proposizione “nonQ ⇒ nonP ”?
(a) “Costruttiva”.
(b) “Per assurdo”.
(c) “Per induzione”.
(d) Nessuna delle precedenti.

Domanda 3.10. Quanto vale 9?
(a) 3.
(b) 9.
(c) ±3.
(d) −3.


c 2014 Gennaro Amendola Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 4
Titolo: Algebra
Attività n°: 1

Lezione 4
Algebra
Lezione 4

Algebra

In questa lezione rivedremo brevemente alcune nozioni di base di alge-


bra. Esse sono fondamentali per ciò che faremo in seguito, sia per i
concetti (che sono la base per i concetti futuri) che per l’introduzione del
linguaggio matematico (che useremo nelle altre lezioni).

4.1 Algebra
Lettere Per rappresentare i numeri non specificati (o altri elementi ◮), ◮ Funzioni, vettori, ecc.
nelle formule matematiche sono usate le lettere ◮. Ogni lettera, a seconda ◮ L’abbiamo già visto nelle lezioni preceden-
del caso, rappresenta un elemento appartenente a un particolare insieme ti.

I, e si comporta proprio come se fosse un elemento di quell’insieme: se


si specifica il valore dell’elemento rappresentato, diciamo che la lettera
vale quell’elemento o assume il valore di quell’elemento. Questa nota-
zione è molto utile, ma “pericolosa”: da un lato ci permette di scrivere
formule valide in generale, dall’altro ci obbliga a fare attenzione perché il
significato della formula può cambiare drasticamente se la lettera assume
qualche valore particolare.
Esempio 4.1. 1. La formula del quadrato di un binomio
(a + b)2 = a2 + 2ab + b2
◮ Dobbiamo usare le parentesi perché due
ci permette di rappresentare una relazione valida per ogni a, b ∈ C. simboli di operazioni non possono essere
Se a assume il valore 3 e b assume il valore −4 la formula diventa ◮. adiacenti: scrivere 3 + −4 è sbagliato.
◮ Fare la divisione tra due numeri a e b si-

(3 + (−4))2 = 32 + 2 · 3 · (−4) + (−4)2 . gnifica trovare un terzo numero c tale che
a = bc. Se b = 0 abbiamo problemi:
n
2. Con la formula m , con n e m numeri interi, possiamo rappresentare • se a 6= 0 non troviamo nessun
numero c tale che a = 0c;
un qualsiasi numero razionale, ma dobbiamo stare attenti a porre
• se a = 0 tutti i numeri c sono tali
m 6= 0, perché non è possibile dividere per 0. ◮
◮ che 0 = 0c;
in entrambi i casi non abbiamo una solu-
A seconda di come una lettera è utilizzata, essa viene chiamata in zione unica, quindi non possiamo fare la
modo diverso: divisione per 0.
• una variabile è una lettera libera di assumere un qualsiasi valore Variabile
in I;
• una incognita è una lettera soggetta ad alcune condizioni ◮; Incognita
◮ Tipicamente, il problema è trovare quali
• una costante o parametro è una lettera che, pur libera di assumere elementi soddisfano le condizioni imposte
◮.
un qualsiasi valore in I, è considerata fissata ◮ alle incognite.
Costante/parametro
c 2014 Gennaro Amendola
Versione 1.0 ◮ Anche se non se ne conosce il valore.

Lezione 4. Algebra 4–2

Lettera Trascrizione Lettera Transcrizione


Aα alfa N ν ni
Bβ beta Ξξ xi
Γγ gamma Ππ pi
∆δ delta P ρ ro
Eǫ epsilon Σσ sigma
Z ζ zeta T τ tau
H η eta Φφ fi
Θθ teta X χ chi
Λλ lambda Ψψ psi
M µ mi Ωω omega

Tabella 4.1: Lettere dell’alfabeto greco. La tabella non è completa.

Esempio 4.2. Nella formula ax2 , le due lettere a e x sono variabili (ad
esempio, numeri interi, ossia a, x ∈ Z). Se però consideriamo la lettera
x fissata, essa diventa un parametro (o una costante) e la formula è
pensata come un modo sintetico per scrivere a · (−1)2 , a · 02 , a · 12 , a · 22 ,
ecc. Se cerchiamo i valori di x per cui ax2 = 18, allora la lettera x è
un’incognita.
Oltre alle lettere, maiuscole e minuscole, dell’alfabeto latino, si usano
anche le lettere, maiuscole e minuscole, dell’alfabeto greco (Tabella 4.1). ◮ ◮ Non usiamo le lettere maiuscole dell’al-
fabeto greco se coincidono con quelle
A volte, quando sono necessarie molte variabili, o se è utile numerare dell’alfabeto latino.
le variabili, possono essere usati apici e pedici; ad esempio, possiamo
◮, o a′ , a′′ , a′′′ ◮ (0) (1) (2)

avere a0 , a1 , a2 , . . . ◮ ◮, o a , a , a , . . . ◮. Nel terzo caso ◮ Si pronunciano “a (con) zero”, “a (con)

uno”, “a (con) due”, ecc.
usiamo le parentesi per evitare confusione con l’elevamento a potenza,
◮ Si pronunciano “a primo”, “a secondo”, “a
ma a volte usiamo anche la notazione a0 , a1 , a2 , a3 , . . . specificando, in ◮

terzo”, ecc.
ogni caso, che non stiamo elevando a potenza. A volte, è utile usare la
◮ Si pronunciano “a (con) zero”, “a (con)
stessa lettera per rappresentare due oggetti simili ma diversi, in tal caso uno”, “a (con) due”, ecc.
usiamo un segno per distinguere le due lettere, come ad esempio x e x.
La scelta delle lettere in base alla situazione è completamente arbi-
traria, a patto di non usare la stessa lettera con due diversi significati. Ci
sono però delle convenzioni, per aiutare a comprendere meglio le formule,
anche se ci sono situazioni in cui esse non sono seguite: ad esempio,
• le lettere x, y, z sono tipicamente riservate alle variabili/incognite,
• le lettere a, b, c sono tipicamente riservate alle costanti,
• le lettere m, n sono tipicamente riservate agli interi,
• per gli indici sono tipicamente usate le lettere i, j, h, k,
• per gli angoli sono tipicamente usate le lettere minuscole dell’alfa-
beto greco (α, β, γ, . . . ),
• per i punti della retta, del piano o dello spazio sono tipicamente
usate le lettere maiuscole dell’alfabeto latino (A, B, C, . . . ),
• per le rette del piano o dello spazio sono tipicamente usate le lettere
minuscole dell’alfabeto latino (r, s, t, . . . ),

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 4. Algebra 4–3

• per i piani dello spazio sono tipicamente usate le lettere minuscole


dell’alfabeto greco (α, β, γ, . . . ).

Sommatoria e produttoria Spesso faremo somme e prodotti di espres- Sommatoria e produttoria


sioni indicizzate in qualche
P modo. In tal casoQuseremo rispettivamente
i simboli di sommatoria e di produttoria , e indicheremo sopra e
sotto questi simboli quali sono gli indici su cui si somma e si moltiplica,
P
e in quale insieme variano. Ad esempio, per la somma abbiamo
Xn La prima si legge “sommatoria” (o sempli-
ai := am + am+1 + · · · + an con m < n, cemente “somma”) per i che varia tra m e
n dell’espressione ai . Le altre si leggono in
i=m maniera analoga.
X
ai := am + am+1 + · · · + an con m < n,
i∈{m,m+1,...,n}
n fino a h − 1 da h + 1
X z }| { z }| {
ai := am + am+1 + · · · + ah−1 + ah+1 + · · · + an con m < n e m 6 h 6 n,
i=m
i6=h
i=1 i=2 i=n
X z }| { z }| { z }| {
aij := a11 + a12 + · · · + a1m + a21 + a22 + · · · + a2m + · · · + an1 + an2 + · · · + anm ,
i=1,2,...,n
j=1,2,...,m

dove le ai e le aij sono espressioni che dipendono rispettivamente dall’in-


dice i e dagli indici i e j. Ci sono anche casi estremi in cui la somma si
riduce a un solo addendo (m = n) o a zero addendi (m > n): nel primo
caso il risultato è l’unico addendo, nel secondo è 0 ◮, ad esempio ◮ Perché 0 è l’elemento neutro dell’addizio-
n ne: non sommare significa lasciare tutto
X inalterato, ossia sommare 0.
ai := an ,
i=n
Xn
ai := 0 con m > n.
i=m
Q
Analogamente, per il prodotto abbiamo ◮
Yn La prima si legge “produttoria” (o sempli-
ai := am · am+1 · · · an con m < n, cemente “prodotto”) per i che varia tra m
e n dell’espressione ai . Le altre si leggono
i=m in maniera analoga.
Y
ai := am · am+1 · · · an con m < n, ◮ L’ultima uguaglianza segue dal fatto che
i∈{m,m+1,...,n} l’elemento neutro della moltiplicazione è
1: non moltiplicare significa lasciare tutto
n
Y fino a h − 1 da h + 1 inalterato, ossia moltiplicare per 1.
z }| { z }| {
ai := am · am+1 · · · ah−1 · ah+1 · · · an con m < n e m 6 h 6 n,
i=m
i6=h

Y i=1 i=2 i=n


z }| { z }| { z }| {
aij := a11 · a12 · · · a1m · a21 · a22 · · · a2m · · · an1 · an2 · · · anm ,
i=1,2,...,n
j=1,2,...,m
Yn
ai := an ,
i=n
Yn
ai := 1 con m > n,
i=m

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 4. Algebra 4–4

dove le ai e le aij sono espressioni che dipendono rispettivamente dal-


l’indice i e dagli indici i e j.
P Q
Esempio 4.3. 1. Abbiamo 3i=0 i = 0+1+2+3 e 3i=0 i = 0·1·2·3.
2. Abbiamo
X5 5 2
Y
i2 12 22 32 42 52 i 12 22 32 42 52
= + + + + e = · · · · .
3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3
i=1 i=1
P6 4 4
Q6 4 4
3. Abbiamo i=6 i = 6 e i=6 i = 6 .
P2 √ Q2 √
4. Abbiamo i=4 i = 0 e i=4 i = 1.
Notazione 4.4. Se abbiamo variabili indicizzate, ad esempio ai , con
l’indice i che appartiene a un insieme I, per evitare un appesantimento
delle frasi, indicheremo con un asterisco ∗ un generico valore dell’indice i,
ossia diremo “l’elemento a∗ ”, invece di “l’elemento ai , con i ∈ I”, oppure
“gli elementi a∗ ”, invece di “gli elementi ai , con i ∈ I”.

Equazioni
Equazioni Una equazione è una uguaglianza in cui compaiono una o Equazione
più incognite appartenenti ciascuna a un dato insieme. A meno che non
sia indicato esplicitamente, le incognite sono quelle che compaiono nell’e-
quazione, ◮ e l’insieme in cui variano è R. Il segno di uguaglianza divide ◮ Le incognite che non compaiono nell’e-
quazione sono libere di assumere qualsiasi
l’equazione in due membri, il membro sinistro e il membro destro. Una valore.
soluzione di una equazione consiste in una n-upla di valori, uno per ogni Membri
incognita, tali che se ogni incognita assume il valore corrispondente, l’e- Soluzione
quazione è soddisfatta ◮. Quindi una soluzione può essere pensata come ◮ Se c’è più di una incognita, non basta tro-
un elemento del prodotto cartesiano degli insiemi a cui appartengono le vare un valore per una particolare incogni-
ta: una soluzione è formata da più valori,
incognite. Una risoluzione di una equazione consiste nel trovare tutte le uno per ogni incognita.
soluzioni dell’equazione; in tal caso diremo che risolviamo l’equazione.
Esempio 4.5. 1. L’equazione 3x − 2 = 0 nell’insieme dei numeri
reali ◮ ha la soluzione x = 23 , infatti 3 · 32 − 2 = 0. ◮ Ma anche nell’insieme dei numeri razionali
o in quello dei numeri complessi.
2. L’equazione 0 = 0 nell’insieme dei numeri reali R ha come insieme
delle soluzioni tutto R, infatti per ogni x ∈ R l’equazione è sod-
disfatta. ◮ Al contrario, l’equazione 0 = 1 nell’insieme dei numeri ◮ Qualsiasi numero scegliamo
√ (ad esempio,
x = 3, x = π 3 , x = 11) l’equazione 0 = 0
reali R non ha soluzioni, infatti per ogni x ∈ R l’equazione non è è verificata.
soddisfatta. ◮
◮ ◮ Qualsiasi numero scegliamo (ad esempio,
◮ √
x = 3, x = π 3 , x = 11) l’equazione 0 = 1
3. L’equazione
√ x2 − 2 = 0 nell’insieme dei numeri
√ reali ha la soluzione non è verificata.
x1 = 2, ma anche la soluzione x2 = − 2. Invece, la stessa equa-
zione nell’insieme dei numeri razionali non ha soluzioni: l’abbiamo
dimostrato nella Proposizione 3.14.
L’equazione x2 + 2 = 0 nell’insieme dei numeri reali non ha solu- x2 + |{z}
|{z} 2 > 0.
zioni, infatti sommando un quadrato (che è positivo o nullo) a un >0 >0

numero positivo (2) otteniamo sempre un numero che è positivo, e


quindi diverso da zero. Invece, la stessa equazione
√ nell’insieme dei
numeri complessi ha le due soluzioni x = ± 2i.
4. L’equazione x − y + 1 = 0 nell’insieme dei numeri reali ha infinite Qui abbiamo due incognite quindi le solu-
zioni sono coppie: la coppia (0, 1) è una
soluzioni: per ogni α ∈ R la coppia (x, y) = (α, α + 1) è una soluzione (non sono due soluzioni, 0 e 1),
la coppia (3, 4) è un’altra soluzione (non
c 2014 Gennaro Amendola
Versione 1.0 sono due soluzioni, 3 e 4).
Lezione 4. Algebra 4–5

soluzione dell’equazione, infatti α − (α + 1) + 1 = 0. Ad esempio,


abbiamo

α 0 3 −7 3
↓ ↓ ↓ ↓ √ √↓  .
(x, y) (0, 1) (3, 4) (−7, −6) 3, 3 + 1

5. L’equazione x2 + y 2 = 0 nell’insieme dei numeri reali ha un’unica x2 + y 2 = 0 ⇔ (x, y) = (0, 0).


|{z} |{z}
soluzione: la coppia (x, y) = (0, 0), infatti sommando due quadrati >0 >0

(che sono positivi o nulli) possiamo ottenere 0 se e solo se sono


entrambi nulli.
In una equazione possono comparire alcuni parametri. In tal caso,
bisogna pensare i parametri come fissi, e nella risoluzione dell’equazione
bisogna trovare solo i valori delle incognite. In altre parole, abbiamo una
equazione diversa per ogni valore dei parametri.
Esempio 4.6. Consideriamo l’equazione ax = b con l’incognita x ∈ R.
Abbiamo due parametri, a, b ∈ R, quindi abbiamo infinite equazioni
diverse√al variare della coppia (a, b) ∈ R2 : ad esempio, abbiamo 2x = 3,
−x = 2, πx = 12, 0x = 2, 0x = 0. Esse possono essere raggruppate in
tre tipologie:
• se a 6= 0, abbiamo una soluzione x = ab , infatti a · ab = b; ◮ ◮ Possiamo dividere per a perché a è diverso
da 0.
• se a = 0, distinguiamo due casi: ◮

◮ Non possiamo dividere per a perché a è

uguale a 0.
– se b = 0, l’equazione è 0 = 0 che è verificata per ogni x ∈ R;
– se b 6= 0, l’equazione è 0 = b che non è verificata per nessun
x ∈ R.

Equazioni equivalenti Due equazioni sono dette equivalenti se hanno Equazioni equivalenti
le stesse soluzioni.
Osservazione 4.7. Applicando una delle seguenti operazioni a una Il viceversa non è vero: con queste ope-
razioni non riusciamo a ottenere tutte le
equazione otteniamo un’equazione equivalente: equazioni equivalenti. Ad esempio, sia
• scambiare i membri; x2 + 1 = 0 che 0 = 1 non hanno soluzio-
ni reali (quindi sono equivalenti), ma non
• sommare o sottrarre la stessa quantità da entrambi i membri; riusciamo a ottenerle l’una dall’altra con
queste operazioni.
• moltiplicare o dividere per la stessa quantità non-nulla entrambi i
membri. ◮ ◮ Abbiamo già visto che non è possibile divi-
dere per 0. Per quanto riguarda la molti-
Esempio 4.8. • Le equazioni 3x + 1 = 5x2 e 5x2 = 3x + 1 so- plicazione per 0, invece, può succedere che
no equivalenti perché sono ottenute l’una dall’altra scambiando i dopo la moltiplicazione compaiano nuove
soluzioni.
membri.
• Le equazioni 3x + 1 = 5x2 e 3x + 3 = 5x2 + 2 sono equivalenti
perché la seconda è ottenuta sommando 2 a entrambi i membri
della prima. Le equazioni 3x + 1 = 5x2 e 3x = 5x2 − 1 sono
equivalenti perché la seconda è ottenuta sottraendo 1 da entrambi
i membri della prima. ◮ ◮ In questo caso, è come se avessimo sposta-
to l’1 al secondo membro, cambiandolo di
• Le equazioni 3x + 1 = 5x2 e 9x + 3 = 15x2 sono equivalenti perché segno.
la seconda è ottenuta moltiplicando per 3 entrambi i membri della
prima. Le equazioni 3x + 1 = 5x2 e 3x+1 5 = x2 sono equivalenti

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 4. Algebra 4–6

perché la seconda è ottenuta dividendo per 5 entrambi i membri


della prima. ◮ ◮ In questo caso, è come se avessimo spo-
stato il 5 al primo membro, mettendolo al
Le equazioni 4x = 8 e 0 = 0 non sono equivalenti (la seconda denominatore.
è ottenuta moltiplicando per 0 entrambi i membri della prima),
infatti la prima equazione ha un’unica soluzione (x = 2) ◮, mentre ◮ Dividendo entrambi i membri per 4 ot-
teniamo l’equazione equivalente x =
la seconda è sempre verificata. Le equazioni ax = a e x = 1 sono 2.
equivalenti se a 6= 0 (in tal caso, la seconda equazione è ottenuta
dividendo entrambi i membri della prima per a); se, invece, a = 0
la prima equazione (0 = 0) è sempre verificata, mentre la seconda
ha un’unica soluzione (x = 1).
Notazione 4.9. D’ora in poi non faremo distinzione tra equazioni che
si ottengono l’una dall’altra tramite le tre operazioni descritte nell’Os-
servazione 4.7.
Esempio 4.10. Le quattro equazioni dell’esempio precedente 3x + 1 =
5x2 , 5x2 = 3x + 1, 3x + 3 = 5x2 + 2, 3x = 5x2 − 1, 9x + 3 = 15x2 ,
3x+1
5 = x2 sono pensate come un’unica equazione.

Sistemi di equazioni
Sistemi di equazioni Un sistema (di equazioni) è una collezione di Sistemi (di equazioni)
equazioni eq1 , eq2 , . . . , eqn , ed è indicato con


 eq1

 eq2
.. .

 .


eqn
Una soluzione del sistema è una soluzione comune a tutte le equazioni Soluzione
eq1 , eq2 , . . . , eqn . Una risoluzione di un sistema (di equazioni) consiste
nel trovare tutte le soluzioni del sistema (di equazioni); in tal caso diremo
che risolviamo il sistema (di equazioni). Visto che prenderemo in consi-
derazione solo sistemi di equazioni (e non, ad esempio, di disequazioni),
non ripeteremo ogni volta le parole “di equazioni”.
La tecnica più semplice per risolvere un sistema è la sostituzione. Sostituzione
Essa consiste nel risolvere un’equazione del sistema rispetto a una va-
riabile (considerando le altre parametri), sostituire poi la soluzione (o le
soluzioni) trovata nelle altre equazioni, e ripetere il processo finché non
viene trovata l’ultima variabile; in seguito si ripetono i passi in ordine
inverso trovando ricorsivamente le altre variabili; alla fine, si controlla
che le soluzioni trovate soddisfano le equazioni che non sono state usate.
Si noti che alcune variabili possono essere libere di assumere qualsiasi
valore.

 3x = 5
Esempio 4.11. 1. Il sistema y 2 − 2 = 0 nelle incognite x, y ∈ R

1=1
√ 
ha tre equazioni e due incognite. Ha due soluzioni: (x, y) = 35 , 2
√ 
e (x, y) = 35 , − 2 .
Lo stesso sistema nelle incognite x, y ∈ Q non ha soluzioni. ◮ ◮ Non esistono coppie di numeri razionali
(x, y) tali che y 2 = 2 (Proposizione 3.14).

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 4. Algebra 4–7

Lo stesso sistema nelle incognite x, y, z ∈ R ha tre


√ equazioni
 e tre
incognite. Ha infinite soluzioni ◮: (x, y, z) = 53 , 2, α con α ∈ R ◮ Non abbiamo condizioni sulla variabile z
√  che, quindi, è libera di assumere qualsiasi
e (x, y, z) = 35 , − 2, α con α ∈ R. valore reale.

 2x + z = 3
2. Il sistema 2y = 0 nelle incognite x, y, z ∈ R ha tre

2z − y + 4x = 6
equazioni e tre incognite. Cerchiamo le soluzioni: la prima equa-
zione può essere riscritta come z = 3 − 2x e la seconda come y = 0;
sostituendo nella terza equazione otteniamo 2(3 − 2x) − 0 + 4x = 6,
ossia 0 = 0, che è sempre verificata. Quindi le soluzioni sono tutte
le terne (x, y, z) tali che y = 0 e z = 3 − 2x. Possiamo quindi
scegliere arbitrariamente l’incognita x ∈ R: ossia per ogni α ∈ R
abbiamo la soluzione (x, y, z) = (α, 0, 3 − 2α).
L’insieme delle
soluzioni è quindi (α, 0, 3 − 2α) ∈ R3 α ∈ R .

Sistemi equivalenti Due sistemi sono detti equivalenti se hanno le Sistemi equivalenti
stesse soluzioni.
Osservazione 4.12. Applicando una delle seguenti operazioni alle equa- Il viceversa non è vero: con queste ope-
razioni non riusciamo a ottenere tutti
zioni di un sistema ottieniamo un sistema equivalente: i sistemi equivalenti. Ad esempio, sia

I) scambio di due equazioni del sistema; x2 + 1 = 0 che 0 = 1 sono sistemi
(con una sola equazione) che non hanno so-
II) moltiplicazione di entrambi i membri di una equazione del sistema luzioni reali, ma non riusciamo a ottenerle
l’una dall’altra con queste operazioni.
per lo stesso valore non nullo; ◮
◮ Questa operazione è stata già considera-
III) sostituzione di un’equazione del sistema con l’equazione ottenuta ta nell’Osservazione 4.7: la ripetiamo qui
sommando a ciascun membro dell’equazione stessa il corrisponden- perché ci sarà utile in seguito.

te membro di un’altra equazione moltiplicato per un numero ◮◮. ◮ Il numero per cui moltiplichiamo deve es-

sere lo stesso per entrambi i membri. Inol-
Per semplicità, diremo semplicemente che “moltiplichiamo un’equa- tre non richiediamo che il numero sia non
zione per un numero” per il caso II e che “aggiungiamo un multiplo di nullo, ma se scegliamo 0 l’operazione non
cambia il sistema, quindi è “inutile”.
un’equazione a un’altra” per il caso III.
Definizione 4.13. Le tre operazioni descritte nella precedente osserva- Operazioni di tipo I/II/III
zione sono dette rispettivamente di tipo I, di tipo II e di tipo III.
Esempio 4.14. 1. Applichiamo alcune operazioni al sistema

 3x = 5
y2 − 2 = 0

1=1
dell’Esempio 4.11-1.
 2
 y −2=0
I) Il sistema 3x = 5 è ottenuto scambiando le prime due

1=1
equazioni (operazione di tipo I).

 3x = 5
II) Il sistema 4y 2 − 8 = 0 è ottenuto moltiplicando entram-

1=1
bi i membri della seconda equazione per 4 (operazione di
tipo II).

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 4. Algebra 4–8


 3x = 5
III) Il sistema y 2 − 2 + 6x = 10 è ottenuto sostituendo alla

1=1
seconda equazione l’equazione ottenuta sommando a ciascun
membro dell’equazione stessa (la seconda) il corrispondente
membro della prima equazione moltiplicato per 2 (operazione
di tipo III).
2. Applichiamo alcune operazioni al sistema

 2x + z = 3
2y = 0

2z − y + 4x = 6
dell’Esempio 4.11-2.

 2z − y + 4x = 6
I) Il sistema 2y = 0 è ottenuto scambiando la pri-

2x + z = 3
ma equazione con la terza (operazione di tipo I).

 2x + z = 3
II) Il sistema y=0 è ottenuto moltiplicando la

2z − y + 4x = 6
seconda equazione per 12 (operazione di tipo II).

 2x + z = 3
III) Il sistema 2y = 0 è ottenuto aggiungendo alla
 4 8
3 z − y + 3 x = 4
terza equazione la prima moltiplicata per − 32 (operazione di
tipo III).
Osservazione 4.15. Nell’operazione di tipo II è fondamentale la richie-
sta che il numero per cui moltiplichiamo sia diverso da zero, altrimenti
l’equivalenza non è assicurata, perché moltiplicando per zero possono
comparire nuove soluzioni.
Esempio 4.16. 1. Se moltiplichiamo
 entrambi i membri della se-
 3x = 5
conda equazione del sistema y 2 − 2 = 0 nelle incognite x, y ∈

1=1

 3x = 5
R per 0 otteniamo il sistema
◮ 0 = 0 (sempre nelle incognite ◮ Esempio 4.11-1.

1=1

x, y ∈ R) che ha infinite soluzioni: (x, y) = 53 , α with α ∈ R.
2. Se moltiplichiamo
 entrambi i membri della terza equazione del si-
 2x + z = 3
stema 2y = 0 nelle incognite x, y, z ∈ R ◮ per 0 otte- ◮ Esempio 4.11-2.

2z − y + 4x = 6

 2x + z = 3
niamo il sistema 2y = 0 (sempre nelle incognite x, y, z ∈

0=0
R) che ha le stesse soluzioni del sistema iniziale ◮: (x, y, z) = ◮ Qui siamo stati “fortunati” ad aver
annullato una equazione “inutile”.
(α, 0, 3 − 2α) ∈ R3 con α ∈ R.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 4. Algebra 4–9

Se ora moltiplichiamo entrambi


 i membri della seconda equazione
 2x + z = 3
per 0 otteniamo il sistema 0=0 (sempre nelle incognite

0=0
x, y, z ∈ R) che ha più soluzioni del sistema iniziale ◮: (x, y, z) = ◮ Non abbiamo restrizioni sull’incognita y.
(α, β, 3 − 2α) ∈ R3 con α, β ∈ R.

Equazioni dipendenti Se una equazione di un sistema è ottenuta dal- Equazione dipendente


le altre utilizzando operazioni di tipo II e III, diremo che essa è dipendente
dalle altre.
Osservazione 4.17. Se una equazione, eqi , di un sistema è dipendente
dalle altre, allora eliminandola otteniamo un sistema equivalente. Infat-
ti, se essa è ottenuta dalle altre con operazioni di tipo II e III, possiamo
ripetere in ordine inverso le stesse operazioni su eqi , ma dividendo (in-
vece di moltiplicare) per le operazioni di tipo II e sottraendo (invece
di sommare) per le operazioni di tipo III; alla fine otteniamo un’equa-
zione uguale a un’altra equazione del sistema, quindi essa non influisce
sulle soluzioni del sistema e può essere cancellata senza alterare le solu-
zioni ◮. Abbiamo ottenuto il sistema iniziale da cui abbiamo eliminato ◮ L’equazione 0 = 0 è sempre soddisfatta.
l’equazione eqi , che quindi è equivalente al sistema iniziale.
Esempio 4.18. 1. Consideriamo il sistema


 4x − y 2 = 0

3y + z = 0
.

 15y + 5z = 0

4x − y 2 − 9y − 3z = 0
II) La terza equazione è ottenuta moltiplicando per 5 entrambi
i membri della seconda (operazione ditipo II); quindi essa può
 4x − y 2 = 0
essere eliminata ottenendo il sistema 3y + z = 0

4x − y 2 − 9y − 3z = 0
equivalente a quello iniziale. ◮ ◮ Moltiplicando entrambi i membri della ter-
za equazione per 15 (operazione di ti-
III) La quarta equazione invece è ottenuta sommando a ciascun po
 II), otteniamo il sistema equivalente
membro della prima equazione il corrispondente membro del-  4x − y 2 = 0


3y + z = 0
la seconda equazione moltiplicato per −3 (operazione di ti- 3y + z = 0
.


po
 III); quindi essa può essere eliminata ottenendo il sistema  2
4x − y − 9y − 3z = 0
2
 4x − y = 0
3y + z = 0 equivalente a quello iniziale. ◮
◮ ◮ Sostituendo alla quarta equazione l’equa-

 zione ottenuta aggiungendo all’equazione
15y + 5z = 0 stessa la seconda equazione moltiplicata
Applicando in sequenza
 i due passi indicati sopra otteniamo il per 3 (operazione di tipo
 III), otteniamo
 4x − y 2 = 0
4x − y 2 = 0 

sistema equivalente . il sistema equivalente
3y + z = 0
.
3y + z = 0 
 15y + 5z = 0
  2
4x − y = 0
 2x + z = 3
2. La terza equazione del sistema 2y = 0 dell’Esempio 4.11-

2z − y + 4x = 6
2 è ottenuta moltiplicando per 2 la prima (operazione di tipo II)
e poi aggiungendo all’equazione appena ottenuta la seconda equa-
zione moltiplicata per − 21 (operazione di tipo III); quindi essa può

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 4. Algebra 4–10


2x + z = 3
essere eliminata ottenendo il sistema equivalente a
2y = 0
quello iniziale. ◮ ◮ Sostituendo alla terza equazione l’equa-
zione ottenuta aggiungendo all’equazione
stessa la seconda equazione moltiplicata
per 21 (operazione di tipo III), otteniamo

 2x + z = 3
il sistema equivalente 2y = 0 .

2z + 4x = 6
Moltiplicando poi entrambi i membri del-
la terza equazione per 21 (operazione di
tipo
 II), otteniamo il sistema equivalente
 2x + z = 3
2y = 0 .

z + 2x = 3

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Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 4/S1
Titolo: Algebra
Attività n°: 1

Sessione di Studio 4.1

Algebra
Lezione 4. Algebra 4–11

Sessione di Studio 4.1


P2 √
Esercizio 4.1. 1. Calcola h=0 h2 − 4h + 4.
4
Y
1
2. Calcola aj con aj = (j−1)2 .
j=−1
j6=1
Soluzione. 1. Abbiamo la seguente catena di uguaglianze:
2 p
X p p p
h2 − 4h + 4 = 02 − 4 · 0 + 4 + 12 − 4 · 1 + 4 + 22 − 4 · 2 + 4 =
h=0
√ √ √
= 4+ 1 + 0 = 2 + 1 + 0 = 3.
2. Abbiamo la seguente catena di uguaglianze:
4
Y 1 1 1 1 1 1
= · · · · =
(j − 1)2 (−1 − 1)2 (0 − 1)2 (2 − 1)2 (3 − 1)2 (4 − 1)2
j=−1
j6=1
1 1 1 1 1 1 1 1 1
= 2
· 2
· 2 · 2 · 2 = ·1·1· · = .
(−2) (−1) 1 2 3 4 4 9 144

Esercizio 4.2. Risolvi l’equazione x2 + 2x − 3 = 2(x − 1).


Soluzione. L’equazione è x2 + 2x − 3 = 2x − 2. Sottraendo da entrambi Osservazione 4.7.
i membri 2x, otteniamo l’equazione equivalente x2 − 3 = −2. Spostando
−3 al secondo membro, cambiandolo di segno, otteniamo l’equazione
equivalente x2 = 1. Le soluzioni sono quindi x = 1 e x = −1.

 2
 y =1
Esercizio 4.3. Risolvi il sistema 6x + 2z − 2y − y 2 = 3 .

3x + z − y = 2
Soluzione. La seconda equazione è dipendente dalle altre due, infatti è
ottenuta moltiplicando entrambi i membri della terza equazione per 2,
e poi sottraendo a ciascun membro dell’equazione ottenuta il corrispon-
dente membro della prima equazione. Quindi la seconda
 2 equazione può
y =1
essere eliminata, ottenendo il sistema equivalente .
3x + z − y = 2
Dalla prima equazione otteniamo y = ±1. Dalla seconda otteniamo
z = y − 3x + 2, e quindi due casi a seconda di y: ossia z = −1 − 3x + 2 e
z = 1 − 3x + 2. Allora otteniamo le soluzioni (x, y, z) = (α, −1, 1 − 3α)
con α ∈ R e (x, y, z) = (α, 1, 3 − 3α) con α ∈ R.


 x + 2y + 2z = 3
Esercizio 4.4. Risolvi il sistema 2x − 3y − z = −1 .

3x + 2z = 2
Soluzione. Dalla terza equazione otteniamo  z = 1 − 32 x. Sostituendolo
 
 x + 2y + 2 1 − 32 x = 3  −2x + 2y + 2 = 3
3 7
nelle altre otteniamo 2x − 3y − 1 − 2 x = −1 , e quindi 2 x − 3y − 1 = −1 .
 
z = 1 − 32 x z = 1 − 32 x

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Versione 1.0
Lezione 4. Algebra 4–12

Dalla seconda equazione otteniamo y = 67 x. Sostituendolo nell’altra


 
 −2x + 2 76 x + 2 = 3  x=3
otteniamo y = 76 x , e quindi y = 67 x .
 3 
z = 1 − 2x z = 1 − 32 x

 x=3
Sostituendo in ordine inverso il valore assunto da x otteniamo y = 27 ,

z = − 27
7 7

ossia la soluzione è (x, y, z) = 3, 2 , − 2 .


x + 2y − z = −2
Esercizio 4.5. Risolvi il sistema dove le incognite
2x + 4y + z = 5
sono x, y, z, t.
Soluzione. Sottraendo dalla seconda equazione  la prima moltiplicata
x + 2y − z = −2
per 2 (operazione di tipo III) otteniamo , e quindi
3z = 9

x + 2y − z = −2
.
z=3
 Sostituendo il valore assunto  da z nella prima equazione otteniamo
x + 2y − 3 = −2 x = 1 − 2y
, e quindi .
z=3 z=3
La variabile t è libera di assumere qualsiasi valore, quindi le soluzioni
sono (x, y, z, t) = (1 − 2α, α, 3, β) con α, β ∈ R.



 3x1 + 3x2 − 2x3 + x4 = 1

2x1 + x2 − x3 + x4 = −2
Esercizio 4.6. Risolvi il sistema .

 x 1 + 2x2 − x3 = 2

x1 + x2 − x3 + 2x4 = 0
Soluzione. La terza equazioneè x1 = 2 − 2x2 + x3 , quindi sostituendo

 3 (2 − 2x2 + x3 ) + 3x2 − 2x3 + x4 = 1

2 (2 − 2x2 + x3 ) + x2 − x3 + x4 = −2
nelle altre equazioni otteniamo ,

 x + 2x2 − x3 = 2
 1
(2 − 2x2 + x3 ) + x2 − x3 + 2x4 = 0


 −3x2 + x3 + x4 = −5

−3x2 + x3 + x4 = −6
e quindi .

 x + 2x2 − x3 = 2
 1
(2 − 2x2 + x3 ) + x2 − x3 + 2x4 = 0
Sottraendo la seconda equazione dalla prima (operazione di tipo III),
otteniamo l’equazione 0 = 1, che non ha soluzione, quindi il sistema non
ha soluzione.

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Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 4/S2
Titolo: Algebra
Attività n°: 1

Sessione di Studio 4.2

Algebra
Lezione 4. Algebra 4–13

Sessione di Studio 4.2


X √
k
Esercizio 4.7. 1. Calcola bk con bk = 2 .
k∈{0,1,4,9,16,25}
Q4 p
2. Calcola i=1 i(i + 1).
Esercizio 4.8. Risolvi l’equazione 3x + 5 = 1 + x.


 4x − y 2 = 0

3y + z = 0
Esercizio 4.9. Risolvi il sistema .

 15y + 5z = 0

4x − y 2 − 9y − 3z = 0
 2
 x +y =4
Esercizio 4.10. Risolvi il sistema y + z = 3 , prima con le incognite

y−z =1
appartenenti a R e poi con le incognite appartenenti a Q.

 3x + y + 2z = −3
Esercizio 4.11. Risolvi il sistema 2x + y − z = 1 .

2x + y + 3z = −2


 x1 − 2x2 + x3 − x4 = −1

x1 − 3x2 + 2x4 = −2
Esercizio 4.12. Risolvi il sistema .

 x + 2x3 − 3x4 = −2
 1
5x2 + 3x3 − 7x4 = −1


 2x1 + 3x2 − x3 = 3

3x1 − 2x2 = −1
Esercizio 4.13. Risolvi il sistema .

 x + x2 + 2x3 = 1
 1
4x1 − 3x3 = 0

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Versione 1.0
Lezione 4. Algebra 4–14

15
Risultato dell’Esercizio 4.7. 1. 2 .

2. 24 5.
Risultato dell’Esercizio 4.8. x = −2.
 
α2
Risultato dell’Esercizio 4.9. (x, y, z) = con α ∈ R.
2 , α, −3α Usa l’Esempio 4.18.
√ 
Risultato dell’Esercizio 4.10. In R: (x, y, z) = ± 2, 2, 1 . ◮ ◮ Trova y e z, e poi x.

In Q: nessuna soluzione. ◮ ◮ Ricorda che 2 6∈ Q.

Risultato dell’Esercizio 4.11. (x, y, z) = − 47 , 15
4 , − 3
4 .
Risultato dell’Esercizio 4.12. (x1 , x2 , x3 , x4 ) = (−8 − 5a, −2 − a, 3 +
4a, a) con a ∈ R.
Risultato dell’Esercizio 4.13. Nessuna soluzione.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 4/S3
Titolo: Algebra
Attività n°: 1

Sessione di Studio 4.3

Algebra
Lezione 4. Algebra 4–15

Sessione di Studio 4.3


Letture supplementari possono essere le seguenti:
• http://it.wikipedia.org/wiki/Variabile_(matematica)
• http://it.wikipedia.org/wiki/Alfabeto_latino
• http://it.wikipedia.org/wiki/Alfabeto_greco
• http://it.wikipedia.org/wiki/Lettere_greche_in_matematica,_scienze,_ingegneria
• http://it.wikipedia.org/wiki/Sommatoria
• http://it.wikipedia.org/wiki/Produttoria
• http://it.wikipedia.org/wiki/Equazione
• http://it.wikipedia.org/wiki/Sistema_di_equazioni

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Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 4/S3
Titolo: Algebra
Attività n°: 3

Sessione di Studio 4.3 Quiz

Algebra
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 4/S3
Titolo: Algebra
Attività n°: 3

• Risolvere il seguente quiz a risposta


multipla in cui per ogni domanda una sola
risposta è giusta.
• Rivedere le risposte del quiz.
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 5
Titolo: Polinomi
Attività n°: 1

Lezione 5
Polinomi
Lezione 5

Polinomi

In questa lezione rivedremo brevemente alcune nozioni di base sui po-


linomi. Esse sono fondamentali per ciò che faremo in seguito, sia per i
concetti (che sono la base per i concetti futuri) che per l’introduzione del
linguaggio matematico (che useremo nelle altre lezioni).

5.1 Polinomi
Monomi
Definizione 5.1. Un monomio è il prodotto di un numero e di alcune Monomi
variabili (anche nessuna), ciascuna delle quali compare una volta sola
con un certo esponente intero positivo. Il numero è detto coefficiente Coefficiente (numerico)
numerico o semplicemente coefficiente, mentre la parte formata dalle
variabili è detta parte letterale. Tutti i monomi senza parte letterale, Parte letterale
ossia senza variabili, sono detti costanti. Tutti i monomi con coefficiente
uguale a zero sono considerati uguali, e sono detti monomi nulli e indicati Monomio nullo
semplicemente con 0. Il grado di un monomio m è Grado
• la somma degli esponenti delle variabili se m 6= 0, ◮ ◮ I monomi costanti hanno grado 0, perché
la somma di nessun esponente è 0.
• −∞ se m = 0;
il grado di m è indicato con deg(·)
Dall’inglese “degree”.
deg(m).
Osservazione 5.2. • Non abbiamo considerato monomi che hanno
alcune variabili con esponente nullo, perché, analogamente a quan-
to succede per i numeri non nulli, stipuliamo che ogni variabile
elevata a zero sia uguale a 1.
• Le particolari variabili utilizzate nel monomio non sono fondamen-
tali: ad esempio, i monomi 3xy 2 e 3zt2 sono diversi, ma per molti
aspetti si comportano allo stesso modo.
• L’ordine delle variabili non è rilevante.
• Il grado di un monomio può essere solamente un numero intero Il grado di un monomio non può essere un
numero negativo (ad esempio, −1, −2 o
positivo o nullo, oppure −∞. −27)
7
√ o un numero non intero (ad esempio,
Notazione 5.3. Può succedere che il coefficiente di un monomio sia una 4
, 5 o π).

costante (o dipenda da una costante) non specificata: la costante non

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 5. Polinomi 5–2

è considerata nella parte letterale del monomio, bensì è il (o fa parte


del) coefficiente. In tal caso, le variabili che formano la parte letterale
verranno indicate esplicitamente.
Esempio 5.4. 1. Il monomio 4x6 nella variabile x ha come coeffi-
ciente 4 e come parte letterale x6 ; il suo grado è 6. Il monomio x6
nella variabile x ha come coefficiente 1 e come parte letterale x6 ;
il suo grado è 6.
2. Il monomio 21 a2 b3 nelle variabili a e b ha come coefficiente 1
2 e come
parte letterale a2 b3 ; il suo grado è 5.
3. Il monomio 5a4 xy 2 può essere pensato in modi diversi a seconda
di quali lettere scegliamo come variabili.
Variabili Coefficiente Parte letterale Grado
a, x, y 5 a4 xy 2 7
a, x 5y 2 a4 x 5
a, y 5x a4 y 2 6
x, y 5a4 xy 2 3
a 5xy 2 a4 4
x 5a4 y 2 x 1
y 5a4 x y2 2
5a4 xy 2 0
Nell’ultima riga il monomio è costante.
4. Il monomio 3 è un monomio costante. Anche il monomio ax, se sia
a che x non sono considerate variabili (cosicché sono considerate
costanti), è un monomio costante.
Notazione 5.5. Oltre ad usare una semplice lettera (ad esempio, m),
se vogliamo indicare esplicitamente le variabili, utilizziamo
m (a1 , a2 , . . . , an ) .
Se deg(m) > 0, sostituendo numeri α1 , α2 , . . . , αn alle variabili, indiche-
remo con m (α1 , α2 , . . . , αn ) il risultato della moltiplicazione. Se invece
deg(m) = 0 oppure deg(m) = −∞ ◮, il risultato della moltiplicazione è ◮ Non ci sono variabili da sostituire.
definito come il coefficiente del monomio.
Esempio 5.6. 1. Sostituendo il numero 2 alla variabile x del mono-
mio m(x) = 4x6 dell’Esempio 5.4-1 otteniamo m(2) = 4 · 26 = 256.
Sostituendo invece il numero −1 otteniamo m(−1) = 4 · (−1)6 = 4.

2. Sostituendo i numeri 3 e −2 rispettivamente alle variabili a√e b del
monomio m(a, b) = 21 a2 b3 dell’Esempio 5.4-2 otteniamo m 3, −2 =
1
√ 2 √
2 · 3 · (−2)3 = −12. Sostituendo invece i numeri −2 e 3
√  √ 3 √
otteniamo m −2, 3 = 21 · (−2)2 · 3 = 6 3.
3. Consideriamo il monomio m = 5a4 xy 2 dell’Esempio 5.4-3. Sosti- Abbiamo scelto per la variabile a (quando
è una variabile) sempre il valore π, per la
tuendo alle variabili alcuni numeri, abbiamo vari casi a seconda variabile x (quando è una variabile) sempre
di quali lettere stiamo considerando come variabili e quali come il valore −3, e per la variabile y (quando è
costanti. una variabile) sempre il valore 2.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 5. Polinomi 5–3

Variabili Monomio Numeri Risultato


a, x, y m(a, x, y) π, −3, 2 m(π, −3, 2) = 5π 4 · (−3) · 22 = −60π 4
a, x m(a, x) π, −3 m(π, −3) = 5y 2 π 4 · (−3) = −15π 4 y 2
a, y m(a, y) π, 2 m(π, 2) = 5xπ 4 · 22 = 20xπ 4
x, y m(x, y) −3, 2 m(−3, 2) = 5a4 · (−3) · 22 = −60a4
a m(a) π m(π) = 5xy 2 · π 4
x m(x) −3 m(−3) = 5a4 y 2 · (−3) = −15a4 y 2
y m(y) 2 m(2) = 5a4 x · 22 = 20a4 x
m() m() = 5a4 xy 2
4. I monomi dell’Esempio 4 hanno grado 0, quindi il risultato di una
sostituzione qualsiasi è il coefficiente, ossia rispettivamente 3 e ax.
Osservazione 5.7. Se abbiamo un monomio di grado positivo m (a1 , a2 , . . . , an ),
può succedere che sostituendo numeri α1 , α2 , . . . , αn alle variabili otte-
niamo 0, ossia m (α1 , α2 , . . . , αn ) = 0: ciò succede scegliendo αi = 0 per
almeno un indice i ∈ {1, 2, . . . , n}.
Definizione 5.8. Il prodotto di due monomi, m1 e m2 , è il monomio Prodotto di monomi
m1 · m2 che ha come coefficiente il prodotto dei coefficienti di m1 ed m2 , Se non ci sono ambiguità o se non abbia-
mo bisogno di focalizzare l’attenzione sul
e come parte letterale il prodotto delle variabili che formano le parti let- prodotto omettiamo il simbolo “ ·”.
terali di m1 ed m2 , ciascuna con il suo esponente, eccetto per le variabili
che compaiono in entrambi i monomi il cui esponente in m1 · m2 è la
somma degli esponenti in m1 ed m2 .
Per ricorrenza, il prodotto di k monomi m1 , m2 , . . . , mk , con k > 2,
è ottenuto facendo il prodotto dei primi k − 1 monomi, e poi facendo il
prodotto del risultato e dell’ultimo monomio, mk .
Osservazione 5.9. Dalla definizione segue subito che il grado del Se uno dei monomi è nullo, dobbiamo fare
la somma di qualcosa con −∞: in questo
prodotto di monomi è la somma dei gradi dei singoli monomi: caso, definiamo la somma −∞. Ciò è coe-
k
! k rente con il fatto che se uno dei monomi è
Y X
0 anche il prodotto è 0, e quindi ha grado
deg mi = deg (mi ) . −∞.
i=1 i=1
Esempio 5.10. Consideriamo alcuni dei monomi dell’Esempio 5.4, m1 =
4x6 , m2 = 21 a2 b3 , m3 = 5a4 xy 2 e m4 = 3, che hanno rispettivamente
grado 6, 5, 7 e 0. Abbiamo i seguenti prodotti.
Prodotto Grado
m1 · m2 = 2x6 a2 b3 11 = 6 + 5
m1 · m3 = 20a4 x7 y 2 13 = 6 + 7
m1 · m4 = 12x6 6=6+0
m2 · m3 = 52 a6 b3 xy 2 12 = 5 + 7
m2 · m4 = 23 a2 b3 5=5+0
m3 · m4 = 15a4 xy 2 7=7+0
m1 · m2 · m3 = 10a6 b3 x7 y 2 18 = 6 + 5 + 7
m1 · m2 · m4 = 6x6 a2 b3 11 = 6 + 5 + 0
m1 · m3 · m4 = 60a4 x7 y 2 13 = 6 + 7 + 0
m2 · m3 · m4 = 15 6 3
2 a b xy
2 12 = 5 + 7 + 0
m1 · m2 · m3 · m4 = 30a b3 x7 y 2
6 18 = 6 + 5 + 7 + 0

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 5. Polinomi 5–4

Definizione 5.11. La divisione di un monomio m1 per un monomio m2 Divisione tra monomi


consiste nel trovare, se esiste ◮, un monomio m tale che m1 = m · m2 . In ◮ “Se esiste” significa che può succedere che
la divisione non possa essere fatta. Lo stes-
questo caso il monomio m1 è detto divisibile per il monomio m2 . so succede per i numeri naturali: si può fa-
Esempio 5.12. 1. Il monomio m1 = 5x7 è divisibile per il monomio re 10 diviso 5, ma non si può fare 10 diviso
3.
m2 = −2x4 , infatti esiste il monomio m = − 25 x3 tale che 5x7 =

− 25 x3 · −2x4 ◮. Invece, non è divisibile per il monomio m′2 = 5x9 , ◮ Dobbiamo usare le parentesi perché due
simboli di operazione non possono essere
infatti seesistesse un monomiom tale che 5x7 = m·5x9 ◮ ◮ avremmo
adiacenti: scrivere 5x7 = − 52 x3 · −2x4 è
deg 5x7 = deg(m)+deg 5x9 , ossia 7 = deg(m)+9 che è assurdo sbagliato.
perché il grado di un monomio non può essere −2 ◮ ◮.
◮ ◮ Questa è una dimostrazione per assurdo,

√ 4 2 anche se non lo diciamo esplicitamente:
2. Il monomio m1 = 37 a5 b6 è divisibile

per il monomio m 2 = √
3a b , supponiamo per assurdo che esista m, e
troviamo una contraddizione.
infatti esiste il monomio m = 73 ab4 tale che 73 a5 b6 = 73 ab4 · ◮
√ 4 2 ◮ Osservazione 5.2.

3a b . Esso è divisibile anche per il monomio m′2 = b5 , infatti
esiste il monomio m = 37 a5 b tale che 37 a5 b6 = 73 a5 b · b5 . Invece,
non è divisibile per il monomio m′′2 = a6 b5 , infatti se esistesse un
monomio m tale che 73 a5 b6 = m · a6 b5 , avremmo che il grado della
variabile a del monomio m sarebbe −1, e ciò è assurdo. Esso non è
divisibile nemmeno per il monomio m′′′ 3
2 = abc , infatti se esistesse
un monomio m tale che 37 a5 b6 = m · abc3 , avremmo che il grado
della variabile c del monomio m sarebbe −3, e ciò è assurdo ◮. ◮ Il monomio m1 non ha c come variabile.

3. Il monomio m1 = cz 4 t3 è divisibile per il monomio m2 = cz 4 t3 ,


infatti esiste il monomio costante m = 1 tale che cz 4 t3 = 1 · cz 4 t3 .
Esso è divisibile anche per il monomio m′2 = 2czt, infatti esiste il
monomio m = 21 z 3 t2 tale che cz 4 t3 = 21 z 3 t2 · 2czt. Invece, non è
divisibile né per il monomio m′′2 = c2 , né per il monomio x2 . ◮ ◮ Per la stessa ragione (relativa al grado)
degli esempi precedenti.
4. Il monomio m1 = 2z 2 t
è divisibile per il monomio m2 = 6, infatti
esiste il monomio m = 31 z 2 t tale che z 2 t = 6 · 13 z 2 t. Il viceversa
non è vero, infatti il monomio costante m2 non è divisibile per il
monomio m1 . ◮ ◮ Per la stessa ragione (relativa al grado)
degli esempi precedenti.
L’esempio precedente suggerisce che la divisibilità tra monomi dipen-
de solamente dai gradi delle variabili.
Osservazione 5.13. Siano m1 e m2 due monomi, con m2 6= 0. Dalla
definizione di prodotto di monomi deduciamo facilmente i seguenti fatti,
che ci dicono esattamente quando possiamo fare la divisione tra monomi.
• Se ogni variabile di m2 è anche una variabile di m1 , e se l’esponente Le variabili si comportano come i numeri
primi per i numeri naturali. Ad esempio,
di ogni variabile in m2 è minore o uguale all’esponente della stessa 35 ·72 ·114 può essere diviso solo dai numeri
variabile in m1 , allora la divisione di m1 per m2 può esser fatta ed della forma 3a · 7b · 11c , con 0 6 a 6 5,
il risultato è il monomio che ha come coefficiente il rapporto dei 0 6 b 6 2, 0 6 c 6 4.

coefficienti di m1 ed m2 , e come parte letterale la parte letterale


di m1 , in cui a ogni variabile che compare anche in m2 si sottrae
l’esponente corrispondente in m2 (e si eliminano le variabili che
hanno lo stesso esponente nei due monomi).
• Viceversa, se possiamo fare la divisione di m1 per m2 , allora ogni
variabile di m2 è anche una variabile di m1 , e l’esponente di ogni
variabile in m2 è minore o uguale all’esponente della stessa variabile
in m1 .

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 5. Polinomi 5–5

Esempio 5.14. Analizziamo i monomi dell’Esempio 5.12.


1. Il grado dell’unica variabile x di m1 è 7. Il monomio m1 è divisibile
per il monomio m2 , la cui variabile x ha grado 4 6 7, e non per il
monomio m′2 , la cui variabile x ha grado 9 > 7.
2. Il grado delle variabili a e b del monomio m1 è rispettivamente 5 e
6. Il monomio m1 è divisibile per il monomio m2 , le cui variabili a
e b hanno grado rispettivamente 4 6 5 e 2 6 6, e per il monomio
m′2 , la cui variabile b ha grado 5 6 6 ◮. Esso non è divisibile per il ◮ Il grado della variabile b in m1 è 6.
monomio m′′2 = a6 b5 , la cui variabile a ha grado 6 > 5 ◮, né per il ◮ Il grado della variabile a in m1 è 5.
monomio m′′′ 2 , che ha la variabile c che non è una variabile di m1 .
3. Il grado delle variabili c, z e t dei monomi m1 è rispettivamente
1, 4 e 3. Il monomio m1 è divisibile sia per il monomio m2 , le
cui variabili c, z e t hanno grado rispettivamente 1 6 1, 4 6 4 e
3 6 3, e per il monomio m′2 , le cui variabili c, z e t hanno grado
rispettivamente 1 6 1, 1 6 4 e 1 6 3. Invece, esso non è divisibile
per il monomio m′′2 = c2 , la cui variabile c ha grado 2 > 1 ◮, né per ◮ Il grado della variabile c in m1 è 1.
il monomio x2 , la cui variabile x non è una variabile di m1 .
4. Il grado delle variabili in un monomio costante non nullo è 0, quindi
un monomio costante divide ogni altro monomio ◮. Al contrario, ◮ Le variabili, se ce ne sono, hanno sempre
esponente positivo.
un monomio costante non nullo non è divisibile per nessun altro
◮ Le variabili in un monomio non costante

monomio non costante ◮ ◮.
hanno sempre esponente positivo.
Definizione 5.15. Due, o più, monomi sono detti simili se hanno la Monomi simili
stessa parte letterale.
Esempio 5.16. 1. Il monomio 3y 4 è simile al monomio 2y 4 , infatti
entrambi hanno come parte letterale y 4 . Invece non è simile al
monomio 3x4 , infatti la parte letterale di quest’ultimo è x4 , che è
diversa da y 4 .

2. Il monomio 73 a3 c2 è simile al monomio 7a3 c2 , infatti entrambi
hanno come parte letterale a3 c2 . Invece non è simile al monomio
4a2 c2 , infatti la parte letterale di quest’ultimo è a2 c2 , che è diversa
da a3 c2 .
3. I tre monomi 4x3 , −2x3 e x3 sono simili, infatti hanno tutti come
parte letterale x3 .
4. Consideriamo il monomio ax2 . Se la variabile è x (quindi a è una
costante), abbiamo che esso è simile al monomio 5x2 , ma non al
monomio 2x3 (la cui parte letterale è x3 , diversa da x2 ). Se invece
le variabili sono sia a che x (quindi il coefficiente è 1), abbiamo che
esso non è più simile al monomio 5x2 (la cui parte letterale è x2 ,
diversa da ax2 ), ma è simile al monomio −ax2 .
5. I monomi costanti sono tutti simili, come per esempio 4 e 23 .
Definizione 5.17. La somma di due monomi simili, m1 e m2 , è il mo- Somma di monomi simili
nomio m1 + m2 che ha come coefficiente la somma dei coefficienti di m1 L’addizione di monomi simili può essere
pensata come un’applicazione della pro-
ed m2 , e come parte letterale la stessa di m1 ed m2 ◮. prietà distributiva della moltiplicazione ri-
Per ricorrenza, la somma di k monomi simili m1 , m2 , . . . , mk , con spetto all’addizione. Infatti, è come met-
tere in evidenza la parte letterale dei due
k > 2, è ottenuta facendo la somma dei primi k − 1 monomi, e poi monomi (che è la stessa perché sono simili).
facendo la somma del risultato e dell’ultimo monomio, mk .

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0

◮ Tanto è uguale.
Lezione 5. Polinomi 5–6

Esempio 5.18. Sommiamo i monomi simili dell’Esempio 5.16.


Somma Parte letterale
3y 4 + 2y√
4 = 5y 4
√  3 2 y4
3 3 2 3 2 3
7 a c + 7a c = 7 + 7 a c a3 c2
4x3 + (−2x3 ) + x3 = 3x3 x3
ax2 + 5x2 = (a + 5)x2 x2
ax2 + −7ax2 = −6ax2 ax2
4 + 23 = 14
3

Polinomi
Definiamo i polinomi, che ovviano al fatto che la somma di monomi non
simili non si può fare.
Definizione 5.19. Un polinomio è la somma di monomi non simili. ◮ Polinomio
Ciascun monomio è detto termine. Il termine di grado 0 è detto termine ◮ La somma è astratta: non possiamo calco-
larla, perché i monomi non sono simili, e la
noto. Il polinomio formato solo dal monomio nullo è detto polinomio lasciamo indicata. Se nella somma ci sono
nullo ed è indicato semplicemente con 0. Il grado di un polinomio p è il monomi simili, facciamo la somma come
abbiamo visto nella Definizione 5.17.
grado massimo dei suoi termini, ed è indicato con
Termine
deg(p). Termine noto
Polinomio nullo
L’insieme dei polinomi in una variabile (ad esempio, x) con coefficienti
Grado
in un insieme (ad esempio, I) è indicato con
deg(·)
I[x] , I[·]

e, se le variabili sono più di una (ad esempio, x1 , x2 , . . . , xn ), con


I[x1 , x2 , . . . , xn ] .
L’insieme dei polinomi con grado minore o uguale a m è indicato con I6· [·]

I6m[x] o I6m[x1 , x2 , . . . , xn ]
(a seconda delle variabili).
Esempio 5.20. 1. Il polinomio 8x3 + 15x2 − x + 2 nella variabile x
è formato da quattro termini: i monomi 8x3 , 15x2 , −x e 2. Ha
grado 3, infatti il termine di grado massimo è 8x3 . Se pensiamo i
coefficienti in Z, il polinomio appartiene all’insieme Z[x]; se invece
li pensiamo in R, esso appartiene all’insieme R[x].

2. Il polinomio 21 a4 b5 − 3a6 b nelle variabili a e b è formato da due

termini: i monomi 21 a4 b5 e − 3a6 b. Ha grado 9, infatti il termine

di grado massimo è 21 a4 b5 . Un coefficiente non appartiene a Q ◮, ◮ 3.
quindi il polinomio non appartiene all’insieme Q[a, b]; invece, visto
che tutti i coefficienti appartengono ad R, il polinomio appartiene
all’insieme R[a, b].
3. Il polinomio x4 yz 3 −xyz 5 +2z 3 può essere visto come un polinomio Nella penultima colonna abbiamo indica-
to il termine di grado massimo, nell’ultima
in modi diversi a seconda di quali lettere scegliamo come variabili. l’insieme a cui appartengono i polinomi, se
pensiamo i coefficienti come numeri reali.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 5. Polinomi 5–7

Variabili Polinomio Termini Grado Insieme



x, y, z x4 yz 3 − xyz 5+ 2z 3 x4 yz 3 , −xyz 5 , 2z 3 8 = deg −x4 yz 3 R[x, y, z]
x, y z 3 x4 y − z 5 xy
+ 2z 3 z 3 x4 y, −z 5 xy, 2z 3 5 = deg z 3 x4 y R[x, y]
x, z yx z − yxz + 2z 3
4 3 5 yx4 z 3 , −yxz 5 , 2z 3 7 = deg yx4 z 3  R[x, z]
y, z −xyz 5 + x4 yz 3 + 2z 3 −xyz 5 , x4 yz 3 , 2z 3 6 = deg −xyz 5 R[y, z]
x yz 3 x4 − yz 5 x + 2z 3 yz 3 x4 , −yz 5x, 2z 3 4 = deg yz 3 x4  R[x]
y x4 z 3 − xz 5 y + 2z 
3 x4 z 3 − xz 5 y, 2z
3 1 = deg (x4 z 3 − xz 5 )y R[y]
z −xyz 5 + x4 y + 2 z 3 −xyz 5 , x4 y + 2 z 3 5 = deg −xyz 5  R[z]
x4 yz 3 − xyz 5 + 2z 3 x4 yz 3 − xyz 5 + 2z 3 0 = deg x4 yz 3 − xyz 5 + 2z 3 qualsiasi
4. Il polinomio nullo 0 è formato da un solo termine (il monomio
nullo) e ha grado −∞. Esso può essere pensato come un polinomio
rispetto a qualsiasi insieme di variabili.
Notazione 5.21. Oltre ad usare una semplice lettera (ad esempio, p),
se vogliamo indicare esplicitamente le variabili, utilizziamo
p (a1 , a2 , . . . , an ) .
Sostituendo numeri α1 , α2 , . . . , αn alle variabili, indicheremo con p (α1 , α2 , . . . , αn )
il risultato.
Osservazione 5.22. • L’ordine dei monomi nella somma non è ri-
levante.
• Può succedere che sostituendo numeri α1 , α2 , . . . , αn alle variabili
di un polinomio p (a1 , a2 , . . . , an ) otteniamo 0, ossia p (α1 , α2 , . . . , αn ) =
0. Al contrario di quanto succede per i monomi di grado positivo ◮, ◮ Osservazione 5.7.
ciò può succedere anche con valori non nulli dei numeri α∗ .
Esempio 5.23. 1. Sostituendo il numero −2 alla variabile x del po-
linomio p(x) = 8x3 + 15x2 − x + 2 dell’Esempio 5.20-1 otteniamo
p(−2) = 8 · (−2)3 + 15 · (−2)2 − (−2) + 2 = −64 + 60 + 2 + 2 = 0.
√ √  √ 3
Sostituendo invece il numero 2 otteniamo p 2 = 8 · 2 +
√ 2 √ √ √ √
15 · 2 − 2 + 2 = 16 2 + 30 − 2 + 2 = 15 2 + 32.
2. Sostituendo i numeri 2 e 12 rispettivamente alle variabili a e b del

polinomio p(a, b) = 12 a4 b5 − 3a6 b dell’Esempio 5.20-2 otteniamo
 5 √ √
p 2, 21 = 21 · 24 · 12 − 3 · 26 · 12 = 14 − 32 3. Sostituendo invece
√ √  √ 4 √
i numeri 4 3 e −2 otteniamo p 4 3, −2 = 12 · 4 3 · (−2)5 − 3 ·

4
6
3 · (−2) = −48 + 18 = −30.
3. Consideriamo il polinomio p = x4 yz 3 − xyz 5 + 2z 3 dell’Esem- Abbiamo scelto per la variabile x (quan-
do è considerata una variabile) sempre il
pio 5.20-3. Sostituendo alle variabili alcuni numeri, abbiamo vari valore π, per la variabile y (quando è con-
casi a seconda di quali lettere stiamo considerando come variabili siderata una variabile) sempre il valore 3,
e quali come costanti. e per la variabile z (quando è considerata
una variabile) sempre il valore −2.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 5. Polinomi 5–8

Variabili Polinomio Numeri Risultato


x, y, z p(x, y, z) π, 3, −2 p(π, 3, −2) = π 4 · 3 · (−2)3 − π · 3 · (−2)5 + 2 · (−2)3 =
= −24π 4 + 96π − 16 
x, y p(x, y) π, 3 p(π, 3) = z 3 · π 4 · 3 − z 5 · π · 3 + 2z 3 = −3πz 5 + 3π 4 + 2 z 3
x, z p(x, z) π, −2 p(π, −2) = y · π 4 · (−2)3 − y · π · (−2)5 + 2 · (−2)3 =
= −8π 3 + 32 πy − 16
y, z p(y, z) 3, −2 p(3, −2) = −x · 3 · (−2)5 + x4 · 3 · (−2)3 + 2 · (−2)3 =
= −24x4 + 96x − 16
x p(x) π p(π) = yz 3 · π 4 − yz5 · π + 2 · π 3 = −πyz 5 + π 4 yz 3 + 2π 3
y p(y) 3 p(3) = x4 z 3 − xz 5 · 3 + 2z 3 = 3x4 z 3 − 3xz 5 + 2z 3
z p(z) −2 p(−2) = −xy · (−2)5 + x4 y + 2 · (−2)3 =
= −8x4 y + 32xy − 16
p() p() = x4 yz 3 − xyz 5 + 2z 3
4. Qualsiasi valore sostituiamo alle variabili del polinomio nullo p =
0, che può essere pensato come un polinomio rispetto a qualsiasi
insieme di variabili ◮, otteniamo sempre 0. ◮ Esempio 5.20-4.

Notazione 5.24. Se al polinomio p (a1 , a2 , . . . , an ) manca un termine Questa è una finezza, ma, strettamente
parlando, il polinomio p(x) = 2x2 − 3 non
di grado k 6 deg(p), nelle variabili a1 , a2 , . . . , an , questo termine sarà ha il termine con parte letterale x: con
considerato contenuto nel polinomio con coefficiente 0. questa notazione possiamo dire che il po-
linomio p(x) contiene il termine con parte
Definizione 5.25. La somma di due polinomi, p1 e p2 , è il polinomio letterale x con coefficiente 0.
p1 + p2 ottenuto sommando i monomi di p1 e p2 . ◮ ◮ Somma di polinomi
Per ricorrenza, la somma di k polinomi p1 , p2 , . . . , pk , con k > 2, è ◮ Se ci sono monomi simili, la somma viene

ottenuta facendo la somma dei primi k − 1 polinomi, e poi facendo la fatta utilizzando la Definizione 5.17.

somma del risultato e dell’ultimo polinomio, pk .


Osservazione 5.26. Dalla definizione segue subito che il grado del- Può essere minore perché i termini di gra-
do massimo si potrebbero elidere, come
la somma di polinomi è minore o uguale al massimo grado dei singoli vedremo nell’esempio sotto.
polinomi.
Esempio 5.27. 1. La somma dei due polinomi p1 = 5x4 −x3 +3x−1
e p2 = 3x3 + x − 4 è
p1 +p2 = 5x4 +(−1+3)x3 +(3+1)x+(−1−4) = 5x4 +2x3 +4x−5.
Abbiamo deg (p1 ) = 4, deg (p2 ) = 3 e deg (p1 + p2 ) = 4, quindi
deg (p1 + p2 ) è minore o uguale al massimo grado dei due polinomi,
ossia deg (p1 ).

2. La somma dei due polinomi p1 = a3 b2 +2a2 b−3b2 e p2 = 2a3 b2 +
a2 b − 5b è
 √   √ 
p1 +p2 = 1 + 2 a3 b2 +(2+1)a2 b−3b2 −5b = 1 + 2 a3 b2 +3a2 b−3b2 −5b.

Abbiamo deg (p1 ) = 5, deg (p2 ) = 5 e deg (p1 + p2 ) = 5, quindi


deg (p1 + p2 ) è minore o uguale al massimo grado dei due polinomi,
ossia deg (p1 ) = deg (p2 ).
3. La somma dei due polinomi p1 = −3x2 − x + 1 e p2 = 3x2 + 4x + 7 In questo caso il grado della somma è
minore di quello degli addendi.
è
p1 + p2 = (−3 + 3)x2 + (−1 + 4)x + (1 + 7) = 3x + 8.

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Lezione 5. Polinomi 5–9

Abbiamo deg (p1 ) = deg (p2 ) = 2 ma deg (p1 + p2 ) = 1: comunque


sia, abbiamo sempre che deg (p1 + p2 ) è minore o uguale al massimo
grado dei due polinomi, ossia deg (p1 ) = deg (p2 ).
4. La somma di un qualsiasi polinomio p1 con il polinomio nullo p2 =

p1 + p2 = p1 + 0 = p1 ,
infatti non sommiamo nessun termine ai termini di p1 . Abbiamo
deg (p1 ) = deg (p1 + p2 ) e deg (p2 ) = −∞: comunque sia, abbiamo
sempre che deg (p1 + p2 ) è minore o uguale al massimo grado dei
due polinomi, ossia deg (p1 ). Stipuliamo che −∞ < n per tutti gli n ∈
N.
5. La somma dei tre polinomi p1 = x4 + 2x3 − 1, p2 = x5 − x3 + 4 e
p3 = 3x4 + 5x3 + 2x2 è
p1 +p2 +p3 = x5 +(1+3)x4 +(2−1+5)x3 +2x2 +(−1+4) = x5 +4x4 +6x3 +2x2 +3.
Abbiamo deg (p1 ) = 4, deg (p2 ) = 5, deg (p3 ) = 4 e deg (p1 + p2 + p3 ) =
5, quindi deg (p1 + p2 + p3 ) è minore o uguale al massimo grado dei
tre polinomi, ossia deg (p2 ).
Definizione 5.28. La sottrazione da un polinomio p1 di un polinomio Sottrazione di polinomi
p2 , è il polinomio p1 − p2 ottenuto sommando i monomi di p1 con i La vera definizione sarebbe quella di tro-
monomi di p2 , cambiati di segno. ◮ vare un polinomio q (che è indicato con
p1 − p2 ) tale che p1 = p2 + q. Questo non
Esempio 5.29. Consideriamo i primi quattro punti dell’Esempio 5.27, può essere fatto sempre: ad esempio, se
consideriamo i polinomi in N[x], non pos-
e facciamo le sottrazioni p1 − p2 . siamo fare la sottrazione di 5x da 3x. Per i
 polinomi che vedremo potremo sempre fare
1. 5x4 − x3 + 3x − 1 − 3x3 + x − 4 = 5x4 + (−1 − 3)x3 + (3 − 1)x +
la sottrazione.
(−1 + 4) = 5x4 − 4x3 + 2x + 3. ◮ Se ci sono monomi simili, la somma viene
√ 3 2  √  fatta utilizzando la Definizione 5.17.
2. a3 b2 + 2a2 b − 3b2 − 2a b + a2 b − 5b = 1 − 2 a3 b2 + (2 −
√ 
1)a2 b − 3b2 + 5b = 1 − 2 a3 b2 + a2 b − 3b2 + 5b.

3. −3x2 − x + 1 − 3x2 + 4x + 7 = (−3 − 3)x2 + (−1 − 4)x + (1 − 7) =
−6x2 − 5x − 6.
4. p1 − 0 = p1 per ogni p1 .
Definizione 5.30. Il prodotto di due polinomi, p1 e p2 , è il polinomio Prodotto di polinomi
p1 ·p2 ottenuto sommando i prodotti di ciascun monomio di p1 con ciascun La moltiplicazione di polinomi può es-
monomio di p2 . ◮ sere pensata come un’applicazione della
proprietà distributiva della moltiplicazione
Per ricorrenza, il prodotto di k polinomi p1 , p2 , . . . , pk , con k > 2, è rispetto all’addizione.
ottenuto facendo il prodotto dei primi k − 1 polinomi, e poi facendo il Se non ci sono ambiguità o se non abbia-
prodotto del risultato e dell’ultimo polinomio. mo bisogno di focalizzare l’attenzione sul
prodotto ometteremo il simbolo “ ·”.
Osservazione 5.31. Non è difficile dimostrare (ma evitiamo di farlo ◮ Se ci sono monomi simili, la somma viene
perché la dimostrazione è troppo tecnica) che il grado del prodotto di fatta utilizzando la Definizione 5.17.
polinomi è la somma dei gradi dei singoli polinomi: Come per i monomi, se uno dei monomi è
! nullo, dobbiamo fare la somma di qualcosa
Yk Xk con −∞: in questo caso, definiamo la som-
deg pi = deg (pi ) . ma −∞. Ciò è coerente con il fatto che se
uno dei polinomi è 0 anche il prodotto è 0,
i=1 i=1 e quindi ha grado −∞.

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Lezione 5. Polinomi 5–10

Esempio 5.32. 1. Il prodotto tra i polinomi p1 = x2 + 3x − 2 e


p2 = −x + 7 è

p1 · p2 = x2 + 3x − 2 · (−x + 7) =
= x2 · (−x) + 3x · (−x) + (−2) · (−x) + x2 · 7 + 3x · 7 + (−2) · 7 =
= −x3 − 3x2 + 2x + 7x2 + 21x − 14 =
= −x3 + 4x2 + 23x − 14.
Abbiamo che deg (p1 ) = 2, deg (p2 ) = 1 e deg (p1 · p2 ) = 3, quindi
deg (p1 · p2 ) = deg (p1 ) + deg (p2 ).
2. Il prodotto tra i polinomi p1 = ab2 + 1 e p2 = a2 − b è
 
p1 · p2 = ab2 + 1 · a2 − b =
= ab2 · a2 + 1 · a2 + ab2 · (−b) + 1 · (−b) =
= a3 b2 + a2 − ab3 − b.
Abbiamo che deg (p1 ) = 3, deg (p2 ) = 2 e deg (p1 · p2 ) = 5, quindi
deg (p1 · p2 ) = deg (p1 ) + deg (p2 ).
3. Il prodotto tra i polinomi p1 = x3 − 1, p2 = 2x4 − x e p3 = 3x − 1
è
 
p1 · p2 · p3 = x3 − 1 · 2x4 − x · (3x − 1) =

= x3 · 2x4 + (−1) · 2x4 + x3 · (−x) + (−1) · (−x) · (3x − 1) =

= 2x7 − 3x4 + x · (3x − 1) =
 
= 2x7 · 3x + −3x4 · 3x + x · 3x + 2x7 · (−1) + −3x4 · (−1) + x · (−1) =
= 6x8 − 2x7 − 9x5 + 3x4 + 3x2 − x.
Abbiamo che deg (p1 ) = 3, deg (p2 ) = 4, deg (p2 ) = 1 e deg (p1 · p2 ) =
8, quindi deg (p1 · p2 ) = deg (p1 ) + deg (p2 ) + deg (p3 ).

5.2 Polinomi in una variabile


In questa sezione avremo bisogno di fare sottrazioni e divisioni con i Qualcosa di ciò che diremo vale, con op-
portune restrizioni, anche per polinomi su
coefficienti, quindi consideriamo solo polinomi su numeri su cui ciò può un qualsiasi tipo di numeri, ma per non
essere fatto: ad esempio, Q, R, C. appesantire la trattazione ci limitiamo so-
lo ai polinomi su numeri su cui si può fare
Definizione 5.33. Un polinomio di grado n dipendente da una sola la sottrazione e la divisione.
variabile x ◮ è detto in una variabile e ha la forma ◮ La variabile non deve essere necessaria-
mente x: è possibile scegliere una variabile
p(x) = an xn + an−1 xn−1 + · · · + a1 x + a0 , qualsiasi.
◮ Non tutti i coefficienti ai , con 0 6

◮.
con an 6= 0 ◮ i < n, sono necessariamente diversi da 0
(Notazione 5.24).
Definizione 5.34. Dati due polinomi in una variabile p(x) e d(x), nella Divisione tra polinomi
stessa variabile, con deg(d) 6 deg(p) e d(x) diverso dal polinomio nullo, Funziona come la divisione tra interi, non
la divisione di p(x) per d(x) consiste nel trovare due polinomi q(x) e come la divisione tra numeri reali.
r(x) ◮, con deg(r) < deg(d), tali che ◮ Sempre nella stessa variabile.

p(x) = q(x) · d(x) + r(x).


I polinomi p(x), d(x), q(x), r(x) sono detti rispettivamente dividendo, Dividendo, divisore, quoziente, resto
divisore, quoziente, resto.
Il polinomio p(x) è detto divisibile per il polinomio d(x) se il resto Divisibilità

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Lezione 5. Polinomi 5–11

r(x) della divisione di p(x) per d(x) è 0, ossia si ha


p(x) = q(x) · d(x).
Esempio 5.35. 1. Facendo la divisione del polinomio dividendo Per ora non sappiamo trovare il quoziente e
il resto, ma sappiamo verificare che quelli
p(x) = 2x − 3x4 + 9x3 + 2x + 14 per il polinomio divisore d(x) =
5
dati sono effettivamente il quoziente e il
x2 −x+3 otteniamo il polinomio quoziente q(x) = 2x3 −x2 +2x+5 resto.
e il polinomio resto r(x) = x − 1, infatti abbiamo
 
2x3 − x2 + 2x + 5 · x2 − x + 3 +(x−1) = 2x5 −3x4 +9x3 +2x+14.
Il polinomio 2x5 −3x4 +9x3 +2x+14 non è divisibile per x2 −x+3,
perché il resto non è 0.
2. Facendo la divisione del polinomio dividendo p(x) = 2x3 − 32 x2 −
4x+3 per il polinomio divisore d(x) = 4x−3 otteniamo il polinomio
quoziente q(x) = 12 x2 − 1 e il polinomio resto r(x) = 0, infatti
abbiamo
 
1 2 3
x − 1 · (4x − 3) + 0 = 2x3 − x2 − 4x + 3.
2 2
In questo caso abbiamo che 2x3 − 23 x2 − 4x + 3 è divisibile per
4x − 3, perché il resto è 0.
Algoritmo 5.36 (Divisione tra polinomi). Dati due polinomi in una Algoritmo di divisione tra polinomi
variabile p(x) = pn xn + pn−1 xn−1 + · · · + p1 x + p0 e d(x) = dm xm +
dm−1 xm−1 + · · · + d1 x + d0 , nella stessa variabile, con deg(d) 6 deg(p),
ossia m 6 n, e d(x) diverso dal polinomio nullo, i passi da effettuare
sono gli stessi dell’algoritmo di divisione per i numeri naturali.
1. Si scrivono i due polinomi p(x) e d(x), scrivendo esplicitamente
anche i termini di p(x) con coefficiente nullo.

pn xn +pn−1 xn−1 +pn−2 xn−2 +··· dm xm + dm−1 xm−1 + · · ·

Nella casella in basso a destra alla fine si troverà il quoziente della


divisione.
2. Si divide il termine di grado massimo di p(x), ossia pn xn , per il
termine di grado massimo di d(x), ossia dm xm , ottenendo il termine
qn−mxn−m = dpm n n−m
x , e si scrive il monomio trovato nella casella
in basso a destra.

pn x n +pn−1 xn−1 +pn−2 xn−2 +··· dm xm + dm−1 xm−1 + · · ·


pn n−m
dm
x

3. Si moltiplica il termine trovato per il polinomio d(x) e si scrive


il risultato sotto p(x), incolonnando ogni termine sotto il termine
con lo stesso grado.

pn xn +pn−1 xn−1 +pn−2 xn−2 +··· dm xm + dm−1 xm−1 + · · ·


dm dpm
n
xn +dm−1 dpm
n
xn−1 +dm−2 dpm
n
xn−2 +··· pn n−m
dm
x

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Lezione 5. Polinomi 5–12

4. Si sottrae il polinomio trovato da p(x).

pn x n +pn−1 xn−1 +pn−2 xn−2 +··· dm xm + dm−1 xm−1 + · · ·


dm dpm
n
xn +dm−1 dpmn
xn−1 +dm−2 dpmn
xn−2 +··· pn n−m
dm x
    
pn−1 − dm−1 dpm
n
xn−1 + pn−2 − dm−2 dpm
n
xn−2 +···

5. Se il grado del polinomio trovato è maggiore o uguale al grado di


d(x), ossia m, si torna al Passo 2 considerando il polinomio appena
trovato invece del polinomio p(x) (il monomio che si troverà andrà
aggiunto al monomio o ai monomi già scritti nella casella in basso a
destra). Quando il grado del polinomio trovato è minore del grado
di d(x), ossia m, l’algoritmo finisce: l’ultimo polinomio trovato
nella casella a sinistra è il resto della divisione.

pn xn +pn−1 xn−1 +pn−2 xn−2 +··· dm xm + dm−1 xm−1 + · · ·


dm dpm
n
xn +dm−1 dpmn
xn−1 +dm−2 dpmn
xn−2 +··· q(x)
    
pn−1 − dm−1 dpm
n
xn−1 + pn−2 − dm−2 dpm
n
xn−2 +···
..
.
r(x)

Esempio 5.37. 1. L’algoritmo di divisione tra polinomi applicato ai


polinomi p(x) = 2x5 − 3x4 + 9x3 + 2x + 14 e d(x) = x2 − x + 3
dell’Esempio 5.35-1, si compone dei seguenti passi.
Scriviamo i due polinomi p(x) e d(x), scrivendo esplicitamente
anche i termini di p(x) con coefficiente nullo.

2x5 −3x4 +9x3 +0x2 +2x +14 x2 − x + 3

Dividiamo 2x5 per x2 ottenendo il termine 2x3 .

2x5 −3x4 +9x3 +0x2 +2x +14 x2 − x + 3


2x3

Moltiplichiamo il termine trovato, 2x3 , per il polinomio x2 − x + 3


e scriviamo il risultato sotto p(x), incolonnando ogni termine sotto
il termine con lo stesso grado.

2x5 −3x4 +9x3 +0x2 +2x +14 x2 − x + 3


2x5 −2x4 +6x3 2x3

Sottraiamo il polinomio trovato da p(x).

2x5 −3x4 +9x3 +0x2 +2x +14 x2 − x + 3


2x5 −2x4 +6x3 2x3

−x4 +3x3 +0x2 +2x +14

Ripetiamo i passi appena fatti utilizzando il polinomio −x4 +3x3 +


2x + 14 invece di p(x): dividiamo −x4 per x2 ottenendo −x2 ,
moltiplichiamo −x2 per x2 − x + 3, scriviamo il risultato sotto

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Lezione 5. Polinomi 5–13

−x4 + 3x3 + 2x + 14, e sottraiamo il polinomio trovato da −x4 +


3x3 + 2x + 14.
2x5 −3x4 +9x3 +0x2 +2x +14 x2 − x + 3
2x5 −2x4 +6x3 2x3 − x2

−x4 +3x3 +0x2 +2x +14
−x4 +x3 −3x2

2x3 +3x2 +2x +14

Ripetiamo i passi appena fatti utilizzando il polinomio 2x3 + 3x2 +


2x + 14: dividiamo 2x3 per x2 ottenendo 2x, moltiplichiamo 2x
per x2 − x + 3, scriviamo il risultato sotto 2x3 + 3x2 + 2x + 14, e
sottraiamo il polinomio trovato da 2x3 + 3x2 + 2x + 14.
2x5 −3x4 +9x3 +0x2 +2x +14 x2 − x + 3
2x5 −2x4 +6x3 2x3 − x2 + 2x

−x4 +3x3 +0x2 +2x +14
−x4 +x3 −3x2

2x3 +3x2 +2x +14
2x3 −2x2 +6x

5x2 −4x +14

Ripetiamo i passi appena fatti utilizzando il polinomio 5x2 −4x+14:


dividiamo 5x2 per x2 ottenendo 5, moltiplichiamo 5 per x2 − x + 3,
scriviamo il risultato sotto 5x2 − 4x + 14, e sottraiamo il polinomio
trovato da 5x2 − 4x + 14.
2x5 −3x4 +9x3 +0x2 +2x +14 x2 − x + 3
2x5 −2x4 +6x3 2x3 − x2 + 2x + 5

−x4 +3x3 +0x2 +2x +14
−x4 +x3 −3x2

2x3 +3x2 +2x +14
2x3 −2x2 +6x

5x2 −4x +14
5x2 −5x +15

x −1

Abbiamo trovato un polinomio di grado minore del grado del di-


visore (1 < 2), quindi l’algoritmo finisce. Nella casella in basso
a destra abbiamo il quoziente della divisione, 2x3 − x2 + 4x + 5,
mentre l’ultimo polinomio trovato nella casella a sinistra, x − 1, è
il resto della divisione.
2x5 −3x4 +9x3 +0x2 +2x +14 x2 − x + 3
2x5 −2x4 +6x3 2x3 − x2 + 2x + 5

−x4 +3x3 +0x2 +2x +14
−x4 +x3 −3x2

2x3 +3x2 +2x +14
2x3 −2x2 +6x

5x2 −4x +14
5x2 −5x +15

x −1

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Lezione 5. Polinomi 5–14

2. L’algoritmo di divisione tra polinomi applicato ai polinomi p(x) =


2x3 − 32 x2 − 4x + 3 e d(x) = 4x − 3 dell’Esempio 5.35-2, si compone
dei seguenti passi.
Scriviamo i due polinomi p(x) e d(x).

2x3 − 23 x2 −4x +3 4x − 3

Dividiamo 2x3 per 4x ottenendo 21 x2 , moltiplichiamo 21 x2 per 4x −


3, scriviamo il risultato sotto 2x3 − 32 x2 − 4x + 3, e sottraiamo il
polinomio trovato da 2x3 − 23 x2 − 4x + 3.

2x3 − 23 x2 −4x +3 4x − 3
2x3 − 32 x2 1 2
x
  2
−4x +3

Ripetiamo i passi appena fatti utilizzando il polinomio −4x + 3:


dividiamo −4x per 4x ottenendo −1, moltiplichiamo −1 per 4x −
3, scriviamo il risultato sotto −4x + 3, e sottraiamo il polinomio
trovato da −4x + 3.
2x3 − 23 x2 −4x +3 4x − 3
3 2 1 2
2x3 2x 2x − 1
 
−4x +3
−4x +3
 

Nella casella in basso a destra abbiamo il quoziente della divisione,


1 2
2 x − 1, mentre nella casella a sinistra si annulla tutto, quindi
l’ultimo polinomio trovato, 0, è il resto della divisione.

2x3 − 23 x2 −4x +3 4x − 3
3 2 1 2
2x3 2x x −1
  2
−4x +3
−4x +3

0

Proposizione 5.38. Dati due polinomi in una variabile p(x) e d(x),


nella stessa variabile, con deg(d) 6 deg(p) e d(x) diverso dal polinomio
nullo, la divisione di p(x) per d(x) può essere fatta e il suo risultato, il
quoziente q(x) e il resto r(x), è univocamente determinato.
◮ In questa situazione abbiamo una sola va-
Non daremo la dimostrazione di questa proposizione. riabile, x: la lettera α non rappresenta una
variabile, bensì rappresenta un numero ar-
Un caso particolare è quello in cui il divisore è un polinomio di grado bitrario, e il polinomio è in una variabile.
1, ossia è della forma x − α con α costante. ◮ Ad esempio, x − 1, x + 3, x − 0 = x.

Teorema 5.39 (del resto). Il resto della divisione di un polinomio in Teorema del resto
una variabile p(x) per un polinomio d(x) = x − α, con α costante, è
uguale a p(α).
Dimostrazione. Facendo la divisione di p(x) per x − α otteniamo
p(x) = q(x) · (x − α) + r(x),

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Versione 1.0
Lezione 5. Polinomi 5–15

con deg(r) < 1, ossia r(x) è formato solo dal termine noto r(x) = r0 .
Inoltre, abbiamo
p(α) = q(α) · (α − α) + r(α) = q(α) · 0 + r0 = r0 .
La dimostrazione è completa.
Definizione 5.40. Dato un polinomio in una variabile p(x), un numero Zero di un polinomio
α è detto zero di p(x) se
p(α) = 0,
ossia se, sostituendolo alla variabile, si ottiene 0, ossia se α è una solu-
zione dell’equazione p(x) = 0.
Esempio 5.41. 1. Consideriamo il polinomio p(x) = x3 −2x2 −x+2. Per ora, non possiamo dire se il polinomio
x3 −2x2 −x+2 ha altri zeri: sappiamo solo
I numeri 1, −1 e 2 sono zeri di p(x), infatti abbiamo rispettivamente che ±1 e 2 sono zeri. Vedremo tra poco che
p(1) = 0, p(−1) = 0 e p(2) = 0. I numeri 0 e −2 non sono zeri di non ce ne sono altri.
p(x), infatti abbiamo rispettivamente p(0) = 2 e p(−2) = −12.
2. Consideriamo il polinomio p(x) = x3 − 5x2 + 3x + 9. I numeri −1 Anche qui non possiamo dire se il polino-
mio x3 − 5x2 + 3x + 9 ha altri zeri: sappia-
e 3 sono zeri di p(x), infatti
√ abbiamo rispettivamente p(−1) = 0 e mo solo che −1 e 3 sono zeri. Vedremo tra
p(3) = 0. I numeri 1 e 2 non √ sono
 zeri
√ di p(x), infatti abbiamo poco che non ce ne sono altri.

rispettivamente p(1) = 8 e p 2 = 5 2 − 1 ◮. ◮ Che non è 0, altrimenti avremmo 2 =
1
5
∈ Q.
3. Consideriamo il polinomio p(x) = 2x3 −x2 . I numeri 0 e 12 sono zeri
Questa volta possiamo dire che il polino-
di p(x), infatti abbiamo rispettivamente p(0) = 0 e p 12 = 0. I mio 2x3 − x2 non ha altri zeri. Infatti,
numeri 1 e 2 non sono zeri di p(x), infatti abbiamo rispettivamente l’equazione 2x3 − x2 = 0 può essere riscrit-
ta come x2 (2x − 1) = 0; un prodotto di
p(1) = 1 e p(2) = 12. due numeri è nullo se e solo se almeno uno
di essi è nullo, cosicché abbiamo x2 = 0 o
4. Il polinomio p(x) = x2 + 1 non ha zeri reali ◮
◮, ma ne ha complessi:
2x − 1 = 0, quindi le uniche soluzioni sono
i numeri i e −i sono zeri di p(x), infatti abbiamo rispettivamente x = 0 e x = 12 .
p(i) = 0 e p(−i) = 0. ◮ x2 + |{z}
◮ |{z} 1 > 0.
>0 >0
Teorema 5.42 (Ruffini). Dato un polinomio in una variabile p(x), un
Teorema di Ruffini
numero α è uno zero di p(x) se e solo se p(x) è divisibile per x − α.
Dimostrazione. Per il Teorema del resto ◮ abbiamo che p(α) = 0 se e ◮ Teorema 5.39.
solo se il resto della divisione di p(x) per x − α è 0. Ciò significa che p(x)
è divisibile per x − α ◮. ◮ Definizione 5.34.

Definizione 5.43. Siano p(x) un polinomio in una variabile e sia α un Molteplicità di uno zero di un
polinomio
suo zero. Il massimo esponente m tale che p(x) è divisibile per (x − α)m
è detto molteplicità di α. Per il Teorema di Ruffini p(x) è divisibile
almeno per (x − α)1 .
Esempio 5.44. Consideriamo i polinomi dell’Esempio 5.41.
1. Abbiamo p(x) = x3 − 2x2 − x + 2 = (x − 1)(x + 1)(x − 2) ◮: ◮ Vedremo tra poco come abbiamo scritto il
polinomio x3 − 2x2 − x + 2 come prodotto
• p(x) è divisibile per x − 1 e lo zero x = 1 ha molteplicità 1, di polinomi di grado 1.
• p(x) è divisibile per x + 1 e lo zero x = −1 ha molteplicità 1,
• p(x) è divisibile per x − 2 e lo zero x = 2 ha molteplicità 1.
2. Abbiamo p(x) = x3 − 5x2 + 3x + 9 = (x + 1)(x − 3)2 ◮: ◮ Vedremo tra poco come abbiamo scritto il
polinomio x3 − 5x2 + 3x + 9 come prodotto
• p(x) è divisibile per x + 1 e lo zero x = −1 ha molteplicità 1, di polinomi di grado 1.
• p(x) è divisibile per (x − 3)2 e lo zero x = 3 ha molteplicità
2.

3. Abbiamo p(x) = 2x3 − x2 = 2x2 x − 12 :

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Versione 1.0
Lezione 5. Polinomi 5–16

• p(x) è divisibile per x2 e lo zero x = 0 ha molteplicità 2,


• p(x) è divisibile per x − 12 e lo zero x = 12 ha molteplicità 1.
4. Abbiamo p(x) = x2 + 1 = (x − i)(x + i):
• p(x) è divisibile per (x − i) e lo zero complesso x = i ha
molteplicità 1,
• p(x) è divisibile per (x + i) e lo zero complesso x = −i ha
molteplicità 1.
Corollario 5.45. Un polinomio in una variabile p(x) di grado n ha al Nell’enunciato non abbiamo scritto che un
polinomio di grado n ha “esattamente” n
più n zeri, contati ciascuno con la sua molteplicità, ossia, se gli zeri sono zeri, infatti il numero di zeri può cambiare
α1 , α2 , . . . , αk , rispettivamente con molteplicità m1 , m2 , . . . , mk , si ha a seconda dell’insieme a cui appartiene la
k variabile. Ad esempio, il polinomio x2 + 1
X dell’Esempio 5.41-4 non ha zeri se l’insieme
mi 6 deg(p). a cui appartiene la variabile è R, mentre ha
i=1 due zeri, ±i, se l’insieme a cui appartiene
la variabile è C.
Dimostrazione. Per definizione abbiamo che p(x) è divisibile per (x − αi )mi
per ogni i = 1, 2, . . . , k, ossia abbiamo
p(x) = q(x) (x − α1 )m1 (x − α2 )m2 · · · (x − αk )mk .
Pk
Per l’Osservazione 5.31, abbiamo che deg(p) = deg(q) + i=1 mi , e
P
quindi che deg(p) > ki=1 mi .
Esempio 5.46. 1. Nell’Esempio 5.44 abbiamo calcolato le moltepli-
cità degli zeri di alcuni polinomi. In tutti i casi abbiamo che la
somma delle loro molteplicità è uguale al grado del polinomio: 3
nei primi tre casi e 2 nell’ultimo. Quindi in tutti i casi non ci può
essere nessun altro zero.

2. Consideriamo il polinomio p(x) = x3 + x = x x2 + 1 . Se lo
pensiamo come un polinomio a coefficienti reali, ha solo lo zero 0
con molteplicità uno, quindi la somma delle molteplicità degli zeri
è uno, ed è minore o uguale al grado del polinomio, che è tre. Se
invece lo pensiamo come un polinomio a coefficienti complessi, ha
tre zeri, 0, i e −i, tutti con molteplicità uno, quindi la somma
delle molteplicità degli zeri è tre, ed è minore o uguale al grado del
polinomio, che è tre. Quindi non ci può essere nessun altro zero.
Il problema della ricerca degli zeri dei polinomi è molto complicato. È stato dimostrato che non esiste una for-
mula che utilizza solo radici per trovare
In un caso particolare è però possibile trovare alcuni zeri in un modo mol- tutti gli zeri di tutti i polinomi: esiste solo
to semplice: ora mostriamo come trovare gli zeri razionali dei polinomi per i polinomi di grado al più 4.
con coefficienti interi.
Proposizione 5.47. Dato un polinomio in una variabile Questa proposizione ha a che fare solo con
n n−1 gli zeri razionali: non dice niente su quelli
p(x) = an x + an−1 x + · · · + a1 x + a0 irrazionali.
a coefficienti interi ◮, se esso ha uno zero razionale x ∈ Q allora si ha ◮ Ossia ai ∈ Z per ogni i = 0, 1, 2, . . . , n.
x = cb , con b che divide a0 e c che divide an .
Non daremo la dimostrazione di questa proposizione.
Esempio 5.48. 1. Gli zeri razionali del polinomio p(x) = 3x4 −
3 2
14x + 24x − 18x + 5, che ha coefficienti interi, sono della for-
ma bc con b che divide 5 e c che divide 3. I divisori di 5 sono ±1
e ±5, mentre i divisori di 3 sono ±1 e ±3. Abbiamo quindi 8
candidati che controlliamo, uno per uno, sostituendoli in p(x).

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 5. Polinomi 5–17

b
c Sostituzione È zero?
1
1 p(1) = 3 · 14 − 14 · 13 + 24 · 12 − 18 · 1 + 5 = 0 Sì
1
−1 p(−1) = 3(−1)4 − 14(−1)3 + 24(−1)2 − 18(−1) + 5 = 64 No
5
1 p(5) = 3 · 54 − 14 · 53 + 24 · 52 − 18 · 5 + 5 = 640 No
− 51 p(−5) = 3(−5)4 − 14(−5)3 + 24(−5)2 − 18(−5) + 5 = 4320 No
1
 4 3 2 
3 p 31 = 3 13 − 14 13 + 24 13 − 18 13 + 5 = 27 32
No
  4  3  2 
− 31 p − 13 = 3 − 13 − 14 − 13 + 24 − 31 − 18 − 13 + 5 = 128 9 No
5
 4 3 2 
3 p 35 = 3 53 − 14 53 + 24 53 − 18 53 + 5 = 0 Sì
 4 3 2 
− 53 p − 53 = 3 − 53 − 14 − 53 + 24 − 35 − 18 − 53 + 5 = − 512027 No

Quindi il polinomio p(x) = 3x4 − 14x3 + 24x2 − 18x + 5 ha due zeri


razionali, x = 1 e x = 35 . ◮ ◮ Non possiamo dire molto sulla loro molte-
plicità o su eventuali altri zeri: per il Corol-
2. Gli zeri razionali del polinomio p(x) = 2x3
+ 3x2
− 5x − 6, che ha lario 5.45 sappiamo che ci possono essere
b al più altri due zeri, e che la somma delle
coefficienti interi, sono della forma c con b che divide −6 e c che
molteplicità è al più 4.
divide 2. I divisori di −6 sono ±1, ±2, ±3 e ±6, mentre i divisori
di 2 sono ±1 e ±2. Abbiamo quindi 12 candidati che controlliamo, ◮ Ci saremmo potuti fermare al penultimo

candidato, 23 , perché sappiamo che un po-
uno per uno, sostituendoli in p(x). ◮

linomio di terzo grado ha al più tre zeri
(Corollario 5.45).

b
c Sostituzione È zero?
1
= 22
1 p(1) = 2 · 13 + 3 · 12 − 5 · 1 − 6 = −6 No
− 11 = − 22 p(−1) = 2(−1)3 + 3(−1)2 − 5(−1) − 6 = 0 Sì
2
1 p(2) = 2 · 23 + 3 · 22 − 5 · 2 − 6 = 12 No
− 21 p(−2) = 2(−2)3 + 3(−2)2 − 5(−2) − 6 = 0 Sì
3 6
1 = 2 p(3) = 2 · 33 + 3 · 32 − 5 · 3 − 6 = 60 No
− 31 = − 26 p(−3) = 2(−3)3 + 3(−3)2 − 5(−3) − 6 = −18 No
6
1 p(6) = 2 · 63 + 3 · 62 − 5 · 6 − 6 = 504 No
− 61 p(−6) = 2(−6)3 + 3(−6)2 − 5(−6) − 6 = −300 No
1
 3 2 
2 p 12 = 2 12 + 3 12 − 5 21 − 6 = − 15 No
 
1 3

1 2
 2
− 21 1
p − 2 = 2 − 2 + 3 − 2 − 5 − 2 − 6 = −3 1
No
3
 3 2 
2 p 32 = 2 32 + 3 32 − 5 23 − 6 = 0 Sì
 3 2 
− 32 p − 32 = 2 − 23 + 3 − 32 − 5 − 32 − 6 = 32 No

Quindi il polinomio p(x) = 2x3 + 3x2 − 5x − 6 ha tre zeri razionali,


x = −1, x = −2 e x = 23 . ◮ ◮ Hanno tutti molteplicità 1 e non ci so-
no altri zeri (irrazionali), perché un po-
linomio di terzo grado ha al più tre ze-
ri, contati ciascuno con la sua molteplicità
5.3 Numeri complessi (Corollario 5.45).

Un numero complesso z = a + bi può essere pensato come un polinomio


nella variabile i di grado al più uno. Un numero reale a può essere
pensato come un numero complesso, scrivendolo come a + 0i, ossia come
un polinomio di grado zero. Il coefficiente del termine di grado zero, a, Parte reale
è detto parte reale del numero complesso z. Il coefficiente del termine Parte immaginaria

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 5. Polinomi 5–18

di grado uno, b, è detto parte immaginaria del numero complesso z.


L’addizione di due numeri complessi si comporta come l’addizione di
polinomi:
z1 + z2 = (a1 + b1 i) + (a2 + b2 i) =
= (a1 + a2 ) + (b1 + b2 )i.
La moltiplicazione di due numeri complessi si comporta come la mol-
tiplicazione di polinomi, con la piccola differenza che abbiamo i2 =
−1:
z1 · z2 = (a1 + b1 i) · (a2 + b2 i) = a1 a2 + a1 b2 i + b1 a2 i + a2 b2 i2 = a1 a2 + a1 b2 i + b1 a2 i + a2 b2 (−1) =
= (a1 a2 − a2 b2 ) + (a1 b2 + b1 a2 )i.
Esempio 5.49. 1. La somma dei due numeri complessi 2+3i e 1+5i
è
(2 + 3i) + (1 + 5i) = (2 + 1) + (3 + 5)i = 3 + 8i.
√ √
La somma dei due numeri complessi π − 3i e 1 + 4 3i è
 √   √   √ √  √
π − 3i + 1 + 4 3i = (π + 1)+ − 3 + 4 3 i = (π + 1)+3 3i.

2. Il prodotto dei due numeri complessi 2 + 3i e 1 + 5i è


(2 + 3i) · (1 + 5i) = (2 · 1 − 3 · 5) + (2 · 5 + 3 · 1)i = −13 + 13i.
√ √
Il prodotto dei due numeri complessi π − 3i e 1 + 4 3i è
 √  √   √ √   √ √  √
π − 3i · 1 + 4 3i = π · 1 − (− 3) · 4 3 + π · 4 3 + (− 3) · 1 i = (π + 12)+(4π−1) 3i.
Studiamo ora gli zeri dei polinomi con coefficienti nell’insieme dei
numeri complessi, ossia i polinomi in C[x].
Teorema 5.50 (fondamentale dell’algebra). Ogni polinomio a coeffi- Teorema fondamentale dell’algebra
cienti complessi (ossia in C[x]) di grado n ha esattamente n zeri, contati Questo teorema migliora il risultato del
ciascuno con la sua molteplicità, ossia se gli zeri sono α1 , α2 , . . . , αk , Corollario 5.45, ma solo per i numeri
complessi.
rispettivamente con molteplicità m1 , m2 , . . . , mk , si ha
k
X
mi = deg(p).
i=1
La dimostrazione di questo teorema è difficile, quindi la omettiamo.
Esempio 5.51. Consideriamo l’Esempio 5.46.
1. Per i polinomi dell’Esempio 5.44 abbiamo che la somma delle mol-
teplicità degli zeri è uguale al grado del polinomio.

2. Per il polinomio p(x) = x3 + x = x x2 + 1 , che dobbiamo pensare Se pensiamo il polinomio a coefficienti rea-
li, non possiamo applicare il teorema: in-
a coefficienti complessi, abbiamo che la somma delle molteplicità fatti abbiamo che la somma delle moltepli-
degli zeri è tre ed è uguale al grado del polinomio, che è tre. cità degli zeri (c’è solo 0 con molteplicità
uno) è uno ed è strettamente minore del
Dato un numero complesso z = a + bi, il numero complesso a − bi è grado del polinomio (e quindi diversa da
detto coniugato di z, ed è indicato con esso), che è tre.
Coniugato
z.
·
I numeri reali sono gli unici numeri complessi che coincidono con il loro
coniugato. ◮ ◮ Infatti, a + bi = a − bi se e solo se 2bi = 0,
ossia b = 0.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 5. Polinomi 5–19

Esempio 5.52. 1. Il coniugato del numero complesso 2 + 3i è 2 − 3i.


√ √
Il coniugato del numero complesso −π − 2i è −π + 2i.
2. Il coniugato del numero reale 2 = 2 + 0i è il numero reale stesso,
2 = 2 − 0i.
Un polinomio a coefficienti reali, ossia in R[x], può essere pensato
come un polinomio a coefficienti complessi, quindi può avere anche zeri
complessi. Nel caso abbia zeri non reali, essi sono accoppiati, come
descritto nella seguente proposizione.
Proposizione 5.53. Se un polinomio a coefficienti reali (ossia in R[x])
ha uno zero complesso α, ha anche il suo coniugato α come zero.
Non daremo la dimostrazione di questa proposizione.
Esempio 5.54. Il polinomio x3 − 5x2 + 17x − 13 ha tre zeri, 1, 2 + 3i e
2 − 3i. ◮ Abbiamo uno zero reale, 1, che coincide con il suo coniugato, e ◮ Vedremo nella sezione seguente come
trovare gli zeri.
due complessi non reali, l’uno il coniugato dell’altro, 2 ± 3i.

5.4 Equazioni polinomiali in una incognita


Consideriamo un polinomio in una variabile p(x). L’equazione Equazione polinomiale

p(x) = 0
nell’incognita x è detta equazione polinomiale. Il grado del polinomio Grado
p(x) è detto grado dell’equazione. Risolvere l’equazione consiste nel cer-
care i valori di x tali che p(x) = 0, ossia gli zeri del polinomio p(x) ◮. Se ◮ Definizione 5.40.
uno zero x = α ha molteplicità 1 diremo che la soluzione α è semplice, se Soluzioni semplici, doppie, triple,. . .
ha molteplicità 2 diremo che la soluzione α è doppia, se ha molteplicità
3 diremo che la soluzione α è tripla, e così via.
Se deg(p) = 1, ossia p(x) è della forma ax + b, con a 6= 0, abbiamo
visto che l’equazione ax + b = 0 ha una soluzione x1 = − ab ◮. ◮ Esempio 4.6.
Se deg(p) = 2, ossia p(x) è della forma ax2 + bx +√c, con a 6= 0, Formula risolutiva delle equazioni di
b2 −4ac secondo grado
l’equazione ax2 + bx + c = 0 ha due soluzioni x1 = −b− 2a e x2 =

−b+ b2 −4ac ◮
2a . Le soluzioni coincidono se b2 −4ac = 0, e sono complesse se ◮ Useremo anche la notazione x1/2

=
b2 − 4ac < 0. ◮◮ Questa formula è detta formula risolutiva delle equazioni −b± b2 −4ac
2a
.
di secondo grado. ◮ Se b2 − 4ac < 0 non ci sono soluzioni reali.

Prima di aumentare il grado, analizziamo i due casi più semplici:
• se deg(p) = 0, ossia p(x) = a, con a 6= 0, non ci sono soluzioni; ◮



◮ Sostituendo alla x un qualunque numero,

otteniamo sempre a, ossia non otteniamo
• se deg(p) = −∞, ossia p(x) = 0, tutti i numeri sono soluzioni. ◮ mai 0.
Analizziamo il caso generico, ossia supponiamo che deg(p) = n > 2 e ◮ Sostituendo alla x un qualunque numero,
otteniamo sempre 0.
consideriamo l’equazione p(x) = 0. Non esiste un metodo che funziona
per tutti i polinomi di qualsiasi grado. ◮ Se però i coefficienti del polino- ◮ Se deg(p) = 3 oppure deg(p) = 4, esistono
formule esplicite per trovare le soluzioni,
mio p(x) sono interi, un metodo per trovare le soluzioni dell’equazione ma sono lunghe e complicate. Se invece
p(x) = 0 consiste nel cercare di abbassare il grado del polinomio fino ad deg(p) > 5, è stato dimostrato che ci sono
arrivare a 1 o 2, e quindi usare le formule viste sopra. ◮◮ Questo meto- polinomi i cui zeri possono essere espressi
tramite radicali, e che ce ne sono altri i
do funziona solo se tutti gli zeri del polinomio, eccetto al più due, sono cui zeri non possono essere espressi tramite
razionali. I passi da fare per abbassare il grado sono i seguenti. radicali.
◮ Questo metodo non funziona se anche uno

solo dei coefficienti del polinomio non è in-
tero: ad esempio, per il polinomio x3 −

2x + 1.
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Versione 1.0
Lezione 5. Polinomi 5–20

Passo 1. Cerchiamo uno zero razionale di p(x) utilizzando la Proposi-


zione 5.47, ossia cerchiamo uno zero della forma cb con b che
divide il coefficiente del termine noto di p(x) e c che divide il
coefficiente del termine di grado massimo.
Passo 2. Per il Teorema di Ruffini ◮ il polinomio p(x) è divisibile
 per il ◮ Teorema 5.42.
polinomio x− cb , ossia abbiamo p(x) = q(x) x − bc ; per trovare
q(x), facciamo la divisione ◮ di p(x) per x − bc . ◮
◮ ◮ Algoritmo 5.36.

A questo punto abbiamo abbassato il grado di p(x), infatti deg(q) = ◮ Un altro metodo per trovare q(x) consi-

ste nell’usare la “Regola di Ruffini”: abbia-
deg(p) − 1, e possiamo ripetere i passi precedenti finché otteniamo un mo preferito utilizzare la divisione (che è
polinomio di grado 1 o 2. Infine, possiamo trovare gli ultimi zeri con una generalizzazione della divisione tra nu-
meri, conosciuta dalle scuole elementari),
le formule descritte sopra. Il problema anticipato prima sul fatto che evitando di imparare un altro metodo.
questo procedimento potrebbe non funzionare dipende dal fatto che al
Passo 1 potremmo non riuscire a trovare uno zero del polinomio: ciò
succede se il polinomio non ha abbastanza zeri razionali. ◮ ◮ Servono almeno deg(p) − 2 zeri razionali.
Se riusciamo a trovare tutti gli zeri di p(x), diciamo α1 , α2 , . . . , αn , Per completezza, diciamo che la scrittura
possiamo scrivere p(x) = pn (x − α1 ) (x − α2 ) · · · (x − αn ) è
detta fattorizzazione di p(x).
p(x) = pn (x − α1 ) (x − α2 ) · · · (x − αn ) ,
dove pn è il coefficiente del termine di grado massimo di p(x).
Esempio 5.55. 1. Cerchiamo le soluzioni dell’equazione
3
x − 7x − 6 = 0. (5.1)
Visto che il polinomio p(x) = x3 − 7x − 6 ha coefficienti interi,
cominciamo cercando le soluzioni razionali, ossia proviamo con i
numeri bc , con b che divide −6 e c che divide 1. Abbiamo 8 casi:
±1, ±2, ±3, ±6. Abbiamo p(−1) = 0, quindi una soluzione è
x = −1. Allora il polinomio p(x) è divisibile per x + 1: facendo
la divisione otteniamo come quoziente x2 − x − 6 ◮, quindi p(x) = ◮ E, naturalmente, resto 0: se non trovassi-
mo 0 saremmo sicuri di aver fatto un errore
x2 − x − 6 (x + 1). (nel fare la divisione o nel cercare gli zeri
Cerchiamo quindi le soluzioni dell’equazione x2 −x−6
√ = 0 che pos- prima).
−(−1)± (−1)2 −4·1·(−6)
siamo trovare con la formula risolutiva: x = 2·1 =
1±5
2 , ossia x = 3 oppure x = −2. ◮ L’equazione (5.1) ha tre solu- ◮ Essendo razionali, le avremmo potute tro-
vare anche proseguendo con il metodo ini-
zioni: x = −1, x = −2 e x = 3. ziale, con cui abbiamo trovato la soluzione
2. Cerchiamo le soluzioni dell’equazione x = −1.

11 17
x4 + x3 + x2 − 6 = 0. (5.2)
2 2
Notiamo che moltiplicando entrambi i membri per 2 otteniamo l’e-
quazione equivalente 2x4 +11x3 +17x2 −12 = 0. Quindi, cerchiamo
gli zeri del polinomio a coefficienti interi p(x) = 2x4 +11x3 +17x2 −
12.
Cominciamo cercando le soluzioni razionali, ossia proviamo con i
numeri bc , con b che divide −12 e c che divide 2. Abbiamo molti
casi da analizzare: ±1, ±2, ±3, ±4, ±6, ±12, ± 12 , ± 32 . Abbiamo
p(−2) = 0, quindi una soluzione è x = −2. Allora il polinomio p(x)
è divisibile per x+2: facendo la divisione otteniamo come quoziente
2x3 + 7x2 + 3x − 6, quindi p(x) = 2x3 + 7x2 + 3x − 6 (x + 2).

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 5. Polinomi 5–21

Cerchiamo quindi gli zeri del polinomio a coefficienti interi q(x) =


2x3 + 7x2 + 3x − 6. Cerchiamo ancora le soluzioni razionali, os-
sia proviamo con i numeri bc , con b che divide −6 e c che divide
2. Analizziamo i vari casi: ±1, ±2, ±3, ±6, ± 12 , ± 32 . Abbiamo
q(−2) = 0, quindi una soluzione è x = −2. ◮ Allora il polinomio ◮ L’abbiamo già trovata sopra, quindi abbia-
mo che la sua molteplicità come zero di
q(x) è divisibile per x + 2: facendo la divisione otteniamo
 come p(x) è almeno 2.
2 2
quoziente 2x + 3x − 3, quindi q(x) = 2x + 3x − 3 (x + 2) ◮ ◮.
2
 2
◮ Allora p(x) = 2x + 3x − 3 (x + 2) .

Cerchiamo quindi le soluzioni dell’equazione 2x2 + 3x
√ − 3 = 0 che
−3± 32 −4·2·(−3)
possiamo trovare con la formula risolutiva: x = 2·2 =

−3± 33 ◮
4 . L’equazione (5.2) ha tre soluzioni ◮
◮: x = −2 doppia, ◮ Queste due soluzioni non sono raziona-
√ √ li quindi non le avremmo potute trovare
−3+ 33 −3− 33
x= 4 semplice e x= 4 semplice. proseguendo con il metodo iniziale, con
cui abbiamo trovato la soluzione doppia
3. Cerchiamo le soluzioni dell’equazione x = −2.
3x4 + 2x3 + 5x2 − 2x = 0. (5.3) ◮ Quattro se le contiamo con la loro

molteplicità: 2 + 1 + 1 = 4.
Notiamo che possiamo applicare la proprietà distributiva
 a x, ot-
tenendo il polinomio p(x) = 3x3 + 2x2 + 5x − 2 x. ◮ Uno zero è ◮ Un altro modo (più lungo) per ottenere
lo stesso risultato utilizza la solita tecni-
quindi x = 0. ca: visto che 3 · 04 + 2 · 03 + 5 · 02 − 2 · 0 = 0,
Cerchiamo quindi gli zeri del polinomio a coefficienti interi q(x) = il polinomio è divisibile per x − 0 = x,
quindi facendo la divisione otteniamo co-
3x3 + 2x2 + 5x − 2. Cominciamo cercando le soluzioni razionali, me quoziente 3x3 + 2x2 + 5x − 2 (e resto
ossia proviamo con i numeri cb , con b che divide −2 e c che divide 0, naturalmente).
3. Abbiamo 8 casi: ±1, ±2, ± 13 , ± 32 . Abbiamo p 13 = 0, quindi
una soluzione è x = 31 . Allora il polinomio q(x) è divisibile per
x − 31 : facendo la divisione otteniamo come quoziente 3x2 + 3x + 6,
   
quindi q(x) = 3x2 + 3x + 6 x − 13 ◮. ◮ Allora p(x) = 3x2 + 3x + 6 x − 1
3
x.
Cerchiamo quindi le soluzioni dell’equazione 3x2 + 3x + 6 = 0, che,
dividendo entrambi i membri per 3, diventa√x2 +x+2 = 0. Usando√
−1± 12 −4·1·2 −1± 7i
la formula

risolutiva otteniamo x = 2·1 = 2 =
− 21 ± 27 i.
Se stiamo cercando le soluzioni reali dell’equazione (5.3), ne abbia-
mo due: x = 0 e x = 31 . Se invece stiamo cercando le soluzioni
complesse dell’equazione

(5.3),

ne abbiamo quattro: x = 0, x = 13 ,
x = − 21 + 27 i e x = − 12 − 7
2 i. In entrambi i casi tutti gli zeri
hanno molteplicità 1.
4. Cerchiamo le soluzioni dell’equazione
x3 + x + 3 = 0. (5.4)
Visto che il polinomio p(x) = x3 + x + 3 ha coefficienti interi,
cominciamo cercando le soluzioni razionali, ossia proviamo con i
numeri bc , con b che divide 3 e c che divide 1. Abbiamo 4 casi:
±1, ±3. Abbiamo p(1) = 5, p(−1) = 1, p(3) = 33, p(−3) = −27,
quindi il polinomio non ha zeri razionali, e non conosciamo altre
tecniche per trovare gli zeri. ◮ ◮ Non abbiamo visto la formula esplicita per
le equazioni di terzo grado.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 5/S1
Titolo: Polinomi
Attività n°: 1

Sessione di Studio 5.1

Polinomi
Lezione 5. Polinomi 5–22

Sessione di Studio 5.1


Esercizio 5.1. • Calcola la somma e il prodotto dei due polinomi
2x2 y − x2 y 3 e x + 3xy 2 − x2 y.
• Quali sono i gradi dei polinomi dati?
• Quali sono i gradi della somma e del prodotto?
• Trova un insieme di polinomi I[variabili], con un insieme opportu-
no I e variabili opportune, a cui questi polinomi appartengono.
• Qual è il minimo m tale che tutti questi polinomi appartengono a
I6m[variabili]?
Soluzione. • La somma è
 
2x y − x2 y 3 + x + 3xy 2 − x2 y = x2 y − x2 y 3 + x + 3xy 2 .
2

Il prodotto è
 
2x2 y − x2 y 3 · x + 3xy 2 − x2 y = 2x3 y − x3 y 3 + 6x3 y 3 − 3x3 y 5 − 2x4 y 2 + x4 y 4 =
= 2x3 y + 5x3 y 3 − 3x3 y 5 − 2x4 y 2 + x4 y 4 .
• Il grado del primo polinomio è 5 perché il termine di grado massimo
è −x2 y 3 . Il grado del secondo polinomio è 3 perché un termine con
grado massimo è 3xy 2 ◮. ◮ Anche il termine −x2 y ha grado 3.

• Il grado della somma è 5 perché il termine con grado massimo è


−x2 y 3 . Il grado del prodotto è 8 = 5 + 3 ◮. ◮ Ossia la somma dei gradi dei due polinomi
dati.
• Come insieme I possiamo scegliere R ◮ ◮, e le variabili sono x e y,
◮ Anche Z, Q o C, ma non N perché −1 6∈ N.

quindi l’insieme di polinomi è R[x, y].
• Visto che il massimo grado dei polinomi è 8, il minimo m è 8. ◮ ◮ L’insieme di polinomi è R68 [x, y].

Esercizio 5.2. Calcola la divisione di x4 − 3x3 − x2 + 5 per x2 − 2. Scrivi


la relazione tra il dividendo, il divisore, il quoziente e il resto.
Soluzione.
x4 −3x3 −x2 +0x +5 x2 − 2
x4 −2x2 x2 − 3x + 1

−3x3 x2 +0x +5
−3x3 +6x

x2 −6x +5
x2 −2

−6x +7
 
La relazione è x4 − 3x3 − x2 + 5 = x2 − 3x + 1 · x2 − 2 + (−6x + 7).

Esercizio 5.3. Trova gli zeri del polinomio 2x3 − 9x2 + x + 12, e le loro
molteplicità.
Soluzione. Gli zeri razionali del polinomio 2x3 − 9x2 + x + 12, che ha
coefficienti interi, hanno la forma bc con b che divide 12 e c che divide 2.
I divisori di 12 sono ±1, ±2, ±3, ±4, ±6 e ±12, mentre i divisori di 2

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 5. Polinomi 5–23

sono ±1 e ±2. Abbiamo quindi molti candidati da controllare, uno per


uno, sostituendoli in p(x): ±1, ±2, ±3, ±4, ±6, ±12, ± 12 , ± 23 . Abbiamo
che −1 è uno zero, quindi dividiamo il polinomio per x + 1.
La divisione è
2x3 −9x2 +x +12 x+1
2x3 +2x2 2x2 − 11x + 12

−11x2 +x +12
−11x2 −11x

12x +12
12x +12

0

Quindi cerchiamo gli zeri del polinomio √ 2x2 − 11x + 12, che possiamo
11± (−11)2 −4·2·12
trovare con la formula risolutiva: x = 2·2 = 11±5 3
4 , ossia 2 e
3
4. Le soluzioni sono x1 = −1 con molteplicità 1, x2 = 2 con molteplicità
1, x3 = 4 con molteplicità 1.

Esercizio 5.4. Trova gli zeri del polinomio x4 − x3 − 10x2 + 4x + 24, e


le loro molteplicità.
Soluzione. Gli zeri razionali del polinomio x4 − x3 − 10x2 + 4x + 24, che
ha coefficienti interi, hanno la forma cb con b che divide 24 e c che divide
1. I divisori di 24 sono ±1, ±2, ±3, ±4, ±6, ±8, ±12 e ±24, mentre i
divisori di 1 sono ±1. Abbiamo quindi molti candidati da controllare,
uno per uno, sostituendoli in p(x): ±1, ±2, ±3, ±4, ±6, ±8, ±12 e
±24. Abbiamo che 2 e −2 sono zeri, quindi dividiamo il polinomio per
(x − 2)(x + 2) = x2 − 4.
La divisione è
x4 −x3 −10x2 +4x +24 x2 − 4
x4 −4x2 x2 − x − 6

−x3 −6x2 +4x +24
−x3 +4x

−6x2 +24
−6x2 +24

0

Quindi cerchiamo gli zeri del polinomio


√ x2 − x − 6, che possiamo trovare
1± (−1)2 −4·(−6)
con la formula risolutiva: x = 2·1 = 1±5
2 , ossia −2 e 3. Le
soluzioni sono x1/2 = −2 con molteplicità 2, x3 = 2 con molteplicità 1,
x4 = 3 con molteplicità 1.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 5/S2
Titolo: Polinomi
Attività n°: 1

Sessione di Studio 5.2

Polinomi
Lezione 5. Polinomi 5–24

Sessione di Studio 5.2


Esercizio 5.5. • Calcola la somma e il prodotto dei due polinomi
ab2 − 3ab e ab − ab2 .
• Quali sono i gradi dei polinomi dati?
• Quali sono i gradi della somma e del prodotto?
• Trova un insieme di polinomi I[variabili], con un insieme opportu-
no I e variabili opportune, a cui questi polinomi appartengono.
• Qual è il minimo m tale che tutti questi polinomi appartengono a
I6m[variabili]?
Esercizio 5.6. Calcola la divisione di 2x4 −x3 +3x2 −x−4 per x2 −x+3.
Scrivi la relazione tra il dividendo, il divisore, il quoziente e il resto.
Esercizio 5.7. Trova gli zeri del polinomio x3 − 5x2 + 17x − 13, e le loro
molteplicità.
Esercizio 5.8. Trova gli zeri del polinomio x5 − x4 − 7x3 + 13x2 − 6x,
e le loro molteplicità.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 5. Polinomi 5–25

 
Risultato dell’Esercizio
 5.5.
 • ab2 − 3ab + ab − ab2 = −2ab,
ab2 − 3ab · ab − ab2 = 4a2 b3 − 3a2 b2 − a2 b4 .
 
• deg ab2 − 3ab = 3, deg ab − ab2 = 3.
     
• deg ab2 − 3ab + ab − ab2 = 2, deg ab2 − 3ab · ab − ab2 = 6.
• R[a, b].
• m = 6. ◮ ◮ L’insieme dei polinomi è R66 [a, b].

Risultato dell’Esercizio 5.6.


2x4 −x3 +3x2 −x −4 x2 − x + 3
2x4 −2x3 +6x2 2x2 + x − 2

x3 −3x2 −x −4
x3 −x2 +3x

−2x2 −4x −4
−2x2 +2x −6

−6x +2
 
La relazione è 2x4 − x3 + 3x2 − x − 4 = 2x2 + x − 2 · x2 − x + 3 +
(−6x + 2).
Risultato dell’Esercizio 5.7. x1 = 1 con molteplicità 1, x2 = 2 + 3i
con molteplicità 1, x3 = 2 − 3i con molteplicità 1.
Risultato dell’Esercizio 5.8. x1 = 0 con molteplicità 1, x2/3 = 1 con
molteplicità 2, x4 = 2 con molteplicità 1, x5 = −3 con molteplicità 1.

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Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 5/S3
Titolo: Polinomi
Attività n°: 1

Sessione di Studio 5.3

Polinomi
Lezione 5. Polinomi 5–26

Sessione di Studio 5.3


Letture supplementari possono essere le seguenti:
• http://it.wikipedia.org/wiki/Monomio
• http://it.wikipedia.org/wiki/Polinomio
• http://it.wikipedia.org/wiki/Divisione_dei_polinomi
• http://it.wikipedia.org/wiki/Teorema_del_resto
• http://it.wikipedia.org/wiki/Teorema_delle_radici_razionali
• http://it.wikipedia.org/wiki/Numero_complesso
• http://it.wikipedia.org/wiki/Teorema_fondamentale_dell’algebra
• http://it.wikipedia.org/wiki/Equazione_algebrica

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Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 5/S3
Titolo: Polinomi
Attività n°: 3

Sessione di Studio 5.3 Quiz

Polinomi
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 5/S3
Titolo: Polinomi
Attività n°: 3

• Risolvere il seguente quiz a risposta


multipla in cui per ogni domanda una sola
risposta è giusta.
• Rivedere le risposte del quiz.
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 6
Titolo: Funzioni e classi di equivalenza
Attività n°: 1

Lezione 6
Funzioni e classi di equivalenza
Lezione 6

Funzioni e classi di
equivalenza

In questa lezione rivedremo brevemente alcune nozioni di base sulle fun-


zioni e sulle classi di equivalenza. Esse sono fondamentali per ciò che
faremo in seguito, sia per i concetti (che sono la base per i concetti futu-
ri) che per l’introduzione del linguaggio matematico (che useremo nelle
altre lezioni).

6.1 Funzioni
Definizione 6.1. Dati due insiemi I e J , una funzione o mappa o appli- Funzione/mappa/applicazione
cazione da I a J è una legge f che associa ad ogni elemento dell’insieme
I uno e un solo elemento dell’insieme J . L’insieme I è detto dominio,
I J
mentre l’insieme J è detto codominio. La funzione è sintetizzata con
f : I −→ J ,
Il dominio e il codominio sono parte
o con integrante della funzione.
f
I −→ J ,
o semplicemente con f .
Per ogni elemento x ∈ I l’elemento di J che f associa a x ◮ è detto ◮ È uno solo.
immagine (rispetto a f ) di x, ed è indicato con f (x) ∈ J .

f (x). f (x) si legge “f di x”.


Se l’elemento del dominio è una
La funzione f è anche indicata con n-upla scriveremo semplicemen-
te f (x1 , x2 , . . . , xn ), invece di
f : I ∋ x 7−→ f (x) ∈ J , f (x1 , x2 , . . . , xn ) .

dove al posto di f (x) utilizziamo la formula esplicita.


Esempio 6.2. 1. La legge f : {1, 2, 3, 4} −→ {a, b, c, d} definita da f:
f (1) = a, f (2) = c, f (3) = c, f (4) = d è una funzione: ha come
dominio l’insieme {1, 2, 3, 4} e come codominio l’insieme {a, b, c, d}.
Ad ogni elemento del dominio associa uno e un solo elemento del
codominio: ad esempio, l’immagine dell’elemento 2 ∈ {1, 2, 3, 4} è
f (2) = c ∈ {a, b, c, d}.
Anche la legge fB : {1, 2, 3, 4} −→ {a, b, c, d} definita da fB (1) = a, fB :
fB (2) = c, fB (3) = b, fB (4) = d è una funzione: ha lo stesso

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Versione 1.0
Lezione 6. Funzioni e classi di equivalenza 6–2

dominio e lo stesso codominio di f , ma la legge è diversa, infatti


f (3) = c mentre fB (3) = b.
Al contrario, la legge fN : {1, 2, 3, 4} −→ {a, b, c, d} definita da fN :
fN (1) = a oppure b, fN (2) = c, fN (3) = c, fN (4) = d non è una
funzione, infatti all’elemento 1 ∈ {1, 2, 3, 4} associa due elementi
a, b ∈ {a, b, c, d}.
La legge fI : {1, 2, 3} −→ {a, b, c, d} definita da fI (1) = a, fI (2) = fI :
c, fI (3) = b è una funzione: ha come dominio l’insieme {1, 2, 3} e
come codominio l’insieme {a, b, c, d}.
La legge fS : {1, 2, 3} −→ {a, b} definita da fS (1) = a, fS (2) = b,
fS (3) = a è una funzione: ha come dominio l’insieme {1, 2, 3} e fS :

come codominio l’insieme {a, b}.


2. La legge q : R ∋ x 7−→ x2 ∈ R è una funzione: ha come dominio e
come codominio l’insieme dei numeri reali R. Ad ogni elemento del
dominio associa uno e un solo elemento del codominio: ad esempio,
l’immagine dell’elemento 3 ∈ R è q(3) = 32 = 9 ∈ R, l’immagine
dell’elemento −π ∈ R è q(−π) = (−π)2 = π 2 ∈ R.
La legge qR : {a ∈ R | a > 0} ∋ x 7−→ x2 ∈ R è una funzione
diversa da q: la legge è la stessa ◮, ma il dominio è diverso, infatti ◮ L’elevamento al quadrato.
ora è {a ∈ R | a > 0}. L’immagine dell’elemento 3 ∈ R è ancora
q(3) = 32 = 9 ∈ R, ma non ha senso calcolare l’immagine di −π
perché −π 6∈ {a ∈ R | a > 0} ◮. ◮ −π < 0.

3. La legge r : {a ∈ R | a > 0} ∋ x 7−→ ± x ∈ R non è una funzio- Ricordiamo che dato
√ a ∈ R non negativo,
indichiamo con a l’unico numero reale
ne,√ infatti all’elemento 4 ∈ {a ∈ R | a > 0} associa due elementi non negativo b tale che b2 = a.
± 4 = ±2 ∈ R.

Invece la legge r+ : {a ∈ R | a > 0} ∋ x 7−→ x ∈ R è una
funzione: ha come dominio l’insieme {a ∈ R | a > 0} e come co-
dominio l’insieme R. Ad ogni elemento del dominio associa uno e
un solo elemento del codominio: ad esempio,√ l’immagine dell’ele-
mento 9 ∈ {a ∈ R | a > 0} è r+ (9) = 9 √ = 3 ∈ R, l’immagine
dell’elemento 3 ∈ {a ∈ R | a > 0} è r+ (3) = 3 ∈ R.

Analogamente, la legge r− : {a ∈ R | a > 0} ∋ x 7−→ − x ∈ R
è una funzione: ha come dominio l’insieme {a ∈ R | a > 0} e
come codominio l’insieme R. Ad ogni elemento del dominio associa
uno e un solo elemento del codominio: ad esempio, √ l’immagine
dell’elemento 9 ∈ {a ∈ R | a > 0} è r+ (9) = − 9 = −3 √ ∈ R,
l’immagine dell’elemento 3 ∈ {a ∈ R | a > 0} è r+ (3) = − 3 ∈ R.
4. La legge g : R2 ∋ (x, y) 7−→ (x+2y, x+y, 2x−y) ∈ R3 è una funzio-
ne: ha come dominio il prodotto cartesiano R2 e come codominio
il prodotto cartesiano R3 . Ad ogni elemento del dominio associa
uno e un solo elemento del codominio: ad esempio, l’immagine
dell’elemento (1, −2) ∈ R2 è
 
g (1, −2) = 1+2(−2), 1+(−2), 2·1−(−2) = (−3, −1, 4) ∈ R3 ,
l’immagine dell’elemento (0, 1) ∈ R2 è
 
g (0, 1) = 0 + 2 · 1, 0 + 1, 2 · 0 − 1 = (2, 1, −1) ∈ R3 .

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Versione 1.0
Lezione 6. Funzioni e classi di equivalenza 6–3

5. Dato un qualsiasi insieme I, la legge idI : I ∋ x 7−→ x ∈ I è una


funzione: ha come dominio e come codominio l’insieme I. Ad ogni
elemento di I associa l’elemento stesso.
Esempio 6.3. Funzioni necessarie nel seguito sono le funzioni trigono-
metriche: sen, cos e tan. Le due funzioni sen e cos hanno R sia come
do-
minio che come codominio, mentre tan ha R\ π2 + kπ ∈ R k ∈ Z come
dominio e R come codominio. Per definirle, consideriamo una circonfe-
renza di raggio 1 e l’angolo α indicato nella figura. Le lunghezze dei tre
segmenti indicati nella figura sono sen(α), cos(α) e tan(α) per 0 6 α < π2 .
Nota che i segmenti le cui lunghezze sono sen(α) e tan(α) sono verticali.
Per gli altri valori di α si possono
 usare le formule sen(−α)
 = − sen(α),
cos(−α) = cos(α), sen α + π2 = cos(α), cos α + π2 = − sen(α) e
tan(α) = sen(α)
cos(α) . I valori per gli angoli principali sono indicati nella
seguente tabella.

Gradi Radianti sen(α) cos(α) tan(α)


0◦ 0 0 1 0
√ √
π 1 3 3
30◦ 6 √2 √2 3
π 2 2
45◦ 4 1
√2 2 √
π 3 1
60◦ 3 2 2 3
π
90◦ 2 1 0 non definito


3

120◦ 3 − 21 − 3
√2 √
3π 2 2
135◦ 4 2 − −1
√2 √
5π 1
150◦ 6 2 − 23 − 33
180◦ π 0 −1 0
√ √
7π 3 3
210◦ 6 − 21 −
√ √2 3
225◦ 5π
4 − 22 − 22 1
√ √
240◦ 4π
3 − 23 − 21 3

270◦ 2 −1 0 non definito
√ √
300◦ 5π
3 − 23 1
− 3
√ √2
315◦ 7π
4 − 22 2
−1
√2 √
11π 3 3
330◦ 6 − 21 2 − 3

Notazione 6.4. Dato un insieme I, la funzione da I a I che associa ad Identità


ogni elemento di I l’elemento stesso è detta identità su I ed è indicata idI : I ∋ x 7−→ x ∈ I.
con idI , o semplicemente con id, se l’insieme I è chiaro dal contesto. idI /id

Definizione 6.5. Sia f : I → I una funzione il cui dominio coincide Punto fisso
con il codominio. Un elemento x ∈ I tale che f (x) = x è detto punto Se il dominio e il condominio sono diversi,
può non avere senso chiedere se un elemen-
fisso di f . to x del dominio è un punto fisso, perché
f (x) appartiene a un insieme diverso.
Esempio 6.6. 1. La funzione σ : {1, 2, 3} −→ {1, 2, 3} definita da
σ(1) = 3, σ(2) = 2, σ(3) = 1 ha l’insieme {1, 2, 3} sia come dominio
che come codominio. L’elemento 2 è un punto fisso di σ, perché
σ(2) = 2. Gli elementi 1 e 3 non sono punti fissi di σ, perché
σ(1) = 3 6= 1 e σ(3) = 1 6= 3.

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Versione 1.0
Lezione 6. Funzioni e classi di equivalenza 6–4

2. La funzione t : R ∋ x 7−→ x+1 ∈ R ha l’insieme R sia come dominio


che come codominio. Essa non ha punti fissi perché l’equazione
t(x) = x non ha soluzioni. ◮ ◮ Non c’è nessun numero reale tale che x +
1 = x.
3. Ogni elemento di un insieme I è un punto fisso della funzione
identità idI su I, perché idI (x) = x per tutti gli x ∈ I. Notiamo
che il dominio e il codominio sono entrambi I.
Definizione 6.7. Sia f : I → J una funzione. Se K ⊂ I è un sottoin- Immagine
sieme di I, il sottoinsieme di J formato dalle immagini rispetto a f degli
elementi di K,
f (K) := {f (x) ∈ J | x ∈ K},
è detto immagine (rispetto a f ) di K. L’immagine di tutto il dominio I L’insieme I è un sottoinsieme del dominio
I stesso.
Im(f ) := {f (x) ∈ J | x ∈ I}, Im(·)
è detta immagine di f .
Osservazione 6.8. L’immagine di una funzione f : I → J può essere L’immagine è formata dagli elementi che
“provengono” da qualche elemento del
scritta come segue: dominio.
Im(f ) = {y ∈ J | ∃ x ∈ I con f (x) = y}.
Esempio 6.9. Consideriamo le funzioni dell’Esempio 6.2.
1. L’immagine rispetto a f dell’insieme K = {1, 2} è f (K) = {a, c},
infatti f (1) = a e f (2) = c. L’immagine di f è Im(f ) = {a, c, d},
infatti f (1) = a, f (2) = c ◮ e f (4) = d ◮
◮. ◮ Anche f (3) = c, ma affinché c appartenga
a Im(f ) è sufficiente che esista un elemento
Anche l’immagine rispetto a fB dell’insieme K = {1, 2} è fB (K) = x tale che f (x) = c: qui ne abbiamo due.
{a, c}, infatti fB (1) = a e fB (2) = c. L’immagine di fB è invece
◮ Nessun elemento di {1, 2, 3, 4} ha come

Im (fB ) = {a, b, c, d}, infatti fB (1) = a, fB (3) = b, fB (2) = c e immagine b, quindi b 6∈ Im(f ).
fB (4) = d.
Anche l’immagine rispetto a fI dell’insieme K = {1, 2} è fI (K) =
{a, c}, infatti fI (1) = a e fI (2) = c. L’immagine di fI è invece
Im (fI ) = {a, b, c}, infatti fI (1) = a, fI (3) = b e fI (2) = c.
L’immagine rispetto a fS dell’insieme K = {1, 2} è f (K) = {a, b},
infatti fS (1) = a e fS (2) = b. Anche l’immagine di fS è Im (fS ) =
{a, b}, infatti fS (1) = a, fS (2) = fS (3) = c.
2. L’immagine rispetto a q dell’insieme K = {a ∈ R | − 1 < a 6 0}
è q(K) = {a ∈ R | 0 6 a < 1}. L’immagine di q è invece l’insieme
Im(q) = {a ∈ R | a > 0}.
Per quanto riguarda la funzione qR , non ha senso fare l’immagine di
K = {a ∈ R | − 1 < a 6 0}, perché K non è contenuto nel dominio
di qR ◮. L’immagine di qR è l’insieme Im (qR ) = {a ∈ R | a > 0}. ◮ K 6⊂ {a ∈ R | a > 0}.

3. L’immagine rispetto a r+ dell’insieme K = {a ∈ R | 1 < a < 4} è


r+ (K) = {a ∈ R | 1 < a < 2}. L’immagine di r+ è invece l’insieme
Im (r+ ) = {a ∈ R | a > 0}.
L’immagine rispetto a r− dell’insieme K = {a ∈ R | 1 < a < 4}
è r− (K) = {a ∈ R | − 2 < a < −1}. L’immagine di r− è invece
l’insieme Im (r− ) = {a ∈ R | a 6 0}.

4. L’immagine
 rispetto a 3g dell’insieme
K = (x, y) ∈ R2 y = 0 è
g(K) = (a, a, 2a) ∈ R a ∈ R , infatti un generico elemento di

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 6. Funzioni e classi di equivalenza 6–5

K è (a, 0) con a ∈ R e la sua immagine rispetto a g è (a + 2 ·


 − 0) = (a, a, 2a). Analogamente,
0, a + 0, 2a l’immagine di g è
3
Im(g) = (a + 2b, a + b, 2a − b) ∈ R a, b ∈ R .
5. L’immagine rispetto a idI di un qualsiasi sottoinsieme K di I è
l’insieme K stesso. In particolare, l’immagine di idI è Im (idI ) = I.
Definizione 6.10. Una funzione f : I → J è detta surgettiva, se la sua Funzione surgettiva
immagine coincide con il codominio:
Im(f ) = J .
Osservazione 6.11. Per l’Osservazione 6.8, abbiamo che una funzione Questa può essere pensata come una
definizione equivalente di surgettività.
f : I → J è surgettiva se e solo se
Ogni elemento del codominio “proviene” da
∀y∈J ∃ x ∈ I con f (x) = y. qualche elemento del dominio.

Esempio 6.12. Consideriamo le funzioni dell’Esempio 6.2, di cui abbia-


mo trovato le immagini nell’Esempio 6.9.
1. La funzione f non è surgettiva, infatti la sua immagine, Im(f ) =
{a, c, d}, non è uguale al codominio, {a, b, c, d} ◮. ◮ L’elemento del codominio b non “provie-
ne” da nessun elemento del dominio: b 6∈
Invece la funzione fB è surgettiva, infatti la sua immagine, Im (fB ) = Im(f ).
◮.
{a, b, c, d}, è uguale al codominio, {a, b, c, d} ◮ ◮ Ogni elemento del codominio “proviene” da

La funzione fI non è surgettiva, infatti la sua immagine, Im (fI ) = qualche elemento del dominio.
{a, b, c}, non è uguale al codominio, {a, b, c, d}.
Invece la funzione fS è surgettiva, infatti la sua immagine, Im (fS ) =
{a, b}, è uguale al codominio, {a, b}.
2. La funzione q non è surgettiva, infatti la sua immagine, Im(q) =
{a ∈ R | a > 0}, non è uguale al codominio, R ◮. ◮ Tutti i numeri reali negativi (che sono ele-
menti del codominio) non sono il quadrato
Lo stesso vale per la funzione qR , che ha lo stesso codominio e la di nessun numero reale.
◮.
stessa immagine di q ◮ ◮ Il commento precedente deve essere legger-

mente cambiato, perché il dominio è di-
3. La funzione r+ non è surgettiva, infatti la sua immagine, Im (r+ ) = verso. Tutti i numeri reali negativi (che
{a ∈ R | a > 0}, non è uguale al codominio, R. Se però consideria- sono elementi del codominio) non sono il
√ quadrato di nessun numero reale positivo.
mo la funzione r + : {a ∈ R | a > 0} ∋ x 7−→ x ∈ {a ∈ R | a > 0},
ottenuta da r+ cambiando il codominio, otteniamo una funzione
surgettiva, r+ , perché il codominio ora coincide con l’immagine,
Im (r+ ) = {a ∈ R | a > 0}. ◮ ◮ Abbiamo escluso dal codominio gli ele-
menti che non “provengono” da nessun
Analogamente, la funzione r− non è surgettiva, infatti la sua im- elemento del dominio.
magine, Im (r− ) = {a ∈ R | a 6 0}, non è uguale al codominio,
R. Se però consideriamo la funzione r− : {a ∈ R | a > 0} ∋ x 7−→

x ∈ {a ∈ R | a 6 0}, ottenuta da r− cambiando il codominio, ot-
teniamo una funzione surgettiva, perché il codominio ora coincide
con l’immagine, Im (r − ) = {a ∈ R | a 6 0}.
4. La funzione g non è surgettiva. Per dimostrarlo, consideriamo
l’elemento del codominio (1, 0, 0) ∈ R3 e dimostriamo che esso
non appartiene all’immagine di g ◮. Cerchiamo un elemento del ◮ Ossia, non “proviene” da nessun elemento
del dominio.
dominio (x, y) ∈ R2 tale che g (x, y) = (1, 0, 0), ossia cerchiamo
una soluzione dell’equazione (x + 2y, x + y, 2x − y) = (1, 0, 0). Due
terne coincidono se e solo se coincidono le tre coppie corrispondenti,

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Lezione 6. Funzioni e classi di equivalenza 6–6

ossia x + 2y = 1, x + y = 0 e 2x − y = 0, ossia se il sistema



 x + 2y = 1
x+y =0

2x − y = 0
ha una soluzione. Il sistema non ha soluzione ◮, quindi (1, 0, 0) non ◮ Abbiamo visto nella Lezione 4 come risol-
vere i sistemi: dalle prime due equazio-
appartiene all’immagine di g. ni ricaviamo x = −1 e y = 1, che non
5. La funzione idI è surgettiva, infatti la sua immagine, Im (idI ) = I, soddisfano la terza.

è uguale al codominio, I.
Definizione 6.13. Una funzione f : I → J è detta iniettiva, se elementi Funzione iniettiva
diversi del dominio hanno immagini diverse: Attenzione a non confondere la condizio-
ne sull’iniettività con la definizione di fun-
x1 6= x2 =⇒ f (x1 ) 6= f (x2 ) . zione. In una funzione ad ogni elemento
del dominio è associato uno e un solo ele-
Osservazione 6.14. Considerando la contronominale ◮ di quella del- mento del codominio (in un diagramma di
Eulero-Venn, da ogni punto del dominio
la definizione di iniettività, otteniamo che una funzione f : I → J è parte esattamente una freccia), ma posso-
iniettiva se e solo se ◮
◮ no esserci elementi del codominio che “pro-
vengono” da più elementi del dominio (in
f (x1 ) = f (x2 ) =⇒ x1 = x2 . un punto del codominio possono arrivare
più frecce). La funzione è iniettiva se ogni
Esempio 6.15. Consideriamo le funzioni dell’Esempio 6.2. elemento del codominio “proviene” da al
più un elemento del dominio (ossia in tut-
1. La funzione f non è iniettiva, infatti abbiamo f (2) = f (3), ossia i ti i punti del codominio arriva al più una
due elementi 2 e 3 hanno la stessa immagine. freccia).

La funzione fB invece è iniettiva, infatti abbiamo ◮


◮ ◮ Osservazione 3.9.

◮ Questa può essere pensata come una

1 6= 2 and fB (1) = a 6= fB (2) = c, definizione equivalente di iniettività.

◮ Dobbiamo controllare tutte le coppie.
1 6= 3 and fB (1) = a 6= fB (3) = b, ◮

1 6= 4 and fB (1) = a 6= fB (4) = d,


2 6= 3 and fB (2) = c 6= fB (3) = b,
2 6= 4 and fB (2) = c 6= fB (4) = d,
3 6= 4 and fB (3) = b 6= fB (4) = d.
Analogamente, la funzione fI è iniettiva, infatti elementi diversi
hanno immagini diverse.
La funzione fS non è iniettiva, infatti abbiamo f (1) = f (3), ossia
i due elementi 1 e 3 hanno la stessa immagine.
2. La funzione q non è iniettiva, infatti q(1) = q(−1) = 1.
Invece, la funzione qR è iniettiva, infatti abbiamo
x 6= y x, y ∈ {a ∈ R | a > 0} =⇒ x2 6= y 2 ,
ossia i quadrati di due numeri positivi distinti sono distinti.
3. La funzione r+ è iniettiva, infatti abbiamo
√ √
x 6= y x, y ∈ {a ∈ R | a > 0} =⇒ x 6= y,
ossia le radici quadrate principali di due numeri (positivi) distinti
sono distinte.
Analogamente, la funzione r− è iniettiva, infatti abbiamo
√ √
x 6= y x, y ∈ {a ∈ R | a > 0} =⇒ − x 6= − y.

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Lezione 6. Funzioni e classi di equivalenza 6–7


4. La funzione  g è iniettiva. Infatti, se supponiamo che g (x1 , y1 ) =
g (x2 , y2 ) , otteniamo
(x1 + 2y1 , x1 + y1 , 2x1 − y1 ) = (x2 + 2y2 , x2 + y2 , 2x2 − y2 ) ,
ossia il sistema

 x1 + 2y1 = x2 + 2y2
x1 + y 1 = x2 + y 2 .

2x1 − y1 = 2x2 − y2
Sottraendo ciascun membro della seconda equazione dal corrispon-
dente membro della prima, otteniamo y1 = y2 , e quindi la seconda
equazione diventa x1 = x2 . Abbiamo dimostrato che (x1 , y1 ) =
(x2 , y2 ), ossia l’iniettività di g. ◮ ◮ Osservazione 6.14.

5. La funzione idI è iniettiva. Infatti, se supponiamo che idI (x1 ) =


idI (x2 ), abbiamo idI (x1 ) = x1 e idI (x2 ) = x2 , e quindi x1 = x2 .
Abbiamo dimostrato l’iniettività di idI . ◮ ◮ Osservazione 6.14.

Definizione 6.16. Sia f : I → J una funzione. La controimmagine di Controimmagine


un elemento y ∈ J (rispetto alla funzione f ) è l’insieme degli elementi
del dominio la cui immagine è y: Preim· (·)
Se l’elemento del codominio è una
Preimf (y) := {x ∈ I | f (x) = y}. n-upla scriveremo semplicemente
Preimf (x1 , x2 , . . . , xn ), invece di
La controimmagine di un sottoinsieme K ⊂ J (rispetto alla funzione f ) Preimf ((x1 , x2 , . . . , xn )).
è l’insieme degli elementi del dominio la cui immagine appartiene a K:
Preim· (·)
Preimf (K) := {x ∈ I | f (x) ∈ K}. Solitamente la controimmagine di un ele-
mento o di un sottoinsieme rispetto a una
Osservazione 6.17. Riscrivendo l’enunciato dell’Osservazione 6.11, ot- funzione f è indicata con f −1 (·). Abbia-
teniamo che una funzione f : I → J è surgettiva se e solo se Preimf (y) mo scelto una notazione diversa per evitare
confusione con la funzione inversa, indicata
è formato da almeno un elemento per ogni y ∈ J . ◮ anch’essa con f −1 .
Riscrivendo l’enunciato dell’Osservazione 6.14, otteniamo che una ◮ Anche questa può essere pensata come una
funzione f : I → J è iniettiva se e solo se Preimf (y) è formato da al definizione equivalente di surgettività.
più un elemento per ogni y ∈ J . ◮
◮ Notiamo che ci sono elementi di J che ◮ Anche questa può essere pensata come una

definizione equivalente di iniettività.
possono non appartenere all’immagine di f , e che quindi possono avere
controimmagine vuota.
Esempio 6.18. Consideriamo le funzioni dell’Esempio 6.2, di cui ab-
biamo già studiato la surgettività e l’iniettività, rispettivamente, negli
Esempi 6.12 e 6.15.
1. Le controimmagini rispetto alla funzione f degli elementi del codo-
minio di f sono: Preimf (a) = {1}, Preimf (b) = ∅, Preimf (c) =
{2, 3} e Preimf (d) = {4}. Visto che Preimf (b) è vuoto, la funzione
f non è surgettiva; visto che Preimf (c) è formato da due elemen-
ti, la funzione f non è iniettiva. La controimmagine dell’insieme
K = {a, c} è Preimf (K) = {1, 2, 3}.
Le controimmagini rispetto alla funzione fB degli elementi del
codominio di fB sono: PreimfB (a) = {1}, PreimfB (b) = {3},
PreimfB (c) = {2} e PreimfB (d) = {4}. Visto che tutte e quattro
queste controimmagini sono non vuote, la funzione fB è surgettiva;
visto che tutte e quattro queste controimmagini sono formate da
al più un elemento, la funzione f è iniettiva. La controimmagine
dell’insieme K = {a, c} è PreimfB (K) = {1, 2}.

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Lezione 6. Funzioni e classi di equivalenza 6–8

Le controimmagini rispetto alla funzione fI degli elementi del codo-


minio di fI sono: PreimfI (a) = {1}, PreimfI (b) = {3}, PreimfI (c) =
{2} e PreimfI (d) = ∅. Visto che PreimfI (d) è vuoto, la funzione
fI non è surgettiva; visto che tutte e quattro queste controimma-
gini sono formate da al più un elemento, la funzione fI è iniettiva.
La controimmagine dell’insieme K = {a, c} è PreimfI (K) = {1, 2}.
Le controimmagini rispetto alla funzione fS degli elementi del co-
dominio di fS sono: PreimfS (a) = {1, 3} e PreimfS (b) = {2}.
Visto che tutte e due queste controimmagini sono non vuote, la fun-
zione fS è surgettiva; visto che Preimf (a) è formato da due elemen-
ti, la funzione f non è iniettiva. La controimmagine dell’insieme
K = {a, b} è Preimf (K) = {1, 2, 3}.
2. La controimmagine rispetto alla funzione q dell’elemento 4 (del
codominio di q) è Preimq (4) = {±2}, infatti i numeri reali x tali
che q(x) = x2 = 4 sono ±2. La controimmagine dell’insieme K =
{a ∈ R | 0 6 a < 1} è Preimq (K) = {a ∈ R | − 1 < a < 1}.
La controimmagine rispetto alla funzione qR dell’elemento 4 (del Ricordiamo che qR ha un dominio diverso
rispetto a q.
codominio di qR ) è PreimqR (4) = {2}, infatti c’è un solo x ∈ {a ∈
R | a > 0} tale che q(x) = x2 = 4, ossia 2. La controimmagine
dell’insieme K = {a ∈ R | 0 6 a < 1} è PreimqR (K) = {a ∈ R | 0 6
a < 1}.
3. La controimmagine rispetto alla funzione r+ dell’elemento 2 (del
codominio di r+ ) è Preimr+ (2) = {4}, infatti c’è un solo x ∈ {a ∈

R | a > 0} tale che r+ (x) = x = 2, ossia 4. La controimmagine
dell’insieme K = {a ∈ R | 0 6 a < 1} è Preimr+ (K) = {a ∈ R | 0 6
a < 1}.
La controimmagine rispetto alla funzione r− dell’elemento −2 (del
codominio di r− ) è Preimr+ (−2) = {4}, infatti c’è un solo x ∈

{a ∈ R | a > 0} tale che r− (x) = − x = −2, ossia 4. La
controimmagine dell’insieme K = {a ∈ R | − 1 < a 6 0} è
Preimr+ (K) = {a ∈ R | 0 6 a < 1}.
4. La controimmagine rispetto alla funzione g dell’elemento (1, 2, 7)
(del codominio di g) è Preimg (1, 2, 7) = {(3,
 −1)}, infatti c’è una
2
sola coppia (x, y) ∈ R tale che g (x, y) = (1, 2, 7), perché il
sistema che si ottiene dall’equazione (x+2y, x+y, 2x−y) = (1, 2, 7),

 x + 2y = 1
x+y =2 ,

2x − y = 7
ha solo la soluzione (3, −1).
5. La controimmagine rispetto alla funzione idI di un generico ele-
mento x ∈ I (del codominio di idI ) è PreimidI (x) = {x}, infatti
c’è un solo elemento y ∈ I tale che idI (y) = x, ossia y = x. La
controimmagine di un qualsiasi sottoinsieme K di I è l’insieme K
stesso.
Definizione 6.19. Una funzione f : I → J è detta bigettiva o invertibile Bigettività/invertibilità
se è iniettiva e surgettiva.

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Lezione 6. Funzioni e classi di equivalenza 6–9

Esempio 6.20. Consideriamo le funzioni dell’Esempio 6.2, di cui ab-


biamo già studiato la surgettività e l’iniettività, rispettivamente, negli
Esempi 6.12 e 6.15. Abbiamo la seguente tabella.

Funzione Iniettiva? Surgettiva? Bigettiva?


f No No No
fB Sì Sì Sì
fI Sì No No
fS No Sì No
q No No No
qR Sì No No
r+ Sì No No
r− Sì No No
g Sì No No
idI Sì Sì Sì
Osservazione 6.21. Per l’Osservazione 6.17, una funzione f : I → J è Questa può essere pensata come una
definizione equivalente di bigettività.
bigettiva se e solo se Preimf (y) è formato da esattamente un elemento
per ogni y ∈ J .
Definizione 6.22. Data una funzione f : I → J bigettiva, la funzione Funzione inversa
−1 Questo spiega perché si usa anche il nome
f : J −→ I “invertibile”.
che associa ad ogni elemento y di J l’unico elemento della controimma-
gine di y è detta inversa di f .
Esempio 6.23. 1. L’inversa della funzione fB ◮ è la funzione −1
fB :
fB : {a, b, c, d} −→ {1, 2, 3, 4} definita da fB−1 (a) = 1, fB−1 (b) = 3,
−1

fB−1 (c) = 2 e fB−1 (d) = 4 (abbiamo trovato le quattro controimma-


◮ Definita nell’Esempio 6.2-1 e di cui ab-
gini nell’Esempio 6.18-1). biamo studiato la bigettività nell’Esem-
pio 6.20.
2. Consideriamo la funzione q R : {a ∈ R | a > 0} ∋ x 7−→ x2 ∈
{a ∈ R | a > 0} ◮ ◮, che è invertibile. L’inversa della funzione q R ◮ È simile alla funzione qR dell’Esempio 6.2-

−1 √ 2, ma abbiamo ristretto il codominio per
è la funzione q R : {a ∈ R | a > 0} ∋ x 7−→ x ∈ {a ∈ R | a > avere una funzione surgettiva.
0}, infatti per ogni x nel codominio {a ∈ R | a > 0} abbiamo

PreimqR (x) = { x}, perché l’unico elemento y del dominio {a ∈

R | a > 0} tale che q R (y) = x è tale che y 2 = x, ossia y = x.

3. Consideriamo la funzione r + : {a ∈ R | a > 0} ∋ x 7−→ x ∈
{a ∈ R | a > 0} ◮, che è invertibile. L’inversa della funzione r + è la ◮ Definita nell’Esempio 6.12-3.
funzione r −1 2
+ : {a ∈ R | a > 0} ∋ x 7−→ x ∈ {a ∈ R | a > 0}, infatti
per
 2 ogni x nel codominio {a ∈ R | a > 0} abbiamo Preimr+ (x) =
x , perché l’unico elemento y del dominio {a ∈ R | a > 0} tale

che r+ (y) = x è tale che y = x, ossia y = x2 .
4. Consideriamo la funzione h : R2 ∋ (x, y) 7−→ (x+ 2y, x+ y) ∈ R2 ◮. ◮ Questa funzione è simile alla funzione g,
definita nell’Esempio 6.2-4, ma cambia sia
La controimmagine di un elemento (a, b) ∈ R2 del codominio  è il codominio che la legge.
2
formata delle coppie (x, y) ∈ R del dominio tali che h (x, y) =
(a, b), ossia tali che (x + 2y, x + y) = (a, b), ossia tali che

x + 2y = a
.
x+y =b

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Lezione 6. Funzioni e classi di equivalenza 6–10

Questo sistema ha una sola soluzione, (x, y) = (2b−a, a−b), quindi


abbiamo Preimh (a, b) = {(2b − a, a − b)}. Allora la funzione h è
bigettiva ◮ e la sua inversa è h−1 : R2 ∋ (a, b) 7−→ (2b − a, a − b) ∈ ◮ Osservazione 6.21.
R2 ◮
◮. ◮ Le lettere che indicano le variabili non

contano: avremmo potuto anche scrivere
5. L’inversa della funzione idI è la funzione id−1
I = idI stessa, infatti h−1 : R2 ∋ (x, y) 7−→ (2y − x, x − y) ∈ R2 .
per ogni x ∈ I abbiamo PreimidI (x) = {x} ◮ ◮.
◮ ◮ Esempio 6.18-5.


Definizione 6.24. Date due funzioni f : I → J e g : J → K, la Composizione
composizione di f e g è la funzione I
f
// J g
66// K .

g ◦ f : I ∋ x 7−→ g f (x) ∈ K. ◦ g◦f

Il dominio di g deve coincidere con il codo-


Esempio 6.25. 1. Consideriamo le funzioni f e fB definite nell’E- minio di f , altrimenti non ha senso definire
sempio 6.2-1, e consideriamo la funzione la composizione di f e g.
col : {a, b, c, d} −→ {bianco, rosso, verde} definita da col(a) = “bianco”,
col(b) = “rosso”, col(c) = “verde”, col(d) = “rosso”. col :
La composizione col ◦ f : {1, 2,3, 4} −→ {bianco, rosso, verde} è
definita da col ◦ f (1) = col f (1) = col(a) = “bianco”, col ◦ f (2) =
col f (2) = col(c) = “verde”, col ◦ f (3) = col f (3) = col(c) =
“verde”, col ◦ f (4) = col f (4) = col(d) = “rosso”. col ◦ f :
La composizione col ◦ fB : {1, 2, 3, 4} −→ {bianco, rosso, verde} è
definita da col ◦ fB (1) = col fB (1) = col(a) = “bianco”, col  ◦
fB (2) = col fB (2) = col(c) = “verde”, col ◦ f B (3) = col f B (3) =
col(b) = “rosso”, col ◦ fB (4) = col fB (4) = col(d) = “rosso”. col ◦ fB :

Non si può fare la composizione fB ◦f di f e fB perché il codominio


di f e il dominio di fB sono diversi. Analogamente, non si può fare
la composizione f ◦ col di col e f perché il codominio di col e il
dominio di f sono diversi.
2. Consideriamo la funzione q definita nell’Esempio 6.2-2, e conside-
riamo la funzione t : R ∋ x 7−→ x + 1 ∈ R.

La composizione
 t ◦ q : R −→ R è definita da t ◦ q(x) = t q(x) = In questo caso possiamo fare entrambe le
composizioni, t ◦ q e q ◦ t, perché il co-
t x2 = x2 + 1. Invece la composizione q ◦ t : R −→ R è definita dominio di una funzione coincide con il
da q ◦ t(x) = q t(x) = q(x + 1) = (x + 1)2 . dominio dell’altra, e viceversa, me le due
composizioni sono diverse.
3. Consideriamo la funzione g definita nell’Esempio 6.2-4, e conside-
riamo la funzione p : R3 ∋ (x, y, z) 7−→ (y, z, x, 2x) ∈ R4 .
La composizione p ◦ g : R2 −→ R4 è definita da
   
p◦g(x, y) = p g (x, y) = p (x+2y, x+y, 2x−y) = x+y, 2x−y, x+2y, 2(x+2y) .
Invece la composizione g ◦ p non si può fare.
4. La composizione dell’identità idI e di una qualsiasi funzione f : I −→
J è la funzione
 f ◦ idI = f : I −→ J , infatti abbiamo f ◦ idI (x) =
f idI (x) = f (x) per ogni x ∈ I.
Analogamente, la composizione di una qualsiasi funzione f : I −→
J e dell’identità idJ è la funzione
 idJ ◦ f = f : I −→ J , infatti
abbiamo idJ ◦ f (x) = idJ f (x) = f (x) per ogni x ∈ I.
f g g f
Proposizione 6.26. Una funzione f : I → J è bigettiva se e solo se I // J 66// I e J // I 66// J .
esiste una funzione g : J → I tale che g ◦ f = idI e f ◦ g = idJ . Inoltre, idI idJ

questa funzione g è l’inversa di f , ossia è f −1 .

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Versione 1.0
Lezione 6. Funzioni e classi di equivalenza 6–11

Dimostrazione. Cominciamo dimostrando che la funzione f è invertibile


se e solo se esiste una funzione g tale che g ◦ f = idI and f ◦ g = idJ .
Dobbiamo dimostrare due implicazioni. Supponiamo che f sia invertibile
e dimostriamo l’esistenza di g. La funzione g cercata è la funzione f −1
definita sopra ◮, infatti dalla definizione e dal fatto che f è bigettiva ◮ Definizione 6.22.
abbiamo che f (x) = y se e solo se f −1 (y) = x, e quindi
f −1 ◦ f (x) = x ∀x∈I e f ◦ f −1 (y) = y ∀ y ∈ J,
ossia f −1 ◦ f = idI and f ◦ f −1 = idJ .
Viceversa, supponiamo che esista una funzione g tale che g ◦ f = idI
e f ◦ g = idJ , e dimostriamo che f è bigettiva. Supponiamo per assurdo
che f non sia iniettiva; allora esistono x1 , x2 ∈ I diversi tali che f (x1 ) =
f (x2 ), e quindi abbiamo
 
idI (x1 ) = g ◦ f (x1 ) = g f (x1 ) = g f (x2 ) = g ◦ f (x2 ) = idI (x2 ) ,
che contraddice il fatto che idI sia iniettiva ◮. Supponiamo ora per as- ◮ Esempio 6.15-5.
surdo che f non sia surgettiva; allora esiste y ∈ J tale che y 6∈ Im(f ),
ma abbiamo

y = idJ (y) = f ◦ g(y) = f g(y) ,
che contraddice il fatto che y 6∈ Im(f ) ◮. Quindi f è sia iniettiva che ◮ Abbiamo che y è l’immagine rispetto a f
di g(y).
surgettiva, ossia è bigettiva.
Concludiamo dimostrando che g = f −1 . Sia y ∈ J , e sia x l’unico
elemento di Preimf (y) ◮. Abbiamo x = idI (x) = g ◦ f (x) = g(y), ◮ Abbiamo appena dimostrato che f è inver-
tibile, quindi Preimf (y) è formato da esat-
ossia g associa a y l’unico elemento della controimmagine di y, ossia tamente un elemento (Osservazione 6.21).
g = f −1 ◮
◮.
◮ Definizione 6.22.

Osservazione 6.27. Abbiamo che l’inversa di una funzione (bigettiva)


è bigettiva, e la sua inversa è la funzione stessa. Più precisamente, se
f : I → J è una funzione bigettiva, abbiamo che
−1
f −1 = f.
Per verificarlo è sufficiente notare che
f ◦ f −1 (y) = y ∀y∈J e f −1 ◦ f (x) = x ∀ x ∈ I,
ossia f ◦ f −1 = idJ e f −1 ◦ f = idI , e dedurre, per la proposizione
precedente, che f −1 è bigettiva e che f è l’inversa di f −1 .
Esempio 6.28. Consideriamo le funzioni invertibili dell’Esempio 6.23.
1. Abbiamo fB−1 ◦ fB = id{1,2,3,4} e fB ◦ fB−1 = id{a,b,c,d} . ◮ Inoltre, ◮ Abbiamo visto sopra come calcolare la
−1 ◮ composizione.
abbiamo che fB è l’inversa di fB−1 , i.e. fB = fB−1 .◮
◮ Abbiamo
◮ visto sopra come calcolare
2. L’inversa della funzione l’inversa.

q R : {a ∈ R | a > 0} ∋ x 7−→ x2 ∈ {a ∈ R | a > 0}


è la funzione ◮ ◮ Definita nell’Esempio 6.12-3.

r+ : {a ∈ R | a > 0} ∋ x 7−→ x ∈ {a ∈ R | a > 0}.
Abbiamo r + ◦ q R = id{a∈R | a>0} and q R ◦ r+ = id{a∈R | a>0} . ◮ ◮ Abbiamo visto sopra come calcolare la
composizione.
Abbiamo q −1 −1
R = r+ e r+ ◦ qR.
3. Abbiamo h−1 ◦ h = idR2 e anche h ◦ h−1 = idR2 .
4. Abbiamo id−1 −1
I ◦ idI = idI e anche idI ◦ idI = idI . Sono tutte funzioni identità.

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Versione 1.0
Lezione 6. Funzioni e classi di equivalenza 6–12

6.2 Classi di equivalenza


Definizione 6.29. Dato un insieme I, una relazione su I è un sot- Relazione (di equivalenza)
toinsieme R del prodotto cartesiano I × I ◮; un elemento x è detto in ◮R ⊂ I × I
relazione con un elemento y (rispetto a R) se (x, y) ∈ R; in tal caso si
usa la notazione x ∼R y.
Una relazione di equivalenza è una relazione che soddisfa le seguenti
proprietà:
• (x, x) ∈ R per ogni x ∈ I (proprietà riflessiva), Proprietà riflessiva

• se (x, y) ∈ R allora (y, x) ∈ R per ogni x, y ∈ I (proprietà Proprietà simmetrica


simmetrica),
• se (x, y) ∈ R e (y, z) ∈ R allora (x, z) ∈ R per ogni x, y, z ∈ I Proprietà transitiva
(proprietà transitiva).
In tal caso, due elementi x, y ∈ I che sono in relazione rispetto a R sono Equivalenza
detti equivalenti (rispetto a R).
Notazione 6.30. Solitamente, per caratterizzare una relazione di equi-
valenza, si danno condizioni, e non si indica l’insieme R esplicitamente.
Supponiamo che ci sia una proprietà P tale che x, y ∈ I sono in rela-
zione se e solo se P (x, y) è vera, allora definiremo la relazione nel modo
seguente:
x ∼R y se e solo se P (x, y) è vera.
Con un lieve abuso di notazione, indicheremo la relazione direttamente
con ∼R . L’insieme R = {(x, y) ∈ I × I | P (x, y) è vera} non viene L’insieme è automaticamente definito dalla
proprietà.
indicato esplicitamente.
Esempio 6.31. 1. Consideriamo l’insieme I = {1, 2, 3, 4, 5, 6} e la
relazione ◮ ◮ R1 è una relazione, infatti R1 ⊂ I × I.

R1 = (x, y) ∈ I 2 x e y sono o entrambi pari o entrambi dispari =

= (1, 1), (1, 3), (1, 5), (3, 1), (3, 3), (3, 5), (5, 1), (5, 3), (5, 5),

(2, 2), (2, 4), (2, 6), (4, 2), (4, 4), (4, 6), (6, 2), (6, 4), (6, 6) .
La relazione R1 può essere definita anche nel modo seguente:
x ∼R1 y se e solo se x e y sono o entrambi pari o entrambi dispari.
Ad esempio, abbiamo che 1 è in relazione con 1, 3 e 5 ◮, ma non con ◮ 1 ∼R1 1, 1 ∼R1 3, 1 ∼R1 5.
2, 4 e 6. Questa relazione è una relazione di equivalenza, infatti
soddisfa le tre proprietà della definizione.
Proprietà riflessiva: per ogni x ∈ I abbiamo x ∼R1 x. È
ovvio. ◮ ◮ Non c’è molto da dimostrare: o x e x so-
no entrambi pari, o x e x sono entrambi
Proprietà simmetrica: per ogni x, y ∈ I abbiamo x ∼R1 y ⇒ dispari.
y ∼R1 x. È ovvio. ◮ ◮ Se abbiamo x ∼R1 y, x e y sono o entrambi
Proprietà transitiva: per ogni x, y, z ∈ I abbiamo pari o entrambi dispari, e quindi y ∼R1 x.

x ∼R1 y e y ∼R1 z ⇒ x ∼R1 z.


Infatti, consideriamo y: se y è pari, anche x e z sono pari ◮, ◮ x ∼R1 y e y ∼R1 z.
quindi abbiamo x ∼R1 z; analogamente, se y è dispari, anche
x e z sono dispari, quindi abbiamo x ∼R1 z.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 6. Funzioni e classi di equivalenza 6–13

◮ La “regola” è la stessa del punto pre-


2. Consideriamo la relazione R2 su Z definita da ◮ cedente, ma cambia l’insieme su cui è
definita.
x ∼R2 y se e solo se x e y sono o entrambi pari o entrambi dispari.
Abbiamo

R2 = (x, y) ∈ Z2 x e y sono o entrambi pari o entrambi dispari .
Tutti i numeri dispari sono in relazione con i numeri dispari, e non
con i pari. Tutti i numeri pari sono in relazione con i numeri pari, e
non con i dispari. Questa relazione è una relazione di equivalenza,
infatti soddisfa le tre proprietà della definizione: la dimostrazione
è la stessa del punto precedente, quindi la omettiamo.
3. Consideriamo l’insieme I = {automobili} e la relazione R3 definita
da
a1 ∼R3 a2 se e solo se a1 e a2 hanno lo stesso colore.
Una automobile gialla è in relazione con tutte le automobili gial-
le, ma non con le altre; una automobile rossa è in relazione con
tutte le rosse, ma non con le altre; e così via. Questa relazione è
una relazione di equivalenza, infatti soddisfa le tre proprietà della
definizione.
Proprietà riflessiva: per ogni a ∈ I abbiamo a ∼R3 a. È ov-
vio. ◮ ◮ Non c’è molto da dimostrare: ogni au-
tomobile a ha lo stesso colore di sé
Proprietà simmetrica: per ogni a1 , a2 ∈ I abbiamo a1 ∼R3 stessa.
a2 ⇒ a2 ∼R3 a1 . È ovvio. ◮ ◮ Se a1 e a2 hanno lo stesso colore, anche a2
Proprietà transitiva: per ogni a1 , a2 , a3 ∈ I abbiamo e a1 hanno lo stesso colore.

a1 ∼R3 a2 e a2 ∼R3 a3 ⇒ a1 ∼R3 a3 .


Infatti, a1 e a3 hanno lo stesso colore di a2 ◮, quindi a1 e a3 ◮ a1 ∼R3 a2 e a2 ∼R3 a3 .
hanno lo stesso colore e abbiamo a1 ∼R3 a3 .
4. Consideriamo sull’insieme N la relazione R definita da
n ∼R m se e solo se n divide m.
Ad esempio, 2 è in relazione con tutti i numeri naturali pari (0, 2, 4, . . . ),
12 è in relazione con tutti i numeri naturali divisibili per 12 (0, 12, 24, . . . ),
mentre 1 è in relazione con tutti i numeri naturali (infatti 1 divi-
de tutti i numeri naturali). Questa relazione non è una relazione
di equivalenza, infatti soddisfa solo due delle tre proprietà della
definizione (non è simmetrica).
Proprietà riflessiva: per ogni n ∈ N abbiamo n ∼R n. Infatti,
ogni numero divide sé stesso. ◮ ◮ n = 1 · n.

Proprietà simmetrica (non soddisfatta): per ogni n, m ∈ N


abbiamo n ∼R m ⇒ m ∼R n. Non è verificata, infatti
abbiamo che 1 divide 2, ma 2 non divide 1 ◮. ◮ Non esiste nessun numero naturale k tale
che 1 = k · 2.
Proprietà transitiva: per ogni n, m, l ∈ N abbiamo
n ∼R m e m ∼R l ⇒ n ∼R l.
Infatti, se n ∼R m e m ∼R l, abbiamo che esiste k ∈ N tale
che m = k · n e che esiste h ∈ N tale che l = h · m. Quindi
abbiamo l = h · m = h · (k · n) = (h · k) · n, ossia n divide l e
n ∼R l.

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Versione 1.0
Lezione 6. Funzioni e classi di equivalenza 6–14

5. Consideriamo la relazione R sull’insieme R definita da


x ∼R y se e solo se y = x + 1.
Ad esempio, abbiamo 3 ∼R 4, −6 ∼R −5, π ∼R π + 1, ma 3 non è
in relazione con 5 né con 2. ◮ Questa relazione non è una relazione ◮ Ogni numero reale è in relazione solo con
quello ottenuto sommandogli 1.
di equivalenza, infatti non soddisfa nessuna delle tre proprietà della
definizione.
Proprietà riflessiva (non soddisfatta): per ogni x ∈ R abbia-
mo x ∼R x. Non è verificata, infatti abbiamo che 0 non è in
relazione con sé stesso ◮. ◮ 0 6= 0 + 1.

Proprietà simmetrica (non soddisfatta): per ogni x, y ∈ R


abbiamo x ∼R y ⇒ y ∼R x. Non è verificata, infatti abbiamo
che 2 ∼R 3 ma 3 non è in relazione con 2. ◮. ◮ 3 = 2 + 1, ma 2 6= 3 + 1.

Proprietà transitiva (non soddisfatta): per ogni n, m, l ∈ N


abbiamo n ∼R m e m ∼R l ⇒ n ∼R l. Non è verificata,
infatti abbiamo che 2 ∼R 3 e 3 ∼R 4, ma 2 non è in relazione
con 4. ◮. ◮ 3 = 2 + 1 e 4 = 3 + 1, ma 4 6= 2 + 1.

Definizione 6.32. Sia ∼R una relazione di equivalenza su un insieme Classe di equivalenza


I. Dato un elemento x ∈ I, il sottoinsieme I formato dagli elementi che
sono equivalenti a x è detto classe di equivalenza di x per la relazione di
equivalenza ∼R , ed è indicato con
[x]∼R .
L’elemento x è detto rappresentante della classe di equivalenza [x]∼R . Rappresentante

Proposizione 6.33. Sia ∼R una relazione di equivalenza su un insieme


I. Se x è equivalente a y, la classe di equivalenza di x è uguale a quella x ∼R y ⇒ [x]∼R = [y]∼R .
di y. Se invece x non è equivalente a y, la classe di equivalenza di x e non (x ∼R y) ⇒ [x]∼R ∩ [y]∼R = ∅.
quella di y hanno intersezione vuota.
Dimostrazione. Supponiamo che x ∼R y. Allora, per la proprietà transi-
tiva, un elemento è equivalente a x se e solo se è equivalente a y. Quindi
le classi di equivalenza di x e di y coincidono.
Supponiamo ora che x e y non sono equivalenti. Allora, sempre
per la proprietà transitiva, un elemento equivalente a x non può essere
equivalente a y, e viceversa ◮. Quindi le classi di equivalenza di x e di y ◮ Se per assurdo avessimo z ∼R x e z ∼R
y, avremmo x ∼R y che è assurdo
hanno intersezione vuota. (stiamo supponendo che x e y non sono
equivalenti).
Osservazione 6.34. Dalla proposizione precedente deduciamo che la
scelta del rappresentante è arbitraria ◮. È, però, importante notare che ◮ Ognuno può scegliere come rappresentante
di una classe di equivalenza un qualsiasi
quando usiamo un rappresentante invece della classe stessa, dobbiamo elemento che sta nella classe.
verificare che tutto ciò che viene fatto non dipende dal rappresentante
scelto ◮. ◮ Appunto perché la scelta è arbitraria, dob-
biamo stare attenti che non ci siano cam-
Esempio 6.35. Consideriamo le relazioni di equivalenza definite nell’E- biamenti in ciò che viene fatto se qualcun
sempio 6.31. altro sceglie un rappresentante diverso.

1. La relazione di equivalenza definita nell’Esempio 6.31-1 ha due


classi di equivalenza: {1, 3, 5} e {2, 4, 6}. Gli elementi 1, 3, 5 so-
no i rappresentanti della classe di equivalenza [1]∼R = [3]∼R =
1 1
[5]∼R = {1, 3, 5}; invece, gli elementi 2, 4, 6 sono i rappresentanti
1

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Versione 1.0
Lezione 6. Funzioni e classi di equivalenza 6–15

della classe di equivalenza [2]∼R = [4]∼R = [6]∼R = {2, 4, 6}.


1 1 1
Gli elementi 1, 3, 5 sono tra loro equivalenti e non sono equivalenti
agli elementi 2, 4, 6, e viceversa; infatti, le due classi di equivalenza
hanno intersezione vuota.
2. Anche la relazione di equivalenza definita nell’Esempio 6.31-2 ha
due classi di equivalenza: {. . . , −1, 1, 3, 5, . . .} e {. . . , −2, 0, 2, 4, . . .}.
I numeri dispari sono i rappresentanti della classe di equivalenza
{. . . , −1, 1, 3, 5, . . .}; invece, i numeri pari sono i rappresentanti
della classe di equivalenza {. . . , −2, 0, 2, 4, . . .}. ◮ Tutti i numeri di- ◮ Ad esempio, abbiamo [9]∼R2 = [13]∼R2 =
spari sono tra loro equivalenti e non sono equivalenti ai numeri pari, {. . . , −1, 1, 3, 5, . . .} e [12]∼R2 =
e viceversa; infatti, le due classi di equivalenza hanno intersezione [18]∼R2 = {. . . , −2, 0, 2, 4, . . .}.
vuota.
3. La relazione di equivalenza definita nell’Esempio 6.31-3 ha va-
rie classi di equivalenza: {automobili gialle}, {automobili rosse},
{automobili verdi}, ecc. ◮ Una qualsiasi automobile gialla rappre- ◮ C’è una classe di equivalenza per ogni
senta la classe di equivalenza {automobili gialle}; una qualsiasi au- colore.
tomobile rossa rappresenta la classe di equivalenza {automobili rosse};
una qualsiasi automobile verde rappresenta la classe di equivalenza
{automobili verdi}; e così via. Tutte le automobili gialle sono tra
loro equivalenti e non sono equivalenti a nessun’altra automobile di
un altro colore, tutte le automobili rosse sono tra loro equivalenti
e non sono equivalenti a nessun’altra automobile di un altro colo-
re, tutte le automobili verdi sono tra loro equivalenti e non sono
equivalenti a nessun’altra automobile di un altro colore, e così via;
infatti, le classi di equivalenza hanno intersezione vuota.
Osservazione 6.36. Sia ∼R una relazione di equivalenza su un insieme Partizione
I. Ogni elemento di I appartiene a una classe di equivalenza e due
classi di equivalenza diverse hanno intersezione vuota, quindi l’insieme I
è diviso in sottoinsiemi ogni coppia dei quali ha intersezione vuota. Una
tale suddivisione è detta partizione di I.
Definizione 6.37. L’insieme delle classi di equivalenza per una relazione Insieme quoziente
di equivalenza ∼R su un insieme I è detto insieme quoziente di I per la 




 

relazione di equivalenza ∼R .  

 

Esempio 6.38. Consideriamo le relazioni di equivalenza definite nell’E- 
 

sempio 6.31, di cui abbiamo descritto le classi di equivalenza nell’Esem-
pio 6.35.
1. Le due classi di equivalenza [1]∼R e [2]∼R ◮ hanno intersezione ◮ Abbiamo scelto 1 e 2 come rappresentanti,
1 1
ma sarebbe stato uguale se avessimo scelto
vuota e la loro unione è tutto l’insieme I: altri rappresentanti: 3 o 5 al posto di 1, e
4 o 6 al posto di 2.
[1]∼R ∩ [2]∼R = ∅ e [1]∼R ∪ [2]∼R = I;
1 1 1 1
n o
esse formano una partizione di I. L’insieme [1]∼R , [2]∼R è
1 1
l’insieme quoziente dell’insieme {1, 2, 3, 4, 5, 6} per la relazione di
equivalenza ∼R1 .
2. Le due classi di equivalenza [0]∼R e [1]∼R ◮ hanno intersezione ◮ Abbiamo scelto 0 e 1 come rappresentanti,
2 2
ma sarebbe stato uguale se avessimo scel-
vuota e la loro unione è tutto l’insieme Z: to altri rappresentanti: un qualsiasi nume-
ro intero pari al posto di 0, e un qualsiasi
[0]∼R ∩ [1]∼R = ∅ and [0]∼R ∪ [1]∼R = Z; numero intero dispari al posto di 1.
2 2 2 2

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Versione 1.0
Lezione 6. Funzioni e classi di equivalenza 6–16

n o
esse formano una partizione di Z. L’insieme [0]∼R , [1]∼R è
2 2
l’insieme quoziente dell’insieme Z per la relazione di equivalenza
∼R2 .
3. Le classi di equivalenza {automobili gialle}, {automobili rosse},
{automobili verdi}, ecc. hanno a due a due intersezione vuota e
la loro unione è tutto l’insieme {automobili}; esse formano una
partizione di {automobili}. L’insieme ◮ ◮ Questo insieme quoziente può essere
 pensato come un insieme di colori
{automobili gialle}, {automobili rosse}, {automobili verdi}, . . . ({giallo, rosso, verde, . . .}), ma, volendo es-
sere precisi, non è un insieme di colo-
è l’insieme quoziente dell’insieme {automobili} per la relazione di ri: i suoi elementi non sono colori, so-
no classi di equivalenza (ossia sottoinsiemi
equivalenza ∼R3 . dell’insieme {automobili}).

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Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 6/S1
Titolo: Funzioni e classi di equivalenza
Attività n°: 1

Sessione di Studio 6.1

Funzioni e classi di equivalenza


Lezione 6. Funzioni e classi di equivalenza 6–17

Sessione di Studio 6.1



Esercizio 6.1. Trova l’immagine della funzione f : R ∋ x 7−→ x2 , −x2 ∈
2
 . Trova 2la controimmagine
R dell’elemento (1, −1) e dell’insieme I =

(a, a) ∈ R a ∈ R .
 2
Soluzione. Abbiamo x ∈ R x ∈ R = {x ∈ R | x > 0}, quindi abbia-

mo Im(f ) = (a, −a) ∈ R2 a ∈ R con a > 0 .
La controimmagine di (1, −1)  è formata dai numeri reali tali che
f (x) = (1, −1), ossia x2 , −x2 = (1, −1). Le soluzioni del sistema
 2
x =1
sono x = ±1, quindi Preimf (1, −1) = {±1}.
−x2 = −1
 Analogamente, per la controimmagine di I, risolviamo il sistema
x2 = a
. L’unica soluzione è x = 0, ◮ quindi Preimf (I) = {0}. ◮ x2 = a ha soluzioni solo per a > 0, men-
−x2 = a tre −x2 = a ha soluzioni solo per a 6 0,

x2 = 0
quindi a = 0. Il sistema ha
−x2 = 0
soluzione x = 0.
Esercizio 6.2. Trova i punti fissi della funzione f : R2 ∋ (x, y) 7−→
(y − x, 4y − 6x) ∈ R2 .
Soluzione.  Una coppia (x, y) ∈ R2 è un punto fisso di f se f (x, y) =
y−x=x
(x, y), ossia , le cui soluzioni sono (x, y) = (α, 2α) con
4y − 6x = y
α ∈ R.


Esercizio 6.3. La funzione f : R3 ∋ (x, y, z) 7−→ y + 1, x2 + y 2 , x − 2z ∈
R3 è iniettiva? È surgettiva?
Soluzione. Cerchiamo di trovare la controimmagine di un elemento
(a, b, c) del codominio, ossia di risolvere f (x, y, z) = (a, b, c).
 L’equazione
  y+1=a
y + 1, x2 + y 2 , x − 2z = (a, b, c) è equivalente al sistema x2 + y 2 = b .

x − 2z = c
Abbiamo b > 0, quindi f non è surgettiva (per esempio, Preimf (0, −1, 0) =
∅).
Inoltre, trovando x dalla
 terza equazione e y dalla prima, abbiamo che
 y =a−1
il sistema è equivalente a (c + 2z)2 + (a − 1)2 = b . La seconda equa-

x = c + 2z

zione è 4z 2 +4cz+c2 +(a−1)2 −b = 0. Se 16c2 −16 c2 + (a − 1)2 − b > 0

−4c± 16c2 −16(c2 +(a−1)2 −b)
ci sono due soluzioni per z, ossia z1/2 = 8 . Que-
sto succede per esempio se c = 0 e a = b = 1 (precisamente, 16 > 0),
quindi # Preimf (1, 1, 0) = 2 e f non è iniettiva.

Esercizio 6.4. Dimostra che la funzione f : R2 ∋ (x1 , x2 ) 7−→ (x2 − x1 , 3x1 − 2x2 ) ∈
R2 è bigettiva, e calcola la sua inversa.
Soluzione. Cerchiamo la controimmagine Preimf (a1 , a2 ) di un elemen-
to generico
 (a1 , a2 ) del codominio, ossia cerchiamo le soluzioni del siste-
x 2 − x 1 = a1
ma . C’è esattamente una soluzione per ogni (a1 , a2 ),
3x1 − 2x2 = a2

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 6. Funzioni e classi di equivalenza 6–18

ossia (x1 , x2 ) = (2a1 + a2 , 3a1 + a2 ), quindi la funzione è bigettiva, e la


sua inversa è
f −1 : R2 ∋ (a1 , a2 ) 7−→ (2a1 + a2 , 3a1 + a2 ) ∈ R2 .

Esercizio 6.5. Scrivi esplicitamente le funzioni g ◦ f e f ◦ g con



f : R ∋ x 7−→ x, x2 , x − 1 ∈ R3 e g : R3 ∋ (a, b, c) 7−→ (a−1, b−c) ∈ R2 ,
se possono essere definite.
Soluzione. Abbiamo g ◦ f : R 7−→ R2 con
  
g f (x) = g x, x2 , x − 1 = x − 1, x2 − (x − 1) .
Visto che il dominio di f e il codominio di g sono diversi, la compo-
sizione di g e f non può essere definita.

Esercizio 6.6. Dimostra che la relazione su Z tale che


n ∼R m se e solo se m − n è un multiplo di 3
è una relazione di equivalenza. Trova l’insieme quoziente.
Soluzione. Dimostriamo le tre proprietà della definizione. ◮ ◮ Definizione 6.29.

Proprietà riflessiva: per ogni n ∈ Z abbiamo n − n = 0 = 0 · 3.


Proprietà simmetrica: per ogni n, m ∈ Z, se abbiamo m − n = k · 3,
con k ∈ Z, allora abbiamo n − m = (−k) · 3.
Proprietà transitiva: per ogni n, m, l ∈ Z, se abbiamo m − n = k · 3,
con k ∈ Z, e l − m = h · 3, con h ∈ Z allora abbiamo l − n =
(l − m) + (m − n) = h · 3 + k · 3 = (h + k) · 3.
La classe di equivalenza di 0 è [0]∼R = {. . . , −3, 0, 3, 6, . . .}, la classe di
equivalenza di 1 è [1]∼R = {. . . , −2, 1, 4, 7, . . .}, la classe di equivalenza
di 2 è [2]∼R = {. . . , −1, 2, 5, 8, . . .}.
L’unione di queste tre classi di equivalenza è tutto Z, quindi l’insieme
quoziente è

{. . . , −3, 0, 3, 6, . . .}, {. . . , −2, 1, 4, 7, . . .}, {. . . , −1, 2, 5, 8, . . .} .

Esercizio 6.7. La relazione ∼R1 su R tale che x ∼R1 y se e solo se


x < y è una relazione di equivalenza?
La relazione ∼R2 su {proposizioni} tale che
P ∼R2 Q se e solo se P ⇒ Q è vera
è una relazione di equivalenza?
Soluzione. La relazione R1 non è una relazione di equivalenza perché
non è riflessiva, infatti abbiamo che 0 non è legato a sé stesso (0 < 0 è
falso).
La relazione R2 non è una relazione di equivalenza perché non è (x = 0) ⇒ (x > 0) è vera, ma (x > 0) ⇒
(x = 0) non è vera.
simmetrica, infatti abbiamo che la proposizione x = 0 implica la pro-
posizione x > 0, ma l’implicazione inversa non è vera (la proposizione
x > 0 non implica la proposizione x = 0), quindi la proposizione x = 0
è in relazione con la proposizione x > 0 ma la proposizione x > 0 non è
in relazione con la proposizione x = 0.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 6/S2
Titolo: Funzioni e classi di equivalenza
Attività n°: 1

Sessione di Studio 6.2

Funzioni e classi di equivalenza


Lezione 6. Funzioni e classi di equivalenza 6–19

Sessione di Studio 6.2


Esercizio 6.8. Trova l’immagine della funzione
f : R ∋ (x, y) 7−→ (x − y, y − x) ∈ R2 .
Trova la controimmagine dell’insieme I = {(1, −1), (0, 0), (1, 1)} rispetto
a f.
Esercizio 6.9. Trova i punti fissi della funzione
f : R ∋ x 7−→ x3 ∈ R.
Esercizio 6.10. La funzione
f : R3 ∋ (x, y, z) 7−→ (x − y, y − z, z − x) ∈ R3
è iniettiva? È surgettiva?
Esercizio 6.11. Dimostra che la funzione
f : R3 ∋ (x, y, z) 7−→ (x + y, y + z, z + x) ∈ R3
è bigettiva, e calcola la sua inversa.
Esercizio 6.12. Fai la controprova, con il calcolo della composizione,
che l’inversa f −1 calcolata nell’Esercizio 6.4 è davvero l’inversa di f .
Esercizio 6.13. Scrivi esplicitamente le funzioni g ◦ f e f ◦ g con

f : R ∋ x 7−→ 2, x, x2 − x ∈ R3 e g : R2 ∋ (a, b) 7−→ a2 −b ∈ R,
se possono essere definite.
Esercizio 6.14. Dimostra che la relazione su R2 tale che (x1 , x2 ) ∼R
(y1 , y2 ) se e solo se x2 = y2 è una relazione di equivalenza. Trova l’insieme
quoziente.
Esercizio 6.15. La relazione ∼R1 su R tale che x ∼R1 y se e solo se
x 6 y è una relazione di equivalenza?
La relazione ∼R2 su R[x] tale che
p(x) ∼R2 q(x) se e solo se p(x) e q(x) hanno uno zero comune
è una relazione di equivalenza?

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 6. Funzioni e classi di equivalenza 6–20


Risultato dell’Esercizio
 6.8. Im(f ) =  (a, −a) ∈ R 2 a ∈ R .
Preimf (I) = (a + 1, a) ∈ R2 a ∈ R ∪ (a, a) ∈ R2 a ∈ R .
Risultato dell’Esercizio 6.9. −1, 0, 1. ◮ ◮ Abbiamo già visto nella Sezione 5.4
come trovare le soluzioni di equazioni
Risultato dell’Esercizio 6.10. Non iniettiva: f (1, 1, 1) = f (0, 0, 0). polinomiali.
Non surgettiva: (1, 0, 0) 6∈ Im(f ).
Risultato dell’Esercizio 6.11. Dimostra che la controimmagine Preimf (a, b, c)
di un elemento generico (a, b, c) del codominio è formata daesattamente
a+b−c −a+b+c
un elemento. f −1 : R3 ∋ (a, b, c) 7−→ a−b+c
2 , 2 , 2 ∈ R3 .
Risultato dell’Esercizio 6.12. Calcola esplicitamente f ◦f −1 e f −1 ◦f , Proposizione 6.26.
dimostrando che
f ◦f −1 : R2 ∋ (x1 , x2 ) 7−→ (x1 , x2 ) ∈ R2 e f −1 ◦f : R2 ∋ (a1 , a2 ) 7−→ (a1 , a2 ) ∈ R2 .
Risultato dell’Esercizio 6.13. g ◦ f non può essere definita.
 2 
f ◦ g : R2 ∋ (a, b) 7−→ 2, a2 − b, a2 − b − a2 − b ∈ R3 .
Risultato dell’Esercizio 6.14. Dimostra le tre proprietà della defini-
zione. ◮ L’insieme quoziente è ◮ Definizione 6.29.

{Ia | a ∈ R}

dove le classi di equivalenza sono Ia = [(0, a)]∼R = (x, a) ∈ R2 x ∈ R .
Risultato dell’Esercizio 6.15. R1 non è simmetrica: 0 6 1 ma 1 6 0.
R2 non è transitiva: (x − 1)(x − 2) e (x − 2)(x − 3) hanno uno zero
comune, (x − 2)(x − 3) e (x − 3)(x − 4) hanno uno zero comune, ma
(x − 1)(x − 2) e (x − 3)(x − 4) non hanno uno zero comune. ◮ ◮ Teorema fondamentale dell’algebra (Teore-
ma 5.50).

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 6/S3
Titolo: Funzioni e classi di equivalenza
Attività n°: 1

Sessione di Studio 6.3

Funzioni e classi di equivalenza


Lezione 6. Funzioni e classi di equivalenza 6–21

Sessione di Studio 6.3


Letture supplementari possono essere le seguenti:
• http://it.wikipedia.org/wiki/Funzione_(matematica)
• http://it.wikipedia.org/wiki/Funzione_trigonometrica
• http://it.wikipedia.org/wiki/Relazione_di_equivalenza

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 6/S3
Titolo: Funzioni e classi di equivalenza
Attività n°: 3

Sessione di Studio 6.3 Quiz

Funzioni e classi di equivalenza


Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 6/S3
Titolo: Funzioni e classi di equivalenza
Attività n°: 3

• Risolvere il seguente quiz a risposta


multipla in cui per ogni domanda una sola
risposta è giusta.
• Rivedere le risposte del quiz.
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 7
Titolo: Rette e piani
Attività n°: 1

Lezione 7
Rette e piani
Lezione 7

Rette e piani

In questa lezione daremo i concetti chiave della geometria euclidea che


saranno necessari nel seguito. Daremo una carrellata di concetti, con
alcuni esempi, e non un’esposizione completa dell’argomento. Essi so-
no fondamentali per ciò che faremo in seguito, sia per i concetti (che
sono la base per i concetti futuri) che per l’introduzione del linguaggio
matematico (che useremo nelle altre lezioni).

7.1 Rette e piani


Concetti primitivi
Nella geometria euclidea, il punto, la retta e il piano sono concetti pri-
mitivi, ossia concetti che non vengono definiti e su cui si basa la teoria
che sta per essere sviluppata.
Tutti questi concetti possono essere pensati in uno spazio, ossia un Spazio
insieme di punti caratterizzato da tre dimensioni, formato da infiniti
punti, illimitato in tutte le direzioni. L’ambiente in cui viviamo può far ◮ Per la precisione, non è (ancora) chiaro se
l’universo è veramente “illimitato in tutte
capire il concetto di spazio. ◮ le direzioni”.
• Un punto è una entità caratterizzata solo dalla posizione, che non Punto
ha nessuna dimensione. Solitamente un punto è contrassegnato
con una lettera maiuscola dell’alfabeto latino, A, B, C, . . . ; nelle
figure è rappresentato con un cerchio molto piccolo.
• Una retta è un insieme di punti caratterizzato da una dimensione, Retta
formata da infiniti punti, illimitata in entrambi i versi. Un filo teso
infinitamente lungo può far capire il concetto di retta. Solitamente
una retta è contrassegnata con una lettera minuscola dell’alfabeto
latino, r, s, t, . . . . Nelle figure è rappresentata con una linea dritta;
se due linee si intersecano, il punto d’intersezione è disegnato come
un cerchio piccolo, altrimenti la linea che passa “sotto” l’altra viene
tagliata per evitare di disegnare un punto di intersezione fittizio.
• Un piano è un insieme di punti caratterizzato da due dimensioni, Piano
formato da infiniti punti, illimitato in tutte le direzioni. La su-
perficie di un tavolo infinitamente esteso può far capire il concetto
di piano. Solitamente un piano è contrassegnato con una lettera

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 7. Rette e piani 7–2

minuscola dell’alfabeto greco, α, β, γ, . . . . Nelle figure è rappre-


sentata con quattro rette che ne delimitano una porzione; se due
piani si intersecano, la retta di intersezione è disegnata, altrimenti
le linee che delimitano il piano che giacciono “sotto” l’altro piano
sono disegnate tratteggiate.
Se abbiamo un insieme di punti che sono contenuti in una retta, essi Punti allineati e complanari
sono detti allineati. Se abbiamo un insieme di punti che sono contenuti
in un piano, essi sono detti complanari.
Oltre ai concetti primitivi, la geometria euclidea è basata anche su
postulati o assiomi, ossia enunciati che sono accettati come veri senza
che vengano dimostrati, come ad esempio il seguente.
Dati due punti distinti qualsiasi, per essi passa un’unica retta.
Ci sono altri postulati, ma evitiamo di parlarne per non appesantire la
trattazione.
Con i vari postulati è possibile dimostrare il seguente enunciato.
Dati tre punti non allineati qualsiasi, per essi passa un unico
piano.

Mutua posizione di rette e piani Due rette nel piano possono Mutua posizione di due rette nel
piano: rette coincidenti, incidenti,
essere: parallele
• coincidenti se in realtà sono la stessa retta;
• incidenti se sono distinte e si intersecano (in un punto ◮), come s′
e r1′ (ma anche come s′ e r2′ ) nella figura;
• parallele se non si intersecano, come r1′ e r2′ nella figura.
◮ Due rette che si incontrano in due pun-
Due piani nello spazio possono essere: ti distinti sono coincidenti, perché per due
punti distinti passa una sola retta.
• coincidenti se in realtà sono lo stesso piano;
Mutua posizione di due piani nello
◮), come α
• incidenti se sono distinti e si intersecano (in una retta ◮ spazio: piani coincidenti, incidenti,
e γ (ma anche come β e δ) nella figura sopra; paralleli
◮ Due piani nello spazio non si possono

• paralleli se non si intersecano, come α e β nella figura sopra. incontrare in un solo punto.
Inoltre, vale qualcosa di più forte: ogni retta è intersezione di due piani ◮
◮.
◮ ◮
◮ Infiniti piani contengono la retta: sce-

gliendone due qualsiasi distinti, la loro
Due rette nello spazio possono essere complanari o no. Se sono intersezione è la retta stessa.
complanari, possono essere ◮: Mutua posizione di due rette nello
• coincidenti se in realtà sono la stessa retta; spazio: rette coincidenti, incidenti,
parallele, sghembe
• incidenti se sono distinte e si intersecano (in un punto), come s e
r1 (ma anche come s e r2 ) nella figura;
• parallele se non si intersecano, come r1 e r2 nella figura.
Se le due rette sono incidenti o parallele, il piano in cui sono contenute
◮ È la stessa situazione vista sopra: due rette
è unico. Se le due rette non sono complanari, sono dette sghembe. In nel piano.
questo caso le due rette non sono né coincidenti, né incidenti, né parallele,
come s e t (ma anche come r1 e t, e come r2 e t) nella figura mostrata
quando abbiamo introdotto le rette.
Una retta rispetto a un piano nello spazio può essere Mutua posizione di una retta rispet-
to a un piano nello spazio: contenuta,
• contenuta se la retta è contenuta nel piano, come r e α nella figura; incidente, parallela
• incidente se la retta non è contenuta nel piano e lo interseca (in un
punto), come s e α nella figura;

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 7. Rette e piani 7–3

• parallela se la retta e il piano non si intersecano, come t e α nella


figura.

Fasci e stelle L’insieme di tutte le rette del piano che contengono un Fascio di rette
punto fissato è detto fascio di rette proprio. L’insieme di tutte le rette del
piano parallele a una data retta è detto fascio di rette improprio. Ogni
fascio di rette improprio può essere pensato come la classe di equivalenza
della relazione di parallelismo: due rette sono in relazione se e solo se
sono parallele. ◮ In un fascio di rette improprio le rette hanno in comune ◮ Per i fasci propri questo non è vero, perché
ogni retta appartiene a infiniti fasci propri
la direzione: più precisamente, un fascio di rette improprio è formato da diversi.
tutte le rette che hanno in comune la direzione.
L’insieme di tutti i piani dello spazio che contengono una retta fissata Fascio di piani
è detto fascio di piani proprio. L’insieme di tutti i piani dello spazio
paralleli a un dato piano è detto fascio di piani improprio. Ogni fascio
improprio può essere pensato come la classe di equivalenza della relazione
di parallelismo: due piani sono in relazione se e solo se sono paralleli. ◮ ◮ Per i fasci propri questo non è vero, perché
L’insieme di tutte le rette dello spazio che contengono un punto fissa- ogni piano appartiene a infiniti fasci propri
diversi.
to è detto stella di rette propria. L’insieme di tutte le rette dello spazio Stella di rette
parallele a una data retta è detto stella di rette impropria. Ogni stella
impropria può essere pensata come la classe di equivalenza della relazio-
ne di parallelismo: due rette sono in relazione se e solo se sono parallele. ◮

In una stella di rette impropria le rette hanno in comune la direzione:
più precisamente, una stella di rette impropria è formata da tutte le rette ◮ Per le stelle proprie questo non è vero, per-

che hanno in comune la direzione. ché ogni retta appartiene a infinite stelle
proprie diverse.

Concetti pseudo-primitivi
Dai concetti primitivi possiamo dedurre altri concetti pseudo-primitivi,
come la semiretta, il segmento, l’angolo.
• Una semiretta è ciascuna delle due parti in cui un punto di una Semiretta
retta la divide (il punto è considerato appartenere alla semiretta).
Nelle figure è rappresentata con una linea dritta delimitata in un
verso da un punto. Solitamente una semiretta è contrassegnata
con una lettera minuscola dell’alfabeto latino, r, s, t, . . . .
• Un segmento è la parte di una retta delimitata due punti distinti (i Segmento
due punti sono considerati appartienenti al segmento). Solitamente
un segmento è identificato dalla coppia di punti che lo delimitano,
AB, CD, EF, . . . ; nelle figure è rappresentato con una linea dritta
delimitata da due punti.
• Un angolo è una parte di un piano delimitata da due semirette Angolo
che hanno in comune il punto estremo. Nelle figure è rappresen-
tato con le due semirette e con una porzione di circonferenza che
indica quale porzione di piano è considerata. Solitamente un ango-
lo è contrassegnato con una lettera minuscola dell’alfabeto greco,
α, β, γ, . . . .

Angolo L’ampiezza di un angolo può essere misurata con due unità di Ampiezza di un angolo
misura: il grado e il radiante. Due semirette coincidenti delimitano due

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 7. Rette e piani 7–4

angoli: un angolo di 0 gradi (e 0 radianti), e un’altro angolo di 360 gradi


(e 2π radianti). ◮ A volte useremo il termine angolo e il suo nome anche ◮ Il primo è fittizio, il secondo è quello
mostrato nella figura.
per indicare l’ampiezza dell’angolo stesso.
Due rette che si intersecano in un punto formano quattro angoli,
uguali a coppie: gli angoli opposti rispetto al punto di intersezione infatti
sono uguali. Chiameremo angolo formato dalle due rette l’ampiezza dei
più piccoli angoli formati dalle due rette, e lo denoteremo con st, b dove s
e t sono le due rette. C’è un caso estremo, quando i quattro angoli sono
tutti uguali (90◦ o π2 ): in tal caso l’angolo è detto retto, e le rette sono Angolo retto
dette perpendicolari o ortogonali. Rette perpendicolari/ortogonali
Se una retta r interseca un piano α in un punto P , l’angolo è il Angolo tra una retta e un piano
più piccolo tra gli angoli tra r e una qualsiasi retta contenuta in α che
interseca r (in P ). Ci sono almeno due tali angoli minimi, che sono
uguali e opposti rispetto a P . Nelle figure l’angolo è rappresentato con
la retta, il piano, la retta contenuta nel piano che identifica l’angolo e
una porzione di circonferenza. Se la retta è contenuta nel piano, l’angolo
è 0. Se la retta è parallela al piano, l’angolo non è definito. Denoteremo
l’angolo tra r e α con rc α. La retta è detta perpendicolare o ortogonale Rette perpendicolari/ortogonali a un
piano
al piano se l’angolo tra essi è retto. In tal caso, una qualsiasi retta
contenuta in α e che interseca r in P è ortogonale a r.
Due rette perpendicolari allo stesso piano sono parallele tra loro. Due
piani perpendicolari alla stessa retta sono paralleli tra loro.

Angolo diedro Un angolo diedro è una delle quattro parti di spa-


Angolo diedro
zio (uguali a coppie) delimitati da due piani incidenti. Se i piani sono
paralleli, l’angolo diedro non è definito. Solitamente un angolo diedro è
contrassegnato con una lettera minuscola dell’alfabeto greco, α, β, γ, . . . .
L’ampiezza di un angolo diedro può essere misurata con due unità di
misura: il grado e il radiante. Due piani coincidenti delimitano quattro
angoli diedri: due angoli diedri di 0 gradi (0 radianti), e altri due angoli
diedri di 360 gradi (2π radianti). ◮ A volte useremo il termine angolo ◮ I primi sono fittizi, i secondi sono ciascuno
metà spazio.
diedro e il suo nome anche per indicare l’ampiezza dell’angolo diedro
stesso. Denoteremo l’ampiezza dei più piccoli angoli diedri delimitati
c
dai due piani α e β con αβ.
Due piani sono detti perpendicolari o ortogonali se i quattro angoli Piani perpendicolari/ortogonali
diedri sono tutti uguali (90◦ o π2 ).

Figure geometriche Adesso siamo in grado di costruire le figure geo-


metriche. Prima di fare ciò notiamo che le nozioni di parallelismo, ango-
lo, e ortogonalità si estendono (quando appropriati) ai segmenti, perché
ogni segmento identifica un’unica retta.
Un poligono è la porzione di piano delimitata da una catena finita di Poligono
segmenti che si chiudono per formare un laccio. I segmenti sono chiamati
lati, e i loro estremi vertici. I poligoni sono definiti univocamente dai
loro vertici ordinati, quindi sono indicati con i nomi dei vertici, scritti
seguendo l’ordine dei lati. Ad esempio, nella figura è mostrato il poligono
ABCDE con 5 lati. Esempi di poligoni sono i seguenti.
• I poligoni che hanno 3 lati sono chiamati triangoli. Tra essi abbia-

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 7. Rette e piani 7–5

mo:
– quelli con due lati di uguale lunghezza, che sono detti isosceli;
– quelli con tutti e tre i lati di uguale lunghezza, che sono detti
equilateri.
• I poligoni che hanno 4 lati sono chiamati quadrilateri. Tra essi
abbiamo:
– quelli che hanno due coppie di lati paralleli, che sono chiamati
parallelogrammi;
– i parallelogrammi con tutti gli angoli retti, che sono chiamati
rettangoli;
– i rettangoli con i lati di uguale lunghezza, che sono chiamati
quadrati.
Un poliedro è la porzione di spazio delimitata da un numero finito di Poliedro
poligoni, ogni coppia dei quali ha in comune o un lato, o un vertice, o
niente. I poligoni sono chiamati facce. Esempi di poligoni sono i seguenti.
• Quelli con 6 facce che sono parallelogrammi, che sono chiamati
parallelepipedi.
• I parallelepipedi con le facce quadrate, che sono chiamati cubi.

Sistemi di riferimento cartesiani


Un sistema di riferimento cartesiano (per una retta) è un punto della Sistema di riferimento cartesiano per
una retta
retta, detto origine, con un verso per la retta, insieme ad un’unità di
Origine
misura che permette di associare ad ogni punto della retta un numero
Coordinata
reale, detto coordinata. Il sistema di riferimento è indicato con (O; x)
dove O è l’origine mentre x ∈ R è la coordinata.
Un sistema di riferimento cartesiano (per un piano) è una coppia Sistema di riferimento cartesiano per
un piano
di rette perpendicolari, dette assi, che si intersecano in un punto, detto
origine, con un verso per ciascuna di esse, insieme ad un’unità di misura Asse
Origine
che permette di associare ad ogni punto degli assi un numero reale. In
Coordinate
questo modo possiamo associare ad ogni punto del piano una coppia di
numeri reali, detti coordinate. Il sistema di riferimento è indicato con
(O; x, y) dove O è l’origine mentre x ∈ R e y ∈ R sono le due coordinate.
Possiamo pensare gli elementi del piano come le coppie (x, y) ∈ R2 . Il
primo dei due assi è detto asse x, mentre il secondo è detto asse y.
Analogamente, possiamo estendere la definizione allo spazio. Un si- Sistema di riferimento cartesiano per
lo spazio
stema di riferimento cartesiano (per lo spazio) è una terna di rette per-
pendicolari, dette assi, che si intersecano tutte in un punto, detto origine, Asse
Origine
con un verso per ciascuna di esse, insieme ad un’unità di misura che per-
mette di associare ad ogni punto degli assi un numero reale. In questo Coordinate
modo possiamo associare ad ogni punto dello spazio una terna di numeri
reali, detti coordinate. Il sistema di riferimento è indicato con (O; x, y, z)
dove O è l’origine mentre x ∈ R, y ∈ R e z ∈ R sono le tre coordinate.
Possiamo pensare gli elementi dello spazio come le terne (x, y, z) ∈ R3 .
Il primo dei tre assi è detto asse x, il secondo è detto asse y, il terzo
è detto asse z. Il piano che contiene gli assi x e y è detto piano xy, il
piano che contiene gli assi x e z è detto piano xz, il piano che contiene
gli assi y e z è detto piano yz.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 7. Rette e piani 7–6

Notazione 7.1. D’ora in poi, considereremo sempre dato un sistema


di riferimento cartesiano (O; x) per la retta, o (O; x, y) per il piano, o
(O; x, y, z) per lo spazio, senza scriverlo esplicitamente.

Rette nel piano Una retta nel piano è il luogo ◮ dei punti le cui Forma implicita di una retta nel
piano
coordinate sono soluzione di un’equazione polinomiale di grado 1, ossia
◮ “Luogo” è un sinonimo di “insieme” in geo-
un’equazione come
metria quando l’insieme è caratterizzato
ax + by + c = 0, da un’equazione o un sistema.
◮ Visto che vogliamo che l’equazione abbia

◮ , nelle variabili x e y. Questa equazione è detta forma
con (a, b) 6= (0, 0) ◮ grado 1, i due parametri a e b non possono
implicita della retta nel piano. essere entrambi zero.

Se b 6= 0, possiamo trovare y in funzione di x: Forma esplicita di una retta nel piano

y = mx + q,
con m = − ab e q = − cb . Questa equazione è detta forma esplicita della
retta nel piano. Se invece b = 0, abbiamo l’equazione ax + c = 0 (dove Possiamo scrivere in forma esplicita tutte
le rette eccetto quelle parallele all’asse y.
a 6= 0 ◮), ossia l’equazione
◮ Almeno uno tra a e b deve essere diverso
x = k, da 0, perché il grado è uno.

con k = − ac .
Due equazioni ax + by + c = 0 e a′ x + b′ y + c′ = 0 rappresentano la ◮ h non può essere 0 perché altrimenti la se-

conda equazione diventerebbe 0 = 0, che
stessa retta se e solo se i coefficienti sono proporzionali, ossia se e solo non rappresenta una retta.

◮ tale che a′ = ha, b′ = hb e c′ = hc ◮ ◮ Qualcuno indica′ questa proporzionalità

se esiste h ∈ R \ {0} ◮ ◮. Invece,

′ ′
con la formula aa = bb = cc . Ciò è lie-
due equazioni in forma esplicita diverse non rappresentano mai la stessa vemente impreciso, infatti è giusto solo se
retta, infatti i due coefficienti m e q sono univocamente determinati dalla tutti i coefficienti sono diversi da 0. Se
invece alcuni coefficienti sono 0, in questa
retta: formula può comparire una divisione per 0
• il coefficiente m, detto coefficiente angolare, indica l’inclinazione che non si può fare.
della retta rispetto all’asse x, ed è la tangente dell’angolo α tra la Coefficiente angolare
retta e l’asse x mostrato nella figura ◮;
• il coefficiente q, detto intercetta o ordinata all’origine, indica l’in-
tersezione della retta con l’asse y, ossia la retta interseca l’asse y
nel punto con coordinate (0, q).
◮ È positivo se l’inclinazione della retta è
Due rette distinte nel piano sono parallele se e solo se i coefficienti a, verso l’alto, mentre è negativo se l’incli-
b e a′ , b′ sono proporzionali, ossia se e solo se esiste h ∈ R \ {0} tale che nazione della retta è verso il basso (sempre
spostandosi nel verso delle x crescenti).
a′ = ha e b′ = hb. ◮◮
Intercetta/ordinata all’origine
Esempio 7.2. La figura di questo esempio è la seguente. ◮ Se anche a, b, c e a′ , b′ , c′ sono

proporzionali, le due linee coinciderebbero.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 7. Rette e piani 7–7

1. La retta r che ha la forma implicita 2x+3y−12 = 0 contiene i punti


A = (0, 4), B = (3, 2), C = (6, 0), infatti abbiamo rispettivamente
2 · 0 + 3 · 4 − 12 = 0, 2 · 3 + 3 · 2 − 12 = 0, 2 · 6 + 3 · 0 − 12 = 0.
Un’altra forma implicita di r è 4x + 6y − 24 = 0, che è il doppio
dell’altra.
L’unica forma esplicita di r è y = − 32 x + 4. Il suo coefficiente
angolare è − 32 , mentre la sua intercetta è 4.
2. La retta s che ha la forma esplicita y = 2x − 4 contiene il punto
B = (3, 2), infatti abbiamo 2 = 2·3−4, che è l’intersezione tra r e s.
Ipunti di intersezione possono essere trovati risolvendo il sistema
2x + 3y − 12 = 0
, che ha solo la soluzione (x, y) = (3, 2). Il
y = 2x − 4
coefficiente angolare di s è 2, mentre la sua intercetta è −4.
Forme implicite di s sono 2x − y − 4 = 0, −2x + y + 4 = 0,
4x − 2y − 8 = 0,. . . .
3. La retta t che ha la forma esplicita y = 3 ha 0 come coefficiente
angolare, e 3 come intercetta. Forme implicite di t sono y − 3 = 0,
2y − 6 = 0, −4y + 12 = 0,. . . .
La retta t′ che ha la forma implicita x−6 = 0 non ha forme esplicite,
quindi non ha né il coefficiente angolare, né l’intercetta. Altre
forme implicite di t′ sono 2x− 12 = 0, 3x− 18 = 0, −x+ 6 = 0,. . . .
4. La retta r ′ che ha la forma implicita 4x + 6y − 3 = 0 è parallela a r,
infatti i suoi coefficienti 4 e 6 sono proporzionali a quelli di r, ossia
2 e 3, ma gli ultimi coefficienti, rispettivamente −3 e −12, non sono
2x + 3y − 12 = 0
proporzionali agli altri ◮. Infatti, il sistema ◮ 4 = h · 2 e 6 = h · 3, con h = 2,
4x + 6y − 3 = 0 ma −3 6= h · (−12). Se anche gli ulti-
non ha soluzione. mi fossero proporzionali le due equazioni
rappresenterebbero la stessa retta.
5. L’asse x ha la forma implicita y = 0, mentre l’asse y ha la forma
implicita x = 0.
L’equazione di un fascio di rette può essere costruita partendo da due
rette distinte qualsiasi nel fascio. Data r con forma implicita ax+by+c =
0, e r ′ con forma implicita a′ x + b′ y + c′ = 0, ◮ il fascio ha equazione ◮
◮ ◮ Visto che r e r ′ sono diverse, le equazioni
non sono proporzionali.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0 ◮ λ e µ non possono essere entrambi 0, al-

trimenti l’equazione di riduce a 0 = 0, che
non rappresenta una retta.
Lezione 7. Rette e piani 7–8


λ(ax+by +c)+µ a′ x + b′ y + c′ = 0 con (λ, µ) ∈ R2 \{(0, 0)}.
In questo caso diremo che il fascio è generato dalle due rette r e s. Se
(λ, µ) = (1, 0) la retta è r, mentre se (λ, µ) = (0, 1) la retta è r ′ . Se λ′ e
µ′ sono proporzionali a λ e µ ◮ la retta rappresentata è la stessa. ◮ λ′ = hλ e µ = hµ, con h ∈ R \ {0}.

Esempio 7.3. 1. Il fascio di rette generato dalle due rette r e s,


con equazioni rispettivamente x + y − 3 = 0 e x − 2y + 3 = 0, è
λ(x+y −3)+µ(x−2y +3) = 0. Tutte le rette nel fascio contengono
il punto (1, 2), infatti esso appartiene sia a r che a s, quindi il fascio
è proprio.
2. Il fascio di rette generato dalle due rette r e s, con equazioni rispet-
tivamente x + y − 3 = 0 e x + y = 0, è λ(x + y − 3) + µ(x + y) = 0.
Le rette nel fascio sono parallele, perché r e s sono parallele, quindi
il fascio è improprio.

Piani nello spazio Un piano nello spazio è il luogo dei punti le cui Forma implicita di un piano nello
spazio
coordinate sono soluzione di un’equazione polinomiale di grado 1, ossia
un’equazione come
ax + by + cz + d = 0,
con (a, b, c) 6= (0, 0, 0) ◮ , nelle variabili x, y e z. Questa equazione è detta ◮ Visto che vogliamo che l’equazione abbia
grado 1, i tre parametri a, b e c non
forma implicita del piano nello spazio. Due equazioni ax+by +cz +d = 0 possono essere tutti zero.
e a′ x + b′ y + c′ z + d′ = 0 rappresentano lo stesso piano se e solo se sono
proporzionali, ossia se e solo se esiste h ∈ R \ {0} ◮ tale che a′ = ha, ◮ Come per le rette, h non può essere 0 per-
ché altrimenti la seconda equazione diven-
b′ = hb, c′ = hc e d′ = hd ◮ ◮.
terebbe 0 = 0, che non rappresenta un
Due piani distinti nello spazio sono paralleli se e solo se i coefficienti piano.
a, b, c e a′ , b′ , c′ sono proporzionali, ossia se e solo se esiste h ∈ R \ {0} ◮ Come per le rette, qualcuno indica questa

tale che a′ = ha, b′ = hb e c′ = hc. ◮ ◮
◮ proporzionalità con la formula
a′ b′ c′ d′
Esempio 7.4. 1. Il piano α che ha la forma implicita 2x+3y−z−1 = a
=
b
=
c
= .
d
0 contiene i punti A = (0, 0, −1), B = (1, 0, 1), C = (1, 1, 4), infatti Ciò è lievemente impreciso, infatti è giusto
abbiamo rispettivamente 2 · 0 + 3 · 0 − (−1) − 1 = 0, 2 · 1 + 3 · 0 − solo se tutti i coefficienti sono diversi da 0.
Se invece alcuni coefficienti sono 0, in que-
1 − 1 = 0, 2 · 1 + 3 · 1 − 4 − 1 = 0. Un’altra forma implicita di α è sta formula può comparire una divisione
6x + 9y − 3z − 3 = 0, che è il triplo dell’altra. per 0 che non si può fare.

2. Il piano β che ha la forma implicita 6x + 9y − 3z − 2 = 0 è parallelo ′ ′ ′ ′
◮ Se anche a, b, c, d and a , b , c , d sono

proporzionali, i due piani coincidono.
a α, infatti i suoi coefficienti 6, 9 e −3 sono proporzionali a quelli
di α, ossia 2, 3 e −1, ma gli ultimi coefficienti, rispettivamente
 e −1, non sono proporzionali agli altri . Infatti, il sistema
−2 ◮ 6 = h · 2, 9 = h · 3 e −3 = h · (−1), con

2x + 3y − z − 1 = 0 h = 3, ma −2 6= h · (−1). Se anche gli ul-
non ha soluzione. timi fossero proporzionali le due equazioni
6x + 9y − 3z − 2 = 0 rappresenterebbero lo stesso piano.
3. Il piano γ che ha la forma implicita x − y + 2z − 1 = 0 non è
parallelo a α, infatti i suoi coefficienti 1, −1 e 2 non sono pro-
porzionali
 a quelli di α, ossia 2, 3 e −1 ◮. Infatti, il sistema ◮ Non c’è nessun h ∈ R\{0} tale che 1 = h·2,
2x + 3y − z − 1 = 0 = 0 −1 = h · 3 e 2 = h · (−1).
ha solutione.
x − y + 2z − 1 = 0
4. Il piano xy ha la forma implicita z = 0, il piano xz ha la forma
implicita y = 0, e il piano yz ha la forma implicita x = 0.
L’equazione di un fascio di piani può essere costruita partendo da
due piani distinti qualsiasi nel fascio. Dato α con forma implicita ax +

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 7. Rette e piani 7–9

by + cz + d = 0, e α′ con forma implicita a′ x + b′ y + c′ z + d′ = 0, ◮ il ◮ Visto che α e α′ sono diversi, le equazioni


non sono proporzionali.
fascio ha equazione ◮

 ◮ λ e µ non possono essere entrambi 0, al-

λ(ax+by+cz+d)+µ a′ x + b′ y + c′ z + d′ = 0 con (λ, µ) ∈ R2 \{(0, 0)}. trimenti l’equazione si riduce a 0 = 0, che
non rappresenta un piano.
In questo caso diremo che il fascio è generato dai due piani α e α′ . Se
(λ, µ) = (1, 0) il piano è α, mentre se (λ, µ) = (0, 1) il piano è α′ . Se λ′
e µ′ sono proporzionali a λ e µ ◮ il piano rappresentato è lo stesso. ◮ λ′ = hλ e µ = hµ, con h ∈ R \ {0}.

Esempio 7.5. 1. Il fascio di piani generato dai due piani α e β, con


equazioni rispettivamente x + y − z − 3 = 0 e x − 2y + z + 2 = 0,
è λ(x + y − z − 3) + µ(x − 2y + z + 2) = 0. Tutti i piani nel fascio
contengono il punto (1, 1, −1), infatti esso appartiene sia a α che
a β, quindi il fascio è proprio.
2. Il fascio di piani generato dai due piani α e β, con equazioni ri-
spettivamente x + y − z − 3 = 0 e x + y − z + 4 = 0, è λ(x + y − z −
3) + µ(x + y − z + 4) = 0. I piani nel fascio sono paralleli, perché
α e β sono paralleli, quindi il fascio è improprio.

Rette nello spazio Dal fatto che ogni retta è intersezione di due piani Forma implicita di una retta nello
spazio
distinti deduciamo che essa è il luogo dei punti le cui coordinate sono
soluzione di un sistema di due adeguate equazioni polinomiali di grado
1, ossia un sistema come

a1 x + b1 y + c1 z + d1 = 0
a2 x + b2 y + c2 z + d2 = 0
nelle variabili x, y e z, tali che i coefficienti a1 , b1 , c1 e a2 , b2 , c2 non sono
proporzionali, ossia che non esiste nessun h ∈ R \ {0} tale che a2 = ha1 ,
b2 = hb1 e c2 = hc1 . ◮ Questo sistema è detto forma implicita della retta ◮ Altrimenti i due piani o coinciderebbero o
sarebbero paralleli.
nello spazio.

2x + y − z + 3 = 0
Esempio 7.6. 1. Il sistema rappresenta una
4x − y + 2z − 1 = 0
retta, perché i coefficienti 2, 1, −1 e 4, −1, 2 non sono proporzio-
nali ◮. ◮ Non c’è nessun h ∈ R\{0} tale che 4 = h·2,
 −1 = h · 1 e 2 = h · (−1).
2x + y − z + 3 = 0
2. Il sistema non rappresenta una retta, per-
4x + 2y − 2z − 1 = 0
ché i coefficienti 2, 1, −1 e 4, 2, −2 sono proporzionali ◮. ◮ 4 = h · 2, 2 = h · 1 e −2 = h · (−1), con
 h = 2.
y=0
3. L’asse x ha la forma implicita , l’asse y ha la forma
z=0
 
x=0 x=0
implicita , e l’asse z ha la forma implicita .
z=0 y=0

Distanza La distanza tra due punti, A e B, è la lunghezza del segmento Distanza


che li congiunge, ed è indicata con AB. Essa è zero se e solo se i due ◮ Questa è una applicazione del teorema di
punti coincidono. Può essere calcolata attraverso le coordinate. ◮ Se i Pitagora.
due punti sono nel piano, e hanno coordinate rispettivamente (x, y) e
(x′ , y ′ ), la distanza è
q
AB = (x′ − x)2 + (y ′ − y)2 .

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Versione 1.0
Lezione 7. Rette e piani 7–10

Analogamente, se i due punti sono nello spazio, e hanno coordinate


rispettivamente (x, y, z) e (x′ , y ′ , z ′ ), la distanza è
q
AB = (x′ − x)2 + (y ′ − y)2 + (z ′ − z)2 .
Esempio 7.7.q 1. La distanza tra i due punti P = (1, −1) e Q = (4, 3)
è AB = (4 − 1)2 + (3 − (−1))2 = 5.
2. La distanza
q tra i due punti P = (1, −1, 3) e Q = (4, −1, 0) è

AB = (4 − 1)2 + (−1 − (−1))2 + (0 − 3)2 = 3 2.

Area e volume L’area dei poligoni può essere calcolata per mezzo Area
della distanza.
• L’area di un triangolo è bh
2 , dove b è la lunghezza di un lato e h è la
lunghezza del segmento dal vertice opposto alla retta che contiene
il lato, che è ortogonale alla retta e ha il secondo estremo sulla
retta (si veda la figura).
• L’area di un parallelogramma è bh, dove b è la lunghezza di un
lato e h è la lunghezza del segmento da un vertice opposto alla
retta che contiene il lato, che è ortogonale alla retta e ha il secondo
estremo sulla retta (si veda la figura). Vedremo un’altra formula
nella Lezione 18.
• L’area di un rettangolo è bh, dove b è la lunghezza di un lato e h
è la lunghezza di un lato ortogonale a esso (si veda la figura).
• L’area di un quadrato è l2 , dove l è la lunghezza di un lato (si veda
la figura).
Anche il volume dei poliedri può essere calcolato per mezzo della Volume
distanza.
• Il volume di un parallelepipedo può essere calcolato, ma evitiamo
di farlo: vedremo una formula nella Lezione 18.
• Il volume di un cubo è l3 , dove l è la lunghezza di un lato (si veda
la figura).

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Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 7/S1
Titolo: Rette e piani
Attività n°: 1

Sessione di Studio 7.1

Rette e piani
Lezione 7. Rette e piani 7–11

Sessione di Studio 7.1


Esercizio 7.1. Disegna quattro linee nello spazio, r1 , r2 , r3 , s, tali che
• r1 , r2 e r3 si intersecano tra loro,
• s interseca solo r1 .

Soluzione.

Esercizio 7.2. Disegna tre piani nello spazio, α1 , α2 , α3 , ciascuno


dei quali interseca gli altri in una retta, ma tali che tutti e tre non
si intersecano.

Soluzione.

Esercizio 7.3. Trova la retta nel piano che contiene i due punti (1, 5) e
(−1, −1).
Soluzione. Sia ax + by + c = 0 l’equazione della retta. Visto che la
retta deve contenere (1, 5), abbiamo a · 1 + b · 5 + c = 0; visto che la retta
deve
 contenere (−1, −1), abbiamo a · (−1) + b · (−1) + c = 0. Il sistema
a + 5b + c = 0
ha come soluzioni le terne (a, b, c) = (3k, −k, 2k)
−a − b + c = 0
con k ∈ R. La soluzione con k = 0 deve essere scartata perché a e b
non possono essere entrambi zero. Le altre soluzioni portano alla stessa
retta (perché i parametri sono proporzionali), la cui forma implicita è
3x − y + 2 = 0, ottenuta con k = 1. ◮ ◮ Per esempio, con k = 2 avremmo ottenuto
6x − 2y + 4 = 0, che rappresenta la stessa
retta.
Esercizio 7.4. Trova il piano nello spazio che contiene i tre punti (4, 0, 1),
(1, 1, 0) e (−2, 3, −1).
Soluzione. Sia ax + by + cz + d = 0 l’equazione del piano. Visto che il
piano deve contenere (4, 0, 1), abbiamo a · 4 + b · 0 + c · 1 + d = 0; visto
che il piano deve contenere (1, 1, 0), abbiamo a · 1 + b · 1 + c · 0 + d = 0;
visto che il piano deve contenere (−2,  3, −1), abbiamo a · (−2) + b ·
 4a + c + d = 0
3 + c · (−1) + d = 0. Il sistema a+b+d=0 ha come

−2a + 3b − c + d = 0
soluzioni le 4-uple (a, b, c, d) = (k, 0, −3k, −k) con k ∈ R. La soluzione
con k = 0 deve essere scartata perché a, b e c non possono essere tutti
zero. Le altre soluzioni portano allo stesso piano (perché i parametri
sono proporzionali), la cui forma implicita è x − 3z − 1 = 0, ottenuta con
k = 1. ◮ ◮ Per esempio, con k = −1 avremmo otte-
nuto −x + 3z + 1 = 0, che rappresenta lo
stesso piano.
Esercizio 7.5. I tre punti (−3, 0), (1, −1) e (4, −2) nel piano sono
allineati?

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 7. Rette e piani 7–12

Soluzione. Cominciamo cercando la retta che contiene i due punti (−3, 0)


e (1, −1). Se la sua equazione èax + by + c = 0, imponendo che la retta li
−3a + c = 0
contiene, otteniamo il sistema , le cui soluzioni sono le
a−b+c= 0
terne (a, b, c) = (k, 4k, 3k) con k ∈ R, che portano alla x + 4y + 3 = 0 ◮. ◮ Ottenuta con k = 1.
Ora, il punto (4, −2) non appartiene alla retta trovata (perché 4 +
4(−2) + 3 = −1 6= 0), quindi i tre punti non sono allineati.

Esercizio 7.6. Trova la mutua posizione delle due rette la cui forma
implicita è rispettivamente x + 2y + 1 = 0 e 3x + 4y − 1 = 0, nel piano.
Soluzione. Le due rette sono diverse, perché  i loro coefficienti non so-
x + 2y + 1 = 0
no proporzionali. ◮ Visto che il sistema ha come ◮ Non c’è nessun h ∈ R\{0} tale che 3 = h·1,
3x + 4y − 1 = 0 4 = h · 2 e 1 = h · (−1).
soluzioni solo (3, −2), le rette sono incidenti.

Esercizio 7.7. Trova la mutua posizione dei due piani la cui forma
implicita è rispettivamente 3x + 5y − z + 1 = 0 e 9x + 15y − 3z − 3 = 0,
nello spazio.
Soluzione. I due piani sono diversi, perché i loro coefficienti non sono
proporzionali. ◮ Invece, visto che i coefficienti 9, 15, −3 sono proporzio- ◮ Non c’è nessun h ∈ R\{0} tale che 9 = h·3,
◮ 15 = h · 5, −3 = h · (−1) e −3 = h · 1.
◮, i piani sono paralleli. ◮
nali a 3, 5, −1 ◮ ◮
◮ 9 = h · 3, 15 = h · 5 e −3 = h · (−1), con

h = 3.
Esercizio 7.8. Trova la mutua posizione della retta la cui forma im- ◮
◮ Ciò
◮ può anche essere dimostra-
2x + y + 1 = 0 to
 controllando che il sistema
plicita è rispetto al piano la cui forma implicita è 3x + 5y − z + 1 = 0
non ha
2y − 3z + 5 = 0 9x + 15y − 3z − 3 = 0
6x + y + 3z = 0, nello spazio. soluzione.

 2x + y + 1 = 0
Soluzione. Visto che il sistema 2y − 3z + 5 = 0 non ha soluzione,

6x + y + 3z = 0
la retta e il piano non si intersecano, quindi la retta è parallela al piano.

Esercizio 7.9. Scrivi l’equazione del fascio di rette nel piano che con-
tengono il punto (3, −2). Trova la retta nel fascio che contiene il punto
(−4, 1).
Soluzione. Due rette che contengono il punto (3, −2) hanno forma im- Questo è un altro modo per trovare l’e-
quazione della retta per due punti nel
plicita x − 3 = 0 e y + 2 = 0, quindi il fascio di rette ha equazione piano.
λ(x − 3) + µ(y + 2) = 0, con (λ, µ) ∈ R2 \ {(0, 0)}.
Sostituendo le coordinate del punto nell’equazione del fascio ottenia-
mo λ(−4−3)+µ(1+2)
 = 0, ossia 7λ = 3µ, le cui soluzioni sono le coppie
λ, 37 λ , con λ 6= 0. ◮ Scegliendo arbitrariamente λ = 3 ◮ ◮, otteniamo la ◮ Esse sono proporzionali, quindi rappresen-
tano la stessa retta.
soluzione (3, 7), che porta alla retta 3(x − 3) + 7(y + 2) = 0.
◮ È fondamentale
◮ scegliere un numero
diverso da zero.
Esercizio 7.10. Calcola la distanza tra i due punti (3, −2) e (5, 2) del
piano.
p √
Soluzione. La distanza è (5 − 3)2 + (2 − (−2))2 = 2 5.

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Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 7/S2
Titolo: Rette e piani
Attività n°: 1

Sessione di Studio 7.2

Rette e piani
Lezione 7. Rette e piani 7–13

Sessione di Studio 7.2


Esercizio 7.11. Disegna quattro linee nello spazio, r1 , r2 , r3 , s, tali che
• r1 , r2 e r3 si intersecano tra loro,
• s interseca r1 e r2 ma non r3 .
Esercizio 7.12. Disegna tre piani nello spazio, α1 , α2 , α3 , ciascuno dei
quali interseca gli altri in una retta, e tali che tutti e tre si intersecano
in esattamente un punto.
Esercizio 7.13. Trova la retta nel piano che contiene i due punti (−2, 4)
e (−3, 3).
Esercizio 7.14. Trova il piano nello spazio che contiene i tre punti
(2, 1, 1), (5, 1, 2) e (0, −1, −1).
Esercizio 7.15. I quattro punti (1, 0, 1), (−2, −1, 0), (3, 0, −1) e (5, 1, 1)
nello spazio sono complanari?
Esercizio 7.16. Trova la mutua posizione delle due rette la cui forma
implicita è rispettivamente 4x + 2y − 1 = 0 e 2x + y − 1 = 0, nel piano.
Esercizio 7.17. Trova la mutua posizione dei due piani la cui forma
implicita è rispettivamente x + y + 1 = 0 e y − 3z − 1 = 0, nello spazio.
Esercizio  7.18. Trova la mutua posizione della retta la cui forma im-
x + y − 3z = 0
plicita è rispetto al piano la cui forma implicita
x + y − 2z + 2 = 0
è x + 2y + z − 1 = 0, nello spazio.
Esercizio 7.19. Scrivi l’equazione del fascio di piani nello spazio gene-
rato dai due piani con forma implicita 2x − y + z = 0 e x + z − 3 = 0.
Scrivi una forma implicita della retta contenuta in tutti i piani del fascio.
Trova il piano nel fascio che contiene il punto (−3, 0, 1).
Esercizio 7.20. Calcola la distanza tra i due punti (−2, −1, 0) e (−4, 1, 1)
dello spazio.
Esercizio 7.21. Disegna il rettangolo ABCD nel piano, con A = (1, −2),
B = (9, 4), C = (6, 8) e D = (−2, 2), e calcola la sua area.

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Versione 1.0
Lezione 7. Rette e piani 7–14

Risultato dell’Esercizio 7.11.

Risultato dell’Esercizio 7.12.

Risultato dell’Esercizio 7.13. x − y + 6 = 0.


Risultato dell’Esercizio 7.14. x + 2y − 3z − 1 = 0.
Risultato dell’Esercizio 7.15. Sì. ◮ ◮ Il piano che contiene i tre punti (1, 0, 1),
(−2, −1, 0), (3, 0, −1) è x − 4y + z − 2 = 0.
Risultato dell’Esercizio 7.16. Parallele.
Risultato dell’Esercizio 7.17. Incidenti.
Risultato dell’Esercizio 7.18. Incidente.
Risultato dell’Esercizio 7.19. λ(2x − y + z) + µ(x + z − 3) = 0, con
2x − y + z = 0
(λ, µ) ∈ R2 \ {(0, 0)}. . x − y + 3 = 0.
x+z−3=0
Risultato dell’Esercizio 7.20. 3.
Risultato dell’Esercizio 7.21. Sappiamo che ABCD è un rettangolo: non
dobbiamo controllarlo.

L’area è 50.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 7/S3
Titolo: Rette e piani
Attività n°: 1

Sessione di Studio 7.3

• Rette e piani
Lezione 7. Rette e piani 7–15

Sessione di Studio 7.3


Letture supplementari possono essere le seguenti:
• http://it.wikipedia.org/wiki/Retta
• http://it.wikipedia.org/wiki/Piano_(geometria)
• http://it.wikipedia.org/wiki/Geometria_euclidea
• http://it.wikipedia.org/wiki/Angolo
• http://it.wikipedia.org/wiki/Poligono
• http://it.wikipedia.org/wiki/Triangolo
• http://it.wikipedia.org/wiki/Quadrilatero
• http://it.wikipedia.org/wiki/Poliedro
• http://it.wikipedia.org/wiki/Parallelepipedo
• http://it.wikipedia.org/wiki/Sistema_di_riferimento_cartesiano
• http://it.wikipedia.org/wiki/Coefficiente_angolare
• http://it.wikipedia.org/wiki/Intercetta

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 7. Rette e piani 7–16

Sessione di Studio 7.Quiz


Seguirà un quiz, le cui domande sono le seguenti, per controllare il li-
vello di approfondimento degli argomenti studiati: assicurati di avere a
disposizione queste domande quando farai il quiz. L’esito del quiz non
sarà tenuto in considerazione per l’esame.
Dopo aver svolto il quiz ricontrolla le domande, specialmente quelle
a cui non hai risposto in maniera corretta.
Per ognuna delle seguenti domande, la risposta esatta è una sola.

Domanda 7.1. Date le rette nel piano indicate in figura, quali delle
seguenti coppie sono incidenti?

(a) r1 e r2 .
(b) r2 e r3 .
(c) r3 e r4 .
(d) r4 e r5 .

Domanda 7.2. Date le rette nello spazio indicate in figura, quali delle
seguenti coppie sono parallele?

(a) r1 e r2 .
(b) r2 e r3 .
(c) r3 e r4 .
(d) r4 e r1 .

Domanda 7.3. Date le rette nello spazio indicate in figura, quali delle
seguenti coppie sono sghembe?

(a) r1 e r2 .
(b) r2 e r3 .
(c) r3 e r4 .
(d) r4 e r1 .


c 2014 Gennaro Amendola Versione 1.0
Lezione 7. Rette e piani 7–17

Domanda 7.4. Date le rette nel piano indicate in figura, quali delle
seguenti coppie sono ortogonali?

(a) r1 e r2 .
(b) r2 e r3 .
(c) r3 e r4 .
(d) r4 e r1 .
Domanda 7.5. Dati i piani nello spazio indicati in figura, quali delle
seguenti coppie sono paralleli?

(a) α e β.
(b) β e γ.
(c) γ e δ.
(d) δ e α.
Domanda 7.6. Dato il punto nel piano indicato in figura, quali sono le
sue coordinate?

(a) (2, 1).


(b) (−2, 1).
(c) (−2, −1).
(d) Nessuna delle precedenti.
Domanda 7.7. Quale delle seguenti equazioni rappresenta il piano di
equazione 2x − 3y + z − 2 = 0?
(a) 6x + 9y + 3z − 6 = 0.
(b) −2x + 3y − z − 2 = 0.
(c) 4x − 6y + 2z + 4 = 0.
(d) 4x − 6y + 2z − 4 = 0.
Domanda 7.8. Quale delle seguenti equazioni non rappresenta un
piano parallelo al piano di equazione x + y − 3z + 1 = 0?
(a) x + y − 3z + 2 = 0.
(b) 2x + 2y − 6z + 1 = 0.
(c) x + y + 3z − 1 = 0.
(d) x + y − 3z − 1 = 0.


c 2014 Gennaro Amendola Versione 1.0
Lezione 7. Rette e piani 7–18

Domanda 7.9. Dato il fascio di piani di equazione λ(x − y + 2z − 3) +


µ(2y + z + 3) = 0, a quale delle seguenti coppie (λ, µ) corrisponde il
piano che contiene il punto (3, −1, 2)?
(a) (5, 3).
(b) (5, −3).
(c) (3, 5).
(d) (3, −5).

Domanda 7.10. Quale delle seguenti equazioni o dei seguenti sistemi


rappresenta una retta nello spazio?
(a) 3x + y − z + 1 = 0

3x + y − z + 1 = 0
(b)
6x + 2y − 2z + 1 = 0

3x + y − z + 1 = 0
(c)
2x + y − z + 1 = 0

3x + y − z + 1 = 0
(d)
6x + 2y − 2z + 2 = 0


c 2014 Gennaro Amendola Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 8
Titolo: Vettori geometrici
Attività n°: 1

Lezione 8
Vettori geometrici
Lezione 8

Vettori geometrici

In questa lezione ci occuperemo dei vettori geometrici. Essi sono il punto


di partenza per molte idee e generalizzazioni che vedremo nel corso.
Vedremo anche i vettori fisici.

8.1 Vettori geometrici


In questa lezione lavoreremo nel piano o nello spazio. Non è importante
distinguere i due casi, perché tutto ciò che diremo vale sia nel piano che
nello spazio.

Vettori fisici Un vettore fisico è un oggetto caratterizzato da tre at- Vettore fisico
tributi:
• la direzione, ossia una classe di equivalenza della relazione di paral-
lelismo sulle rette (ossia una stella o un fascio di rette improprio ◮), Alcuni considerano l’informazione sull’o-
rientazione contenuta nella direzione, quin-
• il verso, ossia una delle due scelte su come si può percorrere una di una stella o un fascio di rette impro-
qualsiasi delle rette della stella o del fascio, prio può rappresentare due direzioni, ma
noi preferiamo fare una distinzione.
• il modulo, ossia un numero reale positivo. ◮ Nello spazio consideriamo una stella,
Oltre a questi vettori fisici bisogna considerane un altro: il vettore fisico mentre nel piano consideriamo un fascio.
nullo, indicato con 0, ossia un vettore fisico caratterizzato solo dall’avere
modulo uguale a 0; esso non ha né direzione né verso.
Un vettore fisico è detto applicato se oltre alle tre caratteristiche dei Vettore fisico libero e applicato
vettori fisici consideriamo un quarto attributo:
• il punto di applicazione, ossia un punto.
Per distinguere i vettori fisici non applicati (ossia quelli caratterizzati
solo dai tre attributi descritti sopra) da quelli applicati, i primi sono
anche detti liberi.

Vettori geometrici I vettori fisici applicati possono essere rappre- Freccia


sentati graficamente con le frecce, ossia segmenti orientati. Una freccia
rappresenta il vettore fisico applicato che ha
• la direzione della freccia,
• il verso dalla freccia,
• il modulo uguale alla lunghezza della freccia,

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 8. Vettori geometrici 8–2

• il punto di applicazione nella coda della freccia.


Tra le frecce consideriamo anche la freccia degenere in cui la coda e la
punta coincidono (che ha lunghezza 0), che rappresenta il vettore 0. Un Vettore geometrico applicato
vettore geometrico applicato è un freccia.
In questo modo più frecce rappresentano lo stesso vettore fisico libe-
ro, infatti frecce con direzione, verso e modulo uguali rappresentano lo
stesso vettore fisico. È naturale quindi considerare la relazione di equi-
valenza per cui due frecce sono equivalenti se hanno direzione, verso e
modulo uguali (tutte le frecce degeneri in cui la coda e la punta coin-
cidono sono equivalenti tra loro). Un vettore geometrico è una classe Vettore geometrico
di equivalenza della relazione di equivalenza appena definita sull’insieme
delle frecce. Per distinguere i vettori geometrici non applicati (ossia le
classi di equivalenza) da quelli applicati, i primi sono anche detti liberi.
I vettori geometrici liberi sono rappresentanti dei vettori geometrici ap-
plicati ◮. L’insieme di tutti i vettori geometrici del piano è indicato con ◮ Definizione 6.32.
V 2E , mentre l’insieme di tutti i vettori geometrici dello spazio è indicato V 2E e V 3E
con V 3E .
Per non appesantire la trattazione, non distingueremo i vettori geo-
metrici liberi da quelli applicati: ad esempio, possiamo indicare con v
sia un vettore geometrico applicato che il vettore geometrico libero che
esso rappresenta ◮. ◮ Ossia, la sua classe di equivalenza.
Visto che ogni vettore geometrico (applicato) rappresenta un unico La funzione che associa a un vettore geo-
vettore fisico (applicato), e ogni vettore fisico (applicato) è rappresentato metrico (applicato) il vettore fisico (ap-
plicato) che esso rappresenta è bigettiva
da un unico vettore geometrico (applicato), non distingueremo tra vettori (Definizione 6.19).
geometrici e fisici, ossia parleremo di direzione, verso e modulo di un
vettore geometrico, e non faremo cenno esplicito ai vettori fisici.
Per distinguere i vettori (che sono gli elementi chiave del corso) dal
resto, li abbiamo indicati utilizzando lettere in grassetto (ad esempio,
v, w, u). Alcuni distinguono i vettori tramite una freccia sopra alla let-
tera (ad esempio, ~v , w,
~ ~u), altri sottolineando la lettera (ad esempio,
v, w, u). La scelta di distinguere i vettori dal resto è fatta per scopi di- ◮ Quando scriviamo a mano è più comodo
usare lo stesso carattere, ma se qualcuno
dattici e di chiarezza, ma nessuno vieta di scrivere i vettori con lo stesso preferisce (magari per chiarezza, anche per
carattere del resto e senza orpelli ◮. chi scrive) possono essere usati stili diversi
(le frecce o la sottolineatura).

Somma sui vettori geometrici La somma di due vettori geometrici Somma sui vettori geometrici
v e w è il vettore geometrico, indicato con
v + w,
e ottenuto tramite le seguenti operazioni:
• scegliamo rappresentanti per v e w con la stessa coda O ◮, ◮ Ciò può essere fatto sempre: è sufficiente
scegliere (arbitrariamente) lo stesso punto
• costruiamo il parallelogramma che ha come coppia di lati adiacenti di applicazione O.
i due rappresentanti scelti,
• definiamo il vettore geometrico somma v + w come il vettore geo-
metrico che ha la coda in O e la punta nel vertice opposto del
parallelogramma.
Non è difficile verificare tramite la geometria euclidea che il vettore geo-
metrico v + w non dipende dalla scelta dei rappresentanti dei due vettori
geometrici v e w.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 8. Vettori geometrici 8–3

Per costruzione abbiamo che scambiando i vettori geometrici v e w


la somma non cambia, ossia
v+w =w+v ∀v, w ∈ V 2E o V 3E .
Abbiamo anche che sommando il vettore geometrico nullo a un qualsiasi
vettore geometrico v otteniamo lo stesso v, ossia
v+0=0+v =v ∀v ∈ V 2E o V 3E ,
infatti in questo caso il parallelogramma degenera nel segmento v. È
anche possibile dimostrare che se sommiamo tre vettori geometrici, v,
w, u, il risultato non dipende dall’ordine in cui facciamo la somma, ossia
v + (w + u) = (v + w) + u ∀v, w, u ∈ V 2E o V 3E ;
la dimostrazione può essere fatta tramite la geometria euclidea, ma tra
poco vedremo una dimostrazione algebrica molto semplice.
La sottrazione da un vettore geometrico v di un vettore geometrico Sottrazione sui vettori geometrici
w consiste nel trovare il vettore geometrico u tale che v = w + u. Il La sottrazione è l’operazione inversa della
vettore geometrico u è detto differenza tra v e w, ed è indicato con somma, come per i numeri interi, razionali,
reali e complessi.
v − w.
Fissati v e w, il vettore v − w esiste ed è unico: la dimostrazione può
essere fatta tramite la geometria euclidea, ma tra poco vedremo una
Differenza tra vettori geometrici
dimostrazione algebrica molto semplice. Il vettore v − w può essere
costruito anche utilizzando il parallelogramma costruito per definire la
somma dei vettori v e w, ossia v − w è il vettore che ha la coda nella
punta di w e la punta nella punta di v.

Moltiplicazione per scalare sui vettori geometrici Il prodotto per Moltiplicazione per scalare sui vetto-
ri geometrici
scalare di un vettore geometrico v per un numero reale λ è il vettore
geometrico, indicato con
λ · v,
che, per v 6= 0,
• se λ > 0, ha la stessa direzione e lo stesso verso di v, ma modulo Il vettore è allungato (o accorciato) di un
fattore λ.
ottenuto moltiplicando il modulo di v per λ;
◮ Il vettore geometrico 0 non ha né direzione
• se λ = 0, è il vettore geometrico nullo 0 ◮; né verso.

• se λ < 0, ha la stessa direzione di v, ma verso opposto e modulo Il vettore è ribaltato rispetto alla sua coda
e allungato (o accorciato) di un fattore |λ|.
ottenuto moltiplicando il modulo di v per |λ|;
per v = 0, vale 0 qualsiasi sia λ. Se non è necessario, omettiamo il Qui non dobbiamo dimostrare l’indipen-
denza dal rappresentante scelto, perché
simbolo “·”, quindi λv significa λ · v. Il vettore geometrico λ · v è detto non abbiamo utilizzato i rappresentanti
multiplo del vettore geometrico v. Il vettore geometrico (−1) · v è anche (come abbiamo fatto sopra per la somma),
indicato con −v. bensì solo direzione, verso e modulo di v.
Multiplo di un vettore geometrico
Esempio 8.1. Consideriamo i tre vettori geometrici v, w e u, mostrati
nella figura sotto.

Mostriamo nella figura sotto alcune operazioni su essi: v + w, w + u,


v + u, v − w, w − v. Mostriamo nella figura sotto anche il prodotto per
scalare di v per il numero reale 5, e il prodotto per scalare di w per il
numero reale −2.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 8. Vettori geometrici 8–4

Coordinate
Se fissiamo un sistema di riferimento cartesiano con origine O, tra i La scelta dipende dal sistema di riferimen-
to cartesiano fissato.
rappresentanti di un vettore geometrico possiamo scegliere come rap-
presentante “speciale” l’unico vettore geometrico applicato ◮ con punto ◮ Ossia, freccia.
di applicazione in O. In questo modo, ad ogni punto P possiamo far
corrispondere il vettore geometrico che, applicato in O, ha la punta in
P , e viceversa. Le coordinate del punto quindi identificano univocamen- L’identificazione dipende dal sistema di
riferimento cartesiano fissato.
te il vettore geometrico, e sono dette coordinate del vettore geometrico
Coordinate di un vettore geometrico
(rispetto al sistema di riferimento cartesiano).

Coordinate nel piano Supponiamo ora di avere a che fare con il pia-
no. Fissiamo un sistema di riferimento cartesiano (O; x, y). Allora i
vettori geometrici sono identificati dalle coppie di numeri reali ◮. Nel-
la figura vediamo un esempio con due sistemi di riferimento cartesiani,
(O; x, y) e (O ′ ; x′ , y ′ ). ◮ Le coordinate di un punto nel piano sono
due.
Esempio 8.2. Nella figura è mostrato un sistema di riferimento carte-
siano nel piano, e il vettore geometrico le cui coordinate sono (5, 2).
Le coordinate della somma di due vettori geometrici sono la somma
delle rispettive coordinate dei vettori geometrici, ossia se v ha coordi-
nate (v1 , v2 ) e w ha coordinate (w1 , w2 ), allora v + w ha coordinate
(v1 + w1 , v2 + w2 ). Le coordinate del prodotto per scalare di un vettore
geometrico per un numero reale λ sono il prodotto delle rispettive coor-
dinate del vettore geometrico con λ, ossia se v ha coordinate (v1 , v2 ),
allora λ · v ha coordinate (λv1 , λv2 ).
Esempio 8.3. Dati v = (1, 2), w = (3, 1) e λ = 3, abbiamo
v + w = (1 + 3, 2 + 1) = (4, 3),
v − w = (1 − 3, 2 − 1) = (−2, 1),
w − v = (3 − 1, 1 − 2) = (2, −1),
λv = (3 · 1, 3 · 2) = (3, 6),
λw = (3 · 3, 3 · 1) = (9, 3).
Utilizzando le coordinate, è facile dimostrare ciò che abbiamo enun-
ciato sopra per V 2E .
• Per ogni v, w, u ∈ V 2E , si ha v + (w + u) = (v + w) + u.
Fissiamo un sistema di riferimento cartesiano (O; x, y). I vetto-
ri geometrici v, w e u hanno coordinate rispettivamente (v1 , v2 ),

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Versione 1.0
Lezione 8. Vettori geometrici 8–5

(w1 , w2 ) e (u1 , u2 ). Le coordinate del vettore geometrico v+(w+u)


sono

v1 +(w1 + u1 ) , v2 +(w2 + u2 ) = (v1 + w1 + u1 , v2 + w2 + u2 ) .
Le coordinate del vettore geometrico (v + w) + u sono

(v1 + w1 )+ u1 , (v2 + w2 )+ u2 = (v1 + w1 + u1 , v2 + w2 + u2 ) .
Avendo le stesse coordinate, i due vettori geometrici v + (w + u)
e (v + w) + u coincidono.
• Per ogni v, w ∈ V 2E , il vettore geometrico v − w esiste ed è unico.
Fissiamo un sistema di riferimento cartesiano (O; x, y). I vetto-
ri geometrici v e w hanno coordinate rispettivamente (v1 , v2 ) e
(w1 , w2 ). Stiamo cercando un vettore geometrico u tale che v =
w + u. Se il vettore geometrico u ha coordinate (u1 , u2 ), abbiamo
che il vettore geometrico w + u ha coordinate (w1 + u1 , w2 + u2 ).
Questo vettore è uguale a v se e solo se le sue coordinate coincidono
con quelle di v, ossia se e solo se la coppia (w1 + u1 , w2 + u2 ) coin-
cide con (v1 , v2 ). Quindi abbiamo le due equazioni w1 + u1 = v1 e
w2 + u2 = v2 nelle due incognite u1 e u2 . Risolvendole ◮, ottenia- ◮ Non è proprio difficile.
mo u1 = v1 − w1 e u2 = v2 − w2 , ossia il vettore u ha coordinate
(v1 − w1 , v2 − w2 ).

Coordinate nello spazio Supponiamo ora di avere a che fare con lo


spazio. Fissiamo un sistema di riferimento cartesiano (O; x, y, z). Allora
i vettori geometrici sono identificati dalle terne di numeri reali ◮.
Esempio 8.4. Nella figura è mostrato un sistema di riferimento cartesia- ◮ Le coordinate di un punto nel piano sono
no nello spazio, e il vettore geometrico le cui coordinate sono (−2, 4, 3). tre.

Le coordinate della somma di due vettori geometrici sono la somma


delle rispettive coordinate dei vettori geometrici, ossia se v ha coordinate
(v1 , v2 , v3 ) e w ha coordinate (w1 , w2 , w3 ), allora v + w ha coordinate
(v1 + w1 , v2 + w2 , v3 + w3 ). Le coordinate del prodotto per scalare di un
vettore geometrico per un numero reale λ sono il prodotto delle rispet-
tive coordinate del vettore geometrico con λ, ossia se v ha coordinate
(v1 , v2 , v3 ), allora λ · v ha coordinate (λv1 , λv2 , λv3 ).
Esempio 8.5. Dati v = (1, 2, −1), w = (3, 0, 2) e λ = −1, abbiamo
v + w = (1 + 3, 2 + 0, −1 + 2) = (4, 2, 1),
v − w = (1 − 3, 2 − 0, −1 − 2) = (−2, 2, −3),
w − v = (3 − 1, 0 − 2, 2 − (−1)) = (2, −2, 3),
λv = (−1 · 1, −1 · 2, −1 · (−1)) = (−1, −2, 1),
λw = (−1 · 3, −1 · 0, −1 · 2) = (−3, 0, −2).
Utilizzando le coordinate, come abbiamo fatto per V 2E , è facile di-
mostrare ciò che abbiamo enunciato sopra anche per V 3E .
• Per ogni v, w, u ∈ V 3E , abbiamo v + (w + u) = (v + w) + u. ◮ ◮ Esercizio 8.5.
3
• Per ogni v, w ∈ V E, il vettore geometrico v −w esiste ed è unico. ◮ ◮ Esercizio 8.11.

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Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 8/S1
Titolo: Vettori geometrici
Attività n°: 1

Sessione di Studio 8.1

Vettori geometrici
Lezione 8. Vettori geometrici 8–6

Sessione di Studio 8.1


Esercizio 8.1. Disegna un vettore geometrico v. Disegna il prodotto
per scalare di v per il numero reale 2 (chiama w il risultato). Disegna
il prodotto per scalare di v per il numero reale 3. Disegna il prodotto
per scalare di v per il numero reale −1. Disegna la somma di v e w.
Disegna la differenza tra v e w.
Soluzione.

Esercizio 8.2. Fissa un sistema di riferimento cartesiano (O; x, y, z) nel-


lo spazio, e disegna il vettore geometrico le cui coordinate sono (1, 3, 2).

Soluzione.

Esercizio 8.3. Calcola le coordinate del vettore geometrico rispetto al


sistema di riferimento cartesiano (O; x, y) indicati in figura, considerando
che il modulo del vettore è 4 e l’angolo α è 3π4 .
  √  √
Soluzione. Le coordinate sono x = 4 · cos 3π 4 = 4 · − 22 = −2 2 e
 √ √
y = 4 · sen 3π4 = 4 · 2
2 = 2 2.

Esercizio 8.4. Dati v = (2, 3), w = (3, −1) e λ = −2, calcola v + w,


v − w, w − v, λv e λw.
Soluzione. Abbiamo v + w = (2 + 3, 3 + (−1)) = (5, 2), v − w =
(2 − 3, 3 − (−1)) = (−1, 4), w − v = (3 − 2, −1 − 3) = (1, −4), λv =
(−2 · 2, −2 · 3) = (−4, −6) e λw = (−2 · 3, −2 · (−1)) = (−6, 2).

Esercizio 8.5. Dimostra che per ogni v, w, u ∈ V 3E , abbiamo v + (w +


u) = (v + w) + u.
Soluzione. Fissiamo un sistema di riferimento cartesiano (O; x, y, z). I
vettori geometrici v, w e u hanno coordinate rispettivamente (v1 , v2 , v3 ),
(w1 , w2 , w3 ) e (u1 , u2 , u3 ). Le coordinate del vettore geometrico v + (w +
u) sono
 
v1 +(w1 + u1 ) , v2 +(w2 + u2 ) , v3 +(w3 + u3 ) = v1 +w1 +u1 , v2 +w2 +u2 , v3 +w3 +u3 .

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Versione 1.0
Lezione 8. Vettori geometrici 8–7

Le coordinate del vettore geometrico (v + w) + u sono


 
(v1 + w1 )+u1 , (v2 + w2 )+u2 , (v3 + w3 )+u3 = v1 +w1 +u1 , v2 +w2 +u2 , v3 +w3 +u3 .
Avendo le stesse coordinate, i due vettori geometrici v + (w + u) e (v +
w) + u coincidono.

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Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE 2010
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 8/S2
Titolo: Vettori geometrici
Attività n°: 1

Sessione di Studio 8.2

Vettori geometrici
Lezione 8. Vettori geometrici 8–8

Sessione di Studio 8.2


Esercizio 8.6. Disegna due vettori geometrici, la loro somma e la loro
differenza. Disegna un vettore geometrico, e il prodotto per scalare di
esso per il numero reale − 21 .
Esercizio 8.7. Fissa un sistema di riferimento cartesiano (O; x, y) nel
piano, e disegna il vettore geometrico le cui coordinate sono (3, −1).
Esercizio 8.8. Calcola le coordinate del vettore geometrico rispetto al
sistema di riferimento cartesiano (O; x, y) indicati in figura, considerando
che il modulo del vettore è 3 e l’angolo α è π6 .
Esercizio 8.9. Dati v = (−1, 4), w = (2, 7) e u = (0, 3), calcola
esplicitamente v + (w + u) e (v + w) + u.
Esercizio 8.10. Dato v = (−1, 4), calcola 2v, 0v e −3v.
Esercizio 8.11. Dimostra che per ogni v, w ∈ V 3E , il vettore geometrico
v − w esiste ed è unico.

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Versione 1.0
Lezione 8. Vettori geometrici 8–9

Risultato dell’Esercizio 8.6. Questo esercizio non ha un’unica soluzione,


quindi il lettore può trovare una soluzione
diversa.

Risultato dell’Esercizio 8.7. Questo esercizio non ha un’unica soluzione,


quindi il lettore può trovare una soluzione
diversa.

3 3
Risultato dell’Esercizio 8.8. x = 2 , y = 23 .
Risultato dell’Esercizio 8.9. v + (w + u) = (−1, 4)+ (2, 10) = (1, 14),
(v + w) + u = (1, 11) + (0, 3) = (1, 14).
Risultato dell’Esercizio 8.10. 2v = (−2, 8), 0v = (0, 0), −3v =
(3, −12).
Risultato dell’Esercizio 8.11. Ripeti ciò che abbiamo fatto per V 2E
nella lezione, considerando un sistema di riferimento cartesiano (O; x, y, z)
for V 3E . ◮ ◮ Vedi anche l’Esercizio 8.5.

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Versione 1.0
Corso di Laurea: #corso#
INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
#insegnamento#
Lezione n°: 8/S3
#lezione#
Titolo: Vettori geometrici
#titolo#
Attività n°: 1
#attività#

Sessione di Studio 8.3

Vettori geometrici
Lezione 8. Vettori geometrici 8–10

Sessione di Studio 8.3


Letture supplementari possono essere le seguenti:
• http://it.wikipedia.org/wiki/Vettore_(matematica)
• http://it.wikipedia.org/wiki/Sistema_di_riferimento_cartesiano

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Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 8/S3
Titolo: Vettori geometrici
Attività n°: 3

Sessione di Studio 8.3 Quiz

Vettori geometrici
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 8/S3
Titolo: Vettori geometrici
Attività n°: 3

• Risolvere il seguente quiz a risposta


multipla in cui per ogni domanda una sola
risposta è giusta.
• Rivedere le risposte del quiz.
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 9
Titolo: OPERAZIONI, GRUPPI E CAMPI
Attività n°: 1

Lezione 9
Operazioni, gruppi e campi
Lezione 9

Operazioni, gruppi e campi

In questa lezione ci occuperemo delle operazioni sugli insiemi. Essi sono il


punto chiave per definire gli spazi vettoriali, che sono l’oggetto principale
del corso.

9.1 Operazioni
Definizione 9.1. Una operazione su un insieme X è una funzione Operazione

• : X × X → X.
Dati due elementi x, y ∈ X, l’immagine della coppia (x, y) è detta
risultato dell’operazione ed è indicata con x • y. Risultato

Osservazione 9.2. Per essere più precisi, avremmo dovuto utilizzare Operazione binaria
il termine operazione binaria, perché possono essere considerate anche
operazioni con più di due argomenti. Visto che però useremo solo ope-
razioni con due argomenti, per non appesantire la trattazione, useremo
solo il termine operazione.
Inoltre, alcuni libri di testo usano il termine operazione interna perché Operazione interna
possono essere considerate anche operazioni che hanno come risultato
elementi che non sono nell’insieme X.
Osservazione 9.3. Con la notazione classica delle funzioni, avremmo
dovuto indicare l’immagine della coppia (x, y) con •(x, y). Invece, usia-
mo la notazione x • y per due motivi. Da una parte semplifichiamo la
notazione, ottenendo formule più semplici; dall’altra usiamo una nota-
zione analoga a quella delle operazioni che già conosciamo (la somma e
la moltiplicazione tra numeri).
Esempio 9.4. 1. Consideriamo l’insieme {0} formato da un solo ele- Se c’è un solo elemento, non c’è scelta per
la definizione delle operazioni.
mento; su esso possiamo definire in modo banale una operazione
(che consideriamo un’addizione per motivi che vedremo in segui-
to ◮): ◮ Esempio 10.6-2.

+ : {0} × {0} → {0} with 0 + 0 := 0.


2. Consideriamo le operazioni di addizione e di moltiplicazione sul-
l’insieme dei numeri naturali:
+: N × N → N e · : N × N → N.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 9. Operazioni, gruppi e campi 9–2

Nel primo caso ad ogni coppia di numeri naturali (n, m) associamo


la loro somma n + m, ◮ nel secondo il loro prodotto n · m. ◮
◮ ◮ Ad esempio, la somma di 2 e 3 è 2 + 3 = 5.

3. Le operazioni di addizione e di moltiplicazione sull’insieme dei ◮ Ad esempio, il prodotto di 2 e 3 è 2 · 3 = 6.


numeri naturali possono essere estese anche ad altri insiemi: ◮ ◮ Ad esempio,


• la somma di 2 e −3 è 2+(−3) = −1,
interi + : Z × Z → Z e · : Z × Z → Z,
• il prodotto di 25 e − 23 è
numeri razionali + : Q × Q → Q e · : Q × Q → Q,
2 3 3
numeri reali + : R × R → R e · : R × R → R, · (− ) = − ,
5 2 5
numeri complessi + : C × C → C e · : C × C → C. √ √
• la somma di 2 e π è 2 + π,
4. Abbiamo visto nella Lezione 8 che sui vettori geometrici può essere • il prodotto di 2 + i e −3 + 4i è (2 +
definita una operazione di addizione: i) · (−3 + 4i) = −6 + 8i − 3i + 4i2 =
−10 + 5i.
+ : V 2E × V 2E → V 2E e + : V 3E × V 3E → V 3E .
5. Le operazioni di addizione e di moltiplicazione su un insieme I ◮ ◮ I può essere N, Z, Q, . . . : l’unica pro-
prietà che deve soddisfare è che su es-
possono essere estese anche ai polinomi I[x1 , x2 , . . . , xn ] a coeffi- so siano definite una addizione e una
cienti in I: moltiplicazione.
+ : I[x1 , x2 , . . . , xn ] × I[x1 , x2 , . . . , xn ] → I[x1 , x2 , . . . , xn ] ,
· : I[x1 , x2 , . . . , xn ] × I[x1 , x2 , . . . , xn ] → I[x1 , x2 , . . . , xn ] .
Nel primo caso ad ogni coppia di polinomi

p (x1 , x2 , . . . , xn ) , q (x1 , x2 , . . . , xn )
associamo la loro somma p (x1 , x2 , . . . , xn )+q (x1 , x2 , . . . , xn ), ◮ nel ◮ Ad esempio,
 la somma di x + y e 3x − y
2 2 2

è x2 + y + 3x2 − y 2 = 4x2 − y 2 + y.
secondo il loro prodotto p (x1 , x2 , . . . , xn ) · q (x1 , x2 , . . . , xn ). ◮

Per quanto riguarda i polinomi di grado al più m, vale la stessa cosa ◮ Ad esempio, il prodotto di

 x + y e 3x −
2 2

y 2 è x2 + y · 3x2 − y 2 = 3x4 − x2 y 2 +
per l’addizione, ma non per la moltiplicazione. Infatti, abbiamo 3x2 y − y 3 .
l’operazione
+ : I6m [x1 , x2 , . . . , xn ]×I6m[x1 , x2 , . . . , xn ] → I6m[x1 , x2 , . . . , xn ] ,
ossia ad ogni coppia di polinomi

p (x1 , x2 , . . . , xn ) , q (x1 , x2 , . . . , xn )
di grado al più m associamo la loro somma p (x1 , x2 , . . . , xn ) +
q (x1 , x2 , . . . , xn ), che ha grado al più m ◮. Per quanto riguarda la ◮ Osservazione 5.26.
moltiplicazione, non è più vero che il grado del prodotto di polinomi
è minore o uguale al massimo dei gradi dei singoli polinomi ◮, quindi ◮ Osservazione 5.31.
la moltiplicazione sull’insieme dei polinomi di grado al più m non
è una operazione.
Notazione 9.5. Ogni operazione che soddisfa proprietà simili a quelle
soddisfatte dall’addizione sui numeri interi è chiamata addizione ed è Addizione
indicata con un simbolo analogo a “+”. Ogni operazione che soddisfa
proprietà simili a quelle soddisfatte dalla moltiplicazione sui numeri ra-
zionali o reali è chiamata moltiplicazione ed è indicata con un simbolo Moltiplicazione
analogo a “·” o a “×”.
Notazione 9.6. D’ora in poi, se non specifichiamo i coefficienti dei po-
linomi, supponiamo che essi appartengano a un insieme su cui tutte le
operazioni necessarie sono definite. Inoltre, per semplificare la notazio-
ne, supponiamo che tutti i polinomi abbiano coefficienti in Q, R o C.
Qualcosa di ciò che diremo vale anche per altri insiemi (ad esempio, Z
o N), ma ci concentreremo su Q, R o C, perché essi soddisfano tutte le
proprietà di cui avremo bisogno. ◮ ◮ Esempio 9.31-3.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 9. Operazioni, gruppi e campi 9–3

Definizione 9.7. Una operazione • su un insieme X soddisfa la pro- Proprietà associativa


prietà associativa se per ogni x, y, z ∈ X si ha x • (y • z) = (x • y) •
z.
Esempio 9.8. Tutte le operazioni dell’Esempio 9.4 soddisfano la pro-
prietà associativa.
1. Per l’operazione + definita su {0} la proprietà associativa è sem- In {0} there is one element only: 0.
plicemente 0 + (0 + 0) = (0 + 0) + 0.
2. Dati tre numeri naturali qualsiasi n, m, k ∈ N abbiamo n + (m + Ad esempio, abbiamo 2+(5+6) = (2+5)+
6, infatti abbiamo 2 + (5 + 6) = 2 + 11 = 13
k) = (n + m) + k. Dati tre numeri naturali qualsiasi n, m, k ∈ N e (2 + 5) + 6 = 7 + 6 = 13.
abbiamo n · (m · k) = (n · m) · k.
3. Dati tre numeri interi qualsiasi n, m, k ∈ Z abbiamo n + (m + k) =

Ad esempio, abbiamo (−2) · 5 · (−6) =

(n + m) + k and n · (m · k) = (n · m) · k. Lo stesso vale per Q, R e (−2) · 5 · (−6), infatti abbiamo (−2) · 5 ·
 
(−6) = (−2) · (−30) = 60 e (−2) · 5 ·
C. ◮ (−6) = (−10) · (−6) = 60.
4. Abbiamo visto nella Lezione 8 che l’addizione sui vettori geometrici ◮ La dimostrazione per C è rispettivamente
soddisfa la proprietà associativa. negli Esercizi 9.6 e 9.1.

5. Dati tre polinomi qualsiasi


p (x1 , x2 , . . . , xn ) , q (x1 , x2 , . . . , xn ) , r (x1 , x2 , . . . , xn ) ∈ I[x1 , x2 , . . . , xn ] ,
abbiamo

p (x1 , x2 , . . . , xn ) + q (x1 , x2 , . . . , xn ) + r (x  1 , x2 , . . . , xn ) =
p (x1 , x2 , . . . , xn ) + q (x1 , x2 , . . . , xn ) + r (x1 , x2 , . . . , xn )
e

p (x1 , x2 , . . . , xn ) · q (x1 , x2 , . . . , xn ) · r (x
 1 , x2 , . . . , xn ) =
p (x1 , x2 , . . . , xn ) · q (x1 , x2 , . . . , xn ) · r (x1 , x2 , . . . , xn ) .
Non daremo la dimostrazione di questo fatto, ma mostreremo solo
un esempio rispettivamente negli Esercizi 9.2 e 9.7.
Osservazione 9.9. Se un’operazione • su un insieme X gode della pro- Per esempio, possiamo scrivere 2 + 5 + 6,
infatti 2 + (5 + 6) = 2 + 11 = 13 e (2 + 5) +
prietà associativa, possiamo non usare le parentesi. Infatti, per ogni 6 = 7 + 6 = 13 hanno lo stesso risultato.
x, y, z ∈ X la scrittura x • y • z non è ambigua perché i due possibili
risultati, x • (y • z) e (x • y) • z, coincidono.
Questo risultato vale anche per sequenze arbitrariamente lunghe, os-
sia x1 , x2 , . . . , xn sono n elementi di X, con n > 3, la scrittura x1 • x2 •
· · · • xn non è ambigua.
D’ora in poi, quindi, per non appesantire la trattazione, non useremo
le parentesi, a meno che esse chiarificano il significato di una formula.
Definizione 9.10. Un elemento neutro per una operazione • su un in- Elemento neutro
sieme X è un elemento e ∈ X tale che x • e = e • x = x per ogni
x ∈ X.
Esempio 9.11. Descriviamo l’elemento neutro delle operazioni dell’E-
sempio 9.4.
1. Per l’operazione + definita su {0} l’elemento neutro è 0, infatti In {0} c’è un solo elemento: 0.
abbiamo 0 + 0 = 0.
2. Per l’addizione sui numeri naturali l’elemento neutro è 0, infatti Alcuni considerano che N inizia da 1, ossia
N = {1, 2, . . .}: in questo caso l’addizione
abbiamo 0 + n = n per ogni n ∈ N. Per la moltiplicazione sui su N non avrebbe l’elemento neutro perché
numeri naturali l’elemento neutro è 1, infatti abbiamo 1 · n = n 0 non apparterrebbe a N.
per ogni n ∈ N.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 9. Operazioni, gruppi e campi 9–4

3. Per l’addizione sui numeri interi l’elemento neutro è 0, infatti ab-


biamo 0 + h = h per ogni h ∈ Z. Per la moltiplicazione sui numeri
interi l’elemento neutro è 1, infatti abbiamo 1 · h = h per ogni
h ∈ Z. Lo stesso vale per Q, R e C.
4. Abbiamo visto nella Lezione 8 che l’elemento neutro per l’addizione
sui vettori geometrici è il vettore nullo.
5. L’elemento neutro per un insieme di polinomi è il polinomio nullo. ◮ ◮ Si veda l’Esempio 5.27-4 per l’uguaglianza
p + 0 = p, con l’altra, 0 + p = p, che è
Proposizione 9.12. Sia • una operazione su un insieme X con un identica.
elemento neutro. Allora, questo elemento è unico. Questa proposizione spiega perché nell’e-
sempio precedente abbiamo usato l’artico-
Dimostrazione. Dimostriamo che se consideriamo due elementi neutri e lo definito, mentre nella definizione prima
abbiamo usato quello indefinito.
ed e′ per l’operazione •, essi coincidono. Visto che e è un elemento
neutro, abbiamo x • e = x per ogni x ∈ X, e quindi in particolare
e′ • e = e′ . Analogamente, visto che e′ è un elemento neutro, abbiamo
e′ • e = e. Quindi abbiamo e = e′ • e = e′ , ossia e = e′ .
Analogamente a quanto succede per l’addizione e la moltiplicazione
tra numeri, useremo la seguente notazione.
Notazione 9.13. Quando l’operazione è un’addizione indicheremo l’e-
lemento neutro con 0, mentre quando l’operazione è una moltiplicazione
indicheremo l’elemento neutro con 1.
Definizione 9.14. Sia • una operazione su un insieme X con elemento Opposite/inverse

neutro e. Si fissi x ∈ X. Un elemento x ∈ X è detto opposto o inverso
• •
di x se x • x = x • x = e.
Esempio 9.15. Studiamo gli elementi opposti/inversi per le operazioni
dell’Esempio 9.4.
1. Per l’operazione + definita su {0} l’opposto dell’unico elemento, 0, opposto elemento neutro
z}|{ z}|{
è 0, infatti abbiamo 0 + 0 = 0 ◮. ◮0 + 0 = 0 .

2. Per l’addizione su N ci sono elementi che non hanno opposto, per


esempio 1 non ha opposto, infatti le equazioni 1 + n = n + 1 = 0
non hanno soluzione in N ◮. Anche per la moltiplicazione su N ci ◮ 1 + n è maggiore di 0 per ogni n ∈ N.
sono elementi che non hanno inverso, per esempio 2 non ha inverso,
infatti le equazioni 2 · n = n · 2 = 1 non hanno soluzione in N ◮. ◮ 2 · n è pari per ogni n ∈ N.

3. Per l’addizione su Z tutti gli elementi hanno un opposto, infatti,


dato (un qualsiasi) h ∈ Z, il suo opposto è −h ◮. Invece, per la ◮ h + (−h) = (−h) + h = 0 per ogni h ∈ Z.
moltiplicazione su Z ci sono elementi che non hanno inverso, per
esempio 2 non ha inverso, infatti le equazioni 2 · n = n · 2 = 1 non
hanno soluzione in Z ◮. ◮ 2 · n è pari per ogni n ∈ Z.

Per l’addizione su Q and R tutti gli elementi hanno un opposto, in-


fatti, dato (un qualsiasi) x nell’insieme considerato, il suo opposto
è −x ◮. Per la moltiplicazione su Q e R tutti gli elementi, eccetto ◮ x + (−x) = (−x) + x = 0 per ogni x.
0, hanno un inverso, infatti, dato (un qualsiasi) x 6= 0 nell’insieme
considerato, il suo inverso è x1 ◮. ◮x · 1
x
= 1
x
· x = 1 per ogni x.

4. Per l’addizione sui vettori geometrici l’opposto di un vettore v è il


vettore −v con la stessa direzione e modulo di v ma verso opposto,
infatti la somma v + (−v) è il vettore nullo.

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Lezione 9. Operazioni, gruppi e campi 9–5

5. Per l’addizione sui polinomi, l’opposto di un polinomio p è il po-


linomio 0 − p, ossia il polinomio ottenuto cambiando il segno dei
coefficienti di p, infatti 0−p è il polinomio tale che p+(0−p) = 0. ◮ ◮ Definizione 5.28.

Per la moltiplicazione sui polinomi, l’inverso di un polinomio p può


non esistere, infatti un polinomio p con grado 1 non può avere un
inverso, perché se q fosse l’inverso (cosicché p · q = 1) il grado di 1
sarebbe 1 + deg(q) > 1 ◮, che è una contraddizione. ◮ ◮ ◮ Osservazione 5.31.

◮ deg(1) = 0.
Esempio 9.16. Per l’addizione su C tutti gli elementi hanno un opposto,
infatti, dato (un qualsiasi) numero complesso z = a + ib, il suo opposto è
−z = −a − ib ◮. Per la moltiplicazione su C tutti gli elementi, eccetto 0, ◮ (a+ib)+(−a−ib) = (−a−ib)+(a+ib) = 0
per ogni a, b ∈ R.
hanno un inverso, infatti, dato (un qualsiasi) numero complesso z = a+ib
non nullo, il suo inverso è
1 a b
:= 2 −i 2 ,
z a + b2 a + b2
infatti
 
1 a b a2 b2
z · = (a + ib) · − i = + = 1.
z a 2 + b2 a 2 + b2 a2 + b2 a2 + b2
Osservazione 9.17. Sia • una operazione su un insieme X che go- Proprietà di cancellazione
de della proprietà associativa, con elemento neutro e. Fissiamo x ∈
X che ha un opposto/inverso. Allora, possiamo applicare la proprie- La richiesta che x abbia un inverso è fon-
damentale. Se x non avesse un inverso non
tà di cancellazione alle uguaglianze, ossia abbiamo le due implicazioni potremmo applicare la regola di cancella-
seguenti: zione. Ad esempio, abbiamo 0 · 1 = 0 · 2,
but 1 6= 2.
y•x =z•x ⇒ y = z,
x•y =x•z ⇒ y = z.
Infatti, supponiamo di avere y • x = z • x. Applicando la stessa Qui dimostriamo la proprietà di cancella-
• zione.
operazione a entrambi i membri l’uguaglianza rimane,  quindi
 (y •x)•
 x =
• • •
(z • x) • x. Per la proprietà associativa abbiamo y • x • x = z • x • x ,

ossia, visto che x è un opposto/inverso di x, abbiamo y • e = z • e, e
quindi otteniamo y = z. La seconda implicazione è analoga.
Proposizione 9.18. Sia • una operazione su un insieme X che gode
della proprietà associativa e ha un elemento neutro e. Allora, se esiste
l’opposto/inverso di un elemento x ∈ X ◮, esso è unico. ◮ Ricordiamo che alcuni elementi possono
non avere nessun inverso. Qui, stiamo con-
Dimostrazione. Dimostriamo che, se consideriamo due opposti/inversi siderando solo il caso in cui l’elemento x ha
• • un inverso.
di x, essi coincidono. Siano tali opposti/inversi x1 e x2 . Abbiamo che
• • • •
x • x1 = e e x • x2 = e, quindi x • x1 = x • x2 . Tramite la proprietà di
• •
cancellazione, eliminiamo x e otteniamo x1 = x2 .
Osservazione 9.19. Sia • una operazione su un insieme X che gode
della proprietà associativa e ha un elemento neutro e. Se x è un elemento
• • •
che ha un inverso, x, allora l’inverso di x è x. Infatti, abbiamo x • x = e
• •
e x • x = e, quindi x è un inverso di x, ed è unico per la precedente
proposizione.
Notazione 9.20. Nei libri di testo si possono trovare altri termini ol-
tre a “opposto” e “inverso”. Noi useremo il termine “opposto” quando
l’operazione è un’addizione, mentre useremo il termine “inverso” quando

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Lezione 9. Operazioni, gruppi e campi 9–6

l’operazione è una moltiplicazione. Nel primo caso indicheremo l’opposto


di un elemento x con un simbolo analogo a “−x”; inoltre, invece di scri-
vere x + (−y), scriveremo x − y. Nel secondo caso indicheremo l’inverso
di un elemento x con “x−1 ”, e scriveremo xy invece di scrivere x · y −1 .
Definizione 9.21. Una operazione • su un insieme X soddisfa la pro- Proprietà commutativa
prietà commutativa se per ogni x, y ∈ X si ha x • y = y • x.
Esempio 9.22. Tutte le operazioni dell’Esempio 9.4 soddisfano la pro-
prietà commutativa.
1. Per l’operazione + definita su {0} la proprietà commutativa è In {0} c’è un solo elemento: 0.
semplicemente 0 + 0 = 0 + 0 ◮. ◮ I due “0” si scambiano di posizione, anche
se non si vede.
2. Dati due numeri naturali qualsiasi n, m ∈ N abbiamo n + m = Per esempio, abbiamo 2 + 5 = 5 + 2, infatti
m + n. Dati due numeri naturali qualsiasi n, m ∈ N abbiamo abbiamo 2 + 5 = 7 e 2 + 5 = 7.

n · m = m · n.
3. Dati due numeri interi qualsiasi h, k ∈ Z abbiamo h + k = k + h e Per esempio, abbiamo (−2) · 5 = 5 · (−2),
infatti abbiamo (−2) · 5 = −10 e 5 · (−2) =
h · k = k · h. Lo stesso vale per Q, R e C. ◮ −10.
4. Abbiamo visto nella Lezione 8 che l’addizione sui vettori geometrici ◮ La dimostrazione per C è rispettivamente
soddisfa la proprietà commutativa. negli Esercizi 9.3 e 9.8.

5. Dati due polinomi qualsiasi


p (x1 , x2 , . . . , xn ) , q (x1 , x2 , . . . , xn ) ∈ I[x1 , x2 , . . . , xn ] ,
abbiamo
p (x1 , x2 , . . . , xn )+q (x1 , x2 , . . . , xn ) = q (x1 , x2 , . . . , xn )+p (x1 , x2 , . . . , xn )
e
p (x1 , x2 , . . . , xn )·q (x1 , x2 , . . . , xn ) = q (x1 , x2 , . . . , xn )·p (x1 , x2 , . . . , xn ) .
Non daremo la dimostrazione di questo fatto, ma mostreremo solo
un esempio rispettivamente negli Esercizi 9.9 e 9.4.
Definizione 9.23. Sia X un insieme dotato di due operazioni ⊕ e ⊙. Proprietà distributiva
L’operazione ⊙ soddisfa la proprietà distributiva rispetto all’operazione
⊕ se per ogni x, y, z ∈ X si ha (x ⊕ y) ⊙ z = (x ⊙ z) ⊕ (y ⊙ z) e
z ⊙ (x ⊕ y) = (z ⊙ x) ⊕ (z ⊙ y).
Esempio 9.24. Tutte le moltiplicazioni dell’Esempio 9.4 soddisfano la
proprietà distributiva rispetto all’addizione dell’insieme rispettivo.
1. Sull’insieme {0} non abbiamo definito due operazioni, quindi non
ci interessiamo della proprietà distributiva.
2. Dati tre numeri naturali qualsiasi n, m, k ∈ N abbiamo n·(m+k) = Per esempio, abbiamo 2 · (5 + 6) = (2 · 5) +
(2·6), infatti abbiamo 2·(5+6) = 2·11 = 22
(n · m) + (n · k) e (m + k) · n = (m · n) + (k · n). e (2 · 5) + (2 · 6) = 10 + 12 = 22.
3. Dati tre numeri interi qualsiasi n, m, k ∈ N abbiamo n · (m + k) =
(n · m) + (n · k) e (m + k) · n = (m · n) + (k · n). Lo stesso vale per
Q, R e C. ◮ ◮ La dimostrazione per C è nell’Eserci-
zio 9.10.
4. Sui vettori geometrici non abbiamo definito una moltiplicazione.
Nota che la moltiplicazione per scalare non è un’operazione. ◮ ◮ Comunque sia, vedremo sotto che la pro-
prietà distributiva è soddisfatta anche in
5. Dati tre polinomi qualsiasi questo caso.

p (x1 , x2 , . . . , xn ) , q (x1 , x2 , . . . , xn ) , r (x1 , x2 , . . . , xn ) ∈ I[x1 , x2 , . . . , xn ] ,

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Lezione 9. Operazioni, gruppi e campi 9–7

abbiamo

p (x1 , x2 , . . . , xn ) · q (x1 , x2 , . . . , xn ) +r (x1 , x2 , . . . , xn ) = 
p (x1 , x2 , . . . , xn ) · q (x1 , x2 , . . . , xn ) + p (x1 , x2 , . . . , xn ) · r (x1 , x2 , . . . , xn )
e

q (x1 , x2 , . . . , xn ) + r (x1 , x2 , . . . , xn ) · p (x1 , x2 , . . . , xn ) = 
q (x1 , x2 , . . . , xn ) · p (x1 , x2 , . . . , xn ) + r (x1 , x2 , . . . , xn ) · p (x1 , x2 , . . . , xn ) .
Non daremo la dimostrazione di questo fatto, ma mostreremo solo
un esempio nell’Esercizio 9.11.
Osservazione 9.25. 1. Sia • una operazione su un insieme X che Questa osservazione dimezza i conti, infat-
ti nei casi che considereremo le dimostra-
gode della proprietà commutativa. Allora, per dimostrare che e è zioni delle coppie di uguaglianze sarebbero
l’elemento neutro, non dobbiamo dimostrare che per ogni x ∈ X molto simili e ne faremo solo una.
sono verificate entrambe le uguaglianze, x • e = x e e • x = x.
Ci possiamo limitare a dimostrare, per ogni x ∈ X, una sola delle
due uguaglianze; l’altra è automaticamente verificata, infatti per
la proprietà commutativa abbiamo x • e = e • x.
Analogamente, per dimostrare che un elemento x ∈ X ha un oppo-
• •
sto/inverso, possiamo limitarci a trovare x ∈ X tale che x • x = e

o x • x = e; l’altra uguaglianza è automaticamente soddisfatta.
2. Sia X un insieme dotato di due operazioni ⊕ e ⊙, tali che ⊙ sod-
disfa la proprietà commutativa. Allora, per dimostrare che l’ope-
razione ⊙ soddisfa la proprietà distributiva rispetto all’operazione
⊕, non dobbiamo dimostrare che per ogni x, y, z ∈ X sono verifi-
cate entrambe le uguaglianze, (x ⊕ y) ⊙ z = (x ⊙ z) ⊕ (y ⊙ z) e
z ⊙ (x ⊕ y) = (z ⊙ x) ⊕ (z ⊙ y). Ci possiamo limitare a dimostrare,
per ogni x, y, z ∈ X, una sola delle due uguaglianze; l’altra è auto-
maticamente verificata, infatti per la proprietà commutativa le due
condizioni (x⊕y)⊙z = (x⊙z)⊕(y⊙z) e z⊙(x⊕y) = (z⊙x)⊕(z⊙y)
sono equivalenti.
Nel seguito useremo quasi sempre operazioni che soddisfano tutte le
proprietà descritte sopra (le uniche eccezioni saranno la moltiplicazione
righe per colonne e il prodotto vettoriale, che non soddisfano la proprietà
commutativa), quindi possiamo applicare quasi tutti i risultati enunciati
in questa sezione.

9.2 Gruppi e campi


Definizione 9.26. Un gruppo abeliano o gruppo commutativo è un in- Gruppo abeliano/commutativo
sieme G dotato di una operazione
•: G × G → G
che soddisfa le seguenti proprietà:
(G1) per ogni g1 , g2 , g3 ∈ G si ha g1 • (g2 • g3 ) = (g1 • g2 ) • g3 (proprietà Per l’Osservazione 9.9 possiamo non
scrivere le parentesi.
associativa),
(G2) esiste e ∈ G tale che g • e = e • g = g per ogni g ∈ G (esistenza
dell’elemento neutro),
• • •
(G3) per ogni g ∈ G esiste g ∈ G tale che g • g = g • g = e (esistenza
dell’opposto/inverso),

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Lezione 9. Operazioni, gruppi e campi 9–8

(G4) per ogni g1 , g2 ∈ G si ha g1 • g2 = g2 • g1 (proprietà commutativa).


Osservazione 9.27. L’operazione • di cui è dotato il gruppo abeliano
G fa parte della definizione, ossia il gruppo abeliano non è solo l’insieme
G, bensì la coppia (G, •). Può succedere, ad esempio, che su G ci siano
più operazioni e che G sia un gruppo abeliano solo rispetto a una di
esse. Oppure può succedere che G sia un gruppo abeliano rispetto a due
diverse operazioni: in tal caso abbiamo due gruppi abeliani distinti, uno
per ciascuna operazione, entrambi sullo stesso insieme G. Non useremo
la notazione (G, •) per non appesantire la notazione.
Esempio 9.28. 1. L’insieme {0} dotato dell’operazione di addizione
definita nell’Esempio 9.4-1 è un gruppo abeliano, infatti abbiamo
già dimostrato le quattro proprietà (G1), (G2), (G3) e (G4) ◮. ◮ Rispettivamente negli Esempi 9.8-1, 9.11-
1, 9.15-1 e 9.22-1.
2. L’insieme dei numeri naturali N non è un gruppo abeliano rispetto
all’addizione, infatti abbiamo visto che può non esistere l’opposto
di un elemento rispetto all’addizione. Inoltre, N non è un gruppo
abeliano nemmeno rispetto alla moltiplicazione, infatti abbiamo
visto che può non esistere l’inverso di un elemento rispetto alla
moltiplicazione. ◮ ◮ Esempio 9.15-2.

3. L’insieme dei numeri interi Z è un gruppo abeliano rispetto all’ad-


dizione, infatti abbiamo già dimostrato le quattro proprietà (G1),
(G2), (G3) e (G4) ◮. Al contrario, Z non è un gruppo abeliano ◮ Rispettivamente negli Esempi 9.8-3, 9.11-
3, 9.15-3 e 9.22-3.
rispetto alla moltiplicazione, infatti abbiamo visto che può non
esistere l’inverso di un elemento rispetto alla moltiplicazione. ◮ ◮ Esempio 9.15-3.

Analogamente, gli insiemi Q, R e C sono gruppi abeliani rispetto


all’addizione. Essi non sono gruppi abeliani rispetto alla moltipli-
cazione, infatti l’inverso di 0 non esiste. ◮ Invece, se rimuoviamo 0 ◮ 0 · x = 1 non ha soluzione, infatti 0 · x = 0
per ogni x.
otteniamo gruppi abeliani: gli insiemi Q \ {0}, R \ {0} e C \ {0}
sono gruppi abeliani rispetto alla moltiplicazione, infatti abbiamo
già dimostrato le quattro proprietà (G1), (G2), (G3) e (G4) ◮. ◮ Rispettivamente negli Esempi 9.8-3, 9.11-
3, 9.15-3 (9.16 for C) e 9.22-3.
4. Gli insiemi di vettori geometrici V 2E e V 3E sono gruppi abeliani
rispetto all’addizione, infatti abbiamo già dimostrato le quattro
◮ Rispettivamente negli Esempi 9.8-4, 9.11-
proprietà (G1), (G2), (G3) e (G4) ◮. 4, 9.15-4 e 9.22-4.
◮ Ricordiamo che consideriamo solo polino-
5. Gli insiemi di polinomi I[x1 , x2 , . . . , xn ] e I6m[x1 , x2 , . . . , xn ] ◮
◮ so- ◮
mi su Q, R e C (Notazione 9.6).
no gruppi abeliani rispetto all’addizione, infatti abbiamo già dimo- ◮ Rispettivamente negli Esempi 9.8-5, 9.11-


strato le quattro proprietà (G1), (G2), (G3) e (G4) ◮ ◮.
◮ 5, 9.15-5 e 9.22-5.

Definizione 9.29. Un campo è un insieme K dotato di due operazioni, Campo


una detta addizione Addizione

⊕: K × K → K
e una detta moltiplicazione Moltiplicazione

⊙ : K × K → K,
che soddisfano le seguenti proprietà:
(K1) l’insieme K dotato dell’operazione di addizione ⊕ è un gruppo
abeliano, ossia
a) per ogni λ, µ, ν ∈ K si ha λ ⊕ (µ ⊕ ν) = (λ ⊕ µ) ⊕ ν (proprietà
associativa per l’addizione),

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Lezione 9. Operazioni, gruppi e campi 9–9

b) esiste 0 ∈ K tale che λ ⊕ 0 = 0 ⊕ λ = λ per ogni λ ∈ K


(esistenza dell’elemento neutro per l’addizione),
c) per ogni g ∈ K esiste ⊖g ∈ K tale che g ⊖ g = (⊖g) ⊕ g = 0
(esistenza dell’opposto),
d) per ogni λ, µ ∈ K si ha λ ⊕ µ = µ ⊕ λ (proprietà commutativa
per l’addizione);
(K2) l’insieme K \ {0} dotato dell’operazione di moltiplicazione ⊙ è un
gruppo abeliano, ossia
a) per ogni λ, µ, ν ∈ K \ {0} si ha λ ⊙ (µ ⊙ ν) = (λ ⊙ µ) ⊙ ν
(proprietà associativa per la moltiplicazione),
b) esiste 1 ∈ K\{0} tale che λ⊙1 = 1⊙λ = λ per ogni λ ∈ K\{0}
(esistenza dell’elemento neutro per la moltiplicazione),
c) per ogni λ ∈ K \ {0} esiste λ−1 ∈ K \ {0} tale che λ ⊙ λ−1 =
λ−1 ⊙ λ = 1 (esistenza dell’inverso),
d) per ogni λ, µ ∈ K \ {0} si ha λ ⊙ µ = µ ⊙ λ (proprietà
commutativa per la moltiplicazione);
(K3) per ogni λ, µ, ν ∈ K si ha λ ⊙ (µ ⊕ ν) = (λ ⊙ µ) ⊕ (λ ⊙ ν) e (µ ⊕ ν) ⊙
λ = (µ ⊙ λ) ⊕ (ν ⊙ λ) (proprietà distributiva della moltiplicazione
rispetto all’addizione).
Osservazione 9.30. Come per i gruppi abeliani ◮, le operazioni ⊕ e ⊙ di ◮ Osservazione 9.27.
cui è dotato il campo K fanno parte della definizione, quindi avremmo
dovuto definire un campo come la terna (K, ⊕, ⊙). Non useremo la
notazione (K, ⊕, ⊙) per non appesantire la notazione.
Esempio 9.31. 1. Sull’insieme {0} non abbiamo definito due opera-
zioni, quindi non ha senso chiedere se esso è un campo rispetto
all’unica operazione definita. Comunque sia, non possiamo nem-
meno definire un’altra operazione in modo da farlo diventare un
campo perché la proprietà (K2b) non può essere verificata ◮. ◮ Non c’è nessun elemento in K \ {0}.

2. L’insieme dei numeri naturali N non è un campo rispetto all’addi-


zione e alla moltiplicazione, perché la proprietà (K1) non è verifi-
cata ◮. Più precisamente, la proprietà (K1c) non è verificata. ◮ Non è un gruppo abeliano rispetto
all’addizione (Esempio 9.28-2).
3. L’insieme dei numeri interi Z non è un campo rispetto all’addizione
e alla moltiplicazione, perché la proprietà (K2c) does not hold ◮ ◮ Esempio 9.15-3.

Al contrario, gli insiemi Q, R e C sono campi rispetto all’addizione


e alla moltiplicazione, perché tutte le proprietà (K1), (K2) e (K3)
sono verificate. ◮ ◮ Si veda l’Esempio 9.28-3 per le proprie-
tà (K1) and (K2), e l’Esempio 9.24-3 per
4. Sui vettori geometrici non abbiamo definito una moltiplicazione, la proprietà (K3).
quindi non ha senso chiedere se essi formano un campo rispetto
all’unica operazione definita.
5. Gli insiemi dei polinomi non sono campi perché la proprietà (K2c)
non è verificata. ◮ Solo I60 [x1 , x2 , . . . , xn ], which is the set I, è un ◮ Esempio 9.15-5.
campo; esso è un campo, perché stiamo considerando solo i casi
I = Q, R, C.
Proposizione 9.32. Sia K un campo con le due operazioni ⊕ e ⊙.
Allora, per ogni λ ∈ K si ha 0 ⊙ λ = λ ⊙ 0 = 0.

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Versione 1.0
Lezione 9. Operazioni, gruppi e campi 9–10

Dimostrazione. Dimostriamo solo la prima delle due uguaglianze, 0⊙λ = Qui dobbiamo dimostrare entrambe le
uguaglianze. Non possiamo infatti applica-
0 e λ ⊙ 0 = 0: la seconda è analoga e la lasciamo al lettore. Utilizzeremo re l’Osservazione 9.25-1, perché sappiamo
le proprietà della definizione di campo: sopra i segni di uguaglianza solo che l’operazione ⊙ gode della proprie-
abbiamo indicato quale proprietà abbiamo utilizzato. Abbiamo tà commutativa solo sull’insieme K \ {0},
per la proprietà (K2d), ma non sappia-
(K1b) (K3) mo se gode della proprietà commutativa
0 ⊙ λ = (0 ⊕ 0) ⊙ λ = (0 ⊙ λ) ⊕ (0 ⊙ λ); su tutto l’insieme K (un fatto vero, ma che
dimostreremo nell’osservazione sotto).
per la proprietà di cancellazione dell’addizione ⊕ ◮ otteniamo 0 = 0 ⊙
λ. ◮ Osservazione 9.17.

Notazione 9.33. Useremo spesso la notazione usata nella dimostra-


(P)
zione precedente. Con il simbolo = indicheremo che è stata usata la
proprietà (P): la proprietà sarà stata in precedenza definita e dimostrata
per l’insieme che stiamo considerando.
Osservazione 9.34. Le proprietà (K2a), (K2b) e (K2d) sono verificate Qui abbiamo K, nella definizione di campo
abbiamo K \ {0}.
anche per 0, ossia:
(K2) a) per ogni λ, µ, ν ∈ K si ha λ ⊙ (µ ⊙ ν) = (λ ⊙ µ) ⊙ ν (proprietà
associativa per la moltiplicazione),
b) esiste 1 ∈ K \ {0} tale che λ ⊙ 1 = 1 ⊙ λ = λ per ogni λ ∈ K
(esistenza dell’elemento neutro per la moltiplicazione),
d) per ogni λ, µ ∈ K si ha λ ⊙ µ = µ ⊙ λ (proprietà commutativa
per la moltiplicazione).
Infatti, se tutti gli elementi λ, µ, ν ∈ K sono diversi da 0, le proprietà
sono verificate per definizione ◮; se invece anche uno solo degli elementi ◮ Definizione 9.29.
λ, µ, ν ∈ K è 0, tutti i prodotti sono 0 ◮. ◮ Proposizione 9.32.
La proprietà (K2c) invece non è verificata per 0, ossia 0 non ha un
inverso in K. Se per assurdo esistesse 0−1 tale che 0 ⊙ 0−1 = 1, avremmo
anche 0 ⊙ 0−1 = 0 ◮ e quindi avremmo 1 = 0: questa è una contraddi- ◮ Proposizione 9.32.
zione ◮. Questo implica che K dotato dell’operazione di moltiplicazione ◮ Per la proprietà (K2b), 1 non può essere
⊙ non è un gruppo abeliano. uguale a 0.

Notazione 9.35. Per l’osservazione precedente, quando ci riferiremo


alle proprietà (K2a), (K2b) e (K2d), ci riferiremo a quelle generali, valide
anche per 0.
Proposizione 9.36 (Legge di annullamento del prodotto). Sia K un Legge di annullamento del prodotto
campo con le due operazioni ⊕ e ⊙. Siano λ, µ ∈ K elementi tali che
λ ⊙ µ = 0, allora si ha λ = 0 o µ = 0 (o entrambe le cose).
Dimostrazione. Se λ = 0, abbiamo finito: la tesi è dimostrata qualun-
que valore assume µ. Se invece λ 6= 0, esiste l’inverso λ−1 di λ ◮, quindi ◮ Proprietà (K2c).
moltiplicando entrambi i membri dell’equazione λ ⊙ µ = 0 per λ−1 ot-
teniamo µ = λ−1 ⊙ 0. Visto che λ−1 ⊙ 0 = 0 ◮, otteniamo µ = 0. La ◮ Proposizione 9.32.
dimostrazione è completa.
Notazione 9.37. Analogamente a quanto succede per l’addizione e per
la moltiplicazione sui numeri (e per semplicità), quando abbiamo un
insieme dotato di un’addizione e di una moltiplicazione, stipuliamo che la
moltiplicazione è fatta prima dell’addizione. La scrittura λ⊙µ⊕ν quindi
non è ambigua: essa significa (λ⊙µ)⊕ν. Nel caso in cui l’addizione debba

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Versione 1.0
Lezione 9. Operazioni, gruppi e campi 9–11

essere fatta prima, usiamo le parentesi opportunamente: ad esempio,


λ ⊙ (µ ⊕ ν).
Se non è necessario, eviteremo di scrivere il simbolo della moltipli- È normale non usare il simbolo della mol-
tiplicazione: ad esempio, per i numeri scri-
cazione “⊙”, quindi la scrittura λµ significa λ ⊙ µ. Inoltre, indichiamo il viamo 2(3+1) per indicare 2·(3+1), oppure
n volte
z }| { scriviamo 2x, con x variabile, per indicare
prodotto λλ · · · λ con λn per n > 1. If there exists the inverse of λ, we 2 · x. Comunque sia, se abbiamo due nu-
n times meri, esso deve essere usato: ad esempio,
z }| { se nella moltiplicazione 2 · 3 lo omettiamo,
indicate the product λ−1 λ−1 · · · λ−1 by λ−n for n > 1, e, per coerenza, otteniamo 23 che ha un significato diverso.
poniamo λ0 := 1.
Osservazione 9.38. La notazione λn è coerente con la notazione λ−1
per l’inverso e valgono tutte le proprietà dell’elevamento a potenza sui
numeri, ossia
λ1 = λ, λ1 λ−1 = λ0 = 1,
λn λm = λn+m , (λn )m = λnm , ∀n, m ∈ Z.
Notazione 9.39. D’ora in poi useremo sempre gruppi abeliani in cui
l’operazione è una addizione indicata con il simbolo “+” o una moltiplica-
zione indicata con il simbolo “·”, e campi la cui addizione è indicata con il
simbolo “+” e la cui moltiplicazione è indicata con il simbolo “·”. Quindi,
a meno che non sia necessario per la comprensione, non specificheremo
le operazioni e useremo il simbolo “+” per l’addizione e il simbolo “·” per
la moltiplicazione. Ad esempio, parleremo di “un campo K” e non di “un
campo K dotato di addizione + e moltiplicazione ·”, dando per scontato
che le operazioni sono l’addizione + e la moltiplicazione ·.
Osservazione 9.40. Considereremo solo campi con infiniti elementi. Campi finiti/infiniti
Quasi tutto ciò che enunceremo vale anche per campi con un numero
finito di elementi, ma non ci interessiamo di questi campi. Quindi, d’ora
in poi, tutti i campi sono supposti infiniti. ◮ ◮ Per semplicità, il lettore può pensare sola-
mente ai campi Q, R e C, ma deve sape-
re che tutto funziona con qualsiasi campo
infinito.

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Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 9/S1
Titolo: OPERAZIONI, GRUPPI E CAMPI
Attività n°: 1

Sessione di Studio 9.1

Operazioni, gruppi e campi


Lezione 9. Operazioni, gruppi e campi 9–12

Sessione di Studio 9.1


Esercizio 9.1. Dimostra la proprietà associativa della moltiplicazione
su C.
Soluzione. Per ogni z1 , z2 , z3 ∈ C vogliamo dimostrare che
z1 · (z2 · z3 ) = (z1 · z2 ) · z3 .
Scriviamo zi = ai + ibi per i = 1, 2, 3, quindi abbiamo
 
z1 · (z2 · z3 ) = (a1 + ib1 ) · (a2 + ib2 ) · (a3 + ib3 ) = (a1 + ib1 ) · (a2 a3 − b2 b3 ) + i (a2 b3 + b2 a3 ) =
= (a1 a2 a3 − a1 b2 b3 − b1 a2 b3 − b1 b2 a3 ) + i (a1 a2 b3 + a1 b2 a3 + b1 a2 a3 − b1 b2 b3 )
e
 
(z1 · z2 ) · z3 = (a1 + ib1 ) · (a2 + ib2 ) · (a3 + ib3 ) = (a1 a2 − b1 b2 ) + i (a1 b2 + b1 a2 ) · (a3 + ib3 ) =
= (a1 a2 a3 − b1 b2 a3 − a1 b2 b3 − b1 a2 b3 ) + i (a1 a2 b3 − b1 b2 b3 + a1 b2 a3 + b1 a2 a3 ) .
I due risultati sono uguali, quindi la dimostrazione è completa.

Esercizio 9.2. Mostra un esempio della proprietà associativa dell’addi-


zione su R[x].
Soluzione. Abbiamo
      
x3 − 3x + x2 − 1 +(2x−1) = x3 − 3x + x2 − 1 +(2x−1),
infatti abbiamo
     
x3 − 3x + x2 − 1 +(2x−1) = x3 − 3x + x2 + 2x − 2 = x3 +x2 −x−2
e
   
x3 − 3x + x2 − 1 +(2x−1) = x3 + x2 − 3x − 1 +(2x−1) = x3 +x2 −x−2.

Esercizio 9.3. Dimostra la proprietà commutativa dell’addizione su C.


Soluzione. Per ogni z1 , z2 ∈ C vogliamo dimostrare che z1 +z2 = z2 +z1 .
Scriviamo zi = ai + ibi per i = 1, 2, quindi abbiamo
z1 + z2 = (a1 + ib1 ) + (a2 + ib2 ) = (a1 + a2 ) + i (b1 + b2 )
e
z2 + z1 = (a2 + ib2 ) + (a1 + ib1 ) = (a2 + a1 ) + i (b2 + b1 ) .
I due risultati sono uguali, quindi la dimostrazione è completa.

Esercizio 9.4. Mostra un esempio della proprietà commutativa della


moltiplicazione su R[x, y].
   
Soluzione. Abbiamo x3 + y · xy + y 2 = xy + y 2 · x3 + y , infatti
abbiamo
 
x3 + y · xy + y 2 = x4 y + x3 y 2 + xy 2 + y 3
e
 
xy + y 2 · x3 + y = x4 y + xy 2 + x3 y 2 + y 3 .

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Lezione 9. Operazioni, gruppi e campi 9–13

Esercizio 9.5. (R[x] \ {0}, +) è un gruppo abeliano? (Q \ {1}, +, ·) è


un campo?
Soluzione. (R[x] \ {0}, +) non è un gruppo abeliano, perché l’addizione
non ha l’elemento neutro ◮, quindi la proprietà (G2) non è soddisfatta. ◮ L’elemento neutro per l’addizione in R[x] è
il polinomio nullo 0.
(Q \ {1}, +, ·) non è un campo, perché la moltiplicazione non ha
l’elemento neutro ◮, quindi la proprietà (K2b) non è soddisfatta. ◮ L’elemento neutro per la moltiplicazione in
Q è 1.

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Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 9/S2
Titolo: OPERAZIONI, GRUPPI E CAMPI
Attività n°: 1

Sessione di Studio 9.2

Operazioni, gruppi e campi


Lezione 9. Operazioni, gruppi e campi 9–14

Sessione di Studio 9.2


Esercizio 9.6. Dimostra la proprietà associativa dell’addizione su C.
Esercizio 9.7. Mostra un esempio della proprietà associativa della mol-
tiplicazione su R[x].
Esercizio 9.8. Dimostra la proprietà commutativa della moltiplicazione
su C.
Esercizio 9.9. Mostra un esempio della proprietà commutativa dell’ad-
dizione su R[x, y, z].
Esercizio 9.10. Dimostra la proprietà distributiva della moltiplicazione
rispetto all’addizione su C.
Esercizio 9.11. Mostra un esempio della proprietà distributiva della
moltiplicazione rispetto all’addizione su R[t].
Esercizio 9.12. Quali dei seguenti sono gruppi abeliani? (N, +), (N \ {0}, ·),
(Z, +), (Z \ {0}, ·), (Q, +), (Q, ·), (R, +), (R \ {0}, ·), (C \ {0}, +), (C, ·),
(R[x] , +), (R[x] , ·), (R6m [x] , +), (R6m [x] \ {0}, ·).
Quali dei seguenti sono campi? (N, +, ·), (Z, +, ·), (Q, +, ·), (R, +, ·),
(C, +, ·), (R[x] , +, ·), (R6m [x] , +, ·).

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Versione 1.0
Lezione 9. Operazioni, gruppi e campi 9–15

Risultato dell’Esercizio 9.6. Calcola esplicitamente


z1 + (z2 + z3 ) e (z1 + z2 ) + z3
per ogni z1 , z2 , z3 ∈ C (scrivendo zi = ai + ibi per i = 1, 2, 3), e dimostra
che essi sono uguali. ◮ ◮ Vedi Esercizio 9.1.

Risultato dell’Esercizio 9.7. Per esempio, calcola esplicitamente Questo esercizio non ha un’unica soluzione,
     quindi il lettore può trovare una soluzione
x + x2 + x + (x + 3) e x + x2 + x + (x + 3), diversa.

dimostrando che essi sono uguali.


Risultato dell’Esercizio 9.8. Calcola esplicitamente z1 · z2 e z2 · z1 per
ogni z1 , z2 ∈ C (scrivendo zi = ai + ibi per i = 1, 2), e dimostra che essi
sono uguali. ◮ ◮ Vedi Esercizio 9.3.

Risultato dell’Esercizio 9.9. Per esempio, calcola esplicitamente Questo esercizio non ha un’unica soluzione,
    quindi il lettore può trovare una soluzione
x3 + yz − y + z + x2 − yz + y e x2 − yz + y + x3 + yz − y + z , diversa.

dimostrando che essi sono uguali.


Risultato dell’Esercizio 9.10. Calcola esplicitamente
◮ Usa la proprietà commutativa per evitare
(z1 + z2 ) · z3 e (z1 · z3 ) + (z2 · z3 ) la dimostrazione dell’altra uguaglianza
per ogni z1 , z2 ∈ C (scrivendo zi = ai + ibi per i = 1, 2), e dimostra che z1 · (z2 + z3 ) = (z1 · z2 ) + (z1 · z3 )
essi sono uguali. ◮ (Osservazione 9.25-2).
Risultato dell’Esercizio 9.11. Per esempio, calcola esplicitamente Questo esercizio non ha un’unica soluzione,
       quindi il lettore può trovare una soluzione
t · t2 + t + (t + 3) e t · t2 + t + t · (t + 3) , diversa.

dimostrando che essi sono uguali.


Risultato dell’Esercizio 9.12. Gruppi abeliani: (N, +) no, (N \ {0}, ·)
no, (Z, +) sì, (Z \ {0}, ·) no, (Q, +) sì, (Q, ·) no, (R, +) sì, (R \ {0}, ·)
sì, (C \ {0}, +) no, (C, ·) no, (R[x] , +) sì, (R[x] , ·) no, (R6m [x] , +) sì,
(R6m [x] \ {0}, ·) no.
Campi: (N, +, ·) no, (Z, +, ·) no, (Q, +, ·) sì, (R, +, ·) sì, (C, +, ·) sì,
(R[x] , +, ·) no, (R6m [x] , +, ·) sì per m = 0 ◮ e no per m > 0. ◮ R60 [x] è essenzialmente R.

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Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 9/S3
Titolo: OPERAZIONI, GRUPPI E CAMPI
Attività n°: 1

Sessione di Studio 9.3

Operazioni, gruppi e campi


Lezione 9. Operazioni, gruppi e campi 9–16

Sessione di Studio 9.3


Letture supplementari possono essere le seguenti:
• http://it.wikipedia.org/wiki/Operazione_binaria
• http://it.wikipedia.org/wiki/Associativit%E0
• http://it.wikipedia.org/wiki/Elemento_neutro
• http://it.wikipedia.org/wiki/Opposto_(matematica)
• http://it.wikipedia.org/wiki/Elemento_inverso
• http://it.wikipedia.org/wiki/Commutativit%E0
• http://it.wikipedia.org/wiki/Distributivit%E0
• http://it.wikipedia.org/wiki/Gruppo_abeliano
• http://it.wikipedia.org/wiki/Campo_(matematica)
• http://it.wikipedia.org/wiki/Legge_di_annullamento_del_prodotto

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Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 9/S3
Titolo: Operazioni, gruppi e campi
Attività n°: 3

Sessione di Studio 9.3 Quiz

Operazioni, gruppi e campi


Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 9/S3
Titolo: Operazioni, gruppi e campi
Attività n°: 3

• Risolvere il seguente quiz a risposta


multipla in cui per ogni domanda una sola
risposta è giusta.
• Rivedere le risposte del quiz.
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 10
Titolo: SPAZI VETTORIALI
Attività n°: 1

Lezione 10
Spazi vettoriali
Lezione 10

Spazi vettoriali

In questa lezione introdurremo gli spazi vettoriali. Essi sono l’essenza


del corso. Ogni altro oggetto sarà basato su essi. Gli spazi vettoriali
possono anche essere pensati come una generalizzazione degli insiemi dei
vettori geometrici, ma includono come esempi molti altri oggetti. Gli
spazi vettoriali danno anche un linguaggio unificato per occuparsi di
molti problemi.

10.1 Spazi vettoriali


Abbiamo visto nella Lezione 8 che sui vettori geometrici può essere defi-
nita un’addizione e una moltiplicazione per scalare. La prima è un’ope-
razione ◮, che rende gli insiemi dei vettori geometrici V 2E e V 3E gruppi ◮ Esempio 9.4-4.
◮. Il secondo definisce funzioni
abeliani ◮ ◮ Esempio 9.28-4.

Per la definizione di operazione che abbia-


· : R × V 2E → V 2E e · : R × V 3E → V 3E . mo dato (Definizione 9.1), la moltiplica-
zione per scalare non è un’operazione sui
La somma e la moltiplicazione per scalare sono legate tra loro: ana- vettori geometrici. La moltiplicazione per
lizziamo V 3E . Per V 2E la dimostrazione è analoga e la lasciamo al scalare associa a una coppia formata da un
lettore. ◮
◮ numero reale e da un vettore geometrico un

vettore geometrico. Se fosse un’operazione
Osservazione 10.1. • Per ogni v ∈ V 3E e λ, µ ∈ R abbiamo λ · (µ · su V 2E o V 3E , assocerebbe a una coppia di
vettori geometrici un vettore geometrico.
v) = (λ · µ) · v (compatibilità della moltiplicazione per scalare e ◮
◮ Esercizio 10.11.

della moltiplicazione di R).
Per dimostrare ciò, fissiamo un sistema di riferimento cartesiano Questa proprietà potrebbe essere anche di-
mostrata con la definizione, stando attenti
(O; x1 , x2 , x3 ) e usiamo l’identificazione dei vettori geometrici V 3E ad analizzare tutti i possibili casi. Tutta-
con le terne di numeri reali ◮. Se v ha coordinate (v1 , v2 , v3 ), allora via, con la dimostrazione algebrica che dia-
λ · (µ · v) ha coordinate ◮ ◮ mo ora, possiamo notare quanto sia utile
  l’identificazione dei vettori geometrici con
λ(µv1 ), λ(µv2 ), λ(µv3 ) = (λµ)v1 , (λµ)v2 , (λµ)v3 , le terne di numeri reali: la dimostrazione è
molto semplice e corta.
ossia le stesse coordinate di (λ · µ) · v. ◮ Lezione 8.
3
• Per ogni v ∈ V e λ, µ ∈ R abbiamo (λ + µ) · v = (λ · v) + (µ · ◮ Abbiamo usato la proprietà associativa

E della moltiplicazione in R (Esempio 9.8-3).
v) (proprietà distributiva della moltiplicazione per scalare rispetto
all’addizione di R).
Per dimostrare ciò, fissiamo un sistema di riferimento cartesiano Questa proprietà potrebbe essere anche di-
mostrata con la definizione, ma ci sono
(O; x1 , x2 , x3 ). Se v ha coordinate (v1 , v2 , v3 ), allora (λ + µ) · v ha molti casi da analizzare. Con l’identifica-
coordinate ◮ zione dei vettori geometrici con le terne
di numeri reali la dimostrazione è molto
semplice e corta.
◮ Abbiamo usato la proprietà distributiva
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Versione 1.0 della moltiplicazione rispetto all’addizione
in R (Esempio 9.24-3).
Lezione 10. Spazi vettoriali 10–2


(λ + µ)v1 , (λ + µ)v2 , (λ + µ)v3 = 
= (λv1 ) + (µv1 ), (λv2 ) + (µv2 ), (λv3 ) + (µv3 ) ,
ossia le stesse coordinate di (λ · v) + (µ · v).
• Per ogni v, w ∈ V 3E e λ ∈ R abbiamo λ · (v + w) = (λ · v) + (λ ·
w) (proprietà distributiva della moltiplicazione per scalare rispetto
all’addizione di vettori).
Per dimostrare ciò, fissiamo un sistema di riferimento cartesiano Questa proprietà potrebbe anche essere di-
mostrata con le omotetie, ma di nuovo con
(O; x1 , x2 , x3 ). Se v ha coordinate (v1 , v2 , v3 ) e w ha coordinate l’identificazione dei vettori geometrici con
(w1 , w2 , w3 ), allora λ · (v + w) ha coordinate ◮ le terne di numeri reali la dimostrazione è
 molto semplice e corta.
λ(v1 + w1 ), λ(v2 + w2 ), λ(v3 + w3 ) =  ◮ Abbiamo usato la proprietà distributiva
= (λv1 ) + (λw1 ), (λv2 ) + (λw2 ), (λv3 ) + (λw3 ) , della moltiplicazione rispetto all’addizione
in R (Esempio 9.24-3).
ossia le stesse coordinate di (λ · v) + (λ · w).
Inoltre, la moltiplicazione per scalare gode di una semplice proprietà:
analizziamo V 3E . Per V 2E la dimostrazione è analoga e la lasciamo al
lettore. ◮ ◮ Esercizio 10.11.

Osservazione 10.2. Per ogni v ∈ V 3E abbiamo 1 · v = v. Infatti, appli-


cando la definizione di moltiplicazione per scalare ◮, il vettore geometrico ◮ Lezione 8.
1 · v ha la stessa direzione e lo stesso verso di v; inoltre, anche il modulo
è uguale a quello di v (perché ottenuto moltiplicandolo per 1). Quindi
abbiamo 1 · v = v.
L’addizione, la moltiplicazione per scalare e le proprietà che ab-
biamo visto sopra sono abbastanza comuni, quindi diamo la seguente
definizione.
Definizione 10.3. Uno spazio vettoriale su un campo K ◮ è un insieme Spazio vettoriale
V dotato di due operazioni, una detta addizione ◮ Ricordiamo che stiamo considerando so-
lo campi con infiniti elementi (Osservazio-
+: V × V → V ne 9.40). Per semplicità, il lettore può pen-
sare solamente ai campi Q, R e C, ma de-
e una detta moltiplicazione per scalare ve sapere che tutto funziona con qualsiasi
campo infinito.
·: K × V → V , Addizione
che soddisfano le seguenti proprietà: Moltiplicazione per scalare

(SV1) l’insieme V dotato dell’operazione di addizione + è un gruppo


abeliano, ossia
a) per ogni v, w, u ∈ V si ha v + (w + u) = (v + w) + u
(proprietà associativa per l’addizione),
b) esiste 0 ∈ V tale che 0 + v = v + 0 = v for each v ∈ V
(esistenza dell’elemento neutro per l’addizione),
c) per ogni v ∈ V esiste (−v) ∈ V tale che v + (−v) = (−v) +
v = 0 (esistenza dell’opposto),
d) per ogni v, w ∈ V si ha v + w = w + v (proprietà commu-
tativa per l’addizione);
(SV2) per ogni v ∈ V and λ, µ ∈ K si ha λ · (µ · v) = (λ · µ) · v (com-
patibilità della moltiplicazione per scalare e della moltiplicazione
di K);

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 10. Spazi vettoriali 10–3

(SV3) per ogni v ∈ V and λ, µ ∈ K si ha (λ + µ) · v = (λ · v) + (µ · v)


(proprietà distributiva della moltiplicazione per scalare rispetto
all’addizione di K);
(SV4) per ogni v, w ∈ V and λ ∈ K si ha λ · (v + w) = (λ · v) + (λ · w)
(proprietà distributiva della moltiplicazione per scalare rispetto
all’addizione di V );
(SV5) per ogni v ∈ V si ha 1 · v = v.
Gli elementi di V sono detti vettori, e quelli di K sono detti scalari. Vettore
Scalare
Osservazione 10.4. Per non appesantire la trattazione, abbiamo usato
lo stesso simbolo per l’operazione di addizione dello spazio vettoriale
e per l’operazione di addizione del campo K, come si può vedere nella
proprietà (SV3). Infatti, λ, µ e λ + µ sono elementi del campo K, mentre
λ · v, µ · v e (λ · v) + (µ · v) sono elementi dello spazio vettoriale V . Al
contrario, nella proprietà (SV4) entrambe le addizioni sono fatte nello
spazio vettoriale V .
Analogamente, abbiamo usato il simbolo “·”, sia per la moltiplicazione
di K che per la moltiplicazione per scalare. Nella proprietà (SV2), notia-
mo che il simbolo “·” tra λ e µ nel membro destro dell’uguaglianza rappre-
senta la moltiplicazione di K, mentre gli altri simboli “·” rappresentano
la moltiplicazione per scalare.
Osservazione 10.5. Per la definizione di operazione che abbiamo da-
to, ◮ la moltiplicazione per scalare non è un’operazione su V . La molti- ◮ Definizione 9.1.
plicazione per scalare associa a una coppia formata da uno scalare e da
un vettore un vettore. Se fosse un’operazione su V , assocerebbe a una
coppia di vettori un vettore. Tuttavia, per semplicità, ci riferiremo alla
moltiplicazione per scalare come a una operazione.
Non ha senso parlare di proprietà commutativa della moltiplicazione
per scalare, perché non ha senso fare la moltiplicazione per scalare v · λ
con v ∈ V e λ ∈ K: lo scalare λ deve stare sempre a sinistra del vettore
v. Questo spiega perché abbiamo distinto due proprietà distributive. ◮ ◮ Proprietà (SV3) e (SV4).

Esempio 10.6. 1. L’insieme dei vettori geometrici V 3E (e anche V 2E )


con l’addizione e la moltiplicazione per scalare definiti nella Lezio-
ne 8 è uno spazio vettoriale sul campo R. Infatti, abbiamo già
visto che
• la proprietà (SV1) è soddisfatta, infatti l’insieme dei vettori
geometrici V 3E con l’addizione è un gruppo abeliano; ◮ ◮ Esempio 9.28-4.

• le proprietà (SV2), (SV3) e (SV4) sono soddisfatte; ◮ ◮ Osservazione 10.1.

• la proprietà (SV5) is satisfied. ◮ ◮ Osservazione 10.2.


2
Per V E la dimostrazione è analoga e la lasciamo al lettore. ◮ ◮ Esercizio 10.11.

2. Qualsiasi sia il campo K, l’insieme {0} dotato dell’operazione di Abbiamo fatto un piccolo cambio di no-
tazione rispetto all’Esempio 9.4 (0 invece
addizione definita nell’Esempio 9.4 e dell’unica moltiplicazione per di 0) perché ora stiamo considerando l’e-
scalare che possiamo definire, lemento di {0} come un vettore, quindi lo
scriveremo in grassetto.
· : K × {0} → {0}
dato da λ·0 := 0 per ogni λ ∈ K, è uno spazio vettoriale sul campo
K. Infatti, abbiamo già visto che la proprietà (SV1) è soddisfatta,

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 10. Spazi vettoriali 10–4

infatti l’insieme {0} è un gruppo abeliano. ◮ Inoltre, le proprie- ◮ Esempio 9.28-1.


tà (SV2), (SV3), (SV4) e (SV5) sono banalmente soddisfatte. ◮ ◮ Visto che c’è solo l’elemento 0 in {0}, tutte
le uguaglianze si riducono a 0 = 0 e quindi
3. Qualsiasi sia il campo K (dotato di operazioni di addizione e di sono soddisfatte.
moltiplicazione), l’insieme K dotato della propria addizione e della
moltiplicazione per scalare indotta dalla propria moltiplicazione, Nella definizione della moltiplicazione per
scalare stiamo pensando il primo K co-
· : K × K ∋ (λ, x) 7−→ λ · x ∈ K, me campo (abbiamo usato λ per indicare
un suo elemento generico), mentre stiamo
è uno spazio vettoriale sul campo K. ◮ Infatti, pensando il secondo e il terzo K come spa-
zi vettoriali (abbiamo usato x per indicare
• la proprietà (SV1) è soddisfatta perché è soddisfatta la pro- un suo elemento generico).
prietà (K1), ◮ K is a field, therefore it satisfies all the
properties of Definition 9.29.
• la proprietà (SV2) è soddisfatta perché è soddisfatta la pro-
prietà (K2a),
• la proprietà (SV3) è soddisfatta perché è soddisfatta la pro-
prietà (K3),
• la proprietà (SV4) è soddisfatta perché è soddisfatta la pro-
prietà (K3),
• la proprietà (SV5) è soddisfatta perché è soddisfatta la pro-
prietà (K2b).
4. Dato un campo K, l’insieme K[x1 , x2 , . . . , xn ] dei polinomi con coef-
ficienti in K, con l’addizione definita nella Definizione 5.25 e la
moltiplicazione per scalare definita da
· : K × K[x1 , x2 , . . . , xn ] ∋ (λ, p) → λ · p ∈ K[x1 , x2 , . . . , xn ]
con λ · p definito come il polinomio con i monomi di p ciascuno
moltiplicato per λ ◮, è uno spazio vettoriale sul campo K. Non da- ◮ Per esempio,
Pn  se nPn
= 1, abbiamo λ ·
i := i per ogni
remo la dimostrazione di questo fatto, ma mostreremo solo alcuni i=0 ai x i=0 λai x
λ, a0 , . . . , an ∈ K.
esempi delle proprietà negli Esercizi 10.12.
5. L’insieme dei numeri complessi C con l’usuale addizione di numeri
complessi e la moltiplicazione per scalare definita da
· : R × C ∋ (λ, z) → λ · z ∈ C
dove la moltiplicazione λ · z è l’usuale moltiplicazione di numeri
complessi (con il primo che è reale) ◮ è uno spazio vettoriale sul ◮ Scrivendo z = a+ib, abbiamo λ·(a+ib) :=
λa + iλb.
campo R. Lasciamo la dimostrazione come esercizio. ◮ ◮
◮ Esercizio 10.13.

6. Sia V uno spazio vettoriale su un campo K, e sia I un qualsia-
si insieme. Consideriamo l’insieme Funz (I, V ) = {f : I → V }. ◮ Il “+” nel membro sinistro dell’uguaglianza
Definiamo una addizione è l’operazione che vogliamo definire, men-
tre il “+” nel membro destro è l’addizio-
+ : Funz (I, V ) × Funz (I, V ) ∋ (f, g) → f + g ∈ Funz (I, V ) ne di V (che è data), infatti f (x) e g(x)
sono elementi di V (perché f : I → V ).
data da (f + g)(x) = f (x) + g(x) per ogni x ∈ I, ◮ e una moltipli- Quindi, la funzione f + g è la funzione che
manda un elemento x nella somma di f (x)
cazione per scalare e g(x): ad esempio, se f (x) = sen(x) e
g(x) = x2 , abbiamo (f + g)(x) = sen(x) +
· : K × Funz (I, V ) ∋ (λ, f ) → λ · f ∈ Funz (I, V ) x2 .

data da (λ·f )(x) = λ· f (x) per ogni x ∈ I. ◮◮ L’insieme Funz (I, V ) ◮ Il “·” nel membro sinistro dell’uguaglian-

za è la moltiplicazione per scalare che vo-
con l’addizione e la moltiplicazione per scalare definite sopra è uno gliamo definire, mentre il “·” nel membro
spazio vettoriale sul campo K. Lasciamo la dimostrazione come destro è la moltiplicazione per scalare di
esercizio. ◮


V (che è data), infatti f (x) è un elemen-
to di V (perché f : I → V ). Quindi, la
funzione λ · f è la funzione che manda un
elemento x nel prodotto per scalare di f (x)
c 2014 Gennaro Amendola
Versione 1.0 e λ: ad esempio, se f (x) = sen(x) e λ = 3,
abbiamo (λf )(x) = 3 sen(x).

◮ Esercizio 10.1.

Lezione 10. Spazi vettoriali 10–5

Dalle proprietà della definizione possiamo dedurre che altre proprietà


valgono in qualsiasi spazio vettoriale.
Proposizione 10.7. Sia V uno spazio vettoriale su un campo K con
l’addizione + e la moltiplicazione per scalare ·. Allora, le seguenti pro-
prietà sono soddisfatte:
(SV6) per ogni v ∈ V si ha 0 · v = 0;
(SV7) per ogni v ∈ V si ha (−1) · v = (−v);
(SV8) per ogni λ ∈ K si ha λ · 0 = 0;
(SV9) per ogni λ ∈ K \ {0}, se v ∈ V e λ · v = 0 allora si ha v = 0.
Dimostrazione. (∗∗) Dimostreremo queste quattro proprietà utilizzando
le proprietà della definizione di spazio vettoriale.
(SV6) Notiamo che, per ogni v ∈ V , abbiamo ◮ Come detto nella Notazione 9.33, sopra
i segni di uguaglianza indichiamo quale
(K1b) (SV3) proprietà stiamo utilizzando.
0 · v = (0 + 0) · v = (0 · v) + (0 · v);
◮ Notiamo che la prima uguaglianza non
per la proprietà di cancellazione dell’addizione ◮
◮ otteniamo 0 = usa nessuna proprietà dello spazio vetto-
riale V , bensì usa l’esistenza dell’elemento
0 · v. neutro dell’addizione in K.
(SV7) Notiamo che, per ogni v ∈ V , abbiamo ◮

◮ ◮ Osservazione 9.17.


(SV5) (SV3)  (K1c) ◮ Notiamo che la proprietà (SV6) non è una

v + (−1) · v = 1 · v + (−1) · v = 1 + (−1) · v = delle proprietà della definizione di spazio
vettoriale, ma la possiamo usare perché
(K1c) (SV6) l’abbiamo appena dimostrata.
= 0 · v = 0,
e, per la proprietà (SV1d), anche (−1)·v+v = 0; quindi, abbiamo
che (−1) · v è l’opposto di v, ossia (−v). ◮ ◮ Per la Proposizione 9.18, l’opposto è unico.

(SV8) Notiamo che, per ogni λ ∈ K, abbiamo


(SV1b) (SV4)
λ·0 = λ · (0 + 0) = (λ · 0) + (λ · 0);
per la proprietà di cancellazione dell’addizione abbiamo 0 = λ · 0.
(SV9) Notiamo che, per ogni λ ∈ K \ {0}, esiste λ−1 ◮; quindi abbiamo ◮ Perché K è un campo.
la seguente catena di uguaglianze:
(SV5) (K2c)  (SV2)
v = 1 · v = λ−1 · λ · v = λ−1 · (λ · v) =
(SV8)
= λ−1 · 0 = 0.

Osservazione 10.8. Come per i gruppi abeliani, tutte le proprietà che


abbiamo visto (sia quelle della Definizione 10.3 che quelle dimostrate
nella Proposizione 10.7) ci permettono di togliere molte parentesi che
non sono necessarie. Ad esempio,
• la proprietà (SV1a) ci permette di scrivere v + w + u senza ambi-
guità,
• la proprietà (SV2) ci permette di scrivere λ · µ · v senza ambiguità,
• le proprietà (SV2) e (SV7) ci permettono di scrivere (−v) senza le
parentesi ◮ e di scrivere w − v senza ambiguità. ◮ A meno di non avere un simbolo di una
operazione a sinistra, nel qual caso dob-
biamo lasciare le parentesi: ad esempio,
w + (−v) oppure λ · (−v).

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Versione 1.0
Lezione 10. Spazi vettoriali 10–6

Notazione 10.9. Come abbiamo fatto per i campi ◮ stipuliamo che la ◮ Notazione 9.37.
moltiplicazione per scalare è fatta prima dell’addizione. La scrittura λ ·
v+µ·w quindi non è ambigua: essa significa (λ·v)+(µ·w). Nel caso in cui
la somma debba essere fatta prima, usiamo le parentesi
 opportunamente:
ad esempio, λ · (v + µ · w) significa λ · v + (µ · w) .
Inoltre, se non è necessario, eviteremo di scrivere il simbolo della
moltiplicazione per scalare “·”, quindi la scrittura λv significa λ · v. Il
vettore λv è detto multiplo del vettore v. Multiplo di un vettore

Osservazione 10.10. Come per i campi ◮, l’addizione + e la moltiplica- ◮ Osservazione 9.30.


zione per scalare · di cui è dotato lo spazio vettoriale V fanno parte della
definizione, quindi avremmo dovuto definire uno spazio vettoriale su un
campo K come la terna (V , +, ·). Non useremo la notazione (V , +, ·)
per non appesantire la notazione.
Notazione 10.11. D’ora in poi, a meno che non sia necessario per la
comprensione, non specificheremo le operazioni e useremo il simbolo “+”
per l’addizione e il simbolo “·” per la moltiplicazione per scalare. Ad
esempio, parleremo di “uno spazio vettoriale V su un campo K” e non
di “uno spazio vettoriale V dotato di addizione + e moltiplicazione per
scalare · su un campo K”, dando per scontato che le operazioni sono
l’addizione + e la moltiplicazione per scalare ·.
Visto che per la maggior parte degli spazi vettoriali che vedremo il
campo degli scalari K è il campo dei numeri reali R, diamo la seguente
definizione.
Definizione 10.12. Uno spazio vettoriale V sul campo R è detto reale. Spazio vettoriale reale

Notazione 10.13. Se non abbiamo restrizioni sul campo K, a meno che


non sia necessario per la comprensione, non menzioneremo il campo K. Ogni volta che abbiamo uno spazio vetto-
riale, esso è sempre uno spazio vettoriale
Ad esempio, parleremo di “uno spazio vettoriale V ” e non di “uno spazio su un qualche campo.
vettoriale V su un campo K”, dando per scontato che c’è un campo K
su cui V è uno spazio vettoriale.
Inoltre, se il campo non è menzionato in un esempio o in un eser-
cizio, il campo è supposto essere R o C, a seconda che rispettivamente
compaiano solo numeri reali oppure compaiano anche numeri complessi
(e quindi i).

10.2 Vettori colonna


Introdurremo ora alcuni spazi vettoriali che saranno fondamentali per il
seguito.
Definizione 10.14. Un vettore colonna su un campo K è una tabella Vettore colonna
del tipo
 
x1
 x2 
 
 ..  ,
 . 
xn
dove tutti gli elementi xi con i = 1, 2, . . . , n appartengono a K. L’elemento Coordinate

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Versione 1.0
Lezione 10. Spazi vettoriali 10–7

xi è detto i-esima coordinata del vettore colonna.


L’insieme dei vettori colonna con n coordinate su un campo K è Kn
indicato con Kn .
Esempio 10.15. • Alcuni esempi di vettori colonna su R sono
 
  −2
  −2
1  π  ∈ R4
 
∈ R2 ,  0  ∈ R3 ,
−4  7
7 1
2
(abbiamo anche indicato l’insieme a cui appartengono).  
−2
• Alcuni esempi di vettori colonna su C sono ◮ ◮ Il vettore colonna  0  può essere pen-
  7
  −2 sato come un elemento sia di R3 che di C3 ,
 1 − i
−2 + 3i ∈ C1 , ∈ C2 ,  0  ∈ C3 perché R ⊂ C.
−4i
7
(abbiamo anche indicato l’insieme a cui appartengono).
Osservazione 10.16. Un vettore colonna con una sola coordinata (caso
n = 1) è praticamente un elemento di K.
Un vettore colonna con due coordinate (caso n = 2) è praticamen- Questo spiega perché abbiamo indicato con
Kn l’insieme dei vettori colonna con n
te un elemento del prodotto cartesiano K2 ◮, ma scritto in colonna. coordinate sul campo K.
Analogamente, un vettore colonna con tre coordinate (caso n = 3) è ◮ Lezione 2.
praticamente un elemento del prodotto cartesiano K3 ◮
◮, ma scritto in
◮ Lezione 2.

colonna.
Potremmo considerare anche i vettori riga, ma è più utile conside-
rare i vettori colonna per alcuni motivi che vedremo. Scrivere i vettori
su una riga però risulta più comodo, quindi useremo anche la seguente
notazione, che sarà poi generalizzata in seguito.
Notazione 10.17. Un vettore colonna sarà anche scritto su una riga, Vedremo nella Sezione 16.1 che questo è
un caso particolare di un concetto più
ma facendolo precedere da una piccola t in alto: generale, ossia la “trasposizione di matrici”.
 
x1
 x2  
  t
 ..  = x1 x2 · · · xn .
 . 
xn
Esempio 10.18. I vettori colonna dell’Esempio 10.15 possono essere
scritti su una riga come segue.
t  t  t 
• 1 −4 , −2 0 7 , −2 π 7 12 .
t  t  t 
• −2 + 3i , 1 − i −4i , −2 0 7 .
Definizione 10.19. Il vettore colonna con tutte le coordinate nulle è Vettore colonna nullo
detto vettore colonna nullo ed è indicato con 0n , oppure semplicemente 0n
con 0:
 
0
0
 
0n :=  .  .
 .. 
0

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Versione 1.0
Lezione 10. Spazi vettoriali 10–8

Osservazione 10.20. Useremo la notazione 0n solo se sarà necessario


sottolineare la dimensione del vettore colonna. Altrimenti, la differenza
tra un vettore colonna nullo e l’elemento neutro per l’addizione di K
sarà chiara dal contesto, e quindi possiamo usare lo stesso simbolo, 0,
per entrambi.
Notazione 10.21. Tipicamente indicheremo i vettori colonna con una
lettera maiuscola dell’alfabeto latino: A, B, C, . . . , Z. La coordinata i-
esima del vettore colonna X è indicata con Xi , oppure con xi .
Definiamo ora le operazioni di addizione e moltiplicazione per scalare
coordinata per coordinata.
Definizione 10.22. L’addizione di due vettori colonna con n coordinate Addizione sui vettori colonna
Le due addizioni nell’uguaglianza sono di-
su K è data da verse: nel membro sinistro l’addizione è
     
x1 y1 x1 + y 1 sui vettori colonna (vogliamo definirla), nel
 x2   y 2   x2 + y 2  membro destro è sugli elementi di K. Quin-
      di, i due simboli + rappresentano operazio-
 ..  +  ..  :=  .. . ni diverse: per semplicità, usiamo lo stesso
 .  .  . 
simbolo + (usiamo la Notazione 10.11 per-
xn yn xn + y n ché vedremo che i vettori colonna con n
coordinate formano uno spazio vettoriale).
La moltiplicazione per scalare di un vettore colonna con n coordinate
Moltiplicazione per scalare sui vetto-
su K e uno scalare λ ∈ K è data da ri colonna
    Le due moltiplicazioni nell’uguaglianza so-
x1 λx1 no diverse: nel membro sinistro la moltipli-
 x2   λx2  cazione è una moltiplicazione per scalare di
   
λ ·  .  :=  .  . un vettore colonna e di un elemento di K
.
 .  .
 .  (vogliamo definirla), nel membro destro è
sugli elementi di K. Quindi, il simbolo · nel
xn λxn membro sinistro rappresenta un’operazio-
ne diversa alla moltiplicazione nel membro
Esempio 10.23. • In R2 abbiamo destro, in cui abbiamo evitato di scrivere
        il simbolo · (Notazione 9.37): per sempli-
1 3 1+3 4
+ = = , cità, usiamo lo stesso simbolo · (usiamo la
−4 2 −4 + 2 −2 Notazione 10.11 perché vedremo che i vet-
      tori colonna con n coordinate formano uno
−1 3 · (−1) −3 spazio vettoriale).
3· = = .
2 3·2 6
• In R3 abbiamo
       
1 −3 1 + (−3) −2
2 + −2 = 2 + (−2) =  0  ,
5 2 5+2 7
     
4 −2 · 4 −8
−2 · −1 = −2 · (−1) =  2  .
2 −2 · 2 −4
Osservazione 10.24. La somma di due vettori che non hanno lo stesso
numero di righe non può essere fatta.
Proposizione 10.25. L’insieme Kn dotato dell’addizione + : Kn ×Kn →
Kn e della moltiplicazione per scalare · : K × Kn → Kn definite sopra è
uno spazio vettoriale sul campo K.
Dimostrazione. (∗∗) Dimostriamo le proprietà della definizione di spazio
vettoriale. ◮ ◮ Definizione 10.3.

(SV1) L’insieme Kn dotato dell’operazione di addizione + è un gruppo


abeliano, infatti

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Versione 1.0
Lezione 10. Spazi vettoriali 10–9

     
x1 y1 z1
 x2   y2   z2 
     
a) per ogni  .  ,  .  ,  .  ∈ Kn abbiamo
 ..   ..   .. 
xn yn zn
       
   
x1 y1 z1 x1 y1 + z1 x1 + (y1 + z1 )
 x2   y2   z2   x2   y2 + z2   x2 + (y2 + z2 )  (K1a)
           
 ..  +  ..  +  ..  =  ..  +  ..  =  ..  =
 .   .   .   .   .   . 
xn yn zn xn yn + zn x + (yn + zn )
       n    
(x1 + y1 ) + z1 x1 + y 1 z1 x1 y1 z1
(K1a)  (x2 + y2 ) + z2   x2 + y2   z2   x2   y2   z2 
             
=  .. = ..  +  ..  =  ..  +  ..  +  ..  ;
 .   .   .   .   .   . 
(xn + yn ) + zn xn + y n zn xn yn zn
b) l’elemento
  neutro dell’addizione è il vettore colonna nullo
0
0
 
 .. , infatti
.
0
       
0 x1 0 + x1 x1
0  x2   0 + x2  (K1b)  x2 
       
 ..  +  ..  =  ..  =  .. 
.  .   .   . 
0 xn 0 + xn xn
       
x1 0 x1 + 0 x1
 x2  0  x2 + 0  (K1b)  x2 
       
 ..  +  ..  =  ..  =  ..  ;
 .  .  .   . 
xn 0 xn + 0 xn
 
x1
 x2 
 
c) l’opposto di un vettore colonna  .  ∈ Kn è il vettore
 .. 
xn
 
−x1
 −x2 
 
colonna  . , infatti
 .. 
−xn
       
x1 −x1 x1 − x1 0
 x2   −x2   x2 − x2  (K1c) 0
       
 ..  +  ..  =  ..  =  ..  ;
 .   .   .  .
xn −xn xn − xn 0

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Versione 1.0
Lezione 10. Spazi vettoriali 10–10


  
x1 y1
 x2   y 2 
   
d) per ogni  .  ,  .  ∈ Kn abbiamo
 ..   .. 
xn
yn
           
x1 y1 x1 + y 1 y 1 + x1 y1 x1
 x2   y2   x2 + y2  (K1d)  y2 + x2   y2   x2 
           
 ..  +  ..  =  ..  =  ..  =  ..  +  ..  .
 .  .  .   .  .  . 
xn yn xn + y n y n + xn yn xn
 
x1
 x2 
 
(SV2) Per ogni  .  ∈ Kn e λ, µ ∈ K abbiamo
 .. 
xn
          
x1 µx1 λ(µx1 ) (λµ)x1 x1
  x2    µx2   λ(µx2 )  (K2a)  (λµ)x2   x2 
          
λ·µ ·  .  = λ· .  =  .  =  .  = (λ·µ)· .  .
  ..   ..   ..   ..   .. 
xn µxn λ(µxn ) (λµ)xn xn
 
x1
 x2 
 
(SV3) Per ogni  .  ∈ Kn e λ, µ ∈ K abbiamo
 .. 
xn
         
x1 (λ + µ)x1 λx1 + µx1 λx1 µx1
 x2   (λ + µ)x2  (K3)  λx2 + µx2   λx2   µx2 
         
(λ + µ) ·  .  =  ..  =  ..  =  ..  +  ..  =
.
 .   .   .   .   . 
xn (λ + µ)xn λxn + µxn λxn µxn
     
x1 x1
  x2    x2 
     
= λ ·  .  + µ ·  .  .
  ..    .. 
xn xn

  
x1 y1
 x2   y 2 
   
(SV4) Per ogni  .  ,  .  ∈ Kn e λ ∈ K abbiamo
 ..   .. 
xn yn
        
x1 y1 x1 + y 1 λ (x1 + y1 ) λx1 + λy1
 x2   y2   x2 + y2   λ (x2 + y2 )  (K3)  λx2 + λy2 
         
λ ·  .  +  .  = λ ·  .. = ..  =  .. =
 ..   ..   .   .   . 
xn yn xn + y n
λ (xn + yn ) λxn + λyn
        

λx1 λy1 x1 y1
 λx2   λy2    x2    y2 
         
=  .  +  .  = λ ·  .  + λ ·  .  .
 ..   ..    ..    .. 
λxn λyn xn yn

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Versione 1.0
Lezione 10. Spazi vettoriali 10–11

       
x1 x1 1 · x1 x1
 x2   x2   1 · x2  (K2b)  x2 
       
(SV5) Per ogni  .  ∈ Kn abbiamo 1·  .  =  .  =  . .
 ..   ..   ..   .. 
xn xn 1 · xn xn

Esempio 10.26. Gli insiemi Qn , Rn e Cn dotati dell’addizione e della


moltiplicazione per scalare coordinata per coordinata definita sopra sono
spazi vettoriali rispettivamente sui campi Q, R e C.
Osservazione 10.27. Le quattro proprietà della Proposizione 10.7 sono
verificate anche per Kn ◮: ◮ Sono verificate per tutti gli spazi vettoriali,
      quindi, visto che abbiamo dimostrato che
x1 x1 0 Kn è uno spazio vettoriale, non dobbiamo
 x2   x2  0 dimostrarle anche per Kn .
     
(SV6) per ogni  .  ∈ Kn abbiamo 0 ·  .  =  .  = 0n ;
 ..   ..   .. 
xn xn 0
 
x1
 x2 
 
(SV7) per ogni  .  ∈ Kn abbiamo ◮ ◮ Nell’ultima uguaglianza stiamo usando la
 ..  Notazione 9.20, ossia l’opposto del vetto-
t 
xn re colonna x1 x2 · · · xn , che per
      quanto detto nella dimostrazione sopra
t 
x1 −x1 x1 è −x1 −x2 · · · −xn , è indicato
t 
 x2   −x2   x2  anche con − x1 x2 · · · xn .
     
(−1) ·  .  =  .  = −  .  ;
 ..   ..   .. 
xn −xn xn
   
0 0
0 0
   
(SV8) per ogni λ ∈ K abbiamo λ ·  .  =  . ;
 ..   .. 
0 0
     
x1 x1 0
 x2   x2  0
     
(SV9) per ogni λ ∈ K \ {0}, se  .  ∈ Kn e λ ·  .  =  .  allora
 ..   ..   .. 
xn xn 0
   
x1 0
 x2  0
   
abbiamo  .  =  . .
 ..   .. 
xn 0

Equazioni vettoriali
Definizione 10.28. Una equazione vettoriale è una equazione in cui le Equazione vettoriale
incognite sono vettori. Una equazione in forma vettoriale è una equazione Equazione in forma vettoriale
in cui i due membri sono vettori.
Osservazione 10.29. Nel caso dei vettori colonna le incognite numeri-
che di una equazione vettoriale sono le coordinate dei vettori incogniti.
Nel caso di una equazione in forma vettoriale con due vettori colonna
nei due membri dell’uguaglianza, i due vettori colonna devono avere lo

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 10. Spazi vettoriali 10–12

stesso numero di coordinate, altrimenti l’equazione non può avere solu-


zione. Inoltre, una equazione in forma vettoriale con due vettori colonna
nei due membri dell’uguaglianza è equivalente a un sistema di equazioni,
dove il numero di equazioni coincide con il numero delle coordinate dei
vettori nei due membri dell’uguaglianza.
Esempio 10.30. 1. Dati i vettori geometrici w e u mostrati nella
figura, l’uguaglianza
2v + u = w
è una equazione vettoriale la cui incognita è il vettore geometrico
v. ◮ ◮ Risolveremo l’equazione
nell’Esercizio 10.2.
2. L’uguaglianza
   
3 3
2 · −1 − 3 · X = −8
−4 −5
è un’equazione vettoriale
 la cui incognita è il vettore colonna X.
◮ ◮ Risolveremo l’equazione
x1 nell’Esercizio 10.3.

Se scriviamo X = x2 , con xi ∈ R per i = 1, 2, 3, l’equazione


x3
diventa
     
3 x1 3
2 · −1 − 3 · x2  = −8 .
−4 x3 −5
Facendo la moltiplicazione per scalare e l’addizione otteniamo
         
6 3x1 3 6 − 3x1 3
−2 − 3x2  = −8 e quindi −2 − 3x2  = −8 .
−8 3x3 −5 −8 − 3x3 −5
Pertanto, l’equazione vettoriale è equivalente al sistema di equa-
zioni

 6 − 3x1 = 3
−2 − 3x2 = −8 .

−8 − 3x3 = −5
3. Dati i vettori geometrici v, w e u mostrati nella figura, l’uguaglianza
λv + 2u = w
è una equazione in forma vettoriale la cui incognita è il numero
reale λ. ◮ ◮ Risolveremo l’equazione
nell’Esercizio 10.4.
4. L’uguaglianza
     
1 −1 −3
α · 0 + β ·  2  =  4 
4 1 −2
è una equazione in forma vettoriale le cui incognite sono i numeri
reali α e β. ◮ Facendo la moltiplicazione per scalare e l’addizione ◮ Risolveremo l’equazione
nell’Esercizio 10.5.
otteniamo
         
α −β −3 α−β −3
 0  +  2β  =  4  e quindi  0 + 2β  =  4  .
4α β −2 4α + β −2

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Versione 1.0
Lezione 10. Spazi vettoriali 10–13

Pertanto, l’equazione in forma vettoriale è equivalente al sistema


di equazioni

 α − β = −3
0 + 2β = 4 .

4α + β = −2

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Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 10/S1
Titolo: SPAZI VETTORIALI
Attività n°: 1

Sessione di Studio 10.1

Spazi vettoriali
Lezione 10. Spazi vettoriali 10–14

Sessione di Studio 10.1


Esercizio 10.1. Dimostra che Funz (I, V ) con l’addizione e la moltipli-
cazione per scalare definite nell’Esempio 10.6-6 è uno spazio vettoriale.
Soluzione. Dimostriamo che tutte le proprietà della definizione sono
soddisfatte. Useremo solo la definizione di addizione e di moltiplicazione
per scalare su Funz (I, V ), e il fatto che V è uno spazio vettoriale su
K. ◮ ◮ Per ogni proprietà, useremo solo la
rispettiva proprietà di V .
(SV1) a) per ogni f, g, h ∈ Funz (I, V ) abbiamo  f + (g + h)= (f +
g) + h, infatti f (x) + g(x) + h(x) = f (x) + g(x) + h(x)
per tutti gli x ∈ I perché lo spazio vettoriale V soddisfa la
proprietà (SV1a).
b) l’elemento neutro di Funz (I, V ) è la funzione f0 ∈ Funz (I, V )
identicamente nulla (ossia f0 (x) = 0 per tutti gli x ∈ I), in-
vero f0 + f = f + f0 = f per ogni f ∈ Funz (I, V ), infatti
f0 (x) + f (x) = 0 + f (x) = f (x) e f (x) + f0 (x) = f (x) + 0 =
f (x) per tutti gli x ∈ I perché lo spazio vettoriale V soddisfa
la proprietà (SV1b).
c) l’opposto di una funzione f ∈ Funz (I, V ) è la funzione
(−f ) ∈ Funz (I, V ) tale che (−f )(x) = − f (x) per tut-
ti gli x ∈ I, invero f + (−f ) = (−f ) + f = f0 per ogni 
f ∈ Funz (I, V ), infatti f (x) + (−f )(x) = f (x) − f (x) =
0 = f0 (x) and (−f )(x)+f (x) = − f (x) +f (x) = 0 = f0 (x)
per tutti gli x ∈ I perché lo spazio vettoriale V soddisfa la
proprietà (SV1c).
d) per ogni f, g ∈ Funz (I, V ) abbiamo f + g = g + f , infatti
f (x)+ g(x) = g(x)+ f (x) per tutti gli x ∈ I perché lo spazio
vettoriale V soddisfa la proprietà (SV1d).
(SV2) per ogni f ∈ Funz (I, V ) e λ, µ ∈ K abbiamo λ·(µ·f ) = (λ·µ)·f ,
infatti λ · µ · f (x) = (λ · µ) · f (x) per tutti gli x ∈ I perché lo
spazio vettoriale V soddisfa la proprietà (SV2).
(SV3) per ogni f ∈ Funz (I, V ) e λ, µ ∈ K abbiamo  (λ + µ) · f =
(λ·f )+(µ·f ), infatti (λ+µ)·f (x) = λ·f (x) + µ·f (x) per tutti
gli x ∈ I perché lo spazio vettoriale V soddisfa la proprietà (SV3).
(SV4) per ogni f, g ∈ Funz (I, V ) eλ ∈ K abbiamo  λ · (f +g) = (λ · f ) +
(λ · g), infatti λ · f (x) + g(x) = λ · f (x) + λ · g(x) per tutti gli
x ∈ I perché lo spazio vettoriale V soddisfa la proprietà (SV4).

(SV5) per ogni f ∈ V abbiamo 1·f = f , infatti 1· f (x) = f (x) per tutti
gli x ∈ I perché lo spazio vettoriale V soddisfa la proprietà (SV5).

Esercizio 10.2. Risolvi l’equazione vettoriale dell’Esempio 10.30-1.


Soluzione. Aggiungendo a entrambi i membri dell’equazione il vettore
geometrico −u, otteniamo 2v = w − u; moltiplicando per lo scalare 12
entrambi i membri dell’equazione, otteniamo v = 12 (w − u).

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Versione 1.0
Lezione 10. Spazi vettoriali 10–15

Esercizio 10.3. Risolvi l’equazione vettoriale dell’Esempio 10.30-2.


Soluzione. Aggiungendo
 a entrambi i 
membri
 dell’equazione
  il vettore Possiamo anche risolvere l’equazione vet-
3 3 3 toriale risolvendo il sistema equivalente
  
 6 − 3x1 = 3 x1
colonna −2 −1, otteniamo −3X = −8 − 2 −1, ossia −3X = −2 − 3x2 = −8 dove X = x2 

−4 −5 −4 −8 − 3x3 = −5 x3
      (Esempio 10.30-2). La soluzione del si-
3 −6 −3 stema è (x1 , x2 , x3 ) = (1, 2, −1), e quin-
−8 +  2 , i.e. −3X = −6; moltiplicando per lo scalare − 1 di la soluzione dell’equazione
  vettoriale
  è
3
x1 1
−5 8 3 il vettore colonna X = x2  =  2 .
   
−3 1 x3 −1
1
entrambi i membri dell’equazione, otteniamo X = − 3 −6 =   2 .
3 −1

Esercizio 10.4. Risolvi l’equazione in forma vettoriale dell’Esempio 10.30-


3.
Soluzione. Aggiungendo a entrambi i membri dell’equazione il vettore
geometrico −2u, otteniamo λv = w −2u; visto che w −2u è un multiplo
di v, abbiamo che esiste λ ∈ R tale che λv = w − 2u, e dalla figura
otteniamo che la soluzione è λ = −1.

Esercizio 10.5. Risolvi l’equazione in forma vettoriale dell’Esempio 10.30-


4.
Soluzione. Risolviamo
 l’equazione in forma vettoriale risolvendo il si- Non possiamo risolvere l’equazione come
α − β = −3 abbiamo fatto nell’Esercizio 10.3, perché
 qui abbiamo due incognite.
stema equivalente 0 + 2β = 4 (Esempio 10.30-4). La soluzione del

4α + β = −2
sistema è (α, β) = (−1, 2), e quindi anche la soluzione dell’equazione in
forma vettoriale è (α, β) = (−1, 2).

Esercizio 10.6. Calcola le seguenti somme di vettori colonna:


   
1 0    
−3 −2 1+i 0
  +  , 2 − 3i + 1 − i .
0 1
i −2
2 −4
Soluzione.
       
1 0 1+0 1
−3 −2 −3 + (−2) −5
 + =
 0   1   0 + 1  =  1 ,
  

2 −4 2 + (−4) −2
       
1+i 0 (1 + i) + 0 1+i
2 − 3i + 1 − i = (2 − 3i) + (1 − i) =  3 − 4i  .
i −2 i + (−2) −2 + i

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Versione 1.0
Lezione 10. Spazi vettoriali 10–16

Esercizio 10.7. Calcola i seguenti prodotti per scalare di vettori colon-


na:
 
  2

i
(1 + i) , 3 − 2 .
2 − 4i
4
Soluzione.
     
i (1 + i)i −1 + i
(1 + i) = = ,
2 − 4i (1 + i)(2 − 4i) 6 − 2i
   
2
√ 6

3 − 2 = −3 2 .
4 12

Esercizio 10.8. Calcola la seguente espressione di vettori colonna:


      
3 2 −1
− −1 + 2 0 5 − (−2) 2  .
     
0 0 1
Soluzione.
            
3 2 −1 −3 0 2
− −1 + 2 0 5 − (−2)  2  =  1  + 2 0 − −4 =
0 0 1 0 0 −2
         
−3 −2 −3 −4 −7
=  1 +2 4
   =  1 + 8
   =  9 .
0 2 0 4 4

Esercizio 10.9. Risolvi l’equazione (vettoriale)


p(0) = 0
la cui variabile p(x) appartiene a K[x].
Soluzione. Sia p(x) = an xn + an−1 xn−1 + · · · + a1 x + a0 . Abbiamo
p(0) = an 0n +an−1 0n−1 +· · ·+a1 0+a0 = a0 , quindi l’equazione p(0) = 0
è equivalente a a0 = 0. Quindi, le soluzioni sono tutti i polinomi il cui
termine noto è 0, ossia p(x) = an xn + an−1 xn−1 + · · · + a1 x.

Esercizio 10.10. Risolvi l’equazione in forma vettoriale ◮ ◮ Qui i polinomi sono pensati come vettori.

a(x − 1) + 2x2 = b x2 − x + 2
con a, b ∈ R.
Soluzione. Riscrivendo l’equazione abbiamo
(2 − b)x2 + (a + b)x + (−a − 2) = 0

 2−b=0
Quindi, abbiamo a + b = 0 , la cui soluzione è (a, b) = (−2, 2).

−a − 2 = 0

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Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 10/S2
Titolo: SPAZI VETTORIALI
Attività n°: 1

Sessione di Studio 10.2

Spazi vettoriali
Lezione 10. Spazi vettoriali 10–17

Sessione di Studio 10.2


Esercizio 10.11. Dimostra che V 2E con l’addizione e la moltiplicazione
per scalare definite nella Lezione 8 è uno spazio vettoriale sul campo R. ◮ ◮ Esempio 10.6-1.

Esercizio 10.12. Mostra alcuni esempi delle proprietà soddisfatte dal-


l’addizione e dalla moltiplicazione per scalare in R[x1 , x2 , . . . , xn ], come
spazio vettoriale su R.
Esercizio 10.13. Dimostra che C con l’usuale addizione di numeri com-
plessi e la moltiplicazione per scalare definita nell’Esempio 10.6-5 è uno
spazio vettoriale reale.
Esercizio 10.14. Calcola le seguenti somme di vettori colonna:
   
0 1    
−1 −1 4 + 3i 3
  +  , + .
0 2 6 − 3i 4−i
7 −3
Esercizio 10.15. Calcola i seguenti prodotti per scalare di vettori co-
lonna:
 
  4
3 − 4i −3
(−i)  2 + i  , 2 1 .

i
5
Esercizio 10.16. Calcola l’opposto dei seguenti vettori colonna:
 
6 − 2i  
  1
 i 
, 0  0 .

2 − 7i ,
0
−1
−3
Esercizio 10.17. Calcola la seguente espressione di vettori colonna:
      
2 4 6
1 
− 3 3 −2 1
      + 4 .
2
−1 3 −1
Esercizio 10.18. Risolvi le seguenti equazioni vettoriali:
    
1 4
1. 2 − X + 3X = X − con X ∈ R2 ,
−3 6
      
2−i −i 2i
2.  i  + i 3 − i − X  =  2  con X ∈ C3 ,
0 3 1−i
       
−3 1 3
8  −2  −4 4
3. 2Y −  2  = 2 3  0  + Y  −  2  con Y ∈ R .
      

−9 1 −3
Esercizio 10.19. Risolvi le seguenti equazioni in forma vettoriale:
     
−1 2 2
1. α 0 + β 3 = 1 con α, β ∈ R,
    
2 1 1

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Versione 1.0
Lezione 10. Spazi vettoriali 10–18

     
−3 −1 0
2. x +y = con x, y ∈ R,
5 2 1
       
i 2 2+i 0
3. a 0 + b 1 + c  1  = 0 con a, b, c ∈ C.
i 0 i 0

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Versione 1.0
Lezione 10. Spazi vettoriali 10–19

Risultato dell’Esercizio 10.11. Dimostra che tutte le proprietà della


definizione sono soddisfatte. ◮ ◮ Vedi il caso di V 3E nell’Esempio 10.6-1.

Risultato dell’Esercizio 10.12. Scegli polinomi arbitrariamente: per Questo esercizio non ha un’unica soluzione,
quindi il lettore può trovare una soluzione
esempi, diversa.
 
(SV1) a) x21 + 2x21 + (x1 + 1) = 3x21 + x1 + 1 = x21 + 2x21 + (x1 + 1),
b) 0 + (x1 x2 − x2 ) = (x1 x2 − x2 ) + 0 = (x1 x2 − x2 ),
   
c) x21 x3 + 1 + −x21 x3 − 1 = −x21 x3 − 1 + x21 x3 + 1 = 0,

d) x1 x22 + x3 +(x1 x2 − 3x3 ) = x1 x22 +x1 x2 −2x3 = (x1 x2 − 3x3 )+
x1 x22 + x3 ;
  
(SV2) λ µ x22 + x1 = λµx22 + λµx1 = (λµ) x22 + x1 ;
  
(SV3) (λ + µ) x32 − x1 = λ x32 − x1 + µ x32 − x1 ;
(SV4) λ (x1 + x2 ) = (λx1 ) + (λx2 );

(SV5) 1 · x23 + 2x1 = x23 + 2x1 .
Risultato dell’Esercizio 10.13. Dimostra che tutte le proprietà della
definizione sono soddisfatte. ◮ ◮ Le proprietà sono quasi ovvie, perché C è
  un campo e la moltiplicazione per scalare
1   per un elemento λ di R è essenzialmente la
−2 7 + 3i moltiplicazione in C, se λ è pensato come
Risultato dell’Esercizio 10.14.  .
  . un numero complesso.
2 10 − 4i
4
 
  8
−4 − 3i −6
Risultato dell’Esercizio 10.15.  1 − 2i .  2 .

1
10
 
−6 + 2i  
 −i  0
  −1
Risultato dell’Esercizio 10.16.  . .  0 .
−2 + 7i 0
1
3
 
5
Risultato dell’Esercizio 10.17. −5.
17
2
 
−3 − 3i
Risultato dell’Esercizio 10.18. 1. Nessuna soluzione. 2. X =  4 + i .
4+i
3. Tutti gli Y sono soluzioni.
Risultato dell’Esercizio 10.19. 1. Nessuna soluzione. 2. (x, y) =
(−1, 3). 3. (a, b, c) = (−α, −α, α) con α ∈ R.

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Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 10/S3
Titolo: SPAZI VETTORIALI
Attività n°: 1

Sessione di Studio 10.3

Spazi vettoriali
Lezione 10. Spazi vettoriali 10–20

Sessione di Studio 10.3


Letture supplementari possono essere le seguenti:
• http://it.wikipedia.org/wiki/Spazio_vettoriale

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Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 10/S3
Titolo: Spazi vettoriali
Attività n°: 3

Sessione di Studio 10.3 Quiz

Spazi vettoriali
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 10/S3
Titolo: Spazi vettoriali
Attività n°: 3

• Risolvere il seguente quiz a risposta


multipla in cui per ogni domanda una sola
risposta è giusta.
• Rivedere le risposte del quiz.
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 11
Titolo: COMBINAZIONI LINEARI
Attività n°: 1

Lezione 11
Combinazioni lineari
Lezione 11

Combinazioni lineari

In questa lezione definiremo le combinazioni lineari. Da un lato, esse


sono la più semplice espressione che possiamo scrivere uno spazio vetto-
riale: sono somme di prodotti per scalare. Dall’altro, esse sono anche le
più generali, perché ogni espressione in uno spazio vettoriale può esse-
re ridotta a una combinazione lineare attraverso le proprietà degli spazi
vettoriali.

11.1 Combinazioni lineari


Definizione 11.1. Sia V uno spazio vettoriale su un campo K. Si Combinazione lineare
considerino v 1 , v 2 , . . . , v n ∈ V e λ1 , λ2 , . . . , λn ∈ K. La scrittura
λ1 v 1 + λ2 v 2 + · · · + λn v n
è detta combinazione lineare dei vettori v i . Gli scalari λi sono detti Coefficienti
coefficienti della combinazione lineare. Il vettore v = λ1 v 1 + λ2 v 2 + Risultato/valore
· · · + λn v n è detto risultato o valore della combinazione lineare.
Zero vettori ◮ danno una sola combinazione lineare, il cui risultato o La definizione particolare nel caso in cui
non ci siano vettori dipende dal fatto che,
valore è il vettore nullo. nel seguito, essa ci permetterà di consi-
Esempio 11.2. 1. La combinazione lineare dei vettori geometrici v derare nei vari enunciati anche il caso in
cui V = {0}, che altrimenti dovremmo
e w, mostrati in figura, con coefficienti 3 e 2 è la scrittura trattare a parte.

3v + 2w, ◮ I.e. an empty set of vectors (with no


element).
il cui risultato è il vettore geometrico u = 3v + 2w mostrato in
◮.
figura ◮
     
2 −1 1
2. La combinazione lineare dei vettori colonna , e
3 0 1
con coefficienti 2, 0 e −3 è la scrittura ◮ Abbiamo visto come calcolare l’addizione

      e la moltiplicazione per scalare sui vettori
2 −1 1 geometrici nella Lezione 8.
2· +0· + (−3) · ,
3 0 1
 
1 ◮
il cui risultato è il vettore colonna . ◮ Abbiamo visto come calcolare l’addizione
3 e la moltiplicazione per scalare sui vettori
La scrittura colonna nella Lezione 10.
   
2 1
2· + (−3) ·
3 1

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 11. Combinazioni lineari 11–2

 
−1
è una combinazione lineare diversa dalla precedente ◮ : essa ha, ◮ Non c’è il vettore colonna
0
.
però, lo stesso risultato della precedente.
3. La combinazione lineare
     
2 −1 1
0· +0· +0·
3 0 1
ha come risultato il vettore colonna 02 .


1
4. La combinazione lineare del vettore colonna  3  con coefficiente
−4
3 è la scrittura
 
1
3 ·  3 ,
−4
 
3
il cui risultato è il vettore colonna  9 .
−12
5. La combinazione lineare dei polinomi x2 +x e 3x+1 con coefficienti
−1 e 2 è la scrittura

(−1) · x2 + x + 2(3x + 1)
il cui risultato è il polinomio −x2 + 5x + 2.
Ogni polinomio può essere visto come il risultato di una combina-
zione lineare delle parti letterali dei suoi monomi ◮ con coefficienti ◮ Per i monomi costanti consideriamo 1
come parte letterale.
i coefficienti numerici dei suoi monomi: per esempio,

4x2 y − 3xy + 3 = 4 · x2 y + (−3) · (xy) + 3 · (1),
dove le parti letterali sono x2 y, xy e 1, e i coefficienti sono 4, −3 e
3.
Osservazione 11.3. Una combinazione lineare non è solo il risultato
v, infatti ci possono essere combinazioni lineari diverse (anche con gli
stessi vettori) che hanno lo stesso risultato ◮, come vedremo nell’esempio ◮ Nell’Esempio 11.2-2 abbiamo visto combi-
nazioni lineari diverse che hanno lo stesso
seguente. risultato, ma con vettori diversi.
Nota che, però, dal punto di vista grafico la combinazione lineare e
il risultato sono indicati nello stesso modo: λ1 v 1 + λ2 v 2 + · · · + λn v n .
Esempio 11.4. 1. La combinazione lineare dei vettori geometrici v
e w, mostrati nella figura, con coefficienti 1 e 0, ossia 1 · v + 0 · w,
e quella con coefficienti 0 e 2, ossia 0 · v + 2 · w, hanno lo stesso
risultato, v.
2. Le due combinazioni lineari dell’Esempio 11.2-2 hanno ovviamente
lo stesso risultato. Questo può succedere anche cambiando  so-

2
lo i coefficienti: la combinazione lineare dei vettori colonna ,
3
       
−1 1 2 −1
e con coefficienti 1, 1 e 0, ossia 1 · +1· +0·
0 1 3 0
 
1
, è diversa dalla prima dell’Esempio 11.2-2, perché i coefficienti
1
sono diversi, ma ha lo stesso risultato.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 11. Combinazioni lineari 11–3

3. La combinazione lineare dell’Esempio 11.2-3 ha lo stesso risultato


(questa volta uguale a 02 ) della combinazione lineare deglistessi

2
vettori ma con coefficienti non nulli 1, −1 e −1, ossia 1 · +
3
   
−1 1
(−1) · + (−3) · .
0 1
Osservazione 11.5. Dato uno spazio vettoriale V su un campo K, le
combinazioni lineari di un vettore v ∈ V sono λv con λ ∈ K, quindi i
risultati di queste combinazioni lineari sono i multipli di v. ◮ ◮ Esempio 11.2-4.

Notazione 11.6. Per semplicità, se abbiamo un segno meno in un coef-


ficiente, evitiamo di scrivere parentesi, a meno che esse non chiarifichino
il significato della combinazione lineare. ◮ ◮ Per esempio, scriveremo −2v − 3w, invece
di (−2)v + (−3)w.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 11
Titolo: Combinazioni lineari
Attività n°: 3

Lezione 11

Aula virtuale
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 11
Titolo: Combinazioni lineari
Attività n°: 3

Aula virtuale

Lo studente segua almeno 4 aule virtuali durante il corso.

La scelta di quali aule virtuali seguire è lasciata allo studente.


Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 11/S1
Titolo: COMBINAZIONI LINEARI
Attività n°: 1

Sessione di Studio 11.1

Combinazioni lineari
Lezione 11. Combinazioni lineari 11–4

Sessione di Studio 11.1


Esercizio
    11.1.   Trova una combinazione
  lineare dei vettori colonna
0 1 −3 5
, e il cui risultato è .
2 3 4 −5
Soluzione. Scriviamo una combinazione
  lineare generica dei vettori e
−5
imponiamo che il risultato sia :
−5
       
0 1 −3 5
a +b +c = .
2 3 4 −5
 
Le soluzioni dell’equazione in forma vettoriale sono (a, b, c) = −20−13γ
2 , 5 + 3γ, γ
con γ ∈ R. ◮ Scegliendo, per esempio, γ = −2 otteniamo (a, b, c) = ◮ Abbiamo visto come risolvere le equazioni
in forma vettoriale nella Lezione 10.
(3, −1, −2) e la combinazione lineare
     
0 1 −3
3 + (−1) + (−2) .
2 3 4

Esercizio 11.2. Trova il risultato della combinazione lineare di polinomi


 
1 · x2 − x + (−1) · (2x + 3) + 2 · 2x2 + 3 .
Trova una combinazione lineare diversa di polinomi con lo stesso risul-
tato.
Soluzione. Il risultato è
 
1 · x2 − x + (−1) · (2x + 3) + 2 · 2x2 + 3 = 5x2 − 3x + 3.
Per trovare la combinazione lineare, scriviamo una combinazione
lineare generica dei polinomi e imponiamo che il risultato sia 5x2 −3x+3:
 
a1 x2 − x + a2 (2x + 3) + a3 2x2 + 3 = 5x2 − 3x + 3.
Le soluzioni dell’equazione in forma vettoriale sono (a1 , a2 , a3 ) = (2α +
3, α, 1 − α) con α ∈ R; ◮ scegliendo, per esempio, α = 0 otteniamo la so- ◮ Abbiamo visto come risolvere le equazioni
in forma vettoriale nella Lezione 10. Tut-
luzione (a1 , a2 , a3 ) = (3, 0, 1), la cui combinazione lineare corrispondente tavia, l’equazione può essere riscritta co-
è me (a1 + 2a3 − 5) x2 +(−a1 + 2a2 + 3) x+
 
3 · x2 − x + 0 · (2x + 3) + 1 · 2x2 + 3 .
(3a2 + 3a3 − 3) = 0, che è equivalente al
 a1 + 2a3 − 5 = 0
sistema −a1 + 2a2 + 3 = 0 , le cui so-

3a2 + 3a3 − 3 = 0
Esercizio
   11.3.  Trova una combinazione lineare dei vettori colonna luzioni sono (a1 , a2 , a3 ) = (2α+3, α, 1−α)
2 −1 1
, e diversa da quelle degli Esempi 11.2-2 e 11.4-2, ma con α ∈ R.
3 0 1
con lo stesso risultato.
Soluzione. Scriviamo una combinazione
  lineare generica dei vettori e
1 ◮
imponiamo che il risultato sia : ◮ Il risultato delle combinazioni lineari degli
3 Esempi 11.2-2 e 11.4-2.
       
2 −1 1 1
a +b +c = .
3 0 1 3
Le soluzioni dell’equazione in forma vettoriale sono (a, b, c) = (α, 2 − α, 3 − 3α)
con α ∈ R. ◮ Scegliendo, per esempio, α = 0 otteniamo (a, b, c) = (0, 2, 3) ◮ Abbiamo visto come risolvere le equazioni
in forma vettoriale nella Lezione 10.
e la combinazione
   lineare
  
2 −1 1
0 +2 +3 .
3 0 1

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 11/S2
Titolo: COMBINAZIONI LINEARI
Attività n°: 1

Sessione di Studio 11.2

Combinazioni lineari
Lezione 11. Combinazioni lineari 11–5

Sessione di Studio 11.2


Esercizio 11.4. Considera i due vettori geometrici v e w mostrati nella
figura. Scrivi due combinazioni lineari di essi, e disegna i loro risultati.
 
3
Esercizio 11.5. Scrivi due combinazioni lineari dei vettori colonna 2
0
 
−1
e −2, e calcola i loro risultati.

4
   
3 2
Esercizio 11.6. Trova la combinazione lineare dei vettori 1, 0
0 1
   
−1 2
e  1  con risultato 0.
−3 3
Esercizio 11.7. Trova due combinazioni lineari diverse della stessa cop-
pia di monomi con lo stesso risultato.
Esercizio
   11.8.  Trova una combinazione lineare dei vettori colonna
2 −1 1
, e diversa da quelle degli Esempi 11.2-3 e 11.4-3, ma
3 0 1
con lo stesso risultato.
Esercizio 11.9. Trova due combinazioni lineari diverse degli stessi tre
vettori in V 2E con lo stesso risultato.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 11. Combinazioni lineari 11–6

Risultato dell’Esercizio 11.4. Per esempio, 2·v +1·w e (−1)·v +0·w. Questo esercizio non ha un’unica soluzione,
quindi il lettore può trovare una soluzione
diversa.

   
3 −1
Risultato dell’Esercizio 11.5. Per esempio, 0 2 + 0 −2 il cui Questo esercizio non ha un’unica soluzione,
quindi il lettore può trovare una soluzione
0 4 diversa.
       
0 3 −1 7
risultato è 0, e 2 2 − 1 −2 il cui risultato è  6 .
0 0 4 −4
     
3 2 −1
Risultato dell’Esercizio 11.6. 2 1 − 3 0 − 2  1 .
0 1 −3
Risultato dell’Esercizio 11.7. Per esempio, m1 = x, m2 = 2x: 0 · Questo esercizio non ha un’unica soluzione,
quindi il lettore può trovare una soluzione
(x) + 0 · (2x) e 2 · (x) + (−1) · (2x) hanno entrambe risultato 0. diversa.
   
2 −1
Risultato dell’Esercizio 11.8. Per esempio, (−1) · +1· + Questo esercizio non ha un’unica soluzio-
3 0 ne, quindi il lettore può trovare una solu-
 
1 zione diversa. Controlla che il risultato è
3· . davvero 02 .
1

Risultato dell’Esercizio 11.9. Questo esercizio non ha un’unica soluzione,


quindi il lettore può trovare una soluzione
0 · v + 0 · w + 0 · u e 1 · v + 1 · w + (−1) · u. ◮ diversa.
◮ Il risultato di entrambe le combinazioni
lineari è 0.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 11/S3
Titolo: COMBINAZIONI LINEARI
Attività n°: 1

Sessione di Studio 11.3

Combinazioni lineari
Lezione 11. Combinazioni lineari 11–7

Sessione di Studio 11.3


Letture supplementari possono essere le seguenti:
• http://it.wikipedia.org/wiki/Combinazione_lineare

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 11. Combinazioni lineari 11–8

Sessione di Studio 11.Quiz


Seguirà un quiz, le cui domande sono le seguenti, per controllare il li-
vello di approfondimento degli argomenti studiati: assicurati di avere a
disposizione queste domande quando farai il quiz. L’esito del quiz non
sarà tenuto in considerazione per l’esame.
Dopo aver svolto il quiz ricontrolla le domande, specialmente quelle
a cui non hai risposto in maniera corretta.
Per ognuna delle seguenti domande, la risposta esatta è una sola.

Domanda 11.1. Dati i vettori geometrici indicati in figura, quale è il


risultato della combinazione lineare dei vettori v, w, u con coefficienti
rispettivamente 2, 1, −1?

(a) 2u.
(b) u.
(c) w.
(d) v.

Domanda 11.2.  Quale


 èil risultato
  della combinazione lineare dei vet-
2 4 1
tori colonna  3 , −2,  0  con coefficienti rispettivamente −3,
−1 0 −3
1, 0?
 
−2
(a) −11.
3
 
−6
(b)  3 .
0
 
10
(c) 11.

3
 
−3
(d)  1 .
0


c 2014 Gennaro Amendola Versione 1.0
Lezione 11. Combinazioni lineari 11–9

Domanda  11.3.
  Quale delle seguenti combinazioni lineari dei vettori
2 4
colonna e ha come risultato il vettore colonna nullo?
3 6
   
2 4
(a) 2 + .
3 6
   
2 4
(b) −2 .
3 6
   
2 4
(c) 2 − .
3 6
   
2 4
(d) 2 +2 .
3 6

Domanda 11.4. Dati i vettori geometrici indicati in figura, quali dei


seguenti coefficienti definiscono una combinazione lineare dei vettori v e
w che ha come risultato il vettore u?

(a) 1 e 1.
(b) 1 e −1.
(c) −1 e 1.
(d) 0 e 0.

Domanda 11.5. Quali dei seguenti  coefficienti


   definiscono una combi-
2 4
nazione lineare dei vettori colonna  3  e  0  che ha come risultato
−1 −1
 
−8
il vettore colonna  6 ?
1
(a) 0 e 0.
(b) −2 e 3.
(c) 2 e 3.
(d) 2 e −3.

Domanda 11.6. Quali dei seguenti coefficienti definiscono una combi-


nazione lineare dei polinomi x2 − x, 2x2 − 3, x che ha come risultato il
polinomio x2 ?
(a) 1, 1, 1.
(b) 1, 0, 1.
(c) 1, 0, −1.
(d) Nessuna delle altre risposte.


c 2014 Gennaro Amendola Versione 1.0
Lezione 11. Combinazioni lineari 11–10

Domanda 11.7. Quale delle seguenti coppie di  vettori


 colonna può
4
formare una combinazione lineare il cui risultato è 5?
1
   
0 0
(a)  3  e  2 .
−1 −3
   
1 2
(b)  1  e  2 .
−1 −2
   
2 1
(c)  3  e 1.

−1 1
   
4 0
(d)  5  e 0.
−1 0
 
2
Domanda 11.8. Quante combinazioni lineari dei vettori colonna
1
   
3 0
e hanno come risultato ?
−2 0
(a) 0.
(b) 1.
(c) Infinite.
(d) Nessuna delle altre risposte.
 
2
Domanda 11.9. Quante combinazioni lineari dei vettori colonna
1
   
4 0
e hanno come risultato ?
2 0
(a) 0.
(b) 1.
(c) Infinite.
(d) Nessuna delle altre risposte.

Domanda
   11.10.
 Esiste una combinazione lineare dei vettori colonna
−1 −2
e con i coefficienti non tutti nulli con risultato il vettore
3 6
 
0
nullo ?
0
(a) Sì.
(b) No.
(c) Dipende dallo spazio vettoriale.
(d) Nessuna delle altre risposte.


c 2014 Gennaro Amendola Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 11/S3
Titolo: Combinazioni lineari
Attività n°: 3

Sessione di Studio 11.3 Quiz

Combinazioni lineari
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 11/S3
Titolo: Combinazioni lineari
Attività n°: 3

• Risolvere il seguente quiz a risposta


multipla in cui per ogni domanda una sola
risposta è giusta.
• Rivedere le risposte del quiz.
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 12
Titolo: SOTTOSPAZI VETTORIALI E SOTTOSPAZI GENERATI
Attività n°: 1

Lezione 12
Sottospazi vettoriali e sottospazi
generati
Lezione 12

Sottospazi vettoriali e
sottospazi generati

In questa lezione definiremo i sottospazi vettoriali, ossia i sottoinsiemi di


spazi vettoriali che ereditano la struttura di spazio vettoriale. Introdur-
remo anche il sottospazio generato, ossia un modo semplice per defini-
re sottospazi vettoriali scegliendo solo alcuni elementi che li producono
attraverso combinazioni lineari.

12.1 Sottospazi vettoriali


Definizione 12.1. Sia V uno spazio vettoriale dotato di addizione + e Sottospazio vettoriali
moltiplicazione per scalare · su un campo K. Un sottoinsieme W ⊂ V è
detto sottospazio vettoriale di V se W è uno spazio vettoriale su K con
l’addizione + e la moltiplicazione per scalare · di V .
Esempio 12.2. Dato uno spazio vettoriale V , i suoi due sottoinsiemi
{0} e V sono sottospazi vettoriali di V . Il primo per l’Esempio 10.6-2,
il secondo per ipotesi ◮. ◮ There is nothing to prove for V .

Eccetto per i due casi dell’esempio precedente, il controllo che un de-


terminato sottoinsieme W è un sottospazio vettoriale di V utilizzando la
sola definizione può essere lungo. La seguente proposizione ci permetterà
di verificare solamente tre semplici condizioni.
Proposizione 12.3. Sia V uno spazio vettoriale dotato di addizione + Per dimostrare che un sottoinsieme W di
uno spazio vettoriale è un sottospazio vet-
e moltiplicazione per scalare · su un campo K. Un sottoinsieme W di V toriale non è necessario dimostrare tutte le
è un sottospazio vettoriale di V se e solo se valgono le seguenti proprietà: proprietà della definizione di spazio vetto-
riale (Definizione 10.3), che sono automa-
(SSV1) 0 ∈ W ; ticamente soddisfatte: è sufficiente dimo-
strare soltanto che l’elemento neutro del-
(SSV2) per ogni v, w ∈ W si ha v + w ∈ W ; l’addizione appartiene a W e che l’addi-
(SSV3) per ogni v ∈ W e λ ∈ K si ha λ · v ∈ W . zione e la moltiplicazione per scalare sono
operazioni su W .
Dimostrazione. (∗∗) Dobbiamo dimostrare due implicazioni. Comincia-
mo dimostrando che se W è un sottospazio vettoriale di V , allora W
soddisfa le proprietà (SSV1), (SSV2) e (SSV3).
(SSV1) Per la proprietà (SV1b), che vale per il sottospazio vettoriale W
per ipotesi, abbiamo che 0 ∈ W .

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 12. Sottospazi vettoriali e sottospazi generati 12–2

(SSV2) Fissiamo v, w ∈ W ; visto che l’addizione + è un’operazione su


W , abbiamo che v + w ∈ W .
(SSV3) Fissiamo v ∈ W and λ ∈ K; visto che la moltiplicazione per
scalare · è un’operazione su W , abbiamo che λ · v ∈ W .
Dimostriamo ora l’implicazione inversa: se W è un sottoinsieme di
V che soddisfa le proprietà (SSV1), (SSV2) e (SSV3), allora W è un
sottospazio vettoriale di V . Le proprietà (SSV2) e (SSV3) implicano
che l’addizione + e la moltiplicazione per scalare · su W sono operazioni
su W . ◮ Dimostriamo che esse soddisfano tutte le proprietà della defini- ◮+: W × W → W , ·: K × W → W .
zione di spazio vettoriale ◮ for W . Le proprietà (SV1a), (SV1d), (SV2), ◮ Definizione 10.3.
(SV3) (SV4) e (SV5) sono soddisfatte in W perché lo sono in V e perché Tutte le proprietà della Definizione 10.3 so-
no soddisfatte nello spazio vettoriale V e
W ⊂ V . La proprietà (SSV1) e il fatto che 0 è l’elemento neutro dell’ad- quindi le possiamo usare, perché W ⊂ V .
dizione + di V (proprietà (SV1b) dello spazio vettoriale V ), implicano
la proprietà (SV1b) per W . Rimane da dimostrare la proprietà (SV1c)
per W . Consideriamo un generico vettore w ∈ W ; il vettore w è anche
un vettore di V , quindi per la proprietà (SV1c) dello spazio vettoriale V
abbiamo che esiste (−w) ∈ V opposto di w. Concludiamo dimostrando
che (−w) ∈ W : applichiamo la proprietà (SV7) dello spazio vettoriale
V e otteniamo (−w) = (−1) · w; per la proprietà (SSV3), che vale in
W per ipotesi, abbiamo che (−1) · w ∈ W , ossia (−w) ∈ W .
Osservazione 12.4. In alcuni libri di testo, invece delle tre proprietà
precedenti, sono considerate le due proprietà equivalenti:
(SSV1’) W non è vuoto;
(SSV2’) per ogni v, w ∈ W e λ, µ ∈ K abbiamo λ · v + µ · w ∈ W .
La prima sostituisce la proprietà (SSV1), mentre la seconda sostituisce
le proprietà (SSV2) e (SSV3).
Esempio 12.5. I seguenti sottoinsiemi W dello spazio vettoriale V sono
sottospazi vettoriali di V .

1. V = R2 e W = X ∈ R2 3x1 − 2x2 = 0 . ◮ Verifichiamo che le ◮ Ricordiamo che x1 e x2 sono le coordinate
 
x1
tre condizioni della Proposizione 12.3 sono soddisfatte: del vettore colonna X, ossia X =
x2
 
0 (Notazione 10.21).
(SSV1) ∈ W infatti 3 · 0 − 2 · 0 = 0;
0
(SSV2) per ogni X, Y ∈ W abbiamo 3x1 − 2x2 = 0 e 3y1 − 2y2 =  
x1
0 ◮, sommando membro a membrootteniamo  3 (x1 + y1 )− ◮ Perché i due vettori colonna X =
x2
e
x1 + y 1  
y1
2 (x2 + y2 ) = 0, quindi X + Y = ∈W◮ ◮. Y = appartengono a W .
x2 + y 2 y2

(SSV3) per ogni X ∈ W e λ ∈ R abbiamo 3x1 − 2x2 = 0 ◮ ◮ Definizione 10.22.



◮, mol-

 
x1
tiplicando entrambi i membri  per λ otteniamo 3 (λx 1) −

◮ Perché il vettore colonna X
◮ =
x2
λx1 appartiene a W .
2 (λx2 ) = 0, quindi λ · X = ∈ W ◮.
λx2 ◮ Definizione 10.22.

2. V = Kn e W = {X ∈ Kn | p (x1 , . . . , xn ) = 0}, dove p(x1 , x . . . , xn ) =


a1 x1 + · · · + an xn è un polinomio di grado 1 con termine noto nul- Questa è una generalizzazione dell’esempio
lo ◮. Verifichiamo che le tre condizioni della Proposizione 12.3 sono precedente.
◮ Ad esempio, 3x1 + x3 − x4 con K = R e
soddisfatte:
n = 4, oppure ix2 + (2 − 3i)x4 − x6 con
(SSV1) 0n ∈ W infatti p(0, . . . , 0) = 0 ◮
◮; K = C e n = 7.
◮ Il termine noto è nullo.

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Versione 1.0
Lezione 12. Sottospazi vettoriali e sottospazi generati 12–3

 
(SSV2) per ogni X, Y ∈ W abbiamo a1 x1 + · · · + an xn = 0 and x1
◮ Perché i due vettori colonna X =  ..  e
 
a1 y1 + · · · + an yn = 0 ◮, sommando membro a membro .
otteniamoa1 (x1 +  y1 ) + · · · + an (xn + yn ) = 0, quindi  
xn
y1
x1 + y 1
Y =  ...  appartengono a W .
 
 .. 
◮.
X +Y = . ∈W◮ yn
xn + y n ◮ Definition 10.22.

(SSV3) per ogni X ∈ W e λ ∈ K abbiamo a1 x1 + · · · + an xn = 0 ◮ ◮,
◮ x1
 

moltiplicando entrambi i membri per λ otteniamo a1 (λx1 )+ ◮ X =  ... 


 
 ◮ Because the column vector

λx1 xn
· · · + an (λxn ) = 0, quindi λ · X =  ...  ∈ W ◮.
  belongs to W .
◮ Definizione 10.22.
λxn
   
2
3. V = R2 e W = k · ∈ R2 k ∈ R . Verifichiamo che le tre
3
condizioni della Proposizione 12.3 sono soddisfatte:
 
2
(SSV1) 02 ∈ W infatti 02 = 0 · ; 02 corrisponde a k = 0.
3
   
2 2
(SSV2) per ogni X, Y ∈ W abbiamo X = kX · e Y = kY · ,
3 3
sommando otteniamo
     
2 2 (SV3) 2
X +Y = kX · +kY · = (kX + kY )· ∈ W.
3 3 3
 
2
(SSV3) per ogni X ∈ W e λ ∈ R abbiamo X = k · , moltipli-
3
cando otteniamo
    
2 (SV2) 2
λ·X =λ· k· = (λ · k) · ∈ W.
3 3
4. V qualsiasi (su un campo K) e W = {k · v ∈ V | k ∈ K}, dove Questa è una generalizzazione dell’esempio
precedente.
v ∈ V è un vettore fissato. Verifichiamo che le tre condizioni della
Proposizione 12.3 sono soddisfatte:
(SSV1) 0 ∈ W infatti 0 = 0 · v;
(SSV2) per ogni w1 , w2 ∈ W abbiamo w1 = k1 · v e w2 = k2 · v,
sommando otteniamo
(SV3)
w1 + w2 = k1 · w + k2 · w = (k1 + k2 ) · w ∈ W .
(SSV3) per ogni w ∈ W e λ ∈ R abbiamo w = k ·v, moltiplicando
otteniamo
(SV2)
λ · w = λ · (k · v) = (λ · k) · v ∈ W .
5. Fissiamo un sistema di riferimento cartesiano (O; x, y) nel piano. ◮ Lezione 8.
Qui usiamo l’identificazione dei vettori geometrici con i punti e
le loro coordinate. ◮ Una retta che contiene l’origine ha forma im-

plicita ax + by = 0, con (a, b) 6= (0, 0). ◮
◮ Abbiamo visto sopra ◮◮
che essa è un sottospazio vettoriale di R2 . I vettori geometrici
corrispondenti formano un sottospazio vettoriale W di V 2E .
Scegliamo un vettore geometrico non nullo v in W , allora W è ◮ Visto che essa contiene il punto O = (0, 0)

il termine noto deve essere 0. Nel Punto 1
formato da tutti i multipli di v. ◮ sopra l’equazione è 3x1 − 2x2 = 0.

◮ Punto 2 above.

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Versione 1.0 ◮ Si veda il Punto 4  above. Nel Punto 3
2
sopra il vettore è .
3
Lezione 12. Sottospazi vettoriali e sottospazi generati 12–4

Analogamente, un piano che contiene l’origine nello spazio è un Vedremo sotto che questo è un caso
particolare di sottospazio generato.
sottospazio vettoriale di R3 , che corrisponde a un sottospazio vet-
toriale di V 3E .
Osservazione 12.6. I sottospazi vettoriali descritti nell’Esempio 12.5-4
sono formati dai valori di tutte le combinazioni lineari del vettore fissato
v.
Esempio 12.7. I seguenti sottoinsiemi W dello spazio vettoriale V non Affinché W non sia un sottospazio vetto-
riale di V , è sufficiente che anche una so-
sono sottospazi vettoriali di V . la delle condizioni della Proposizione 12.3
n o
1. V = R2 e W = X ∈ R2 2x1 − 3 (x2 )3 + 1 = 0 . ◮ Verifichia- non sia verificata.

◮ Ricordiamo che x1 e x2 sono le coordinate
mo che una delle tre condizioni della Proposizione 12.3 non è  
x1
del vettore colonna X, ossia X =
soddisfatta: x2
(Notazione 10.21).
(SSV1) 02 6∈ W infatti 2 · 0 − 3 · 03 + 1 6= 0.
2. V = Kn e W = {X ∈ Kn | p (x1 , . . . , xn ) = 0}, dove p è un polino-
mio con termine noto non nullo ◮. Verifichiamo che una delle tre ◮ Ad esempio, 3x1 + x3 − x4 − 7 con K = R e
n = 4, oppure i (x2 )3 + (2 − 3i)x4 − (x6 )2 +
condizioni della Proposizione 12.3 non è soddisfatta: (−3 + i) con K = C e n = 7.
(SSV1) 0n 6∈ W infatti p(0, . . . , 0) 6= 0 ◮
◮. ◮ Abbiamo che p(0, . . . , 0) è il termine noto

di p, che non è nullo.
3. Analogamente a quanto abbiamo fatto nell’Esempio 12.5-5, ab-
biamo che, dopo aver fissato un sistema di riferimento cartesiano
(O; x, y) nel piano, una retta che non contiene l’origine non è un
sottospazio vettoriale di R2 , che corrisponde a un sottoinsieme di
V 3E che non è un sottospazio vettoriale di V 2E . ◮


Lo stesso vale per un piano che non contiene l’origine nello spazio: ◮
◮ Ciò segue dal Punto 2 sopra, infatti l’equa-

esso non è un sottospazio vettoriale di R3 , che corrisponde a un zione della retta è ax+by +c = 0 con c 6= 0
(perché la retta non contiene O = (0, 0)).
sottoinsieme di V 3E che non è un sottospazio vettoriale di V 3E .
n o
4. V = R2 e W = X ∈ R2 9x2 − (x1 )2 = 0 . Verifichiamo che una

Al contrario di quanto fatto sopra per il
caso del termine noto non nullo, questo ri-
delle tre condizioni della Proposizione 12.3 non è soddisfatta: sultato non si può generalizzare a Kn (e
  nemmeno a Rn ), ossia tipicamente il luogo
3
(SSV3) il vettore colonna appartiene a W , infatti abbiamo degli zeri di un polinomio di grado mag-
1 giore di uno non è un sottospazio vettoria-
    le, ma in alcuni casi lo è (Esercizio 12.5-3
2 3 6
9 · 1 − 3 = 0, ma il suo multiplo 2 · = non and 12.17-3).
1 2
appartiene a W , perché 9 · 2 − 62 6= 0.
Anche se questo insieme contiene l’origine, esso è una parabola e
non è una retta, ossia non è dritta.
Proposizione 12.8. Sia V uno spazio vettoriale dotato di addizione
+ e moltiplicazione per scalare · su un campo K, e siano W 1 e W 2 Intersezione di sottospazi vettoriali
due sottospazi vettoriali di V . Allora, l’intersezione W 1 ∩ W 2 è un
sottospazio vettoriale di V .
Dimostrazione. Dimostriamo le tre condizioni della Proposizione 12.3
per il sottoinsieme W 1 ∩ W 2 di V . ◮ ◮ Esse sono equivalenti al fatto che W 1 ∩W 2
è un sottospazio vettoriale di V .
(SSV1) Dimostriamo che 0 ∈ W 1 ∩ W 2 . Visto che abbiamo 0 ∈ W 1
e 0 ∈ W 2 perché W 1 e W 2 sono sottospazi vettoriali di V ,
abbiamo che 0 ∈ W 1 ∩ W 2 .

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Versione 1.0
Lezione 12. Sottospazi vettoriali e sottospazi generati 12–5

(SSV2) Per ogni v, w ∈ W 1 ∩ W 2 , dimostriamo che v + w ∈ W 1 ∩ W 2 .


Visto che v, w ∈ W 1 e W 1 è un sottospazio vettoriale di V ,
abbiamo che v + w ∈ W 1 . Analogamente, visto che v, w ∈ W 2
e W 2 è un sottospazio vettoriale di V , abbiamo che v+w ∈ W 2 .
Allora abbiamo che v + w ∈ W 1 ∩ W 2 .
(SSV3) Per ogni v ∈ W 1 ∩ W 2 and λ ∈ K; dimostriamo che λ · v ∈
W 1 ∩ W 2 . Visto che v ∈ W 1 e W 1 è un sottospazio vettoriale
di V , abbiamo che λ·v ∈ W 1 . Analogamente, visto che v ∈ W 2
e W 2 è un sottospazio vettoriale di V , abbiamo che λ · v ∈ W 2 .
Allora abbiamo che λ · v ∈ W 1 ∩ W 2 .
Osservazione 12.9. Lo stesso risultato vale per l’intersezione di un
numero qualsiasi di sottospazi vettoriali. Siano W 1 , W 2 , . . . , W k k sot-
tospazi vettoriali di uno spazio vettoriale V ; allora l’intersezione W 1 ∩
W 2 ∩ · · · ∩ W k è un sottospazio vettoriale di V . Generalizzando ancora
di più, lo stesso risultato vale anche per l’intersezione di infiniti sotto-
spazi vettoriali. La dimostrazione di questi fatti è analoga a quella della
Proposizione 12.8.
Esempio 12.10. 1. Consideriamo i due sottospazi vettoriali
 
W 1 = X ∈ R 2x1 − 3x2 + x3 = 0 and W 2 = X ∈ R3 3x1 + x2 − x3 = 0
3

dello spazio vettoriale V = R3 . ◮ Per la Proposizione 12.8 their ◮ W 1 e W 2 sono sottospazi vettoriali per
l’Esempio 12.5-2.
intersection

W 1 ∩ W 2 = X ∈ R3 2x1 − 3x2 + x3 = 0, 3x1 + x2 − x3 = 0
è un sottospazio vettoriale di V . ◮ ◮ Possiamo
 verificare che
X ∈ R3 2x1 − 3x2 + x3 = 0, 3x1 + x2 − x3 = 0
2. Consideriamo m sottospazi vettoriali è un sottospazio vettoriale di R esplici-
3

tamente come abbiamo fatto nell’Esem-


W 1 = {X ∈ Kn | p1 (x1 , . . . , xn ) = 0}, pio 12.5-1, ma non è necessario: infatti per
W 2 = {X ∈ Kn | p2 (x1 , . . . , xn ) = 0}, la Proposizione 12.8 è sufficiente notare
che esso è l’intersezione dei due sottospazi
.. vettoriali W 1 e W 2 di R3 .
.
W m = {X ∈ Kn | pm (x1 , . . . , xn ) = 0}
dello spazio vettoriale V = Kn . ◮ Per l’Osservazione 12.9 their ◮ W 1 , W 2 ,. . . , W m sono sottospazi
vettoriali per l’Esempio 12.5-2.
intersection
W 1 ∩W 2 ∩· · ·∩W m = {X ∈ Kn | pi (x1 , . . . , xn ) = 0 ∀i = 1, 2, . . . , m}
è un sottospazio vettoriale di V . ◮ ◮ Anche qui possiamo fare una verifica espli-
2 cita come abbiamo fatto nell’Esempio 12.5-
3. In V l’intersezione di due rette che sono sottospazi vettoriali è
E 2, ma non è necessario: infatti per l’Osser-
un sottospazio vettoriale. In realtà, le due rette contengono 0, ◮ ◮ vazione 12.9 è sufficiente notare che W 1 ∩
W 2 ∩ · · · ∩ W m è l’intersezione degli m
quindi l’intersezione è o solamente {0}, o la retta stessa (se le due sottospazi vettoriali W 1 , W 2 ,. . . , W m di
rette coincidono). ◮

◮ Kn .
3 ◮ Esempi 12.5-5 e 12.7-3.

Anche in V E l’intersezione di due sottospazi vettoriali è un sot-

tospazio vettoriale. Se abbiamo due rette la situazione è la stessa ◮ Si veda la discussione sulla mutua posizio-

ne di rette nel piano nella Lezione 7.
come prima: l’intersezione è o solamente {0}, o la retta stessa. Se
abbiamo una retta e un piano, essi contengono 0, quindi l’interse-
zione è o solamente {0}, o la retta stessa (se la retta è contenuta nel
piano). ◮ Se, invece, abbiamo due piani, essi contengono 0, quin- ◮ Si veda la discussione sulla mutua posizio-
ne di una retta rispetto a un piano nello
di l’intersezione è o una retta, o il piano stesso (se i due piani spazio nella Lezione 7.
coincidono). ◮ ◮ Si veda la discussione sulla mutua posizio-
ne di piani nello spazio nella Lezione 7.
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Versione 1.0
Lezione 12. Sottospazi vettoriali e sottospazi generati 12–6

Osservazione 12.11. L’unione di due sottospazi vettoriali di uno spazio


vettoriale V è un sottospazio vettoriale di V se e solo se uno dei due
sottospazi è contenuto nell’altro. Non daremo la dimostrazione di questo
fatto, anche se non è difficile.
Esempio 12.12. L’unione dei due sottospazi vettoriali
 
W 1 = X ∈ R2 x2 = 0 and W 2 = W 2 = X ∈ R2 x1 = 0
di R2 è l’insieme

W = W 1 ∪ W 2 = X ∈ R 2 x1 = 0 o x2 = 0 .
L’unione W non è un sottospazio vettoriale di R2 , infatti non soddisfa
la seconda proprietà della Proposizione 12.3: ◮ ◮ Soddisfa le altre due proprietà: (SSV1)
  e (SSV3)
1
(SSV2) il vettore colonna appartiene a W 1 e il vettore colonna
0
   
0 1
appartiene a W 2 , ma la loro somma non appartiene
1 1
all’unione W .

12.2 Sottospazi generati


In this section useremo le combinazioni lineari per definire spazi vetto-
riali, come abbiamo visto nell’Esempio 12.6.
Definizione 12.13. Sia X un sottoinsieme di uno spazio vettoriale V su Span
un campo K. L’insieme dei risultati delle combinazioni lineari di vettori In alcuni libri di testo Span(X) è indicato
di X con coefficienti in K è indicato con Span(X), ossia ◮ anche con hXi.

Span(X) := {λ1 v 1 + λ2 v2 + · · · + λn v n ∈ V | n > 0, v 1 , v 2 , . . . , v n ∈ X, λ1 , λ2 , . . . , λn ∈ K}.


◮ Il caso n = 0 corrisponde all’unica
Osservazione 12.14. 1. Abbiamo Span (∅) = {0}. Infatti, se X = combinazione lineare di zero vettori.
∅, c’è una sola combinazione lineare che dobbiamo considerare
(quella formata da zero vettori), e il suo valore è 0 ◮. ◮ Definizione 11.1.

2. Abbiamo X ⊂ Span(X). Infatti, se v ∈ X allora il risultato della


combinazione lineare 1 · v = v appartiene a Span(X).
3. Se l’insieme X è finito, ossia X = {v 1 , v 2 , . . . , v n }, allora abbiamo

Span {v 1 , v 2 , . . . , v n } = {λ1 v 1 + λ2 v 2 + · · · + λn v n ∈ V | λ1 , λ2 , . . . , λn ∈ K}.
Se invece X è infinito non possiamo usare tutti i vettori di X in
un’unica combinazione lineare.
Notazione 12.15. Per semplicità, se scriviamo l’insieme X per elenca- Span 
zione, evitiamo di usare le parentesi graffe: invece di scrivere Span {v 1 , v 2 , . . . , v n } ,
scriveremo
Span (v 1 , v 2 , . . . , v n ) .
Esempio 12.16. Riscriviamo alcuni esempi già visti utilizzando la no-
tazione introdotta ora e facciamo alcuni esempi nuovi.
 
2
1. Riferendoci all’Esempio 12.5-3 possiamo scrivere W = Span .
3
2. Riferendoci all’Esempio 12.5-4 possiamo scrivere W = Span(v).

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Versione 1.0
Lezione 12. Sottospazi vettoriali e sottospazi generati 12–7

3. Abbiamo
         
3 −2  3 −2

Span −1 ,  0  = a −1 + b  0  ∈ R3 a, b ∈ R .
 
4 3 4 3

4. Riferendoci all’Esempio 12.5-5 (anche per la notazione), abbiamo


che una retta (nel piano o nello spazio) che contiene l’origine è
Span(v) per uno qualsiasi dei suoi vettori non nulli v.
Dimostreremo che, per un qualsiasi piano nello spazio, ci sono due
vettori ◮, diciamo v1 e v 2 , tali che il piano è Span (v 1 , v 2 ). ◮

             
2 −1 1 2 −1 1
5. Abbiamo Span , , = a +b +c· a, b, c ∈ R .
3 0 1 3 0 1
6. Abbiamo K6m [x] = Span (1, x, . . . , xm ), infatti un generico po- ◮ Non univocamente determinati.

linomio di grado al più m è am xm + am−1 xm−1 + · · · + a1 x + ◮ Per esempio, si veda il Punto 3 sopra.

a0 .
Esempio 12.17. Nel precedente esempio abbiamo considerato solo un
numero finito di vettori. Consideriamo
  ora il caso con infiniti vettori.
k
1. Considera i vettori −2k con k ∈ Z. Possiamo considerare
3k
  
 k

Span  −2k ∈ R3 k ∈ Z  ,
 
3k
 
k
i cui elementi sono le combinazioni lineari dei vettori −2k: ad
3k
         
1 5 −1 3 −4
esempio, 7 −2 − 2 −10, e  2  − −6 + 3  8 .
3 15 −3 9 −12
 h 
2. Abbiamo K[x] = Span x h ∈ N , infatti un generico polino-
◮ La differenza con l’Esempio 12.16-6 è che
mio è an xn + an−1 xn−1 + · · · + a1 x + a0 . ◮ ora non abbiamo un limite superiore per il
grado dei polinomi, e quindi per il grado
Abbiamo monomi xh .
deio
n
h
{p(x) ∈ K[x] | tutti i termini hanno grado pari} = Span x h ∈ N, h pari ,
infatti un generico polinomio che ha solo termini di grado pari è
a2n x2n + a2n−2 x2n−2 + · · · + a2 x2 + a0 . ◮ ◮ Per esempio, 3x6 − x4 + 5.

Proposizione 12.18. Sia X un sottoinsieme di uno spazio vettoriale V


su un campo K. L’insieme Span(X) è un sottospazio vettoriale di V .
Dimostrazione. (∗∗) Se X = ∅, abbiamo Span(∅) = {0}, che è un sotto-
spazio vettoriale di V . ◮ Supponiamo quindi che X 6= ∅ e dimostriamo ◮ Esempio 12.2.
le tre proprietà della Proposizione 12.3 equivalenti alla definizione di
sottospazio vettoriale. ◮ ◮ Esse sono equivalenti al fatto che W 1 ∩W 2
è un sottospazio vettoriale di V .
(SSV1) Visto che X non è vuoto, scegliamo un vettore v ∈ X; allora
abbiamo che 0 = 0v ∈ Span(X).

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Versione 1.0
Lezione 12. Sottospazi vettoriali e sottospazi generati 12–8

(SSV2) Consideriamo due vettori, v, v ′ ∈ Span(X), ossia Gli scalari λ∗ e λ′∗ sono elementi di K.

v = λ1 v 1 +λ2 v 2 +· · ·+λn v n e v ′ = λ′1 v′1 +λ′2 v ′2 +· · ·+λ′m v ′m


con v 1 , v 2 , . . . , v n , v ′1 , v ′2 , . . . , v ′m ∈ X; allora abbiamo
v+v ′ = λ1 v 1 +λ2 v 2 +· · ·+λn v n +λ′1 v′1 +λ′2 v ′2 +· · ·+λ′m v ′m ∈ Span(X).
(SSV3) Consideriamo un vettore v ∈ Span(X), ossia Gli scalari λ∗ sono elementi di K.

v = λ1 v 1 + λ2 v 2 + · · · + λ n v n
con v 1 , v 2 , . . . , v n ∈ X e λ ∈ K; allora abbiamo
λv = (λλ1 ) v 1 + (λλ2 ) v 2 + · · · + (λλn ) v n ∈ Span(X).
Definizione 12.19. Sia X un sottoinsieme di uno spazio vettoriale V . Il Sottospazio vettoriale generato
sottospazio vettoriale Span(X) di V è detto sottospazio vettoriale gene-
rato da X. L’insieme X e i vettori di X sono detti generare il sottospazio
vettoriale Span(X).
Esempio 12.20. Tutti gli insiemi degli Esempi 12.16 e 12.17 sono sotto-
spazi vettoriali dello spazio vettoriale in cui sono contenuti ◮. Per alcuni ◮ A seconda dei casi, abbiamo che lo spa-
zio vettoriale è V 2E , V 3E , R2 , R3 , K[x],
di essi l’avevamo già dimostrato esplicitamente ◮ ◮ , ma, comunque, non è
K6m [x] o un V generico.
più necessario: è sufficiente applicare la Proposizione 12.18.
◮ Ad esempio, per l’Esempio 12.16-1 l’abbia-

Può succedere che non tutti i vettori di X sono “necessari” per gene- mo dimostrato nell’Esempio 12.5-3.
rare Span(X) ◮, inoltre insiemi di vettori completamente diversi possono ◮ Non possiamo rimuovere tutti i vettori per-
ché altrimenti otterremmo Span(∅) = {0}.
generare lo stesso sottospazio vettoriale, come si può vedere nel seguente Vedremo sotto quali vettori possono essere
esempio. rimossi.

Esempio 12.21. 1. Fissiamo un vettore v non nullo di uno spazio


vettoriale V e il sottospazio vettoriale W = Span(0, v, 2v) di V .
Abbiamo W = Span(v, 2v), infatti il risultato di una combinazio-
ne lineare a0 + bv + c(2v) è anche il risultato della combinazione
lineare bv + c(2v), mentre, viceversa, il risultato di una combi-
nazione lineare bv + c(2v) è anche il risultato della combinazione
lineare 0 · 0 + bv + c(2v) ◮. ◮ Possiamo scegliere arbitrariamente il coef-
ficiente a del vettore 0.
Abbiamo W = Span(v), infatti il risultato di una combinazione
lineare bv + c(2v) ◮ è anche il risultato della combinazione lineare ◮ Stiamo usando il fatto che W =
(b+2c)v, mentre, viceversa, il risultato di una combinazione lineare Span(v, 2v).
bv è anche il risultato della combinazione lineare bv + 0 · (2v).
Analogamente, abbiamo W = Span(2v), infatti il risultato di una
combinazione lineare bv  + c(2v) è anche il risultato della combi-
b
nazione lineare 2 + c (2v), mentre, viceversa, il risultato di una
combinazione lineare c(2v) è anche il risultato della combinazione
lineare 0 · v + c(2v).
     
2 −1 1
2. Consideriamo il sottospazio vettoriale W = Span , , .
3 0 1
   
2 −1
Abbiamo W = Span , , infatti il risultato di una
3 0
     
2 −1 1
combinazione lineare a +b +c è anche il risultato
3 0 1
   
2 −1 ◮      
della combinazione lineare (a + 1) + (b + 1) , mentre, ◮ Abbiamo 11 = 1 · 23 + 1 · −1 .
3 0 0

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Versione 1.0
Lezione 12. Sottospazi vettoriali e sottospazi generati 12–9

   
2 −1
viceversa, il risultato di una combinazione lineare a +b
3 0
   
2 −1
è anche il risultato della combinazione lineare a +b +
3 0
 
1
0· .
1
   
2 1
Analogamente, possiamo dimostrare che W = Span ,
3 1
   
−1 1
e che W = Span , .◮ ◮ Si vedano gli Esercizi 12.6 e 12.15.
0 1
L’enunciato della Proposizione 12.18 vale anche se sostituiamo V con
un suo sottospazio.
Proposizione 12.22. Sia W un sottospazio vettoriale di uno spazio
vettoriale V su un campo K, e sia X un sottoinsieme di W . L’in-
sieme Span(X) è un sottospazio vettoriale di W . In particolare, si ha
Span(X) ⊂ W .
Dimostrazione. Il fatto che Span(X) ⊂ W segue dal fatto che W è
un sottospazio vettoriale di V e quindi un qualsiasi elemento λ1 v 1 +
λ2 v 2 + · · · + λn vn (con v 1 , v 2 , . . . , v n ∈ X ⊂ W e λ1 , λ2 , . . . , λn ∈ K) di
Span(X) appartiene a W ◮. ◮ W è un sottospazio vettoriale di V ,
Adesso applichiamo la Proposizione 12.18 ◮ e otteneniamo che Span(X) quindi
◮ l’addizione e la moltiplicazio-
ne per scalare sono operazioni su esso
è un sottospazio vettoriale di W . (Proposizione 12.3).
◮ Sostituendo V con W .

Un semplice corollario della proposizione precedente è il seguente.
Corollario 12.23. Siano v1 , v 2 , . . . , v n e v vettori di uno spazio vetto-
riale V . Abbiamo che
v ∈ Span (v 1 , v 2 , . . . , v n ) se e solo se Span (v 1 , v 2 , . . . , v n , v) = Span (v1 , v 2 , . . . , v n ) .
Non daremo la dimostrazione di questo corollario, anche se non è
difficile.

Esempio 12.24. 1. Consideriamo il sottospazio vettoriale W = X ∈ R2 3x1 − 2x2 = 0
 
2 2
di R . Il vettore colonna
◮ appartiene a W , quindi la Propo- ◮ Esempio 12.5-1.
3
sizione 12.22 ci assicura che tutto ◮ ◮ Esempi 12.5-3 e 12.16-1.
     
2 2
Span = k· ∈ R2 k ∈ R
3 3
è contenuto in W . ◮ ◮ In questo caso, possiamo anche dimostrare
che vale l’uguaglianza, infatti vale anche
2. Riferendoci all’Esempio 12.21-2, visto che abbiamo che ◮
◮ l’altra inclusione.
  Notando che i vettori
      x1
colonna che appartengono a W de-
1 2 −1 x2
∈ Span , , vono soddisfare l’equazione3x1− 2x 2 = 0,
1 3 0 x1 α

e risolvendola, otteniamo = 3
il corollario 12.23 ci assicura che x2 2
α
          con α ∈ R. Esso è un elemento di
2 −1 1 2 −1 Span
2
, infatti possiamo scriverlo
Span , , ⊂ Span , , 3
3 0 1 3 0 
 
2
come 21 α · . Tuttavia, la doppia in-
3
senza fare nessun calcolo. ◮

◮ clusione può non valere in generale, per-
ché la Proposizione 12.22 implica solo una
inclusione.
     
c 2014 Gennaro Amendola
Versione 1.0 1 2 −1
◮ 1 =1· 3 +1· 0 .


◮ L’altra inclusione è ovvia per definizione.

Lezione 12. Sottospazi vettoriali e sottospazi generati 12–10

Osservazione 12.25. Sia X un sottoinsieme di uno spazio vettoriale


V . Il sottospazio vettoriale Span(X) di V è il più piccolo sottospazio
vettoriale di V che contiene X. Non daremo la dimostrazione di questo
fatto, anche se non è difficile.

Osservazione 12.26. Abbiamo che Span Span(X) = Span(X). In-
fatti, per la Proposizione 12.22, dove
 sostituiamo Span(X) sia a W
che a X, abbiamo Span Span(X) ⊂ Span(X). L’altra inclusione,

Span(X) ⊂ Span Span(X) , è ovvia ◮. ◮ Osservazione 12.14-2.

Definizione 12.27. Un sottospazio vettoriale W di uno spazio vet- Sottospazio vettoriale finitamente
toriale V è detto finitamente generato se esiste un sottoinsieme finito generato
{w1 , w 2 , . . . , wn } di W tale che Span (w1 , w 2 , . . . , w n ) = W .
Uno spazio vettoriale V è detto finitamente generato se V , pensato Spazio vettoriale finitamente genera-
come sottospazio vettoriale di sé stesso, è finitamente generato, ossia se to
esiste un sottoinsieme finito {v1 , v 2 , . . . , v n } di V tale che Span (v 1 , v 2 , . . . , v n ) =
V.
Osservazione 12.28. Visto che l’insieme vuoto è finito, lo spazio vet-
toriale {0} = Span (∅) è finitamente generato.
Esempio 12.29. 1. Lo spazio vettoriale 2 è finitamente genera-
  R 
1 0
to, infatti abbiamo R2 = Span , perché un generi-
0 1
 
x1
co vettore ∈ R2 è il risultato della combinazione lineare
x2
   
1 0 ◮
x1 + x2 . ◮ Abbiamo
 dimostrato solo che R2 ⊂
0 1 1
 
0
Span , , ma il viceversa è ovvio
0 1
2. Lo spazio vettoriale Kn è generato da n vettori e quindi è finita- (Definizione 12.13).
mente generato. La dimostrazione è analoga a quella dell’esem- Questa è una generalizzazione dell’esempio
pio precedente: visto che sarà una parte della dimostrazione della precedente.
Proposizione 14.12, adesso la omettiamo. ◮ ◮ Tuttavia, non è difficile, quindi un lettore
volenteroso può provare a farla da solo.
3. Lo spazio vettoriale dei polinomi K[x1 , x2 , . . . , xn ] non è finitamen-
te generato. Infatti, supponiamo, per assurdo, che lo sia, ossia
K[x1 , x2 , . . . , xn ] = Span (p1 , p2 , . . . , pm ). Il grado del risultato di
una qualsiasi combinazione lineare dei polinomi p1 , p2 , . . . , pm è al
più il massimo grado dei polinomi p∗ , diciamo d, quindi il polino-
mio xd+1
1 non appartiene a Span (p1 , p2 , . . . , pm ), e quindi abbiamo
una contraddizione.
4. Invece, lo spazio vettoriale K6m [x] è finitamente generato. Infatti,
abbiamo K6m [x] = Span (1, x, . . . , xm ). ◮ ◮ Esempio 12.16-6.

Lo stesso vale per K6m[x1 , x2 , . . . , xn ].

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 12/S1
Titolo: SOTTOSPAZI VETTORIALI E SOTTOSPAZI GENERATI
Attività n°: 1

Sessione di Studio 12.1

Sottospazi vettoriali e sottospazi


generati
Lezione 12. Sottospazi vettoriali e sottospazi generati 12–11

Sessione di Studio 12.1



Esercizio 12.1. Considera l’insieme W = Span x2 + x + 1, x2 − x .
• Scrivi alcuni elementi di W .
• Scrivi un generico elemento di W .
• W è un sottospazio vettoriale di R[x]?
• W è finitamente generato?
 
Soluzione. • Alcuni elementi sono 3 x2 + x + 1 + 2 x2 − x =
5x2 + x + 3 e −2 x2 + x + 1 = −2x2 − 2x − 2.
 
• Un generico elemento è a x2 + x + 1 + b x2 − x . ◮ ◮ Può essere anche scritto (a + b)x2 + (a −
b)x + a.
• Sì, per la Proposizione 12.18.
• Sì, perché è generato da due polinomi: x2 + x + 1 e x2 − x.

     
2 −1 1
Esercizio 12.2. Il vettore colonna 3 appartiene a Span  0  , 1?
0 1 2
   
−1 1
Soluzione. Un vettore generico di Span   0 , 1 è
 
1 2
   
−1 1
a  0  + b 1 con a, b ∈ R.
1 2
     
2 −1 1
Il vettore colonna 3 appartiene a Span  0  , 1 se e solo se
0 1 2
     
−1 1 2
l’equazione in forma vettoriale a  0  + b 1 = 3 ha un soluzio-
1 2 0
 
2
ne. L’equazione non ha soluzione ◮, quindi il vettore colonna 3 non ◮ Abbiamo visto come risolvere le equazioni
in forma vettoriale nella Lezione 10.
0
   
−1 1
appartiene a Span  0  , 1.
1 2

Esercizio 12.3. Trova un insieme X tale che il sottospazio vettoriale



W = X ∈ R4 x1 − x3 + x4 = 0, 2x1 + x2 − x4 = 0
di R4 è uguale a Span(X).

x1 − x3 + x4 = 0
Soluzione. Le soluzioni del sistema sono (x1 , x2 , x3 , x4 ) =
2x1 + x2 − x4 = 0
(α − β, −2α + 3β, α, β) con α, β ∈ R, ◮ quindi un generico vettore di ◮ Abbiamo visto come risolvere i sistemi
nella Lezione 4.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 12. Sottospazi vettoriali e sottospazi generati 12–12

 
α−β
−2α + 3β 
W è   con α, β ∈ R. Il vettore generico di W può esse-
 α 
β
   
1 −1
−2 3
re riscritto come α 
 1  + β  0  con α, β ∈ R, cosicché abbiamo
  

0 1
       
1 −1 
 1 −1 
−2  3      
W = Span    ,   e quindi X = −2 ,  3  .
 1   0    1   0 

 

0 1 0 1

  
z1 2

Esercizio 12.4. Il sottospazio vettoriale W = ∈ C iz1 + 2z2 = 0

z2
di C2 è finitamente generato?
Soluzione. Dall’equazione iz1 + 2z2 = 0 otteniamo z2 = − 2i z1 , dove
la
 prima  coordinata z1 ∈ C è libera, quindi un generico vettore di W è
α
con α ∈ C. Il vettore generico di W può essere riscritto come
− 2i α
   
1 1
α i con α ∈ C, cosicché abbiamo W = Span e quindi W
−2 − 2i
è finitamente generato.

Esercizio 12.5. Quali dei seguenti sono sottospazi vettoriali del rispet-
tivo spazio vettoriale?
1. {p(t) ∈ C[t] | p(0) = 3} di C[t].

2. f ∈ Funz (I, V ) f (x) = 0 in Funz (I, V ), dove x è un elemento
fissato di I. ◮ ◮ Esempio 10.6-6 e Esercizio 10.1.
n  o
t
x1 x2 x3 ∈ R3 (x1 )2 + (x2 )2 = 0 di R3 .

3.
Soluzione. 1. No. Abbiamo che il polinomio nullo p0 assume sem-
pre il valore 0, cosicché abbiamo p0 (0) = 0 6= 3 e quindi p0 non
appartiene a {p(t) ∈ C[t] | p(0) = 3}. Visto che l’elemento neutro
per l’addizione di C[t] non appartiene a {p(t) ∈ C[t] | p(0) = 3},
l’insieme {p(t) ∈ C[t] | p(0) = 3} non è un sottospazio vettoriale di
C[t]. ◮ ◮ La prima condizione della Proposizio-
 ne 12.3 is not satisfied.
2. Sì. Controlliamo che f ∈ Funz (I, V ) f (x) = 0 soddisfa le tre
condizioni della Proposizione 12.3.
(SSV1) L’elemento neutro di Funz (I, V ), che è la funzione
 identi-
camente
nulla f 0 ∈ Funz (I, V ), appartiene a f ∈ Funz (I, V ) f (x) =
0 , infatti f0 (x) = 0.

(SSV2) Per ogni g, h ∈ f ∈ Funz (I, V ) f (x) = 0 abbiamo
g + h ∈ f ∈ Funz (I, V ) f (x) = 0 , infatti visto che
g (x) = 0 e h (x) = 0 abbiamo (g + h) (x) = g (x)+ h (x) =
0 + 0 = 0. ◮ ◮ Nella prima uguaglianza abbiamo usato la
definizione dell’addizione in Funz (I, V ),
e nell’ultima uguaglianza il fatto che 0 è
c 2014 Gennaro Amendola
Versione 1.0 l’elemento neutro dell’addizione in V .
Lezione 12. Sottospazi vettoriali e sottospazi generati 12–13


(SSV3) Per ogni g ∈ f ∈ Funz (I, V ) f (x) = 0 and λ ∈ K
abbiamo λ·g ∈ f ∈ Funz (I, V ) f (x) = 0 , infatti visto
che g (x) = 0 abbiamo (λ · g) (x) = λ · g (x) = λ0 = 0. ◮ ◮ Nella prima uguaglianza abbiamo usa-
n
t  o to la definizione della moltiplicazione
x1 x2 x3 ∈ R3 (x1 )2 + (x2 )2 = 0 è forma-

3. Sì. L’insieme per scalare in Funz (I, V ), e nell’ultima
 uguaglianza una proprietà di 0 in V .
t
to dai vettori colonna x1 x2 x3 tali che x1 = x2 = 0, ossia
t 
0 0 α con α ∈ R. Questi vettori possono essere riscritti come
  
t t
α · 0 0 1 con α ∈ R, quindi l’insieme è Span 0 0 1 ,
che è un sottospazio vettoriale di R3 per la Proposizione 12.18. ◮ ◮ Confronta con l’Esempio 12.7-4.

Esercizio 12.6. Dimostra con la definizione che Esempio 12.21-2.


         
2 −1 1 2 1
Span , , = Span , .
3 0 1 3 1
     
−1 2 1
Soluzione. Cominciamo notando che =1· −3· .
0 3 1
         
2 −1 1 2 1
Abbiamo Span , , = Span , , perché
3 0 1 3 1
     
2 −1 1
il risultato di una combinazione lineare a +b +c è anche
3 0 1
   
2 1
il risultato della combinazione lineare (a + 1) + (b − 3) , mentre,
3 1
   
2 1
viceversa, il risultato di una combinazione lineare a +b è anche
3 1
     
2 −1 1
il risultato della combinazione lineare a +0· +b .
3 0 1

Esercizio 12.7. Il sottospazio vettoriale


  
 k

Span  −2k ∈ R3 k ∈ Z  ,
 
3k

di R3 è finitamente generato? ◮ ◮ Esempio 12.17-1.

Soluzione. Abbiamo
    
 k
 1
Span  −2k ∈ R3 k ∈ Z  = Span −2 ,
 
3k 3
infatti
    
 k
 1
3
Span   −2k ∈ R k ∈ Z
  ⊂ Span   −2
 
3k 3
   
k 1
vale perché ogni vettore −2k appartiene a Span −2, e
3k 3
    
 k
 1
3
Span   −2k ∈ R k ∈ Z
  ⊃ Span   −2
 
3k 3

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 12. Sottospazi vettoriali e sottospazi generati 12–14

       
1 k  k

vale perché −2 è uno dei vettori −2k . Allora, l’insieme Span  −2k  ∈ R3 k ∈ Z 
 
3 3k 3k
è generato da un vettore, e quindi è finitamente generato.

   
2 1
Esercizio 12.8. Dimostra che R2 = Span , .
3 1
   
2 2 1
Soluzione. Chiaramente abbiamo R ⊃ Span , . Inoltre,
3 1
     
2 2 1 x1
abbiamo R ⊂ Span , , perché ogni vettore colonna di
3 1 x2
   
2 1
R3 è il risultato di una combinazione lineare dei vettori e , in-
3 1
     
x1 2 1
fatti l’equazione in forma vettoriale =a +b nelle variabili
x2 3 1
a, b ∈ R ha soluzione (a, b) = (x2 − x1 , 3x1 − 2x2 ).

Esercizio 12.9. 1. Dimostra che 1 e i generano lo spazio vettoriale


C sul campo R.
2. Dimostra che 1 genera lo spazio vettoriale C sul campo C.
Soluzione. 1. Ogni numero complesso può essere scritto come il ri-
sultato della combinazione lineare a · 1 + b · i con a, b ∈ R.
2. Ogni numero complesso z ◮ può essere scritto come il risultato della ◮ Qui z è pensato come elemento dello spazio
vettoriale C.
◮.
combinazione lineare z · 1 dove z ∈ C ◮
◮ Qui, invece, z è pensato come elemento del

campo C.

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Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 12/S2
Titolo: SOTTOSPAZI VETTORIALI E SOTTOSPAZI GENERATI
Attività n°: 1

Sessione di Studio 12.2

Sottospazi vettoriali e sottospazi


generati
Lezione 12. Sottospazi vettoriali e sottospazi generati 12–15

Sessione di Studio 12.2


     
1 1 0
 2   0   1 
Esercizio 12.10. Scrivi alcuni vettori di Span 
−1 , −2 , −3.
     

3 0 −4
     
1 4 0
Esercizio 12.11. Scrivi un generico elemento di Span   2 , 0 , 0.
   
3 −1 0
     
1 1 5
Esercizio 12.12. Il vettore colonna appartiene a Span , ?
4 1 4
     
2 −1 1
Esercizio 12.13. Il vettore colonna 3 appartiene a Span  0  , 1?
7 1 2

Esercizio 12.14. Il polinomio 2x4 +x2 −x+7 appartiene a Span x − x2 , 2 + x2 , x4 − 3x2 + 1 ?
Esercizio 12.15. Dimostra con la definizione che Esempio 12.21-2.
         
2 −1 1 −1 1
Span , , = Span , .
3 0 1 0 1
  
 x

Esercizio 12.16. Considera i sottoinsiemi W 1 =   3
y ∈ R x + 2y − 5z = 0

 
z
  
 x

e W2 =   3
y ∈ R 3x − y − z = 0, x − y + z = 0 of R3 .
 
z
1. Scrivi alcuni elementi di W 1 e W 2 .
2. W 1 e W 2 sono sottospazi vettoriali di R3 ?
3. Trova insiemi X1 e X2 tali che W 1 = Span (X1 ) e W 2 = Span (X2 ).
4. W 1 e W 2 sono finitamente generati?
5. La loro intersezione W 1 ∩ W 2 è un sottospazio vettoriale di R3 ?
6. Trova un insieme X tale che W 1 ∩ W 2 = Span(X).
Esercizio 12.17. Quali dei seguenti sono sottospazi vettoriali del ri-
spettivo spazio vettoriale?
  
a+1
1. ∈ R a ∈ R di R2 .
2
3a
   
3+i 3i
2. Span   −1 , 4  di C3 .
 
1−i 0
  
 x1

3. x2  ∈ K3 (3x1 − x2 + x3 )2 = 0 of K3 .
 
x3
4. {X ∈ Kn | 0 = 0} di Kn .

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 12. Sottospazi vettoriali e sottospazi generati 12–16

     
1 1 0
2 0 1
Risultato dell’Esercizio 12.10. −1, −2, −3, Questo esercizio non ha un’unica soluzione,
    
quindi il lettore può trovare una soluzione
3 0 −4 diversa.
           
1 1 0 3 1 1
2 0 1 1 2 0
  + 2   −   =  , 0   + 0   = 04 .
−1 −2 −3 −2 −1 −2
3 0 −4 7 3 0
     
1 4 0
Risultato dell’Esercizio 12.11. a 2 +b 0 +c 0 con a, b, c ∈
    
3 −1 0
◮ Nota che l’ultimo addendo è 03 , cosicché
R. ◮ esso non dà contributo e quindi il generico
elemento può anche essere scritto come
Risultato dell’Esercizio 12.12. Sì.    
1 4
Risultato dell’Esercizio 12.13. Sì. ◮
◮ a 2 + b  0  con a, b ∈ R.
3 −1
Risultato dell’Esercizio 12.14. No.
◮ Confronta con l’Esercizio 12.2.

Risultato
   dell’Esercizio
  12.15. Scrivi ogni combinazione
  lineare
  di Esempio 12.21-2 e Esercizio 12.6.
2 −1 1 −1 1
, e come una combinazione lineare di e ,e
3 0 1 0 1
viceversa.
     
2 1 0
Risultato dell’Esercizio 12.16. 1. Ad esempio, −1 , 2 , 0 ∈
    
0 1 0 Questo esercizio non ha un’unica soluzione,
    quindi il lettore può trovare una soluzione
1 0 diversa.
W 1 e 2 , 0 ∈ W 2 .
1 0
2. Sì.
     
 −2 5   1 
3. Ad esempio, X1 =  1 , 0
   e X2 = 2 . Questo esercizio non ha un’unica soluzione,
    quindi il lettore può trovare una soluzione
0 1 1 diversa.
4. Sì.
5. Sì.
  
 1 
6. X = 2 . ◮ Questo esercizio non ha un’unica soluzione,

1
 quindi il lettore può trovare una soluzione
diversa.
Risultato dell’Esercizio 12.17. 1. No. ◮
◮ ◮ In questo caso abbiamo W 1 = W 1 ∩ W 1 ,
ma nota che ciò può non succedere in
2. Sì. generale.
◮ Non contiene 02 .

3. Sì. ◮

◮ ◮
  
 x1 
4. Sì. ◮ ◮ 3
2

◮  x2 ∈ K (3x1 − x2 + x3 ) = 0 =
◮  
x
 3  
 x1

x2  ∈ K3 3x1 − x2 + x3 = 0 .
 
x3

◮ Confronta con l’Esempio 12.7-4.

◮ {X ∈ Kn | 0 = 0} = Kn .

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 12/S3
Titolo: SOTTOSPAZI VETTORIALI E SOTTOSPAZI GENERATI
Attività n°: 1

Sessione di Studio 12.3

Sottospazi vettoriali e sottospazi


generati
Lezione 12. Sottospazi vettoriali e sottospazi generati 12–17

Sessione di Studio 12.3


Letture supplementari possono essere le seguenti:
• http://it.wikipedia.org/wiki/Sottospazio_vettoriale
• http://it.wikipedia.org/wiki/Copertura_lineare

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 12/S3
Titolo: Sottospazi vettoriali e sottospazi generati
Attività n°: 3

Sessione di Studio 12.3 Quiz

Sottospazi vettoriali e sottospazi


generati
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 12/S3
Titolo: Sottospazi vettoriali e sottospazi generati
Attività n°: 3

• Risolvere il seguente quiz a risposta


multipla in cui per ogni domanda una sola
risposta è giusta.
• Rivedere le risposte del quiz.
Lezione 13

Dipendenza e indipendenza
lineare

In questa lezione ci occuperemo di dipendenza e indipendenza lineare. Lo


scopo è di capire da un lato se tutti i vettori che generano un sottospazio
vettoriale sono necessari per generarlo o no, e dall’altro se un vettore è
il risultato di un’unica combinazione lineare di altri vettori.

13.1 Dipendenza e indipendenza lineare


Abbiamo visto nell’Osservazione 12.14-3 che il sottospazio generato da un
numero finito di vettori {v 1 , v 2 , . . . , v n } coincide con l’insieme dei valori
delle combinazioni lineari dei vettori v 1 , v 2 , . . . , v n . Nell’Esempio 11.4
abbiamo visto che può succedere che un vettore di Span (v 1 , v 2 , . . . , v n )
possa essere espresso come il risultato di più combinazioni lineari dei vet-
tori v 1 , v 2 , . . . , v n . Ciò non succede sempre, come mostrato nel seguente
esempio.
Esempio 13.1. Il vettore 02 ∈ R2 può essere scritto in unmodo  solo
2 1
come risultato di una combinazione lineare dei vettori e , infatti
3 1
     
2 1 0
l’equazione in forma vettoriale x +y = ha solo la soluzione
3 1 0
◮ Abbiamo visto come risolvere le equazioni
(x, y) = (0, 0) ◮. in forma vettoriale nella Lezione 10.
Il vettore nullo è sempre il risultato della combinazione lineare dei Stiamo considerando il vettore 0 perché es-
so appartiene sempre a {v 1 , v2 , . . . , v n }:
vettori v 1 , v 2 , . . . , v n con tutti i coefficienti nulli. Il fatto che esso si vedremo nel seguito che non sarà restrit-
possa esprimere, o meno, come il risultato di altre combinazioni lineari tivo considerare solamente il vettore 0
è una caratteristica importante dei vettori v 1 , v 2 , . . . , v n . Diamo quindi (Proposizione 13.15).

la seguente definizione.
Definizione 13.2. Sia V uno spazio vettoriale su un campo K, e siano
v 1 , v 2 , . . . , v n vettori di V .
• I vettori v 1 , v 2 , . . . , v n sono detti linearmente indipendenti se il Indipendenza lineare
vettore nullo è il risultato di una sola combinazione lineare dei
vettori v 1 , v 2 , . . . , v n (quella con tutti i coefficienti nulli), ossia se,
comunque vengono scelti i coefficienti λ1 , λ2 , . . . , λn ∈ K non tutti

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Versione 1.0
Lezione 13. Dipendenza e indipendenza lineare 13–2

nulli, il risultato della combinazione lineare λ1 v 1 +λ2 v 2 +· · ·+λn v n


non è il vettore nullo.
• I vettori v 1 , v 2 , . . . , v n sono detti linearmente dipendenti se il vet- Dipendenza lineare
tore nullo è il risultato di una combinazione lineare dei vetto-
ri v 1 , v 2 , . . . , v n con coefficienti non tutti nulli, ossia se esistono
λ1 , λ2 , . . . , λn ∈ K non tutti nulli tali che 0 = λ1 v 1 + λ2 v 2 + · · · +
λn v n .
Osservazione 13.3. 1. Le due definizioni di sopra sono complemen-
tari, ossia sono l’una l’inversa dell’altra. Dati i vettori v 1 , v 2 , . . . , v n ∈
V , essi risultano sempre o linearmente indipendenti o linearmente
dipendenti, con le due opzioni che si escludono a vicenda.
2. Zero vettori danno una sola combinazione lineare che vale 0 (Defi-
nizione 11.1), quindi zero vettori sono linearmente indipendenti.
3. Il fatto di essere linearmente indipendenti o dipendenti non dipende
dall’ordine dei vettori.
Osservazione 13.4. Per dimostrare che i vettori v 1 , v 2 , . . . , v n sono li- Dimostriamo l’implicazione λ1 v 1 + λ2 v 2 +
· · · + λn v n = 0 ⇒ λi = 0 ∀i = 1, 2, . . . , n.
nearmente indipendenti possiamo considerare una combinazione lineare
generica il cui risultato è il vettore nullo e dimostrare che tutti i coefficien-
ti sono nulli. Se invece troviamo coefficienti λ1 , λ2 , . . . , λn non tutti nulli In questo caso abbiamo invece trova-
to esplicitamente una combinazione linea-
tali che λ1 v 1 + λ2 v 2 + · · · + λn v n = 0, allora i vettori sono linearmente re con coefficienti non tutti nulli il cui
dipendenti. risultato è 0.

Esempio 13.5.   1.  Nell’Esempio


 13.1 abbiamo dimostrato che i due
2 1
vettori e sono linearmente indipendenti. ◮ ◮ Abbiamo impostato l’equazione
   in forma
3 1  
2 1 0
  vettoriale a · +b· = e abbia-
3 1 0
2 mo notato che essa aveva solo la soluzione
2. Nell’Esempio 11.4-3 abbiamo dimostrato che i tre vettori ,
3 (a, b) = (0, 0), tutta nulla.
   
−1 1
and sono linearmente dipendenti. ◮ ◮ Per dimostrare la dipendenza lineare è suf-
0 1 ficiente mostrare i coefficienti, non tut-
3. I tre vettori geometrici mostrati nella figura sono linearmente di- ti nulli, di una combinazione lineare il
cui risultato è 02 . Per trovarli abbiamo
pendenti, perché la combinazione lineare 1 · v + 2 · w − 1 · u ha impostato
  l’equazione
  in forma
  vettoriale
coefficienti non tutti nulli e risultato 0. a·
2
+b·
−1
+c·
1
=
0
e abbiamo
3 0 1 0
notato che essa aveva anche la soluzione
(a, b, c) = (1, −1, −3) non nulla (sarebbe
stato sufficiente che uno dei tre coefficienti
fosse diverso da 0). Notiamo anche che i
coefficienti non sono univocamente deter-
4. I polinomi 1, x, x2 , . . . , xm sono linearmente indipendenti, infatti minati, infatti anche (a, b, c) = (2, −2, −6)
se la combinazione lineare λ0 · 1 + λ1 x + λ2 x2 + · · · + λm xn ha come è una soluzione non nulla dell’equazione,
risultato il polinomio nullo, allora λi = 0 per ogni i = 0, 1, 2, . . . , m. che dà un’altra combinazione lineare con
coefficienti non tutti nulli e risultato 02 .
Osservazione 13.6. Supponiamo di avere un solo vettore v 1 . Esso è
linearmente indipendente se e solo se è diverso da 0. Infatti, se v1 = 0,
esso è linearmente dipendente perché 0 è il risultato della combinazione
lineare 1v 1 . Se, invece, v 1 6= 0, per la proprietà (SV9) dello spazio
vettoriale V (Proposizione 10.7), l’unico coefficiente λ tale che λv 1 = 0
Se i vettori v 1 , v2 , . . . , v n con n > 2 sono
è λ = 0, quindi v 1 è linearmente indipendente. linearmente dipendenti, non possiamo dire
Proposizione 13.7. Sia V uno spazio vettoriale, e siano v 1 , v 2 , . . . , v n che tutti sono il risultato di una combi-
nazione lineare degli altri. La Proposizio-
vettori di V con n > 2. Essi sono linearmente dipendenti se e solo se ne 13.7 afferma solo che almeno uno di essi
uno di essi è il risultato di una combinazione lineare degli altri. è il risultato di una combinazione lineare
degli altri. Ad esempio, se consideriamo
v 1 = 0 e v 2 6= 0, abbiamo che essi sono
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Versione 1.0 linearmente dipendenti, infatti v 1 è il risul-
tato della combinazione lineare 0v 2 . Tut-
tavia, v2 non è il risultato di nessuna com-
binazione lineare di v1 , perché λv 1 = 0
per tutti i λ ∈ K.
Lezione 13. Dipendenza e indipendenza lineare 13–3

Dimostrazione. (∗∗) Supponiamo che v 1 , v 2 , . . . , v n siano linearmente


dipendenti, e dimostriamo che uno di essi è il risultato di una combina-
zione lineare degli altri. Abbiamo che esistono coefficienti λ1 , λ2 , . . . , λn
non tutti nulli tali che λ1 v 1 + λ2 v 2 + · · · + λn v n = 0. Ciò vuol dire che
esiste almeno un coefficiente λi non nullo, allora abbiamo
i−1   n  
X λj X λj
vi = − vj + − vj .
λi λi
j=1 j=i+1

Dimostriamo ora l’implicazione inversa. Supponiamo che uno dei


vettori, diciamo
Pi−1 v i , è il risultato
Pn di una combinazione lineare degli altri,
ossia v i = j=1 λj v j + j=i+1 λj vj . Allora abbiamo che
i−1
X n
X
λj vj − 1v i + λj v j = 0.
j=1 j=i+1

Osservazione 13.8. Nel caso n = 2, l’enunciato della Proposizione 13.7 Come abbiamo visto sopra, non è detto che
entrambi siano sempre multipli uno dell’al-
può essere rienunciato come segue. tro, perché uno può essere nullo mentre
Due vettori sono linearmente dipendenti se e solo se uno di l’altro no.
Se, però, sono entrambi diversi da 0, al-
essi è multiplo dell’altro. lora dalla dimostrazione della Proposizio-
ne 13.7 possiamo dedurre che due vettori
Esempio 13.9. 1. I due vettori v e w, mostrati nella figura, sono li- sono linearmente dipendenti se e solo se
nearmente indipendenti, infatti non abbiamo né che v è un multiplo ciascuno di essi è multiplo dell’altro.
di w né che w è un multiplo di v.
Invece, i due vettori v e u, mostrati nella figura, sono linearmente
dipendenti, infatti abbiamo che u è un multiplo di v.
   
2 1
2. I due vettori e sono linearmente indipendenti ◮, infatti ◮ Example 13.5-1.
3 1
     
2 1 1
non abbiamo né che è un multiplo di né che è un
3 1 1
 
2 ◮  
2
 
1
multiplo di . ◮ Né l’equazione =k né l’equazio-
3    
3 1
1 2
      ne =k hanno soluzione.
2 −1 1 1 3
3. I tre vettori , e ◮,
sono linearmente dipendenti ◮
3 0 1 ◮ Example 13.5-2.

 
2
infatti abbiamo che è il risultato di una combinazione lineare
3
     
2 −1 1 ◮ 
−1

degli altri due vettori =1 +3 . ◮ In questo caso abbiamo anche che
3 0 1 0
è il risultato di una combinazione
  lineare

Osservazione 13.10. Sia V uno spazio vettoriale, e siano degli altri due vettori
−1
= 1·
2
+
0 3
v 1 , v 2 , . . . , v n ∈ V linearmente dipendenti. Comunque giustapponiamo  
1
 
1
(−3) · e che è il risultato di una
ad essi vettori w1 , w 2 , . . . , wm ∈ V , abbiamo che i vettori 1 1
v 1 , v 2 , . . . , v n , w 1 , w 2 , . . . , wm ∈ V sono linearmente dipendenti. In- combinazione
    lineare deglialtridue vettori
1 1 2 1
 −1
fatti, abbiamo una combinazione .
Pn lineare dei vettori v i con coefficienti λi
= 3· + −3 ·
1 3 0
non tutti P nulli che vale
P 0: i=1 λi v i = 0. Allora anche la combinazione
lineare ni=1 λi v i + m i=1 0w i non ha tutti i coefficienti nulli e vale 0.
Ciò è equivalente a dire che, se i vettori v 1 , v 2 , . . . , v n ∈ V sono Stiamo considerando la contronomiale a
quella dell’affermazione precedente (Osser-
linearmente indipendenti, allora, comunque scegliamo tra essi m vettori vazione 3.9).
wi , ossia {w1 , w 2 , . . . , wm } ⊂ {v 1 , v 2 , . . . , v n }, abbiamo che i vettori
w1 , w2 , . . . , w m ∈ V sono linearmente indipendenti.

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Versione 1.0
Lezione 13. Dipendenza e indipendenza lineare 13–4

   
2 1
Esempio 13.11. 1. I due vettori e sono linearmente indi-
3 1
pendenti◮,quindi, per l’osservazione precedente, anche il singolo ◮ Esempio 13.5-1.
2
vettore è linearmente indipendente, e anche il singolo vettore
3
 
1 ◮ L’Osservazione 13.6 lo conferma.
è linearmente indipendente. ◮
1
      ◮ Esempio 13.5-2.
◮  
2 −1 1 ◮ 2
2. I tre vettori , e sono linearmente dipendenti ◮ ◮, ◮
◮ La combinazione lineare 1 ·
3
+ (−1) ·
3 0 1      
−1 1 0
quindi,
 per l’osservazione precedente,
   comunque
    scegliamo
 un vet- 0
+(−3)·
1
=
0
dei tre vettori si
x1 2 −1 1 x1  
2
tore i quattro vettori , , e sono linear- estende alla combinazione lineare 1 ·
3
+
x2 3 0 1 x2      
−1 1 x1
mente dipendenti. ◮ ◮
◮ (−1) ·
0
+ (−3) ·
1
+0·
x2
=
 
0
Un caso particolare dell’osservazione precedente è il seguente. 0
che ha come risultato 02 e non tutti i

Osservazione 13.12. Se uno dei vettori v 1 , v 2 , . . . , v n ∈ V è nullo, essi coefficienti nulli.


Il viceversa non è vero, ossia vetto-
sono linearmente dipendenti. Infatti, il vettore nullo è linearmente di- ri diversi da 0 possono essere linear-
pendente, quindi giustapponendo gli altri n − 1 otteniamo ancora vettori mente dipendenti, come abbiamo visto
linearmente dipendenti. nell’Esempio 13.5-2.

Osservazione 13.13. L’implicazione inversa di quella dell’Osservazio-


ne 13.10 è falsa, ossia se giustapponiamo a vettori linearmente indi-
pendenti v 1 , v 2 , . . . , v n ∈ V altri vettori w1 , w2 , . . . , w m ∈ V , possia-
mo anche avere che i vettori v 1 , v 2 , . . . , v n , w 1 , w 2 , . . . , wm ∈ V sono
linearmente dipendenti. ◮ ◮ Il fatto che sia falsa non ci assicura che ciò
succede sempre: possiamo avere anche che
Equivalentemente, se i vettori v 1 , v 2 , . . . , v n ∈ V sono linearmente i vettori v1 , v 2 , . . . , v n , w 1 , w 2 , . . . , w m ∈
dipendenti e se scegliamo tra essi m vettori wi , ossia {w1 , w2 , . . . , w m } ⊂ V sono linearmente indipendenti.
{v 1 , v 2 , . . . , v n }, possiamo avere che i vettori w1 , w 2 , . . . , w m ∈ V sono
linearmente indipendenti. ◮ ◮ Il fatto che sia falsa non ci assicura che
    ciò succede sempre: possiamo avere anche
2 1 che i vettori w 1 , w 2 , . . . , w m ∈ V sono
Esempio 13.14. 1. I due vettori e sono linearmente in- linearmente dipendenti.
3 1
 
−1
dipendenti ◮, ma giustapponendo il vettore otteniamo tre ◮ Esempio 13.5-1.
0
vettori linearmente dipendenti ◮. ◮ Esempio 13.5-2.
     
2 −1 1
2. I tre vettori , e sono linearmente dipendenti ◮, ◮ Esempio 13.5-2.
3 0 1
   
2 1
scegliendo tra essi i due vettori e otteniamo due vettori
3 1
linearmente indipendenti ◮. ◮ Esempio 13.5-1.

Proposizione 13.15. Sia V uno spazio vettoriale, e siano v 1 , v 2 , . . . , v n Per la Definizione 13.2 sappiamo che i vet-
tori v1 , v 2 , . . . , v n sono linearmente indi-
vettori di V . Essi sono linearmente indipendenti se e solo se ogni vettore pendenti se e solo se il vettore nullo è
di Span (v 1 , v 2 , . . . , v n ) è il risultato di una sola combinazione lineare dei il risultato di una sola combinazione li-
vettori v 1 , v 2 , . . . , v n . neare dei vettori v 1 , v 2 , . . . , v n . Se que-
sto è vero (per il vettore nullo), auto-
maticamente è vero per tutti i vettori di
Dimostrazione. (∗∗) Dobbiamo dimostrare due implicazioni. Supponia- Span (v 1 , v2 , . . . , v n ).
mo che ogni vettore di Span (v 1 , v 2 , . . . , v n ) è il risultato di una sola
combinazione lineare dei vettori v 1 , v 2 , . . . , v n . In particolare, il vettore
0 è il risultato di una sola combinazione lineare dei vettori v 1 , v 2 , . . . , v n ,
quindi i vettori v1 , v 2 , . . . , v n sono linearmente indipendenti.

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Versione 1.0
Lezione 13. Dipendenza e indipendenza lineare 13–5

Dimostriamo ora l’implicazione inversa. Supponiamo che i vettori


v 1 , v 2 , . . . , v n sono linearmente indipendenti. Supponiamo per assurdo
che un vettore di Span (v 1 , v 2 , . . . , v n ) è il risultato di due combinazioni
lineari distinte dei vettori v 1 , v 2 , . . . , v n :
λ1 v 1 + λ2 v 2 + · · · + λn v n and µ1 v 1 + µ2 v 2 + · · · + µn v n .
Allora abbiamo
λ1 v 1 + λ2 v 2 + · · · + λn v n = µ1 v 1 + µ2 v 2 + · · · + µn v n ,
ossia
(λ1 − µ1 ) v 1 + (λ2 − µ2 ) v 2 + · · · + (λn − µn ) vn = 0.
Visto che le due combinazioni lineari sono distinte, almeno un coefficiente
λi è diverso dal corrispondente µi , quindi abbiamo λi − µi 6= 0. Abbiamo
trovato una combinazione lineare dei vettori v 1 , v 2 , . . . , v n con i coeffi-
cienti non tutti nulli e il cui risultato è 0. Ciò contraddice l’indipendenza
lineare dei vettori v1 , v 2 , . . . , v n : abbiamo concluso la dimostrazione.
Osservazione 13.16. La proposizione precedente è vera anche se consi-
deriamo zero vettori. Infatti, zero vettori sono linearmente indipenden-
ti, e in Span (∅) = {0} c’è un solo vettore che è il risultato dell’unica
combinazione lineare degli zero vettori.
   
2 1
Esempio 13.17. 1. I due vettori colonna e sono linear-
3 1
 
5
mente indipendenti . Ad esempio, il vettore colonna
◮ ap- ◮ Esempio 13.5-1.
9
   
2 1
partiene a Span , ed è il risultato di una sola com-
3 1
   
2 1 ◮
binazione lineare dei due vettori e , infatti l’equazione ◮ Visto chel’equazione ha
 una
 soluzione,
3 1 5

2 1

      abbiamo ∈ Span , ; vi-
5 2 1 9 3 1
in forma vettoriale = a +b ha solo la soluzione stoche la soluzione è unica, abbiamo che
9 3 1 
5
è il risultato di una sola combinazione
(a, b) = (4, −3). 9
   
  2 1
2 lineare dei due vettori e .
3 1
2. Generalizzando ciò che abbiamo appena fatto, i due vettori
3
   
1 x1
e sono linearmente indipendenti, e ogni vettore che
1 x2
   
2 1    
2 1
appartiene a Span , ◮ è il risultato di una sola com- ◮ Abbiamo Span , = R2 (Eser-
3 1 3 1
    cizio 12.8), quindi non abbiamo restrizio-
2 1 ◮  
x1
binazione lineare dei due vettori e ◮, infatti l’equazione ni sul vettore perché appartiene a
3 1    
x2
      2 1
x1 2 1 Span , .
in forma vettoriale = a +b ha solo la soluzione 3 1
x2 3 1
◮ Nell’equazione le coordinate x1 e x2 sono

(a, b) = (x2 − x1 , 3x1 − 2x2 ). parametri, mentre a e b sono incognite.
Proposizione 13.18. Sia V uno spazio vettoriale, e siano v 1 , v 2 , . . . , v n
vettori in V . Si supponga inoltre che w1 , w2 , . . . , w m ∈ V sono tali che
• w1 , w 2 , . . . , wm ∈ Span (v 1 , v 2 , . . . , v n ),
• w1 , w 2 , . . . , wm sono linearmente indipendenti.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 13. Dipendenza e indipendenza lineare 13–6

Allora si ha m 6 n.
Non daremo la dimostrazione di questa proposizione, anche se non è
difficile.
Considerando l’implicazione contronominale ◮ all’enunciato della pro- ◮ Osservazione 3.9.
posizione precedente otteniamo la proposizione equivalente seguente.
Proposizione 13.19. Sia V uno spazio vettoriale, e siano v 1 , v 2 , . . . , v n
vettori in V . Si supponga inoltre che w 1 , w 2 , . . . , wm ∈ V siano tali che
• w1 , w 2 , . . . , wm ∈ Span (v 1 , v 2 , . . . , v n ),
• m > n.
Allora, i vettori w1 , w2 , . . . , w m sono linearmente dipendenti.
Esempio 13.20. 1. Abbiamo
         
1 1 2 −1 1  
1
 
1
• , ∈ Span , , ,◮ ◮ Per è ovvio, mentre per ab-
1 3 3 0 1 1 3
    biamo mostrato una combinazione lineare
1 2 nell’Esempio 11.2-2.
• e sono linearmente indipendenti ◮
◮.
1 3 ◮ Esempio 13.5-1.

Infatti abbiamo 2 6 3.
2. Abbiamo
         
2 −1 1 1 0
• , , ∈ Span , ,◮ ◮ Nell’Esempio
  12.29-1 abbiamo visto che
3 0 1 0 1 1 0

Span , = R2 .
• 3 > 2. 0 1
     
2 −1 1
Infatti i vettori , e sono linearmente dipendenti. ◮ ◮ Esempio 13.5-2.
3 0 1
3. L’esempio precedente può essere generalizzato e possiamo dimo-
strare che non possono esistere tre vettori linearmente indipen-
2
né in R2 né
denti  2
nel piano V E , infatti abbiamo visto che R =
1 0
Span , e quindi, per la Proposizione 13.19, comunque
0 1
consideriamo m vettori colonna con m > 2, essi sono linearmente
dipendenti. ◮ ◮ Usando un sistema di riferimento cartesia-
no in V 2E possiamo identificare i vettori
4. Generalizzando ancora abbiamo che non possono esistere n+1 vet- geometrici con gli elementi di R2 , quindi
tori linearmente indipendenti in Kn , infatti Kn è generato da n vet- lo stesso risultato vale anche per V 2E .

◮ e quindi, per la Proposizione 13.19, comunque consideriamo


tori ◮ ◮ Esempio 12.29-2.

m vettori colonna con m > n, essi sono linearmente dipendenti.


Osservazione 13.21. 1. Siano X (1) , X (2) , . . . , X (k) ∈ Kn vettori co- Inserendo coordinate in vettori colon-
na linearmente indipendenti, essi restano
lonna con coordinate linearmente indipendenti.
 (1)   (2)   (k) 
x1 x1 x
 (1)   (2)   1(k) 
x2  x2  x2 
X (1) =   (2)
 ..  , X =  ..  , . . . , X =  ..  .
  (k)  
 .   .   . 
(1) (2) (k)
xn xn xn
Siano i1 , i2 , . . . , im indici con 1 6 i1 < i2 < · · · < im 6 n, e sia-
no Y (1) , Y (2) , . . . , Y (k) ∈ Km i vettori colonna ottenuti rispettiva-
mente da X (1) , X (2) , . . . , X (k) , eliminando le coordinate con indici

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Versione 1.0
Lezione 13. Dipendenza e indipendenza lineare 13–7

diversi da i1 , i2 , . . . , im , ossia
 (1)   (2)   (k) 
x i1 x i1 x i1
 (1)   (2)   (k) 
(1)
 x i2  (2)
xi2  (k)
 x i2 
Y =  . , Y
  =  . ,..., Y
  = . 

.
 .  . .
 .   .. 
(1) (2) (k)
x im x im x im
Se i vettori colonna Y (1) , Y (2) , . . . , Y (k) sono linearmente indipen-
denti, allora anche i vettori colonna X (1) , X (2) , . . . , X (k) sono li-
nearmente indipendenti.
Per dimostrarlo, consideriamo una combinazione lineare dei vettori
colonna X (1) , X (2) , . . . , X (k) il cui risultato è nullo,
α1 X (1) + α2 X (2) + · · · + αk X (k) = 0n ,
e dimostriamo che αi = 0 per ogni i = 1, 2, . . . , k. Utilizzando le
coordinate abbiamo il sistema

(1) (2) (k)


 α1 x1 + α2 x1 + · · · + αk x1 = 0
 α x(1) + α x(2) + · · · + α x(k) = 0

1 2 2 2 k 2
.. .


 .

 (1) (2) (k)
α1 xn + α2 xn + · · · + αk xn = 0
Considerando soltanto le equazioni i1 -esima, i2 -esima,. . . , im -esima,
abbiamo il sistema
 (1) (2) (k)

 α1 xi1 + α2 xi1 + · · · + αk xi1 = 0

 α x(1) + α x(2) + · · · + α x(k) = 0

1 i2 2 i2 k i2
. ,
 ..



 (1) (2) (k)
α1 xim + α2 xim + · · · + αk xim = 0
che, in forma vettoriale, è equivalente a
α1 Y (1) + α2 Y (2) + · · · + αk Y (k) = 0m .
Visto che stiamo assumendo che i vettori colonna Y (1) , Y (2) , . . . , Y (k)
sono linearmente indipendenti, abbiamo αi = 0 per ogni i =
1, 2, . . . , k, ossia che i vettori colonna X (1) , X (2) , . . . , X (k) sono
linearmente indipendenti.
2. Considerando l’implicazione contronominale ◮ di quanto enunciato Rimuovendo coordinate da vettori linear-
mente dipendenti, essi restano linearmente
sopra otteniamo che se i vettori colonna X (1) , X (2) , . . . , X (k) sono dipendenti.
linearmente dipendenti, allora anche i vettori colonna ◮ Remark 3.9.
Y (1) , Y (2) , . . . , Y (k) sono linearmente dipendenti.
   
2 1
Esempio 13.22. 1. I due vettori colonna e sono linear-
3 1
mente indipendenti ◮ , quindi per l’Osservazione 13.21-1 anche i ◮ Esempio 13.5-1.
due vettori colonna,
  ottenuti   inserendo arbitrariamente la seconda
2 1
coordinata, −1 e 4 sono linearmente indipendenti ◮.
   ◮ Il conto esplicito (Esercizio 13.9-3) è
inutile.
3 1

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 13. Dipendenza e indipendenza lineare 13–8

     
2 −1 1
2. I tre vettori colonna 3,  0  e 1 sono linearmente di-
7 1 2
pendenti ◮, quindi per l’Osservazione 13.21-2 anche i tre vettori ◮ La combinazione lineare con coefficien-
ti 1, −1, −3 ha come risultato 03
colonna,
   ottenuti
   rimuovendo arbitrariamente la terza coordinata, (Esercizio 13.1).
2 −1 1
, e sono linearmente dipendenti ◮. ◮ Esempio 13.5-2.
3 0 1
Osservazione 13.23. Il viceversa di quanto enunciato nell’Osservazio-
ne 13.21 non è vero (i controesempi sono nell’esempio sotto).
1. Se i vettori colonna X (1) , X (2) , . . . , X (k) sono linearmente indipen- Inserendo coordinate in vettori colonna
linearmente dipendenti, essi possono re-
denti, allora i vettori colonna Y (1) , Y (2) , . . . , Y (k) possono essere stare linearmente dipendenti o diventare
linearmente dipendenti (oppure essere linearmente indipendenti). linearmente indipendenti.

2. Analogamente, se i vettori colonna Y (1) , Y (2) , . . . , Y (k) sono linear- Rimuovendo coordinate da vettori colonna
linearmente indipendenti, essi possono re-
mente dipendenti, allora i vettori colonna X (1) , X (2) , . . . , X (k) pos- stare linearmente indipendenti o diventare
sono essere linearmente indipendenti (oppure essere linearmente linearmente dipendenti.
dipendenti).
 
1
Esempio 13.24. 1. Il singolo vettore 0 è linearmente indipen-

0
 
0
dente. Rimuovendo la prima coordinata diventa che è li-
0
nearmente  dipendente, mentre rimuovendo la seconda coordinata
1
diventa che è linearmente indipendente. ◮ ◮ Osservazione 13.6.
0
     
2 −1 1
2. I tre vettori , e sono linearmente dipendenti ◮. In- ◮ Esempio 13.5-2.
3 0 1
 
2
serendo una terza coordinata possiamo ottenere i tre vettori 3, 
7
   
−1 1
 0  e 1 che sono linearmente dipendenti ◮, oppure i tre ◮ La combinazione lineare con coefficien-
ti 1, −1, −3 ha come risultato 03
1 2 (Esercizio 13.1).
     
2 −1 1
vettori 3 ,
   0  e 1 che sono linearmente indipendenti ◮ .
 ◮ Esercizio 13.2.
0 1 2
Proposizione 13.25. Sia V uno spazio vettoriale, siano v 1 , v 2 , . . . , v n
vettori linearmente indipendenti in V , e sia v un vettore in V . I seguenti
fatti sono equivalenti fra loro:
• v1 , v 2 , . . . , v n , v sono linearmente indipendenti,
• v 6∈ Span (v 1 , v 2 , . . . , v n ).
Non daremo la dimostrazione di questa proposizione, anche se non è
difficile.
Osservazione 13.26. La proposizione precedente è vera anche se consi-
deriamo zero vettori (che sono linearmente indipendenti) di V e v ∈ V .
Infatti, v è linearmente indipendente se e solo se v 6= 0 ◮, ossia v 6∈ ◮ Osservazione 13.6.
{0} = Span (∅).

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Versione 1.0
Lezione 13. Dipendenza e indipendenza lineare 13–9

Esempio 13.27. 1. Consideriamo


 ivettori
  di R3 dell’Esempio 13.24-2.
−1 1
Abbiamo che i due vettori  0  e 1 sono linearmente indi-
1 2      
2 −1 1
pendenti .◮ ◮ Lo sono i tre vettori 3,  0  e 1,
      0 1 2
−1 1 2 quindi per l’Osservazione 13.10 lo sono
 
I tre vettori  0 , 1 e 3 sono linearmente indipendenti, −1 1
anche  0  e 1.
1 2 0 1 2
     
2 −1 1
infatti 3 6∈ Span  0  , 1 ◮. ◮ Exercise 12.2.
0 1 2
     
−1 1 2
I tre vettori  0 , 1 e 3 sono linearmente dipendenti,
1 2 7
     
2 −1 1
infatti 3 ∈ Span
    0 , 1 ◮.
  ◮ Esercizio 12.13.
7 1 2
2. Dati i due vettori geometrici linearmente indipendenti in V 3E , v 1
e v 2 , mostrati nella figura, essi generano un piano π. Il vetto-
re geometrico w appartiene al piano π, quindi i vettori v 1 , v 2 , w
sono linearmente dipendenti. Invece, il vettore geometrico u non
appartiene al piano π, quindi i vettori v 1 , v 2 , u sono linearmente
indipendenti.

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Versione 1.0
Lezione 13

Dipendenza e indipendenza
lineare

In questa lezione ci occuperemo di dipendenza e indipendenza lineare. Lo


scopo è di capire da un lato se tutti i vettori che generano un sottospazio
vettoriale sono necessari per generarlo o no, e dall’altro se un vettore è
il risultato di un’unica combinazione lineare di altri vettori.

13.1 Dipendenza e indipendenza lineare


Abbiamo visto nell’Osservazione 12.14-3 che il sottospazio generato da un
numero finito di vettori {v 1 , v 2 , . . . , v n } coincide con l’insieme dei valori
delle combinazioni lineari dei vettori v 1 , v 2 , . . . , v n . Nell’Esempio 11.4
abbiamo visto che può succedere che un vettore di Span (v 1 , v 2 , . . . , v n )
possa essere espresso come il risultato di più combinazioni lineari dei vet-
tori v 1 , v 2 , . . . , v n . Ciò non succede sempre, come mostrato nel seguente
esempio.
Esempio 13.1. Il vettore 02 ∈ R2 può essere scritto in unmodo  solo
2 1
come risultato di una combinazione lineare dei vettori e , infatti
3 1
     
2 1 0
l’equazione in forma vettoriale x +y = ha solo la soluzione
3 1 0
◮ Abbiamo visto come risolvere le equazioni
(x, y) = (0, 0) ◮. in forma vettoriale nella Lezione 10.
Il vettore nullo è sempre il risultato della combinazione lineare dei Stiamo considerando il vettore 0 perché es-
so appartiene sempre a {v 1 , v2 , . . . , v n }:
vettori v 1 , v 2 , . . . , v n con tutti i coefficienti nulli. Il fatto che esso si vedremo nel seguito che non sarà restrit-
possa esprimere, o meno, come il risultato di altre combinazioni lineari tivo considerare solamente il vettore 0
è una caratteristica importante dei vettori v 1 , v 2 , . . . , v n . Diamo quindi (Proposizione 13.15).

la seguente definizione.
Definizione 13.2. Sia V uno spazio vettoriale su un campo K, e siano
v 1 , v 2 , . . . , v n vettori di V .
• I vettori v 1 , v 2 , . . . , v n sono detti linearmente indipendenti se il Indipendenza lineare
vettore nullo è il risultato di una sola combinazione lineare dei
vettori v 1 , v 2 , . . . , v n (quella con tutti i coefficienti nulli), ossia se,
comunque vengono scelti i coefficienti λ1 , λ2 , . . . , λn ∈ K non tutti

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Versione 1.0
Lezione 13. Dipendenza e indipendenza lineare 13–2

nulli, il risultato della combinazione lineare λ1 v 1 +λ2 v 2 +· · ·+λn v n


non è il vettore nullo.
• I vettori v 1 , v 2 , . . . , v n sono detti linearmente dipendenti se il vet- Dipendenza lineare
tore nullo è il risultato di una combinazione lineare dei vetto-
ri v 1 , v 2 , . . . , v n con coefficienti non tutti nulli, ossia se esistono
λ1 , λ2 , . . . , λn ∈ K non tutti nulli tali che 0 = λ1 v 1 + λ2 v 2 + · · · +
λn v n .
Osservazione 13.3. 1. Le due definizioni di sopra sono complemen-
tari, ossia sono l’una l’inversa dell’altra. Dati i vettori v 1 , v 2 , . . . , v n ∈
V , essi risultano sempre o linearmente indipendenti o linearmente
dipendenti, con le due opzioni che si escludono a vicenda.
2. Zero vettori danno una sola combinazione lineare che vale 0 (Defi-
nizione 11.1), quindi zero vettori sono linearmente indipendenti.
3. Il fatto di essere linearmente indipendenti o dipendenti non dipende
dall’ordine dei vettori.
Osservazione 13.4. Per dimostrare che i vettori v 1 , v 2 , . . . , v n sono li- Dimostriamo l’implicazione λ1 v 1 + λ2 v 2 +
· · · + λn v n = 0 ⇒ λi = 0 ∀i = 1, 2, . . . , n.
nearmente indipendenti possiamo considerare una combinazione lineare
generica il cui risultato è il vettore nullo e dimostrare che tutti i coefficien-
ti sono nulli. Se invece troviamo coefficienti λ1 , λ2 , . . . , λn non tutti nulli In questo caso abbiamo invece trova-
to esplicitamente una combinazione linea-
tali che λ1 v 1 + λ2 v 2 + · · · + λn v n = 0, allora i vettori sono linearmente re con coefficienti non tutti nulli il cui
dipendenti. risultato è 0.

Esempio 13.5.   1.  Nell’Esempio


 13.1 abbiamo dimostrato che i due
2 1
vettori e sono linearmente indipendenti. ◮ ◮ Abbiamo impostato l’equazione
   in forma
3 1  
2 1 0
  vettoriale a · +b· = e abbia-
3 1 0
2 mo notato che essa aveva solo la soluzione
2. Nell’Esempio 11.4-3 abbiamo dimostrato che i tre vettori ,
3 (a, b) = (0, 0), tutta nulla.
   
−1 1
and sono linearmente dipendenti. ◮ ◮ Per dimostrare la dipendenza lineare è suf-
0 1 ficiente mostrare i coefficienti, non tut-
3. I tre vettori geometrici mostrati nella figura sono linearmente di- ti nulli, di una combinazione lineare il
cui risultato è 02 . Per trovarli abbiamo
pendenti, perché la combinazione lineare 1 · v + 2 · w − 1 · u ha impostato
  l’equazione
  in forma
  vettoriale
coefficienti non tutti nulli e risultato 0. a·
2
+b·
−1
+c·
1
=
0
e abbiamo
3 0 1 0
notato che essa aveva anche la soluzione
(a, b, c) = (1, −1, −3) non nulla (sarebbe
stato sufficiente che uno dei tre coefficienti
fosse diverso da 0). Notiamo anche che i
coefficienti non sono univocamente deter-
4. I polinomi 1, x, x2 , . . . , xm sono linearmente indipendenti, infatti minati, infatti anche (a, b, c) = (2, −2, −6)
se la combinazione lineare λ0 · 1 + λ1 x + λ2 x2 + · · · + λm xn ha come è una soluzione non nulla dell’equazione,
risultato il polinomio nullo, allora λi = 0 per ogni i = 0, 1, 2, . . . , m. che dà un’altra combinazione lineare con
coefficienti non tutti nulli e risultato 02 .
Osservazione 13.6. Supponiamo di avere un solo vettore v 1 . Esso è
linearmente indipendente se e solo se è diverso da 0. Infatti, se v1 = 0,
esso è linearmente dipendente perché 0 è il risultato della combinazione
lineare 1v 1 . Se, invece, v 1 6= 0, per la proprietà (SV9) dello spazio
vettoriale V (Proposizione 10.7), l’unico coefficiente λ tale che λv 1 = 0
Se i vettori v 1 , v2 , . . . , v n con n > 2 sono
è λ = 0, quindi v 1 è linearmente indipendente. linearmente dipendenti, non possiamo dire
Proposizione 13.7. Sia V uno spazio vettoriale, e siano v 1 , v 2 , . . . , v n che tutti sono il risultato di una combi-
nazione lineare degli altri. La Proposizio-
vettori di V con n > 2. Essi sono linearmente dipendenti se e solo se ne 13.7 afferma solo che almeno uno di essi
uno di essi è il risultato di una combinazione lineare degli altri. è il risultato di una combinazione lineare
degli altri. Ad esempio, se consideriamo
v 1 = 0 e v 2 6= 0, abbiamo che essi sono
c 2014 Gennaro Amendola
Versione 1.0 linearmente dipendenti, infatti v 1 è il risul-
tato della combinazione lineare 0v 2 . Tut-
tavia, v2 non è il risultato di nessuna com-
binazione lineare di v1 , perché λv 1 = 0
per tutti i λ ∈ K.
Lezione 13. Dipendenza e indipendenza lineare 13–3

Dimostrazione. (∗∗) Supponiamo che v 1 , v 2 , . . . , v n siano linearmente


dipendenti, e dimostriamo che uno di essi è il risultato di una combina-
zione lineare degli altri. Abbiamo che esistono coefficienti λ1 , λ2 , . . . , λn
non tutti nulli tali che λ1 v 1 + λ2 v 2 + · · · + λn v n = 0. Ciò vuol dire che
esiste almeno un coefficiente λi non nullo, allora abbiamo
i−1   n  
X λj X λj
vi = − vj + − vj .
λi λi
j=1 j=i+1

Dimostriamo ora l’implicazione inversa. Supponiamo che uno dei


vettori, diciamo
Pi−1 v i , è il risultato
Pn di una combinazione lineare degli altri,
ossia v i = j=1 λj v j + j=i+1 λj vj . Allora abbiamo che
i−1
X n
X
λj vj − 1v i + λj v j = 0.
j=1 j=i+1

Osservazione 13.8. Nel caso n = 2, l’enunciato della Proposizione 13.7 Come abbiamo visto sopra, non è detto che
entrambi siano sempre multipli uno dell’al-
può essere rienunciato come segue. tro, perché uno può essere nullo mentre
Due vettori sono linearmente dipendenti se e solo se uno di l’altro no.
Se, però, sono entrambi diversi da 0, al-
essi è multiplo dell’altro. lora dalla dimostrazione della Proposizio-
ne 13.7 possiamo dedurre che due vettori
Esempio 13.9. 1. I due vettori v e w, mostrati nella figura, sono li- sono linearmente dipendenti se e solo se
nearmente indipendenti, infatti non abbiamo né che v è un multiplo ciascuno di essi è multiplo dell’altro.
di w né che w è un multiplo di v.
Invece, i due vettori v e u, mostrati nella figura, sono linearmente
dipendenti, infatti abbiamo che u è un multiplo di v.
   
2 1
2. I due vettori e sono linearmente indipendenti ◮, infatti ◮ Example 13.5-1.
3 1
     
2 1 1
non abbiamo né che è un multiplo di né che è un
3 1 1
 
2 ◮  
2
 
1
multiplo di . ◮ Né l’equazione =k né l’equazio-
3    
3 1
1 2
      ne =k hanno soluzione.
2 −1 1 1 3
3. I tre vettori , e ◮,
sono linearmente dipendenti ◮
3 0 1 ◮ Example 13.5-2.

 
2
infatti abbiamo che è il risultato di una combinazione lineare
3
     
2 −1 1 ◮ 
−1

degli altri due vettori =1 +3 . ◮ In questo caso abbiamo anche che
3 0 1 0
è il risultato di una combinazione
  lineare

Osservazione 13.10. Sia V uno spazio vettoriale, e siano degli altri due vettori
−1
= 1·
2
+
0 3
v 1 , v 2 , . . . , v n ∈ V linearmente dipendenti. Comunque giustapponiamo  
1
 
1
(−3) · e che è il risultato di una
ad essi vettori w1 , w 2 , . . . , wm ∈ V , abbiamo che i vettori 1 1
v 1 , v 2 , . . . , v n , w 1 , w 2 , . . . , wm ∈ V sono linearmente dipendenti. In- combinazione
    lineare deglialtridue vettori
1 1 2 1
 −1
fatti, abbiamo una combinazione .
Pn lineare dei vettori v i con coefficienti λi
= 3· + −3 ·
1 3 0
non tutti P nulli che vale
P 0: i=1 λi v i = 0. Allora anche la combinazione
lineare ni=1 λi v i + m i=1 0w i non ha tutti i coefficienti nulli e vale 0.
Ciò è equivalente a dire che, se i vettori v 1 , v 2 , . . . , v n ∈ V sono Stiamo considerando la contronomiale a
quella dell’affermazione precedente (Osser-
linearmente indipendenti, allora, comunque scegliamo tra essi m vettori vazione 3.9).
wi , ossia {w1 , w 2 , . . . , wm } ⊂ {v 1 , v 2 , . . . , v n }, abbiamo che i vettori
w1 , w2 , . . . , w m ∈ V sono linearmente indipendenti.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 13. Dipendenza e indipendenza lineare 13–4

   
2 1
Esempio 13.11. 1. I due vettori e sono linearmente indi-
3 1
pendenti◮,quindi, per l’osservazione precedente, anche il singolo ◮ Esempio 13.5-1.
2
vettore è linearmente indipendente, e anche il singolo vettore
3
 
1 ◮ L’Osservazione 13.6 lo conferma.
è linearmente indipendente. ◮
1
      ◮ Esempio 13.5-2.
◮  
2 −1 1 ◮ 2
2. I tre vettori , e sono linearmente dipendenti ◮ ◮, ◮
◮ La combinazione lineare 1 ·
3
+ (−1) ·
3 0 1      
−1 1 0
quindi,
 per l’osservazione precedente,
   comunque
    scegliamo
 un vet- 0
+(−3)·
1
=
0
dei tre vettori si
x1 2 −1 1 x1  
2
tore i quattro vettori , , e sono linear- estende alla combinazione lineare 1 ·
3
+
x2 3 0 1 x2      
−1 1 x1
mente dipendenti. ◮ ◮
◮ (−1) ·
0
+ (−3) ·
1
+0·
x2
=
 
0
Un caso particolare dell’osservazione precedente è il seguente. 0
che ha come risultato 02 e non tutti i

Osservazione 13.12. Se uno dei vettori v 1 , v 2 , . . . , v n ∈ V è nullo, essi coefficienti nulli.


Il viceversa non è vero, ossia vetto-
sono linearmente dipendenti. Infatti, il vettore nullo è linearmente di- ri diversi da 0 possono essere linear-
pendente, quindi giustapponendo gli altri n − 1 otteniamo ancora vettori mente dipendenti, come abbiamo visto
linearmente dipendenti. nell’Esempio 13.5-2.

Osservazione 13.13. L’implicazione inversa di quella dell’Osservazio-


ne 13.10 è falsa, ossia se giustapponiamo a vettori linearmente indi-
pendenti v 1 , v 2 , . . . , v n ∈ V altri vettori w1 , w2 , . . . , w m ∈ V , possia-
mo anche avere che i vettori v 1 , v 2 , . . . , v n , w 1 , w 2 , . . . , wm ∈ V sono
linearmente dipendenti. ◮ ◮ Il fatto che sia falsa non ci assicura che ciò
succede sempre: possiamo avere anche che
Equivalentemente, se i vettori v 1 , v 2 , . . . , v n ∈ V sono linearmente i vettori v1 , v 2 , . . . , v n , w 1 , w 2 , . . . , w m ∈
dipendenti e se scegliamo tra essi m vettori wi , ossia {w1 , w2 , . . . , w m } ⊂ V sono linearmente indipendenti.
{v 1 , v 2 , . . . , v n }, possiamo avere che i vettori w1 , w 2 , . . . , w m ∈ V sono
linearmente indipendenti. ◮ ◮ Il fatto che sia falsa non ci assicura che
    ciò succede sempre: possiamo avere anche
2 1 che i vettori w 1 , w 2 , . . . , w m ∈ V sono
Esempio 13.14. 1. I due vettori e sono linearmente in- linearmente dipendenti.
3 1
 
−1
dipendenti ◮, ma giustapponendo il vettore otteniamo tre ◮ Esempio 13.5-1.
0
vettori linearmente dipendenti ◮. ◮ Esempio 13.5-2.
     
2 −1 1
2. I tre vettori , e sono linearmente dipendenti ◮, ◮ Esempio 13.5-2.
3 0 1
   
2 1
scegliendo tra essi i due vettori e otteniamo due vettori
3 1
linearmente indipendenti ◮. ◮ Esempio 13.5-1.

Proposizione 13.15. Sia V uno spazio vettoriale, e siano v 1 , v 2 , . . . , v n Per la Definizione 13.2 sappiamo che i vet-
tori v1 , v 2 , . . . , v n sono linearmente indi-
vettori di V . Essi sono linearmente indipendenti se e solo se ogni vettore pendenti se e solo se il vettore nullo è
di Span (v 1 , v 2 , . . . , v n ) è il risultato di una sola combinazione lineare dei il risultato di una sola combinazione li-
vettori v 1 , v 2 , . . . , v n . neare dei vettori v 1 , v 2 , . . . , v n . Se que-
sto è vero (per il vettore nullo), auto-
maticamente è vero per tutti i vettori di
Dimostrazione. (∗∗) Dobbiamo dimostrare due implicazioni. Supponia- Span (v 1 , v2 , . . . , v n ).
mo che ogni vettore di Span (v 1 , v 2 , . . . , v n ) è il risultato di una sola
combinazione lineare dei vettori v 1 , v 2 , . . . , v n . In particolare, il vettore
0 è il risultato di una sola combinazione lineare dei vettori v 1 , v 2 , . . . , v n ,
quindi i vettori v1 , v 2 , . . . , v n sono linearmente indipendenti.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 13. Dipendenza e indipendenza lineare 13–5

Dimostriamo ora l’implicazione inversa. Supponiamo che i vettori


v 1 , v 2 , . . . , v n sono linearmente indipendenti. Supponiamo per assurdo
che un vettore di Span (v 1 , v 2 , . . . , v n ) è il risultato di due combinazioni
lineari distinte dei vettori v 1 , v 2 , . . . , v n :
λ1 v 1 + λ2 v 2 + · · · + λn v n and µ1 v 1 + µ2 v 2 + · · · + µn v n .
Allora abbiamo
λ1 v 1 + λ2 v 2 + · · · + λn v n = µ1 v 1 + µ2 v 2 + · · · + µn v n ,
ossia
(λ1 − µ1 ) v 1 + (λ2 − µ2 ) v 2 + · · · + (λn − µn ) vn = 0.
Visto che le due combinazioni lineari sono distinte, almeno un coefficiente
λi è diverso dal corrispondente µi , quindi abbiamo λi − µi 6= 0. Abbiamo
trovato una combinazione lineare dei vettori v 1 , v 2 , . . . , v n con i coeffi-
cienti non tutti nulli e il cui risultato è 0. Ciò contraddice l’indipendenza
lineare dei vettori v1 , v 2 , . . . , v n : abbiamo concluso la dimostrazione.
Osservazione 13.16. La proposizione precedente è vera anche se consi-
deriamo zero vettori. Infatti, zero vettori sono linearmente indipenden-
ti, e in Span (∅) = {0} c’è un solo vettore che è il risultato dell’unica
combinazione lineare degli zero vettori.
   
2 1
Esempio 13.17. 1. I due vettori colonna e sono linear-
3 1
 
5
mente indipendenti . Ad esempio, il vettore colonna
◮ ap- ◮ Esempio 13.5-1.
9
   
2 1
partiene a Span , ed è il risultato di una sola com-
3 1
   
2 1 ◮
binazione lineare dei due vettori e , infatti l’equazione ◮ Visto chel’equazione ha
 una
 soluzione,
3 1 5

2 1

      abbiamo ∈ Span , ; vi-
5 2 1 9 3 1
in forma vettoriale = a +b ha solo la soluzione stoche la soluzione è unica, abbiamo che
9 3 1 
5
è il risultato di una sola combinazione
(a, b) = (4, −3). 9
   
  2 1
2 lineare dei due vettori e .
3 1
2. Generalizzando ciò che abbiamo appena fatto, i due vettori
3
   
1 x1
e sono linearmente indipendenti, e ogni vettore che
1 x2
   
2 1    
2 1
appartiene a Span , ◮ è il risultato di una sola com- ◮ Abbiamo Span , = R2 (Eser-
3 1 3 1
    cizio 12.8), quindi non abbiamo restrizio-
2 1 ◮  
x1
binazione lineare dei due vettori e ◮, infatti l’equazione ni sul vettore perché appartiene a
3 1    
x2
      2 1
x1 2 1 Span , .
in forma vettoriale = a +b ha solo la soluzione 3 1
x2 3 1
◮ Nell’equazione le coordinate x1 e x2 sono

(a, b) = (x2 − x1 , 3x1 − 2x2 ). parametri, mentre a e b sono incognite.
Proposizione 13.18. Sia V uno spazio vettoriale, e siano v 1 , v 2 , . . . , v n
vettori in V . Si supponga inoltre che w1 , w2 , . . . , w m ∈ V sono tali che
• w1 , w 2 , . . . , wm ∈ Span (v 1 , v 2 , . . . , v n ),
• w1 , w 2 , . . . , wm sono linearmente indipendenti.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 13. Dipendenza e indipendenza lineare 13–6

Allora si ha m 6 n.
Non daremo la dimostrazione di questa proposizione, anche se non è
difficile.
Considerando l’implicazione contronominale ◮ all’enunciato della pro- ◮ Osservazione 3.9.
posizione precedente otteniamo la proposizione equivalente seguente.
Proposizione 13.19. Sia V uno spazio vettoriale, e siano v 1 , v 2 , . . . , v n
vettori in V . Si supponga inoltre che w 1 , w 2 , . . . , wm ∈ V siano tali che
• w1 , w 2 , . . . , wm ∈ Span (v 1 , v 2 , . . . , v n ),
• m > n.
Allora, i vettori w1 , w2 , . . . , w m sono linearmente dipendenti.
Esempio 13.20. 1. Abbiamo
         
1 1 2 −1 1  
1
 
1
• , ∈ Span , , ,◮ ◮ Per è ovvio, mentre per ab-
1 3 3 0 1 1 3
    biamo mostrato una combinazione lineare
1 2 nell’Esempio 11.2-2.
• e sono linearmente indipendenti ◮
◮.
1 3 ◮ Esempio 13.5-1.

Infatti abbiamo 2 6 3.
2. Abbiamo
         
2 −1 1 1 0
• , , ∈ Span , ,◮ ◮ Nell’Esempio
  12.29-1 abbiamo visto che
3 0 1 0 1 1 0

Span , = R2 .
• 3 > 2. 0 1
     
2 −1 1
Infatti i vettori , e sono linearmente dipendenti. ◮ ◮ Esempio 13.5-2.
3 0 1
3. L’esempio precedente può essere generalizzato e possiamo dimo-
strare che non possono esistere tre vettori linearmente indipen-
2
né in R2 né
denti  2
nel piano V E , infatti abbiamo visto che R =
1 0
Span , e quindi, per la Proposizione 13.19, comunque
0 1
consideriamo m vettori colonna con m > 2, essi sono linearmente
dipendenti. ◮ ◮ Usando un sistema di riferimento cartesia-
no in V 2E possiamo identificare i vettori
4. Generalizzando ancora abbiamo che non possono esistere n+1 vet- geometrici con gli elementi di R2 , quindi
tori linearmente indipendenti in Kn , infatti Kn è generato da n vet- lo stesso risultato vale anche per V 2E .

◮ e quindi, per la Proposizione 13.19, comunque consideriamo


tori ◮ ◮ Esempio 12.29-2.

m vettori colonna con m > n, essi sono linearmente dipendenti.


Osservazione 13.21. 1. Siano X (1) , X (2) , . . . , X (k) ∈ Kn vettori co- Inserendo coordinate in vettori colon-
na linearmente indipendenti, essi restano
lonna con coordinate linearmente indipendenti.
 (1)   (2)   (k) 
x1 x1 x
 (1)   (2)   1(k) 
x2  x2  x2 
X (1) =   (2)
 ..  , X =  ..  , . . . , X =  ..  .
  (k)  
 .   .   . 
(1) (2) (k)
xn xn xn
Siano i1 , i2 , . . . , im indici con 1 6 i1 < i2 < · · · < im 6 n, e sia-
no Y (1) , Y (2) , . . . , Y (k) ∈ Km i vettori colonna ottenuti rispettiva-
mente da X (1) , X (2) , . . . , X (k) , eliminando le coordinate con indici

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 13. Dipendenza e indipendenza lineare 13–7

diversi da i1 , i2 , . . . , im , ossia
 (1)   (2)   (k) 
x i1 x i1 x i1
 (1)   (2)   (k) 
(1)
 x i2  (2)
xi2  (k)
 x i2 
Y =  . , Y
  =  . ,..., Y
  = . 

.
 .  . .
 .   .. 
(1) (2) (k)
x im x im x im
Se i vettori colonna Y (1) , Y (2) , . . . , Y (k) sono linearmente indipen-
denti, allora anche i vettori colonna X (1) , X (2) , . . . , X (k) sono li-
nearmente indipendenti.
Per dimostrarlo, consideriamo una combinazione lineare dei vettori
colonna X (1) , X (2) , . . . , X (k) il cui risultato è nullo,
α1 X (1) + α2 X (2) + · · · + αk X (k) = 0n ,
e dimostriamo che αi = 0 per ogni i = 1, 2, . . . , k. Utilizzando le
coordinate abbiamo il sistema

(1) (2) (k)


 α1 x1 + α2 x1 + · · · + αk x1 = 0
 α x(1) + α x(2) + · · · + α x(k) = 0

1 2 2 2 k 2
.. .


 .

 (1) (2) (k)
α1 xn + α2 xn + · · · + αk xn = 0
Considerando soltanto le equazioni i1 -esima, i2 -esima,. . . , im -esima,
abbiamo il sistema
 (1) (2) (k)

 α1 xi1 + α2 xi1 + · · · + αk xi1 = 0

 α x(1) + α x(2) + · · · + α x(k) = 0

1 i2 2 i2 k i2
. ,
 ..



 (1) (2) (k)
α1 xim + α2 xim + · · · + αk xim = 0
che, in forma vettoriale, è equivalente a
α1 Y (1) + α2 Y (2) + · · · + αk Y (k) = 0m .
Visto che stiamo assumendo che i vettori colonna Y (1) , Y (2) , . . . , Y (k)
sono linearmente indipendenti, abbiamo αi = 0 per ogni i =
1, 2, . . . , k, ossia che i vettori colonna X (1) , X (2) , . . . , X (k) sono
linearmente indipendenti.
2. Considerando l’implicazione contronominale ◮ di quanto enunciato Rimuovendo coordinate da vettori linear-
mente dipendenti, essi restano linearmente
sopra otteniamo che se i vettori colonna X (1) , X (2) , . . . , X (k) sono dipendenti.
linearmente dipendenti, allora anche i vettori colonna ◮ Remark 3.9.
Y (1) , Y (2) , . . . , Y (k) sono linearmente dipendenti.
   
2 1
Esempio 13.22. 1. I due vettori colonna e sono linear-
3 1
mente indipendenti ◮ , quindi per l’Osservazione 13.21-1 anche i ◮ Esempio 13.5-1.
due vettori colonna,
  ottenuti   inserendo arbitrariamente la seconda
2 1
coordinata, −1 e 4 sono linearmente indipendenti ◮.
   ◮ Il conto esplicito (Esercizio 13.9-3) è
inutile.
3 1

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Versione 1.0
Lezione 13. Dipendenza e indipendenza lineare 13–8

     
2 −1 1
2. I tre vettori colonna 3,  0  e 1 sono linearmente di-
7 1 2
pendenti ◮, quindi per l’Osservazione 13.21-2 anche i tre vettori ◮ La combinazione lineare con coefficien-
ti 1, −1, −3 ha come risultato 03
colonna,
   ottenuti
   rimuovendo arbitrariamente la terza coordinata, (Esercizio 13.1).
2 −1 1
, e sono linearmente dipendenti ◮. ◮ Esempio 13.5-2.
3 0 1
Osservazione 13.23. Il viceversa di quanto enunciato nell’Osservazio-
ne 13.21 non è vero (i controesempi sono nell’esempio sotto).
1. Se i vettori colonna X (1) , X (2) , . . . , X (k) sono linearmente indipen- Inserendo coordinate in vettori colonna
linearmente dipendenti, essi possono re-
denti, allora i vettori colonna Y (1) , Y (2) , . . . , Y (k) possono essere stare linearmente dipendenti o diventare
linearmente dipendenti (oppure essere linearmente indipendenti). linearmente indipendenti.

2. Analogamente, se i vettori colonna Y (1) , Y (2) , . . . , Y (k) sono linear- Rimuovendo coordinate da vettori colonna
linearmente indipendenti, essi possono re-
mente dipendenti, allora i vettori colonna X (1) , X (2) , . . . , X (k) pos- stare linearmente indipendenti o diventare
sono essere linearmente indipendenti (oppure essere linearmente linearmente dipendenti.
dipendenti).
 
1
Esempio 13.24. 1. Il singolo vettore 0 è linearmente indipen-

0
 
0
dente. Rimuovendo la prima coordinata diventa che è li-
0
nearmente  dipendente, mentre rimuovendo la seconda coordinata
1
diventa che è linearmente indipendente. ◮ ◮ Osservazione 13.6.
0
     
2 −1 1
2. I tre vettori , e sono linearmente dipendenti ◮. In- ◮ Esempio 13.5-2.
3 0 1
 
2
serendo una terza coordinata possiamo ottenere i tre vettori 3, 
7
   
−1 1
 0  e 1 che sono linearmente dipendenti ◮, oppure i tre ◮ La combinazione lineare con coefficien-
ti 1, −1, −3 ha come risultato 03
1 2 (Esercizio 13.1).
     
2 −1 1
vettori 3 ,
   0  e 1 che sono linearmente indipendenti ◮ .
 ◮ Esercizio 13.2.
0 1 2
Proposizione 13.25. Sia V uno spazio vettoriale, siano v 1 , v 2 , . . . , v n
vettori linearmente indipendenti in V , e sia v un vettore in V . I seguenti
fatti sono equivalenti fra loro:
• v1 , v 2 , . . . , v n , v sono linearmente indipendenti,
• v 6∈ Span (v 1 , v 2 , . . . , v n ).
Non daremo la dimostrazione di questa proposizione, anche se non è
difficile.
Osservazione 13.26. La proposizione precedente è vera anche se consi-
deriamo zero vettori (che sono linearmente indipendenti) di V e v ∈ V .
Infatti, v è linearmente indipendente se e solo se v 6= 0 ◮, ossia v 6∈ ◮ Osservazione 13.6.
{0} = Span (∅).

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Versione 1.0
Lezione 13. Dipendenza e indipendenza lineare 13–9

Esempio 13.27. 1. Consideriamo


 ivettori
  di R3 dell’Esempio 13.24-2.
−1 1
Abbiamo che i due vettori  0  e 1 sono linearmente indi-
1 2      
2 −1 1
pendenti .◮ ◮ Lo sono i tre vettori 3,  0  e 1,
      0 1 2
−1 1 2 quindi per l’Osservazione 13.10 lo sono
 
I tre vettori  0 , 1 e 3 sono linearmente indipendenti, −1 1
anche  0  e 1.
1 2 0 1 2
     
2 −1 1
infatti 3 6∈ Span  0  , 1 ◮. ◮ Exercise 12.2.
0 1 2
     
−1 1 2
I tre vettori  0 , 1 e 3 sono linearmente dipendenti,
1 2 7
     
2 −1 1
infatti 3 ∈ Span
    0 , 1 ◮.
  ◮ Esercizio 12.13.
7 1 2
2. Dati i due vettori geometrici linearmente indipendenti in V 3E , v 1
e v 2 , mostrati nella figura, essi generano un piano π. Il vetto-
re geometrico w appartiene al piano π, quindi i vettori v 1 , v 2 , w
sono linearmente dipendenti. Invece, il vettore geometrico u non
appartiene al piano π, quindi i vettori v 1 , v 2 , u sono linearmente
indipendenti.

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Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 13/S1
Titolo: DIPENDENZA E INDIPENDENZA LINEARE
Attività n°: 1

Sessione di Studio 13.1

Dipendenza e indipendenza lineare


Lezione 13. Dipendenza e indipendenza lineare 13–10

Sessione di Studio 13.1


     
2 −1 1
Esercizio 13.1. I vettori 3 ,
   0  e 1 sono linearmente indi-
 Esempio 13.22-2.
7 1 2
pendenti?
   
2 −1
Soluzione. No, infatti l’equazione in forma vettoriale a 3 +b 0 +
  
7 1
 
1
c 1 = 03 ha una soluzione non nulla, per esempio (a, b, c) = (1, −1, −3).
2

     
2 −1 1
Esercizio 13.2. I vettori 3,  0  e 1 sono linearmente indi- Esempio 13.24-2.
0 1 2
pendenti?
   
2 −1
Soluzione. Sì, infatti l’equazione in forma vettoriale a 3 +b  0  +
0 1
 
1
c 1 = 03 ha solo la soluzione nulla (a, b, c) = (0, 0, 0).
2

     
2 −1 1
Esercizio 13.3. I vettori , e sono linearmente indipen-
0 0 1
denti?
     
2 −1 1 ◮
Soluzione. No, perché = −2 +0 . ◮ Proposizione 13.7.
0 0 1

   
2 0
Esercizio 13.4. I vettori e sono linearmente indipendenti?
0 0
Soluzione. No, perché uno di essi è nullo. ◮ ◮ Osservazione 13.12.

Esercizio 13.5. I polinomi x + 1, x3 − x e x3 − x2 sono linearmente


indipendenti?

Soluzione. Sì, perché l’equazione in forma vettoriale α(x+1)+β x3 − x +

γ x3 − x2 = 0 ha solo la soluzione nulla (α, β, γ) = (0, 0, 0) ◮ . ◮ Abbiamo visto come risolvere le equazioni
in forma vettoriale nella Lezione 10.

   
2 −1
Esercizio 13.6. 1. Dimostra che i vettori 3 e  0  sono linear-
0 1
mente indipendenti.

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Versione 1.0
Lezione 13. Dipendenza e indipendenza lineare 13–11

 
2
2. Giustapponi a essi un vettore colonna X ∈ R3 tale che 3,
0
 
−1
 0  e X sono linearmente dipendenti.
1
 
2
3. Giustapponi a essi un vettore colonna X ∈ R3 tale che 3,
0
 
−1
 0  e X sono linearmente indipendenti.
1
Soluzione. 1. Nessuno dei due vettori è un multiplo dell’altro. Osservazione 13.8.
       
0 2 −1 0
2. Ad esempio, X = 0 , infatti 3 ,
     0  e 0 sono linear-

0 0 1 0
mente dipendenti perché uno di essi è nullo.
3. Per la Proposizione 13.25, il vettore colonna
 X  che
 stiamo
 cer-
2 −1
cando è uno qualsiasi tale che X 6∈ Span 3 ,  0 . ◮ Un ◮ Nota che possiamo usare la Proposizio-
0 1 ne 13.25
 perché
 abbiamo
 già dimostra-
        2 −1
2 −1 2 −1 to che 3 e  0  sono linearmente
vettore generico di Span   3 , 0
    è a 3 +b 0  =
   0 1
indipendenti.
0 1 0 1
 
2a − b
 3a , quindi, se per esempio la seconda e la terza coordinata
b
sono
  0, anche la prima deve essere
 0 
◮. Allora, il vettore colonna
 ◮ Esso corrisponde a (a, b) = (0, 0).
1 2 −1
0 non appartiene a Span 3 ,  0  e quindi esso è il
0 0 1
vettore X che stiamo cercando.

   
3 1
Esercizio 13.7. 1. Dimostra che i vettori e sono linear-
0 0
mente dipendenti.
2. Inserisci in essi una coordinata in modo che diventino linearmente
indipendenti.
3. Inserisci in essi una coordinata in modo che rimangano linearmente
dipendenti.
Soluzione. 1. Il primo vettore è un multiplo (il triplo) del secondo.
2. Per
 esempio,
  inseriamo una terza coordinata, ottenendo i vettori
3 1
0 e 0, che sono linearmente indipendenti perché nessuno di
0 1
essi è un multiplo dell’altro.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 13. Dipendenza e indipendenza lineare 13–12

3. Peresempio,
   inseriamo una terza coordinata, ottenendo i vetto-
3 1
ri 0 e 0, che sono linearmente dipendenti perché il primo
0 0
vettore è un multiplo (il triplo) del secondo.

Esercizio 13.8. 1. Dimostra che 1 e i sono linearmente indipendenti


come elementi dello spazio vettoriale C sul campo R.
2. Dimostra che 1 e i sono linearmente dipendenti come elementi dello
spazio vettoriale C sul campo C.
Soluzione. 1. Considera una combinazione lineare di 1 e i con coef-
ficienti reali il cui risultato è 0:
a · 1 + b · i = 0.
Ovviamente, a e b devono essere 0, quindi i due vettori complessi
sono linearmente indipendenti su R.
2. La combinazione lineare
a · 1 + b · i = 0,
con a = i e b = −1 è una combinazione lineare di 1 e i con
coefficienti complessi il cui risultato è 0 e con coefficienti non nulli.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 13/S2
Titolo: DIPENDENZA E INDIPENDENZA LINEARE
Attività n°: 1

Sessione di Studio 13.2

Dipendenza e indipendenza lineare


Lezione 13. Dipendenza e indipendenza lineare 13–13

Sessione di Studio 13.2


Esercizio 13.9. Quali dei seguenti sono linearmente indipendenti?
 
1
1. .
5
   
2 0
2. , .
−1 0
   
2 1
3. −1 , 4. Esempio 13.22-1.
3 1
   
2 −2
4. −1 , 1 .
  
3 −3
   
2 −2
5. −1 , −1.
3 −3
     
1 2 1
6. 2 , 3 , 1 .
    
1 1 −1
     
2 0 2
1  1   3 
7. 
1 , −3 , −5.
    

1 2 5
   
−3 + i 0
8. , .
5 2i
   
2−i 1 + 2i
9. , .
i −1
10. I due vettori geometrici v 1 e v 2 mostrati nella figura.
11. I tre vettori geometrici w1 , w2 e w3 mostrati nella figura.
12. t3 − 2t2 + t, t2 − t − 1, t3 − t − 2 ∈ R[t].
     
2 3 −6
Esercizio 13.10. 1. Dimostra che i vettori , e sono
1 1 −2
linearmente dipendenti.
2. Scegli due di essi che sono linearmente dipendenti.
3. Scegli due di essi che sono linearmente indipendenti.
   
1 0
Esercizio 13.11. 1. Dimostra che i vettori −1 e 0 sono li-
  
1 1
nearmente indipendenti.
2. Rimuovi da essi una coordinata in modo che rimangano linearmen-
te indipendenti.
3. Rimuovi da essi una coordinata in modo che diventino linearmente
dipendenti.

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Versione 1.0
Lezione 13. Dipendenza e indipendenza lineare 13–14

Risultato dell’Esercizio 13.9. 1. Sì. 2. No. 3. Sì. 4. No. 5. Sì. 6. Sì.


7. No. 8. Sì. 9. No. 10. Sì. 11. No. 12. No.
Risultato dell’Esercizio 13.10. 1. Considera una combinazione li-
neare generica dei vettori il cui risultato è il vettore nullo, e trova
coefficienti non tutti nulli che soddisfano l’equazione. ◮ ◮ Osservazione 13.4.
   
3 −6
2. e .
1 −2
   
2 3
3. Per esempio, e . Questo esercizio non ha un’unica soluzione,
1 1 quindi il lettore può trovare una soluzione
diversa.
Risultato dell’Esercizio 13.11. 1. Usa l’Osservazione 13.8.
   
1 0
2. Per esempio, rimuovi la seconda coordinata, ottenendo e . Questo esercizio non ha un’unica soluzione,
1 1 quindi il lettore può trovare una soluzione
    diversa.
1 0
3. Rimuovi la terza coordinata, ottenendo e .
−1 0

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 13/S3
Titolo: DIPENDENZA E INDIPENDENZA LINEARE
Attività n°: 1

Sessione di Studio 13.3

Dipendenza e indipendenza lineare


Lezione 13. Dipendenza e indipendenza lineare 13–15

Sessione di Studio 13.3


Letture supplementari possono essere le seguenti:
• http://it.wikipedia.org/wiki/Indipendenza_lineare

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Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 13/S3
Titolo: Dipendenza e indipendenza lineare
Attività n°: 3

Sessione di Studio 13.3 Quiz

Dipendenza e indipendenza lineare


Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 13/S3
Titolo: Dipendenza e indipendenza lineare
Attività n°: 3

• Risolvere il seguente quiz a risposta


multipla in cui per ogni domanda una sola
risposta è giusta.
• Rivedere le risposte del quiz.
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 14
Titolo: BASI E COORDINATE
Attività n°: 1

Lezione 14
Basi e coordinate
Lezione 14

Basi e coordinate

In questa lezione ci occuperemo delle basi. Negli spazi vettoriali finita-


mente generati con le basi possiamo parametrizzare i vettori attraverso
n-tuple di numeri, ossia identificare i vettori con i vettori colonna. Que-
sta identificazione ci permetterà di studiare solo i vettori colonna, per-
ché ciò che diremo varrà anche per tutti gli spazi vettoriali finitamente
generati in virtù dell’identificazione.

14.1 Basi
Per semplicità, d’ora in poi, considereremo quasi esclusivamente spa-
zi vettoriali finitamente generati. Molte delle cose che diremo possono
essere generalizzate (alcune in maniera naturale, altre in maniera non
banale) anche a spazi vettoriali che non sono finitamente generati.
Definizione 14.1. Una base di uno spazio vettoriale V è un insieme Base
finito ordinato B = {v 1 , v 2 , . . . , v n } i cui vettori v 1 , v 2 , . . . , v n generano
V e sono linearmente indipendenti.
   
2 1
Esempio 14.2. 1. L’insieme ordinato , è una base di
3 1
   
2 1
R2 , infatti i due vettori e sono linearmente indipendenti ◮ ◮ Esempio 13.5-1.
3 1
e generano R2 . ◮ ◮ Esercizio 12.8.
     
2 −1 1
2. L’insieme ordinato , , non è una base di R2 , in-
3 0 1
     
2 −1 1
fatti i tre vettori , e sono linearmente dipendenti ◮; ◮ Esempio 13.5-2.
3 0 1
essi generano R2 ◮, ma ciò non è sufficiente affinché formino una ◮ Per la Proposizione
    12.22 ab-
2 1
base. biamo Span
3
,
1

       
1 2 −1 1
3. L’insieme ordinato non è una base di R2 , infatti il vettore Span
3
,
0
,
1
; visto che
1
  il primo è tutto R , anche il secondo lo è.
2
1
non genera R2 ◮ ◮; esso è linearmente indipendente ◮

◮ , ma ciò  
1
 
1
1 ◮ Ad esempio, 0 6∈ Span

1
.
non è sufficiente affinché formi una base. ◮
◮ Osservazione 13.6.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 14. Basi e coordinate 14–2

Osservazione 14.3. La Definizione 14.1 vale anche per tutti i sotto-


spazi vettoriali di un generico spazio vettoriale, infatti ogni sottospazio
vettoriale è di per sé uno spazio vettoriale. ◮ ◮ Definizione 12.1.
 
1  
1
Esempio 14.4. L’insieme ordinato è una base del sottospazio Span è uno spazio vettoriale.
1 1
     
1 2 1 1
vettoriale Span di R , infatti il vettore genera Span
1 1 1
ed è linearmente indipendente.
Osservazione 14.5. Se V = {0}, allora solo l’insieme vuoto ∅ è con-
tenuto in V , è formato da vettori linearmente indipendenti ◮ ed è tale ◮ Osservazione 13.3-2.
che Span (∅) = {0}. Quindi, l’insieme vuoto è l’unica base dello spazio
vettoriale {0}.
Osservazione 14.6. Supponiamo che B sia una base non vuota di uno L’importanza dell’ordine dei vettori di una
base sarà chiara in seguito.
spazio vettoriale V , ossia V 6= {0}. L’ordine dei vettori di B è parte
della base stessa. Cambiando l’ordine dei vettori, ottieniamo una base Alcuni distinguono tra “base” e “base ordi-
nata”, dando due diverse definizioni. Per
B ′ di V diversa da B. Infatti, i vettori di B ′ sono gli stessi di quelli di noi c’è una sola definizione, per cui una
B, e quindi generano V e sono linearmente indipendenti, ossia formano base è ordinata.

una base di V . Però l’ordine è diverso, e quindi B ′ 6= B.


Notazione 14.7. La notazione scelta per indicare una base, ossia B =
{v 1 , v 2 , . . . , v n }, non rappresenta solo l’insieme formato dai vettori v 1 , v 2 , . . . , v n ,
ma anche l’ordine, ossia v1 è il primo, v2 è il secondo,. . . , v n è l’ulti-
mo. Questo, però, succederà solo per le basi e sarà chiaro dal contesto:
generalmente, la notazione {v 1 , v 2 , . . . , v n } rappresenta solo l’insieme
formato dai vettori v 1 , v 2 , . . . , v n .
   
1 2
Esempio 14.8. L’insieme ordinato , è una base di R2 ◮ ◮ I due vettori sono linearmente indipendenti
1 3 e generano R2 .
diversa da quella dell’Esempio 14.2-1 perché l’ordine dei vettori è diverso.
Definizione 14.9. Chiamiamo base canonica di Kn l’insieme ordinato Base canonica di Kn

En := {e1 , e2 , . . . , en },
 
x1
 x2 
 
dove ei è il vettore colonna  .  tale che xi = 1 e xj = 0 per ogni
 .. 
xn
j 6= i, ossia
     
1 0 0
0 1 0
     
e1 :=  .  , e2 :=  .  , ..., en :=  .  .
 ..   ..   .. 
0 0 1
Notazione 14.10. Se non ci sono ambiguità, indicheremo En semplice-
mente con E.
Osservazione 14.11. La notazione è lievemente ambigua: ad esempio,
con 1 2
 e1 indichiamo sia il vettore colonna ( 0 ) ∈ K che il vettore colonna
1
0 ∈ K3 . Tuttavia, sarà chiaro dal contesto quale dei vettori stiamo
0
considerando.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 14. Basi e coordinate 14–3

Proposizione 14.12. La base canonica En è effettivamente una base di Dobbiamo dimostrare che l’insieme ordina-
to En è effettivamente una base di Kn : non
Kn . è sufficiente chimarlo “base canonica” per
essere sicuri che sia una base.
Dimostrazione. (∗∗) Cominciamo dimostrando che i vettori e1 , e2 , . . . , en
sono linearmente indipendenti. Consideriamo una combinazione lineare
che ha come risultato il vettore colonna nullo,
λ1 e1 + λ2 e2 + · · · + λn en = 0,
e dimostriamo che i coefficienti λi sono tutti nulli ◮. Abbiamo ◮ Osservazione 13.4.
         
1 0 0 λ1 0
0 1 0  λ2  0
         
λ1 e1 +λ2 e2 +· · ·+λn en = λ1  . +λ2  . +· · ·+λn  .  =  .  =  .  ,
 ..   ..   ..   ..   .. 
0 0 1 λn 0
ossia λi = 0 per ogni i = 1, 2, . . . , n.
Dimostriamo ora che i vettori colonna e1 , e2 , . . . , en generano
 Kn .
t
Consideriamo un generico vettore colonna x1 x2 · · · xn di Kn e
dimostriamo che esso è il risultato di una combinazione lineare dei vettori
colonna e1 , e2 , . . . , en . Abbiamo
       
x1 1 0 0
 x2  0 1 0
       
 ..  = x1  ..  +x2  ..  +· · ·+xn  ..  = x1 e1 +x2 e2 +· · ·+xn en ,
 .  . . .
xn 0 0 1
t 
quindi x1 x2 · · · xn ∈ Span (e1 , e2 , . . . , en ) e la dimostrazione è
completa.
Algoritmo 14.13 (Estrazione di una base). Sia X = {v 1 , v 2 , . . . , v n } Estrazione di una base
un insieme finito ordinato di generatori di uno spazio vettoriale V . I passi
dell’algoritmo sono n. Al passo i-esimo si decide se tenere o scartare il
vettore vi :
• il vettore v i viene tenuto se esso, insieme agli altri vettori tenu-
ti fino a quel momento, forma un insieme di vettori linearmente
indipendenti;
• il vettore v i viene scartato altrimenti (ossia se esso, insieme agli
altri vettori tenuti fino a quel momento, forma un insieme di vettori
linearmente dipendenti).
I vettori tenuti dopo gli n passi, ordinati come in X, sono il risultato
dell’algoritmo.
Osservazione 14.14. Nel primo passo dobbiamo controllare se il vettore
v 1 , da solo, è linearmente indipendente, ossia se è diverso da 0. Se non
è nullo lo teniamo, altrimenti lo scartiamo. Se scartiamo v 1 dobbiamo
ripetere questa procedura per v 2 , e così via finché non troviamo un
vettore diverso da 0.
Quando abbiamo trovato il primo vettore da tenere (ossia il primo
non nullo), dobbiamo proseguire cercando il secondo vettore da tenere.
Dobbiamo controllare se il vettore che stiamo considerando, con il primo

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 14. Basi e coordinate 14–4

vettore che abbiamo tenuto, forma una coppia di vettori linearmente in-
dipendenti. Visto che il primo vettore tenuto è diverso da 0, ciò significa
che il vettore che stiamo considerando non è multiplo del vettore tenuto.
Quando troviamo il secondo vettore da tenere, proseguiamo cercando
il terzo vettore da tenere. Dobbiamo controllare se il vettore che stiamo
considerando, con i primi due vettori che abbiamo tenuto, forma una
terna di vettori linearmente indipendenti.
Proseguendo, ad ogni passo, dobbiamo controllare se il vettore che
stiamo considerando, con i vettori già tenuti, forma un insieme di vettori
linearmente indipendenti, ossia se il vettore che stiamo considerando non
appartiene allo spazio vettoriale generato dai vettori già tenuti ◮. ◮ Proposizione 13.25.

Esempio 14.15. 1. L’algoritmo può essere rappresentato con uno


schema come il seguente (gli indici dei vettori tenuti o scartati
sono casuali):

v1 = 0 scartato il vettore 0 è linearmente dipendente


v2 = 0 scartato il vettore 0 è linearmente dipendente
v3 = 0 scartato il vettore 0 è linearmente dipendente
v 4 6= 0 tenuto il vettore v4 è linearmente indipendente
v 5 = kv 4 scartato i vettori v 4 , kv 4 sono linearmente dipendenti
v 6 = hv 4 scartato i vettori v 4 , hv 4 sono linearmente dipendenti
v 7 6= lv 4 ∀l tenuto i vettori v 4 , v 7 sono linearmente indipendenti
v8 tenuto i vettori v 4 , v 7 , v 8 sono linearmente indipendenti
v9 scartato i vettori v 4 , v 7 , v 8 , v 9 sono linearmente dipendenti
v 10 scartato i vettori v 4 , v 7 , v 8 , v 10 sono linearmente dipendenti
v 11 tenuto i vettori v 4 , v 7 , v 8 , v 11 sono linearmente indipendenti
v 12 scartato i vettori v 4 , v 7 , v 8 , v 11 , v 12 sono linearmente dipendenti
v 13 scartato i vettori v 4 , v 7 , v 8 , v 11 , v 13 sono linearmente dipendenti
Il risultato è l’insieme ordinato {v 4 , v 7 , v 8 , v 11 }.
     
2 4 1
2. Applichiamo l’algoritmo all’insieme ordinato , , .
3 6 1
   
2 2
tenuto il vettore è linearmente indipendente
3
   3  
4 2 4
scartato i vettori , sono linearmente dipendenti
6  3  6 
1 2 1
tenuto i vettori , sono linearmente indipendenti
1 3 1
   
2 1
Il risultato è l’insieme ordinato , .
3 1
     
2 −1 1
3. Applichiamo l’algoritmo all’insieme ordinato , , .
3 0 1
   
2 2
tenuto il vettore è linearmente indipendente
3
   3  
−1 2 −1
tenuto i vettori , sono linearmente indipendenti
 0 3
  0  
1 2 −1 1
scartato i vettori , , sono linearmente dipendenti
1 3 0 1

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 14. Basi e coordinate 14–5

   
2 −1
Il risultato è l’insieme ordinato , .
3 0
4. Fissiamo un sistema di riferimento cartesiano (O; x1 , x2 , x3 ) nello
spazio V 3E . Chiamiamo i, j e k i tre vettori geometrici che han-
no coordinate rispettivamente (1, 0, 0), (0, 1, 0) e (0, 0, 1), che sono
linearmente indipendenti per la Proposizione 14.12. Consideria-
mo i vettori geometrici, i, j, 2i + j, k, i + k ∈ V 3E . Applicando
l’algoritmo a questo insieme ordinato di vettori i passi sono

i tenuto il vettore i è linearmente indipendente


j tenuto i vettori i, j sono linearmente indipendenti
2i + j scartato i vettori i, j, 2i + j sono linearmente dipendenti
k tenuto i vettori i, j, k sono linearmente indipendenti
i+k scartato i vettori i, j, k, i + k sono linearmente dipendenti
Il risultato è l’insieme ordinato {i, j, k}.
Proposizione 14.16. Il risultato dell’algoritmo di estrazione di una base Dovremmo dimostrare che il risultato del-
l’algoritmo è effettivamente una base di
(Algoritmo 14.13) è una base di V . V.
Non daremo la dimostrazione di questa proposizione, anche se non è
difficile.
Esempio 14.17. Per la proposizione precedente tutti i risultati dell’E-
sempio 14.15 sono basi di rispettivi spazi vettoriali che essi generano. ◮ ◮ Non è necessario dimostrarlo per via della
Proposizione 14.16.
Osservazione 14.18. Cambiando l’ordine dei vettori dell’insieme X
nell’algoritmo di estrazione di una base il risultato dell’algoritmo può
cambiare. Infatti, ad esempio, un vettore scartato, se cambiando l’ordi-
ne è considerato prima, può essere tenuto, come mostrato nell’esempio
seguente.
     
2 1 −1
Esempio 14.19. Applichiamo l’algoritmo all’insieme ordinato , , ,
3 1 0
ottenuto riordinando l’insieme ordinato considerato nell’Esempio 14.15-
3.
   
2 2
tenuto il vettore è linearmente indipendente
3  3  
1 2 1
tenuto i vettori , sono linearmente indipendenti
1  3 1  
−1 2 1 −1
scartato i vettori , , sono linearmente dipendenti
0 3 1 0
   
2 1
Il risultato è la base , , che è diversa da quella trovata
3 1
nell’Esempio 14.15-3.
Teorema 14.20. Siano v 1 , v 2 , . . . , v n generatori di uno spazio vettoriale
V . Allora, esistono indici i1 , i2 , . . . , im con 1 6 i1 < i2 < · · · < im 6 n
tali che {v i1 , v i2 , . . . , v im } è una base di V .
Dimostrazione. Applichiamo l’algoritmo di estrazione di una base al-
l’insieme ordinato X = {v 1 , v 2 , . . . , v n } di generatori di V . Ottenia-

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 14. Basi e coordinate 14–6

mo un sottoinsieme Y di X, ordinato come in X, ossia esistono in-


dici i1 , i2 , . . . , im con 1 6 i1 < i2 < · · · < im 6 n tali che Y =
{v i1 , v i2 , . . . , v im }. Per la Proposizione 14.16, abbiamo che Y è una
base di V .
Osservazione 14.21. Dalla definizione di base ◮ deduciamo che solo gli Le basi possono essere definite anche per
gli spazi vettoriali che non sono finitamente
spazi vettoriali finitamente generati possono avere una base, infatti se generati, ma evitiamo di dare la definizione
abbiamo una base B = {v 1 , v 2 , . . . , v n } di uno spazio vettoriale V , i generale.
vettori v1 , v 2 , . . . , v n generano V , che quindi è finitamente generato. ◮ Definizione 14.1.

Teorema 14.22. Ogni spazio vettoriale finitamente generato ha una Esistenza di una base
base. Questo teorema è il viceversa dell’osserva-
zione precedente.
Dimostrazione. Chiamiamo V lo spazio vettoriale. Se V = {0}, allora
∅ è una base di V . ◮ Se invece V è uno spazio vettoriale finitamente ◮ Osservazione 14.5.
generato diverso da {0}, consideriamo un insieme finito di generatori
{v 1 , v 2 , . . . , v n } di V ; per il Teorema 14.20, esiste una base di V .
Esempio 14.23. 1. Fissiamo un sistema di riferimento cartesiano
(O; x, y) nel piano V 2E . Chiamiamo i e j i due vettori geometrici
che hanno coordinate rispettivamente (1, 0) e (0, 1), che formano
una base in virtù della Proposizione 14.12.
Analogamente, fissiamo un sistema di riferimento cartesiano (O; x, y, z)
nello spazio V 3E . Chiamiamo i, j e k i tre vettori geometrici che
hanno coordinate rispettivamente (1, 0, 0), (0, 1, 0) e (0, 0, 1), che
formano una base in virtù della Proposizione 14.12.
2. Lo spazio vettoriale Kn ha la base En . ◮ ◮ Proposizione 14.12.

Proposizione 14.24. Sia B un insieme finito ordinato di vettori di uno


spazio vettoriale V . Allora, i seguenti fatti sono equivalenti fra loro:
• B è una base di V ,
• ogni vettore di V è il risultato di una e una sola combinazione
lineare degli elementi di B.
Non daremo la dimostrazione di questa proposizione, anche se non è
difficile.
Esempio 14.25. 1. Consideriamo la base {i, j} di V 2E descritta nel-
l’Esempio 14.23-1. Ogni vettore geometrico del piano V 2E è il ri-
sultato di una e una sola combinazione lineare degli elementi i e j,
com mostrato nella figura per il vettore geometrico v = 3i + 2j.
Lo stesso risultato vale per la base {i, j, k} di V 3E .
   
2 1
2. L’insieme ordinato B = , è una base di R2 ◮, in- ◮ Esempio 14.2-1.
3 1
 
x1
fatti ogni vettore ∈ R2 è il risultato di una e una sola
x2  
2
combinazione lineare degli elementi di B ◮ ◮ La combinazione lineare è (x2 − x1 )
3
+
 
Teorema 14.26. Tutte le basi di uno spazio vettoriale V hanno lo stesso 1
(3x1 − 2x2 ) e i coefficienti sono univo-
1
numero di elementi. camente determinati (Esempio 13.17-2).

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 14. Basi e coordinate 14–7

Dimostrazione. (∗∗) È sufficiente dimostrare che comunque scegliamo


due basi B e B ′ il numero degli elementi di B è uguale al numero degli
elementi di B ′ .
Chiamiamo n il numero degli elementi di B, e n′ il numero degli
elementi di B ′ . Diamoun nome agli elementi delle due basi: B =
{v 1 , v 2 , . . . , v n } e B ′ = v ′1 , v ′2 , . . . , v ′n′ . Abbiamo che valgono le due
proprietà seguenti:
• v′1 , v ′2 , . . . , v ′n′ ∈ Span (v 1 , v 2 , . . . , v n ), perché v 1 , v 2 , . . . , v n gene-
rano V ;
• v′1 , v ′2 , . . . , v ′n′ sono linearmente indipendenti.
Quindi abbiamo n′ 6 n. ◮ ◮ Proposizione 13.18.
Viceversa, abbiamo che valgono le due proprietà seguenti:

• v1 , v 2 , . . . , v n ∈ Span v ′1 , v ′2 , . . . , v ′n′ , perché v ′1 , v ′2 , . . . , v n′ ge-
nerano V ;
• v1 , v 2 , . . . , v n sono linearmente indipendenti.
Quindi abbiamo n 6 n′ . ◮ ◮ Proposizione 13.18.
Dalle due disuguaglianze deduciamo che n = n′ .
   
2 1
Esempio 14.27. 1. Visto che , è una base di R2 , tutte
3 1
le basi di R2 hanno 2 elementi, infatti tutte le basi di R2 che
abbiamo visto sopra hanno due elementi:
           
1 0 1 2 2 −1
E2 = {e1 , e2 } = , , , , , .
0 1 1 3 3 0
2. Visto che En è una base di Kn , tutte le basi di Kn hanno n elementi.
3. Visto che abbiamo mostrato una base di V 2E ◮, tutte le basi di V 2E ◮ Esempio 14.23-1.
hanno 2 elementi.
Analogamente, visto che abbiamo mostrato una base di V 3E ◮, tutte ◮ Esempio 14.23-1.
le basi di V 3E hanno 3 elementi.

14.2 Coordinate
Definizione 14.28. Sia B = {v1 , v 2 , . . . , v n } una base di uno spazio Coordinate rispetto a una base
vettoriale V , e sia v un vettore di V . Le coordinate di v rispetto alla
base B sono i coefficienti λ1 , λ2 , . . . , λn della (unica) combinazione lineare
di v 1 , v 2 , . . . , v n il cui risultato è v ◮, ◮ Proposizione 14.24.

v = λ1 v 1 + λ2 v 2 + · · · + λn vn .
Esempio 14.29. 1. Consideriamo l’Esempio 14.25-1. Le coordinate
del vettore geometrico v rispetto alla base {i, j} di V 2E sono i
coefficienti 3 e 2 della (unica) combinazione lineare di i e j il cui
risultato è v:
v = 3i + 2j.
   
2 1
2. Consideriamo la base B = , di R2 . ◮ Le coordinate del ◮ Esempio 14.2-1.
3 1

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 14. Basi e coordinate 14–8

 
5
vettore colonna rispetto alla base B sono i coefficienti 4 e −3
9
   
2 1
della (unica) combinazione lineare di e il cui risultato è
3 1
 
5 ◮
: ◮ Esempio 13.17-1.
9
     
5 2 1
=4 −3 .
9 3 1
   
1 0
3. Consideriamo ora la base standard E2 = , di R2 . ◮ Le ◮ Definizione 14.9.
0 1
 
5
coordinate del vettore colonna rispetto alla base E2 sono i
9
   
1 0
coefficienti 5 e 9 della (unica) combinazione lineare di e
0 1
 
5
il cui risultato è :
9
     
5 1 0
=5 +9 .
9 0 1
Definizione 14.30. Siano λ1 , λ2 , . . . , λn le coordinate di un vettore v Vettore delle
coordinate/rappresentazione
rispetto a una base B di uno spazio vettoriale V . Il vettore colonna di
Kn che ha come entrate queste coordinate è detto vettore delle coordinate
o rappresentazione di v rispetto alla base B, ed è indicato con [·]·
 
λ1
 λ2 
 
[v]B :=  .  .
 .. 
λn
Esempio 14.31. Consideriamo i vettori dell’Esempio 14.29.
1. Il vettore delle coordinate del vettore geometrico v rispetto alla
base {i, j} è
 
3
[v]{i,j} = .
2
 
5
2. Il vettore delle coordinate del vettore colonna rispetto alla Per i vettori colonna, attenzione a non con-
9 fondere le coordinate  delvettore colonna,
base B è che in questo caso è
5
, e le coordina-
    9
5 4 te dello stesso vettore rispetto a una base
= .
9 B −3 diversa dalla base canonica.
 
5
3. Il vettore delle coordinate del vettore colonna rispetto alla
9
base E2 è
   
5 5
= .
9 E 9
2

Osservazione 14.32. 1. Se B = {v1 , v 2 , . . . , v n }, allora [v i ]B = ei ◮ ◮ Definizione 14.9.


with i = 1, 2, . . . , n.

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 14. Basi e coordinate 14–9

2. Cambiando l’ordine degli elementi di una base B di uno spazio vet- Adesso risulta chiaro il motivo per cui l’or-
dine dei vettori fa parte della definizione di
toriale V le coordinate di un vettore v cambiano per un opportuno base.
riordinamento delle coordinate di v rispetto alla base B. Più pre-
cisamente, se B = {v 1 , v 2 , . . . , v n } e se σè una funzione bigettiva
da {1, . . . , n} in sé stesso ◮, allora B ′ = v σ(1) , v σ(2) , . . . , v σ(n) è ◮ Una tale funzione è detta permutazione.

una base di V . ◮ ◮ Se le coordinate di un vettore v ∈ V rispetto alla ◮ Osservazione 14.6.


base B sono λ1 , λ2 , . . . , λn , allora le coordinate di v rispetto alla


base B ′ sono λσ(1) , λσ(2) , . . . , λσ(n) .
t 
3. Le coordinate di un vettore colonna v = x1 x2 · · · xn ∈
Kn rispetto alla base canonica En sono proprio x1 , x2 , . . . , xn , e il
vettore delle coordinate coincide
 con il vettore colonna stesso, ossia
t
[v]En = x1 x2 · · · xn .
Esempio 14.33. Consideriamo i vettori dell’Esempio 14.29. ◮ ◮ Notiamo che la numerazione dei punti in
questo esempio si riferisce ai punti del-
1. a) I vettori delle coordinate dei due vettori della base {i, j} l’osservazione precedente, e non ai punti
rispetto alla base stessa {i, j} sono dell’Esempio 14.29.
   
1 0
[i]{i,j} = e [j]{i,j} =
0 1
infatti abbiamo i = 1 · i + 0 · j e j = 0 · i + 1 · j.
b) I vettori delle coordinate dei due vettori della base B rispetto
alla base stessa B sono
       
2 1 1 0
= e =
3 B 0 1 B 1
         
2 2 1 1 2
infatti abbiamo =1· +0· e =0· +
3 3 1 1 3
 
1
1· .
1
2. a) Le coordinate del vettore geometrico v rispetto alla base {j, i}
sono 2 e 3, infatti abbiamo
v = 2j + 3i.
 
5
b) Le coordinate del vettore colonna rispetto alla base Bs =
9
   
1 2
, sono −3 e 4, infatti abbiamo
1 3
     
5 1 2
= −3 +4 .
9 1 3
3. Abbiamo visto
 sopra che il vettore delle coordinate del vettore
5
colonna rispetto alla base E2 è
9
   
5 5
= .
9 E 9
2
 
5
Invece, il vettore delle coordinate del vettore colonna rispet-
9
   
0 1
to alla base E2c = , , ottenuta dalla base canonica
1 0

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Lezione 14. Basi e coordinate 14–10

cambiando l’ordine dei suoi elementi, è


   
5 9
= ,
9 E 5
2c

infatti abbiamo
     
5 0 1
=9 +5 .
9 1 0
Osservazione 14.34. Sia B = {v 1 , v 2 , . . . , v n } una base di uno spazio
vettoriale V . La funzione
[·]B : V ∋ v 7−→ [v]B ∈ Kn
è bigettiva. Infatti, la funzione [·]B è ben definita
 einiettiva per la
λ1
 λ2 
 
Proposizione 14.24, ed è surgettiva perché per ogni  .  ∈ Kn abbiamo
 .. 
λn
 
λ1
 λ2 
 
 ..  = [λ1 v 1 + λ2 v 2 + · · · + λn v n ]B .
 . 
λn
Esempio 14.35. 1. Consideriamo la base {i, j} di V 2E dell’Esem-
pio 14.23-1. Le coordinate di un generico vettore geometrico v che
2
ha coordinate (x, y) ∈ V  E rispetto
 alla base {i, j} sono x e y,
x
quindi abbiamo [v]{i,j} = . La funzione
y
 
x
[·]{i,j} : V 2E ∋ (x, y) 7−→ [(x, y)]{i,j} = ∈ R2
y
è bigettiva.
   
2 1
2. Consideriamo la base B = , di R2 . Le coordinate di
3 1
 
x1
un generico vettore colonna ∈ R2 rispetto alla base B sono
x2
   
x1 x2 − x1
x2 − x1 e 3x1 − 2x2 , quindi abbiamo
◮ = . ◮ Esempio 13.17-2.
x2 B 3x1 − 2x2
La funzione
     
2 x1 x1 x2 − x1
[·]B : R ∋ 7−→ = ∈ R2
x2 x2 B 3x1 − 2x2
è bigettiva. ◮ ◮ Esercizio 6.4.

Osservazione 14.36. Abbiamo appena visto che, se abbiamo una base


B = {v 1 , v 2 , . . . , v n } di uno spazio vettoriale V , possiamo parametrizza-
re i vettori di V attraverso n-uple di elementi di K, o equivalentemente
attraverso vettori colonna di Kn .

c 2014 Gennaro Amendola


Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 14/S1
Titolo: BASI E COORDINATE
Attività n°: 1

Sessione di Studio 14.1

Basi e coordinate
Lezione 14. Basi e coordinate 14–11

Sessione di Studio 14.1


Esercizio 14.1. Trova una base di ogni spazio vettoriale K6m [x], con
m ∈ N. Scrivi le coordinate del polinomio 2x2 − x + 3 ∈ K63 [x] rispetto
alla base trovata.

Soluzione. Una base di K6m [x] è 1, x, x2 , . . . , xm . Infatti questi
polinomi generano K6m [x] ◮ e sono linearmente indipendenti ◮
◮. ◮ Esempio 12.16-6.
Le coordinate sono 3, −1, 2, infatti abbiamo 2x2 − x + 3 = 3 · 1 + ◮ Esempio 13.5-4.

(−1) · x + 2 · x2 .

Esercizio 14.2. Quali dei seguenti insiemi ordinati di vettori sono una
base del rispettivo spazio vettoriale?
   
3 6
1. , di R2 .
5 10
     
 1 −1 1 
2. 0 , 1 − i , 1 di C3 .
 
i 0 0

3. x2 , x, 3x − 2x2 di R62 [x].
4. {v 1 , v 2 , v 3 , v 4 } di V 3E .
Soluzione. 1. No. I vettori non sono linearmente indipendenti. ◮ ◮ Abbiamo visto come controllare se alcuni
vettori sono linearmente indipendenti nella
2. Sì. I vettori generano C3 e sono linearmente indipendenti. ◮
◮ Lezione 13.
◮ Abbiamo visto come controllare se alcu-

3. No. I polinomi non generano R62 [x]. ◮

◮ ni vettori generano uno spazio vettoriale
3 e se sono some linearmente indipendenti
4. No. Il numero degli elementi di una base di V E deve essere tre. ◮ rispettivamente nelle Lezioni 12 e 13.

◮ Abbiamo visto come controllare se alcuni

vettori generano uno spazio vettoriale nella
Esercizio 14.3. Trova una base dello spazio vettoriale Lezione 12.

W = X ∈ R3 x1 − 3x2 + 5x3 = 0 . ◮ Esempio 14.23-1 e Teorema 14.26.
   
3 −5
Soluzione. Abbiamo che W = Span 1 ,  0 . ◮ Visto che i ◮ Abbiamo visto come trovare alcuni vetto-
ri che generano uno spazio vettoriale nella
0 1 Lezione 12.
   
3 −5
vettori 1 e  0  sono linearmente indipendenti ◮, abbiamo che ◮ Abbiamo visto come controllare se alcuni
vettori sono linearmente indipendenti nella
0 1 Lezione 13.
   
 3 −5 
l’insieme ordinato 1 ,  0  è una base di W .
 
0 1

Esercizio 14.4. Trova le coordinate e il vettore delle coordinate dei


vettori seguenti rispetto alle basi dei rispettivi spazi vettoriali.
     
3 5 4
1. X = ,B= , di R2 .
−1 1 1

2. p(x) = 1, B = x3 − x, x2 , x + 3, x2 − 2 di R63 [x].

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Versione 1.0
Lezione 14. Basi e coordinate 14–12

 
3
Soluzione. 1. La soluzione dell’equazione in forma vettoriale =
−1
   
5 4
λ1 + λ2 è (λ1 , λ2 ) = (7, −8), quindi le coordinate sono 7
1 1
 
7
e −8. Il vettore delle coordinate è [X]B = .
−8

2. La soluzione
 dell’equazionein forma vettoriale 1 = α x3 − x +
β x2 + γ(x+ 3)+ δ x2 − 2 è (α, β, γ, δ) = 0, 12 , 0, − 21 , quindi le
coordinate sono 0, 12 , 0 e − 21 . Il vettore delle coordinate è [p(x)]B =
 
0
 1 
 2 .
 0 
− 21

Esercizio 14.5. Trova  lecoordinate e il vettore dellecoordinate


  del
3 ′ 4 5
vettore colonna X = rispetto alla base B = , di R2 ,
−1 1 1
usando il risultato dell’Esercizio 14.4-1.
Soluzione. In virtù dell’Osservazione 14.32-2 un cambiamento nell’or-
dine dei vettori della base si traduce in un cambiamento corrisponden-
te dell’ordine delle coordinate,
 che diventano −8 e 7. Il vettore delle
−8
coordinate diventa [X]B′ = .
7

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Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 14/S2
Titolo: BASI E COORDINATE
Attività n°: 1

Sessione di Studio 14.2

Basi e coordinate
Lezione 14. Basi e coordinate 14–13

Sessione di Studio 14.2


Esercizio 14.6. Quali dei seguenti sono una base del rispettivo spazio
vettoriale?
   
3 + 3i 1−i
1. , di C2 .
−6 2i
   
3 + 3i 1−i
2. , di C2 .
−6 2
     
 1 2 1 
3. 3 , 1 , 2 di R3 .
 
2 3 2
       

 −1 0 1 1 
        
1 1 0  0
4.   ,   ,   ,   di R4 .


 0 −1 −1 −1 

 
1 2 0 2

5. 3x3 + x2 + 4, x2 − x + 2, 2x3 − x + 1, x3 + 1 di R63 [x].
Esercizio 14.7. Trova una base dello spazio vettoriale

W = X ∈ R4 x1 − 2x2 + x3 − x4 = 0, x1 − x2 − x3 = 0 .
Esercizio 14.8. Applica l’algoritmo di estrazione di una base all’insieme
ordinato
         

 1 2 2 1 0 
          
2 4 2 4
  ,   ,   ,   , 0 .
 0   0  0  0  1
 
 
−1 −2 0 −3 1
Esercizio 14.9. Trova le coordinate e il vettore delle coordinate dei
vettori seguenti rispetto alle basi dei rispettivi spazi vettoriali.
     
1 + 3i i 1−i
1. X = ,B= , di C2 .
−2 + i −1 1
     
−2 3 −3
2. X = ,B= , di R2 .
1 −2 1
        
−4  1 2 1 
3. X = −1, B = 3 , 1 , 2 di R3 .
 
−6 2 3 2
          
4 
 −1 0 1 1 
0          
4. X =  , B =  1  ,  1  ,  0  ,  0  di R4 .
−7   0  −1 −1 −2

 

7 1 2 0 2

5. p(t) = 4t2 − t − 6, B = t2 − 1, t + 1, t2 + t − 1 di R62 [t].
6. v shown in the figure, {i, j} di V 2E ◮.

◮ Esempio 14.23-1.

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Versione 1.0
Lezione 14. Basi e coordinate 14–14

Esercizio 14.10. Trova


 lecoordinate e il vettore delle coordinate del
4
0
vettore colonna X = 
−7 rispetto alla base

7
        

 1 0 −1 1 
         
0 , , , 0 
1 1
B′ =  −2 −1  0  −1

 
 
2 2 1 0
di R4 , usando il risultato dell’Esercizio 14.9-4.

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Versione 1.0
Lezione 14. Basi e coordinate 14–15

Risultato dell’Esercizio 14.6. 1. No. 2. Sì. 3. Sì. 4. No. 5. Sì.


   

 −3 1 
    
2 ,  .−1
Risultato dell’Esercizio 14.7.  Questo esercizio non ha un’unica soluzione,
 1   0 
  quindi il lettore può trovare una soluzione
  diversa.
0 1
      

 1 2 0 
       
2  ,   , 0 .
2
Risultato dell’Esercizio 14.8.   0  0 1

 
 
−1 0 1
 
2
Risultato dell’Esercizio 14.9. 1. 2, i. [X]B = .
i
 1
−3
2. − 31 , 13 . [X]B = 1 .
3
 
1
3. 1, −2, −1. [X]B = −2.
−1
 
−1
1
4. −1, 1,  0 .
0, 3. [X]B =  

3
 
3
5. 3, −2, 1. [p(t)]B = −2.

1
 
−1
6. −1, 1. [v]{i,j} = .
1
 
3
1
Risultato dell’Esercizio 14.10. 3, 1, −1, 0. [X]B′ −1.
= 

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Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 14/S3
Titolo: BASI E COORDINATE
Attività n°: 1

Sessione di Studio 14.3

Basi e coordinate
Lezione 14. Basi e coordinate 14–16

Sessione di Studio 14.3


Letture supplementari possono essere le seguenti:
• http://it.wikipedia.org/wiki/Base_(algebra_lineare)
• http://en.wikipedia.org/wiki/Standard_basis??
• http://it.wikipedia.org/wiki/Coordinate_di_un_vettore

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Versione 1.0
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 14/S3
Titolo: Basi e coordinate
Attività n°: 3

Sessione di Studio 14.3 Quiz

Basi e coordinate
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 14/S3
Titolo: Basi e coordinate
Attività n°: 3

• Risolvere il seguente quiz a risposta


multipla in cui per ogni domanda una sola
risposta è giusta.
• Rivedere le risposte del quiz.
Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 15
Titolo: DIMENSIONE
Attività n°: 1

Lezione 15
Dimensione
Lezione 15

Dimensione

In questa lezione ci occuperemo della dimensione. Essa è una misura


di quanto è “grande” uno spazio vettoriale, ossia è il numero di para-
metri necessari per parametrizzare lo spazio vettoriale. La dimensione
semplificherà anche la ricerca delle basi degli spazi vettoriali.

15.1 Dimensione
Definizione 15.1. La dimensione di uno spazio vettoriale finitamente Dimensione
generato V è il numero degli elementi di una qualsiasi delle sue basi, ed
è indicata con dim(V ).
Osservazione 15.2. La definizione ha senso, infatti: Dobbiamo essere sicuri che la definizio-
ne possa essere data per ogni spazio vet-
• visto che V è uno spazio vettoriale finitamente generato, esso ha toriale finitamente generato, che la de-
almeno una base; ◮ finizione non dipenda dalla base scelta
(arbitrariamente).
• tutte le basi di V hanno lo stesso numero di elementi. ◮

◮ Teorema 14.22.
2
Esempio 15.3. 1. La dimensione di V è 2, infatti {i, j} è una base
E ◮ Teorema 14.26.

di V 2E ◮


◮ con 2 elementi. dim V 2E = 2

Analogamente, la dimensione di V 3E è 3, infatti {i, j, k} è una base ◮


◮ Esempio 14.23-1.

di V 3E ◮ con 3 elementi.

dim V 3E = 3
    ◮ Esempio 14.23-1.
2 2 1
2. La dimensione di R è 2, infatti , è una base di R2 ◮ ◮
◮ Esempio 14.2-1.

3 1
con 2 elementi.
3. Generalizzando, we have that the dimension of Kn è n, infatti la dim (Kn ) = n
base canonica En di Kn ◮ ha n elementi. ◮ Proposizione 14.12.

Osservazione 15.4. La Definizione 15.1 vale anche per tutti i sotto-


spazi vettoriali di un generico spazio vettoriale, infatti ogni sottospazio
vettoriale è di per sé uno spazio vettoriale. ◮ ◮ Definizione 12.1.
 
1  
1
Esempio 15.5. Il sottospazio vettoriale Span di R2 ha dimen- Span è uno spazio vettoriale.
1 1
   
1 1
sione 1, infatti è una base di Span ◮ con 1 elemento. ◮ Esempio 14.4.
1 1
Osservazione 15.6. Dall’Osservazione 14.5 deduciamo che dim(V ) = 0
se e solo se V = {0}.

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Versione 1.0
Lezione 15. Dimensione 15–2

Definizione 15.7. Uno spazio vettoriale finitamente generato è anche Spazio vettoriale di dimensione finita
detto di dimensione finita. Abbiamo definito la dimensione solo per
spazi vettoriali di dimensione finita, quindi
Osservazione 15.8. La dimensione dello spazio vettoriale C sul campo la dimensione è un numero naturale e que-
R ◮ è 2. Infatti, una base è {1, i}. ◮
◮ sta definizione sembra essere inutile. Tut-
tavia, la definizione di dimensione può es-
Notiamo che invece la dimensione dello spazio vettoriale C sul campo sere data anche per spazi vettoriali che non
C stesso è 1. Infatti, C = C1 quindi, per l’Esempio 15.3-3, abbiamo sono finitamente generati: in questo caso
essa sarebbe infinita e quindi non un nu-
dim C1 = 1. mero naturale. Ciò spiega perché abbiamo
Alcuni distinguono questi casi con la notazione dimK (V ), ma noi dato questa definizione.
non avremo bisogno di questa distinzione, quindi non appesantiremo la ◮ Esempio 10.6-5.

notazione e useremo solamente dim(V ). Gli spazi vettoriali Cn saranno ◮ Esercizi 12.9 e 13.8.

sempre pensati come uno spazio vettoriale su C.


Corollario 15.9. Sia n la dimensione di uno spazio vettoriale finitamen-
te generato V , e siano v 1 , v 2 , . . . , v k vettori di V . Le seguenti proprietà
sono soddisfatte:
• se v 1 , v 2 , . . . , v k sono linearmente indipendenti, allora k 6 n;
• se v 1 , v 2 , . . . , v k generano V , allora n 6 k.
Dimostrazione. Sia B = {w1 , w 2 , . . . , wn } una base di V , con n vettori ◮ ◮ dim(V ) = n.
Dimostriamo le due proprietà.
• Supponiamo che v 1 , v 2 , . . . , v k sono linearmente indipendenti. Vi-
sto che i vettori w1 , w2 , . . . , w n generano V , per la Proposizio-
ne 13.18 abbiamo k 6 n. ◮ ◮ Il ruolo dei vettori v ∗ e w∗ è scambiato
rispetto a quello della Proposizione 13.18.
• Supponiamo che v 1 , v 2 , . . . , v k generano V . Visto che i vettori
w1 , w 2 , . . . , wn sono linearmente indipendenti, per la Proposizio-
ne 13.18 abbiamo n 6 k. ◮ ◮ Questa volta il ruolo dei vettori v ∗ e w ∗ è
lo stesso di quello della Proposizione 13.18.
Osservazione 15.10. A seconda delle necessità, possiamo interpretare Il concetto è sempre lo stesso: rispet-
to al corollario precedente qui stiamo
il risultato precedente in due modi equivalenti. cambiando solo le parole.
1. Siano v1 , v 2 , . . . , v k vettori in V , allora
• se v 1 , v 2 , . . . , v k sono linearmente indipendenti, la dimensione
di V è almeno k;
• se v 1 , v 2 , . . . , v k generano V , la dimensione di V è al più k.
2. Supponiamo di sapere che la dimensione di V sia n, allora
• non possiamo trovare più di n vettori linearmente indipen-
denti in V ;
• non possiamo trovare meno di n generatori di V .
Esempio 15.11. Consideriamo nello spazio vettoriale 2
   R, che  ha
 di-
2 −1 1
mensione 2 ◮, i vettori linearmente dipendenti , e ◮, e
◮ ◮ Esempio 15.3-2.
3 0 1
  ◮ Esempio 13.5-2.

1 ◮
il vettore linearmente indipendente ◮. Generalizzando, consideria-
◮ ◮
◮ Osservazione 13.6.

1
mo anche k vettori nello spazio vettoriale Kn , che ha dimensione n ◮. Il ◮ Esempio 15.3-3.
Corollario 15.9 afferma che questi fatti sono legati tra loro.
1. Possiamo dedurre indicazioni sulla dimensione di R2 (o Kn ) da
informazioni note sui vettori.

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Versione 1.0
Lezione 15. Dimensione 15–3

 
1
• a) Dal fatto che è linearmente indipendente deduciamo
1

che dim R2 > 1.
b) Se sappiamo che i k vettori di Kn sono linearmente indi-
pendenti, deduciamo che dim (Kn ) > k.
     
2 −1 1
• a) Dal fatto che , e generano R2 deduciamo
3 0 1

che dim R2 6 3.
b) Se sappiamo che i k vettori generano Kn , deduciamo che
dim (Kn ) 6 k.
2. Al contrario, possiamo dedurre indicazioni sui vettori da informa-
zioni note sulla dimensione di R2 o Kn .

• a) Dal fatto che dim R2 = 2, deduciamo che, visto che
     
2 −1 1
3 > 2, i tre vettori , e non possono essere
3 0 1
linearmente indipendenti.
b) Dal fatto che dim (Kn ) = n, deduciamo che, se k > n, i
k vettori di Kn sono linearmente dipendenti.

• a) Dal fatto che dim R2 = 2, deduciamo che, visto che
 
1
1 < 2, il vettore non può generare R2 .
1
b) Dal fatto che dim (Kn ) = n, deduciamo che, se k < n, i
k vettori di Kn non possono generare Kn .
Corollario 15.12. Sia M il massimo numero di vettori linearmente
indipendenti di uno spazio vettoriale finitamente generato V , e m il
minimo numero di generatori di V . Allora, si ha dim(V ) = M = m.
Dimostrazione. (∗∗) Chiamiamo, per semplicità, n la dimensione di V .
Allora esiste una base B = {v 1 , v 2 , . . . , v n } di V formata da n vettori.
Visto che M è il massimo numero di vettori linearmente indipendenti
di V , esistono M vettori w1 , w2 , . . . , w M linearmente indipendenti. Vi-
sto che m è il minimo numero di generatori di V , esistono m vettori
u1 , u2 , . . . , um che generano V .
Visto che i vettori v 1 , v 2 , . . . , v n sono linearmente indipendenti e che
M è il massimo numero di vettori linearmente indipendenti di V , abbia-
mo n 6 M . Ma per il Corollario 15.9 applicato ai vettori w 1 , w2 , . . . , wM ,
we have M 6 n. Quindi abbiamo n = M .
Visto che i vettori v 1 , v 2 , . . . , v n generano V e che m è il minimo
numero di generatori di V , abbiamo m 6 n. Ma per il Corollario 15.9
applicato ai vettori u1 , u2 , . . . , um , abbiamo n 6 m. Quindi abbiamo
n = m.
Esempio 15.13. Il minimo numero di generatori di R2 , il massimo nu-
mero di vettori linearmente indipendenti di R2 , e la dimensione di R2 è
2.
Analogamente, il minimo numero di generatori di Kn , il massimo
numero di vettori linearmente indipendenti di Kn , e la dimensione di Kn
è n.

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Lezione 15. Dimensione 15–4

Algoritmo 15.14 (Completamento a una base). Sia X = {v 1 , v 2 , . . . , v m } Completamento a una base


un sottoinsieme ordinato di vettori linearmente indipendenti di uno spa-
zio vettoriale finitamente generato V . Al passo i-esimo,
• se Span (v 1 , v 2 , . . . , v m+i−1 ) 6= V , si sceglie un vettore v m+i che
non appartiene a Span (v 1 , v 2 , . . . , v m+i−1 );
• se Span (v 1 , v 2 , . . . , v m+i−1 ) = V , l’algoritmo termina e il risultato
è l’insieme ordinato {v 1 , v 2 , . . . , v m+i−1 }.
Osservazione 15.15. Se Span (v 1 , v 2 , . . . , v m ) = V dall’inizio, l’al-
goritmo precedente termina subito con risultato {v 1 , v 2 , . . . , v m }. Al-
trimenti, l’algoritmo non dà mai un risultato univocamente determi-
nato: infatti, la scelta dei vettori v i è arbitraria (si richiede solo che
v i 6∈ Span (v 1 , v 2 , . . . , v m+i−1 )).
Osservazione 15.16. L’algoritmo di completamento a una base può
essere applicato anche al sottoinsieme X = ∅. In questo caso, al primo
passo cercheremo un vettore che non appartenga a Span (∅) = {0}, ossia
un vettore diverso da 0.
Osservazione 15.17. Ad ogni passo dell’algoritmo di completamento
a una base, otteniamo un insieme di vettori linearmente indipendenti.
Ciò è una conseguenza della Proposizione 13.25, infatti cominciamo con
vettori linearmente indipendenti e ad ogni passo consideriamo un vettore
che non appartiene al sottospazio vettoriale generato dai precedenti.
Esempio 15.18. 1. L’algoritmo può essere rappresentato con uno
schema come il seguente (cominciamo da X = {v 1 , v 2 , . . . , v m }):

Span (v 1 , v 2 , . . . , v m ) 6= V scegliamo
v m+1 6∈ Span (v 1 , v 2 , . . . , v m )
Span (v 1 , v 2 , . . . , v m , v m+1 ) 6= V scegliamo
v m+2 6∈ Span (v 1 , v 2 , . . . , v m , v m+1 )
Span (v 1 , v 2 , . . . , v m , v m+1 , v m+2 ) 6= V scegliamo
v m+3 6∈ Span (v 1 , v 2 , . . . , v m , v m+1 , v m+2 )
..
.
Span (v 1 , v 2 , . . . , v m , v m+1 , . . . , v m+k−1 ) 6= V scegliamo
v m+k 6∈ Span (v 1 , v 2 , . . . , v m , v m+1 , . . . , v m+k−1 )
Span (v 1 , v 2 , . . . , v m , v m+1 , . . . , v m+k ) = V l’algoritmo termina
Il risultato è l’insieme ordinato {v 1 , v 2 , . . . , v m , v m+1 , . . . , v m+k }.
2. Applichiamo l’algoritmo all’insieme vuoto X = ∅ in R2 : ◮ ◮ Abbiamo visto come controllare se un vet-
  tore appartiene a un sottospazio vettoriale
2 1 generato da alcuni vettori nella Lezione 12.
Span(∅) 6= R scegliamo 6∈ Span(∅) = {0}
  0  
1 0 1
Span 6= R2 scegliamo 6∈ Span
0
    1 0
1 0
Span , = R2 l’algoritmo termina
0 1
   
1 0
Il risultato è l’insieme ordinato , .
0 1

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 
 2 
3. Applichiamo l’algoritmo all’insieme (ordinato) X = −1 in
 
3
R3 : ◮ ◮ Abbiamo visto come controllare se un vet-
tore appartiene a un sottospazio vettoriale
generato da alcuni vettori nella Lezione 12.
     
2 1 2
Span   −1   6= R 3 scegliamo 1 6∈ Span
    −1
 3    0  3   
2 1 0 2 1
Span   −1 , 1
    6= R 3 scegliamo 0 6∈ Span
    −1 , 1
 
 3  0   1 3 0
2 1 0
Span −1 , 1 , 0 = R3 l’algoritmo termina
3 0 1
     
 2 1 0 
Il risultato è l’insieme ordinato −1 , 1 , 0 .
 
3 0 1
 
0  
0
Se al primo passo avessimo scelto il vettore  0  ◮, al secondo ◮ Lo possiamo fare perché  0  6∈
−1
−1  
  2
0 Span −1.
passo non avremmo potuto scegliere 0 ◮. Avremmo potuto sce-
  ◮ 3
     
1 0 2 0
  ◮
◮ Perché 0 ∈ Span −1 ,  0 .
 
1 1 3 −1
gliere, ad esempio, 0 ◮ ◮, e avremmo ottenuto l’insieme ordinato
◮  
1
0 ◮
◮ Lo possiamo fare perché 6∈
      ◮ 0
 2 0 1     
0
−1 ,  0  , 0 . 2 0
  Span −1 ,  0 .
3 −1 0 3 −1

Proposizione 15.19. L’algoritmo di completamento a una base (Algo- Dovremmo dimostrare sia che l’algoritmo
termina, sia che il risultato dell’algoritmo
ritmo 15.14) termina dopo un numero finito di passi, e il suo risultato è è effettivamente una base di V .
una base di V .
Non daremo la dimostrazione di questa proposizione, anche se non è
difficile.
Esempio 15.20. Per la proposizione precedente tutti i risultati dell’E-
sempio 15.18 sono basi dei rispettivi spazi vettoriali. ◮ ◮ Non è necessario dimostrarlo per via della
Proposizione 15.19.
Osservazione 15.21. Per essere precisi, vengono fatti dim(V ) − m + 1
passi. Nei primi dim(V )−m passi scegliamo  i vettori, mentre nell’ultimo
controlliamo che Span v 1 , v 2 , . . . , v dim(V ) = V , ossia che l’algoritmo
termina.
Esempio 15.22. Rivediamo i casi dell’Esempio 15.18.
1. I passi dell’algoritmo sono k+1. Visto che V = Span (v 1 , v 2 , . . . , v m , v m+1 , . . . , v m+k ),
abbiamo che dim(V ) = m + k, quindi abbiamo che il numero di
passi dell’algoritmo è dim(V ) − m + 1.

2. I passi dell’algoritmo sono 3. Visto che dim R2 = 2, abbiamo che
il numero di passi dell’algoritmo è dim R2 − 0 + 1.

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3. I passi dell’algoritmo sono 3. Visto che dim R3 = 3, abbiamo che
il numero di passi dell’algoritmo è dim R3 − 1 + 1.
Teorema 15.23. Sia W un sottospazio vettoriale di uno spazio vetto-
riale finitamente generato V . Allora, anche W è finitamente generato,
e si ha dim(W ) 6 dim(V ).
Dimostrazione. (∗∗) Applichiamo l’algoritmo di completamento a una
base al sottoinsieme X = ∅ dello spazio vettoriale W . Visto che non
sappiamo se W è finitamente generato, non sappiamo se l’algoritmo
termina dopo un numero finito di passi.
Se l’algoritmo termina dopo un numero finito di passi, otteniamo un
insieme ordinato di vettori {w1 , w 2 , . . . , w m } tali che Span (w1 , w2 , . . . , w m ) =
W , ossia W è finitamente generato.
Supponiamo ora che l’algoritmo non termina dopo un numero finito
di passi. Allora, dopo dim(V )+1 passi otteniamo un insieme ordinato di
vettori w1 , w 2 , . . . , wdim(V )+1 . Essi sono linearmente indipendenti ◮, ◮ Osservazione 15.17.
e quindi abbiamo dim(V ) + 1 6 dim(V ) ◮. Questa è una contraddizio- ◮ Corollario 15.9.
ne, quindi l’algoritmo termina dopo un numero finito di passi e W è
finitamente generato.
 Per dimostrare che dim(W ) 6 dim(V ), consideriamo una base B =
w1 , w2 , . . . , w dim(W ) di W , che ha dim(W ) elementi e che esiste per il
Teorema 14.22. Visto che i vettori w1 , w 2 , . . . , wdim(W ) sono linearmente
indipendenti, abbiamo dim(W ) 6 dim(V ). ◮ ◮ Corollario 15.9.

Esempio 15.24. 1. Ogni sottospazio vettoriale di Kn è finitamente


generato, e la sua dimensione è al più n.
2. Ogni sottospazio vettoriale di V 2E (risp. V 3E ) è finitamente gene-
rato, e la sua dimensione è al più 2 (risp. 3).
Teorema 15.25. Siano v 1 , v 2 , . . . , v m vettori linearmente indipendenti
di uno spazio vettoriale finitamente generato V . Allora, esistono vettori
v m+1 , v m+2 , . . . , v n tali che {v 1 , v 2 , . . . , v n } è una base di V .
Dimostrazione. Applichiamo l’algoritmo di completamento a una base
al sottoinsieme ordinato X = {v 1 , v 2 , . . . , v m } di V . Il risultato dell’al-
goritmo è una base {v 1 , v 2 , . . . , v n } di V . ◮ I vettori v m+1 , v m+2 , . . . , v n ◮ Proposizione 15.19.
sono i vettori che stiamo cercando.
Corollario 15.26. Sia n la dimensione di uno spazio vettoriale finita- Supponiamo che stiamo cercando una ba-
se di V sapendo già la dimensione n di V .
mente generato V , e siano v 1 , v 2 , . . . , v n vettori di V . I seguenti fatti Se troviamo n vettori linearmente indipen-
sono equivalenti fra loro: denti, possiamo dire che essi formano auto-
maticamente una base. Analogamente, se
• i vettori v 1 , v 2 , . . . , v n sono linearmente indipendenti; troviamo n generatori di V , possiamo di-
re che essi formano automaticamente una
• i vettori v 1 , v 2 , . . . , v n generano V . base.
Dimostrazione. (∗∗) Cominciamo dimostrando che se i vettori v 1 , v 2 , . . . , v n
sono linearmente indipendenti, allora essi generano V . Supponiamo per
assurdo che v 1 , v 2 , . . . , v n non generino V . Possiamo completare i vettori
v 1 , v 2 , . . . , v n a una base di V , ossia esistono vettori v n+1 , v n+2 , . . . , v k
tali che {v 1 , v 2 , . . . , v k } è una base di V . ◮ I vettori v 1 , v 2 , . . . , v k sono ◮ Teorema 15.25.
linearmente indipendenti, quindi abbiamo k 6 n. ◮ Per costruzione ab- ◮ Corollario 15.9.

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biamo n 6 k, quindi abbiamo k = n, ossia {v 1 , v 2 , . . . , v n } è una base di


V . Ciò contraddice la supposizione, fatta sopra, che v 1 , v 2 , . . . , v n non
generino V .
Viceversa, dimostriamo che se i vettori v 1 , v 2 , . . . , v n generano V , al-
lora sono linearmente indipendenti. Supponiamo per assurdo che v1 , v 2 , . . . , v n
non siano linearmente indipendenti. Possiamo estrarre dai vettori v1 , v 2 , . . . , v n
una base di V , ossia esistono indici i1 , i2 , . . . , ik con 1 6 i1 < i2 <
· · · < ik 6 n tali che {v i1 , v i2 , . . . , v ik } è una base di V . ◮ I vettori ◮ Teorema 14.20.
v i1 , v i2 , . . . , v ik generano V , quindi abbiamo n 6 k. ◮ Per costruzione ◮ Corollario 15.9.
abbiamo k 6 n, quindi abbiamo k = n, ossia {v 1 , v 2 , . . . , v n } è una base
di V . Ciò contraddice la supposizione, fatta sopra, che v 1 , v 2 , . . . , v n
non siano linearmente indipendenti.
Corollario 15.27. Sia W un sottospazio vettoriale di uno spazio vetto- In generale, l’uguaglianza tra le dimen-
sioni di due spazi vettoriali non implica
riale finitamente generato V tale che dim(W ) = dim(V ). Allora, si ha l’uguaglianza tra gli spazi vettoriali, ma
W =V. se uno dei due è contenuto nell’altro, l’u-
guaglianza tra le loro dimensioni implica
Dimostrazione. Chiamiamo n = dim(W ) = dim(V ). Sia l’uguaglianza degli spazi vettoriali stessi.
B = {v 1 , v 2 , . . . , v n } una base di W . I vettori v 1 , v 2 , . . . , v n sono li-
nearmente indipendenti (perché formano una base), e la dimensione di
V è n. Quindi, i vettori v 1 , v 2 , . . . , v n sono anche generatori di V . ◮ Vi- ◮ Corollario 15.26.
sto che v 1 , v 2 , . . . , v n sono anche generatori di W (perché formano una
base di W ), abbiamo W = Span (v1 , v 2 , . . . , v n ) = V .
Esempio 15.28. 1. L’unico sottospazio vettoriale di Kn con dimen-
n
sione n è K stesso.
2. L’unico sottospazio vettoriale di V 2E (risp. V 3E ) con dimensione 2
(resp. 3) è V 2E (risp. V 3E ) stesso.
Osservazione 15.29. 1. Consideriamo lo spazio vettoriale V 2E . Il Sottospazi vettoriali di V 2E
più piccolo sottospazio vettoriale di V 2E è {0} che ha dimensione
0. ◮ ◮ Osservazione 15.6.

Se un sottospazio vettoriale di V 2E contiene un vettore geome-


trico non nullo v, deve anche contenere Span(v). Il sottospazio
vettoriale Span(v), che è una retta, ha dimensione 1. ◮ ◮ {v} è una base di Span(v) con un
elemento.
Visto che dim(V 2E ) = 2 l’unico sottospazio vettoriale di V 2E che
ha dimensione 2 è V 2E stesso. ◮ ◮ Corollario 15.27.

Non c’è nessun altro sottospazio vettoriale di V 2E . ◮ ◮ Esempio 15.24-2.

2. Consideriamo lo spazio vettoriale V 3E . Il più piccolo sottospazio Sottospazi vettoriali di V 3E


vettoriale di V 3E è {0} che ha dimensione 0. ◮ ◮ Osservazione 15.6.
Se un sottospazio vettoriale di V 3E contiene un vettore geome-
trico non nullo v, deve anche contenere Span(v). Il sottospazio
vettoriale Span(v), che è una retta, ha dimensione 1. ◮ ◮ {v} è una base di Span(v) con un
elemento.
Se un sottospazio vettoriale di V 3E = 2 has dimension 2, ha una
base formata da due vettori geometrici ed è un piano. ◮ ◮ Tutti i sottospazi vettoriali con dimensio-
ne 2 sono piani; inoltre, un piano che è
Visto che dim(V 3E ) l’unico sottospazio vettoriale di V 3E che ha un sottospazio vettoriale non è né {0} né
dimensione 3 è V 3E stesso. ◮
◮ una retta né tutto V 3E , quindi, per quanto
detto sotto, deve avere dimensione 2.
Non c’è nessun altro sottospazio vettoriale di V 3E . ◮


◮ Corollario 15.27.


◮ Esempio 15.24-2.

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Corso di Laurea: INGEGNERIA INFORMATICA E DELL'AUTOMAZIONE (D.M. 270/04)
Insegnamento: COMPLEMENTI DI MATEMATICA
Lezione n°: 15/S1
Titolo: DIMENSIONE
Attività n°: 1

Sessione di Studio 15.1

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Lezione 15. Dimensione 15–8

Sessione di Studio 15.1


Esercizio 15.1. Applica l’algoritmo di completamento a una base al-
l’insieme (ordinato) X = {v} mostrato nella figura in V 3E .
Soluzione.
Span(v) 6= V 3E scegliamo w 6∈ Span(v) = r
Span(v, w) 6= V 3E scegliamo u 6∈ Span(v, w) = π
Span(v, w, u) = V 3E l’algoritmo termina

     
 1 2 3 
Esercizio 15.2. 1.  2 , 1 , 2  è una base di R3 ?
   
 
−1 0 −1
     

 1 2 0 
      
−1 −1
 ,   ,  0  è una base di R4 ?
2.   4   3  −1

 
 
0 5 4
Soluzione. 1. Sì. I tre vettori sono linearmente indipendenti

◮ , quin- ◮ Abbiamo visto come controllare se alcuni
3 3 vettori sono linearmente indipendenti nella
di sono anche generatori di R perché dim R = 3. ◮ Quindi, ◮
Lezione 13.
formano una base di R3 . ◮ Corollario 15.26.


2. No. Visto che dim R4 = 4, abbiamo che una base di R4 deve
essere formata da 4 elementi.

Esercizio 15.3. Trova la dimensione dei seguenti spazi vettoriali.


   
1 5
1. Span  4  ,  2 .
−7 −3
       
1 −2 2 1
2. Span , , , .
4 −8 7 5

3. X ∈ R3 3x1 − 2x2 + 4x3 = 0 .

4. X ∈ R3 5x1 − x2 + x3 = 0, x1 + x2 + 2x3 = 0 .
5. La retta mostrata nella figura nello spazio V 3E .
Soluzione. 1. I due vettori sono
linearmente
  indipendenti.
 Visto che
1 5
ovviamente generano Span  4  ,  2 , essi formano una
−7 −3
        
1 5 1 5
base di Span  4  ,  2 , quindi dim Span  4  ,  2  =
−7 −3 −7 −3
2.
2. Applichiamo
 l’algoritmo
   di  estrazione
  di una base ◮ all’insieme or- ◮ Algoritmo 14.13.
1 −2 2 1
dinato , , , .
4 −8 7 5

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Lezione 15. Dimensione 15–9

   
1 1
tenuto il vettore è linearmente indipendente
4   4  
−2 1 −2
scartato i vettori , sono linearmente dipendenti
−8 4 −8 
2 1 2
tenuto i vettori , sono linearmente indipendenti
7  4
  7  
1 1 2 1
scartato i vettori , , sono linearmente dipendenti
5 4 7 5