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a.a. 2012/2013
Quelle che seguono sono alcune note della parte relativa all’argomento “Equazioni differenziali”
dell’insegnamento di Analisi Matematica 3 tenuto per il Corso di laurea in Matematica e per il
Corso di laurea in Fisica dell’Università degli Studi di Pavia.
Vorrebbero essere un punto di partenza per lo studio delle opere classiche espressamente dedicate
a questi argomenti e citate, in parte, in bibliografia.
Si ringraziano fin d’ora quanti (penso in particolare agli studenti del corso) segnaleranno errori,
proporanno suggerimenti, avanzeranno commenti, . . .
E.V.
i
Indice
1 Esempi introduttivi 1
1.1 Modelli di crescita per una singola popolazione 1
1.2 Cinetica chimica 4
1.2.1 Ordine di una reazione e modello differenziale 4
1.2.2 Datazione mediante radiocarbonio 6
1.3 L’oscillatore armonico 7
1.4 Circuiti elettrici 8
1.5 Specie in competizione: sistemi non lineari 11
1.6 Pendolo semplice 12
1.7 Equazione di Schrödinger 14
1.8 Elastiche piane; un esempio di problemi ai limiti 15
1.9 Equazioni in forma normale. 17
Bibliografia 143
iv
Capitolo 1
ESEMPI INTRODUTTIVI
Le equazioni differenziali costituiscono uno degli strumenti più utilizzati nella fase di modelliz-
zazione matematica quantitativa di un ‘fenomeno’, inteso nel senso ampio del termine: fenomeni
fisico-naturali (come la dinamica di un sistema meccanico, la variazione spaziale del potenziale
corrispondente a una data distribuzione di cariche o l’evoluzione nel tempo di una popolazione, . . . ),
fenomeni economico-sociali (dinamica di grandezze macroeconomiche come produzione, capitale e
lavoro in un sistema economico, . . . ), ecc.
In questo capitolo presentiamo alcuni esempi, tratti da contesti differenti, con lo scopo sia di
mettere in luce l’importanza delle equazioni differenziali in fase modellistica, sia di illustrare le
peculiarità rilevanti delle varie tipologie di equazioni (lineari, non lineari, autonome, . . . ) e i primi
concetti basilari.
Si consideri una ‘popolazione’, intesa in senso lato: un agglomerato di entità di qualunque genere
(batteri, esseri umani, nuclei radioattivi, . . . ) la cui consistenza complessiva varia nel tempo. Suppo-
niamo di poter misurare quantitativamente la popolazione in modo ‘continuo’ (la variazione di una
singola unità sia trascurabile sul totale della popolazione).
Se x(t) misura l’entità della popolazione all’istante di tempo t, il valore
x′ (t)
x(t)
è il tasso di variazione di x: esso dà la rapidità di variazione di x rispetto al tempo rapportata al totale
della popolazione (cioè ‘per unità di popolazione’). Una situazione che, come vedremo fra poco, si
verifica in numerosi casi è quella in cui il tasso di variazione dipende dalla popolazione stessa ed
eventualmente dal tempo, cioè:
x′ (t)
= r(t, x(t)),
x(t)
o anche
x′ (t) = r(t, x(t))x(t). (1.1)
Questa relazione esprime la legge di evoluzione di x. Si tratta di una equazione differenziale: un’e-
quazione in cui l’incognita è una funzione (la x) e compare almeno una derivata della funzione stessa.
1
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
Qui l’ordine massimo di derivazione che compare è 1, per cui abbiamo un’equazione differenziale
del primo ordine.
Assegnato il tasso r come funzione di t e di x, ci aspettiamo che la legge di evoluzione (1.1)
specifichi completamente la funzione x se è noto, ad esempio, il valore assunto in un istante t0 di
riferimento:
x(t0 ) = x0 (valore noto).
Spesso t0 = 0 (istante iniziale dell’esperimento o dell’intervallo di rilevazione dei dati, ecc.): ci
si riferisce pertanto alla condizione x(t0 ) = x0 come condizione iniziale per l’equazione (1.1). Il
problema: ′
x = r(t, x)x
(1.2)
x(t0 ) = x0 ,
è detto problema ai valori iniziali o problema di Cauchy per l’equazione (1.1).
Per soluzione dell’equazione (1.1) intendiamo una qualunque funzione x di classe C 1 su un
intervallo J per la quale
x′ (t) = r(t, x(t))x(t) per ogni t ∈ J.
Se t0 ∈ J e x(t0 ) = x0 allora x è soluzione di (1.2).
Vediamo alcuni esempi.
a) Tasso costante di variazione.
Il modello di crescita di una popolazione in cui il tasso di variazione è assunto costante è legato al
nome di Thomas Robert Malthus (1766–1834), demografo ed economista politico inglese.1
L’equazione (1.1) diventa:
x′ = rx. (1.3)
Osserviamo innanzitutto che vi è la soluzione costante x ≡ 0. Sia x : J → R, con J intervallo,
una soluzione di classe C 1 (si noti che se x è una soluzione differenziabile allora è automaticamente
C 1 , dovendo sussistere l’uguaglianza x′ = rx). In ogni sottointervallo di J in cui x non si annulla,
l’uguaglianza x′ = rx equivale a: Z ′
x (t)
dt = rt,
x(t)
che possiamo anche scrivere come:
∃c ∈ R log |x(t)| = rt + c,
oppure:
∃C > 0 |x(t)| = Cert .
Se inglobiamo il segno di x nella costante otteniamo infine:
Pertanto ogni soluzione, dove non nulla, deve essere un’esponenziale Cert , per una qualche costante
C. Ne segue che ogni soluzione, se diversa dalla soluzione nulla, non si annulla mai ed è un
esponenziale di questo tipo. Concludiamo che la famiglia delle soluzioni della (1.3) è data da:
t 7→ Cert : R → R (C ∈ R).
1 Malthus enunciò per la prima volta le sue teorie sull’evoluzione della popolazione nel saggio anonimo An essay on the
principle of population as it affects the future improvement of society nel 1798, ripubblicato successivamente più volte a
proprio nome in forma ampliata. Sulla base dei dati demografici dei coloni inglesi nordamericani, Malthus sostenne che in
condizione di fecondità naturale la popolazione tende a raddoppiare a ogni generazione (circa 25 anni). Questa dinamica può
essere espressa tramite una crescita esponenziale come in (1.4): si calcoli il valore di r se y raddoppia ogni 25 anni.
2
Capitolo 1 - ESEMPI INTRODUTTIVI
Se x(t) = Cert è una soluzione della (1.3), il valore C non è altro che x(0), per cui possiamo
scrivere, più espressivamente:
x(t) = x(0)ert ; (1.4)
a partire dal dato iniziale x(0) l’evoluzione è di tipo esponenziale. Nel caso in cui r < 0 abbiamo
una decrescita esponenziale.
Osservazione 1.1.1 Per meglio inquadrare le equazioni che incontreremo in questo capitolo,
conviene notare subito che l’equazione (1.3), che possiamo anche scrivere come y ′ − ry = 0, rientra
fra le equazioni differenziali lineari del primo ordine a coefficienti costanti: l’operatore differenziale
y 7→ y ′ − ry è infatti lineare, coinvolge solo il primo ordine di derivazione e presenta ogni termine
y (k) (con k = 0, 1) con coefficienti costanti.
b) Equazione logistica. Spesso in un ambiente naturale la crescita è inibita da fattori il cui
effetto è sempre più considerevole col passare del tempo, per esempio l’esaurimento delle risorse
alimentari disponibili, la quantità di rifiuti tossici prodotti, l’affollamento fisico, ecc. In tal caso
non è più ragionevole ammettere un tasso costante di crescita. Una possibile correzione al modello
di crescita malthusiano fu proposta da Pierre François Verhulst (matematico belga, 1804–
1849) assumendo l’esistenza di una capacità di carico (o portante) dell’ambiente, cioè di un livello
K della popolazione oltre al quale il tasso di crescita diventa negativo.2
Il più semplice modello che realizza ciò è una dipendenza lineare del tasso di crescita dalla
popolazione:
x′ x
=r 1− (1.5)
x K
Procediamo in modo analogo a quanto abbiamo fatto per la (1.3). Chiaramente le funzioni costanti
con valore 0 o K sono soluzioni. Se poi x è una soluzione che, su un intervallo I non assume mai i
valori 0 e K, allora in I deve essere:
x′
=r
x(1 − x/K)
cioè, per integrazione:
x
∃c ∈ R log = rt + c
K −x
o anche:
Cert 1
∃C ∈ R x(t) = K rt
=K 1− rt
(1.6)
1 + Ce 1 + Ce
(per C = 0 si recupera la soluzione nulla, per ‘C = ∞’ la soluzione costante di valore K; queste
si scambiano ponendo C ′ = 1/C). Come per l’equazione (1.3), non è difficile vedere che queste
esauriscono le soluzioni di (1.5).
Consideriamo, in particolare, il caso 0 < x(0) < K (e r > 0): si ottiene (posto x0 = x(0))
x0
C= > 0.
K − x0
Se scriviamo C nella forma C = e−rt0 (come è sempre possibile per un opportuno valore t0 ∈ R) si
nota che le soluzioni sono traslate temporali l’una dell’altra:
er(t−t0 )
x(t) = K .
1 + er(t−t0 )
È sufficiente studiare il caso t0 = 0 (vedi Figura 1.1). Coerentemente con l’interpretazione modelli-
stica considerata, K è il valore su cui si stabilizza asintoticamente il valore y della popolazione.
2 Alnome di Verhulst vanno associati anche quelli dei demografi americani R. Pearl e L.J. Reed, che negli anni ’20 del secolo
scorso riscopersero le memorie pubblicate da Verhulst negli anni attorno al 1840 e a lungo dimenticate.
3
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
Figura 1.1 - Curva logistica (Kert /(1 + ert ), con r > 0).
La cinetica chimica studia i meccanismi che portano alle condizioni di equilibrio termodinamico per
una data reazione. Come vedremo, le stesse equazioni (1.3) e (1.5) nascono come modelli naturali
anche in questo campo: la ‘popolazione’ in oggetto è ora una specie chimica.
aA + bB −−→ cC + dD.
Mettiamoci nell’ipotesi che la reazione sia omogenea (cioè avvenga tra specie all’interno della stessa
fase (solida, liquida o gassosa)); supponiamo inoltre che si svolga a volume e a temperatura costanti.3
Come misura della velocità di reazione possiamo assumere l’aumento della concentrazione di uno
dei prodotti o la diminuzione di uno dei reagenti per unità di tempo:
N2 + 3 H2 −−→ 2 NH3
d[N2 ] 1 d[H2 ] 1 d[NH3 ]
− =− = .
dt 3 dt 2 dt
La legge, detta legge cinetica, secondo cui evolve una reazione è determinata sperimentalmente. È
molto comune il caso in cui la velocità di reazione è proporzionale alla concentrazione di uno o
due dei reagenti, ciascuna elevata ad un esponente intero, generalmente piccolo: la somma di tali
esponenti è detta ordine della reazione.4 Ad esempio:
3 altrimenti conviene definire la velocità di reazione come la variazione, nell’unità di tempo, del numero di moli della specie
considerata per unità di volume.
4 In realtà molte reazioni sono costituite da diversi stadi o processi elementari; l’ordine della reazione è individuato dal-
lo stadio più lento. Ad esempio 2 N2 O5 −−→ 4 NO2 + O2 si scompone in N2 O5 −−→ NO3 + NO2 (lento; 1◦ ordine) e
2 NO3 −−→ 2 NO2 + O2 (veloce).
4
Capitolo 1 - ESEMPI INTRODUTTIVI
• 2 N2 O5 −−→ 4 NO2 + O2
v = k[N2 O5 ] reazione del 1◦ ordine
• H2 + I2 −−→ 2 HI
v = k[H2 ][I2 ] reazione del 2◦ ordine
(1◦ ordine rispetto a ciascun reagente)
• 2 HI −−→ H2 + I2
2
v = k[HI] reazione del 2◦ ordine
• 2 H2 + 2 NO −−→ 2 H2 O + N2
2
v = k[H2 ][NO] reazione del 3◦ ordine
In una reazione del primo ordine la velocità di variazione della concentrazione [A]t di un reagente,
al tempo t, è proporzionale alla concentrazione stessa; quindi
d[A]t
− = k[A]t ,
dt
con k opportuna costante positiva dipendente dalla reazione in questione. Posto x(t) = [A]t si ottiene
l’equazione
x′ = −kx, (1.7)
cioè la (1.3).
Consideriamo ora le reazioni del secondo ordine. Supponiamo che la legge cinetica sia del tipo:
y(t) = [AB]t ,
poiché ogni coppia A2 , B2 produce due molecole di AB(cioè 21 d[AB]/dt = −d[A2 ]/dt = −d[B2 ]/dt),
abbiamo (supponendo [AB]0 = 0)
1 1
[A2 ]t = [A2 ]0 − y(t), [B2 ]t = [B2 ]0 − y(t).
2 2
Pertanto dall’equazione cinetica ricaviamo:
1 1
y ′ = k [A2 ]0 − y(t) [B2 ]0 − y(t) .
(1.9)
2 2
Questa è della forma:
y ′ = α(β − y)(γ − y),
con α, β e γ parametri dati. Mediante il cambiamento di variabile β − y = z si ottiene:
Se in (1.8) si ha [B]t ∼ [B]0 (ad esempio se uno dei reagenti è il solvente (presente in forte eccesso
rispetto al soluto)), allora la reazione diventa sostanzialmente del primo ordine.
Per una reazione del secondo ordine che segue una legge del tipo
d[A]t
− = k[A]2t ,
dt
(ad esempio 2 HI −−→ H2 + I2 ) si ottiene l’equazione
x′ = −kx2 . (1.11)
Questa rientra ancora nella tipologia (1.10), con β = γ. Come è facile vedere la famiglia delle
soluzioni di (1.11) è:
1/k
t 7→ , α ∈ R.
t−α
y(0)/2 = y(0)e−kT1/2 ,
da cui
log 2
k= .
T1/2
Sperimentalmente si determina T1/2 , che per il radiocarbonio è circa
Se p ∈ (0, 1) è la percentuale di 14C residua, rispetto alla percentuale iniziale, rilevata in un reperto,
ne possiamo stimare l’età t mediante:
log p
t=− .
k
6
Capitolo 1 - ESEMPI INTRODUTTIVI
F(x)
0 x(t)
i
Un esempio classico che porta a una semplice equazione differenziale lineare del secondo ordine a
coefficienti costanti (questo tipo di equazioni verrà studiato nel § 4.7) si ottiene considerando il moto
di un punto materiale P di massa m vincolato a scorrere senza attrito su di una retta sotto l’azione
di una forza elastica; quest’ultima può essere pensata realizzata mediante una molla come in Figura
1.2.
Si supponga che l’origine del sistema di riferimento coincida con la posizione in cui la lunghezza
della molla è quella a riposo. La forza di richiamo F(x) esercitata dalla molla quando il punto P si
trova nella posizione di ascissa x, secondo la legge di Hooke è:
F(x) = −kxi,
7
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
dove i indica il versore dell’asse di riferimento e k la costante elastica della molla. Se x = x(t)
indica la legge oraria del punto P , la seconda legge della dinamica dà7:
mẍ(t) = −kx(t),
da cui
ẍ(t) + ω 2 x(t) = 0, dove ω 2 = k/m. (1.12)
Si tratta di un’equazione differenziale lineare del secondo ordine a coefficienti costanti (si ricordi
l’Osservazione 1.1.1): l’operatore differenziale x 7→ ẍ(t) + ω 2 x(t) è lineare e l’ordine massimo di
derivazione coinvolto è il secondo; inoltre i coefficienti di x(k) sono costanti (rispetto al tempo).
Le soluzioni di (1.12) sono date da (si veda § 4.7):
x(t) = c1 cos ωt + c2 sin ωt, (1.13)
al variare di c1 , c2 ∈ R (la verifica che si tratta di soluzioni può, peraltro, essere svolta direttamente).
Una forma
p più espressiva della famiglia delle soluzioni si ottiene mettendo in evidenza l’ampiezza
A = c21 + c22 delle oscillazioni:
!
c1 c2
x(t) = A p 2 cos ωt + p 2 sin ωt
c1 + c22 c1 + c22
= A (cos ϕ cos ωt + sin ϕ sin ωt) ,
dove ϕ è tale che (cos ϕ, sin ϕ) = (c1 /A, c2 /A). Le soluzioni possono allora essere espresse come:
x(t) = A cos(ωt − ϕ), al variare di A ≥ 0 e ϕ ∈ R. (1.14)
Dalla (1.14) risulta evidente l’oscillazione sinusoidale del punto P attorno alla posizione di ascissa
nulla, con periodo 2π/ω (moto armonico); risulta altresı̀ evidente che si può ottenere un moto
armonico mediante proiezione di un moto circolare uniforme su un diametro della traiettoria.
Come è noto dalla Fisica, la conoscenza della posizione x(t0 ) e della velocità ẋ(t0 ) in un istante
t0 determina univocamente il moto del punto a ogni istante di tempo (precedente o successivo a t0 ).
Analiticamente ciò corrisponde al fatto che il problema
ẍ(t) + ω 2 x(t) = 0,
(1.15)
x(t0 ) = x0 , ẋ(t0 ) = v0 ,
con x0 e v0 assegnati, ammette una e una sola soluzione (cioè risultano univocamente individuate
le costanti A e ϕ in (1.14) o c1 e c2 in (1.13)). Il problema (1.15) è un problema ai valori iniziali,
o problema di Cauchy, per un’equazione del secondo ordine, analogamente al problema (1.2) già
incontrato per un’equazione del primo ordine.
Vediamo alcune semplici equazioni e sistemi di equazioni differenziali che intervengono nello studio
dei circuiti elettrici elementari. In particolare il fenomeno della mutua induzione fra circuiti RL
fornirà un esempio della fondamentale famiglia dei sistemi differenziali lineari.
Circuiti RC.
Consideriamo un circuito in cui è presente un generatore di forza elettromotrice E , un resistore di
resistenza R e un condensatore di capacità C (vedi Figura 1.4). Sia q(t) la carica del condensatore
7 In un contesto fisico-matematico, nel caso in cui la variabile di derivazione rappresenti il tempo, utilizzeremo spesso la tipica
8
Capitolo 1 - ESEMPI INTRODUTTIVI
E C
E L
all’istante t; la corrente nel circuito è i = dq/dt. A partire da un qualunque punto del circuito la
somma algebrica delle variazioni di potenziale rilevate in un giro completo lungo il circuito stesso
è nulla (seconda legge di Kirchhoff). Procedendo nel verso della corrente si osserva un aumento di
potenziale E attraversando il generatore di f.e.m., una diminuzione di potenziale iR attraversando il
resistore e una diminuzione q/C corrispondente al condensatore. Ciò si traduce nell’equazione
q
E − iR − = 0;
C
poiché i = dq/dt ricaviamo
dq q
R + = E. (1.16)
dt C
Si tratta di un’equazione differenziale lineare del primo ordine non omogenea: rispetto alla (1.3),
scritta anche come y ′ − ry = 0, l’operatore differenziale del primo ordine è ora uguagliato ad un
funzione data (qui la costante E ). La soluzione corrispondente al dato iniziale q(0) = 0 si verifica
essere (rimandiamo al § 3.2 per la tecnica risolutiva):
q(t) = CE 1 − e−t/RC ).
Circuiti RL.
Consideriamo ora il caso in cui, in luogo del condensatore, nel circuito precedente sia presente un
induttore di induttanza L (vedi Figura 1.5). Questo componente del circuito dà luogo a una f.e.m. EL
tra i capi dell’induttore che si oppone alla variazione di corrente e che è proporzionale alla velocità
9
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
di
EL = L .
dt
Come per il circuito RC studiato prima, la legge di Kirchhoff dà:
E − iR − EL = 0,
ovvero
di
L + Ri = E . (1.17)
dt
A prescindere dal significato delle grandezze in gioco questa equazione non è altro che la (1.16).
Pertanto abbiamo la soluzione:
E
i(t) = 1 − e−Rt/L ),
R
nel caso di corrente iniziale nulla.
Circuiti RLC.
Nel caso più generale in cui sia presente sia un resistore che un induttore e un condensatore, la
legge di Kirchhoff dà (i = dq/dt):
q
E − iR − − EL = 0,
C
da cui:
d2 q dq 1
L 2
+R + q = E. (1.18)
dt dt C
Questa è un’equazione differenziale lineare del secondo ordine, a coefficienti costanti, non omogenea:
analogamente a quanto detto per la (1.16) rispetto alla (1.3), l’operatore differenziale lineare del
secondo ordine è uguagliato non a zero (come nella (1.12)), ma a una data funzione (in questo caso
la costante E ). Per la tecnica risolutiva rimandiamo al § 4.6.
Circuiti accoppiati: un sistema lineare
Consideriamo infine la situazione in cui due circuiti diano luogo a una mutua induzione. Una
corrente variabile i1 nel primo circuito produce, nel secondo circuito, una f.e.m. indotta proporzionale
alla velocità di variazione della stessa i1 :
(2) di1
EL = M ,
dt
dove M è un coefficiente di proporzionalità. Analogamente, la variazione di corrente nel secondo
circuito produce nel primo la f.e.m.
(1) di2
EL = M .
dt
Si dimostra che il coefficiente M è il medesimo nei due casi e dipende solo dalla forma dei circuiti e
dal loro mutuo orientamento.
Nel caso di circuiti RL, sfruttando l’equazione (1.17) si ottiene la seguente relazione (in cui
abbiamo supposto, per fissare le idee, che le f.e.m. indotte da ciascun circuito sull’altro siano di
segno opposto rispetto a quello delle f.e.m. fornite dalle sorgenti):
di1 di2
L1 + R1 i1 = E1 − M
dt dt
10
Capitolo 1 - ESEMPI INTRODUTTIVI
possiamo riscrivere
di
+ Ri = E .
Λ
dt
Se assumiamo l’invertibilità di Λ il sistema assume la forma
di
= Ai + b (1.19)
dt
dove A = −Λ−1 R e b = Λ−1 E . Questo tipo fondamentale di sistema di equazioni differenziali
verrà trattato nel Cap. 4.
Presentiamo ora un classico modello per l’evoluzione di due specie interagenti che conduce a un
sistema nonlineare di equazioni differenziali.
Si abbiano due popolazioni, la cui entità al tempo t è data da
È naturale supporre che le variazioni delle singole popolazioni si influenzino a vicenda, per cui
assumiamo che
r1 = r1 (t, x1 , x2 ), r2 = r2 (t, x1 , x2 ).
Otteniamo allora un sistema di equazioni differenziali che in generale è non lineare:
′′
x1 = x1 r1 (t, x1 , x2 )
x′′2 = x2 r2 (t, x1 , x2 )
x = (x1 , x2 ) : t 7→ (x1 (t), x2 (t)), f = (f1 , f2 ) : (t, x) 7→ (x1 r1 (t, x), x2 r2 (t, x)),
x′ = f (t, x).
a) Partiamo dalla legge di variazione a tasso costante per ciascuna delle due specie in competizione
e modifichiamola per tenere conto della presenza dell’altra specie. Cosı̀, il tasso x′1 /x1 = α (con
α > 0 costante), valido in assenza di predatori, viene corretto sottraendo a secondo membro un
termine proporzionale all’entità del predatore; otteniamo:
x′1
= α − βx2 .
x1
Analogamente, al tasso costante negativo che caratterizzerebbe la variazione di x2 in assenza di preda,
viene sommato un termine proporzionale all’entità della preda:
x′2
= −γ + δx1 .
x2
Ne risulta il sistema delle equazioni di Lotka-Volterra8 :
′
x1 = x1 (α − βx2 )
(1.20)
x′2 = x2 (−γ + δx1 )
b) Correggiamo ora ciascuna delle due equazioni in (1.20) rimpiazzando i tassi α e −γ con un
termine analogo a quello che nell’equazione logistica introduceva la capacità di carico dell’ambiente:
′
x1 /x1 = α − λx1 − βx2
x′2 /x2 = −γ − µx2 + δx1
o anche
x′1 = (α − λx1 − βx2 )x1
(1.22)
x′2 = (−γ − µx2 + δx1 )x2
Accenneremo al comportamento delle soluzioni nel § 1.9, dopo aver puntualizzato il quadro
generale in cui collocare i problemi differenziali presentati in questo capitolo.
Assumiamo il punto di sospensione del pendolo come origine di un sistema di riferimento cartesiano
nel piano verticale in cui si svolge il moto; l’asse delle ordinate è verticale, diretto verso l’alto.
Indichiamo con ϑ lo scostamento angolare rispetto alla posizione verticale misurato in senso antiorario
(vedi Figura 1.6), e con ut il versore tangente (secondo l’orientamento antiorario).
Per individuare le equazioni del moto utilizziamo la seconda legge della dinamica F = ma,
proiettata lungo il versore tangente ut = (cos ϑ)i + (sin ϑ)j:
F · ut = ma · ut . (1.23)
Indichiamo con ϑ = ϑ(t) il valore dell’angolo al tempo t; se l è la lunghezza del pendolo, risulta:
x(t) = l sin ϑ(t)
y(t) = −l cos ϑ(t)
8 Proposto indipendentemente nel 1924 dal demografo americano Alfred James Lotka e nel 1926 dal matematico italiano Vito
Volterra.
12
Capitolo 1 - ESEMPI INTRODUTTIVI
ut
ϑ
x
ϑ ur
l
ut
da cui:
ẋ(t) = lϑ̇ cos ϑ
ẏ(t) = lϑ̇ sin ϑ.
Le componenti dell’accelerazione sono quindi:
ẍ(t) = −lϑ̇2 sin ϑ + lϑ̈ cos ϑ
(1.24)
ÿ(t) = lϑ̇2 cos ϑ + lϑ̈ sin ϑ
Allora, tenendo conto che l’unica forza che ha una componente non nulla lungo la direzione tangente
è la forza peso −mgj, la (1.23) diventa:
Quindi:
g
ϑ̈ + sin ϑ = 0. (1.25)
l
Si tratta di un’equazione differenziale non lineare del secondo ordine. Per “piccole” oscillazioni
possiamo assumere che sin ϑ ∼ ϑ, per cui si ottiene un’equazione lineare:
g
ϑ̈ + ω 2 ϑ = 0 ω2 = ,
l
che è l’equazione del moto armonico incontrata nel paragrafo 1.3. Nei limiti di questa approssima-
zione il periodo
s
l
T = 2π/ω = 2π
g
9 Questa legge era stata sperimentalmente osservata già da Galileo (ne accenna in una lettera del 1602 a Guidubaldo del Monte),
in connessione ai suoi studi sul moto dei gravi.
13
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
ψ(x, t) = u(x)ϕ(t).
1 ~2 ϕ′ (t)
− ∆u(x) + U (x)u(x) = i~ .
u(x) 2m ϕ(t)
Deve pertanto esistere E ∈ C tale che
~2
− ∆u(x) + U (x)u(x) = Eu(x) (1.27)
2m
E
ϕ′ (t) = ϕ(t) (1.28)
i~
La seconda equazione, a parte essere espressa in C, è della stessa forma di (1.3). Sia t0 è un punto
in cui ϕ non si annulla; ricordando che, se log indica una qualunque determinazione del logaritmo
d
differenziabile in un intorno di ϕ(t0 ) allora dt log ϕ(t) = ϕ′ (t)/ϕ(t), possiamo svolgere i medesimi
E
ragionamenti utilizzati nel § 1.1. Allora localmente, e quindi globalmente, deve essere ϕ(t) = Ce i~ t ,
per un’opportuna costante C. Concludiamo che la famiglia delle soluzioni è data da:
E
ϕ(t) = ϕ(0)e i~ t ,
Osservazione 1.7.1 Sia a = α + iβ un dato numero complesso; l’equazione ϕ′ (t) = aϕ(t) (fra
cui rientra la (1.28)) dà luogo a un sistema differenziale lineare considerando separatamente la parte
reale e la parte immaginaria di ϕ. Infatti, posto ϕ(t) = u(t) + iv(t), l’uguaglianza ϕ′ (t) = aϕ(t)
diventa: ′
u = αu − βv
v ′ = βu + αv ,
che è della stessa forma di (1.19)) (qui ora b = 0).
è detta equazione di Schrödinger degli stati stazionari ed è una equazione lineare del secondo ordine
a coefficienti, in generale, non costanti. La variabilità dei coefficienti rende la studio di questo
tipo di equazioni completamente diverso dallo studio delle equazioni a coefficienti costanti (come
l’equazione (1.12) del moto armonico o l’equazione (1.18) per i circuiti RLC). Vedremo un esempio
nel Capitolo 6.
Le soluzioni dipendono dal tipo di energia potenziale considerata. Le condizioni di regolarità che
devono essere richieste per avere soluzioni fisicamente significative (in primis la condizione di essere
a quadrato integrabile) individuano una successione ψn di funzioni e di valori En corrispondenti.
Questi ultimi, che si dimostrano essere numeri reali, hanno il significato di energia totale dello stato
stazionario individuato dalla corrispondente soluzione: ne risulta la quantizzazione dell’energia del
sistema.
Caso del potenziale armonico. Nel caso monodimensionale, se
1
U (x) = Kx2
2
eseguiamo, nella (1.29), il cambiamento di variabili:
dove mK 1/4
α= .
~2
Poiché u(x) = v(αx), si ottiene l’equazione:
A partire da questa è possibile ricavare la famiglia dei cosiddetti polinomi di Hermite, mediante i
quali rappresentare la generica soluzione dell’equazione di Schrödinger degli stati stazionari.
In questo paragrafo accenniamo alla modellizzazione matematica delle cosiddette verghe elastiche
nel caso piano. Una verga è un solido deformabile che, dal punto di vista geometrico è rappresentabile
mediante una linea γ (pertanto supponiamo che la sezione sia di ampiezza trascurabile rispetto alla
lunghezza), mentre dal punto di vista meccanico soddisfa opportune richieste, di seguito precisate,
sugli sforzi interni che si producono in presenza di sollecitazioni.
Sia ϕ : [a, b] → R3 una rappresentazione parametrica semplice e C 1 della curva γ; poniamo
A = ϕ(a) e B = ϕ(b). Supponiamo che la verga AB sia in equilibrio sotto l’azione di date
forze esterne. Comunque preso il punto P = ϕ(t), se immaginiamo di rimuovere il tratto P B, la
parte rimanente AP non sarà più, in generale, in equilibrio. Per ripristinarne l’equilibrio dobbiamo
applicare in P un sistema di forze che traduce l’azione di P B su AP : tale sistema si può ridurre
ad una forza T e una coppia di momento Γ. I due vettori T e Γ caratterizzano gli sforzi interni nel
15
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
Figura 1.7 - Una verga elastica piana sollecitata da forze opposte applicate agli estremi.
punto P .10 Supporremo regolari quanto sarà necessario le due funzioni T e Γ che risultano cosı̀
definite su [a, b]. La componente di T tangente alla curva e la componente nel piano normale sono
dette rispettivamente sforzo assiale e sforzo di taglio, mentre le componenti tangente e normale di Γ
si dicono momento torcente e momento flettente, rispettivamente.
Particolarizziamo ora la situazione: consideriamo verghe che giacciono su un piano, diciamo xy,
e sono soggette solamente a forze di questo piano applicate agli estremi: siano esse F(A) e F(B).
Poiché il sistema è in equilibrio deve essere F(A) + F(B) = 0. Del resto, fissato arbitrariamente un
punto P della linea, per definizione di T e Γ anche il tratto AP è in equilibrio sotto l’azione delle
forze F(A) e T(P ) e del momento Γ(P ) applicato in P . Pertanto deve essere:
Allora il momento Γ è in ogni punto perpendicolare al piano xy della verga, e quindi è un momento
flettente: Γ = Γz k.
Le condizioni di equilibrio, in particolare l’equazione (1.32), non possono essere da sole sufficienti
per determinare la configurazione di equilibrio una volta note le forze applicate: infatti deve essere
nota una relazione costitutiva che specifichi il legame fra gli sforzi interni e la variazione della
configurazione corrispondente. Si è rivelata modellisticamente proficua, come relazione costitutiva,
l’ipotesi (risalente a Eulero) che
il momento flettente è proporzionale alla variazione ∆κ della curvatura della verga.
La costante di proporzionalità dipende dalla natura della verga (materiale utilizzato, dimensione
della sezione trasversale, ecc.). Per tradurre analiticamente la relazione costitutiva, ci poniamo nella
situazione particolare in cui la verga, in assenza di sollecitazione, sia rettilinea, disposta come l’asse x
e che le forze applicate agli estremi siano (opposte e) disposte anch’esse come l’asse x. Supponiamo
inoltre che la configurazione di equilibrio che si realizza con questo sistema di forze sia rappresentabile
come grafico y = u(x) di una funzione u : [0, b] → R (vedi Figura 1.7). Poiché in condizioni di
riposo la verga è rettilinea, la variazione di curvatura prodotta coincide con la curvatura stessa, cioè:
3/2
κ = u′′ (x) 1 + u′ (x)2
. Cosı̀ espressa la curvatura presenta segno positivo o negativo nei punti
di convessità o concavità, rispettivamente; queste due situazioni corrispondono a momenti flettenti
10 I
concetti ora esposti trovano la loro naturale collocazione nello studio dei continui deformabili, per i quali svolge un ruolo
chiave il cosiddetto tensore degli sforzi. Per una trattazione approfondita rimandiamo ai testi dedicati all’argomento (citiamo,
ad esempio, [6]).
16
Capitolo 1 - ESEMPI INTRODUTTIVI
Si tratta di un cosiddetto problema ai limiti per un’equazione del secondo ordine. Per questo tipo di
problemi accenneremo solamente, nel paragrafo 6.1, al caso particolare dell’equazione linearizzata
u′′ + λu = 0, per la quale, come vedremo, incontreremo lo stesso problema ai limiti in un contesto
molto differente.
Molti problemi e risultati fondamentali per le equazioni differenziali presentate nei paragrafi prece-
denti possono essere utilmente inquadrati in una teoria generale. Cerchiamo innanzitutto di unificare,
anche dal punto di vista notazionale, le equazioni incontrate finora.
Sia D un aperto di Rn+1 e f : D → Rn una funzione continua.
x′ (t) = f t, x(t)
per ogni t ∈ J.
17
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
Le equazioni della forma (1.35) si dice che sono poste in forma normale. Useremo in genere la parola
‘equazione’ anche nel caso dei ‘sistemi’ di equazioni, cioè n > 1.
In questa tipologia, con n = 1, rientrano palesemente le equazioni (1.1), (1.16), (1.17) preceden-
temente incontrate; nel caso n = 2, invece, rientrano gli esempi (1.19), (1.21) e (1.22).
Il significato modellistico delle soluzioni già motiva l’opportunità di considerare come soluzioni
funzioni definite su intervalli (non è ammessa una discontinuità temporale): se matematicamente una
funzione è definita sull’unione di due intervalli disgiunti e risolve l’equazione, intenderemo che dà
luogo a due soluzioni. Questa convenzione semplificherà anche alcuni degli enunciati generali che
verranno esposti nel seguito.
Definizione 1.9.2 Dato (t0 , x0 ) ∈ D, diciamo soluzione del problema ai valori iniziali (o di
Cauchy): ′
x = f (t, x)
x(t0 ) = x0
ogni funzione x che sia una soluzione di x′ = f (t, x) in un intervallo J contenente t0 e si abbia
x(t0 ) = x0 . Diremo anche che la soluzione x passa per il punto (t0 , x0 ).
con f : D → Rn funzione continua su un aperto D ⊆ R2n+1 . È facile vedere che in questa tipologia
rientrano le equazioni (1.12), (1.25), (1.29) o (1.31), e (1.33) precedentemente incontrate. Tuttavia
le equazioni (1.36) possono essere equivalentemente trasformate in equazioni in forma normale del
primo ordine, a patto di aumentare il numero delle equazioni e delle funzioni incognite. Infatti, se
poniamo
x′ = v,
l’equazione (1.36) si trasforma nel sistema del primo ordine:
′
x =v
v ′ = f (t, x, v)
con
u = (x, v) e F (t, u) = (v, f (t, x, v)).
È facile vedere la generalizzazione a equazioni differenziali di ordine n del tipo:
dette in forma normale. Anche per esse possiamo ricondurci allo studio di un’equazione del primo
ordine; ponendo
x0 = x, x1 = x′ , x2 = x′′ , . . . , xn−1 = x(n−1) ;
otteniamo, equivalentemente
′
x′0 = x1
x1 = x2
...
x′ = xn−1
x′n−2 = f t, x , x , x , . . . , x
n−1 0 1 2 n−1 .
18
Capitolo 1 - ESEMPI INTRODUTTIVI
quindi della forma (1.35). Per l’equazione (1.38) il problema ai valori iniziali:
x(n) = f t, x(t), x′ (t), x′′ (t), . . . , x(n−1) (t) ,
con x0 , x1 , x2 , . . . , xn−1 assegnati, si traduce nel problema ai valori iniziali per il sistema equivalente
del primo ordine con i dati:
secondo la Definizione 1.9.2. Pertanto, possiamo affermare che la teoria dei sistemi di equazioni dif-
ferenziali ordinarie in forma normale conserva tutta la sua generalità anche se ci si limita a considerare
sistemi del primo ordine.
Nel capitolo successivo svilupperemo gli elementi di base della teoria delle equazioni differenziali
del primo ordine che possono essere poste in forma normale: per esse è infatti possibile sviluppare
un soddisfacente quadro di risultati. La teoria per le equazioni della forma più generale
∼·∼·∼·∼·∼·∼·∼
Nel caso scalare (n = 1) la richiesta che una funzione x : J → R di classe C 1 sia soluzione
dell’equazione x′ = f (t, x) si traduce nella condizione che il suo grafico sia contenuto in D (dominio
di f ) e in ogni suo punto (t, x(t)) la retta tangente abbia pendenza f (t, x(t)) (Figura 1.9). Un discorso
analogo, anche se di minor efficacia dal punto di vista grafico, può essere svolto nel caso generale
n ≥ 1 relativamente alle tangenti alla curva t 7→ (t, x(t)) nello spazio delle coordinate tx.
Particolarmente importante, anche dal punto di vista grafico, è la situazione in cui la funzione f
non dipende dalla variabile t (nella notazione della (1.35)). Sia Ω un sottoinsieme aperto di Rn e
f : Ω → Rn continua;
pendenza=f (t,x(t))
(t,x(t))
t t
Figura 1.8 - La condizione che la funzione (scalare) x sia soluzione dell’equazione x′ = f (t, x) si
traduce geometricamente nella condizione che il grafico di x abbia in ogni punto come pendenza
proprio il valore di f in quel punto.
γy
y(·)
y(t0 )
f (y(t0 ))
Figura 1.9 - Rappresentazione grafica di una soluzione: γy è il luogo descritto dal punto y(t) al
variare di t ∈ J.
x2
1.8
1.6
1.4
1.2
0.8
0.6
0.4
0.2
0
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 1.8 x1
Figura 1.10 - Campo f per il sistema (1.20) (nel caso α = β = γ = δ = 1). Qui il punto di equilibrio
(x01 , x02 ) è (1, 1).
21
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
x2
1
0.9
0.8
0.7
0.6
0.5
0.4
0.3
0.2
0.1
0
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 1.8 x1
Figura 1.11 - Campo f per il sistema (1.22) (nel caso α = β = γ = δ = µ = 1 e λ = 1/2). Qui il
punto di equilibrio (x01 , x02 ) è (4/3, 1/3).
La Figura 1.11 è invece relativa all’equazione (1.22) nel caso in cui il “punto di equilibrio” (x01 , x02 )
corrispondente alla soluzione costante che annulla il secondo membro dell’equazione sia in R+ × R+ .
Si intuisce un movimento a spirale verso (x01 , x02 ).
Rimandiamo al § 2.6 per alcuni concetti di base sui sistemi automoni.
22
Capitolo 2
Z t
b) x(t) = x0 + f s, x(s) ds per ogni t ∈ J.
t0
Dimostrazione. Una semplice applicazione del teorema fondamentale del calcolo integrale.
comunque presi x1 , x2 ∈ E. Nel seguito utilizzeremo, per la funzione f di cui all’equazione (2.1), la
cosiddetta condizione di lipschitzianità nella seconda variabile, uniformemente rispetto alla prima,
su un insieme E ⊆ D, condizione che si traduce nella richiesta che esista una costante LE > 0 per
la quale
|f (t, x1 ) − f (t, x2 )| ≤ LE |x1 − x2 |
comunque presi (t, x1 ), (t, x2 ) ∈ E. Nel caso in cui questa condizione sia richiesta su ogni compatto
K di D parleremo di lipschitzianità locale di f su D (nella seconda variabile, uniformemente rispetto
alla prima).
Mediante il teorema del valor medio non è difficile vedere come la condizione f ∈ C 1 (D; Rk )
assicuri la condizione di lipschitzianità locale nell’ipotesi che D sia convesso. In realtà si può
dimostrare come sia sufficiente che D sia un aperto connesso. Vale infatti il seguente risultato.
il limite delle due successioni è uno stesso punto x ∈ K. Sia r > 0 tale che Br (x) ⊆ G; per j
sufficientemente grande risulta x1j , x2j ∈ Br (x). Possiamo allora definire la funzione ϕ : [0, 1] → Rk
Risulta:
Z 1
g(x2j ) = ϕ(1) = ϕ(0) + ϕ′ (s) ds
0
Z 1
= g(x1j ) + Dg x1j + s(x2j − x1j ) · (x2j − x1j ) ds ;
0
quindi
|g(x2j ) − g(x1j )| ≤ max |Dg| |x2j − x1j |.
B r (x)
R D
(t0 ,x0 )
x0
t0 t
Figura 2.1 - Se Ra,b (t0 , x0 ) ⊆ D l’esistenza di una soluzione soddifacente al dato x(t0 ) = x0 è
garantita nell’intervallo [t0 − α, t0 + α], con α = min(a, b/ maxR |f |) (Teorema 2.1.3).
Osserviamo che, data una funzione x ∈ C 0 (I; Rn ), se il suo grafico è contenuto in R, allora la
funzione Z t
T x : t 7→ x0 + f s, x(s) ds
t0
25
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
0
Allora T è un operatore da C I; B b (x0 ) in sé, per cui possiamo definire, per ricorrenza, la seguente
successione di funzioni:
x0 (·) ≡ x0 xk+1 = T xk (k = 0, 1, 2 . . .)
Dimostriamo che (xk ) converge uniformemente in I a una funzione continua x. Innanzitutto risulta:
t
Z
|x1 (t) − x0 (t)| ≤ f (s, x0 ) ds ≤ M |t − t0 |;
t0
mediante questa stimiamo analogamente |x2 (t)−x1 (t)|, tenendo conto della lipschitzianità di f nella
seconda variabile:
t
Z
|x2 (t) − x1 (t)| ≤ f (s, x1 (s)) − f (s, x0 (s) ds
t0
t t
Z Z
≤L |x1 (s) − x0 (s)| ds ≤ M L
|s − t0 | ds
t0 t0
Pertanto:
max |xk+j (t) − xk (t)| → 0 per k → ∞ e per ogni j.
t∈I
Per il criterio di Cauchy per la convergenza uniforme la successione (xk ) converge uniformemente
in I e la funzione limite x è ivi continua.
Dalla definizione di (xk ) abbiamo
Z t
xk+1 (t) = x0 + f s, xk (s) ds per ogni t ∈ I.
t0
La convergenza uniforme di (xk ) a x in I assicura che f (·, xk (·)) converge uniformemente in I alla
funzione f (·, x(·)) (se ne lascia la verifica al lettore), per cui possiamo passare al limite sotto il segno
di integrale, ottenendo:
Z t
x(t) = x0 + f s, x(s) ds per ogni t ∈ I.
t0
26
Capitolo 2 - PROBLEMI AI VALORI INIZIALI PER SISTEMI DEL PRIMO ORDINE
Quindi,
|z(t) − x0 (t)| ≤ M1 (t − t0 ),
dove M1 è una limitazione di |f | su un compatto contenente il grafico di z . Detta L1 una
[t0 ,t0 +δ]
costante di Lipschitz per f su un compatto contenente z
e R, se procediamo in modo analogo
[t0 ,t0 +δ]
a quanto fatto per stimare |x2 − x1 |, abbiamo:
Z t
Z t
|z(t) − x1 (t)| ≤ f (s, z(s)) − f (s, x0 (s) ds ≤ L1 |z(s) − x0 (s)| ds
t0 t0
t
1
Z
≤ M1 L1 |s − t0 | ds = M1 L1 (t − t0 )2 .
t0 2
Osservazione 2.1.5 [Unicità locale e globale] L’unicità di cui al teorema precedente è locale, nel
senso che è ristretta alla considerazione dell’intorno [t0 − α, t0 + α]. A partire da ciò si può tuttavia
ottenere facilmente un risultato di unicità globale. Più precisamente, dimostriamo che se x1 , x2 sono
due soluzioni del problema (P ) negli intervalli J1 e J2 rispettivamente, allora x1 e x2 coincidono su
J := J1 ∩ J2 , e quindi è individuata un’“unica soluzione” su tutto l’intervallo J1 ∪ J2 . Poniamo
t2 /4
(t − c)2 /4
c t
p
Figura 2.2 - Soluzioni distinte del problema di Cauchy x′ = |x|, x(0) = 0.
1 (t − c)2
se t ≥ c
x(t) = 4 (2.5)
0 se t ≤ c.
In vista degli sviluppi successivi è utile esplicitare il fatto che il valore α relativo all’ampiezza
dell’intervallo di esistenza del problema (P ) garantita dal Teorema di Peano possa essere stimata
uniformemente rispetto al punto (t0 , x0 ) se questo varia in un compatto K in D. Più precisamente:
Corollario 2.1.7 Se K ⊆ D è compatto, esiste α > 0 tale che per ogni (t0 , x0 ) ∈ K il problema
(P ) ha una soluzione definita nell’intervallo [t0 − α, t0 + α].
Dimostrazione. È sufficiente osservare che il Teorema di Peano può essere applicato, per ogni
(t0 , x0 ) ∈ K, con a e b dipendenti soltanto da dist(K, ∂D) > 0.
Come risulta evidente dall’esempio x′ = f (t, x) con f (t, x) = x2 (vedi esercizi alla fine del pa-
ragrafo), anche se la funzione f è ovunque definita e regolare non è detto che le soluzioni della
corrispondente equazione siano definite su tutto R.
28
Capitolo 2 - PROBLEMI AI VALORI INIZIALI PER SISTEMI DEL PRIMO ORDINE
cioè x è soluzione di (2.1) in (a, b]. (Si utilizzi il teorema del valor medio).
Teorema 2.2.2 (prolungamento massimale) Sia D aperto di Rn+1 e f : D → Rn conti-
nua. Ogni soluzione x di (2.1) ammette un prolungamento ad un intervallo massimale di esistenza
(ω− , ω+ ). Inoltre (t, x(t)) “abbandona definitivamente” ogni compatto di D per t → ω± , cioè
Osservazione 2.2.3 In assenza di ipotesi di unicità per le soluzioni dei problemi dipCauchy il
prolungamento massimale non è necessariamente unico. Si pensi all’equazione y ′ = |y| e alle
soluzioni (2.5), tutte definite su intervalli massimali e coincidenti su (−∞, c].
Dimostrazione (del Teorema 2.2.2). Sia x : J → Rn soluzione di (2.1). Occupiamoci del prolun-
gamento a destra. Sia a un punto di J e b = sup J. Se J è massimale allora deve essere b ∈ / J:
infatti, in caso contrario, il problema di Cauchy con dato iniziale x(b) in b permetterebbe di estendere
l’intervallo di esistenza, che pertanto non sarebbe massimale. Quindi se J è massimale (destro) allora
è aperto a destra.
Se J non è un intervallo massimale (destro) allora possiamo supporre che x sia prolungabile
almeno in b. Pertanto è lecito assumere che x : [a, b] → Rn .
Passo 1. Sia K un qualunque compatto contenuto in D e contenente il grafico di x. In base al
Corollario 2.1.7 esiste αK > 0 tale che il problema ai valori iniziali
′
z = f (t, z)
z(t0 ) = z0
Vk ⊆ Vk+1 ⊂⊂ D.
29
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
S
Supponiamo inoltre che V1 contenga il grafico di x e che Vk esaurisca D:
[
(t, x(t)) ∈ V1 per ogni t ∈ [a, b]; Vk = D.
Per ricorrenza sia bk = bV k il valore costruito al passo precedente per K = V k a partire dal
prolungamento ottenuto su [a, bk−1 ]. Possiamo supporre che
• (bk ) sia non decrescente;
• (bk ) sia limitata superiormente (altrimenti si avrebbe un prolungamento ad [a, +∞), che è già
massimale).
Allora (bk ) converge ad un valore reale ω+ cosı̀ che abbiamo ottenuto un prolungamento ad [a, ω+ ).
Mostriamo che tale prolungamento è massimale (destro). Se infatti cosı̀ non fosse x sarebbe
prolungabile in ω+ , quindi per continuità si avrebbe:
/ V k ⊇ VN
(bk , x(bk )) ∈ per ogni n ≥ N ;
quindi
(bk , x(bk )) ∈
/ VN per ogni n ≥ N ,
da cui (ω+ , x(ω+ )) ∈
/ VN . Per l’arbitrarietà di N ∈ N concludiamo che
[
(ω+ , x(ω+ )) ∈ / VN = D : assurdo.
N
Per ora abbiamo dimostrato che è sempre possibile estendere x ad un intervallo massimale destro
e che tale intervallo è aperto a destra.
Passo 3. Rimane da dimostrare che (t, x(t)) → ∂D per t → ω+ .
Se ω+ = +∞ non c’è nulla da dimostrare; sia pertanto ω+ < +∞. Per assurdo supponiamo che
esista K compatto di D e una successione tk → ω+ tali che:
(tk , x(tk )) ∈ K.
Assumiamo (tk ) strettamente crescente. Per la compattezza di K possiamo anche supporre che
Dobbiamo pertanto escludere la possibile non esistenza del limite di x per t → ω+ (vedi Figura 2.3).
Sia B una palla chiusa di centro (ω+, x) e tutta contenuta in D. Possiamo supporre che (tk, x(tk )) ∈
B per ogni k. Sia M = maxB |f |. Se sapessimo che (s, x(s)) ∈ B per ogni s in un intorno di ω+
allora per k sufficientemente grande, diciamo k ≥ k, e τ ≥ tk :
Z τ
|x(τ ) − x(tk )| ≤ |f (s, x(s))| ds ≤ M (τ − tk )
tk
≤ M (ω+ − tk ) → 0 per k → +∞;
30
Capitolo 2 - PROBLEMI AI VALORI INIZIALI PER SISTEMI DEL PRIMO ORDINE
tk t
ω+
y(·)
Figura 2.3 - La negazione che x(t) → ∂D per t → ω+ porta ad un assurdo (vedi Passo 3 della
dimostrazione del Teorema 2.2.2).
Consideriamo pertanto l’insieme dei valori τ per i quali vale la disuguaglianza |x(τ ) − x(tk )| ≤
M (ω+ − tk ) o, più precisamente, per ogni k consideriamo
• Per ogni k per il quale sussiste (2.9) e ωk < ω+ (quindi, in particolare, risulta definito x(ωk ))
abbiamo: Z ωk
|x(ωk ) − x(tk )| ≤ |f (s, x(s))| ds ≤ M (ωk − tk ) < M (ω+ − tk ).
tk
x(t0 ) + M |t − t0 |
t0 t
Alcune conseguenze: condizioni per l’esistenza globale. Supponiamo che D sia della forma I × Ω,
con I intervallo aperto e Ω aperto di Rn . Sia x : J → Rn una soluzione di (2.1); supponiamo che J
sia un intervallo massimale di esistenza.
a) Se esiste un compatto Y di Ω per il quale
u1 ≤ x ≤ u2 in J. (2.11)
Allora J = I.
Si noti che i casi (b) e (c) si possono ricondurre al punto (a) poiché le stime (2.10) e (2.11)
assicurano che su ogni compatto di I la x rimane in un compatto di Ω = Rn .
32
Capitolo 2 - PROBLEMI AI VALORI INIZIALI PER SISTEMI DEL PRIMO ORDINE
Definizione 2.2.4 In ipotesi di unicità per i problemi di Cauchy (P ) indicheremo con x(·, t0 , x0 )
l’unica soluzione del problema (P ), definita nel suo intervallo massimale di definizione.
Se D è una striscia della forma I × Rn con I ⊆ R intervallo aperto, il fatto che x(·, t0 , x0 ) sia
definita in tutto I comunque preso (t0 , y0 ) ∈ D viene spesso espresso dicendo che vi è esistenza
globale per l’equazione x′ = f (t, x).
Esercizi
1. Si valuti la massima ampiezza garantita dal Teorema 2.1.3 per l’intervallo di definizione della
soluzione del problema di Cauchy: ′
x = x2
x(0) = x0 .
4. Sia f come sopra. Se f è limitata in D, ogni soluzione x in un intervallo (a, b) ammette limiti
finiti
lim+ x(t) = x(a+ ) e lim− x(t) = x(b− ).
t→a t→b
−
Se inoltre f è o può essere definita in (b, x(b )) in modo continuo, allora x è soluzione di (2.1) in
(a, b]. Analogamente per l’estremo sinistro a.
33
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
u(a) = α
Il Lemma seguente risponde alla domanda: se in (2.13) vale il segno di disuguaglianza, anziché di
uguaglianza, lo stesso si riflette nella (2.14)?
Lemma 2.3.1 (Gronwall) Sia I un dato intervallo e β ∈ C 0 (I), con β ≥ 0. Sia a un punto di
I e sia u ∈ C 0 (I) una funzione per la quale esiste α ∈ R tale che
Z t
u(t) ≤ α + β(s)u(s) ds per ogni t ∈ I.
a
Allora: Rt
β(s) ds
u(t) ≤ αe a per ogni t ∈ I, con t ≥ a.
Dimostrazione. Poniamo Z t
R(t) = β(s)u(s) ds.
a
Allora (ricordiamo che β ≥ 0)
Applichiamo alla disuguaglianza R′ (t) − βR(t) ≤ αβ(t) il ragionamento utilizzato poco sopra per
le equazioni differenziali lineari del primo ordine. Sia B la primitiva di β definita da:
Z t
B(t) = β(s) ds.
a
34
Capitolo 2 - PROBLEMI AI VALORI INIZIALI PER SISTEMI DEL PRIMO ORDINE
Concludiamo ricavando R(t) ≤ −α+αeB(t) e sostituendo tale stima nella disuguaglianza data come
ipotesi.
Possiamo quindi dire che le condizioni di lipschitzianità locale assicurano l’unicità globale.
Il teorema che ora enunciamo è una formalizzazione del fatto che date due funzioni (scalari) x e u,
se negli eventuali punti di intersezione dei grafici la pendenza della prima è sempre inferiore a quella
della seconda, allora l’informazione che x ≤ u in un istante a permette di concludere che x ≤ u per
tutti i tempi successivi t ≥ a.
Teorema 2.4.1 (confronto) Sia D ⊆ Rn aperto. Sia ω : D → R una funzione conti-
nua e localmente lipschitziana nella seconda variabile, uniformemente rispetto alla prima. Siano
x, u : J → Rn funzioni di classe C 1 con grafico contenuto in D e tali che
x′ (t) ≤ ω(t, x(t)), u′ (t) = ω(t, u(t))
per ogni t ∈ J. Sia a ∈ J tale che
x(a) ≤ u(a).
Allora
x(t) ≤ u(t) per ogni t ∈ J con t ≥ a.
Questo risultato vale in realtà nelle ipotesi di unicità per l’equazione differenziale u′ = ω(t, u),
indipendentemente dall’ipotesi di lipschitzianità (vedi, ad esempio, [7]).
35
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
Dimostrazione. Supponiamo che in J esista t > a con x(t) > u(t). Sia
Deve essere (teorema permanenza del segno) x(t0 ) = u(t0 ) e t0 < t. Inoltre:
In [t0 , t] risulta:
Z t Z t
′
x(t) = x(t0 ) + x (s) ds ≤ x(t0 ) + ω(s, x(s)) ds,
t0 t0
e Z t
u(t) = u(t0 ) + ω(s, u(s)) ds.
t0
(notiamo la necessità di lavorare in un intervallo in cui x(t) − u(t) ≥ 0). Per il Lemma di Gronwall
concludiamo che (α = 0)
x(t) − u(t) ≤ 0.
Ciò è assurdo.
Come applicazione dimostriamo l’esistenza globale per le soluzioni del sistema di Lotka-Volterra:
′
x = (α − βy)x
(2.15)
′
y = (−γ + δx)y
Sia x(·), y(·) : J → R2 una soluzione, con J intervallo massimale di esistenza. Come si vedrà
più avanti, ed è immediatamente verificabile, poichè le equazioni sono autonome, cioè in esse non
compare esplicitamente il tempo t, la soluzione del problema ai valori iniziali con dato in t0 può essere
ottenuta per traslazione temporale dalla soluzione che assume lo stesso dato al tempo 0. Pertanto
supponiamo 0 ∈ J e poniamo:
x(0) = x0 , y(0) = y0 .
È facile vedere che se y0 = 0 e x0 6= 0 allora la funzione y ≡ 0 è soluzione della seconda equazione,
mentre la prima fornisce;
x(t) = x0 eαt .
Analogamente se x0 = 0 e y0 6= 0.
36
Capitolo 2 - PROBLEMI AI VALORI INIZIALI PER SISTEMI DEL PRIMO ORDINE
Assumiamo ora (caso di interesse modellistico) che x0 > 0 e y0 > 0. Per unicità deve allora
essere x > 0 e y > 0 in tutto J. Allora la prima delle due equazioni dà x′ ≤ αx; se u è la soluzione
del problema di Cauchy ′
u = αu(t),
u(0) = x0 ,
cioè u(t) = x0 eαt , per il Teorema del confronto deduciamo che
dove si è posto φ(t) = −γ + δx0 eαt . Applichiamo allora il confronto utilizzando la soluzione v del
problema ′
v (t) = φ(t)v(t)
v(0) = y0 .
Notiamo che v è definita su tutto R (l’equazione è lineare del primo ordine, con coefficienti ovunque
definiti). Risulta pertanto:
y(t) ≤ v(t) per ogni t > 0 (t ∈ J).
Le limitazioni cosı̀ ottenute per x(t) e y(t) assicurano, in base al Teorema 2.2.2, l’esistenza della
soluzione per tutti i tempi t > 0. Un ragionamento analogo può essere svolto per dimostrare
l’esistenza globale per i tempi negativi (si inizi stimando la y mediante un’esponenziale).
Notiamo che u(t) ≥ 0 per ogni t ≥ t0 poiché u(t0 ) ≥ 0 e u′ (t) ≥ 0; allora u soddisfa, per t ≥ t0 ,
un’equazione differenziale lineare del primo ordine, per cui risulta definita per ogni t ∈ I con t ≥ t0 .
Applichiamo ora il Teorema di confronto 2.4.1 con ω(t, x) = ϕ(t) + ψ(t)|x|; dal momento che
x(t0 ) ≤ u(t0 ), abbiamo:
x(t) ≤ u(t) per ogni t ≥ t0 .
In modo analogo, per avere una stima dal basso osserviamo che
La funzione v risulta non positiva per t ≥ t0 , quindi risolve un’equazione differenziale lineare del
primo ordine per la quale vi è esistenza globale. Inoltre, per il Teorema del confronto risulta:
Il grafico di x è quindi confinato fra quelli di u e v, per cui abbiamo esistenza globale (Teorema
2.2.2).
Osservazione 2.4.4 Il corollario ora considerato ha portata più generale, valendo in realtà anche
per sistemi di equazioni (e non soltanto per incognite scalari), con il medesimo enunciato (ora D =
I × Rn ). Una dimostrazione può essere ottenuta mediante il Lemma di Gronwall come segue.
Sia x : J → Rn una soluzione, con J intervallo massimale, e sia t0 ∈ J. Occupiamoci dei tempi
t ≥ t0 . Risulta:
Z t
|x(t)| ≤ |x(t0 )| + |f (s, x(s))| ds
t0
Z t
≤ |x(t0 )| + ϕ(s) + ψ(s)|x(s)| ds
t0
Detto b l’estremo destro di I, fissiamo t ∈ (t0 , b). Dalla disuguaglianza precedente abbiamo subito,
per ogni t ∈ J ∩ [t0 , t]:
Z t
|x(t)| ≤ α + M |x(s)| ds,
t0
dove
α = |x(t0 )| + (t − t0 ) max ϕ, M = max ψ.
[t0 ,t] [t0 ,t]
Osservazione 2.4.5 Il Corollario 2.4.3, nella forma estesa di cui all’osservazione precedente, ha
una notevole applicazione al caso dei sistemi lineari:
x′ = A(t)x + b(t),
f 0 : D → Rn , (t0 , x0 ) ∈ D
38
Capitolo 2 - PROBLEMI AI VALORI INIZIALI PER SISTEMI DEL PRIMO ORDINE
tali che
x(t0 ) = x0
x(tj ) = xj .
Osservazione 2.5.2 Il teorema vale in realtà nell’ipotesi che il problema che risolve φ0 abbia
unicità, indipendentemente dall’ipotesi di lipschitzianità (vedi, ad esempio, [7], Lemma 3.1, pag. 24).
Osservazione 2.5.3 Si notino i casi particolari in cui la successione (fj ) o i punti (tj , xj ) non
dipendano da n.
Alla dimostrazione del teorema premettiamo un lemma, che precisa quanto già contenuto nel
Corollario 2.1.7, mettendo in evidenza l’uniformità dell’ampiezza dell’intervallo di esistenza in pre-
senza di una limitazione uniforme per f ; ciò vale per ogni soluzione, indipendentemente dall’ipotesi
di unicità o della specifica costruzione considerata per dimostrare l’esistenza di una soluzione.
K ⊆ V ⊂⊂ D.
Sia M ≥ maxV |f |. Esiste allora α > 0 dipendente soltanto da K, V e M 11 tale che, comunque
preso (t0 , x0 ) ∈ K, se x : J → Rn è una soluzione di
′
x = f (t, x)
(2.16)
x(t0 ) = x0
con J intervallo massimale, allora J ⊇ [t0 − α, t0 + α] e il grafico di x è contenuto in
[t0 −α,t0 +α]
V.
11 Inparticolare è possibile scegliere α in modo che sia comune a tutti gli elementi di una data famiglia di funzioni f che sia
equilimitata su V .
39
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
V
K
(t0 , x0 )
(t0 , x0 ) Ra,b (t0 , x0 )
Ra,b (t0 , x0 )
t
t0 −a t0 +a t t0 −a t0 +a t
(a) (b)
b
α = min a,
M
(e pertanto α dipende soltanto da K, V e M ). Occupiamoci dell’intervallo [t0 , t0 + α] (analogamente
si procede per [t0 − α, t0 ]).
Sia
t = sup{t ∈ [t0 , ω+ ) : ∀τ ∈ [t0 , t] (τ, x(τ )) ∈ Ra,b (t0 , x0 )}.
Se fosse t = ω+ allora il grafico di x in [t0 , ω+ ) sarebbe tutto contenuto in R, che è un compatto
di D: ciò è assurdo. Pertanto t < ω+ . Mostriamo che t0 + α ≤ t. Supponiamo, per assurdo, che
t < t0 + α. Allora deve essere (vedi Figura 2.5(b))
|x(t) − x0 | = b;
ma per ogni t ∈ [t0 , t] risulta (t, x(t)) ∈ Ra,b (t0 , x0 ), per cui |f (t, x(t))| ≤ M e
Z t
b = |x(t) − x0 | ≤ |f (s, x(s))| ds ≤ M |t − t0 | < M α ≤ b.
t0
|fj | ≤ |fj − f0 | + |f0 | ≤ max |fj − f0 | + max |f0 | → max |f0 | < M ,
V V V
40
Capitolo 2 - PROBLEMI AI VALORI INIZIALI PER SISTEMI DEL PRIMO ORDINE
da cui
Z t0 +α/2
|φj (t) − φ0 (t)| ≤ |xj − x0 | + M |t0 − tj | + |fj (s, φj (s)) − f0 (s, φj (s))| ds
t0
Z t
+ |f0 (s, φj (s)) − f0 (s, φ0 (s))| ds.
t0
con
αj = |xj − x0 | + M |tj − t0 | + σj → 0.
Per il Lemma di Gronwall:
Supponiamo che per ogni λ la funzione f (·, ·, λ) sia localmente lipschitziana (nella seconda variabile,
uniformemente rispetto alla prima). 12 Pertanto il problema (2.17) ammette soluzione unica, che
indichiamo con
x(·, t0 , x0 , λ)
Sia (ω− (t0 , x0 , λ), ω+ (t0 , x0 , λ)) il suo intervallo massimale di esistenza.
Teorema 2.5.5 La funzione ω− (t0 , x0 , λ) [ω+ (t0 , x0 , λ)] è semicontinua superiormente [infe-
riormente], l’insieme
è aperto e la funzione
x : (t, t0 , x0 , λ) 7→ x(t, t0 , x0 , λ)
è continua in E.
La dimostrazione utilizza la continuità (uniforme) garantita dal Teorema 2.5.1 rispetto alle variabili (t0 , x0 , λ): assieme
alla continuità in t si ottiene la continuità di (t, t0 , x0 , λ) 7→ x(t, t0 , x0 , λ). Il fatto che E sia aperto discende dalla
semicontinuità delle funzioni ω− e ω+ (per questa dimostrazione si veda [9], Theorem 2.1 pag. 94 e [7], Capitolo 1, Theorem
3.4 e Theorem 3.1).
Osservazione 2.5.6 Il teorema precedente contiene, in particolare, la seguente versione del Teo-
rema 2.5.1. Dati t0 , x0 e λ0 , se [a, b] è un intervallo contenuto in ω− (t0 , x0 , λ0 ), ω+ (t0 , x0 , λ0 ) ,
la semicontinuità di ω± assicura l’esistenza di un intorno U di (t0 , x0 , λ0 ) tale che y(·, τ, z, λ) è
definita almeno in [a, b] per ogni (τ, z, λ) ∈ U ; inoltre, potendosi chiaramente supporre U chiuso, la
continuità (uniforme) di x su [a, b] × U dà:
x(t0 ) = x0
e indichiamone con x(·, t0 , x0 ) la soluzione. Supponiamo inoltre che la funzione nulla sia soluzione.
Dati comunque t0 ∈ R e T > 0 applichiamo i risultati visti sulla dipendenza continua all’intervallo
[t0 , t0 +T ], al variare del dato iniziale x0 (si ricordi, in particolare, l’Osservazione 2.5.6). Esiste allora
12 In realtà, come per il Teorema di dipendenza continua, sarebbe sufficiente l’ipotesi che i problemi (2.17) abbiano unicità.
42
Capitolo 2 - PROBLEMI AI VALORI INIZIALI PER SISTEMI DEL PRIMO ORDINE
(t0 , x0 )
ε
x
δ
t
t0
t0 + T
un valore δ(T ) > 0 tale che se |x0 | < δ(T ) la soluzione x(·, t0 , x0 ) è definita su tutto [t0 , t0 + T ].
Inoltre x(·, t0 , x0 ) converge uniformemente alla funzione nulla (che è la soluzione corrispondente al
dato (t0 , 0)) per x0 → 0. Quindi (vedi Figura 2.6), fissati t0 e T :
per ogni ε > 0 esiste δ(T, ε) > 0 tale che se |x0 | < δ(T, ε) allora la soluzione x(·, t0 , x0 ) è
definita su tutto [t0 , t0 + T ] e |x(t, t0 , x0 )| < ε per ogni t ∈ [t0 , t0 + T ].
x′ = x2 .
1
x(t, 0, x0 ) = .
(1/x0 ) − t
Dati ε > 0 e T > 0 abbiamo esistenza su [0, T ] se x0 < 1/T , mentre la condizione |x(t, 0, x0 )| < ε
per ogni t ∈ [0, T ] è verificata se |x0 | < δ, con δ tale che
1 1
< ε, cioè δ < 1 .
(1/δ) − T ε +T
44
Capitolo 2 - PROBLEMI AI VALORI INIZIALI PER SISTEMI DEL PRIMO ORDINE
x2
x1 x(·)
Figura 2.7 - L’orbita della soluzione x(·) è la proiezione γ del grafico di x(·) sullo spazio degli stati.
Dimostrazione. Per la prima proprietà si veda il Teorema 2.5.5, mentre la seconda è immediata
per la definizione stessa di ϕ. Per la terza proprietà basta osservare che le funzioni ϕ ·, ϕ(s, x) e
ϕ(s + ·, x) sono entrambe soluzioni del problema con dato iniziale ϕ(s, x), quindi coincidono.
b) se x : J → Ω è una soluzione non costante, allora è necessariamente una curva regolare, cioè
x′ (t) 6= 0 per ogni t ∈ J.
quindi x0 := x(t0 ) sarebbe tale che f (x0 ) = 0: l’orbita di x e quella della soluzione costante con
valore x0 dovrebbero coincidere perché presentano un punto in comune.
45
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
Nello studio delle orbite del sistema (2.18), le particolari rappresentazioni parametriche fornite
dalle soluzioni del sistema stesso perdono la loro centralità. Infatti, dal punto di vista della geometria
delle orbite, non è rilevante la velocità con cui sono percorse (il che è specificato dalla rischiesta
che x′ (t) = f (x(t))); cosı̀, se γ è l’orbita individuata dalla soluzione x : (a, b) → Ω, è naturale
considerare la classe delle rappresentazioni parametriche di γ equivalenti a x (le riparametrizzazioni
di x), cioè la classe delle funzioni u per le quali esiste una funzione ψ : (α, β) → (a, b) di classe C 1 ,
invertibile con inversa C 1 , per la quale:
u = x ◦ ψ.
Risulta
u′ = λf (u), con λ = ψ ′ .
La funzione λ è continua e mai nulla, per cui l’uguaglianza u′ = λf (u) traduce il parallelismo fra il
vettore tangente u′ e il campo assegnato f . Inoltre caratterizza le riparametrizzazioni delle soluzioni
di (2.18). Più precisamente vale il seguente risultato:
u′ = λf (u) in J.
Dimostrazione. Già abbiamo visto che se u è una riparametrizzazione di una soluzione allora
u′ = λf (u) per un’opportuna λ continua e mai nulla. Viceversa, sia ψ una primitiva di λ. Allora
ψ è invertibile, con inversa C 1 , e si controlla immediatamente che x = u ◦ ψ −1 è una soluzione di
(2.18).
Il problema (2.22) viene anche espresso mediante la scrittura seguente (dove utilizziamo la variabile
x in luogo della u):
dx1 dx2 dxn
= = ... = . (2.23)
f1 (x) f2 (x) fn (x)
Riprenderemo questo problema, per il caso n = 2, nel § 3.7.
46
Capitolo 3
con I1 e I2 intervalli aperti. Osserviamo subito che le funzioni costanti che assumono uno degli
eventuali zeri di h sono soluzioni dell’equazione differenziale.
Sia ora x una soluzione di (3.1), su un intervallo J in cui t 7→ h(x(t)) è non nulla; risulta:
1
x′ (t) = g(t) per ogni t ∈ J, (3.2)
h(x(t))
e quindi, passando agli integrali indefiniti di entrambi i membri:
1
Z Z
x′ (t) dt = g(t) dt;
h(x(t))
quest’ultima uguaglianza può anche essere riscritta come:
Z 1 Z
dξ = g(t) dt (t ∈ J).
h(ξ) ξ=x(t)
Poiché su U la funzione H è invertibile con inversa C 1 (essendo la derivata 1/h mai nulla), quest’ul-
tima equazione individua univocamente x su J:
x(t) = H −1 G(t)
per t ∈ J. (3.3)
Analizziamo ora la funzione a secondo membro. L’insieme V = H(U ) è un intervallo aperto in
quanto H, come detto, è di classe C 1 , invertibile e con inversa C 1 . La composizione di G con
H −1 : V → U è definita in G−1 (V ): pertanto la componente connessa J0 di G−1 (V ) cui appartiene
t0 contiene J e costituisce quindi il più ampio intervallo contenente t0 in cui estendere la soluzione
y con la condizione che h ◦ y non si annulli (vedi [2]).
Riassumendo:
Dato (t0 , x0 ) ∈ I1 × I2 con h(x0 ) 6= 0, risulta univocamente individuato un intervallo J0 che
risulta essere per ogni soluzione x dell’equazione (3.1), con y(t0 ) = y0 , il più ampio in cui x può
essere definita con h ◦ x 6= 0; in tale intervallo queste soluzioni sono univocamente individuate
dall’equazione
H(x(t)) = G(t).
Osservazione 3.1.1 Le considerazioni sopra esposte tengono conto della possibilità che l’equa-
zione non presenti unicità per i corrispondenti problemi di Cauchy: due soluzioni che coincidono in
un punto t0 in cui h(x0 ) 6= 0 devono coincidere fintanto che si mantengono diverse da uno zero di h.
Può essere utile pensare all’esempio p
x′ = |x|,
che presenta le soluzioni
1 2
1
4 (t − c)2 se t ≥ c 4 (t − c) se t ≥ c
x0 ≡ 0, x1 = , x2 = 1 .
0 se t ≤ c − 4 (t − c)2 se t ≤ c
x′ = ext+1 ′ √
Esempi x′ = 2te−x , x′ = −2t(x − 1), x′ = x(x − 1), x′ = tx(x − 1),
3
, x = x2 .
x(0) = 0
In occasione dello studio del Lemma di Gronwall abbiamo già incontrato le equazioni della forma
x′ + p(t)x = q(t), (3.4)
dove p e q sono funzioni continue su un intervallo I.
Detta P una primitiva di p, la famiglia delle soluzioni è data da:
Z
−P (t)
x(t) = e eP (t) q(t) dt.
Osserviamo che se q ≡ 0 allora la (3.4) diventa un’equazione a variabili separabili, le cui soluzioni
sono:
x(t) = Ce−P (t) al variare di C ∈ R.
Mostriamo ora come da queste sia possibile ricavare l’integrale generale della (3.4). Al riguardo
utilizzeremo il seguente risultato di struttura.
Proposizione 3.2.1 Se x è una fissata soluzione dell’equazione (3.4) tutte e sole le soluzioni della
stessa equazione (3.4) sono esprimibili nella forma
x = xo + x,
al variare di xo fra le soluzioni dell’equazione omogenea associata x′ + p(t)x = 0.
48
Capitolo 3 - TECNICHE ELEMENTARI DI INTEGRAZIONE
Una soluzione cosiddetta particolare x dell’equazione completa (3.4) può essere ottenuta dall’e-
spressione Ce−P (t) dell’integrale generale dell’equazione omogenea mediante il metodo di varia-
zione delle costanti arbitrarie, che consiste nel cercare una soluzione nella forma
da cui
C ′ (t) = q(t)eP (t) .
Per integrazione si ricava una possibile funzione C; ad esempio, se t0 è un punto di I, possiamo
scegliere Z t
C(t) = q(s)eP (s) ds.
t0
x′ + p(t)x = q(t)xα , α ∈ R,
e ponendo
z = x1−α .
Infatti risulta z ′ = (1 − α)x−α x′ e quindi l’equazione si trasforma nella
1
z ′ + p(t)z = q(t),
1−α
che è un’equazione lineare.
Esempio Determinare la curva y = ϕ(x) del piano xy per la quale il punto medio dei segmenti di
normale aventi un estremo sulla curva stessa e l’altro sull’asse x si trova sulla parabola di equazione
x = y 2 . [Si ottiene l’equazione ϕ′ − 21 ϕ = −2x/ϕ].
Un caso classico in cui si giunge ad un’equazione differenziale di Bernoulli è quello dell’equazione
di Riccati. Si tratta di un’equazione della forma
Osservazione 3.3.1 Notiamo come il secondo membro costituisca la più semplice nonlinearità
in x, ottenibile, ad esempio, sviluppando in x = 0 una funzione x 7→ f (t, x). Inoltre, osserviamo
anche che se utilizziamo la variabile u individuata dalla relazione:
1 d
x(t) = − log u(t)
c(t) dt
è immediato verificare che l’equazione soddisfatta da u è lineare del secondo ordine (a coefficienti
variabili).
Esempio
1 1
x′ = + 2 x + tx2
−
t t
Una soluzione è data da x(t) = 1/t. La sostituzione u = x − 1/t porta all’equazione di Bernoulli
(con α = 2):
1
u′ + u = tu2 ,
t
la quale, con la sostituzione z = 1/u, si trasforma nell’equazione lineare
1
z ′ − z = −t.
t
Esempio Per ogni α ∈ R consideriamo l’equazione
x′ + x2 = t2 + α. (3.7)
Se α = 1 la funzione x(t) = t è soluzione; ciò permette di applicare il metodo risolutivo (le soluzioni
Rt 2
saranno espresse tramite 0 e−s ds). Per un generico valore di α osserviamo che la posizione
α+1
u(t) = t +
x+t
50
Capitolo 3 - TECNICHE ELEMENTARI DI INTEGRAZIONE
u′ + u2 = t2 + (α + 2).
Si tratta della stessa equazione (3.7), ma con α+ 2 in luogo di α. Poiché per α = 1 è nota la soluzione
x(t) = t, ciò consente di ricavare una soluzione particolare per α = 3:
2 1
u(t) = t + =t+ .
x(t) + t t
y(x)
z(x) = .
x
Infatti, y = xz e y ′ = z + xz ′ , per cui l’equazione diventa:
g(z) − z
z′ = ,
x
che è a variabili separabili.
x+y
Esempio y ′ = (le soluzioni sono archi di spirale logaritmica).
x−y
Equazioni di tipo omogeneo generalizzato.
a) Per equazioni della forma
z(x) = ax + by(x)
conduce all’equazione:
z ′ = a + bg(z),
che è a variabili separabili.
b) Consideriamo ora equazioni della forma
ax + by + c
y′ = g
a ′ x + b ′ y + c′
con g continua.
a b
Se ′ ′ = 0 allora si può scrivere, ad esempio, a′ x + b′ y = λ(ax + by), per cui si ricade nel
a b
caso precedente.
51
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
a b
Sia pertanto ′ ′ 6= 0. In tal caso le equazioni ax + by + c = 0 e a′ x + b′ y + c′ = 0 sono le
a b
equazioni di due rette incidenti: sia (x0 , y0 ) il loro punto di intersezione. Eseguiamo un cambiamento
di variabili che porti l’origine in (x0 , y0 ), in modo da ricondursi al caso in cui l’argomento di g sia
quoziente di due polinomi omogenei. Poniamo:
t = x − x0 , u = y − y0 ;
ciò significa considerare come nuova incognita la funzione u(t) = y(t + x0 ) − y0 . Pertanto:
′ ′ a(t + x0 ) + b(u + y0 ) + c at + bu
u (t) = y (t + x0 ) = g =g ,
a′ (t + x0 ) + b′ (u + y0 ) + c′ a′ t + b ′ u
a) F (y, y ′ ) = 0; b) F (x, y ′ ) = 0
dove y = y(x) (trattiamo assieme i due casi fin dove possibile). Cerchiamo di risolverle mediante
un cambiamento di variabile x = x(s). Più geometricamente, detta y : J → R una soluzione,
cerchiamo di individuare una rappresentazione parametrica del grafico di y: se x = x(s), al variare
di s in un opportuno intervallo I, l’ordinata y del corrispondente punto del grafico è y = y(x(s)).
Con notazione impropria, ma significativa, poniamo y(s) := y(x(s)). Per evitare equivoci denotiamo
dy
con la derivazione di y rispetto alla variabile s, mentre y ′ indica la derivazione rispetto a x. Per
ds
ogni s ∈ I deve essere
di tale arco C . Cerchiamo di determinare il cambiamento di variabile x(s) in modo che la rappresen-
tazione (3.9) coincida con la (3.8); quindi richiediamo che sia:
y(s) = A(s) x(s) = A(s)
a) ; b) .
y ′ (x(s)) = B(s) y ′ (x(s)) = B(s)
52
Capitolo 3 - TECNICHE ELEMENTARI DI INTEGRAZIONE
Allora:
dy dx
= y ′ (x(s)) . (3.10)
ds ds
Nel caso (a) questo dà:
A′ (s) = B(s)x′ (s)
quindi, ricavando x′ (s) e integrando,
A′ (s)
Z
x(s) = ds.
B(s)
La coppia (x(s), y(s)) fornisce, chiaramente, una rappresentazione parametrica del grafico della
soluzione: Z ′
x = x(s) = A (s)
ds
a) B(s)
y = y(s) = A(s)
Osservazione 3.5.1 Sottolineiamo come le espressioni per x(s) e y(s) sono ricavate dall’ugua-
glianza (3.10):
dy dy dx
=
ds dx ds
tenendo conto delle rappresentazioni parametriche (3.9) dell’arco C della curva di equazione F = 0.
Esempio (Brachistòcrona o problema della più rapida discesa: Johann Bernoulli - 1696)
Dati due punti P1 e P2 in un piano verticale (il primo a quota maggiore), determinare il cammino
liscio che li congiunge lungo il quale un punto materiale discenda da P1 a P2 per effetto della sola
gravità nel più breve tempo possibile (Figura 3.1).
Siano P1 = (x1 , y1 ) e P2 = (x2 , y2 ), con x1 < x2 e y1 > y2 , e sia
x = x(t)
y = y(t)
la legge oraria del moto del punto. Supporremo che la curva descritta sia grafico di una funzione
u : [x1 , x2 ] → R.
Se assumiamo che il tempo t = 0 corrisponda alla posizione iniziale P1 , lo spazio percorso fino
all’istante t è Z x(t) p
s(t) = 1 + u′ (x)2 dx.
x1
P1
y=u(x)
P2
Del resto possiamo calcolare v utilizzando la conservazione dell’energia: se m è la massa del punto
e v0 = v(0) la velocità iniziale, allora
1 1
mv 2 + mgy1 = mv(t)2 + mgy(t)
2 0 2
da cui, tenendo conto che y(t) = u(x(t)),
Possiamo assumere che la funzione x(t) sia invertibile; per l’inversa t′ (x) risulta
p
′ 1 1 + u′ (x)2
t (x) = ′ =p .
x (t) 2g(H − u(x))
Il tempo impiegato per percorrere l’arco fra P1 e P2 si ottiene ora per integrazione:
Z x2 p
1 1 + u′ (x)2
T (u) = √ p dx.
2g x1 H − u(x)
Come verrà maggiormente dettagliato in appendice a questo capitolo, le eventuali soluzioni del
problema di minimo per il funzionale
Z x2 p
′ ′ 1 + u′ (x)2
T (u) = f (u(x), u (x)) dx, con f (u, u ) = p
x1 H − u(x)
54
Capitolo 3 - TECNICHE ELEMENTARI DI INTEGRAZIONE
rendono costante la funzione f (u, u′ ) − u′ fu′ (u, u′ ) (vedi Osservazione 3.7.11). Un calcolo diretto
porta cosı̀ alla condizione:
c2 1 2
u = H −
2 s = H − 2 c (1 + cos s) =: A(s)
1 + tan 2 .
u′ = tan s =: B(s)
2
Pertanto
A′ (s) s c2
Z Z
x(s) = ds = c2 cos2 ds = (s + sin s) + K,
B(s) 2 2
con K costante arbitraria. Quindi:
c2
x = K + (s + sin s)
2
,
2
c
y = H − (1 + cos s)
2
o anche:
x = K + r(s + sin s)
con K ∈ R e r ≥ 0 arbitrari.
y = H − r(1 + cos s)
Si tratta delle equazioni parametriche di una cicloide, cioè del luogo delle posizioni assunte da un
punto fissato su una circonferenza di raggio r quando viene fatta rotolare su una retta come in Figura
3.2. Le coordinate del punto dopo la rotazione di un angolo ϑ come in figura sono date da
Si tratta di equazioni cui si perviene spesso nella determinazione di una curva mediante imposizioni
di condizioni sulla retta tangente. Sono equazioni della forma
y = xy ′ + g(y ′ ), (3.12)
con g di classe C 2 .
Se y è una soluzione C 2 , derivando entrambi i membri dell’equazione otteniamo
y ′′ (x + g ′ (y ′ )) = 0;
55
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
O A x
y = Cx + g(C), C ∈ R. (3.13)
Si tratta di una famiglia di funzioni lineari che effettivamente sono soluzioni. La condizione x +
g ′ (y ′ ) = 0, cioè x = −g ′ (y ′ ), assieme all’equazione stessa dà:
x = −g ′ (y ′ )
;
y = −y ′ g ′ (y ′ ) + g(y ′ )
x = −g ′ (t)
. (3.14)
y = −tg ′ (t) + g(t)
Negli intervalli in cui g ′ è invertibile si verifica che questa definisce effettivamente una soluzione
dell’equazione data. Infatti possiamo eliminare il parametro t ricavandolo dalla prima equazione e
ottenere cosı̀ per la funzione y:
per cui l’uguaglianza y = −tg ′ (t) + g(t) assieme a x = −g ′ (t) dà y = xy ′ + g(y ′ ).
Si può dimostrare che la curva (3.14) è l’inviluppo dei grafici (rette) della famiglia (3.13) di
soluzioni.
Esempio y = xy ′ + y ′2 .
Si ottiene la famiglia di rette
y = Cx + C 2 (C ∈ R).
La curva (3.14) diventa:
x = −2t
y = −t2
che in forma cartesiana è y = −x2 /4: è facile verificare che la famiglia delle rette tangenti a questa
parabola è proprio data da y = Cx + C 2 al variare di C ∈ R.
56
Capitolo 3 - TECNICHE ELEMENTARI DI INTEGRAZIONE
dx dy
= . (3.15)
g(x, y) h(x, y)
A questa situazione può essere ricondotto anche il caso di una singola equazione scalare y ′ (x) =
f (x, y(x)), considerando il sistema (vedi Osservazione 2.6.1)
′
x (t) = 1
y ′ (t) = f (x(t), y(t))
Nel caso dell’equazione y ′ = f (x, y), cioè dy/dx = f (x, y), questa diventa
f (x, y)dx − dy = 0.
Proposizione 3.7.1 Sia u = (x, y) : J → Ω una curva regolare di classe C 1 e tale che f ◦ u non
si annulli mai. Allora u soddisfa (3.15) se e solo se
Dimostrazione. Sia u soddisfacente (3.15), per cui esiste λ ∈ C 0 (J) per la quale u′ (t) =
λ(t)f (u(t)); allora
hx′ − gy ′ = hλg − gλh = 0 in J,
da cui la (3.17). Viceversa, se vale (3.17) e t è un dato punto di J, si abbia, ad esempio, h(x(t), y(t)) 6=
0 (per ipotesi f ◦ (x, y) non si annulla mai). Per continuità questa relazione è vera per tutti i t in un
intorno di t; allora
y ′ (t) y ′ (t)
x′ (t) = g(x(t), y(t)), y ′ (t) = h(x(t), y(t)),
h(x(t), y(t)) h(x(t), y(t))
in un intorno di t, da cui u′ = λf (u) con λ(t) = y ′ (t)/h(u(t)); notiamo che λ è una funzione
continua e λ(t) 6= 0 poiché altrimenti x′ (t) = y ′ (t) = 0.
su un aperto Ω di Rn , diciamo che una funzione x = (x1 (·), . . . , xn (·)) : J → Ω, con J intervallo,
è una (curva-)soluzione dell’equazione
ω=0
se
n
X
ai (x(t))x′i (t) = 0 per ogni t ∈ J. (3.18)
i=1
Questa condizione può anche essere espressa dicendo che il pull-back x∗ ω della forma ω tramite la
funzione x è nullo.
Esempi Il sistema di equazioni di Lotka-Volterra
′
x = (α − βy)x
y ′ = (−γ + δx)y
dà luogo all’equazione:
(γ − δx)ydx + (α − βy)xdy = 0. (3.19)
L’equazione scalare
x
y′ = −
y
fornisce l’equazione
xdx + ydy = 0. (3.20)
Rilevante è il caso in cui la forma differenziale ω(x, y) = h(x, y)dx − g(x, y)dy è esatta, cioè
esiste H ∈ C 1 (Ω) (detta primitiva) tale che
Un esempio è proprio la (3.20). In tal caso H si mantiene costante sulle orbite. Ciò è precisato nella
successiva proposizione, alla quale anteponiamo una definizione.
Data H ∈ C 1 (Ω) e c ∈ R, diciamo che c è un valore regolare per H se
58
Capitolo 3 - TECNICHE ELEMENTARI DI INTEGRAZIONE
d
0 = a(x(t), y(t))x′ (t) + b(x(t), y(t))y ′ (t) = H(x(t), y(t)),
dt
per cui per ogni t ∈ J
d
a(t, ψ(t)) + b(t, ψ(t))ψ ′ (t) = H(t, ψ(t)) = 0,
dt
poiché (t, ψ(t)) ∈ H −1 (c).
Esempio. Sia
ω(x, y) = xdx + ydy
2 2
la funzione H(x, y) = (x + y )/2 ne è una primitiva, per cui le orbite sono archi di circonferenza:
x2 + y 2 = costante.
Esempio. Consideriamo l’equazione (1.25) del pendolo senza attrito:
g
ϑ̈ + ω 2 sin ϑ = 0 (ω 2 = ).
l
Scriviamo il sistema del primo ordine equivalente:
ϑ̇ = v
v̇ = −ω 2 sin ϑ
e la corrispondente equazione delle orbite:
−1
−2
−3
−4
−5
−6 −4 −2 0 2 4 6
60
Capitolo 3 - TECNICHE ELEMENTARI DI INTEGRAZIONE
con f assegnata funzione reale definita su un intervallo I. Il sistema del primo ordine equivalente è:
′
x =y
y ′ = f (x)
dove
1 2
H(x, y) = y − F (x),
2
con F primitiva di f .
Osserviamo che il moto di un punto materiale di massa m mobile lungo una retta r (riferita a
un sistema di ascisse x) e soggetto a una forza posizionale f (x) è dato dall’equazione mẍ = f (x),
quindi, a meno del fattore m, dall’equazione (3.21). In tal caso la funzione
1
E(x) = my 2 − F (x)
2
(con y = ẋ) rappresenta l’energia totale del sistema. Più in generale, la coordinata x nella (??)
può avere il significato di coordinata lagrangiana del sistema ad un grado di libertà in oggetto (cioè
una coordinata che individua univocamente la configurazione del sistema): ad esempio la coordinata
angolare ϑ nel caso del pendolo.
Come si può notare nel caso specifico del pendolo, le linee di livello contenenti un punto in cui
si annulla il campo separano regioni del piano xy in cui le linee di livello sono topologicamente
differenti: si parla, al riguardo di curve separatrici.
∼·∼·∼·∼·∼·∼·∼
Nei casi in cui ω non è esatta, è talvolta possibile determinare una funzione µ(x, y) mai nulla per
la quale µω sia esatta. Chiaramente vale il seguente risultato:
∂µ ∂µ
(γ − δx)y + µ(x, y)(γ − δx) = (α − βy)x + µ(x, y)(α − βy).
∂y ∂x
α/β
γ/δ x
Figura 3.4 - Orbite delle equazioni di Lotka-Volterra (linee di livello di H(x, y) = γ log x+ α log y −
δx − βy).
Otteniamo cosı̀ ϕ(x) = 1/x e ψ(y) = 1/y, cioè µ(x, y) = 1/(xy). Allora:
γ α
µω = − δ dx + − β dy = dH(x, y),
x y
con
H(x, y) = γ log x + α log y − δx − βy.
Pertanto gli insiemi di livello di H danno le orbite del sistema di equazioni di Lotka-Volterra (vedi
Figura 3.4).
Esempio L’equazione
x+y
y′ =
x−y
che abbiamo risolto come equazione di tipo omogeneo (ottenendo come soluzioni archi di spirale
logaritmica), una volta espressa come annullamento di una forma lineare diventa:
ω := (x + y)dx + (y − x)dy = 0.
Tuttavia la forma ω non è esatta, e non è immediato individuare un fattore integrante, anche localmente.
Risulta più naturale esprimere l’equazione in coordinate polari, cioè cercare soluzioni nella forma
x(t) = ρ(t) cos ϑ(t)
y(t) = ρ(t) sin ϑ(t).
Se calcoliamo x′ (t) e y ′ (t) e applichiamo la definizione di soluzione (vedi (3.18)), otteniamo (per
ρ 6= 0):
ρdρ − ρ2 dϑ = 0, (3.22)
62
Capitolo 3 - TECNICHE ELEMENTARI DI INTEGRAZIONE
cioè (per ρ 6= 0) (1/ρ)dρ − dϑ = 0: questa è esatta, con primitiva log ρ − ϑ. Pertanto otteniamo
come orbite le curve di equazione log ρ − ϑ = c o anche
ρ = Ceϑ .
L’esempio ora illustrato è un caso di cambiamento di variabili nella forma differenziale (vedi
Appendice B di questo capitolo). Formalmente la forma differenziale in (3.22) non è altro che
l’espressione di ω(x, y) in cui alle variabili x e y si ostituiscano ρ cos ϑ e ρ sin ϑ, rispettivamente.
Nel problema della brachistòcrona, il tempo T di percorrenza relativo al cammino di discesa z = u(x),
con x1 ≤ x ≤ x2 , è dato da:
Z x2 √
1 1 + u′2
T = T (u) = √ √ dx, (3.23)
2g x1 H −u
con H costante assegnata; si cerca una funzione u che risolva il problema di minimo:
min T (u),
u∈X
dove X = {u ∈ C 1 ([a, b]) : u(x1 ) = z1 , u(x2 ) = z2 }. Questo problema può essere inquadrato in
un contesto più generale e di ampia applicabilità.
Sia V uno spazio vettoriale reale e X un sottoinsieme di V . Sia F : X → R una funzione definita
(almeno) in X e consideriamo il problema
(P ) min F (u) .
u∈X
Dato u ∈ X, diremo variazione ammissibile di u rispetto a X ogni elemento v ∈ V per il quale esiste
δ > 0 tale che
u + tv ∈ X per ogni |t| < δ .
Vale la semplice, ma fondamentale:
δF (u; v) := φ′ (0) .
Pertanto:
δF (u; v) = 0 (3.24)
63
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
l’applicazione (x, t) 7→ x, u(x) + tv(x), u′ (x) + tv ′ (x) su [a, b] × [−1, 1] è continua e quindi ha
d
f x, u(x) + tv(x), u′ (x) + tv ′ (x) è limitata in x uniformemente
immagine compatta. Pertanto dt
rispetto a t: possiamo applicare il teorema di derivazione sotto il segno di integrale.
Ritornando al funzionale T : X → R in (3.23), ogni ϕ ∈ Cc1 ([a, b]) è una variazione ammissibile
di u rispetto a X comunque preso u ∈ X. Questo si verifica tutte le volte che X è un sottoinsieme
di C 1 ([a, b]) ottenuto prescrivendo i dati al bordo. In tal caso l’equazione (3.24), assieme a quanto
asserito nella Proposizione 3.7.8, dà:
Z bh
i
fu x, u(x), u′ (x) ϕ + fξ x, u(x),u′ (x) ϕ′ dx = 0
a
per ogni ϕ ∈ Cc1 ([a, b]).
Se ora supponiamo che f sia di classe C 2 e che u ∈ C 1 ([a, b]) ∩ C 2 ((a, b)), un’applicazione della
regola di integrazione per parti dà:
Z bh
d i
fu x, u(x), u′ (x) − fξ x, u(x),u′ (x) ϕ dx = 0
a dx (3.26)
1
per ogni ϕ ∈ Cc ([a, b]).
64
Capitolo 3 - TECNICHE ELEMENTARI DI INTEGRAZIONE
Ciò implica che la funzione in parentesi quadre sia nulla per ogni x ∈ (a, b). Per dimostrare ciò
supponiamo che esista x tale che [. . .](x) > 0; allora dovrebbe essere [. . .](x) > 0 in tutto un intorno
aperto I di x. Detta ϕ una funzione Cc1 ([a, b]) che sia nulla su [a, b] \ I e strettamente positiva
in I, l’integrale a primo membro in (3.26) sarebbe strettamente positivo, contro quanto assunto.
Concludiamo pertanto con il seguente risultato:
Proposizione 3.7.9 Se u ∈ C 1 ([a, b]) ∩ C 2 ((a, b)) risolve il problema (P ), con f di classe C 2 ,
allora u soddisfa l’equazione di Eulero:
d
fξ (x, u, u′ ) = fu (x, u, u′ )
in (a, b).
dx
Definizione 3.7.10 Diciamo estremale del funzionale F ogni soluzione u ∈ C 1 ([a, b])∩C 2 ((a, b))
dell’equazione di Eulero.
è un integrale primo del funzionale F , cioè è costante lungo ogni estremale (qui fu′ sta per fξ ).
Infatti:
d
f (u,u′ ) − u′ fξ (u, u′ ) =
dx
d
fu u′ + fξ u′′ − u′′ fξ − u′ fξ = fu u′ − u′ fu = 0.
dx
65
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
f (x0 + h) − f (x0 ) − Ah
lim = 0. (3.27)
h→0 |h|
od anche
f (x) = f (x0 ) + A(x − x0 ) + o(x − x0 ) per x → x0 .
Pertanto:
l’applicazione x 7→ f (x0 ) + hdf (x0 ), x − x0 i è la funzione affine che meglio approssima f
nell’intorno del punto x0 .
Si dimostra che
Si visualizzino i casi n = k = 1 e n = 2, k = 1.
È utile interpretare il differenziale anche in altra forma. Dato v ∈ Rn studiamo il modo in cui viene
trasformato da f il moto di un punto mobile che passa per x0 con velocità v. Pertanto consideriamo
una curva
ϕ : (−1, 1) → Ω con ϕ(0) = x0 , ϕ′ (0) = v,
e valutiamo la velocità del punto f (ϕ(t)) all’istante t = 0. Risulta:
d
f (ϕ(t)) = Df (ϕ(0)) · ϕ′ (0) = Df (x0 ) · v,
dt t=0
cioè
d
f (ϕ(t)) = hdf (x0 ), vi. (3.28)
dt t=0
pertanto
il differenziale df dà la trasformazione dei vettori velocità tramite la funzione f .
∼·∼·∼·∼·∼·∼·∼
La (3.28) trova facile generalizzazione al caso in cui f sia una funzione fra “sottoinsiemi d-
dimensionali regolari in Rn ” (più precisamente “varietà differenziabili”), come ad esempio le curve
e le superficie C 1 in R3 . Pertanto, consideriamo il caso di una funzione f : M → N , con M e
N , per fissare le idee, superficie in R3 . Come svolto sopra per una funzione su un aperto di uno
spazio euclideo, analizziamo come f trasforma il moto di un punto su M . Quest’ultimo viene dato
66
Capitolo 3 - TECNICHE ELEMENTARI DI INTEGRAZIONE
y f y
x0
N
ϕ
M
y y
−1 1
0 J
x x
assegnando una curva ϕ : (−1, 1) → M sulla superficie M ; sia ϕ(0) = x0 e ϕ′ (0) = v. Osserviamo
subito che la regolarità di M permette di dimostrare che l’insieme
Tx0 M = {v ∈ R3 : ∃ϕ : (−1, 1) → M, ϕ(0) = x0 , ϕ′ (0) = v}
è un sottospazio di R3 detto spazio tangente a M in x0 . L’immagine tramite f della curva ϕ è data
da f ◦ ϕ, che è una curva su N passante per f (x0 ). Allora risulta definita l’applicazione
d
v ∈ Tx0 M 7→ f (ϕ(t)) ∈ Tf (x0 ) N
dt t=0
(e si dimostra non dipendere dalla particolare curva ϕ scelta a cui il vettore v è tangente). Questa
applicazione è detta differenziale di f in x0 :
df (x0 ) : Tx0 M → Tf (x0 ) N.
Si verifica essere un’applicazione lineare.
Se M e N sono aperti di Rn e Rk rispettivamente, allora (le definizioni sopra riportate continuano
a valere e) risulta:
T x 0 M = Rn , Tf (x0 ) N = Rk ;
In questo caso si ottiene cosı̀ nuovamente la definizione già vista.
Osserviamo inoltre che se N = R allora df (x0 ) è un funzionale lineare su Tx0 M , cioè un elemento
del suo duale algebrico: ∗
df (x0 ) ∈ Tx0 M .
∼·∼·∼·∼·∼·∼·∼
Un caso particolare è quello in cui f è la i-esima proiezione di Rn :
πi : x 7→ xi : Rn → R.
In tal caso il differenziale coincide con πi stessa:
X
hdπi , vi = v i , se v = v j ej .
j
67
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
La sequenza
dx1 , dx2 , . . . , dxn
forma una base del duale di R ; infatti se A ∈ (Rn )∗ e v = j v j ej , allora:
n
P
X X X
hA, vi = v j hA, ej i = αj hdxj , vi = h αj dxj , vi,
j j j
per cui
∂f ∂f ∂f
df (x0 ) = dx1 + dx2 + . . . + dxn .
∂x1 ∂x2 ∂xn
Definizione 3.7.12 Diciamo forma differenziale lineare (o 1-forma) di classe C 0 su un aperto Ω
di Rn l’assegnazione continua in ogni punto di Ω di un elemento di (Rn )∗ .
Quindi una forma ω su Ω può essere scritta come:
n
X
ω(x) = ai (x)dxi , ai ∈ C 0 (Ω).
i=1
68
Capitolo 4
x(t0 ) = x0
con x(·, t0 , x0 ).
Osservazione 4.0.13 Se le funzioni A e b nell’equazione (4.1) sono di classe C 1 , allora ogni
soluzione x ha la derivata x′ di classe C 1 . Per induzione otteniamo
A, b ∈ C k ⇒ x ∈ C k+1
14 Per comodità, se il contesto è sufficientemente chiaro, scriveremo a volte in riga anche i vettori colonna.
69
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
Analizziamo ora la struttura dell’insieme delle soluzioni, iniziando dal caso dell’equazione omo-
genea (4.2).
Basilare è il seguente semplice risultato sulla struttura dell’insieme delle soluzioni di un’equazione
omogenea.
Teorema 4.1.1 (di struttura per l’equazione omogenea) L’insieme V delle soluzioni
dell’equazione (4.2) è un sottospazio vettoriale di C 1 (I; Rn ). Per ogni t0 ∈ I l’applicazione
φt0 : ξ 7→ x(·, t0 , ξ) : Rn → V
Ciò dice che φt0 è un omomorfismo. Del resto se la funzione u = φt0 (ξ) è l’elemento nullo di V ,
allora ξ = u(t0 ) = 0; pertanto φt0 è iniettivo. La suriettività è ovvia (ogni soluzione u è definita
anche in t0 , per cui u = φt0 (ξ) con ξ = u(t0 )).
Dall’essere φt0 un isomorfismo discende che la dimensione di V è n.
Osservazione 4.1.3 Quanto detto sopra continua a sussistere ambientando, con ovvia estensione,
lo studio in C (e considerando, più in generale, matrici a coefficienti complessi). Il passaggio al
campo C, algebricamente chiuso, renderà più agevole lo studio dei sistemi a coefficienti costanti
(vedi §§ 4.4 e 4.5).
Osservazione 4.1.4 Dare n soluzioni dell’equazione (4.2) equivale a dare una soluzione dell’e-
quazione matriciale
X ′ = A(t)X
(le colonne di X(t) sono soluzioni di x′ = A(t)x).
x′ = A(t)x
(4.7)
x(τ ) = ξ
con ξ = ei , e si definisca
R(·, τ ) = u1 (·, τ ) | u2 (·, τ ) | . . . | un (·, τ ) ; (4.8)
la matrice le cui colonne sono date dalle funzioni ui (·, τ ); si tratta di soluzioni linearmente indipen-
denti poiché R(τ, τ ) = I (matrice identità).
71
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
Infatti, R(·, τ )ξ è una soluzione del sistema x′ = A(t)x e all’istante t = τ assume il valore
R(τ, τ )ξ = Iξ = ξ.
Osservazione 4.1.8 Se il sistema è autonomo (A costante) allora (si ricordi la (2.21) del Cap. II)
Se poi le ui , . . . , un sono linearmente indipendenti allora X è invertibile, per cui possiamo esprimere
la matrice risolvente R tramite X:
Terminiamo il paragrafo con un’interessante relazione soddisfatta dalla matrice wronskiana di una
n-upla di soluzioni dell’equazione omogenea (4.2).
z ′ = tr A(t) z.
(4.11)
Quindi
Z t
W (t) = W (t0 ) exp (tr A(s) ds
t0
comunque presi t, t0 ∈ I.
72
Capitolo 4 - EQUAZIONI E SISTEMI DIFFERENZIALI LINEARI
Osserviamo che u′j (t, τ ) = A(t)uj (t, τ ) e poniamo t = τ : ricordando che ui (τ, τ ) = ei per ogni i,
si ottiene:
n
∂ X
det R(t, τ )
= det e1 | . . . | A(τ )ej | . . . | en
∂t t=τ
j=1
n
X
= ajj (τ ) = tr A(τ ).
j=1
15 Il
` ´
determinante di una matrice A(t) = aij (t) si può esprimere come
X
det A(t) = (−1)σ aσ(1)1 (t)aσ(2)2 (t) . . . aσ(n)n (t),
σ
dove σ varia fra tutte le permutazioni dell’insieme {1, . . . , n} e (−1)σ indica il segno della permutazione σ. Allora l’usuale
regola di derivazione del prodotto dà:
n X
d X
det A(t) = (−1)σ aσ(1)1 (t) . . . a′σ(1)i (t) . . . aσ(n)n (t);
dt i=1 σ
P
Ciascun addendo della somma i non è altro che il determinante della matrice ottenuta derivando soltanto la i-esima colonna
Ai (t), quindi:
n
d X ` ´
det A(t) = det A1 (t) . . . A′i (t) . . . An (t) .
dt i=1
73
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
Variazione delle costanti. Mostriamo come sia possibile individuare un integrale particolare x del-
l’equazione completa (4.1) una volta noto un insieme di n soluzioni linearmente indipendenti dell’e-
quazione omogenea associata (4.2).
Sia pertanto X una soluzione dell’equazione matriciale X ′ = A(t)X, con det X(t) 6= 0. Allora
le soluzioni di (4.2) si esprimono come X(t)ξ al variare di ξ ∈ Rn . In analogia con quanto già svolto
al § 3.2, cerchiamo x della forma
x(t) = X(t)ξ(t),
per un’opportuna funzione ξ. Questa deve alllora soddisfare
X ′ ξ + Xξ ′ = AXξ + b,
Proposizione 4.2.2 La funzione x sopra definita è una soluzione del sistema lineare x′ = A(t)x+
b(t).
t
Esempio Riprendiamo l’esempio precedente aggiungendo un termine b(t) = non nullo:
0
x′1 = ωx2 + t
.
x′2 = −ωx1
Se riprendiamo le soluzioni (4.6) del sistema omogeneo associato, concludiamo che le soluzioni del
sistema proposto sono date da
1
x1 = c1 cos ωt + c2 sin ωt + 2 (1 − cos ωt)
ω
x = −c sin ωt + c cos ωt − 1 t − 1 sin ωt
2 1 2
ω ω
al variare di c1 e c2 in R.
Nel prossimo paragrafo vedremo come l’applicazione del metodo delle approssimanti successive per
l’equazione omogenea x′ = Ax, con A matrice costante, porti alla considerazione della successione
di funzioni:
1 1
t 7→ I + tA + (tA)2 + . . . + (tA)m .
2 m!
Pertanto trattiamo preliminarmente il problema della convergenza di questo tipo di funzioni.
Sia A ∈ M n×n (C) una matrice n × n ad elementi in C; questa induce in modo canonico
un’applicazione lineare:
x 7→ Ax : Cn → Cn .
Definiamo kAk come la norma di tale operatore, cioè:
keA k ≤ ekAk .
75
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
Ak
≤ 1 kAkk
k! k!
Della funzione esponenziale reale la funzione ora introdotta conserva la proprietà fondamentale
di trasformare la somma in prodotto. Più precisamente vale il seguente risultato.
eA+B = eA eB .
Dimostrazione. Poiché A e B commutano possiamo utilizzare l’usuale sviluppo della potenza del
binomio (A + B)k , per cui:
∞ ∞ k
A+B
X (A + B)k X 1 X k
e = = Aj B k−j
k! k! j=0 j
k=0 k=0
∞ Xk
X Aj B k−j
= .
j=0
j! (k − j)!
k=0
come enunciato nel successivo lemma, la serie prodotto converge al prodotto delle due serie, e ciò
conclude la dimostrazione.
due serie in M n×n (C) assolutamente convergenti. Allora la serie prodotto definita da:
∞ X
X k
Aj Bk−j
k=0 j=0
è assolutamente convergente e ha per somma il prodotto delle somme delle due serie fattore.
2m
j+h=k
(j,h)
m 2m j
Figura 4.1 - L’insieme degli indici (j, h) per i quali 0 ≤ j +h ≤ 2m si decompone in [0, m]2 e nei due
triangoli rimanenti {m + 1 ≤ j ≤ 2m, 0 ≤ h ≤ 2m − j} e {m + 1 ≤ h ≤ 2m, 0 ≤ j ≤ 2m − h}.
convergente. Pertanto è sufficiente calcolare il limite delle somme parziali su una particolare succes-
sione. Fissato m ∈ N, se ripartiamo le coppie (j, h) di indici che compaiono in questa somma come
indicato in Figura 4.1, abbiamo:
2m
X 2m X
X k
Ck = Aj Bh
k=0 k=0 j,h=0
j+h=k
m X
X m
= Aj Bh + R1m + R2m ,
j=0 h=0
dove
2m
X 2m−j
X 2m
X 2m−h
X
R1m = Aj Bh , R2m = Aj Bh .
j=m+1 h=0 h=m+1 j=0
Risulta:
2m
X ∞
X
kR1m k ≤ kAj k kBh k → 0 per m → +∞.
j=m+1 h=0
Pm Pm Pm Pm
Cosı̀ pure per R2m . Poiché j=0 h=0 Aj Bh = ( j=0 Aj )( h=0 Bh ), concludiamo che
2m
X ∞
X ∞
X
Ck → Aj Bh per m → +∞.
k=0 j=0 h=0
x′ = Ax. (4.14)
Sappiamo che la matrice risolvente R(t, τ ) soddisfa alla condizione R(t, τ ) = R(t−τ, 0), per cui pos-
siamo limitarci a calcolare R(t, 0), cioè (si ricordi l’Osservazione 4.1.7) la soluzione dell’equazione
matriciale: ′
X = AX
(4.15)
X(0) = I.
La formulazione integrale del problema diventa:
Z t
X(t) = I + A X(s) ds.
0
Applichiamo il metodo iterativo delle approssimanti successive (come utilizzato nel Teorema 2.1.3).
Posto: Z t
T : X 7→ I + A X(s) ds : C 0 (I; M n×n ) → C 0 (I; M n×n ),
0
consideriamo la successione:
X0 (t) ≡ I
X1 (t) = (T X0 )(t) = I + tA
Z t
1
X2 (t) = (T X1 )(t) = I + A (I + sA) ds = I + tA + t2 A2
0 2
...
1 1
Xm+1 (t) = (T Xm )(t) = I + tA + t2 A2 + . . . + tm+1 Am+1
2 (m + 1)!
...
ricaviamo che X è soluzione dell’equazione (4.15), quindi coincide con R(·, 0). Concludiamo che
R(t, τ ) = e(t−τ )A .
è data da
x(t) = e(t−τ )A x0 .
78
Capitolo 4 - EQUAZIONI E SISTEMI DIFFERENZIALI LINEARI
∼·∼·∼·∼·∼·∼·∼
Come vedremo nel prossimo paragrafo, nel calcolo della matrice esponenziale sarà utile passare
al calcolo dell’esponenziale di un’opportuna matrice simile, sfruttando quindi la relazione (4.13): se
P è una matrice n × n invertibile, posto à = P −1 AP , la matrice risolvente del sistema (4.14) è
Comunque, poiché la generica soluzione del sistema (4.14) è x(t) = etA ξ = P età P −1 ξ, per un
qualche ξ ∈ Rn , l’integrale generale può essere espresso come
x = P x̃,
il sistema diventa
x̃′ = Ãx̃ con à = P −1 AP .
Osservazione 4.4.2 Sarà utile pensare alla matrice A come alla matrice associata a un operatore
lineare T su uno spazio vettoriale di dimensione n rispetto a una data base B = (e1 , e2 , . . . , en ):
ad esempio la base canonica su V = Cn e T = T A : x 7→ Ax : Cn → Cn . Ogni matrice à =
P −1 AP viene di conseguenza P interpretata come la matrice associata a T rispetto alla base B̃ =
(ẽ1 , ẽ2 , . . . , ẽn ), dove ẽj = i pij ei (si ricordi la relazione (4.49) in Appendice): se (e1 , e2 , . . . , en )
è la base canonica di Cn allora ẽj non è altro che la j-esima colonna della matrice P (vedi Osservazione
4.8.2 in Appendice).
Esercizio.
ehA − I
lim = A.
h→0 h
d tA
e = etA A = AetA .
dt
79
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
Data una matrice A ∈ M n×n (C), occupiamoci del calcolo di eA , o meglio di etA per t ∈ R. Si tratta
quindi delle soluzioni del sistema x′ = Ax impostato, con ovvia estensione, in campo complesso.
Porsi in C permette un’esposizione più nitida dei risultati, avendosi esattamente n autovalori (contati
con la rispettiva molteplicità). In un secondo momento (§ 4.5.3) vedremo come sia possibile ottenere
n soluzioni reali linearmente indipendenti dell’equazione x′ = Ax nel caso in cui la matrice A sia a
coefficienti reali.
Vi sono due situazioni in cui la matrice eA può essere esprimibile facilmente in termini finiti.
• A matrice diagonale
λ1 0
A=
.. .
.
0 λn
In tal caso, per ogni k ∈ N
k
eλ1
λ1 0 ∞ 0
k ..
X Ak ..
A = , per cui eA = = .
. k! .
0 λkn k=0
0 eλn
Quindi
tλ1
e 0
etA =
.. .
(4.18)
.
0 etλn
In tal caso la serie che definisce eA si riduce ad una somma finita. Un esempio importante di questo
tipo è il seguente (blocco nilpotente elementare):
0 1 0 ... 0
0 0 1 . . . 0
.. .. ..
N =
. . . 0
. (4.19)
. ..
..
. 1
0 0 0 ... 0
t2 tn−1
1 t
2
... ...
(n − 1)!
t2 ..
0 1 t ... .
n−1
2
X (tN )k . .. .. .. ..
etN = = .. . . . . . (4.20)
k!
t2
.
.. ..
k=0 .
. . .
2
.
..
1 t
0 0 0 ... ... 1
A2 v = λAv = λ2 v.
Nel caso generale il calcolo dell’esponenziale di una data matrice può essere ricondotto al calcolo
di un’esponenziale che rientri in uno dei casi precedenti mediante il passaggio a un’opportuna matrice
simile, utilizzando poi la relazione (4.16) (o meglio, ai fini della risoluzione del sistema differenziale,
la (4.17)).
81
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
Esempio.
1 −6 6
x′ (t) = Ax(t), A = −3 4 −6
−3 6 −8
Risulta:
det(A − λI) = (1 − λ)(λ + 2)2 .
Gli autovalori sono pertanto λ1 = 1, semplice, e λ2 = −2, di molteplicità algebrica 2. Determiniamo
gli autospazi corrispondenti; si ha
B̃ = (v1 , v2 , v3 )
(notiamo come non sia necessario il calcolo del prodotto P −1 AP ; si veda l’Osservazione 4.8.11).
Posto
x(t) = P x̃(t),
risulta x̃′ = Ãx̃, quindi
x̃(t) = età C, C ∈ C3 .
Infine t
e 0 0 c1
x(t) = P x̃(t) = (v1 | v2 | v3 ) 0 e−2t 0 c2 .
0 0 e−2t c3
cioè
x(t) = c1 et v1 + c2 e−2t v2 + c3 e−2t v3 , c1 , c2 , c3 ∈ C.
L’esempio ora esposto rientra nel seguente schema:
Quindi:
x(t) = c1 eλ1 t v1 + c2 eλ2 t v2 + . . . + cn eλn t vn , c1 , c2 , . . . , cn ∈ C.
Notiamo come questo risultato possa essere verificato direttamente a posteriori osservando che
ogni funzione eλk t vk è soluzione del sistema x′ = Ax poiché vk è un autovettore di A, e inoltre si
tratta di soluzioni linearmente indipendenti in quanto la loro matrice wronskiana per t = 0 non è
altro che la matrice P = (v1 | v2 | . . . | vn ).
82
Capitolo 4 - EQUAZIONI E SISTEMI DIFFERENZIALI LINEARI
A = λI + (A − λI). (4.21)
Infatti λI è una matrice diagonale, mentre, in base alla Proposizione 4.5.1, A−λI risulta nilpotente in
quanto dotata del solo autovalore nullo. Inoltre, poiché i due addendi commutano fra loro, otteniamo:
Cn = V1 ⊕ V2 ⊕ . . . ⊕ Vq , T (Vk ) ⊆ Vk
T presenta solo l’autovalore λk .
Vk
Infatti:
− rispetto a una base di Cn costruita come unione di basi dei singoli sottospazi Vk la matrice
associata a T è diagonale a blocchi (vedi Proposizione 4.8.3); ogni blocco fornisce la matrice
associata a T sul corrispondente sottospazio;
− per ogni k è possibile applicare a T la decomposizione corrispondente alla (4.21) .
Vk
• Detti λ1 , . . . , λq gli autovalori distinti, si indichi con B̃k una base dell’autospazio genera-
lizzato E ′ (λk ) (per k = 1, . . . , q), la cui dimensione è pari alla molteplicità m(λk ). Allora
83
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
nella base B̃ = B̃1 ∪ . . . ∪ B̃q la matrice associata all’operatore T è data da (vedi (4.56) in
Appendice):
Ã1
Ã2
−1
à = P AP =
Ã3 ,
(4.22)
..
.
Ãq
• La decomposizione
Ãk = λk I + Nk , dove Nk = Ãk − λk I,
esprime Ãk come
somma di una matrice diagonale e una nilpotente (Nk è la matrice associata
a (T − λk I) ′ nella base B̃k ). Pertanto risulta:
E (λk )
h 1 1 i
etÃk = eλk t I + tNk + (tNk )2 + . . . + (tNk )s−1 . (4.23)
2 (s − 1)!
Anche in questo contesto vale un’osservazione analoga alla 4.5.2: se la matrice A è a coefficienti
reali e gli autovalori sono reali, allora esiste una base reale per ogni sottospazio generalizzato, quindi
una base reale per le soluzioni del sistema x′ = Ax. Al § 4.5.3 illustreremo come ricavare una base
reale nel caso in cui la matrice sia a coefficienti reali, ma non abbia tutti gli autovalori reali.
Vediamo un esempio.
Risulta:
det(A − λI) = −(λ + 1)2 (λ + 2).
Gli autovalori sono pertanto λ1 = −2, semplice, e λ2 = −1, di molteplicità algebrica 2. Consideria-
mo gli autospazi corrispondenti; si ha
−2 1 3
A − λ1 I = 2 0 −2 ;
−3 1 4
Pertanto:
1
E(λ1 ) = hv1 i, con v1 = −1 .
1
Passiamo a λ2 :
−3 1 3
A − λ2 I = 2 −1 −2 ,
−3 1 3
quindi il rango di A − λ1 I è 2 e dim E(λ2 ) = 3 − 2 = 1 < m(λ2 ). Allora (vedi Proposizione
4.8.10) T : x 7→ Ax non è diagonalizzabile. Utilizziamo allora la decomposizione di C3 mediante
gli autospazi generalizzati (Teorema 4.8.15):
C3 = E ′ (λ1 ) ⊕ E ′ (λ2 ).
Risulta E ′ (λ1 ) = E(λ1 ) poiché dim E(λ1 ) = m(λ1 ) (molteplicità algebrica). Determiniamo
l’autospazio generalizzato E ′ (λ2 ). Risulta:
2 −1 −2
(A − λ2 I)2 = −2 1 2,
2 1 −2
Allora il rango di (A − λ2 I)2 è 1, e quindi dim ker(A − λ2 )2 = 2; se ricordiamo che dim E ′ (λ2 ) =
m(λ2 ) = 2, concludiamo che
E ′ (λ2 ) = ker(A − λ2 I)2 .
(del resto (vedi Proposizione 4.8.14) E ′(λ2 ) = ker(A−λ2 I)s per un opportuno s ≤ dim E ′ (λ2 ) = 2,
per cui deve essere s = 2). Il sistema (A − λ2 I)2 x = 0 si riduce all’equazione
2x1 − x2 − 2x3 = 0,
per cui
1 0
E ′ (λ2 ) = hv2 , v3 i, con v2 = 2 e v3 = −2.
0 1
Posto P = (v1 | v2 | v3 ) si ottiene:
2 −1 −2
−2 0 0
P −1 = −1 e à = P −1 AP =
1 2 0 −2 1
−2 1 3
0 −1 0
(anziché mediante calcolo diretto la matrice à può essere ottenuta esprimendo le immagini dei vettori
di base v1 , v2 , v3 come combinazione lineare della base stessa).16 Come ci si aspettava (vedi (4.22)),
la matrice à è diagonale a blocchi. La matrice
−2 1
Ã2 =
−1 0
Pertanto le colonne di à sono (−2, 0, 0)T , (0, −2, −1)T e (0, 1, 0)T .
85
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
è la matrice associata a T nella base (v2 , v3 ). Decomponiamo Ã2 come:
E ′ (λ2 )
−1 1
Ã2 = λ2 I + (Ã2 − λ2 I) = −I + =: −I + N.
−1 1
Esempio (II parte) Il calcolo della matrice Ã2 associata all’operatore T sullo spazio E ′ (λ2 ) può
essere semplificato scegliendo opportunamente una base di E ′ (λ2 ).
Sia w1 un autovettore relativo all’autovalore λ2 = −1: poiché ker(T − λ2 I) = {(t(1, 0, 1) : t ∈
R}, assumiamo
1
w1 = 0 .
1
Cerchiamo ora una controimmagine di w1 tramite T − λ2 I: chiaramente, se un tale w2 esiste, deve
appartenere a ker(T − λ2 I)2 = E ′ (λ2 ). Risolvendo il sistema
−3x1 + x2 + 3x3 = 1
(
2x1 − x2 − 2x3 = 0
−3x1 + x2 + 3x3 = 1
si ottiene x = {(t − 1, −2, t) : t ∈ R}. Sia
−1
w2 = −2 .
0
È facile vedere che, rispetto alla base (w1 , w2 ), la matrice associata all’operatore (T − λ2 I)
E ′ (λ2 )
diventa
0 1
N= ;
0 0
infatti w1 e w2 hanno componenti (1, 0) e (0, 1), rispettivamente, e le componenti in (w1 , w2 ) delle
loro immagini, cioè le colonne di Ã2 , devono essere (0, 0) e (0, 1), rispettivamente (poiché (T −
λ2 I)w1 = 0 e (T − λ2 I)w2 = w1 ). Pertanto
λ2 1 −1 1
Ã2 = = .
0 λ2 0 −1
86
Capitolo 4 - EQUAZIONI E SISTEMI DIFFERENZIALI LINEARI
da cui:
c1
x(t) = e−2t v1 | e−t w1 | e−t (tw1 + w2 ) c2
c3
= c1 e−2t v1 + c2 e−t w1 + c3 e−t (tw1 + w2 ).
È facile vedere che si tratta della stessa famiglia di funzioni data dalla (4.24). Infatti quest’ultima
può essere riscritta utilizzando, anziché le funzioni
le seguenti:
u1 , u2 , u2 + u3 .
Se teniamo conto che
v2 = −w1 , v3 = w1 + w2 ,
risulta
u2 = (−w1 t − w2 )e−t , u2 + u3 = w1 e−t ,
da cui l’asserita uguaglianza delle due famiglie di funzioni.
Osservazione 4.5.3 Il procedimento seguito nella seconda parte dell’esempio precedente per
costruire una base dell’autospazio generalizzato ha portato a una matrice, relativamente a quell’auto-
spazio, della forma
λ 1 0 1
= λI + N, con N = .
0 λ 0 0
La struttura di N è quella del blocco nilpotente elementare introdotto nella (4.19). In generale, il
procedimento descritto porta ad una matrice associata a T per la quale, in corrispondenza a ogni
autospazio generalizzato E ′ (λ), troviamo uno o più blocchi della forma
λ 1 0
λ 1
.. ..
à =
. . 0 = λI + N, (4.25)
..
. 1
0 λ
con N come in (4.19). Si tratta della cosiddetta forma canonica di Jordan della matrice (si veda
l’Appendice a questo capitolo, in particolare l’Osservazione 4.8.19).
87
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
Sfruttiamo ora i risultati ottenuti per dare un utile risultato di struttura per le soluzioni. Dalla
(4.23) scende subito che le colonne della matrice età sono della forma
r
X
eλt tj P wj = eλt p(t) ,
j=1
con p(t) polinomio a coefficienti in Cn di grado al più m(λ) − 1. Concludiamo pertanto con il
seguente teorema:
Teorema 4.5.4 Le soluzioni dell’equazione x′ = Ax sono tutte e sole le combinazioni lineari di
n opportune soluzioni della forma
eλt p(t), (4.26)
dove λ è autovalore (in C) di A e p(t) è un polinomio in t a coefficienti in Cn di grado al più m(λ) − 1
(con m(λ) molteplicità algebrica di λ).
Ne risulta confermato, in particolare, che le soluzioni sono di classe C ∞ .
Quanto asserito nel Teorema 4.5.4 risulta particolarmente evidente utilizzando la forma (4.57) di
Jordan della matrice. Consideriamo il semplice caso in cui vi sia un solo blocco,relativo all’autovalore
λ, come nella (4.25). Utilizzando la decomposizione in parte diagonale e parte nilpotente abbiamo:
1 1
età = eλt I + tN + (tN )2 + . . . + (tN )n−1 .
2 (n − 1)!
Se (v1 , v2 , . . . , vn ) è la base rispetto a cui T (x) = Ax ha à come matrice associata, allora le soluzioni
dell’equazione x′ = Ax hanno la forma:
x(t) = c1 eλt v1 +
+ c2 eλt (v1 t + v2 )+
1
+ c3 eλt ( t2 v1 + tv2 + v3 )+ (4.27)
2
...
1
+ cn−1 eλt ( tn−1 v1 + . . . + tvn−1 + vn ),
(n − 1)!
al variare di c1 , c2 , . . . , cn ∈ R.
Nel caso in cui la matrice A del sistema, a elementi reali, abbia tutti gli autovalori reali,il procedimento
sopra illustrato può essere svolto in campo reale ottenendo una base reale per lo spazio delle soluzioni.
Supponiamo, invece, che gli autovalori non siano necessariamente tutti reali:
λ1 , λ2 , . . . , λr ∈ R
µ1 , . . . , µl , µ1 , . . . , µl ∈ C \ R
(se l = 0 o r = 0 intenderemo che gli autovalori sono tutti in R o in C \ R, rispettivamente). La forma
matriciale (4.22) può essere ottenuta in campo complesso utilizzando per ciascun autospazio E ′ (λk )
una base in generale complessa. Per ogni coppia µ, µ di autovalori non reali possiamo considerare basi
di E ′ (µ) e E ′ (µ) fra loro coniugate e, in corrisoondenza di queste, soluzioni linearmente indipendenti
della forma (4.26) a coppie coniugate:
u(t) = eµt p(t), u(t) = eµt p(t),
88
Capitolo 4 - EQUAZIONI E SISTEMI DIFFERENZIALI LINEARI
con p(t) polinomio a coefficienti in Cn di grado al più m(µ) − 1. Osserviamo che anche le funzioni:
1 1
ℜu(t) = [u(t) + u(t)], ℑu(t) = [u(t) − u(t)], (4.28)
2 2i
sono soluzioni di x′ = Ax; viene inoltre mantenuta l’indipendenza lineare, per cui otteniamo una
base reale per lo spazio delle soluzioni.
Posto r(t) = ℜp(t) e s(t) = ℑ(p(t)), cioè p(t) = r(t) + is(t), risulta:
ℜu(t) = (r(t) cos βt − s(t) sin βt)eαt , ℑu(t) = (r(t) sin βt + s(t) cos βt)eαt .
Si ottiene quindi il seguente risultato (si noti che per β = 0 si recuperano gli elementi della base
corrispondenti agli autovalori reali):
Alternativamente, rispetto alla considerazione delle parti reale e immaginaria di cui alla (4.28), è
possibile utilizzare direttamente una base reale di E ′ (µ) ⊕ E ′ (µ) considerando parte reale e parte
immaginaria degli elementi di una base di E ′ (µ).
Vediamo dapprima il tutto nel caso generale bidimensionale.
Sia A ∈ M 2×2 (R) con autovalori
µ = α + iβ, µ = α − iβ (β 6= 0).
Sia w un autovettore relativo a µ (e quindi w autovettore relativo a µ). Nella base (w, w) di C2 (=
E(µ) ⊕ E(µ)) la matrice associata a T : x 7→ Ax è diagonale:
µ 0
S= . (4.29)
0 µ
Pertanto si ottengono le seguenti soluzioni fra loro coniugate (sono le colonne della matrice P etS ,
dove P = (w | w)):
u(t) = weµt , u(t) = weµt .
Posto z = ℜw e ζ = ℑw, si ha:
u(t) = eαt (cos βt)z − (sin βt)z + i (sin βt)z + (cos βt)ζ ;
quindi:
la matrice di passaggio dalla base (w, w) alla (z, ζ) è (si vedano la (4.49) e la (4.52)):
T
1/2 1/2
Q= .
1/(2i) −1/(2i)
Pertanto, la posizione
x = P x̃, con P = (z | ζ)
dà il sistema equivalente nella forma canonica:
α β
x̃′ = Bµ x̃, con Bµ = .
−β α
abbiamo
t2 tn
tBµ 0 β
e = e (I + tH + H 2 + . . . + H n + . . .), con H =
αt
.
2 n! −β 0
t2 t4 t3 t5
1 − 2 + 4! − . . . t − + + ...
3! 5!
tH cos βt sin βt
e = = .
− sin βt cos βt
t3 t5 t2 t4
−t + − + . . . −1 + − + . . .
3! 5! 2 4!
Quindi:
α β
“ ”
t
−β α αt cos βt sin βt
e =e . (4.31)
− sin βt cos βt
Da qui le soluzioni del sistema x̃′ = Bµ x̃, e quindi, passando a x = (z | ζ)x̃, quelle del sistema
x′ = Ax: si vede immediatamente che si ritrova l’espressione ottenuta sopra.
∼·∼·∼·∼·∼·∼·∼
Vediamo ora come, nel caso generale, la considerazione di una base reale di E ′ (µ) ⊕ E ′ (µ), ottenuta
passando alle parti reale e immaginaria degli elementi di una base di E ′ (µ), si riflette sul calcolo
della matrice esponenziale.
Sia (w1 , w2 , . . . , wm ) una base di E ′ (µ) e sia õ la matrice associata a T ′ in tale base; e sia
E (µ)
õ associata a T ′ rispetto alla base (w 1 , w 2 , . . . , wm ) di E ′ (µ) (si ottiene la matrice coniugata
E (µ)
della precedente). Quindi la matrice associata a T ′ ′
è
E (µ)⊕E (µ)
!
õ
à = .
õ
90
Capitolo 4 - EQUAZIONI E SISTEMI DIFFERENZIALI LINEARI
Sappiamo che le matrici õ − µI e õ − µI sono nilpotenti. Allora tale è anche la matrice
µI
N = Ã − S, con S = . (4.32)
µI
Come nel caso bidimensionale studiato poco sopra (si veda il passaggio dalla (4.29) alla (4.30), non
è difficile rendersi conto che in tale base la parte diagonale S della decomposizione (4.32) diventa:
Bµ
Bµ
α β
Dµ = , con B = (µ = α + iβ),
.. µ
−β α
.
Bµ
cioè la matrice quadrata di ordine 2m che ha sulla diagonale il blocco Bµ ripetuto m volte. Pertanto:
ÃR R
E ′ (µ)⊕E ′ (µ) = Dµ + (ÃE ′ (µ)⊕E ′ (µ) − Dµ ) (4.34)
decompone ÃR E ′ (µ)⊕E ′ (µ) nella somma di una matrice diagonale a blocchi, di cui è immediato il
calcolo dell’esponenziale (si ricordi la (4.31)), e una matrice nilpotente.
v1 = (1, −1, 0, 0)
v2 = (0, 2, 1, 0)
w = (1, 0, 0, 2 − i)
w = (1, 0, 0, 2 + i).
−1 0 0 0
0 2 0 0
à = .
0 0 −2 + 3i 0
0 0 0 −2 − 3i
91
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
Si ottengono allora le quattro soluzioni linearmente indipendenti (si tratta delle colonne della matrice
P età , dove P = (v1 | v2 | w | w)):
Allora:
c1 e−t + [c3 cos 3t + c4 sin 3t]e−2t
−c1 e−t + 2c2 e2t
x(t) = 2t
c2 e
−2t
[c3 (2 cos 3t + sin 3t) + c4 (2 sin 3t − cos 3t)]e
al variare di c1 , c2 , c3 , c4 ∈ R.
In modo equivalente è possibile ottenere le soluzioni passando tramite la matrice associata a T
nella base reale ottenuta considerando le parti reale e immaginaria di w (infatti (ℜw, ℑw) è una base
reale di E(µ) ⊕ E(µ)); posto quindi
P = (v1 | v2 | ℜw | ℑw),
Del resto, la matrice à è ottenibile anche senza eseguire esplicitamente il prodotto P −1 AP , in quanto
il blocco relativo a T ′ ′
ricade nel caso bidimensionale di cui alla matrice (4.30). Allora,
E (µ)⊕E (µ)
tenendo conto della (4.31),
e−t
e2t
età = .
cos 3t sin 3t
e−2t
− sin 3t cos 3t
Infine:
c1
c2
x(t) = P etÃ
c3
c4
= c1 e−t v1 + c2 e2t v2 + c3 e−2t [(cos 3t)ℜw − (sin 3t) Im w]
+ c4 e−2t [(sin 3t)ℜw + (cos 3t) Im w],
92
Capitolo 4 - EQUAZIONI E SISTEMI DIFFERENZIALI LINEARI
Esempio.
0 1 1 0
−2 3 10 2
x′ (t) = Ax(t), 1 −1 −2 0 .
A=
−2 1 0 −1
Gli autovalori di A sono ±i con molteplicità algebrica 2. Come si verifica facilmente, il rango di
A − iI è 3, per cui l’autospazio relativo a i (e quindi anche quello relativo a −i) ha dimensione 1: la
matrice non è diagonalizzabile in C. Calcoliamo gli autospazi generalizzati; risulta:
−2 2 − 2i 8 − 2i 2
4i −2 − 6i 8 − 20i 4 − 4i
(A − iI)2 = −2i
2i −6 + 4i −2
4i −2i 8 2 + 2i
e E ′ (i) = ker(A − iI)2 (infatti, per la Proposizione 4.8.14, E ′ (i) = ker(A − iI)s per un opportuno
s ≤ dim E ′ (i) = 2, per cui deve essere s = 2). Le soluzioni del sistema (A − iI)2 x = 0 sono date
da:
x = (−2 + i)s − t
1
x2 = −(4 + 2i)s − (1 + i)t
s, t ∈ C.
3=s
x
x4 = t
Allora una base di E ′ (i) è:
mentre w1 , w2 formano una base per E ′ (−i). Determiniamo la matrice associata valutando l’imma-
gine dei vettori di base; risulta:
Allora
3i i
−4i −i
à = .
−3i −i
4i i
Posto
3i i i 0 2i i
B= = +
−4i −i 0 i −4i −2i
il secondo addendo risulta nilpotente (a quadrato nullo), per cui:
1 + 2it it
etB = eit .
−4it 1 − 2it
Quindi:
1 + 2it it
it −4it 1 − 2it
età =e .
1 − 2it −it
4it 1 + 2it
Ne risultano le quattro soluzioni linearmente indipendenti
dove:
p(t) = (1 + 2it)v1 − 4itv2 = v1 + 2i(v1 − 2v2 )t
= (−2 + i − 2t, −4 − 2i − 4it, 1 + 2it, −4it),
q(t) = itv1 + (1 − 2it)v2 = v2 + i(v1 − 2v2 )t
= (−1 − t, −1 − i − 2it, it, 1 − 2it).
Come indicato in (4.28), passando alle parti reali e immaginarie delle soluzioni cosı̀ trovate
possiamo ottenere una base reale:
−2(1 + t) cos t − sin t cos t − 2(1 + t) sin t
−4 cos t + 2(1 + 2t) sin t −2(1 + 2t) cos t − 4 sin t
u1 (t) = , u2 (t) = ,
cos t − 2t sin t 2t cos t + sin t
4t sin t −4t cos t
−(1 + t) cos t −(1 + t) sin t
− cos t + (1 + 2t) sin t − sin t − (1 + 2t) cos t
u3 (t) = , u4 (t) = .
−t sin t t cos t
cos t + 2t sin t −2t cos t + sin t
Come nell’esempio precedente calcoliamo le soluzioni anche passando tramite la matrice associata
a T nella base reale ottenuta da una base di E ′ (i) prendendone le parti reale e immaginaria.
Consideriamo i vettori w1 , w2 sopra determinati e, come base di E ′ (i) ⊕ E ′ (−i),
ℜw1 , Im w1 , ℜw2 , Im w2 .
Sia
−2 1 −1 0
−4 −2 −1 −1
P = (ℜw1 | Im w1 | ℜw2 | Im w2 ) =
1
.
0 0 0
0 0 1 0
La matrice associata a T è
0 3 0 1
−3 0 −1 0
ÃR
E ′ (i)⊕E ′ (−i) = P −1 AP =
0 −4 0 −1 .
4 0 1 0
Posto
0 1
−1 0
D= ,
0 1
−1 0
sappiamo che la matrice ÃR
E ′ (i)⊕E ′ (−i) − D è nilpotente (vedi la (4.34)):
0 2 0 1
−2 0 −1 0
M := ÃR E ′ (i)⊕E ′ (−i) − D = 0
;
−4 0 −2
4 0 2 0
Quindi:
h i
tD
exp tÃR
E ′ (i)⊕E ′ (−i) = e (I + tM )
cos t sin t 1 2t 0 t
− sin t cos t −2t 1 −t 0
= ;
cos t sin t 0 −4t 1 −2t
− sin t cos t 4t 0 2t 1
h i
Infine, una base dello spazio delle soluzioni è data dalle colonne della matrice P exp tÃR
E ′ (i)⊕E ′ (−i) :
svolgendo i calcoli si ottengono le soluzioni u1 , u2 , u3 e u4 sopra menzionate.
Consideriamo l’equazione
Ly = f, (4.36)
e l’equazione
Ly = 0. (4.37)
L’equazione (4.37) è detta equazione omogenea associata alla (4.36); di conseguenza ci si riferisce
a volte alla (4.36) come all’equazione completa.
Poiché L è lineare, sussiste il medesimo risultato di struttura enunciato nella Proposizione 3.2.1
per le equazioni lineari del primo ordine, cioè:
Supporremo che il coefficiente an non si annulli mai in I, in modo che l’equazione sia effettiva-
mente di ordine n. Come sappiamo, l’equazione (4.36) può essere trasformata in sistema equivalente
ponendo:
x0 = y, x1 = y ′ , x2 = y ′′ , . . . , xn−1 = y (n−1) .
Si ottiene ′
x0 = x1
′
x 1 = x2
′
x 2 = x3
.
..
(4.38)
x′n−2 = xn−1
1 f
x′n−1 = − [an−1 xn−1 + an−2 xn−2 + . . . + a1 x1 + a0 x0 ] +
an an
95
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
cioè
x′ = Ax + b
con
0 1 0 0
0 0 1 0
.. .. ..
..
A= . . b= .
. . (4.39)
0
0 0 1
a0 an−1 f
− ... −
an an an
Quindi y è soluzione di Ly = f se e solo se x = (y, y ′ , . . . , y (n−1) ) è soluzione di x′ = Ax + b.
Se y1 , . . . , yn sono n soluzioni dell’equazione (4.37), la matrice delle corrispondenti soluzioni del
sistema (4.38), per f ≡ 0, cioè
(n−1)
(y1 , y1′ , . . . , y1 ), . . . (yn , yn′ , . . . , yn(n−1) ),
è detta matrice wronskiana, e il suo determinante è detto determinante wronskiano, delle soluzioni
y 1 , y 2 , . . . , yn :
y1 (t) ... yn (t)
.. ..
w(t) = det .
. .
(n−1)
y1 (t) . . . yn(n−1) (t)
Sappiamo che w(t) non si annulla mai in I o è ivi identicamente nullo. Il Teorema di Liouville
assume ora la forma
Z ta
n−1 (s)
w(t) = w(τ ) exp − ds ,
τ an (s)
poiché tr A = −an−1 (s)/an (s).
Siano y1 , y2 , . . . , yn l.d. (in V ): esistono α1 , α2 , . . . , αn valori reali non tutti nulli per i quali
α1 y1 + . . . + αn yn ≡ 0 in I.
Parallelamente a quanto svolto per i sistemi del primo ordine, prima di passare alla determinazione
di una n-upla di soluzioni linearmente indipendenti dell’equazione omogenea (per la quale conside-
reremo essenzialmente solo il caso dei coefficienti costanti), vediamo come si traduce il metodo di
variazione delle costanti illustrato nel § 4.2 per i sistemi.
Siano y1 , . . . , yn soluzioni linearmente indipendenti dell’equazione (4.37). Sia X(t) la corri-
spondente matrice wronskiana, che è soluzione del sistema X ′ = A(t)X, con A come in (4.39).
Sappiamo che la matrice risolvente del sistema x′ = A(t)x è R(t, s) = X(t)X(s)−1 e che una
soluzione particolare di x′ = A(t)x + b(t) è data da
Z t
x(t) = R(t, s)b(s) ds.
t0
La prima componente y di x sarà soluzionedell’equazione (4.36).
Teniamo conto che b(s) = f (s)/an (s) en , per cui
Z t
y(t) = r(t, s)f (s) ds, (4.40)
t0
con
1 T
r(t, s) = e X(t)X(s)−1 en .
an (s) 1
Indicata con (xij (·)) la matrice X(·) e ricordando l’espressione della matrice inversa X(s)−1 , risulta:
1 1
r(t, s) = x1i (t) αi (s),
an (s) w(s)
dove αi (s) è il complemento algebrico dell’elemento xni (s) della matrice X(s). È immediato
verificare che (si sviluppi secondo l’ultima riga):
y1 (s) ... yn (s)
′
y1 (s) ... yn′ (s)
1
.. ..
r(t, s) = (4.41)
w(s)an (s) (n−2)
. .
y (n−2)
1 (s) . . . yn (s)
y (t) ... yn (t)
1
Equazione omogenea.
Occupiamoci di determinare n soluzioni linearmente indipendenti dell’equazione omogenea (4.37).
Individuiamo gli autovalori della matrice A in (4.39). Consideriamo il determinante:
−λ 1 0 ... 0
0 −λ 1 . . . 0
0 0 −λ . . . 0
..
det(A − λI) = .
0 ... 1
a
− 0 − a1 . . . . . . − an−1 − λ
an an an
97
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
P + Q 7→ P (D) + Q(D)
P ·Q→7 P (D) ◦ Q(D) (composizione).
Si tratta quindi di un isomorfismo fra K[λ] e un sottoanello commutativo dell’anello degli operatori
differenziali lineari su C ∞ (si tratta del sottoanello generato dagli operatori di moltiplicazione e da
D).
Se K = C allora il polinomio caratteristico di Ly = 0 si decompone nella forma:
quindi
P (D) = an (D − λ1 )m1 · . . . · (D − λq )mq .
98
Capitolo 4 - EQUAZIONI E SISTEMI DIFFERENZIALI LINEARI
La verifica che le funzioni (4.42) sono soluzioni dell’equazione Ly = 0 è a questo punto una
conseguenza immediata del seguente lemma (la cui dimostrazione è una facile verifica). Infatti:
Per concludere la dimostrazione del Teorema 4.7.1 rimane da verificare l’indipendenza lineare
delle funzioni (4.42). Consideriamo pertanto una loro combinazione lineare che dia la funzione
nulla; in base all’espressione delle funzioni stesse ciò equivale a considerare q polinomi P1 , . . . , Pq ,
con Pk di grado non superiore a mk − 1, tali che
Mostriamo, per induzione su q, che questa condizione implica che tutti i polinomi sono nulli, e che
quindi le funzioni (4.42) sono linearmente indipendenti. Chiaramente l’implicazione vale per q = 1.
Valga per un valore q ∈ N e dimostriamo che vale per q + 1. Dividendo per eλq+1 t entrambi i membri
dell’identità (4.43), scritta con q + 1 in luogo di q, si ottiene17 :
dove Qk è un polinomio dello stesso grado di Pk ; applicando l’ipotesi induttiva ogni Qk è nullo per
cui anche ogni Pk deve essere nullo.
Se consideriamo le parti reali e immaginarie delle funzioni (4.42) otteniamo una base reale per le
soluzioni dell’equazione omogenea Ly = 0:
Teorema 4.7.3 Le soluzioni dell’equazione omogenea (4.37) sono tutte e sole le combinazioni
lineari delle funzioni
tj eαt cos βt, tj eαt sin βt
al variare di λ = α + iβ fra le radici del polinomio caratteristico.
Equazione completa.
Vi è un caso notevole in cui è possibile determinare in modo standard una soluzione y dell’equa-
zione completa (4.36). Supponiamo che la funzione f a secondo membro sia della forma (conviene
lavorare in campo complesso):
f (t) = P (t)eλt , (4.44)
con λ ∈ C e P (t) polinomio di grado m. Siano inoltre λ1 , . . . , λk le radici distinte del polinomio
caratteristico di L, con molteplicità rispettive m1 , . . . , mk .
99
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
Pertanto, se y è soluzione dell’equazione Ly = f allora (M ◦ L)y = 0.18 Distinguiamo ora due casi:
− se λ non è radice del polinomio caratteristico di L allora il polinomio caratteristico di M ◦ L ha
come radici λ1 , . . . , λk , con le rispettive molteplicità m1 , . . . , mk , e λ, con molteplicità m + 1.
In base al Teorema 4.7.1
y(t) = yo (t) + Q(t)eλt
dove yo , combinazione lineare di funzioni della forma tj eλi t , per i = 1, . . . , k, è una soluzione
dell’equazione omogenea Ly = 0, mentre Q(t) è un opportuno polinomio di grado al più m.
Chiaramente, la condizione Ly = f si riflette solamente sul polinomio Q, per cui possiamo
scegliere yo = 0 e cercare y della forma
y(t) = Q(t)eλt ,
con P (t) di grado al più mi e Q̃(t) di grado al più µ + m. Si osservi ora che, posto Q̃(t) =
P ij Pµ−1 j λt
j cj t , la funzione ( j=0 cj t )e è soluzione dell’equazione omogenea, per cui possiamo
scrivere
y(t) = yo (t) + tµ Q(t)eλt ,
con Q(t) polinomio di grado al più m. Come nel caso precedente ricerchiamo y di questa
forma, con yo ≡ 0.
Riassumendo:
se nell’equazione Ly = f il secondo membro è dato da (4.44), con P (t) di grado m, allora esiste
una soluzione della forma
y(t) = tµ Q(t)eλt ,
dove Q(t) è un polinomio di grado non superiore a m e µ è la molteplicità di λ come radice del
polinomio caratteristico di L (quindi µ = 0 se non è radice).
Il polinomio Q(t) viene individuato determinandone i coefficienti in modo che tµ Q(t)eλt sia solu-
zione di Ly = f .
Se lavoriamo in campo reale non è difficile verificare che: se
18 Per questo motivo il metodo ora descritto è anche detto degli annichilatori.
100
Capitolo 4 - EQUAZIONI E SISTEMI DIFFERENZIALI LINEARI
y ′′ − 3y ′ + 2y = f (t),
λ1 <λ2 <0
λ1 <0<λ2
al variare del punto x0 = (x01 , x02 ) ∈ R2 . Se x0 si trova su uno degli assi coordinati (cioè x01 = 0
oppure x02 = 0), allora tutta l’orbita rimane su quell’asse. Altrimenti sia, ad esempio x01 > 0 e
x02 > 0 (lo studio dell’orbita negli altri quadranti è analogo). Supponiamo inoltre di aver scelto le
coordinate in modo che λ1 ≤ λ2 . Dall’espressione delle soluzioni si ricava rapidamente l’equazione
delle orbite, poiché
λ2 /λ1
x2 = x02 eλ1 t = x02 x1 /x01 )λ2 /λ1 .
Se teniamo conto dell’arbitrarietá del punto (x01, x02 ) nel primo quadrante, concludiamo che la famiglia
delle orbite in tale regione del piano è descritta dall’equazione
λ /λ1
x2 = γx1 2
al variare di γ > 0.
Se λ1 < λ2 la tipologia delle orbite dipende dal segno di λ1 e λ2 . Si vedano le Figure 4.2 e 4.3: le
frecce indicano l’orientamento corrispondente al parametro t crescente e può essere immediatamente
desunto dalle equazioni (4.46). Se gli autovalori sono dello stesso segno si dice che l’origine è un
nodo (stabile o instabile a seconda che il segno degli autovalori sia negativo o positivo); mentre se
gli autovalori sono di segno opposto si parla dell’origine come punto di sella.
Se λ1 = λ2 le orbite sono semirette uscenti dall’origine: ci si riferisce a questa situazione anche
dicendo che l’origine è un nodo a stella.
Caso (II): autovalori reali e coincidenti, matrice non diagonalizzabile. In tal caso le soluzioni sono
date da:
x1 = (c1 + c2 t)eλt
(4.47)
x2 = c2 eλt
al variare di (c1 , c2 ) ∈ R2 : tale punto rappresenta il valore iniziale x(0). Se c2 = x2 (0) = 0 allora
l’orbita è tutta sull’asse x1 . Altrimenti sia, ad esempio, c2 = x2 (0) > 0; possiamo allora porre
l’equazione dell’orbita nella forma:
x2 c1
x1 = (log x2 + λ − log c2 ).
λ c2
102
Capitolo 4 - EQUAZIONI E SISTEMI DIFFERENZIALI LINEARI
0<λ1 <λ2
Per l’arbitrarietà di c1 e c2 la famiglia delle orbite nel semipiano x2 > 0 si può anche scrivere come:19
x2
x1 = (log x2 + γ), γ ∈ R.
λ
In tal caso si parla dell’origine come nodo improprio (Figura 4.4). Al crescere di t il punto x(t)
si avvicina o si allontana dall’origine a seconda del segno di λ, come si può vedere dall’equazione
(4.47).
19 A questa equazione possiamo giungere anche applicando i ragionamenti esposti nel paragrafo 3.7. Infatti la forma
differenziale
ω(x1 , x2 ) = λx2 dx1 − (λx1 + x2 ) dx2
non è esatta, ma ha 1/x22 come fattore integrante. Si ottiene
1 x1
ω(x1 , x2 ) = dH(x1 , x2 ), con H(x1 , x2 ) = λ − log x2 ,
x2 x2
da cui l’equazione H(x1 , x2 ) = γ per le orbite.
103
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
20 Come nel caso precedente,possiamo ricavare questa equazione scrivendo la forma differenziale (βx1 −αx2 ) dx1 +(αx1 +
βx2 ) dx2 in coordinate polari (cfr. (3.22)), ottenendo l’equazione: β̺d̺ + α̺2 dϑ = 0, cioè, per ̺ 6= 0,
` ´ β
d β log ̺ + αϑ = d̺ + αdϑ = 0.
̺
Da qui la (4.48).
104
Capitolo 4 - EQUAZIONI E SISTEMI DIFFERENZIALI LINEARI
Figura 4.6 - Centro (autovalori ±iβ); l’orientamento delle traiettorie dipende dal segno di β
Osservazione 4.8.1 Notiamo che il caso degli autovalori reali e coincidenti (λ1 = λ2 = λ) e
quello degli autovalori complessi coniugati con parte reale nulla (±βi) possono essere visti come
“casi limite” delle situazioni in cui gli autovalori sono reali e distinti o complessi coniugati con parte
reale non nulla, rispettivamente: si tratta, pertanto, dei casi più suscettibili di cambiamenti di tipologia
per “piccole perturbazioni”.
105
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
Richiamiamo alcuni risultati di Algebra Lineare utilizzati in questo capitolo (per una trattazione più
approfondita si può consultare un qualunque libro introduttivo sull’argomento).
Sia V uno spazio vettoriale di dimensione n su un campo K (con K = R o K = C).
Cambiamento di base. Siano B = (e1 , . . . , en ) e B̃ = (ẽ1 , . . . , ẽn ) due date basi di V e indichiamo
con P = (pij ) la matrice di passaggio da B a B̃, cioè tale che:
X
ẽj = pij ei . (4.49)
i
Allora: X X XX
v= x̃j pij ei = ( pij x̃j )ei ;
j i i j
allora
x = P x̃. (4.50)
Osservazione 4.8.2 Se V = Kn e B è la base canonica, allora la matrice P ha come colonne gli
elementi di B̃:
P = (ẽ1 | ẽ2 | . . . | ẽn ).
P
Infatti, se consideriamo la componente h-ima dei due membri nella(4.49) abbiamo (ẽj )h = i pij δih =
phj ).
Matrice associata a un operatore lineare. Sia T : V → V un operatore lineare. Sia B una base di
V . Le componenti in B di ogni vettore v ∈ V e del suo trasformato T v sono legate da una relazione
lineare; esiste cioè una matrice A ∈ M n×n (K) con la proprietà che se x ∈ Kn è il vettore delle
componenti di v in B, allora T v ha come componenti, sempre in B, il vettore y = Ax. La matrice
A è detta matrice associata a T nella base B.
Rilevante sarà il caso in cui V si decompone in somma diretta di sottospazi T -invarianti, cioè
sottospazi tali che T Vk ⊆ Vk e per i quali
V = V1 ⊕ V2 ⊕ . . . ⊕ Vq .
Proposizione 4.8.3 Nelle ipotesi poste, se Bk è una base di Vk allora B1 ∪. . .∪Bq (o meglio, la
base ottenuta prendendo ordinatamente gli elementi delle basi B1 , . . . , Bq ) è una base di V rispetto
a cui la matrice associata a T è diagonale a blocchi:
A1
A2
A= A 3
,
(4.51)
..
.
Aq
106
Capitolo 4 - EQUAZIONI E SISTEMI DIFFERENZIALI LINEARI
(ciascun blocco ha la diagonale principale sulla diagonale principale di A). La matrice Ak è di tipo
mk × mk con mk = dim Vk . Inoltre
Ak è la matrice associata a T in Bk .
Vk
Assegnate due basi B e B̃ di V , vediamo quale relazione sussiste fra le matrici A e à associate a T
nelle due basi. Dato v ∈ V , siano x = (x1 , . . . , xn ) e x̃ = (x̃1 , . . . , x̃n ) le n-uple delle componenti
di v in B e B̃, rispettivamente; allora le componenti di T v nelle due basi sono Ax e Ãx̃; secondo la
(4.50) deve pertanto essere
Ax = P Ãx̃,
da cui, poiché x = P x̃,
à = P −1 AP. (4.52)
Quindi A e Ã, matrici associate a T nelle basi B e B̃ rispettivamente, sono tra loro simili.
Autovalori e autospazi. Diagonalizzabilità. Sia T : V → V un operatore lineare. Fondamentale è la
seguente definizione.
T v = λv. (4.53)
Tali vettori sono detti autovettori di T relativi a λ. Il sottospazio E(λ) = ker(T − λI) è detto
autospazio di T relativo a λ.
per cui matrici simili hanno lo stesso polinomio caratteristico. L’importanza di questa osservazione
sta nel fatto che le matrici associate a un operatore lineare T : V → V sono legate dalla relazione di
similitudine. Ciò permette di definire il polinomio caratteristico di un operatore T : V → V come
polinomio caratteristico della matrice associata a T in una qualunque fissata base.
21 L’analogo passaggio nel caso di un generico spazio vettoriale V su R è la complessificazione dell’operatore T (e dello spazio
V ).
107
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
Dimostrazione. Sia r = ̺(λ) e B una base di V i cui primi r elementi costituiscano una base di
E(λ). Poiché (T − λI)E(λ) = {0}, la matrice associata a T − λI in B ha nulle le prime r colonne.
Pertanto il polinomio caratteristico p(z) di T ha come fattore il polinomio (z − λ)r . Allora p(z)
presenta la radice λ almeno con molteplicità r.
108
Capitolo 4 - EQUAZIONI E SISTEMI DIFFERENZIALI LINEARI
Dimostrazione. L’equivalenza fra (a) e (b) è immediata poiché il fatto che T si esprima in una base
B = (v1 , . . . , vn ) mediante una matrice diagonale D = diag (λ1 , . . . , λn ) equivale ad affermare che
le componenti di T vi nella base B sono date da Dei (con ei i-esimo elemento della base canonica
di Cn ), cioè T v = λi vi : questa uguaglianza traduce il fatto che vi è un autovettore.22
In base alla Proposizione 4.8.8 possiamo considerare la somma diretta E(λ1 ) ⊕ E(λ2 ) ⊕ . . . ⊕
E(λq ), che risulta essere un sottospazio di dimensione ̺(λ1 ) + . . . + ̺(λq ). Poiché ̺(λi ) ≤ m(λi )
(Proposizione 4.8.9) e m(λ1 ) + . . . + m(λq ) = n = dimV , ne segue l’equivalenza di (c) e (d).
Nell’ipotesi
Se teniamo conto del teorema precedente, la proprietà (b) sussiste se e solo se Cn = E(λ1 ) ⊕
E(λ2 ) ⊕ . . . ⊕ E(λq ), e questo è vero se e solo se vale (c).
Autospazi generalizzati.
Indichiamo con λ1 , . . . , λq gli autovalori distinti dell’operatore T : V → V , di molteplicità
algebriche m(λ1 ), . . . , m(λq ), rispettivamente.
Se T non è diagonalizzabile allora V non possiede una base di autovettori, per cui non può essere
espresso come somma diretta dei suoi autospazi. Il ruolo di questi viene invece svolto dai cosiddetti
autospazi generalizzati.
Svolgiamo dapprima alcune osservazioni preliminari. Data un’applicazione lineare T : V → V ,
risulta
È immediato verificare che sono tutti sottospazi T -invarianti, cioè sottospazi W per i quali T (W ) ⊆
W . Poiché la dimensione di V è finita, esiste s ≤ n per il quale
Sia ν = dim ker T s . Dal momento che dim Im T s = n − ν = dim Im T s+1 , ne segue che
Im T s = Im T s+1 .
Osserviamo che se ker T s = ker T s+1 (e quindi Im T s = Im T s+1 ), allora risulta anche ker T s+1 =
ker T s+2 = ker T s+3 = . . .; infatti, se v ∈ ker T s+2 allora T v ∈ ker T s+1 = ker T s , quindi
T s T v = 0, cioè v ∈ ker T s+1 . Quindi ker T s+1 = ker T s+2 (si procede per induzione).
22 Del resto, anche esprimendo la diagonalizzabilità direttamente come esistenza di una matrice P tale che P −1 AP =
diag (λ1 , . . . , λn ), si ottiene AP = P diag (λ1 , . . . , λn ), cioè Avi = λi vi se vi è la i-esima colonna di A.
109
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
V = ker T s ⊕ Im T s .
Inoltre, T non può presentare l’autovalore nullo, mentre se ker T s è non banale, allora
Im T s
T
s
ha solo l’autovalore nullo.
ker T
La decomposizione in somma diretta di cui al punto (b) del lemma precedente e la struttura
diagonale a blocchi della matrice associata a T secondo la Proposizione 4.8.3 permettono
di spezzare
il polinomio caratteristico nel prodotto dei polinomi caratteristici di T s
e T
s
. In particolare,
ker T Im T
se 0 è autovalore di T di molteplicità m, allora
Applichiamo ora questi risultati all’operatore T − λI, dove λ è un autovalore di T ; otteniamo una
decomposizione Cn = Vλ ⊕ W tale che T ha solo l’autovalore λ su Vλ , e autovalori diversi da λ su
W (separazione degli autovalori). Inoltre, Vλ e W sono T -invarianti (perché (T − λI)-invarianti).
Il sottospazio Vλ = ker(T − λI)s è il cosiddetto autospazio generalizzato relativo a λ, indicato
con E ′ (λ). Possiamo anche porre, equivalentemente:
110
Capitolo 4 - EQUAZIONI E SISTEMI DIFFERENZIALI LINEARI
c) λ è l’unico autovalore di T .
E ′ (λ)
Questa decomposizione di Cn in somma diretta dà luogo a una matrice A associata a T come
indicato nella Proposizione 4.8.3, con Vk = E ′ (λk ):
A1
A 2
A= A3 ,
(4.56)
..
.
Aq
dove:
Ak è la matrice associata a T rispetto a Bk .
E ′ (λk )
Osservazione 4.8.19 Mentre la determinazione della matrice (4.56) associata a T può essere
ottenuta dalla scelta di una qualunque base per ciascun E ′ (λk ), il calcolo della forma di Jordan J
richiede l’individuazione di una particolare base; una base in cui accanto ad ogni elemento vi siano
tutte le controimmagini iterate tramite T − λI. Data una base dell’autospazio E(λ), a partire da
ciascuno dei suoi elementi si costruiscono in tal modo i vettori di una base di E ′ (λ) corrispondenti
a un blocco di Jordan. Ad esempio, se E(λ) = hv, wi e
(T − λI)v ′ = v, (T − λI)v ′′ = v ′ , v ′′ ∈
/ Im(T − λI)
(T − λI)w′ = w, w′ ∈
/ Im(T − λI),
λ1 , . . . , λr autovalori reali
µ1 , . . . , µl , µ, . . . , µl autovalori non reali
112
Capitolo 4 - EQUAZIONI E SISTEMI DIFFERENZIALI LINEARI
allora la rappresentazione (4.56) diventa una matrice reale diagonale a blocchi della forma
Ã1
..
.
Ãr
à = , (4.59)
R
Ã1
..
.
R
Ãl
dove
Ãk : matrice associata a T ′
E (λk )
ÃR
j : matrice associata a T ′ .
E (µj )⊕E ′ (µj )
Se le basi (w1 , w2 , . . . , wm ) per gli autospazi generalizzati sono tali da dar luogo alla forma canonica
di Jordan, non è difficile vedere che il passaggio alle parti reale e immaginaria degli elementi wj
ilustrato sopra porta a una matrice nella forma canonica descritta dal seguente teorema (si ricordi il
passaggio dalla matrice (4.29) alla (4.30)).
Teorema 4.8.20 (Forma canonica reale) Esiste una base di V rispetto a cui T si rappre-
senta mediante la matrice
′
JR = J 0′′ ,
0 J
′
dove J è la matrice di Jordan relativa a
T ′ ′
,
E (λ1 )⊕...⊕E (λr )
sostituendo:
αj βj
µj con Bµj = (µj = αj + iβj )
−βj αj
1 0
1 con I2 = .
0 1
Esempio. Riprendiamo l’ultimo esempio considerato nel § 4.5. Risulta:
−i 1 1 0
−2 3 − i 10 2
A − iI = 1
;
−1 −2 − i 0
−2 1 0 −1 − i
un autovettore relativo all’autovalore i è, ad esempio,
i
−2
v1 =
1 .
−2
113
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
Seguendo quanto indicato nell’Osservazione 4.8.19 (vedi anche la seconda parte dell’esempio svolto
a pag. 86), cerchiamo un vettore v2 soddisfacente la relazione
(A − iI)v2 = v1 .
Risulta, ad esempio,
(1/2) + i
−1 + 2i
v2 =
−i/2 .
0
Chiaramente, (A − iI)2 v2 = 0, per cui v2 ∈ ker(T − iI)2 = E ′ (i). Rispetto alla base (v1 , v2 ) la
matrice associata all’operatore (T − iI) ′ è:
E (i)
0 1
;
0 0
i 1
0 i
−i 1
0 −i
0 1 1 0
−1 0 0 1
P −1 AP = ,
0 0 0 1
0 0 −1 0
114
Capitolo 5
Definizione 5.2.1 Diremo che l’origine è un pozzo per l’equazione x′ = Ax se comunque presa
una soluzione x(·) risulta;
lim x(t) = 0.
t→+∞
L’origine è invece detta sorgente se comunque presa una soluzione non nulla x(·) risulta;
Nel primo caso si dice anche che il corrispondente flusso lineare etA è una contrazione, mentre nel
secondo caso si dice che è un’espansione.
La natura dell’origine come punto di equilibrio dipende dal segno della parte reale degli autovalori
di A:
116
Capitolo 5 - COMPORTAMENTO ASINTOTICO. STABILITÀ
le soluzioni tendono a zero o all’infinito (in modulo) secondo che sia ℜλ < 0 o ℜλ > 0, rispettiva-
mente.
Definizione 5.2.3 Diciamo che il flusso etA è iperbolico se ogni autovalore di A ha parte reale
non nulla.
Indichiamo con λ1 , . . . , λq ∈ C gli autovalori distinti di A. Sappiamo che (vedi Teorema 4.8.15):
Cn = E ′ (λ1 ) ⊕ . . . ⊕ E ′ (λq ).
Se etA è iperbolico, suddividiamo gli autovalori distinguendoli rispetto al segno della parte reale:
ℜλk < 0 k = 1, . . . , r
ℜλk > 0 k = r + 1, . . . , q
(intenderemo che ℜλ > 0 per ogni λ se r = 0 e che ℜλ < 0 per ogni λ se r = q). Quindi
Cn = EsC ⊕ EuC ,
dove
EsC = E ′ (λ1 ) ⊕ . . . ⊕ E ′ (λr ), EuC = E ′ (λr+1 ) ⊕ . . . ⊕ E ′ (λq ).
Poiché la matrice A è a elementi reali, esiste una base reale di E ′ (µ) ⊕ E ′ (µ), per ogni autovalore
µ ∈ C \ R; possiamo quindi decomporre Rn nella somma24
Rn = Es ⊕ Eu
in modo che:
24 si noti che le combinazioni lineari reali degli elementi di una base reale di E ′ (µ) ⊕ E ′ (µ) formano un sottospazio di Rn
117
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
y2
x2
= 0
− 2y
Es
: x
:
E u
x+
y1
y=
x1
0
Figura 5.1 - Varietà stabile e instabile, nelle coordinate x e y
• ciascuno dei due sottospazi sia invariante rispetto ad A e quindi rispetto al flusso etA ;
• etA è una contrazione, mentre etA è un’espansione.
Es Eu
Si può dimostrare che questa decomposizione è unica. I sottospazi Es ed Eu sono anche detti
varietà stabile e varietà instabile, rispettivamente.25
Notiamo che il cambiamento di variabile x = P y applicato nel § 4.4 per studiare la struttura delle
soluzioni di un sistema lineare omogeneo e autonomo utilizzava una matrice P costruita mediante
autovettori generalizzati. Sia Ẽs ⊕ Ẽu la decomposizione di Rn relativa al sistema y ′ = Ãy, con
à = P −1 AP : poiché à è diagonale a blocchi e ogni blocco presenta un solo autovalore, Ẽs e Ẽu
sono sottospazi coordinati. I sottospazi Es := P Ẽs e Eu := P Ẽu danno la parte stabile e instabile
di Rn relativamente al sistema x′ = Ax.
Esempi
′ 1 4
1. x = Ax con A = .
2 −1
Gli autovalori sono ±3 e
118
Capitolo 5 - COMPORTAMENTO ASINTOTICO. STABILITÀ
119
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
Teorema 5.2.5 L’origine è stabile per l’equazione x′ = Ax se e solo se valgono le due condizioni
seguenti:
a) ℜλ ≤ 0 per ogni autovalore λ di A;
b) ogni autovalore λ con parte reale nulla deve essere semisemplice, cioè avere la molteplicità
geometrica coincidente con quella algebrica.
In particolare, se esiste un autovalore con parte reale strettamente positiva, allora l’origine è instabile.
Cerchiamo ora di applicare quanto visto nel caso lineare allo studio locale delle soluzioni di un’equa-
zione non lineare
x′ = f (x) (5.3)
nell’intorno di un suo punto x di equilibrio. Sia pertanto Ω un aperto di Rn e f : Ω → Rn di classe
C 1 e supponiamo che x = 0 (se cosı̀ non fosse basta eseguire un’opportuna traslazione). A motivo
della natura locale dell’indagine, consideriamo la linearizzazione del campo f attorno all’origine:
Mostriamo che se tutti gli autovalori di A hanno parte reale negativa o tutti hanno parte reale positiva,
allora il comportamento asintotico delle soluzioni attorno all’origine è come quello del sistema
x′ = Ax. A tal fine è utile una stima che ‘quantifichi’ l’andamento lineare del termine Ax, o, come
nel lemma che segue, l’andamento quadratico del termine hAx, xi.
Data una base B di Rn , utilizzeremo la notazione h·, ·iB e | · |B per indicare il prodotto scalare e
la norma indotte da B, quindi
120
Capitolo 5 - COMPORTAMENTO ASINTOTICO. STABILITÀ
α < ℜλ < β
per ogni autovalore λ di A. Allora esiste una base B di Rn rispetto alla quale
per ogni x ∈ Rn .
vj = εj ẽj .
P = diag (ε, ε2 , . . . , εn );
P −1 ÃP = λI + P −1 ÃN P.
(P −1 ÃN P )ij = (P −1 )ih (ÃN )hk Pkj = (P −1 )ii (ÃN )ij Pjj
0 se j 6= i + 1
=
ε−i εj = ε se j = i + 1.
Quindi:
0 ε 0
..
N =
.
(λ ∈ R);
0 ε
0
121
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
Come nel caso lineare la presenza di un autovalore con parte reale positiva implica l’instabilità
(omettiamo la dimostrazione):
Teorema 5.3.3 Se Df (0) ha un autovalore con parte reale strettamente positiva, allora l’origine
è un punto di equilibrio instabile.
122
Capitolo 5 - COMPORTAMENTO ASINTOTICO. STABILITÀ
Esempio. (Pendolo smorzato) Ricordiamo l’equazione del pendolo semplice senza attrito (§ 1.6):
consideriamo il caso in cui sia presente una forza di attrito proporzionale alla velocità lϑ̇:
o anche:
ϑ̈ + ω 2 sin ϑ + 2aϑ̇ = 0.
con ω 2 = g/l e 2a = k/m. Scritta come sistema di equazioni questa diventa:
ϑ̇ = v
v̇ = −ω 2 sin ϑ − 2av.
I punti di equilibrio sono dati da (kπ, 0) al variare di k ∈ Z. Posto f (ϑ, v) = v, −ω 2 sin ϑ − 2av ,
risulta:
0 1
Df (kπ, 0) = .
−ω 2 cos kπ −2a
Gli autovalori sono:
√
p −a ± a2 − ω 2 se k è pari,
λ1,2 = −a ± a2 − ω 2 cos kπ = √
−a ± a2 + ω 2 se k è dispari.
Pertanto:
se k è pari ℜλ1,2 < 0 e i punti (kπ, 0) risultano asintoticamente stabili: ricordando che v è
la velocità angolare ϑ̇, si tratta delle configurazioni corrispondenti al punto di minima quota e
velocità nulla.
Le Figure 5.3 e 5.4 delineano il diagramma di fase nei due casi in cui il coefficiente di attrito a sia
sopra o sotto il valore critico ω.
Esempio. L’esempio precedente, per a = 0, dà il pendolo privo di attrito. La linearizzazione
attorno ai punti (kπ, 0) con k dispari presenta i due autovalori ±ω: pertanto si tratta ancora di punti
di equilibrio instabile (Figura 3.7).
I diagrammi di fase attorno ai punti ((2k + 1)π, 0) nel caso del pendolo senza attrito (vedi Figu-
ra 3.7), o quelli attorno ai punti (2kπ, 0) per il pendolo con attrito (vedi Figure 5.3 e 5.4) hanno la
stessa struttura dei corrispondenti diagrammi di fase relativi ai problemi linearizzati: nel primo caso
il problema lineare presenta un punto di sella, nel secondo caso un fuoco o un nodo stabili a seconda
che si tratti della situazione sottocritica o sovracritica. Questa equivalenza topologica locale è resa
precisa dal seguente teorema.
123
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
−2
−4
−6
−8
−10 −8 −6 −4 −2 0 2 4 6 8 10
124
Capitolo 5 - COMPORTAMENTO ASINTOTICO. STABILITÀ
−1
−2
−3
−4
−5
−6 −4 −2 0 2 4 6
125
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
∼·∼·∼·∼·∼·∼·∼
In presenza di autovalori di cui si sappia soltanto la non positività o la non negatività della parte reale,
nulla possiamo concludere sulla stabilità dell’origine come punto di equilibrio sfruttando solamente
lo studio del sistema linearizzato. Consideriamo, ad esempio,
x′ = −y + x3
(5.4)
y′ = x + y3.
risulta:
d 2
̺ (t) = 2[xx′ + yy ′ ] = 2[x(−y + x3 ) + y(x + y 3 )] = 2(x4 + y 4 );
dt
poiché x4 + y 4 ≥ 12 ̺4 , otteniamo
d 2 2
̺ (t) ≥ ̺2 ,
dt
da cui ̺2 (t) → +∞ in tempo finito.
Se invece nella (5.4) i termini x3 e y 3 vengono rimpiazzati da −x3 e −y 3 , rispettivamente, allora
l’equazione linearizzata non cambia, ma nelle stesse notazioni precedenti:
d 2
̺ (t) = −2(x4 + y 4 ),
dt
da cui si ricava la decrescenza di ̺ e quindi l’esistenza globale della soluzione x(·), y(·) e la sua
convergenza a zero per t → +∞: l’origine è asintoticamente stabile.
Nel caso del pendolo senza attrito trattato poco sopra, i punti di equilibrio (kπ, 0) con k pari danno
un problema linearizzato con autovalori con parte reale nulla: vedremo nel prossimo paragrafo un
modo per dimostrare la stabilità di tali punti.
Il metodo delle funzioni di Liapunov può essere visto come una generalizzazione del fatto fisico che
i punti di equilibrio stabile corrispondono a punti di minimo dell’energia.
Consideriamo l’equazione (5.1), con f di classe C 1 .
Se V : U → R è una funzione differenziabile (U ⊆ Ω aperto), per ogni x ∈ U definiamo la
derivata orbitale di V in x:
d
V̇ (x) = V ϕ(t, x) ,
dt t=0
dove ϕ indica il flusso associato all’equazione (5.1). Osserviamo che
quindi V̇ può essere calcolata senza conoscere ϕ, cioè senza risolvere l’equazione differenziale.
126
Capitolo 5 - COMPORTAMENTO ASINTOTICO. STABILITÀ
Notiamo anche che, fissato x ∈ U e t0 ∈ ω− (x), ω+ (x) , abbiamo:
d
= ∇V ϕ(t0 , x) · ϕ′ (t0 , x)
V ϕ(t, x)
dt t=t0
= ∇V ϕ(t0 , x) · f ϕ(t0 , x) = V̇ ϕ(t0 , x) .
Quindi in ogni punto ϕ(t, x) il valore V̇ ϕ(t, x) rappresenta la derivata di V nel punto ϕ(t, x) lungo
la soluzione ϕ(·, x). Ad esempio, se V̇ ≤ 0 allora V decresce lungo ogni soluzione.
Teorema 5.4.1 Sia x un punto di equilibrio per l’equazione (5.1). Sia V : U → R una funzione
continua definita in un intorno U ⊆ Ω di x, differenziabile in U \ {x} e tale che:
b) V̇ ≤ 0 in U \ {x}.
c) V̇ < 0 in U \ {x},
Una funzione V soddisfacente (a) e (b) è detta funzione di Liapunov per x; se vale anche la
proprietà (c) si parla di funzione di Liapunov stretta.
Sia
U1 = {x ∈ Bδ (x) : V (x) < α}.
Per ogni x ∈ U1 si ha
d
V ϕ(t, x) = V̇ ϕ(t, x) ≤ 0,
dt
finchè ϕ(t, x) ∈ U ; quindi V ϕ(·, x) è non crescente, per cui:
ϕ(t, x) ∈ Bδ (x) per ogni t ∈ ω− (x), ω+ (x) .
Ne segue che x è stabile. Notiamo che, in particolare, ω+ (x) = +∞ (si ricordi l’Osservazione 5.1.3).
Supponiamo che valga anche la proprietà (c). Fissiamo x ∈ U1 e sia (tn )n una successione
tendente a +∞. Poiché ϕ(tn , x) n è limitata ammette una sottosuccessione convergente (che per
semplicità denotiamo sempre allo stesso modo):
ϕ(tn , x) → z.
Fissiamo S > 0; per la dipendenza continua dai dati iniziali, per ogni ε > 0 è possibile determinare
nε ∈ N tale che
|ϕ S, ϕ(tnε , x) − ϕ(S, z)| < ε.
Poiché V ϕ(S, z) < V (z) e V è continua (nel punto ϕ(S, z)), per ε sufficientemente piccolo risulta:
V ϕ S, ϕ(tnε , x) < V (z).
mẍ = −∇φ(x).
1
V (x, v) = m|v|2 + φ(x) − φ(x)
2
(si tratta dell’energia totale del sistema). Allora:
d
H q(t), p(t) = Hq q(t), p(t) q̇(t) + Hp q(t), p(t) ṗ(t) ≡ 0.
dt
Ciò significa che la derivata orbitale di H è nulla.
128
Capitolo 5 - COMPORTAMENTO ASINTOTICO. STABILITÀ
Sia ora (q, p) un punto di minimo stretto per H; allora (q, p) è critico, quindi è un punto di equilibrio
per il sistema (5.8); inoltre
V (q, p) := H(q, p) − H(q, p)
è una funzione di Liapunov per (q, p). Concludiamo che (q, p) è di equilibrio stabile. Notiamo che
l’essere H costante lungo le soluzioni esclude l’asintotica stabilità.
Il caso precedente si ottiene per
1 2 1
H(x, v) = |v| + φ(x)
2 m
(la funzione V dell’esempio precedente è mH).
Esempio. Lo studio del moto di un pendolo di lunghezza l senza attrito conduce all’equazione:
g
ϑ̈ + ω 2 sin ϑ = 0 (ω 2 = ),
l
cioè al sistema del primo ordine:
ϑ̇ = v
v̇ = −ω 2 sin ϑ
(si veda il § 3.7 per lo studio delle orbite, in particolare la Figura 3.7). La funzione
1 2
H(ϑ, v) = |v| − ω 2 cos ϑ
2
è una funzione di Liapunov per i punti di equilibrio (kπ, 0), con k intero pari: pertanto si tratta di punti
di equilibrio stabile. Come già sopra notato, non è possibile applicare il metodo di linearizzazione
in quanto gli autovalori hanno parte reale nulla.
con V ∈ C 2 (Ω); quindi il campo di velocità è un campo gradiente. Sia x un punto di minimo stretto
per V ; per semplicità supponiamo che V (x) = 0. Allora
V >0 in un intorno di x.
Inoltre
V̇ (x) = −|∇V (x)|2 ≤ 0.
Quindi V è una funzione di Liapunov per x, che pertanto è di equilibrio stabile. Se in più x è anche
isolato come punto critico, allora V è una funzione di Liapunov stretta e x è asintoticamente stabile.
Osservazione 5.4.2 Nello studio della stabilità degli equilibri per sistemi bidimensionali è utile
tenere presente i metodi del § 3.7 per la determinazione delle traiettorie.
∼·∼·∼·∼·∼·∼·∼
Concludiamo con un risultato di asintotica stabilità che dà una stima del cosiddetto bacino di
attrazione di un punto di equilibrio asintoticamente stabile x, cioè l’insieme dei punti x per i quali
ϕ(t, x) → x per t → +∞. È conveniente premettere alcuni concetti (che si inquadrerebbero in modo
naturale nel più vasto quadro dei sistemi dinamici).
Poniamo:
γ + (x) = {ϕ(t, x) : t ∈ [0, ω+ (x))} semiorbita positiva di x
γ − (x) = {ϕ(t, x) : t ∈ (ω− (x), 0]} semiorbita negativa di x
γ(x) = {ϕ(t, x) : t ∈ (ω− (x), ω+ (x)} orbita di x.
Proposizione 5.4.4 L’insieme ω(x) è invariante, cioè contiene l’orbita di ogni suo punto.
Teorema 5.4.5 Sia x ∈ Ω un punto di equilibrio per l’equazione (5.1) e sia V : U → R una
funzione di Liapunov per x. Sia A un intorno chiuso e limitato di x che sia positivamente invariante
e tale che su nessuna orbita in A \ {x} la funzione V sia costante. Allora x è asintoticamente stabile
e A è contenuto nel bacino d’attrazione di x.
ω(x) ⊆ γ + (x) ⊆ A.
130
Capitolo 6
131
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
∂2 ∂2
∆u(x, y) = 0 ∆= + (6.1)
∂x2 ∂y 2
con ui0 restrizione, al corrispondente lato di Ω, della funzione (continua) u0 . Poichè ∆ è lineare,
possiamo risolvere separatamente ciascuno dei problemi ottenuti ponendo uguali a zero i dati ui0 su
tre dei quattro lati e sommare infine le quattro funzioni cosı̀ ottenute. Ad esempio, prendiamo in
considerazione il problema
∆u(x, y) = 0 in Ω
u(x, 0) = f (x), (6.4)
u(1, y) = u(x, 1) = u(0, y) = 0
u(x, y) = v(x)w(y)
dell’equazione ∆u = 0 soddisfacenti le prescritte condizioni di annullamento sui tre lati. Deve essere
26 Se v ′′ (x) + λv(x) = 0 e w ′′ (y) − λw(y) = 0 allora v ′′ (x)w(y) + λv(x)w(y) = 0 e v(x)w ′′ (y) − λv(x)w(y) = 0,
132
Capitolo 6 - EQUAZIONI DELLA FISICA MATEMATICA
Se richiediamo che v si annulli negli estremi di (0, 1), allora c1 = 0 e c2 sin a = 0. Otteniamo
allora soluzioni diverse da quella nulla in corrispondenza dei valori a = ±nπ per n ∈ N.
Pertanto, esistono infiniti valori
λn = n2 π 2 (n ∈ N)
per i quali il problema (6.5) ha soluzioni non nulle, date, a meno di una costante moltiplicativa, da
I valori λn sono detti autovalori del problema (6.5), e le funzioni vn sono le corrispondenti autofun-
zioni.
Poniamo ora λ = λn nella (6.6); otteniamo:
con la condizione
c1 enπ + c2 e−nπ = 0,
da cui si ricava facilmente che w differisce per una costante moltiplicativa dalla funzione
Riassumendo, le funzioni
Cerchiamo ora di soddisfare anche la condizione u(x, 0) = f (x) mediante una combinazione lineare
‘infinita’ di funzioni un , cioè una serie
∞
X
u(x, y) = cn sin nπx sinh nπ(1 − y). (6.7)
n=1
133
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
Deve essere (y = 0)
∞
X
f (x) = bn sin nπx
n=1
con bn = cn sinh nπ. Allora la successione (bn ) deve coincidere con la successione dei coefficienti
dello sviluppo di f in serie di Fourier di soli seni. Notiamo espressamente che si tratta dello sviluppo
di f in serie di autofunzioni del problema (6.5).
È possibile verificare che la funzione cosı̀ ottenuta, sommata a quelle ricavate a partire dai problemi
analoghi a (6.4), risolve effettivamente il problema (6.3): la funzione è C 2 e verifica l’equazione
∆u = 0 in Ω = (0, 1) × (0, 1) ed è estendibile con continuità a ∂Ω in modo da assumere il valore
u0 : ci limitiamo qui a verificare la prima di queste condizioni (mentre più delicato è dimostrare
l’estendibilità continua sul bordo con valore u0 ). A tal fine è sufficiente considerare la u in (6.7).
Dalla teoria delle serie di Fourier segue che
Z 1
bn = f (x) sin nπx dx.
0
Con ragionamento analogo si vede che le serie derivate, prime e seconde, sono dominate da n2 (e−πy )n ,
P
a meno di una costante positiva. Quindi le derivate di u uguagliano le corrispondenti serie derivate,
da cui ∆u = 0. (Si veda, ad esempio, [16]).
Come avremo modo di vedere nel successivo §6.4, lo studio dell’oscillatore armonico quantistico
porta alla considerazione della seguente equazione, detta equazione di Hermite
con raggio di convergenza R > 0. Se |x| < R possiamo considerare le serie derivate:
∞
X ∞
X ∞
X
′ n−1 ′ n
u (x) = nan x , quindi xu (x) = nan x = nan xn
n=1 n=1 n=0
134
Capitolo 6 - EQUAZIONI DELLA FISICA MATEMATICA
e
∞
X ∞
X
u′′ (x) = n(n − 1)an xn−2 = (n + 2)(n + 1)an+2 xn .
n=2 n=0
La condizione che u risolva l’equazione si traduce pertanto nella seguente relazione fra i coefficienti
an dello sviluppo:
(n + 2)(n + 1)an+2 − 2nan + 2γan = 0,
cioè
n−γ
an+2 = 2 an , per ogni n ≥ 0. (6.9)
(n + 2)(n + 1)
I valori a0 e a1 possono essere assegnati arbitrariamente, mentre i coefficienti successivi risultano
determinati per ricorrenza dalla (6.9).
La scelta a0 = 1 e a1 = 0 dà a2k+1 = 0 per ogni k, mentre
2k − γ
a2(k+1) = 2 a2k ,
(2k + 2)(2k + 1)
Mediante il criterio del rapporto è immediato verificare che la serie k a2k x2k converge assoluta-
P
mente per ogni x; pertanto definisce una funzione analitica u1 su tutto R la quale, in base a quanto
svolto, risolve l’equazione (6.8).
Analogamente, se poniamo a0 = 0 e a1 = 1 otteniamo a2k = 0 per ogni k, mentre
(2k + 1 − γ)(2k − 1 − γ) . . . (1 − γ)
a(2k+1)+2 = 2k+1 .
(2k + 3)!
La corrispondente serie è ancora assolutamente convergente su tutto R, per cui dà luogo ad una
funzione analitica u1 che risolve (6.8) su tutto R.
Osserviamo che il determinante wronskiano di u1 e u2 per t = 0 è
u1 (0) u2 (0) 1 0
w(0) = ′ = = 1 6= 0.
u1 (0) u′2 (0) 0
1
Pertanto u1 e u2 sono soluzioni linearmente indipendenti e le soluzioni di (6.8) sono date da:
al variare di c1 , c2 ∈ R.
Osservazione 6.2.1 Nel caso in cui γ è un intero naturale pari, la serie che definisce u1 è in
realtà una somma finita, quindi u1 è un polinomio, di grado γ. Cosı̀ pure, se γ è un intero naturale
dispari, allora la funzione u2 è un polinomio, di grado γ. In tutti gli altri casi le funzioni u1 e u2
sono serie effettive, che definiscono una funzione pari e una funzione dispari, rispettivamente; quindi
se γ ∈/ N nessuna delle soluzioni c1 u1 (t) + c2 u2 (t) è polinomiale. Vedremo l’importanza di questa
osservazione nel § 6.4.
135
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
Analizziamo ora un’importante equazione differenziale del secondo ordine che nasce in connessio-
ne all’operatore di Laplace in coordinate polari nel piano (come vedremo, a titolo d’esempio, nel
problema presentato nel prossimo paragrafo).
Per t 6= 0 consideriamo l’equazione:
1
u′′ + u′ + u = 0, (6.10)
t
detta equazione di Bessel di ordine 0.
Cerchiamo una soluzione in forma di serie di potenze:
∞
X
u(t) = a n tn .
n=0
con raggio di convergenza R positivo. Per ogni t interno al cerchio di convergenza abbiamo
∞
X ∞
X
u′ (t) = nan tn−1 , u′′ (t) = n(n − 1)an tn−2 .
n=1 n=2
Quindi
∞
1 X
u′′ (t) + u′ (t) + u(t) = (n + 2)(n + 1)an+2 tn
t n=0
∞ ∞
a1 X X
+ + (n + 2)an+2 tn + a n tn
t n=0 n=0
∞
a1 X
= + [(n + 2)2 an+2 + an ]tn ;
t n=0
J0 (t)
0.5
0
2 4 6 8 10 12 14 16
t
−0.5
0.5
Y0 (t)
0
2 4 6 8 10 12 14 16
t
−0.5
−1
−1.5
−2
Riprendiamo l’equazione di Schrödinger degli stati stazionari nel caso di potenziale armonico (vedi
§ 1.7): riscalando opportunamente la variabile spaziale otteniamo l’equazione (1.30), cioè
dove abbiamo nuovamente utilizzato la variabile x e, per comodità di notazione in vista delle
successive trasformazioni, abbiamo indicato con 2γ + 1 la costante ε; risulta pertanto:
mK 1/2 E r
E m
2γ + 1 = 2 =2 .
~2 K ~ K
Le soluzioni di interesse fisico (funzioni d’onda) devono soddisfare la condizione
lim v(x) = 0.
|x|→+∞
27 Per valori grandi di |x| possiamo trascurare il termine γ del coefficiente di v(x) nella (6.11), ottenendo
v′′ (x) = x2 v(x).
138
Capitolo 6 - EQUAZIONI DELLA FISICA MATEMATICA
cioè r
1 K
E = n+ ~.
2 m
Ricordiamo l’equazione classica ẍ(t) + ω 2 x(t) = 0 (con ω 2 = K/m, se K è la costantepelastica e
m indica la massa): le soluzioni x(t) = A cos(ωt + ϕ) hanno periodo T = 2π/ω = 2π m/K, o
T = 1/ν, con
r
1 K
ν= .
2π m
Utilizzando questa definizione di ν anche per il caso dell’oscillatore armonico quantistico, la formula
precedente assume la forma
1
E = En = hν n + ,
2
che esprime la ben nota quantizzazione dell’energia: i valori ammissibili dell’energia formano un
insieme discreto.
Consideriamo il problema delle vibrazioni trasversali di una membrana fissata al bordo della regione
circolare D = {(x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 < 1}. Una possibile modellizzazione è tradotta dal problema
2
La funzione v(x) = e−x /2 è una soluzione approssimata di tale equazione, nel senso che
2 2
v (x) = (−1 + x2 )e−x
′′ /2
∼ x2 e−x /2
= x2 v(x) per |x| grande.
2
È quindi ragionevole cercare soluzioni esatte della (6.11) nella forma u(x)e−x /2 (si pensi al metodo di variazione delle
2 2
costanti . . . ). Nel ragionamento svolto è anche possibile considerare, in luogo di e−x /2 , la funzione ex /2 , ma questa non
soddisfa la condizione di annullamento all’infinito.
139
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
differenziale
u (x, y; t) = c2 ∆x,y u(x, y; t) in D
tt
u(x, y; t) = 0 per (x, y) ∈ ∂D
(6.13)
u(· ; 0) = u0
ut (· ; 0) = u1 ,
dove u(x, y; t) rappresenta lo scostamento verticale dalla posizione di riposo nel punto (x, y) all’i-
stante t di tempo, c > 0 è la velocità di propagazione delle onde elastiche nel mezzo, u0 indica il
profilo iniziale della membrana e u1 la velocità iniziale in ogni punto.
Cerchiamo innanzitutto soluzioni ‘elementari’ che soddisfino la condizione di annullamento al
bordo di D.
a) Come primo passo determiniamo soluzioni che presentino la variabile temporale t separata dalle
variabili spaziali x, y, nella seguente forma:
T ′′ + c2 λT = 0 (6.14)
− ∆v = λv. (6.15)
La seconda equazione, con la condizione che u sia costantemente nulla sul bordo di D, dà:
−∆v = λv in D
n
(Pλ )
v=0 su ∂D.
I valori λ per i quali il problema (Pλ ) ha soluzioni non nulle sono detti autovalori di −∆ (sul dominio
D); le corrispondenti soluzioni sono dette autofunzioni.
=λ v 2 dxdy.
D
Ne segue che λ deve essere positivo, strettamente poiché v non è identicamente nulla.
b) Per individuare gli autovalori del problema (Pλ) sfruttiamo la forma del dominio D, scrivendo il pro-
blema in coordinate polari (̺, ϑ). Indichiamo per semplicità con v(̺, ϑ) la funzione v(̺ cosϑ, ̺ sin ϑ)
e ricordiamo l’espressione del laplaciano in coordinate polari; abbiamo quindi
− v̺̺ + 1 v̺ + 1 vϑϑ ) = λv
0 < ̺ < 1, ϑ ∈ R
̺ ̺2 (6.16)
v(1, ϑ) = 0
140
Capitolo 6 - EQUAZIONI DELLA FISICA MATEMATICA
l’equazione diventa:
1
w′′ + w′ + w = 0,
r
che è l’equazione di Bessel di ordine 0 introdotta nel paragrafo precedente.
Le soluzioni si esprimono dunque nella forma
cioè √ √
v(̺) = c1 J0 ( λ̺) + c2 Y0 ( λ̺).
La condizione di regolarità in ̺ = 0 dà c2 = 0 (ricordiamo che Y0 è singolare in 0); del resto, la
richiesta v(1) = 0 dà √
J0 ( λ) = 0.
Come il comportamento qualitativo di J0 in Figura 6.1 lascia intuire,
√ esiste una successione di zeri di
J0 , quindi una successione di soluzioni λn per l’equazione J0 ( λ) = 0. In corrispondenza a questi
la (6.14) diventa:
T ′′ + c2 λn T = 0,
da cui √
T (t) = A cos(c λn t − ϕ),
al variare di A ≥ 0 e ϕ ∈ R.
Concludiamo che le funzioni
√ √
un (̺, t) = J0 ( λn ̺) cos(c λn t − ϕn ),
Osservazione 6.5.2 Si parla di modi normali di vibrazione in relazione alle soluzioni un cosı̀
√ Per ciascuno di essi l’ampiezza delle oscillazioni in ogni punto (̺, ϑ) è dato dal valore di
ottenute.
J0 in λn ̺; pertanto sono presenti “linee nodali”√ concentriche
√ lungo le quali lo spostamento rimane
nullo: si tratta delle circonferenze di raggi ̺ = λk / λn per k < n. (Si veda, ad esempio, [4]).
141
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
Figura 6.3 - Linee nodali nei modi normali di vibrazione di una membrana circolare.
Secondo lo stesso schema seguito per l’equazione di Laplace su un rettangolo, per risolvere il
problema (6.13) si considera una serie delle funzioni elementari un :
∞
X
u(̺, t) = cn un (̺, t).
n=1
142
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144
Indice analitico
145
Enrico Vitali - LEZIONI INTRODUTTIVE SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
nilpotente, 80
nodo, 103
nucleo risolvente, 97
radiocarbonio, datazione, 6
reazioni
del primo ordine, 4
del secondo ordine, 4
risolvente, matrice, 71
146