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1

Cerere, dopo che tornando da Cibele, venerata sul monte Idea,

in fretta alla solitaria valle,

là dove, sotto la montagna Etna, è sepolto

il gigante Encelado morto fulminato da Giove,

non trovò la figlia Proserpina dove l’aveva

lasciata, lontana da ogni strada battuta, (fatto che

le arrecò alle guance, al petto, ai capelli

ed agli occhi un danno) alla fine sradicò due pini

e li accese con il fuoco di Vulcano, nel braciere dell’Etna,

diede loro la virtù di non poter essere mai spenti,

e portandone uno per mano,

su un carro trainato da due draghi,

esplorò i boschi ed i campi, il monte e le pianura,

le valli, i fiumi, gli stagni ed i torrenti,

la terra ed il mare. E dopo che il tutto il mondo

aveva esplorato in superficie, andò a cercare anche nel profondo inferno.

Se Orlando avesse avuto un potere simile a quello di

Cerere così come aveva lo stesso desiderio di ritrovare la persona amata,

allora non avrebbe, nel tentativo di cercare Angelica,

tralasciato il bosco o il campo, lo stagno od il fiume,


la valle o il monte, la pianura o la terra o il mare,

il cielo ed anche il profondo luogo dell’eterno oblio, l’inferno.

Ma poiché non possedeva il carro trainato da draghi,

vagava nella ricerca di Angelica come meglio poteva.

L’aveva cercata per tutta la Francia ed ora si appresta

a cercarla per l’Italia e la Germania,

per tutta la Spagna

per poi attraversare lo stretto di Gibilterra ed andare in Africa.

Mentre pensa alle nuove mete, sente all’orecchio

giungere una voce che sembra piangere:

si sporge e sopra un grande destriero

al galoppo vede d’innanzi a sé un cavaliere


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che porta in braccio e sull’arcione anteriore

un tristissima donzella, obbligandola con la forza, senza il suo consenso.

La donna piange, si dibatte e sembra

soffrire. In suo soccorso chiama

il valoroso Orlando, il quale,

non appena guarda la bella ragazza,

crede di vedere colei, Angelica, che, per tutto il giorno e la notte,

aveva cercato in ogni luogo della Francia.

Non dico che fosse veramente lei, ma sembrava

effettivamente la gentile Angelica che Orlando tanto ama.

Egli, che la donna che adora

vede, triste e addolorata, essere portava via,

spinto dall’ira e dalla furia ardente,

con voce spaventosa chiama il cavaliere;

lo chiama e lo minaccia,

ed infine lancia all’inseguimento Brigliadoro a tutta velocità.

Non arresta la propria corsa il cavaliere, né risponde ad Orlando.

concentrato sulla sua prigioniera, al valore di lei,

si muove così velocemente tra i rami

che anche il vento sarebbe in ritardo nel suo inseguimento.


L’uno fugge e l’altro lo insegue; ed i fitti

boschi risuonano dell’acuto lamento della donna.

Al galoppo uscirono dal bosco e si trovarono in un vasto prato, dove,

nel mezzo, si ergeva un maestoso e ricco castello (del mago Atlante).

Con vari marmi, con un minuzioso lavoro,

era stato costruito il maestoso palazzo.

All’interno della porta costruita in oro corse

il cavaliere con in braccio la donzella.

Non molto dopo giunse anche Brigliadoro

con in sella il fiero e sprezzante Orlando.

Appena è dentro al palazzo, Orlando si guarda intorno

ma non vede più né il guerriero né la donzella.


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Subito smonta da cavallo e come un fulmine entra

nelle stanze più interne del Castello:

corre di qua e di là senza lasciare

inesplorata né una camera né una loggia.

Dopo che i segreti di ogni stanza del primo piano

ha invano esplorato, sale le scale

e non perde meno tempo a cercare anche di sopra

di quanto ne aveva perso di sotto invano.

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Vede letti ornati di oro e seta.

Non è possibile vedere né i muri esterni né le pareti interne

perché, come il suolo dove mette piede,

sono completamente nascoste da tende e tappeti.

Al primo ed al secondo piano il conte Orlando torna e ritorna

senza riuscire ad allietare gli occhi

con la vista di Angelica, od al limite del ladro

che ne aveva rapito il bel viso.

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E mentre di qua e di là invano si muoveva,

pieno di affanno e di pensieri,

Ferraù, Bradimarte ed il re Gradasso,

re Sacripante ed altri cavalieri


incontrò, che vagavano al primo e secondo piano

e non meno di lui si muovevano a vuoto;

e si lamentavano del malvagio

invisibile signore di quel palazzo.

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Tutti girano per il palazzo alla sua ricerca, tutti lo

accusano di aver rubato loro qualcosa:

uno è all’affannata ricerca del destriero che il signore gli ha sottratto;

un’altro si arrabbia  per aver perduto la propria donna;

altri lo accusa per altri misfatti: e stanno così

senza sapere come poter abbandonare quella gabbia;

e ci sono molti, catturati con l’inganno,

in trappola da intere settimane e mesi.


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Orlando, dopo che più volte

ebbe esplorato per intero lo strano castello,

disse fra sé: “Qui potrei trovare dimora,

buttare tempo e fatica senza alcun risultato;

il ladro potrebbe aver portato via la donna

attraverso un’altra uscita, ed essere ora molto lontano.”

Con questo pensiero uscì nel verde prato

che circondava tutto il palazzo.

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Mentre gira intorno alla casa situata all’interno del bosco,

tenendo sempre rivolto a terra lo sguardo

per vedere se compare una traccia, ora a destra

ora a sinistra, di un passaggio recente (del destriero del cavaliere),

si sente chiamare da una finestra.

Alza gli occhi e la voce divina di Angelica

gli sembra di udire, e sembra anche vedere il viso

che l’aveva così tanto allontanato dalla persona che era stato.

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Gli sembra di udire Angelica che supplicando

e piangendo gli dice: “Aiuto, aiuto!

Ti chiedo di risparmiare la mia verginità

più che la mia anima e la mia vita.


Alla fine, in presenza del mio amato Orlando,

mi sarà sottratta (la verginità) da questo ladro?

Dammi la morte con la tua mano piuttosto

che essere abbandonata ad un così infelice destino.”

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Queste parole fanno ancora un’altra volta

tornare Orlando a girare in ogni stanza,

con angoscia e con molta fatica,

ma con altrettanta grande speranza.

A volte si ferma e sta ad ascoltare una voce,

che sembra essere quella di Angelica

(se lui è da una parte del castello, la voce suona in tutt’altro luogo)

che chiede aiuto, ma non sa capire e trovare da dove provenga.


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Ma tornando a raccontare di Ruggiero, che ho abbandonato quando

dissi che, attraverso un sentiero ombroso e buio,

seguendo il gigante e la donna,

era finalmente giunto, uscito dal bosco, in un grande prato;

potrei dire che arrivò nel luogo dove Orlando

era arrivato poco prima, se ho riconosciuto il luogo.

Il gigante passa attraverso la grande porta;

Ruggiero gli è subito dietro e non smette di seguirlo (entra anche lui).

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Appena mette il piede dentro alla porta,

dà un’occhiata alla grande corte ed alle stanze

ma non vede più né il gigante né la donna.

Invano gira gli occhi tutt’intorno.

Più volte va su e giù e ci ritorna

ma mai trova quel che va cercando (mai gli accade quel che desidera)

e non riesce ad immaginare dove, così velocemente,

il fellone si sia nascosto con al donna.

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Dopo che ha controllato più e più volte

le camere, le logge e le sale del primo e del secondo piano,

torna comunque di nuovo a controllare, e non rinuncia

a cercare fin sotto le scale.


Infine, con la speranza che siano tornati nel vicino

bosco, esce dal castello. Ma una voce, simile

a quella che richiamò Orlando, richiamò anche lui non di meno

e lo fece tornare nel palazzo.

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La medesima voce, una persona

che era sembrata Angelica ad Orlando,

sembrò ora a Ruggiero essere Bradamante,

della quale era lui innamorato (che lo faceva sentire fuori di sé).

Se discutesse con re Gradasso, o con altra persona

di quelle che andavano vagando per il palazzo,

a ciascuno sarebbe sembrata essere

ciò che più ciascuno ambisce e desidera avere per sé.


21

Questo era un incantesimo nuovo e poco usato,

che aveva creato il mago Atlante di Carena

affinché Ruggiero fosse stato tenuto occupato tanto

in quell’affanno, in quella dolce punizione,

finché fosse vanificato l’influsso maligno degli astri

che l’aveva condannato a morire giovane.

Dopo il castello d’acciaio, che a nulla è servito,

e dopo Alcina, Atlante tenta un nuovo incantesimo.

22

Non solo costui, ma anche tutti gli altri

che per valore hanno per tutta la Francia una grande fama,

affinché per loro mano Ruggiero non muoia,

Atlante aspira a condurre in questo castello incantato.

E mentre loro alloggiano in quel luogo,

affinché non possano patire la fame,

aveva così bene fornito il palazzo di tutto ciò che era necessario

che sia le donne che i cavalieri vi dimorano completamente a loro agio.

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Ma torniamo da Angelica, che con sé

avendo portato quell’anello molto speciale,

che la rende invisibile quanto viene tenuto in bocca,

ed al dito la protegge da ogni incantesimo;


ed avendo trovato, nella conca della montagna,

cibo, una cavalla, vestiti e quanto altro

aveva bisogno, aveva ora deciso

di ritornare in India al suo bel regno.

24

Volentieri Orlando o Sacripante

avrebbe voluto al suo fianco: lei non

aveva voluto più bene a l’uno o all’altro dei due suoi amanti,

allo stesso modo, anzi, si era opposto ai loro desideri.

Ma dovendo, per tornare in Oriente,

attraversare tante città, tanti castelli,

aveva bisogno di compagnia e di una giuda,

e solo con Orlando e Sacripante poteva avere la più fidata compagnia.


25

Continuò a cercare ora l’uno ed ora l’altro

prima di riuscire a trovare un indizio o una loro traccia,

a volte in città, a volte in ville, altre volte

in alti boschi ed a volte ancora in tutt’altri luoghi.

La fortuna infine la inviò là dove il conte Orlando,

Ferraù e Sacripante si trovavano

insieme a Ruggiero, re Gradasso e molti altri ancora

che il mago Atlante aveva imprigionato in uno strano incantesimo.

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Entra nel castello, invisibile agli occhi del mago,

e gira dappertutto, nascosta dall’anello.

Incontra Orlando e Sacripante che vagano

nel tentativo invano di trovarla in quel palazzo.

Vede come, simulando con l’incantesimo la sua immagine,

Atlante inganni l’uno e l’altro.

Chi di loro due debba prendere come guida (per tornare in Oriente)

valuta molto nei suoi pensieri senza riuscire a decidersi.

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Non riesce a valutare chi dei sua sia il meglio per lei,

Il conte Orlando o Sacripante.

Orlando la potrà con più valore

proteggere nei punti più pericolosi del cammino:


ma se lo farà sua guida, lo farà anche suo signore;

non riesce quindi a vedere come potrà poi togliergli la signoria,

non appena, non più utile, vorrà poi

sminuirne l’importanza o rimandarlo in Francia (liberarsi di lui).

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Al contrario, quando più le piaccia, valuta

di potersi liberare facilmente da Sacripante, agendo nel giusto modo.

Questa sola ragione fa sì che lei decida di scegliere Sacripante

come sua scorta e di mostrare a lui la sua fiducia ed il suo affetto.

Angelica si toglie l’anello dalla bocca, e dalla sua faccia

levò quindi quel velo che la rendeva invisibile a Sacripante.

Pensò di potersi mostrare a lui solo, accadde invece

che sia Orlando che Ferrù sopraggiunsero in quel momento.


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Giunsero Ferraù ed Orlando,

che allo steso modo avevano girato,

sopra e sotto, fuori e dentro, alla ricerca

all’intero del palazzo di lei, che era la donna da loro amata ed adorata.

Corsero tutti insieme verso Angelica, dal momento che

nessun incantesimo poteva ora impedirglielo,

perché l’anello che la donna si mise alla mano,

rese vano ogni tentativo di incantesimo da parte di Atlante.

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Avevano addosso la corazza e in testa avevano l’elmo,

due (Sacripante ed Orlando) di questi guerrieri le cui gesta io vi canto;

non di notte e neanche di giorno, dopo che furono entrati in questo

palazzo, se li erano mai levati di dosso.

Facili da portare, come fossero un vestito,

erano per loro, tanto erano abituati a portarli.

Ferraù, il terzo guerriero, era anche lui armato, ma

non aveva, e non voleva avere, nessun elmo

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fino a ché non fosse entrato in possesso di quello che il paladino

Orlando tolse ad Almonte, fratello del re troiano.

Perché ciò aveva giurato allora, quando l’elmo, di buona fattura,

di Argalia, aveva cercato senza successo nel fiume.


Sebbene avesse a portata di mano Orlando,

Ferraù non  lo assalì.

Incrociare fra loro le armi

non fu possibile fintanto che furono nel castello.

32

Era così incantato quel palazzo,

che non poterono riconoscersi l’un l’altro.

Né di notte né di giorno, né la spada né la corazza

e nemmeno solo lo scudo dal braccio si toglievano.

I loro cavalli, con la sella sul dorso,

con il morso a penzoloni dall’arcione, si rilassavano

in una stanza, che in prossimità dell’uscita del castello,

era sempre fornita di orzo e di paglia.


33

Il mago non sa e non può nemmeno evitare

che i tre guerrieri rimontino in sella dei loro destrieri

per correre dietro alle rosee guancie,

alla chioma dorata ed ai bei occhi neri

di Angelica, che spinge alla fuga

la sua cavalla, poiché non

gradisce vedere insieme i tre amanti,

che forse avrebbe preso come guida se fossero arrivati separatamente.

34

E dopo che li ebbe allontanati dal palazzo

a sufficienza, da poter non più temere

che contro loro l’incantatore malvagio

potesse usare le proprie ingannevoli arti magiche;

l’anello, che più di una brutta situazione le aveva evitato,

chiuse tra le sue rosse labbra,

di conseguenza scomparve alla loro vista,

e li lasciò istupiditi ed increduli.

35

Sebbene fosse stata la sua prima intenzione

quella di voler in propria compagnia Orlando o Sacripante,

perché l’aiutassero a ritornare nel regno

di suo padre (Galafron) nell’estremo oriente;


sdegnò a questo punto entrambi

cambiando all’improvviso la propria volontà,

e senza più doversi legare all’uno od all’altro,

ritenne che bastasse l’anello a sostituire entrambi.

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Rivolgono attraverso il bosco, ora da una parte ed ora dall’altra,

derisi da Angelica, la loro stupida faccia;

come a volte il cane se gli viene sottratta

o una lepre o una volpe, a cui dava la caccia,

perché all’improvviso in qualche stretta tana,

in un fitto cespuglio od in un fosso la preda si è cacciata.

Ride di loro senza pietà Angelica,

non vista, ed osserva i loro progressi.


37

In mezzo al bosco vedono esserci una sola strada:

i cavalieri credono quindi che la donzella

stia procedendo, davanti a loro, attraverso quella via;

poiché, essendo unica, non può altrimenti procedere.

Orlando corre all’inseguimento, Ferraù non indugia oltre,

nemmeno Sacripante sprona e punge il proprio destriero di meno.

Angelica non trattiene più la briglia del proprio cavallo

e procede quindi dietro a loro con minore fretta.

38

Appena furono giunti, correndo a tutta velocità, dove i diversi sentieri

si andavano a perdere all’interno della foresta,

ed avendo i cavalieri cominciato a guardare nell’erba intorno,

se vi trovavano punti calpestati, tracce di lei;

Ferraù, che poteva, tra tutte le persone

che mai fossero state altezzose, essere incoronato re degli altezzosi,

si volse verso gli altri due con viso cattivo,

e gridò loro: “Da dove venite voi?

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Tornate indietro o prendete un’altra via,

se non volete giacere qui morti:

né nell’amare né nell’inseguire la mia donna

possa credere qualcuno che io sopporti essere in compagnia di altri.”


Disse Orlando a Sacripante: “Cosa potrebbe

mai dire di più costui, se entrambi ci avesse scambiato

per le puttane più codarde e timorose

che mai facessero “lavori di filatura”?”

40

Poi rivolto a Ferraù disse: “Bestia di un uomo,

se io non avessi visto che sei privo del tuo elmo,

di ciò che hai detto, se l’hai detto a buona o cattiva ragione,

senza esitare oltre, ti farei rendere conto.”

Disse lo Spagnolo, Ferraù: “Delle cose che a me non importano,

perché ti devi invece tu interessare?

Io, contro voi due, sono capace da solo

di mettere in pratica ciò che ho detto, anche ora, senza l’elmo indosso.”
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Disse Orlando a Sacripante: “Deh,

fammi il favore di prestare a costui il tuo elmo,

così che possa curarlo dalla pazzia;

mai ho avuto occasione di vederne una paragonabile ad essa.”

Il re, Sacripante, rispose: “Chi sarebbe poi più pazzo, io o lui?

Se la domanda che mi hai appena fatto ti sembra ragionevole,

prestagli allora il tuo di elmo;  perché non sarò meno bravo,

di quanto forse possa esserlo tu, a punire un folle.”

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Aggiunge Ferraù: “Parlate da sciocchi, come se,

se mi fosse cosa gradita portar un elmo,

non ne sareste già voi rimasti senza, non lo avrei già sottratto a voi;

perché vi avrei tolto i vostri, contro la vostra volontà.

Ma per raccontarvi piccola parte dei fatti miei,

me ne vado così in giro, senza elmo, per un giuramento fatto,

ed andrò in giro così fino a che non potrò avere l’elmo, di ottima fattura,

che porta sul capo il paladino Orlando.

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Rispose sorridendo il conte Orlando: “Dunque

ritieni di poter, anche a capo nudo,

fare ad Orlando quello che in Aspromonte

lui stesso aveva già fatto ad Almonte?


Credo io al contrario che se tu dovessi mai trovarti di fronte Orlando,

avresti timore di lui dalla testa alla pianta dei piedi;

non vorresti l’elmo, ma daresti a lui

tutte le altre armi che hai addosso, a patto di non dover combattere.”

44

Lo spaccone Spagnolo disse: “Già molte altre

volte, ed altre ancora, ho messo alle strette Orlando così

che avrei potuto facilmente togliergli le sue armi,

tutte quelle che aveva indosso, non soltanto l’elmetto;

e se io non lo feci, è perché vengono alla mente alle volte

propositi che uno non immagina neanche di poter avere:

non ebbi, allora, voglia di sottrargli le armi; ora invece ne ho, e spero

che possa riuscire facilmente nell’intento.”


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Orlando non riuscì più a mostrarsi paziente

e gridò quindi: “Bugiardo, brutto traditore,

in quale paese, e quando, ti sei trovato

ad essere più forte di me con le armi in mano?

Quel paladino, alle cui spalle ti stai vantando,

che pensi essere lontano da te, sono io.

Ora potrai vedere se tu effettivamente puoi levarmi l’elmo dalla tesa,

o se sono invece io in grado di toglierti tutte le altre armi.

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Non voglio neanche trovarmi, rispetto a te, in condizione di vantaggio.”

Detto così, si tolse l’elmo

e lo appese ad un ramoscello di faggio;

impugnando saldamente, allo stesso tempo, la propria spada.

Ferraù non perse per questo coraggio:

trasse la spada e si raccolse in posizione,

così da poter, con la spada e con lo scudo levato in aria,

coprire il proprio capo nudo.

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Così i due cavalieri cominciarono,

muovendo in cerchio i propri cavalli, a fare volteggi;

e dove le placche dell’armatura si congiungevano, e mostravano parti

prive di ferro, ognuno, con la propria spada, cercava di ferire l’altro.


In tutto il mondo, non poteva essere trovata una altra coppia di cavalieri

adatta ad affrontarsi in duello più di questa:

erano eguali per forza e per coraggio;

nessuno dei due poteva ferire l’altro.

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Cardinale Ippolito, sono sicuro abbiate già compreso

che Ferraù era completamente invulnerabile, grazie ad un incantesimo,

ad eccezione dell’ombelico, là dove il suo primo alimento

prende il bambino ancora rinchiuso all’interno del ventre materno:

e dal giorno in cui la terra nera del sepolcro

gli coprì la faccia, iniziò a coprire con armatura

il punto del suo corpo dove poteva arrivare il pericolo, sempre

con sette piastre di acciaio di buona fattura e ben temprate.


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Allo stesso modo anche Orlando

era completamente invulnerabile, ad eccezione di una parte del corpo:

poteva essere ferito sotto le piante dei piedi;

le difese perciò con ogni possibile stratagemma ed artificio.

Ogni altra parte del loro copro era più dura del diamante

(se la loro fama non si discosta dalla realtà);

e l’uno e l’altro andavano, più come ornamento

che per reale necessità, alle loro battaglie totalmente armati.

50

Lo scontro tra i due rivali diviene più crudele ed aspro,

orribile e spaventoso a vedersi.

Ferraù ora colpisce di punta ed ora di taglio,

e non sferra colpo che non vada a segno:

ogni colpo di Orlando che incontra piastra o maglia dell’armatura di Ferraù

o la stacca o la rompe e la apre o la riduce in brandelli.

Angelica, invisibile, si concentra su di loro,

unica testimone di un tale spettacolo.

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Nel frattempo, infatti, Sacripante, credendo

che poco oltre stesse correndo Angelica,

dopo che Ferraù ed Orlando in combattimento

vide confrontarsi, proseguì per quella via


lungo la quale credeva che la donzella, quando

era scomparsa alla loro vista, avesse proseguito la propria corsa:

così che appunto, di quella battaglia,

Angelica fu la sola testimone.

52

Dopo che, orribile e spaventoso quanto era,

ebbe, stando in disparte, ammirato a sufficienza il combattimento,

e che le sembrò troppo pericoloso

sia per l’uno che per l’altro dei contendenti;

desiderosa di vedere cose nuove,

decise di prendere lei l’elmo, per poter osservare cosa

avrebbero fatto quindi i due guerrieri vedendo che era stato rubato;

lo prese benché con l’intenzione di non tenerlo per molto tempo.


53

Ha infatti intenzione di ridarlo poi ad Orlando;

ma vuole prima prendersi gioco di lui.

Stacca l’elmo dal ramo e se lo pone in grembo,

e sta quindi a guardare ancora un po’ i due cavalieri.

Infine si allontana senza dire loro una sola parola;

ed era già un bel po’ lontana da quel luogo,

quando uno dei due si rese conto della sua azione:

tanto erano entrambi presi dall’ira ardente.

54

Ferraù, che per primo aveva visto che l’elmo non c’era più,

si staccò da Orlando e gli disse:

“Deh, come ci ha trattati da sciocchi e da stupidi

il cavaliere che era prima insieme a noi!

Che premio sarà mai toccato al vincitore,

se costui ha rubato il bel elmo da noi conteso?”

Orlando si ritrae e gira lo sguardo verso il ramo:

non vede il suo elmo ed inizia ad accendersi d’ira.

55

Con l’ipotesi di Ferraù si trovò concorde,

che il cavaliere, Sacripante, che poco prima era insieme a loro,

avesse portato l’elmo con sé; strattonò pertanto le briglie

e fece sentire i propri speroni a Brigliadoro.


Ferraù, che dal campo di battaglia vide Orlando allontanarsi,

corse dietro di lui; e dopo essere giunti

dove, nell’erba, apparvero recenti le impronte

fatte da Sacripante e da Angelica,

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il conte Orlando prese la strada sulla sinistra che

conduceva ad una valle, ove Sacripante era andato:

Ferraù si tenne invece nei pressi del monte,

lungo il sentiero battuto da Angelica.

Nel frattempo Angelica era giunta ad una fonte,

ricca di ombra e situata in un luogo piacevole,

che invita chiunque passi a riposare presso le proprie fresche ombre,

e non lo lascia mai ripartire senza avergli prima offerto da bere.


57

Angelica si ferma presso le acque cristalline della fonte,

pensando che nessuno possa sopraggiungere sorprendendola;

grazie al potere dell’anello magico, che la rende invisibile,

non può neanche temere che le possa capitare qualcosa di pericoloso.

Appena giunta presso le rive erbose

del torrente, appende l’elmo ad un ramoscello;

cerca quindi, là dove, all’interno del bosco, ci sono gli alberi più robusti,

di legare la propria cavalla, così che possa pascolare e rifocillarsi.

58

Il cavaliere spagnolo, Ferraù, che aveva proceduto

seguendo le orme di Angelica, giunse infine alla fonte.

Angelica, non appena lo vede,

subito scompare alla sua vista e sprona alla corsa la propria cavalla.

Non può però riprendere con sé l’elmo, caduto sull’erba,

perché da lei troppo distante.

Non appena il pagano si accorse della presenza di Angelica,

subito corse verso di lei pieno di felicità.

59

Parve a Ferraù, come ho raccontato, Angelica davanti a sé,

di vederla scomparire come una visione al termine del sonno.

La cerca all’interno del bosco,

ma i suoi poveri occhi non possono ormai più vederla.


Bestemmiando il nome di Maometto e Trivigante,

e di ogni altra autorità della loro religione,

Ferraù ritornò quindi verso la fonte,

vicino alla quale, giaceva in mezzo all’erba l’elmo del conte Orlando.

60

Lo riconobbe, subito dopo averlo visto,

grazie alla scritta presente sul suo bordo;

la quale diceva chiaramente dove Orlando l’aveva conquistato,

ed anche come e quando ed a chi l’aveva sottratto.

Ferraù lo calza subito a protezione del proprio capo e del collo,

non lasciò quindi che il doloroso amore gli impedisse di prenderlo;

il doloroso amore che provava per colei che era scomparsa nel nulla,

come svanire sono soliti fare i fantasmi notturni.


61

Dopo aver allacciato l’elmo di ottima fattura che si era messo in testa,

si sembra che, per essere pienamente soddisfatto,

gli resta ora solo di ritrovare Angelica,

che appariva e scompariva dalla sua vista come fosse una saetta.

Esplorò la profonda foresta alla ricerca di lei:

dopo aver perso ogni speranza

di poter ritrovare le sue traccia,

ritornò all’accampamento spagnolo, verso Parigi;

62

cercando di attenuare il dolore che gli ardeva nel petto,

dolore per non avere potuto soddisfare un così grande desiderio,

con il conforto di portare in testa l’elmo

che era appartenuto ad Orlando, così come aveva giurato.

Il conte Orlando, dopo avere ricevuto notizia certa sulla sorte dell’elmo,

cercò poi per molto tempo Ferraù;

ma non riuscì a togliergli dal capo l’elmo fino al giorno

in cui lo uccise tra due ponti.

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