CARLO BURATTI
ARCHITETTURA TARDO BAROCCA
la sua consacrazione con l’arrivo di Carlo di Borbone.
Maria Gabriella Pezone (Napoli, 1964) architetto e dottore di ricerca in Storia e Conservazione dei beni
architettonici, è ricercatore confermato di Storia dell’architettura presso la Facoltà di Lettere e Filosofia
della SUN e professore aggregato di Storia dell’architettura nei corsi di laurea di Scienze dei Beni Culturali
e-mail: ordini@alinea.it
http://www.alinea.it
ISBN 978-88-6055-303-4
CARLO BURATTI
ARCHITETTURA TARDO BAROCCA
TRA ROMA E NAPOLI
Indice sommario
Indice sommario V
4. Attività nell’exclave pontificia
Vincenzo Maria Orsini alter conditor urbis 195
Giovan Battista Nauclerio e Filippo Raguzzini a Benevento 201
Terremoto e architettura: Carlo Buratti nell’opera di ricostruzione del 1702 204
Ingegneria idraulica nell’acquedotto di Benevento 217
Lavori nel feudo di Villafranca 221
Note 227
Appendice documentaria 236
Bibliografia 327
Indice dei nomi 349
Indice dei luoghi 359
Indice delle illustrazioni 363
Referenze fotografiche 369
VI Indice sommario
Premessa
Premessa VII
che aveva da sempre circondato Roma, ma anche nelle personali inclinazioni di
Carlo di Borbone che era stato educato dalla madre Elisabetta Farnese a quei
principi del classicismo romano settecentesco con i quali era entrato in contatto
anche attraverso le committenze artistiche intraprese in Spagna.
A questa visione di un Settecento napoletano diviso in due hanno con-
tribuito in maniera determinante anche gli studi di Roberto Pane. Pur con
l’innegabile merito di aver fissato dei punti fermi per tutta la storiografia suc-
cessiva, lo storico napoletano ha contribuito a creare l’idea di un distacco forse
troppo netto tra la prima metà del secolo «caratterizzata dalla versatile fantasia
dei due maestri schiettamente partenopei», Ferdinando Sanfelice e Domenico
Antonio Vaccaro (diffusori di «un senso di raffinata policromia nel vario im-
piego dei materiali, dai marmi alla maiolica agli stucchi»), e la seconda metà,
rinnovata dall’apporto di Ferdinando Fuga e Luigi Vanvitelli, i quali, «edu-
cati alla grande tradizione romana», avrebbero cancellato «il segno di una pro-
duzione popolare […] per affermare valori formali appartenenti a una cultura
non più regionale ma italiana» (Pane).
Se è indiscutibile l’innovazione apportata dai due artefici “romani”, anche
allo svecchiamento dell’organizzazione cantieristica, ritengo, tuttavia, che tale
impostazione in qualche modo non renda pienamente giustizia della com-
plessità del panorama architettonico napoletano del primo Settecento, smi-
nuito sotto il «segno di una produzione popolare» (Pane). La storiografia degli
ultimi decenni ha contribuito a restituire un panorama più composito anche
attraverso la rivalutazione di artefici considerati minori. Alla luce delle più re-
centi acquisizioni, durante tutto l’arco del Settecento è possibile allora scor-
gere anche all’interno della produzione architettonica napoletana, in filigrana,
una linea di continuità del “classicismo”, in cui si rileva con immediatezza il
motivo del costante riferimento a Roma che aveva sempre esercitato un forte
ascendente sugli ambienti artistici di tutt’Europa. La città eterna, infatti, con-
tinuava a esser considerata l’erede della tradizione antica e rinascimentale e
anche la patria di quella propensione al razionalismo classicista, inizialmente
nata in seno all’Accademia dell’Arcadia ma estesa presto a campi diversi da
quello letterario.
Al fine di rileggere l’architettura napoletana tra Seicento e Settecento at-
traverso la “lente” del rapporto con l’urbe, va innanzitutto considerata la co-
noscenza non superficiale da parte degli straordinari artefici napoletani del-
l’architettura romana anche a loro contemporanea, con la quale entrarono
probabilmente in contatto, evento che contribuisce a sprovincializzarli; in se-
condo luogo, non va sottovalutata proprio la presenza in Campania di molti
artefici romani ben prima dell’ondata classicista promossa da Carlo di Bor-
bone. Proprio in questa direzione, lo studio sulla figura di Buratti si è rive-
lato particolarmente prezioso poiché ha consentito di approfondire l’attività
anche di altri architetti chiamati a Napoli e nell’entroterra da una colta com-
mittenza ecclesiastica di stampo arcadico razionalista. Dagli interventi di Bu-
VIII Premessa
ratti ad Aversa (la rifattione della cattedrale, il seminario vescovile), l’analisi è
stata allargata alle opere realizzate nello stesso territorio dagli artefici romani
giunti con lui, Cristoforo Schor, Filippo de Romanis e soprattutto Francesco
Antonio Maggi. Fu proprio l’architetto ticinese, infatti, a portare con sé le
maestranze romane – stuccatori e fabbricatori – che continuarono a lavorare
anche dopo la sua partenza, e soprattutto i giovani architetti, suoi allievi al-
l’accademia di S. Luca, che contribuirono alla diffusione del linguaggio ar-
cadico in Terra di Lavoro. Tra questi, Francesco Antonio Maggi si radicò nel
centro normanno, divenendo poi uno degli artefici più produttivi verso la
metà del secolo. Qui costruì opere dove le reminiscenze romane si fondono
sapientemente con modi e stilemi assorbiti dalla cultura architettonica napo-
letana espressa ad Aversa da artefici di grande livello. Parallelamente all’atti-
vità di Buratti si concretizzò anche a Capua una singolare e non occasionale
presenza arcadica inaugurata da Sebastiano Cipriani. Il suo progetto per la ri-
fattione della cattedrale, oggi irrimediabilmente perduta, diede inizio a una
prolifica stagione dominata dalla personalità di Giovan Battista Landini.
Dalle opere analizzate (Sant’Eligio a Capua e Sant’Andrea Apostolo a Capo-
drise), che manifestano una straordinaria raffinatezza nelle soluzioni architet-
toniche, ne emerge un vivace esponente di quel filone rococò dell’architettura
romana, che dagli anni trenta del Settecento portò a privilegiare i caratteri
borrominiani, recuperandone gli elementi decorativi arricchiti anche con
nuovi motivi floreali.
Attraverso l’approfondimento dell’attività di Buratti e dei suoi seguaci è
stato possibile, infine, selezionare una schiera di committenti che definirei “ar-
cadici”, proprio perché, privilegiando un’architettura semplice e razionale, fa-
vorirono l’anticipazione tra Seicento e Settecento, in una linea di continuità
col classicismo, di caratteri linguistici che avrebbero trovato piena identità
solo alla fine del secolo. L’attività architettonica di Buratti, inserita efficace-
mente dalla critica nella corrente artistica arcadica, fu promossa in larga parte
proprio da una schiera di committenti di questo tipo, che interpretavano l’uso
di decorazioni eccessive come l’espressione tangibile del superfluo. In questo
senso, la sua opera assolve con vigore alle loro richieste poiché è essenziale e
in un certo senso “mortifica” l’espressione della venustas a favore della firmitas
e della utilitas, riducendo al minimo i partiti decorativi e gli elementi super-
flui sacrificati al puro fine funzionale.
Premessa IX
In particolare il lavoro di ricerca è stato reso possibile anche grazie alla
professionale disponibilità dei funzionari degli archivi e delle biblioteche con-
sultate, che mi è difficile ricordare tutti. Sono grata, in particolare, alla dot-
toressa Patrizia Nocera per la sua continua e instancabile attività di sostegno
dimostrata non solo nei miei confronti ma verso tutti gli studiosi che frequen-
tano la Biblioteca Nazionale di Napoli.
Un ringraziamento particolare va ai compianti monsignor Franco Straz-
zullo e monsignor Giuseppe Gallizia, accomunati da una spiccata sensibilità
scientifica e da un’aperta disponibilità che sono prerogative tipiche dei veri
studiosi. Al primo, insieme a monsignor Domenico Ambrasi, che ringrazio
vivamente, devo la consultazione dei documenti conservati nell’Archivio Ca-
pitolare di Napoli; al secondo, invece, devo molte delle novità biografiche
emerse dall’archivio della Curia di Lugano. Sono riconoscente, inoltre, a
monsignor Ernesto Rascato per aver reso possibile la trascrizione dei docu-
menti storici custoditi nel seminario di Aversa.
Questo libro deve molto anche all’apporto fornitomi da studiosi, colleghi
e amici, come Giosi Amirante, Francesca Castanò, Ornella Cirillo, Carolina
De Falco, Danila Jacazzi, Cettina Lenza, Elena Manzo, Riccardo Serraglio,
che sono stati tutti prodighi di segnalazioni, consigli o talvolta semplici in-
coraggiamenti.
Desidero ringraziare, altresì, Michele Macchia che con competenza e pro-
fessionalità ha curato l’editing di questo volume.
Un affettuoso ringraziamento ai miei genitori e a Luciana e Giuseppe
sempre presenti nel rendere più serena la mia concentrazione nei momenti
difficili. In ultimi, ma non per ultimi, il mio pensiero va a Osvaldo e Pepo
sperando che vogliano perdonarmi di tutto il tempo loro sottratto.
X Premessa
Abbreviazioni
Haec dixi ad obtinendam mei muneris morumque meorum dignitatem; si quis vero
ipsis rerum momentis res ipsas reprehendat, gratias ei habuero maximas, si me ab
aliquo errore deduxerit: aeque tantas, vel si voluerit.
(GIAMBATTISTA VICO, De nostri temporis studiorum ratione, 1708*)
* ed. con traduzione, note e apparati a cura di Claudio Faschilli in Giambattista Vico Metafisica e metodo, a cura di Claudio Faschilli, Ciro Greco, Andrea Murari, Post
fazione di Massimo Cacciari, Bompiani, Milano 2008, p. 164.