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MARIO BEVILACQUA

Architetti e costruttori del Barocco in Toscana

Biografie e monografie
Nel volgere di pochi mesi, tra 1681 e 1682, si pubblicano a Firenze le principali
opere storico-artistiche di Filippo Baldinucci: il primo dei sei volumi delle Notizie
de’ professori del disegno da Cimabue in qua, per le quali si dimostra come, e per chi
le Belle Arti di Pittura, Scultura, e Architettura lasciata la rozzezza della maniera Gre-
ca, e Gottica, si siano in questi Secoli ridotte all’antica loro perfezione, e il Vocabola-
rio toscano dell’arte del disegno nel quale si esplicano i propri termini e voci, non so-
lo della pittura, scultura, & architettura, ma ancora di altre arti a quelle subordinate,
e che abbiano per fondamento il disegno.
Un secolo dopo Vasari, Baldinucci riprende il modello delle Vite, enfatizzando lo
spirito di rivendicazione del primato toscano. Un riconoscimento, per l’appassio-
nato intendente d’arte, che non sarà estraneo alla decisione romana di affidargli, al-
l’indomani della morte di Gianlorenzo Bernini, la stesura della prima biografia uf-
ficiale (Vita del cavaliere Gio. Lorenzo Bernino, scultore, architetto e pittore), dedi-
cata a Cristina di Svezia e pubblicata a Firenze nel 1682, in cui si sottolinea la pe-
rizia, anche tecnica, in architettura, corredando il testo con incisioni illustrative del-
lo sfortunato progetto per i campanili di S. Pietro e delle nicchie nei pilastri bra-
manteschi 1. L’autorità toscana è poi estesa alla normalizzazione del vocabolario tec-
nico delle arti, di concerto con le strategie dell’Accademia della Crusca, cui Baldi-
nucci dedica il Vocabolario toscano dell’arte del disegno 2. La necessità di documen-
tare correttamente uomini e cose spinge Baldinucci a sollecitare l’invio, da parte di
allievi, familiari ed eruditi corrispondenti, di dati biografici ed elenchi di opere: per
quelle degli artisti attivi tra 1580 e 1670 (pubblicate poi a cura del figlio Francesco
Saverio nei volumi V, uscito nel 1702, e VI, nel 1728) la monumentale opera di Bal-
dinucci si avvale quindi di notizie di prima mano 3.
Per l’architettura le Notizie, pur limitate a un nucleo ristretto di protagonisti fiorenti-
ni, rappresentano un momento di forte presa di coscienza della realtà post-michelan-
giolesca e post-vasariana, anche se restano ancora da indagare fonti e criteri di sele-
zione. Le biografie di Matteo Nigetti, Cosimo Lotti, Baccio del Bianco, Giulio e Al-
fonso Parigi, Gherardo e Pierfrancesco Silvani, Giovanni e Sigismondo Coccapani, dei
loro allievi e seguaci, accanto alle notizie sull’ampia attività architettonica di scultori e
pittori, costituiscono oggi una fonte indispensabile per ricostruire il panorama dell’ar-
chitettura fiorentina e toscana di tutta la prima metà del Seicento, dove lo scrupolo e
la diplomazia dell’estensore, in un contesto in cui l’idealizzazione della figura intellet-

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tuale e sociale dell’architetto, insieme alla necessità di esaltarne la perizia tecnica e le
fortune internazionali, non lasciano forse spazio a prese di posizione teorico-estetiche 4.
Un confronto con le Vite de’ pittori scultori e architetti moderni che Bellori pubblica a
Roma nel 1672, dove l’unica biografia di un architetto è quella di Domenico Fontana,
appare comunque indicativo, anche alla luce dei sicuri rapporti tra i due intellettuali.
Nel primo Settecento il modello di Baldinucci è solo in parte ripreso da Francesco
Maria Niccolò Gabburri 5, gentiluomo dilettante e collezionista, che nelle sue Vite
rimaste manoscritte, e terminate tra gli ultimi anni ’30 e i primissimi anni ’40, lo ag-
giorna in chiave enciclopedica sulla scorta dell’Abecedario Pittorico dell’Orlandi, am-
pliando a dismisura gli orizzonti cronologici e geografici (anche esotici: include, da
Félibien, l’“architetto” Yinca Manco Capac, fondatore della città di Cuzco nel XIII
secolo), ritessendo in tal modo i legami della realtà locale, costruita essenzialmente
sulla scorta di Vasari e Baldinucci, con panorami più vasti (Baglione, Ridolfi, Mal-
vasia, Baruffaldi, Pascoli). Rifiutando il macchinoso ordine cronologico di Baldi-
nucci, per secoli e decennali, Gabburri ordina le biografie alfabeticamente.
Il mondo dell’architettura non è al centro degli interessi di Gabburri, tanto che nel-
le sue Vite sono omessi, confusi o travisati personalità e dati anche di primissimo pia-
no. Rimasto allo stadio di schedatura, il repertorio si fa vivace e informativo unica-
mente in alcune biografie di architetti viventi: le sue notazioni possono essere pre-
ziose e di prima mano, come nei casi di Paolo Posi, Ferdinando Ruggieri, Giovanni
Baratta, o anche di qualche artefice attivo a Roma, come Filippo Raguzzini. Ma Gab-
burri, in modo anche più netto e consapevole di Francesco Saverio Baldinucci, in-
tento fino alla morte a redigere biografie di artisti viventi per proseguire l’opera del
padre 6, sa cogliere e rilanciare, del mondo dell’architettura, echi di discussioni e po-
lemiche, ed è in grado di fornire un ritratto deciso, a volte garbato o pungente, del
panorama a lui più vicino e familiare. Gabburri mostra in modo netto l’adesione ai
valori di un’architettura colta, classicista, cautamente rinnovata sulla lezione roma-
na, selezionando una linea precisa, che parte da Antonio Ferri e fiorisce con Foggi-
ni, “celebre” e “virtuosissimo artefice” (fig. 1), fino agli esiti contemporanei dei suoi
allievi, e di un personaggio versatile come Marcus Tuscher, “uno dei più eccellenti
professori che siano nell’Europa”: una linea di rigore e di consapevole richiamo al
“primato” fiorentino del Rinascimento, in ideale consonanza con le scelte di Ruggieri
(che aveva escluso esempi contemporanei, ad eccezione di Foggini, dal repertorio di
architetture riprodotte nei suoi tre volumi di Studio d’architettura civile sopra gli Or-
namenti di Porte, e Finestre, colle Misure, Piante, Modini, e Profili tratte da alcune
Fabbriche insigni di Firenze erette col disegno de’ più celebri Architetti, 1722-1728), e
su cui si incentra la ricerca dei più avvertiti intellettuali a lui contemporanei 7.
Coerentemente Gabburri, anche in contrasto con Francesco Saverio Baldinucci (pri-
mo ad aver dedicato a Foggini una grande attenzione, pur con alcune riserve) 8, ar-
riva a esprimere un vero disprezzo per la diffusione della lingua vernacola di capo-
mastri e artigiani, denunciandone l’ignoranza plebea. Sono valori che trovano ri-
scontro nelle Vite di Lione Pascoli pubblicate a Roma nel 1730-1736, ben note a
Gabburri, e in modo ancora più stringente nei Dialoghi sopra le tre arti del disegno
di Giovanni Gaetano Bottari (pubblicate a Lucca nel 1754 ma elaborate nei due de-
cenni precedenti), erudito fiorentino trasferitosi a Roma al seguito dell’elezione di

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papa Clemente XII Corsini nel 1730, che con Gabburri continuava a mantenere
strettissimi legami, influenzando con le proprie idee elaborazioni teoriche e realiz-
zazioni editoriali, tra cui lo Studio d’architettura civile di Ruggieri.
Così, Giovacchino Fortini, apprezzato dai curatori dell’edizione delle Notizie di Bal-
dinucci per i suoi interventi architettonici all’Oratorio di S. Firenze, è invece liqui-
dato come ignorante e incompetente; Gabburri denuncia senza mezzi termini co-
me la carica conferitagli di “architetto della Real Galleria e della ricca cappella di
San Lorenzo di Firenze” gli sia stata conferita “per favore unicamente, non già per
merito”. Pietro Paolo Giovannozzi, rapidamente elogiato nell’edizione del Baldi-
nucci come “architetto fiorentino, il quale con buon gusto ha molte cose termina-
te e ridotto ad uso più moderno, e più nobile” 9, è censurato da Gabburri come
ignorante e plebeo, responsabile di fabbriche di “cattivissimo gusto” (al fratello Gio-
vannozzo, “architetto fiorentino”, non è riservato giudizio migliore: “superò il fra-
tello ma non passò la mediocrità”, come al figlio di questi Innocenzo, che fece “suoi
propri gli scarsi meriti del padre e del zio”).
Più in generale, le indicazioni di Gabburri su gentiluomini dilettanti, architetti e
viaggiatori stranieri illustri in visita in Toscana, e sull’attività di architetti, ingegne-
ri e tecnici fiorentini viventi, oggi poco noti o del tutto ignorati, risultano preziose,
e consentono di far emergere il fitto tessuto di interventi, anche minori o minimi,
della Firenze del tempo: chiese, oratori, cappelle, palazzi e palazzetti, ville, strade,
ponti, opere idrauliche; e la rete intricata di rapporti, discepolati, favoritismi, ami-
cizie e contrasti del mecenatismo e del mondo professionale locali. Un quadro vi-
vace, complesso, un brusio intenso da cui si levano a tratti voci principali: il mon-
do illustrato da Giuseppe Zocchi nella Serie di XXIV vedute della città di Firenze,
e nelle Vedute delle ville, e d’altri luoghi della Toscana, del 1744.
A fronte di questa solida tradizione storiografica profondamente radicata nella cul-
tura fiorentina vasariana, che si rispecchia in una produzione locale vivace in molti
centri toscani, gli approfondimenti monografici moderni sugli architetti del Seicento
e del primo Settecento sono a tutt’oggi scarsi: la pubblicazione della prima indagine
sull’attività progettuale di Giovanni Battista Foggini (1652-1725), senza dubbio il prin-
cipale interprete del Barocco in Toscana 10, non può far dimenticare come solo dieci
anni fa la voce nel Dictionary of Art ne registrava unicamente l’attività di scultore;
nella recente monografia sullo scultore Giovacchino Fortini (1670-1736), l’attività ar-
chitettonica è invece tratteggiata con attenzione, proprio a partire dalla controversa
fortuna critica 11. Ma i principali protagonisti dell’architettura dell’età barocca, a par-
tire dalla prima generazione post-buontalentiana, da Matteo Nigetti a Giulio Parigi,
al prolifico e longevo Gherardo Silvani, di fatto attendono ancora indagini di base,
dai percorsi formativi a una attendibile ricostruzione del catalogo delle opere.
Ancora più rarefatte sono le ricerche su gruppi professionali, tecnici, maestranze:
temi di approfondimento ormai consolidati nello studio dell’architettura negli an-
tichi stati italiani 12. Iniziano a mettere a fuoco queste lacune alcune indagini recenti,
che hanno esaminato il ruolo e la formazione in ambiti diversi, dagli ingegneri e car-
tografi 13 agli architetti militari 14 ai decoratori-stuccatori 15 ai quadraturisti 16: ma il
quadro generale dei diversi ambiti del fare architettura nella policentrica realtà to-
scana di età moderna resta ancora da delineare.

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Firenze 1630
Le drammatiche epidemie di peste che hanno ripetutamente sconvolto l’Italia del
Seicento hanno profondamente inciso sull’architettura e l’organizzazione delle cit-
tà; la costruzione di chiese votive e devozionali sono l’esito monumentale più evi-
dente, spesso di straordinario valore architettonico.
La Madonna della Salute a Venezia (fig. 2), capolavoro di Baldassarre Longhena,
voto della Repubblica per la fine della peste del 1630, è un cantiere subito registrato
anche a Firenze:

Siamo adì 30 di ottobre 1630, e ò lettere di Venetia dal su detto Signor Ipolito Buon-
delmonti, residente lì per il gran Duca, e mi scrive morirvi in quella città di peste più di
600 persone il giorno […], e che il popolo a fatto voto di fabricare una chiesa e intito-
larla la Madonna della Salute 17.

Come era spesso avvenuto nelle fasi di avvio della progettazione di opere di parti-
colare importanza (nei decenni precedenti ci si era rivolti a Firenze per sollecitare
consulenze e pareri sui disegni dell’Escorial, sul trasporto dell’obelisco Vaticano,
sulla facciata di S. Pietro in Vaticano, su palazzo Barberini a Roma), per la costru-
zione della Madonna della Salute si delibera di rivolgersi a quelli che evidentemente
erano ritenuti i due principali centri artistici della penisola: Roma e Firenze. Ma se
a Roma l’ambasciatore veneziano, prendendo contatti con diversi architetti, ricor-
dava che al momento “alcuno ha fama eccellente”, e individuava – ma col ruolo di
scultore – il solo Bernini, ritenendolo peraltro ormai troppo ricco e impegnato per-
ché potesse interessarsi alla commissione veneziana, da Firenze il rappresentante ve-
neziano rispondeva con una missiva di tono diverso:

In dovuta et riverente esecutione de comandamenti dell’Ecc. VV. […], dirò che subito
veduto il loro desiderio ho procurato di indagare di Architetto […] e di scultore insie-
me. Per il primo mestiere mi viene commendato grandemente un tale Gherardo Silvani,
che viene adoperato in tutte le fabriche principali di Chiese e case di questa città e fuo-
ri ancora et è grandemente commendato dall’universale; et hora che il Granduca ha ris-
soluto di fare la facciata della Chiesa Catedrale, nella quale spenderà 200.000 scudi, e di
essa in più tempi e da più Architetti ha fatto fare più di 500 modelli e disegni, e per quel-
lo presento da buon luoco, domenica il Granduca eleggerà quello di questi; et hoggi 8 in
piciolo ne manderò uno all’Ecc. VV. perché veghino la maniera dell’autore; questo ha
un’altra parte: che è scultor eccellente, ma è vero che da 5 anni in qua ha dismessa que-
sta professione, perché la riusciva più faticosa dopo fattosi commodo; ma valerebbe ad
assistere all’opera del scultore; è huomo che ha il seguito de tutti gli artisti della sua pro-
fessione, e se fosse conosciuto atto, come vogio sperare per le relationi che ne ho, mi da-
rebbe l’animo di farlo indurre a venire a cotesta opera non ostante che havesse quella
opera del Granduca, e conducesse seco anco bellamente un centenaro de migliori ope-
rarij, e se l’Ecc. VV. mi specificheranno la loro volontà intorno al sito e pianta, con la lar-
gheza e longheza della Chiesa che dissegnan fare, procurerò cavar da lui più di un dise-
gno, perché veghino, e glieli farò fare nel tempo che starà rinchiuso a fare la quarantena;
questo per quello intendo è conosciuto dal segretario Vianuolo, col quale le discorse già
d’alcune inventioni che havea per mente per cavare non solo i canali, ma le seche in ma-
re aperto. Quanto al scultore vi è un giovine che è stimatissimo, e che hora fa alcune sta-
tue per il Re di Francia, e questo anco credo facilmente si potrà indure a venire a servir

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2. Venezia, S. Maria della Salute (dal 1631).
3. GHERARDO SILVANI. Modello per la facciata di S. Maria del Fiore (1635; Firenze, Museo dell’Opera del Duomo).
a pag. 10: G.B. FOGGINI. 1. Firenze, S. Giorgio alla Costa. Interno (1704-1705).

quando sia riconosciuto atto. Quanto a marmi poi se ne cavano a Carrara de bianchissi-
mi e finissimi e non molto duri, ma per esquisiti si haverano dalle cave del Granduca dal
quale confidocon gusto mi concederebbe il farne cavare quanti occorresse per tutta la
Chiesa senz’altra spesa che degli huomini che li tagliassero; e per esser il luoco vicino a
Livorno facile riuscirebbe la condotta per vascelli, oltre che accordati l’architetto e scul-
tore si potrebbero farli andare ad essere assistenti a veder a cavare 3 o 4 pezzi per la Ma-
donna perché […] si possi assicurar d’haverne un buono della grandezza e misura che
manderiano l’Ecc. VV. Di questi stessi marmi fa fare il Cardinal Sachetti in Roma una
Madonna apunto, et una S. Elisabetta per metter in una sua capella per quello son avi-
sato. Questo è quanto per hora posso portare all’Ecc. VV. intorno alle loro commenda-
tioni, aggiungendo loro solamente che con quasi sicurezza scrivo che farei venire l’archi-
tetto non ostante che havesse la carica della facciata della Chiesa Catedrale, perché ho
amicitia con uno mezo suo parente che mi dà parola farlo venire perché cominciata l’ope-
ra qui potrebbe lasciar la cura ad un sostituto da lui; come anco il scultore […] 18.

L’impegno del residente veneziano Marc’Antonio Padavin nel raccomandare Ghe-


rardo Silvani e Pietro Tacca passa attraverso la presentazione attentamente calibra-
ta di una serie di aspetti positivi, mirata a dimostrare come l’architetto fiorentino
avrebbe potuto soddisfare pienamente tutte le complesse esigenze del cantiere: un’au-
torevolezza dimostrata dall’incarico, ormai dato per certo (il carteggio introduce a
questo proposito nuovi elementi cronologici e di valutazione), della costruzione del-
la facciata di S. Maria del Fiore (fig. 3); dalle capacità organizzative, anche a di-
stanza, con la possibilità di assicurare la presenza di tutte le maestranze necessarie;
dalle competenze tecniche, con esplicita allusione alla possibilità di impiego e con-
sulenza nei problemi idrogeologici lagunari. Se affidato a Firenze, il cantiere della

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4-7. JOSEPH FURTTENBACH. Prospetti e piante di palazzo Pitti a Firenze (incisioni da Architectura civilis, Ulm 1628).

Salute si sarebbe inoltre potuto avvalere dei rinomati e preziosi marmi delle cave
granducali, facilmente trasportabili attraverso il porto di Livorno e sicuramente for-
niti a prezzo di costo per diretta concessione medicea.
Nelle parole di Padavin il mondo dell’architettura fiorentina e toscana del 1630 osten-
ta tutta la sua forza, autorevolezza e vitalità, enfatizzata dall’allusione ai più recen-
ti successi internazionali: le opere commissionate dal potente, e intendente, cardi-
nal Giulio Sacchetti a Roma, e dal re in persona a Parigi.
Letta al confronto con la relazione cauta, forse addirittura scettica, dell’ambascia-
tore veneto a Roma, l’entusiasmo di Padavin nel promuovere Silvani e Tacca colpi-
sce per la luce che getta su una realtà poi andata rapidamente mutando: il forte pre-
stigio internazionale di cui, nell’Italia e nell’Europa del tempo, Firenze ancora go-
de come centro artistico di primaria importanza. Progetti e consulenze sono richiesti
dalle corti di Spagna, Francia, Inghilterra e Germania ad architetti e scultori fio-

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rentini, da Pietro Tacca a Baccio del Bianco, da Costantino dei Servi a Giulio Pari-
gi, e i grandi cantieri granducali della Cappella dei Principi e della reggia di Pitti
assurgono a modelli di riferimento.

Mi è parso dunque di fare una opera meritoria verso il ben publico di tutte le Provincie
Oltramontane, producendo in luce li dissegni da me raccolti nella mia peregrinatione Ita-
lica, d’alcuni Palazzi della superba città di Genova. Perché si come quella Republica è pro-
pria de Gentilhuomini, così le loro fabriche sono bellissime e commodissime, à propor-
tione più tosto de famiglie benché numerose di Gentilhuomini particolari, che di una Cor-
te d’un Principe assoluto. Come si vede per essempio nel Palazzo de Pitti in Fiorenza, e il
Farnesiano in Roma, la Cancellaria, Caprarola, e infiniti altri per tutta l’Italia, sì come an-
cora la famosissima fabrica della Regina Madre nel borgo di San Germano a Parigi. Li qua-
li tutti eccedono in grandezza, di sito e spesa, le facultà di Gentilhuomini privati 19.

È già Rubens, nel suo volume sui Palazzi di Genova del 1622, a delineare una map-
patura di modelli europei singolarmente efficace: la reggia di Pitti è l’esempio mo-
derno che aggiorna la matrice romana rinascimentale, dalla Cancelleria alle fabbriche
farnesiane, e più di questi essenziale anello di congiunzione con le nuove sperimen-
tazioni francesi, quel Luxembourg che Maria de Medici avrebbe voluto “sous la for-
me et le modèle du palais Pitti” (“Vous me ferez bien plaisir de m’envoyer le plan et
les desseings du pallais de Pitty, dont je me veux servir pour l’ordre et l’ornement de
ma maison”, aveva scritto Maria alla zia Cristina di Lorena, incaricando nel 1611 l’ar-
chitetto Louis Métezeau, inviato a Firenze, di rilevare la fabbrica), e suggerendo poi
a Solomon de Brosse, per la facciata del nuovo palazzo parigino, l’uso peculiare del
dorico e ionico a conci rilevati immediatamente leggibile come “ordre de sa Patrie” 20.
Il modello di Pitti diviene universalmente noto e riprodotto in incisione, con alzati e
piante, dal Furttenbach, allievo a Firenze di Giulio Parigi, nel suo Architectura civilis
del 1628 (figg. 4-7).

Funzionari e tecnici
Allo stato attuale delle ricerche mi sembra possibile evidenziare alcuni caratteri e
specificità del fare architettura a Firenze e nella Toscana del Seicento, tracciando
un programma per ineludibili approfondimenti futuri: i percorsi formativi degli ar-
tefici, il disciplinamento delle pratiche e l’inquadramento professionale, le esigen-
ze, le imposizioni, le opportunità offerte dal mecenatismo, i rapporti con la corte e
gli scambi artistici tra le corti, i contatti e le influenze tra realtà locali, regionali, ita-
liane e internazionali. La figura dell’architetto nella Toscana del Seicento si defini-
sce in modo specifico rispetto ad altre realtà italiane: la formazione, l’accesso al
mondo professionale, la ferrea organizzazione degli enti statali preposti alla gestio-
ne di fiumi, fortezze e fabbriche pubbliche e regie, il ventaglio delle opportunità di
lavoro, il ruolo sociale assicurato dalla professione, delineano una realtà conserva-
trice e livellatrice, forse meno propensa a dare pieno riconoscimento all’idea di pro-
getto originale, all’intervento autonomo e innovativo.
Nel Granducato l’impianto burocratico, solidamente impostato nella seconda metà
del Cinquecento, da Cosimo I a Ferdinando I, prevede un controllo stretto dell’ef-
ficienza delle magistrature preposte alla gestione delle opere pubbliche, dell’archi-

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8. Firenze, S. Stefano al Ponte. Volta del presbiterio (dal 1631).

tettura militare e civile, della viabilità, delle acque e dei fiumi, attraverso i Capitani
di Parte di Firenze, gli Ufficiali dei Fiumi, l’Ufficio dei Fossi di Pisa, la Fabbrica di
Livorno, l’Ufficio delle Fortezze e Fabbriche granducali 21. La legislazione edilizia
urbana, diversa in ogni centro dello Stato, deve ottemperare a disposizioni generali
emanate dall’autorità centrale anche allo scopo di favorire l’impegno e la competi-
zione delle oligarchie locali, di enti e ordini religiosi, nella promozione di opere e
decoro urbano 22, secondo un’impostazione che, tra Cinquecento e Seicento, gua-
dagna favore in buona parte degli Stati italiani. Dalla seconda metà del Cinquecen-
to a Firenze i cantieri principali sono ormai direttamente gestiti da funzionari di di-
retta nomina granducale, come l’Opera del Duomo e l’ospedale di S. Maria Nuova.
A Livorno – un’intera città progettata e costruita nel corso del Seicento: uno dei più
grandi e complessi cantieri italiani di tutta l’età barocca – l’attività edilizia è gestita
da una magistratura dedicata, autonoma, direttamente sottoposta al controllo gran-
ducale che si riserva la nomina delle cariche principali, dal Governatore all’archi-
tetto soprastante 23. Gli architetti che si susseguono nella prima metà del Seicento
sono tecnici (Pieroni e Cogorano, Cantagallina, fino al 1646; Cecchi, dal 1646 al
1656 circa) 24 che, sotto l’attenta supervisione della corte, sono chiamati a gestire una
pluralità di situazioni pratiche legate all’ingegneria, alle fortificazioni, alle strutture
portuali, alle bonifiche, in un confronto diretto con ben selezionate esperienze ita-

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9. GIOVANNI COCCAPANI. Firenze, S. Teresa (1628-1633). L’interno della cupola.

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liane ed europee: tecnici e maestranze chiamati da Venezia e dall’Olanda, e archi-
tetti toscani inviati oltralpe – nei Paesi Bassi, in Francia – per cogliere novità tecni-
che e aggiornamenti militari 25. Gli architetti della Fabbrica di Livorno sono chia-
mati anche a progettare e a dirigere quell’attività intensa che trasforma la città in un
uno dei più grandi cantieri italiani del Seicento: sulla loro attività manca una rico-
gnizione approfondita, anche in relazione alle esperienze internazionali da cui spes-
so provengono, e al continuo confronto coi governatori e le alte cariche militari di
stanza in città. Pier Maria Baldi (1630 circa-1686; architetto della Fabbrica dal 1682)
lavora per il governatore Marco Alessandro Dal Borro, responsabile dell’ampliamento
e della fortificazione della Venezia Nuova e dell’apertura della nuova via Borra; Gio-
van Battista Foggini è ripetutamente coinvolto nelle fabbriche livornesi direttamen-
te dal cardinale Leopoldo de Medici 26; Giovanni Maria Del Fantasia (1673-1763),
come ricorda Gabburri, è “fiorentino, architetto civile e militare, zio di Gaetano Tor-
ricelli, scultore in pietre dure e cammei […] studiò sotto Antonio Ferri, indi passò
in Fiandra e nella Francia in guerra viva. Fece poi ritorno nella patria circa all’anno
1697, ed ebbe subito da Cosimo III l’impiego di reveditore delle fortezze di tutto lo
stato del granduca di Toscana, da cui in appresso fu fatto provveditore della fortez-
za di Livorno, dove vive nel 1739 in età di anni 68 in circa. Ha dato altresì molti di-
segni di varie fabbriche per quella città state eseguite con lode, mediante la di lui
direzione” 27. L’attività di Del Fantasia, dopo il lungo soggiorno di studio in Francia
patrocinato da Cosimo III tra 1693 e 1697 28, è documentata nei cantieri dei princi-
pali edifici religiosi di Livorno, la chiesa dei Gesuiti, S. Ferdinando Re, S. Caterina,
e nell’ampliamento del Santuario di Montenero: tra le fabbriche monumentali più
ambiziose, e originali, del barocco toscano. La formazione, l’attività e la maturità di
Del Fantasia, nei contatti con Foggini e Baratta, e in un più ampio contesto di ri-
mandi a Guarini e Juvarra, restano ancora da precisare.
È soprattutto con Cosimo I che, dalla metà del Cinquecento, si viene configurando
una classe di funzionari impegnati nelle magistrature statali numerosa, compatta e
riconoscibile, formata da tecnici di solida preparazione, che gestisce con attenzio-
ne la città e le infrastrutture territoriali, alimentando inoltre una produzione di re-
lazioni e perizie, coscienziosamente archiviati a costituire depositi di carte di lavo-
ro e di studio: per un cadidato alla carica di “ministro d’Arno” nel 1665, tale Pa-
squale Tafani, si sottolinea esplicitamente che “questo è un soggetto che pare a po-
sta per la carica di ministro d’Arno perché oltre alla pratica che fece al tempo del
padre nel maneggiare molti lavori et appalti di strade ha bonissimmo modo di scri-
vere e pratico nel tener le scritture” 29. Gli eredi dei più noti Bernardo Puccini, Da-
vid Fortini, Gherardo Mechini 30 troveranno, nel corso del Seicento, un diretto ri-
ferimento nella figura di Galileo, che impone, direttamente e attraverso i propri di-
scepoli, nuovi parametri di intervento. Esemplari in questo contesto le vicende, tra
gli altri, di Sigismondo (1581-1643) e Giovanni Coccapani (1582-1649), Andrea Ar-
righetti (1592-1672), Vincenzo Viviani (1622-1703); dopo l’esperienza del Cimen-
to, altre aggregazioni saranno pronte a raccoglierne l’eredità, adattandola ad ap-
profondimenti di tipo tecnico, meccanico e più prettamente architettonico 31. È co-
me uomo di scienza che Galileo influenza in modo tangibile l’operatività in campi
specifici strettamente legati all’architettura, alle fortificazioni, alla gestione delle ac-

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que, contribuendo in modo determinante a una razionalizzazione dei processi e del-
le funzioni che resterà come legato duraturo.
Galileo, di cui sono stati approfonditi i vivaci interessi in campo artistico 32, negli stret-
ti contatti col mondo dell’architettura non sembra discostarsi da un generale apprez-
zamento per linguaggi di matrice michelangiolesca; ma influenza decisamente, col suo
operato, una visione determinante dell’architettura come tecnica 33. Gli echi della sua
concezione matematica del creato da un lato avallano gli esiti stilistici cauti del primo
Seicento toscano, dall’altro forse aiutano a spiegare il prolungarsi del successo del na-
turalismo buontalentiano 34 e il richiamo a quegli aspetti di “estremismo geometriz-
zante” che restano tra gli esiti più peculiari di alcune sperimentazioni fiorentine de-
gli anni ’30, riconducibili a personalità a lui strettamente legate: a Firenze il presbi-
terio, il coro e la cripta di S. Stefano al Ponte (1631) (fig. 8), nel cui cantiere è coin-
volto il matematico Andrea Arrighetti, e la chiesa di S. Teresa (1628-33) (fig. 9), del-
l’architetto-matematico Giovanni Coccapani 35. Ma fondamentale è sicuramente l’in-
fluenza galileiana nel determinare una concezione razionale della città come organi-
smo, che promuove gli sforzi per la migliore gestione del suo funzionamento, e limi-
ta e controlla, nel mito di una continuità storica, ogni intervento di rottura.

Famiglie e dinastie
In aree con forte continuità di tradizioni locali l’operatività corrente è in mano a
operatori e maestranze appartenenti a famiglie o a vere e proprie dinastie di origi-
ne diversa ma radicate e spesso con secolare continuità: capomastri muratori, scal-
pellini e scultori, tra cui emergono i settignanesi Giovannozzi e Fortini e i fiesola-
ni Pettirossi attivi a Firenze; gli Arrighi a Prato e Pistoia; i Cremoni e i Mazzuoli a
Siena; i carraresi Vaccà a Pisa. Alcune di queste dinastie percorrono, nel volgere di
qualche generazione, la naturale evoluzione da semplici maestranze di formazione
e origine diverse ai massimi livelli: è il caso dei Bergamini nel ducato di Massa Car-
rara, assurti ad architetti di corte dei Cybo 36; dei Parigi di Prato, da Alfonso il vec-
chio aiutante di Buontalenti a Giulio e ad Alfonso il giovane architetti di corte a Fi-
renze 37; dei Baratta di Carrara 38. La radicata autonomia culturale dei diversi centri
toscani – non solo le piccole capitali di entità statali indipendenti come Massa e
Lucca, ma anche dei maggiori centri integrati nella realtà politica del Granducato,
come Siena e Pisa – comporta per tutto il Seicento una spiccata caratterizzazione
locale, in un panorama di rapporti tra centri e periferie che sembra particolarmen-
te ricco e frammentato. La stessa Firenze, al di là del caso specifico di Livorno, sot-
toposto al diretto controllo della dinastia, dove sono attivi tecnici-funzionari di esclu-
siva nomina granducale, per buona parte del secolo impone i propri artefici al di
fuori della sua più stretta area di influenza solo in modo episodico.
L’immigrazione e integrazione di maestranze di origine lombarda si rivela nella re-
altà toscana, per ragioni complesse e di antica data, legate anche a fattori come l’or-
ganizzazione dei cantieri e l’approvvigionamento dei materiali, meno compatta e
continuativa rispetto al più generale panorama italiano 39, come è stato più volte evi-
denziato: anche se alcuni dei nuclei familiari sopra ricordati – i Cremoni, i Berga-
mini, gli stuccatori Portogalli – hanno sicuramente origini ticinesi e lombarde. In-
teressante il fenomeno opposto, con l’emigrazione costante verso l’estero di mae-

ARCHITETTI E COSTRUTTORI DEL BAROCCO IN TOSCANA 21


stranze e operatori specializzati: la fortuna degli scalpellini e scultori carraresi co-
nosce una vicenda plurisecolare; il naturale sbocco verso Roma di pittori e sculto-
ri che maturano nell’Urbe una significativa attività architettonica non conosce frat-
ture con l’età rinascimentale (il ruolo di Cigoli è in questo senso esemplare) 40; i suc-
cessi italiani ed europei di una dinastia come quella dei Galli da Bibbiena travali-
cano del tutto i legami con la terra di origine 41.

Letterati, dilettanti e gentiluomini


Come in gran parte degli stati italiani del Cinquecento e Seicento, anche in Toscana
la presenza di un patriziato colto e impegnato vede una sicura diffusione del model-
lo del dilettante, gentiluomo-architetto che trova i suoi spazi operativi nell’ambito del-
le discussioni erudite e accademiche, fino alla concreta adesione a una professionali-
tà definita: il modello dei Medici, al di là del ruolo di don Giovanni (1567-1621), a
cui è significativamente affidato, con Matteo Nigetti, il cantiere della Cappella dei
Principi 42, continua a essere proposto durante tutto il Seicento 43, e rinforza ulterior-
mente la legittimazione sociale e culturale dell’impegno in ambito architettonico. Ol-
tre che in campo militare, dove tradizionalmente si esprime la preparazione architet-
tonica del patriziato nell’Italia di antico regime, in Toscana è diffuso anche un impe-
gno più ampio nel disegno, nella pittura e scultura, e in una più generale riflessione
critica sulle arti. Cesare Bracci, arcidiacono di Montepulciano residente a Roma, ni-
pote del matematico, cartografo e architetto Fausto Rughesi, responsabile a Roma del-
la facciata di S. Maria in Vallicella, è autore di un Discorso morale sulla Cappella dei
Principi (1633) che condensa, in una mirabolante profusione di emblemi, il senso di
una lettura retorica e agiografica del monumento che si situa in diretta relazione con
la coeva produzione romana che, dopo le esperienze tardocinquecentesche, mature-
rà nel capolavoro delle Aedes Barberinae di Girolamo Teti (1642). A Roma, dopo aver
partecipato ai dibattiti sul completamento della basilica di S. Pietro sotto Paolo V,
Bracci pubblica una raccolta di Rime sul baldacchino (1633) e una circostanziata re-
lazione sui campanili berniniani e sulla facciata maderniana, avanzando anche pro-
getti alternativi (Considerazioni sopra la fabbrica e facciata di S. Pietro di Roma, Siena
1644, con dedica a Innocenzo X) 44. In Toscana sembrano poi emergere figure speci-
fiche di dilettanti e artisti-gentiluomini, come gli eredi di artisti celebri, che trovano
la loro legittimazione anche sociale nell’impegno al servizio della corte come lettera-
ti e dilettanti, svolgendo un ruolo importante nell’opera di scelta e indirizzo: Giorgio
Vasari il Giovane (1562-1625) 45, prolifico disegnatore di architettura, e garante del-
l’ufficilità dell’opera dello zio, artista, cortigiano, letterato e storiografo; Michelange-
lo Buonarroti il giovane (1568-1647) 46, poeta e commediografo, è anch’egli infatica-
bile tutore della fama del prozio, ed esercita per decenni un’influenza riconosciuta al-
la corte di Ferdinando I, Cosimo II e Ferdinando II, ancora peraltro da precisare nei
risvolti più specificamente architettonici, dalle scelte stilistiche per l’ampliamento di
Pitti da Giulio e Alfonso Parigi a Pietro da Cortona, alla facciata del duomo 47.
Il caso dei patrizi Guerrini, Dionigi (1617-1679) e i figli Pietro (1651-1716) e Be-
nedetto (†1719), tecnici e militari, è stato studiato in modo esemplare 48 (figg. 19,
20); il nobile romano-fiorentino Paolo Falconieri (1638-1704) emerge come coscienza
critica alla corte di Ferdinando II e Cosimo III, oltre che presso vari esponenti del-

22 MARIO BEVILACQUA
10. GASPAR VAN WITTEL. Veduta di palazzo Pitti secondo il progetto di Paolo Falconieri del 1681 (olio su tela; 1701.
Firenze, collezione privata).

la più alta nobiltà di corte: il suo impegno in tanti cantieri di palazzi fiorentini oscil-
la tra l’amichevole consulenza e la più impegnativa redazione di disegni progettua-
li, fino all’elaborazione di un ambizioso, eclettico modello di rinnovamento della
reggia di Pitti 49 (fig. 10), cui si collega un ancora più magniloquente progetto per
la raggia londinese di Whitehall 50. Il suo contributo nella promozione di un gene-
rale aggiornamento dei modelli fiorentini passa anche attraverso l’esperienza, effi-
mera ma significativa, dell’Accademia medicea di Roma.
Nella seconda metà del Seicento la presenza di gruppi colti e impegnati nello stu-
dio delle tradizioni architettoniche locali, e nella concreta pratica progettuale, ca-
ratterizza tutti i principali centri toscani. La realtà senese, già vitale e autonoma e
poi ulteriormente vivacizzata durante il pontificato del senese Alessandro VII Chi-
gi e dalla presenza di Bernini e Carlo Fontana, è stata recentemente oggetto di stu-
di approfonditi 51. La società patrizia lucchese, da cui prende le mosse l’attività in-
ternazionale di Domenico Martinelli (1650-1718) 52, saprà precocemente riconosce-
re, all’aprirsi del Settecento, il genio di Filippo Juvarra 53, per poi vedere crescere,
in un ambiente colto e ricco di iniziative, notevoli e numerose figure di architetti-
gentiluomini fino alle soglie dell’illuminismo, da Giovan Francesco Giusti (1715 cir-
ca-1785), formatosi a Roma con Boscovich e Jacquier, a Ottaviano Diodati (1716-
1786), curatore dell’edizione lucchese dell’Encyclopédie, corrispondente di Vanvi-
telli e ideatore di un utopistico progetto per la reggia di Caserta 54.

Regolari itineranti
Applicato dalla Religione allo studio della Sacra Teologia, seppe congiungere così bene
le dottrine Teologiche scolastiche e morali con la legale, che riuscì huomo atto à tutti
gl’impieghi così nelle cattedre, come ne pulpiti; ma inclinando lui à gli studij della Ma-
tematica gli fu permesso dalla Religione di proseguirli, per meglio perfettionarsi in quel-

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11-12. GIOVANNI AMBROGIO MAZENTA. Progetto per la Cappella dei Principi in S. Lorenzo. Pianta e sezione
(disegno. Stoccolma, Nationalmuseum, da Olin, Henriksson 2004).

l’arte, nella quale riuscì si eccellente, che con essa, e con le sue rare qualità si fece stra-
da alla gratia del gran Duca Ferdinando primo di Toscana e del di lui figliuolo Cosimo
secondo. Volendo questi fortificare, abbellire, et ingrandire Livorno con altre Città, ove-
ro alzare da fondamenti sontuosissime fabriche sacre e profane, niuno incontrava meglio
il gusto di quei Prencipi ne disegni ch’il Padre Mazzenta, onde acquistandosi l’alto con-
cetto presso i Cavalieri di S. Stefano in Pisa, che già hebbe tra suoi di Malta, di bravo
Ingegniere, venne riputato dalla Serenissima Casa Medici il più eccellente professore nel-
l’Architettura de suoi giorni, et eziandio quando gli convenne partire da Pisa, impiega-
to altrove dalla Religione, li Serenissimi di Toscana non intraprendevano giamai alcuna
fabrica di rimarco che prima non se ne consigliassero con lettere 55.

L’esperienza del barnabita Giovanni Ambrogio Mazenta (1565-1635) al servizio di


Ferdinando I e Cosimo II, esaltata agiograficamente dall’anonima biografia raccol-
ta a Roma da Cassiano Dal Pozzo, trova conferma in documenti e disegni che atte-
stano il ruolo da lui svolto nei cantieri della nuova città di Livorno e della Cappel-
la dei Principi a Firenze 56 (figg. 11, 12). Finora ignorato, questo passaggio mediceo
del colto barnabita, lungamente attivo tra Milano, Bologna, le Marche, Roma e Na-
poli, suggerisce un tema ancora poco approfondito nell’architettura toscana del Sei-
cento: il ruolo dei nuovi insediamenti degli ordini religiosi nella riconfigurazione
delle città, e degli artefici e tecnici formati all’interno delle principali regole con-
troriformate, che, viaggiando incessantemente in tutta la penisola, promuovono nuo-
vi modelli di riferimento e normativi 57.

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13. PIETRO DA CORTONA. Progetto per la chiesa di S. Firenze dei Filippini a Firenze (disegno; Firenze, GDSU).
14. PIERFRANCESCO SILVANI. Progetto per S. Firenze (disegno; Firenze, GDSU).

Il caso dei Gesuiti, generalmente più approfondito, ha ricevuto maggiore attenzio-


ne anche per i centri toscani, dove, attraverso la ripetuta presenza nei vari cantieri
di architetti dell’ordine, si registrano significative contaminazioni tra modelli cen-
trali, romani, e locali 58. Orazio Grassi (1583-1654) e Andrea Pozzo (1642-1709)
hanno ripetutamente lavorato in Toscana, lasciando opere di rilievo (Siena, Arezzo,
Montepulciano, Lucignano). Ma sono attivi in Toscana anche il milanese Giovan
Battista Origoni (documentato dal 1676 al 1695 circa), a Montepulciano e a Pra-
to 59; Ciriaco Pichi (1621-1680), ad Arezzo, Siena, San Sepolcro; Tommaso Rami-
gnani (1596-1657), a Pistoia e Pescia; il meno noto Benedetto Molli (1597-1657),
attivo a Montepulciano, ha in realtà un’intensa attività a Roma, per il Collegio Ger-
manico Ungarico (con Paolo Maruscelli), al servizio dei principi Pamphili (palazzo
di Valmontone), oltre che in Polonia 60.
Il controllo dei cantieri da parte degli ordini crea intensi scambi: epistolari, di di-
segni e modelli, di maestranze; la formazione di depositi archivistici centrali, attra-
verso cui sovrintendere e mediare tra esigenze generali e istanze locali, riveste un
ruolo importante. Le discussioni si arricchiscono di apporti esterni, e favoriscono
la riflessione su tipologie e stili: è emblematico il caso dell’impiego di Pietro da Cor-
tona da parte dei Filippini per il complesso di S. Firenze, con la produzione di una
straordinaria quantità di materiale grafico, di opinioni, censure, da cui scaturirà, col
fallimento di Cortona, la maturazione delle proposte di Pierfrancesco Silvani, inca-
ricato di sostituire Cortona nella progettazione 61 (figg. 13, 14).

ARCHITETTI E COSTRUTTORI DEL BAROCCO IN TOSCANA 25


Pietro da Cortona e Bernini: toscani a Roma e romani in Toscana
Solo nel Granducato di Toscana Pietro da Cortona (1596-1669) e Gianlorenzo Ber-
nini (1598-1680), toscani di nascita e di origine, hanno progettato e costruito edifi-
ci significativi al di fuori di Roma. Pietro da Cortona, che sotto l’ambizioso Ferdi-
nando II è ripetutamente impiegato a Firenze, lasciandovi con gli affreschi di Pitti
uno dei più eloquenti capolavori del Barocco, è impegnato in numerosi progetti ar-
chitettonici, tra cui, di eccezionale rilevanza, quello del rinnovamento della reggia
e per la nuova chiesa dei Filippini, entrambi rifiutati e fonte di amarezza: “Io vera-
mente ho visto e conosciuto che in dette cose ho sempre avuto cattiva fortuna” 62.
Avrà più fortuna l’allievo Ciro Ferri, che, oltre a concludere la decorazione pittori-
ca delle sale di Pitti, vedrà eseguito su suo disegno il ricchissimo coro di S. Maria
Maddalena de Pazzi, eccezionalmente incluso come “opera romana” nei Disegni di
vari altari e cappelle nelle chiese di Roma pubblicato da Giovanni Giacomo De Ros-
si nel 1684 63 (fig. 15). Considerati sudditi toscani, Bernini e Cortona ricevono ri-
conoscimenti e onori ufficiali a Firenze in occasione dell’incarico della progetta-
zione del Louvre da parte di Luigi XIV nel 1665; il modello di Cortona è inviato a
Parigi tramite la corte fiorentina, mentre la tappa in città di Bernini (a cui il papa
Alessandro VII impone anche il passaggio per Siena), è occasione di ufficialità e ri-
chieste di pareri e consulenze 64.
Grazie al mecenatismo di Alessandro VII Chigi e di Clemente IX Rospigliosi, pon-
tefici toscani, Siena e Pistoia accolgono significative opere berniniane 65. Gli studi
su Siena hanno portato a una approfondita analisi degli interventi chigiani, che ol-
tre a Bernini vedono attivi Carlo Fontana e poi, nei decenni successivi, un ricco
stuolo di architetti di formazione romana, a consolidare una tradizionale propen-
sione della città a volgersi verso la capitale pontificia, e ad alimentare, dalla secon-
da metà del Seicento, una vivace e originale produzione architettonica che riserva
anche una autonoma attenzione per Borromini 66. L’autografia berniniana della Cap-
pella del Voto nel duomo è stata più volte avanzata, con la sensazione che sia stata
di volta in volta rafforzata per motivi di prestigio o sminuita per sottolineare al con-
trario l’autonomia e maturità della cultura locale: le fonti, peraltro ricche, possono
essere variamente interpretate, nella diversa declinazione dei ruoli, tra Roma e Sie-
na, di ideatore, progettista, supervisore, esecutore della fabbrica, delle sue mem-
brature architettoniche e dell’arredo scultoreo. L’incarico affidato a Benedetto Gio-
vannelli Orlandi (1601-1676) non può quindi escludere del tutto, come ora si ten-
de invece a fare, una ideazione e supervisione generale da parte del pontefice e di
Bernini, non a caso già registrata dai contemporanei più attenti, come l’architetto
svedese Nicodemus Tessin che nei suoi taccuini di viaggio del 1687-1688 disegna la
cappella e appunta: “die chapelle […] mit ihrem runden grundriss, welche Ale-
xander VII hat bauen lassen nach Cavalier Bernini dessein, der auch von den vier
statuen in den nichen, die zweij hat gemacht von marmer” 67 (fig. 16).
È invece solo con i più recenti studi sul mecenatismo di papa Rospigliosi che le ope-
re pistoiesi di Bernini hanno potuto ricevere una prima analisi non viziata da quei
pregiudizi che, in nome di una compatta impermeabilità della Toscana al barocco,
avevano portato anche in anni recenti a escludere il diretto coinvolgimento dell’ar-
chitetto dal progetto della villa Rospigliosi di Spicchio di Lamporecchio, oltre che

26 MARIO BEVILACQUA
15. CIRO FERRI. Il coro di S. Maria Maddalena de Pazzi a Firenze (incisione da Disegni di vari altari e cappelle
nelle chiese di Roma, Roma, Giovanni Giacomo De Rossi, 1684).
16. NICODEMUS TESSIN IL GIOVANE. Cappella del voto nel Duomo di Siena (disegno, 1687-88. Stoccolma.
Nationalmuseum; da Olin, Henriksson 2004).

dagli altari della chiesa dello Spirito Santo a Pistoia, declassati a “opere di bottega”
ad onta della documentazione inoppugnabile e della qualità delle realizzazioni 68.
Analoga sorte è toccata al fenomeno di ricezione del borrominismo, che pure lambi-
sce tanti centri e tanti i confini del Granducato, penetrando via terra e via mare con
committenti e maestranze legati a Roma, con interessanti esiti, anche attardati, a Sie-
na, a Pisa, a Livorno, arrivando nella stessa Firenze attraverso Foggini, il cui interes-

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17. Firenze, S. Frediano in Cestello. Esterno (1679-1698).

se per Borromini è evidente e andrà approfondito. Un capitolo a parte riguarda inve-


ce l’interesse di Borromini per l’architettura fiorentina, con notazioni non scontate nel-
l’Opus architectonicum e tangenze in tanti dettagli compositivi, come già evidenziato
da Portoghesi 69, e con rapporti diretti attraverso architetti e maestranze (Agostino e
Bernardino Radi, Luigi Arrigucci), e committenti (il marchese Gabriello Riccardi): nuo-
vi dati su questi temi vengono ora evidenziati nelle ricerche di Marisa Tabarrini 70.
La vistosa presenza in Toscana di due dei principali artefici del rinnovamento del
linguaggio architettonico del Seicento romano mantiene vivo un interscambio se-
colare, in cui si inscrive il flusso continuo di presenze toscane a Roma (e nei can-
tieri berniniani in particolare) 71, e romane in Toscana: se si muovono autonoma-
mente Camillo Arcucci, Carlo Rainaldi, G.B. Contini e altri, è attraverso il rappor-
to privilegiato con Pietro da Cortona, Bernini e Borromini che si può leggere la vi-
cenda dei Radi cortonesi, e poi di Ciro Ferri; sulla scia degli incarichi berniniani a
Siena e a Pistoia troviamo attivi in vari centri toscani Carlo e Francesco Fontana,
Simone Felice Delino, Mattia De Rossi. Più tardi, Filippo Juvarra, che a Firenze stu-
dia e disegna le chiese brunelleschiane (“La Chiesa di S. Spirito è al mio parere una
assai bella Architettura vista da me più volte”) e il fronte del moderno palazzo Pan-
ciatichi di Francesco Fontana, per il quale avanza forse proposte progettuali 72, di-
viene protagonista, per una breve stagione, del rinnovamento del panorama archi-
tettonico lucchese, vivace crocevia artistico e architettonico, insieme all’adiacente
ducato dei Cybo, tra realtà padana, genovese, romana, e d’oltralpe.

28 MARIO BEVILACQUA
18. Firenze, S. Frediano in Cestello. Interno (1679-1698).

Esempi meno noti possono aiutare a chiarire la complessità del fenomeno, e lo stato
ancora embrionale delle ricerche. Giulio Cerruti (doc. 1640 circa-1690 circa) è a Fi-
renze in varie occasioni, presentato a corte da Lorenzo Magalotti su segnalazione di
Paolo Falconieri già nel 1665 73, e coinvolto in vari cantieri (S. Firenze, coro di S. Ma-
ria Maddalena de Pazzi); nel 1675-1679 progetta la ricostruzione di S. Frediano in Ce-
stello, poi completata con la cupola da Antonio Ferri (figg. 17, 18): nella recente mo-
nografia sulla chiesa il suo ruolo è semplicemente ignorato. Cerruti, variamente ricor-
dato con le qualifiche di “colonnello”, “ingegnere della Camera Apostolica”, “sopra-
stante alle fortezze pontifice”, è un artefice di origine svizzera versatile e noto nel pa-
norama dell’Italia del secondo Seicento, continuamente richiesto e inviato in missio-
ni e consulenze: collabora a Roma nei cantieri chigiani al fianco di Bernini 74, rileva
chiese e propone progetti redigendo un album di disegni dedicato a Ferdinando II 75;
è impegnato come tecnico ingegnere e idraulico in pianura padana, nel Lazio e nei
porti di Civitavecchia e di Ancona 76; è registrata la sua attività come architetto mili-
tare a Genova 77 e a Ragusa/Dubrovnik, dove è inviato dal papa dopo il terremoto del
1667 78. La sua stretta collaborazione con Carlo Fontana, ancora da mettere a fuoco,
dovette essere qualificata, se Johann Lukas von Hildebrandt può ricordare, durante i
suoi anni di formazione a Roma nello studio di Fontana, il discepolato presso Cerru-
ti: una personalità vivace di tecnico cosmopolita e stimato, dunque, ancora in attesa
di essere messa a fuoco. Il progetto della chiesa cistercense fiorentina mostra una di-
retta derivazione dalla tipologia longitudinale gesuita, ampio transetto e coro allunga-

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to, con tre cappelle passanti per lato, a pianta quadrata con angoli smussati; l’interno
è scandito da arcate su pilastri, e paraste composite che sorreggono una trabeazione
aggettante in corrispondenza dei pilastri di snodo col transetto. Pur nella sua lineari-
tà, il disegno di Cerruti venne comunque inviato a Roma e sottoposto all’approvazio-
ne di Carlo Fontana 79. Più che la modularità della pianta e il nitore dell’ordine inter-
no di paraste, colpisce la volontà scenografica di inserimento della chiesa nella città,
ribaltandone l’orientamento, aprendo la nuova facciata, rimasta peraltro non esegui-
ta, verso il fiume, “nella più bella veduta della cità”, come Cerruti stesso si esprime 80.
Analoga a quella di Cerruti è la vicenda dell’ingegnere olandese Cornelis Meyer
(1630-1702), dal 1675 a Roma con incarichi di responsabilità nella gestione delle
acque del Tevere, dei porti, delle paludi Pontine, presente anche a Venezia 81 e lun-
gamente attivo Livorno, nel 1684-1691, dove propone progetti ed esegue il primo
rilievo della città, pubblicato a Roma nel suo Nuovi ritrovamenti… nel 1696 82.
Il vivace interscambio con Roma interessa, nel Seicento, tutta la cultura architettoni-
ca toscana, con artefici che viaggiano frequentemente e si spostano tra le due capi-
tali per ragioni diverse, spesso legate, oltre che a motivi di studio, a interessi della
committenza, consulenze, contingenze di affari o di devozione, come i viaggi di Giu-
lio Parigi a Loreto, dove Cosimo II lo incarica della progettazione di un palazzo-ostel-
lo mediceo, e di Gherardo Silvani a Roma. Nel corso del Seicento il soggiorno di ar-
chitetti fiorentini a Roma è legato anche alla manutenzione e progettazione del vasto
e rappresentativo patrimonio granducale (villa Medici, palazzo Madama, palazzo Fi-
renze). Dopo la breve esperienza dell’Accademia Medicea, chiusa nel 1686, la prati-
ca del soggiorno di studio a Roma resta usuale, testimoniata in alcuni casi da docu-
mentazione ricchissima dei percorsi formativi tra le fabbriche antiche e moderne: il
taccuino romano del giovane Ignazio Del Rosso (1696-1731), allievo di Foggini e pro-
tetto poi da Giovan Battista Nelli, conserva dettagli da Bernini, Pietro da Cortona e,
soprattutto, Borromini 83; il senese Jacomo Franchini (1664?-1736) probabilmente eb-
be solo la possibilità di studiare l’architettura moderna di Roma copiando le incisio-
ni di Ferrrerio e Falda e dello Studio di Architettura civile del De Rossi 84.
Proprio il vivace ambiente architettonico senese, che a Roma aveva già visto muo-
versi nel primo Seicento Sergio Venturi e Fausto Rughesi, vede la formazione di Se-
bastiano Cipriani e Paolo Posi, poi professionisti di successo a Roma; Niccolò Na-
soni, allievo a Siena di Nasini e Jacopo Franchini ed esponente della solida scuola
di quadraturisti toscani precocemente sviluppatasi al fianco di quella bolognese, di-
venterà affermato architetto a Oporto e nel Portogallo settentrionale. A Firenze, la
scuola di Foggini forma uno stuolo di architetti che contribuisce in modo essenzia-
le al profondo rinnovamento della cultura architettonica romana ed europea del pri-
mo Settecento: Ferdinando Fuga e Alessandro Galilei, protagonisti del pontificato
di Clemente XII Corsini; e poi Servandoni a Parigi, Rastrelli a San Pitroburgo. La
cultura carrarese del marmo vede esplodere il fenomeno internazionale dei Baratta.

Accademia e accademie
Nel 1667 Ferdinando II aveva inviato Pier Maria Baldi, già allievo a Firenze del Vol-
terrano e di Ferdinando Tacca, a perfezionarsi a Roma, raccomandandolo a Berni-
ni e Pietro da Cortona 85, in vista dell’incarico di disegnatore ufficiale al seguito del

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principe Cosimo nei suoi viaggi europei nel 1668-1669. Baldi sarà poi attivo nelle
principali fabbriche granducali, a Firenze e a Livorno, sviluppando, nelle poche ope-
re autonome, un linguaggio consapevolmente rigoroso e austero (ampliamento di
palazzo Medici per i Riccardi; chiesa e convento di S. Pietro in Alcantara a Mon-
telupo Fiorentino).
La necessità di una formazione romana ed europea per gli artisti toscani diviene un
tema dibattuto, e Cosimo III, accompagnato nei suoi lunghi viaggi giovanili da quel-
li che diventeranno tra i suoi più ascoltati collaboratori – Filippo Corsini, Paolo Fal-
conieri, Lorenzo Magalotti – investe grandi risorse in viaggi e soggiorni di forma-
zione: per le arti promuove la fondazione dell’Accademia Medicea a Roma nel 1673,
dove la formazione architettonica è comunque subordinata all’attività scultorea, ve-
ro fulcro su cui si innesta il rinnovamento delle arti toscane tra Seicento e Sette-
cento. Per il rinnovamento della cultura tecnica si rivolge ai nuovi poli d’oltralpe,
dalla Francia all’Olanda, all’Inghilterra 86. In questi paesi – “le province più culte
d’Europa” – la missione ufficiale intrapresa da Pietro Guerrini per conto di Cosi-
mo III nel 1682-1686, ad oggi la più documentata, ha lo scopo di reperire infor-
mazioni su “tutto quanto le altre nazioni abbiano d’industrioso e di singolare in ogni
genere di fabbrica, o sia civile o militare, ma specilamente d’operazioni meccani-
che, edifizzi, macchine e strumenti ordinati al governo e maneggio delle acque o
correnti o stagnanti” 87 (figg. 19, 20).
L’esperienza dell’Accademia Medicea a Roma (1673-1686) stigmatizza una sentita esi-
genza di rinnovamento, internazionalizzazione e indipendenza dagli ambienti acca-
demici locali, e sottolinea il fervore di iniziative e le ambizioni dei primi anni del re-
gno di Cosimo III. Coordinata da Ciro Ferri e Ercole Ferrata, attentamente sovrin-
tesa da Firenze dal colto segretario granducale Apollonio Bassetti, e a Roma da Pao-
lo Falconieri, l’Accademia istituzionalizza il soggiorno di studio romano sull’espe-
rienza dell’Académie de France voluta pochi anni prima da Colbert. Ne usufruisco-
no diversi giovani pittori e scultori – mentre non si ritiene necessario riservare posti
per l’architettura – tra cui Foggini, che emergerà poi come protagonista del panora-
ma fiorentino e toscano tra Seicento e Settecento. Non sono purtroppo pervenuti i
tanti disegni di fabbriche romane antiche e moderne realizzati da Foggini (“fece al-
tr’e tanto studio sopra l’antiche e moderne architetture, misurando ogni membro di
esse e riducendole in disegno alla loro giusta misura e proporzione”) 88, e l’ipotizza-
to rapporto tra l’attività dell’Accademia, i disegni quotati conservati al Gabinetto dei
Disegni e Stampe degli Uffizi e la pubblicazione a Roma dei volumi di Disegni di va-
ri altari e cappelle nelle chiese di Roma e dello Studio d’architettura civile degli edito-
ri Giovanni Giacomo e Domenico De Rossi (1684, 1702-1721) non è al momento
precisabile 89; il breve trattato di architettura steso per gli allievi dell’accademia da
Giovanni Leoncini, “architetto e cittadino fiorentino” ma lungamente attivo a Ro-
ma 90, offre alcuni spunti di originalità in relazione ad aspetti pratici e funzionali 91.
Il ruolo del disegno nell’architettura fiorentina e toscana del Seicento mantiene al-
to il significato di strumento principe di elaborazione progettuale, di studio e tra-
smissione di conoscenza, ormai codificato dalla cultura rinascimentale. La pratica
del disegno tecnico, di studio e di presentazione dell’architettura è diffusa, e inte-
ressa la formazione accademica, la documentazione di progetto, l’attività amatoria-

ARCHITETTI E COSTRUTTORI DEL BAROCCO IN TOSCANA 31


19. PIETRO GUERRINI. Imbarcazione con attrezzatura per svuotare il fondo dei canali olandesi (disegno;
ASF da F. Martelli 2005).

le e l’educazione 92, anche se poi, trovando meno riscontro nella pratica collezioni-
stica, ha lasciato tracce decisamente meno evidenti rispetto alla stagione rinasci-
mentale: di alcuni protagonisti, come Giulio Parigi e Gherardo Silvani, di fatto non
si conoscono che pochissimi elaborati grafici; mentre nel vasto corpus di grafica di
un ottimo disegnatore come Giovanni Battista Foggini mancano disegni di stretto
carattere architettonico 93. Viaggiatori e collezionisti stranieri, come gli svedesi Da-
hlberg e Tessin, hanno episodicamente raccolto anche fogli toscani del Seicento, men-
tre carattere enciclopedico e documentario hanno le raccolte di John Talman 94 e
l’enorme Atlas universel del barone Stosch, residente a Firenze dagli anni ’30 del
Settecento fino alla morte nel 1757, con una ricca sezione fiorentina e toscana 95. È
noto che le vere e proprie raccolte di fogli di architettura sono di formazione tarda,
e conservano esempi seicenteschi come corollario ai principali maestri del Rinasci-
mento 96. A Firenze la collezione di Giovanni Battista e Giovanni Battista Clemente
Nelli, in cui erano confluiti nuclei di disegni più antichi appartenuti a Vincenzo Vi-
viani e a Gherardo e Pierfrancesco Silvani, ma pochissimi fogli seicenteschi, è agli
Uffizi dalla fine del Settecento 97; a Siena l’interesse per la cultura architettonica lo-
cale muoveva intellettuali e bibliotecari a raccogliere materiale grafico confluito al-
la Biblioteca degli Intronati 98. La pratica di conservare e raccogliere fogli di archi-
tetti del Seicento doveva però avere una certa diffusione, in ambiti e con fini diver-
si: i nuclei di studio di professionisti affermati come Domenico Martinelli e Jacomo
Franchini sono rimasti intatti 99; Filippo Baldinucci e Francesco Maria Niccolò Gab-
burri avevano raccolto, nelle loro ricche collezioni di grafica, anche fogli di archi-
tettura e quadratura 100. Foggini possedeva disegni rilegati in volume, e tomi di stam-
pe “di tutti i Palazzi di Roma” e “delle cappelle più singolari di Roma”. Nella col-

32 MARIO BEVILACQUA
20. PIETRO GUERRINI. Macchina per trasportare l’acqua dalla Senna al parco di Versailles (disegno Firenze,
Archivio di Stato, da F. Martelli 2005).

lezione di disegni dei Martelli Gabburri ricorda i fogli architettonici di Alessandro


Pieroni, e importanti volumi di disegni di architettura, alcuni di Carlo Fontana, era-
no presso i Panciatichi, oggi alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze 101. Nel
Settecento la presenza di raccolte di grafica con fogli di architettura non doveva es-
sere inusuale; accanto a quelle principali si poneva una pratica di raccolta di mate-
riale anche diseguale, come testimonia una miscellanea di disegni fiorentini e tosca-
ni del Seicento-Settecento (con fogli di Ruggieri e Zocchi accanto a elaborati anche
molto modesti), composta a Firenze entro il 1772, e conservatasi nella fitta presen-
tazione a collage in volume, oggi all’Istituto Nazionale per la Grafica 102 (fig. 21).
Nei primi decenni del Seicento molti pittori e architetti hanno tenuto corsi privati
a pagamento di disegno, prospettiva, incisione, architettura civile e militare: nella
sua scuola (“o vogliamo dire accademia”, come Baldinucci nobilita), Giulio Parigi
“leggeva Euclide, insegnava le meccaniche, prospettiva, architettura civile e milita-
re, e un bello e nuovo modo di toccar di penna vaghissimi paesi. Questa accademia
non solamente era frequentata da 7 suoi figliuoli […] e da tutta la nobiltà fiorenti-
na, ma erasi già fatta così famosa per l’Europa, che venivano apposta principi e gran
cavalieri italiani e oltramontani, e si stanziavano nella nostra città solamente per fre-
quentarla, e per apprenderne quelle nobili scienze e discipline” 103: oltre al futuro
granduca Cosimo II e molti membri del patriziato che poi si sarebbero dedicati al-
l’architettura civile e militare (Ludovico Incontri, Alessandro Dal Borro), vi stu-
diarono nel loro soggiorno fiorentino Joseph Furttenbach, che nel suo Architectu-
ra civilis edito nel 1628 diffonde in incisione il modello della reggia di Pitti (figg. 4-7);
e probabilmente Inigo Jones, affascinato dalla qualità delle feste e dell’effimero tea-
trale alla corte dei Medici.

ARCHITETTI E COSTRUTTORI DEL BAROCCO IN TOSCANA 33


L’Accademia fiorentina del Disegno impone una standardizzazione dei modelli, e si
pone come luogo deputato di confronto e discussione sui temi del linguaggio e del-
la tradizione architettonici. In occasione del concorso di idee per la costruzione del-
la facciata del duomo, l’Accademia arriva a imporre un proprio modello, opponendosi
alla volontà granducale. Nel 1630 Ferdinando II aveva infatti deciso di mettere in
esecuzione il primo modello di Dosio, nella evidente intenzione di creare un insie-
me “moderno” e stilisticamente uniforme col palazzo Arcivescovile. La decisione
venne da più parti contestata: Sigismondo Coccapani, influente consulente artisti-
co a corte e autore di interessanti disegni già attribuiti al suo maestro Cigoli, fu stre-
nuo difensore di una composizione a tre ordini, più consona a raccordarsi col di-
segno dei fianchi, e ritenuta espressione di una tradizione “fiorentina” e michelan-
giolesca da cui non era possibile derogare:

che si dovesse mantenere la facciata di tre ordini, affine di discostarsi quanto faceva di
bisogno, e non più dal concetto di Arnolfo, che in Gottica maniera volle seguitare l’an-
tica direzione del padre suo, che fu di comporre tutto l’esteriore di quel Tempio di tre
ordini. Fu anche d’opinione, che nell’elezione da farsi, si stesse nella maniera Fiorentina
interamente, ad esclusione d’ogni altra: e davane per ragione, l’aver tutti gli stranieri, che
bene hanno operato, presa la ottima maniera del Buonarroti; onde nel tempo che si pra-
ticavano davanti al Gran Duca i congressi, sforzavasi di far conoscere tal verità cogli
esempli delle facciate delle Romane chiese, cioè a dire del Gesù, di Santa Susanna, di San
Luigi de Franzesi, e d’altre a queste somiglianti 104.

La proposta di Gherardo Silvani, con originali raccordi angolari ottagoni di dise-


gno gotico (fig. 3), è anch’essa contestata, e l’Accademia viene ufficialmente inve-
stita dal granduca del compito di elaborare un nuovo modello, in cui si accoglie la
proposta di Silvani di un fronte marmoreo con significative riprese dei motivi a in-
tarsio bicromo delle fiancate. Tra polemiche e controversie i lavori si interrompo-
no, e solo nel 1645 è ricordato il desiderio di Ferdinando II di superare ogni veto
chiedendo, forse consciamente a fini dilatori, un “disegno della facciata” a Pietro
da Cortona 105.
Nel confronto polemico seguito alle difficoltà decisionali, del resto comuni ai di-
battiti sul completamento moderno di tanti cantieri gotici italiani, dal duomo di Mi-
lano a S. Petronio a Bologna, al caso specifico di Siena, in cui si riconfigura la piaz-
za del Duomo col nuovo palazzo Vescovile, la specificità della vicenda fiorentina
sembra riconducibile al ruolo preponderante svolto dal sovrano sulla Curia arcive-
scovile e – attraverso la figura dell’“Operaio a beneplacito di S.A.S.”, nominato a
vita dal Granduca – sull’Opera del Duomo. La Curia e l’Opera sembrano assume-
re posizioni defilate e sostanzialmente ininfluenti, mentre le posizioni dell’Accade-
mia e della cultura artistica locale impongono le ragioni di una – vera o supposta –
tradizione fiorentina e michelangiolesca, poi elusa dalla rapida realizzazione, in oc-
casione del matrimonio tra il gran principe Ferdinando e Violante Beatrice di Ba-
viera nel 1688, di una facciata dipinta 106.
Il riconoscimento ufficiale del potere decisionale dell’Accademia del Disegno, dal-
la sua fondazione un organismo importante nell’elaborazione delle linee ufficiali del-
le politiche culturali 107, richiama un confronto ineludibile col ruolo normativo che

34 MARIO BEVILACQUA
21. Disegni architettonici e per elementi decorativi, Firenze XVIII secolo (Roma, Istituto Nazionale per la Grafica,
Collezione Osio).

per la lingua è assegnato all’Accademia della Crusca, in un parallelismo significati-


vo e dai risvolti ancora da approfondire.
I consessi accademici toscani del Seicento hanno favorito la diffusa sensibilità per
l’architettura in una polverizzazione di esperienze che ha significato ricchezza e
debolezza insieme: a Siena emerge il caso del matematico e filosofo Teofilo Gal-
laccini, e della fortuna postuma dei suoi scritti di architettura, iniziata significati-
vamente a Venezia nella prima metà del Settecento nell’ambito dei circoli eruditi
del console Smith 108; a Firenze quello del matematico, pittore e architetto Cosi-
mo Noferi, autore di un trattato tecnico intitolato Travagliata architettura, anima-
tore dell’effimera esperienza dell’Accademia della Vachia 109. Recentemente ap-
profonditi, non sono che episodi di particolare significato in un contesto regiona-
le in cui si evidenzia la specificità di una riflessione teorica fortemente incentrata
su temi matematici e scientifici, in cui forte è il richiamo consapevole alla figura
carismatica di Galileo.

ARCHITETTI E COSTRUTTORI DEL BAROCCO IN TOSCANA 35


L’immagine tradizionale di una cultura architettonica stretta tra conservatorismo e
mancanza di occasioni non valorizza correttamente tutti quegli aspetti di vitalità
propositiva, di vivace interscambio e complessa contaminazione che caratterizzano
la multiforme realtà della Toscana del Seicento, su cui i saggi raccolti in questo vo-
lume vogliono proporre alcuni nuovi spunti di riflessione. Il ruolo di attrazione di
Firenze, sede di una corte ambiziosa e sfarzosa, erudita capitale delle arti in grado
di imporsi ancora come modello in Italia e in Europa, “Madre e Nutrice di tutte
l’Arti più belle” 110, è vitale per buona parte del Seicento: architetti e viaggiatori stra-
nieri vi studiano l’architettura moderna e le moderne tipologie della reggia di Pit-
ti, della Cappella dei Principi, delle piazze dinastiche con le statue equestri dei so-
vrani 111. La ricca tradizione culturale di centri urbani vivaci e autonomi; il radica-
mento e l’espansione degli ordini religiosi; la tradizionale consuetudine e propen-
sione del patriziato al patrocinio delle scienze e delle arti; il ruolo delle accademie,
da quelle più specificamente legate alle arti a quelle che più, nel Seicento, sembra-
no aver esercitato un’influenza generale sulla cultura dell’architettura, dalla Crusca
all’eredità galileiana del Cimento: sono questi alcuni tra i principali fattori di con-
fronto e apertura in una realtà che in modo naturale si pone come area di scambio
e mediazione al centro dei principali percorsi di attraversamento della penisola, e
che dai primi decenni del Settecento avrà un ruolo decisivo nel rinnovamento del-
la cultura architettonica italiana. Sono questi, ritengo, i temi su cui la ricerca dovrà
riflettere per approfondire le specificità dell’architettura toscana del Seicento, nel
suo ruolo di rigido controllo della tradizione e di difesa del primato nelle arti co-
dificato nel secolo precedente, nel suo dialogo serrato con le corti italiane – Torino
in primo luogo, ma anche Parma, Modena, Napoli – e con le grandi capitali del-
l’assolutismo europeo, con centri autonomi e fortemente legati alla tradizione come
Venezia 112, nel suo diretto, secolare interscambio con Roma.
Firenze e la Toscana del Seicento vanno dunque inquadrati in orizzonti più vasti, in
cui temi e problemi spesso elusi o limitati da una visione strettamente locale, possa-
no trovare una collocazione meno sfuocata nella multiforme geografia del Barocco.

* Questo saggio raccoglie spunti di riflessione pre- costante confronto e le preziose indicazioni.
1
paratori per una vero e proprio Repertorio biografico P. BAROCCHI 1975; T. MONTANARI 2006; T.A. MAR-
di architetti e costruttori toscani attivi in età baroc- DER 2008.
2
ca, nell’ambito delle ricerche svolte per l’Atlante del P. BAROCCHI 1975; E.L. GOLDBERG 1988; F. CON-
Barocco in Italia, ideato e coordinato da Marcello Fa- TE 2009, con ampia bibliografia.
3
giolo, il cui primo volume sulla Toscana è stato pub- P. BAROCCHI 1975; F.S. BALDINUCCI 1975.
4
blicato nel 2007 (M. BEVILACQUA, G.C. ROMBY 2007). Cfr. ora M. BURIONI 2009.
5
La bibliografia indicata è volutamente limitata alle N. BARBOLANI DI MONTAUTO 2006, e i saggi nei pri-
opere di riferimento principali; per i dati biografici mi due numeri (2008 e 2009) di “Studi di Memo-
essenziali degli architetti citati si rimanda al Reperto- fonte” (www.memofonte.it). Per un’ampia conte-
rio degli architetti e operatori del cantiere barocco in stualizzazione vedi E. PELLEGRINI 2006a. Le Vite, con-
M. BEVILACQUA, G.C. ROMBY 2007, pp. 625-633. servate nei codici del Fondo Palatino E.B.9.5, I-IV
Per una rassegna della storiografia architettonica fio- della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, sono
rentina e toscana del Seicento rimando a M. BEVI- ora trascritti integralmente e consultabili sul sito in-
LACQUA 2007a. Ringrazio Emanuela Ferretti per il ternet della Biblioteca.

36 MARIO BEVILACQUA
6
F.S. BALDINUCCI 1975. tiplicati; vedi almeno W. SHEA 1985; C. DAMIANAKI
7
Sull’architettura fiorentina della metà del Settecen- 2000; H. BREDEKAMP 2007; L. TONGIORGI TOMASI,
to vedi almeno M. DEZZI BARDESCHI 1976; C. CRE- A. TOSI 2007 e 2009.
33
STI 1987; A. GUERRA 2000. Cfr. A PELLICANÒ 2000; M. VALLERIANI 2010.
8 34
R. SPINELLI 2003, pp. 16-20. A. RINALDI 2002 e 2010.
9 35
F. BALDINUCCI, V, p. 400. M. BEVILACQUA, G.C. ROMBY 2007, pp. 399-400.
10 36
R. SPINELLI 2003. C. LATTANZI 1991; e il suo saggio in questo volume.
11 37
S. BELLESI, M. VISONÀ 2008, I, pp. 209-221. D. LAMBERINI 1980; e il saggio di Daniela Smalzi
12
Tra gli esempi più recenti, cfr. ad esempio B. CON- in questo volume.
38
TARDI, G. CURCIO 1991; G. MAZZI, S. ZAGGIA 2004. F. FREDDOLINI 2010a; e il suo saggio in questo vo-
13
D. TOCCAFONDI, C. VIVOLI 1987; A. GUARDUCCI lume.
39
2006. Cfr. almeno S. DELLA TORRE, T. MANNONI, V.
14
G.C. ROMBY 2007a. PRACCHI 1996; G. CURCIO 1999; T. MANFREDI 1999;
15
F. QUINTERIO 1999-2000; R. SPINELLI 2007. M. FAGIOLO, G. BONACCORSO 2008.
16 40
F. FARNETI, S. BERTOCCI 2002. A. GAMBUTI 1973; S. TUZI 2002.
17 41
G. BALDINUCCI 2001, p. 70. D. LENZI, J. BENTINI 2000.
18 42
M. GEMIN 1982, pp. 192-193: lettera del residen- Su don Giovanni vedi ora le nuove riflessioni di B.
te veneziano a Firenze Marcantonio Padavin (Archi- DOOLEY 2004 e 2006, e il saggio di Alessandro Ri-
vio di Stato di Venezia, Consultori in jure, filza 410), naldi in questo volume.
43
da Firenze, 28 dicembre 1630, poi ripreso dalla bi- K. LANGEDIJK 1981-1987.
44
bliografia successiva (A. HOPKINS 2000, p. 17; M. BAV, Barb. lat. 4264; S. SCHÜTZE 1994; S. MCPHEE
FRANK 2004, pp. 144, 442-443). 2002, pp. 186-187.
19 45
P.P. RUBENS 1622. L. OLIVATO 1970. Per queste figure di intellettua-
20
M.-N. BAUDOUIN-MATUSZEC 1991, pp. 187-188; C. li e architetti dilettanti nei decenni a cavaliere fra ’500
MIGNOT 2003, p. 37; cfr. ora S. GALLETTI 2010. In- e ’600 vedi D. PEGAZZANO 1998.
46
teressante il riconoscimento del modello fiorentino P. WADDY 1975 e 1976; J. COLE 2007.
47
anche per una tipologia come il “serraglio” di ani- M. BEVILACQUA 2007a; J. COLE 2007.
48
mali selvaggi (A. COJANNOT 2009). F. MARTELLI 2005; cfr. anche F. FREDDOLINI 2003.
21 49
G. SPINI 1976; C. VIVOLI 1998; E. FERRETTI 2008. H. KANAYAMA 1998; M. BEVILACQUA 2007c.
50
ASF, Misc medicea, 413, Teatro di grazia e giustizia M. Bevilacqua, Palazzo Pitti, in M. BEVILACQUA,
ovvero formulario de rescritti a tutte le cariche… il- G.C. ROMBY 2007, pp. 402-405; sul tema rimando a
lustrato di varie notizie da Niccolò Arrighi, 1695, cit. uno studio di Cinzia Maria Sicca in corso di pubbli-
da F. MARTELLI 2005). cazione.
22 51
G.C. ROMBY 1982; G. CASCIO PRATILLI, L. ZAN- C. ACIDINI LUCHINAT 1984; M. BUTZEK 1996; G.
GHERI, IV, 1998. MOROLLI 1999 e 2002; A. ANGELINI, M. BUTZEK, B.
23
Livorno e Pisa 1980; D. MATTEONI 1985; L. FRAT- SANI 2000; i saggi di K. Güthlein, G. Morolli, R. Pa-
TARELLI FISCHER 2006; A. PROSPERI 2009. gliaro, F. Rotundo in O. BRUNETTI, S.C. CUSMANO,
24
Per l’istituzione e il funzionamento dell’Ufficio del- V. TESI 2002; F. ROTUNDO 2003; M.A. ROVIDA 2003a
la Fabbrica di Livorno, il cui archivo è andato per- e 2003b; B. MUSSARI 2004 e 2005-2006; F. Rotundo
duto, vedi E. FASANO GUARINI 1980. e M.A. Rovida in M. BEVILACQUA, G.C. ROMBY 2007,
25
F. MARTELLI 2005, I, passim. pp. 579-587; D. DANESI, M. PAGNI, A. PEZZO 2009.
26 52
R. SPINELLI 2003, pp. 147-169; E. Ferretti in M. G. ARRIGHI 1982-84; H. LORENZ 1991; A. SCOTTI
BEVILACQUA, G.C. ROMBY 2007. 2006.
27 53
La citazione è tratta dalle Vite di Gabburri. Cfr. I. BELLI BARSALI 1980; G. GRITELLA 1992; M. FA-
anche Saur Allgemeines Künstler-lexikon, 36, Mün- GIOLO 1993; M.A. GIUSTI 1993a.
54
chen 2003, pp. 536-537, e il saggio di Francesco Fred- M.A. GIUSTI 1993b; M. FAGIOLO 2000; schede di
dolini in questo volume, da cui traggo la precisazio- Diana Lomas in V. CAZZATO 2009, II, pp. 544-546 e
ne della data di nascita. 557-558.
28 55
F. MARTELLI 2005, pp. XXII-XXIII. Dalle memorie d’huomini illustri in lettere della Re-
29
ASF, Capitani di Parte, n.n., 1489, c. 6. ligione de PP. Barnabiti si ricavano le seguenti notitie
30
D. LAMBERINI 1990; G. SALVAGNINI 1983; E. FER- del Padre d. Gio. Ambrogio Mazzenta, prima metà del
RETTI, G. MICHELI 1999. XVII secolo, in I. CAMPBELL 2004, p. 766.
31 56
A. PELLICANÒ 2005; H. SCHLIMME 2006; F. CAME- Per le opere livornesi vedi le schede di E. Ferretti
ROTA 2007, con ampia bibliografia precedente. in E. FERRETTI, L. FRATTARELLI FISCHER 2007; per i
32
Dopo le pionieristiche ricerche di E. PANOFSKY disegni per la cappella dei Principi A. Morrogh in M.
1954, gli studi su Galileo e le arti visive si sono mol- OLIN, L. HENRIKSSON 2004, pp. 98-99.

ARCHITETTI E COSTRUTTORI DEL BAROCCO IN TOSCANA 37


57
R. BÖSEL 2003. se nel primo complimento mi sentivo dar del coglio-
58
R. BÖSEL 1985 e 2003; M. BENCIVENNI 1992 e 1996; ne, correvo risico di rompergli il mostaccio con un
59
B. Contardi in B. CONTARDI, G. CURCIO 1991, p. 412. sosgoppone [?], e sai non trascurare quest’antefatto
60
L. MAGGI 1999. con tutti quelli a quali tu lo invii, perché è facilissi-
61
A. CISTELLINI 1970; C. COFFEY 1976; le comples- ma cosa, che una volta tu gli voglia proccurare un
se vicende del progetto di Cortona sono riassunte da amico, e gli proccuri un pugno in un occhio, che l’ac-
J. MERZ 2008, pp. 115-117. ciacchi. Intanto per liberarlo dalla forca (che sareb-
62
Sui progetti architettonici di Cortona a Firenze: M. be peggio) ho dato al Principe di Toscana, e al Prin-
CAMPBELL 1998; A. CERUTTI FUSCO, M. VILLANI cipe Leopoldo l’antidoto della sincerità tedesca, con-
2002; J. MERZ 2007 e 2008. tro l’apparenza dell’impertinenza, e mi protestai ap-
63
Disegni di vari altari e cappelle nelle chiese di Ro- punto con l’altro che s’era a pescare, coram tutta la
ma con le loro facciate fianchi piante e misure de più corte, che se toccano del ecc. io non ci voglio essere
celebri architetti, Roma, Giovanni Giacomo De Ros- a nulla. Tutti e due mi risposero di contentarsene. Il
si: “Altare maggiore nella chiesa dell’Angeli delle mo- Granduca camminava innanzi, e non sentì, ma prima
nache di Santa Maria Madalena de Pazzi di Firenze. che lo conduca all’udienza lo dirò anche a lui. Co-
Architettura del celebre pittore Ciro Ferri romano”; minciai poi a dir le sue lodi, e a legger quello, che tu
“Fianco della cappella maggiore nella chiesa del- me ne scrivevi, che a vederlo disegnare d’architettu-
l’Angieli [sic] delle monache di S.a Maria Madalena ra militare, e civile innamora propriamente. Mi do-
de Pazzi in Firenze. Architettura del celebre pittore mandò il Principe se nella criminale era così franco.
Ciro Ferri romano”; cfr. G. MOROLLI 1987. Gli dissi, che credevo di sì perché nelle fortezze si
64
Cfr. il saggio di Marisa Tabarrini in questo volume. fabbricano anche delle prigioni, e di trabocchetti”
65
M. FAGIOLO 2002. (Magalotti a Falconieri, da Firenze, 19 maggio 1665;
66
A. ANGELINI 1998; G. MOROLLI 1999c e 2002; A. Archivio Carpegna Falconieri, lettere di Lorenzo Ma-
ANGELINI, M. BUTZEK, B. SANI 2000; R. PAGLIARO 2002. galotti a Paolo Falconieri).
67 74
O. SIRÉN 1914, pp. 150-152, fig. 80; M. LAINE, B. A. ANGELINI, M. BUTZEK, B. SANI 2000.
75
MAGNUSSON 2002, pp. 279-280. Cfr. il saggio di Da- M. TAFURI 1973, p. 120; l’album di disegni è con-
niela Arrigucci in questo volume. servato nell’archivio Falconieri di Carpegna.
68 76
L’interesse per il cantiere di Spicchio (S. ROBERTO ASV, fondo Benincasa, 6, cc. 1-9: lettere di Cerru-
2004) è dimostrato anche da un disegno con pianta ti a Stefano Antonio Benincasa, da Roma, dal 17 ago-
e prospetto della villa tra le carte del segretario gran- sto all’8 ottobre 1695.
77
ducale Apollonio Bassetti, delegato alle più impor- L.C. FORTI 1988, p. 134.
78
tanti questioni artistiche (ASF, Miscellanea Medicea, P. Markovic in Saur Allgemeines Künstlerlexikon,
368, c. 833). 17, 1997, pp. 616-617.
69 79
P. PORTOGHESI 1966. ASF, Corporazioni religiose soppresse, 425, n. 80
70
Cfr. quanto già anticipato in M. TABARRINI 2008, e (cit. in C. CRESTI 1990, p. 213; L. CONTI, M. NIC-
nel suo saggio in questo volume. COLUCCI CORTINI, M.F. VADALÀ LINARI 1997, p. 157).
71 80
F. QUINTERIO 2002, peraltro più incentrato sul ruo- L. CONTI, M. NICCOLUCCI CORTINI, M.F. VADALÀ
lo degli scultori. LINARI 1997, p. 188; M. BEVILACQUA 2007a.
72 81
Cfr. la proposta progettuale per palazzo Panciati- Scheda in B. CONTARDI, G. CURCIO 1991, pp. 400-
chi in G. GRITELLA 1992 (I, pp. 56, 59, 128), che ora 401; R. BERVEGLIERI 1985; A. CADEI 2002.
82
Giovanna Curcio assegna invece a palazzo Panciati- D. MATTEONI 1985; F. MARTELLI 2005, pp. LXXIV-
chi, già Bolognetti, ora distrutto, a piazza Venezia, e LXXV; L. FRATTARELLI FISCHER 2006, pp. 313-314.
83
T. MANFREDI 2000 al convento dell’Umiltà a Roma; C. CRESTI 1983.
84
il disegno con portale pubblicato da Millon (1984, p. B. MUSSARI 2010.
85
212, MM231) rappresenta comunque il portale del A.M. CRINÒ 1959; F. BÜTTNER 1990.
86
palazzo Panciatichi su via Larga a Firenze (M. BEVI- F. MARTELLI 2005.
87
LACQUA 2007a, p. 31, n. 56). ASF, Mediceo del Principato, 6390, in F. MARTEL-
73
Falconieri raccomanda Cerruti a Magalotti per un LI 2005, pp. XI-XII.
88
impiego a corte a Firenze: “Rispondendo adesso al- F.S. Baldinucci, Giovanni Battista Foggini, in B.
la tua lettera, venga il Cap.o Giulio Cerruti, che sa- SANTI 1979-1981, II, p. 462.
89
rà servito. Dio me la mandi buona, dopo un Inglese Le suggestive ipotesi di G. MOROLLI 1987 vengo-
uno Svizzero” (Magalotti a Falconieri, da Firenze, 5 no ora precisate da S. CIOFETTA 1991.
90
maggio 1665). In occasione della presentazione a Leoncini è documentato come sottomaestro di stra-
Ferdinando II, Magalotti celia sul cattivo carattere di de a Roma almeno dal 1678 (T. Manfredi in B. CON-
Cerruti: “Circa il Cerruti. Hai fatto bene ad avvisar- TARDI, G. CURCIO 1991, pp. 391-392); è ricordato an-
mi innanzi quel suo modo di fare, perché altrimenti che per un trattato di geometria e architettura militare.

38 MARIO BEVILACQUA
91 105
G. LEONCINI 1679 (C. NOCENTINI 1990-91). Sul- A. CERUTTI FUSCO, M. VILLANI 2002; J. MERZ 2008.
106
l’Accademia vedi K. LANKHEIT 1962; E.L. GOLDBERG Sulle cui vicende vedi il saggio di Monica Lusoli
1983 e 1988; C. CRESTI 1984 (ripreso in C. CRESTI 1990). in questo volume.
92 107
Il disegno interrotto 1980; A. MORROGH 1985; M. La recente monografia di K.E. BARZMAN 2000 so-
BENCIVENNI 2001. stanzialmente elude il tema dell’architettura; ma cfr.
93
L. MONACI 1977; R. SPINELLI 2003, pp. 20-21. M. BENCIVENNI 2001; M. BURIONI 2004; L. ZANGHERI
94
C.M. SICCA 2008. 2004; H. SCHLIMME 2006. Per l’elenco degli Accade-
95
G. OREFICE 1999. mici cfr. L. ZANGHERI 2000.
96 108
E. KIEVEN 2001. T. GALLACCINI 1767; A. VISENTINI 1771; A. Pez-
97
E. KIEVEN 2001; M. FILETI MAZZA 2009. zo in G. MOROLLI 1999c, pp. 57-76 A. PAYNE 1999;
98
E. BRUTTINI 2009. M. MADERNA 2000; G. FARA 2007. Cfr. il saggio di
99
A. Dallaj in A. SCOTTI 2006; B. MUSSARI 2009. Roberto Gargiani in questo volume.
100 109
Cfr. N. TURNER 2003. A. PELLICANÒ 2005; H. SCHLIMME 2006.
101 110
L. FINOCCHI GHERSI 1989; A. FLORIDIA 1993. F. BALDINUCCI 1681, p. XI.
102 111
E. Kieven in G. FUSCONI 2006, pp. 108-111. M. BEVILACQUA 2010.
103 112
F. BALDINUCCI, IV, p. 141. Su cui vedi ora la panoramica offerta da A. ROCA
104
F. BALDINUCCI, IV, pp. 416-417. DE AMICIS 2008.

ARCHITETTI E COSTRUTTORI DEL BAROCCO IN TOSCANA 39


Centro di Studi sulla Cultura e l’Immagine di Roma
Università degli Studi di Firenze
Dipartimento di Architettura. Disegno Storia Progetto

ARCHITETTI E COSTRUTTORI
DEL BAROCCO IN TOSCANA
opere, tecniche, materiali

a cura di
Mario Bevilacqua

DE LUCA EDITORI D’ARTE


Centro di Studi sulla Cultura
e l’Immagine di Roma
c/o Accademia Nazionale dei Lincei
via della Lungara, 10 - 00165 Roma
www.culturaimmagineroma.it
Presidente
Paolo Portoghesi
Direttore
Marcello Fagiolo
Segretario scientifico
Maria Luisa Madonna
Assistente alla Direzione
Giancarlo Coccioli
Biblioteca
Anna Capuzzi

Redazione del volume


Giancarlo Coccioli

Pubblicazione realizzata con finanziamento ottenuto


nell’ambito del programma PRIN 2004.
Università di Firenze, Dipartimento di Architettura.
Disegno Storia Progetto.
Sommario

11 MARIO BEVILACQUA
Architetti e costruttori del Barocco in Toscana
41 ROBERTO GARGIANI
I linguaggi e i materiali degli architetti fiorentini del Seicento:
ossatura e paramenti tessili
69 DANIELA SMALZI
Giulio Parigi architetto di corte: la progettazione dell’ampliamento
di palazzo e piazza Pitti
89 ALESSANDRO RINALDI
Matteo Nigetti architetto e il suo doppio
111 STEFANIA SALOMONE
L’attività professionale di Gherardo Silvani tra innovazione e recupero
133 MARISA TABARRINI
Bernini e Borromini: consulenze per l’ampliamento di palazzo Medici Riccardi a Firenze
159 MARIATERESA CONDELLO
Eredità galileiane: Viviani, Nelli, Foggini e la costruzione del palazzo ‘dei Cartelloni’
185 FAUZIA FARNETI
Tradizione e innovazione nell’architettura dell’inganno a Firenze: Niccolò Pintucci
201 MONICA LUSOLI
Pittori di architettura per le facciate dipinte delle chiese fiorentine tra Sei e Settecento
217 FRANCESCO FREDDOLINI
Giovanni Baratta e i cantieri architettonici: decorazione e industria del marmo
tra la Toscana e l’Europa
249 EMILIA MARCORI
Giovanni Antonio Tani stuccatore di architettura a Pescia
269 DANIELA ARRIGUCCI
Benedetto Giovannelli Orlandi architetto senese di papa Alessandro VII Chigi
287 CORRADO LATTANZI
I Bergamini: una dinastia di architetti alla corte ducale di Massa e Carrara

303 Bibliografia
323 Indice analitico
De Luca Editori d’Arte
Cura editoriale
Giuliana d’Inzillo Carranza
con la collaborazione di
Laura Lanari
Coordinamento tecnico
Mario Ara

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ISBN 978-88-6557-019-7

Finito di stampare
nel mese di dicembre 2010
Stampato in Italia - Printed in Italy

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