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12/1/2020 Libero Mail_ Posta ISPI Focus - Taiwan_ due identità al voto Stampa

ISPI <ispi@ispionline.it> 11/1/2020 07:30

ISPI Focus - Taiwan: due identità al voto


A saciarkeo@libero.it

TAIWAN: DUE IDENTIT À AL VOTO


Taiwan si appresta ad affrontare un intenso sabato elettorale. Le elezioni
presidenziali e politiche sono un appuntamento che, ogni quattro anni, riporta
l’attenzione sullo stato di quest’isola, poco più piccola del Bhutan, schiacciata
tra le acque territoriali cinesi e il Mar delle Filippine. La corsa alla presidenza
di Taiwan è infatti sempre più uno scontro tra un’identità taiwanese e un
ritorno alla Cina comunista . Per cosa si vota a Taiwan, e qual è il partito
favorito? Che cosa comportano queste elezioni per Pechino? E che cosa
c’entrano la guerra commerciale e Hong Kong?

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QUALE TERRENO DI SCONTRO?


Sabato 11 gennaio Taiwan si prepara alle quindicesime elezioni
presidenziali e vice-presidenziali , nonché alle elezioni per i 113 seggi
dello Yuan legislativo , la legislatura unicamerale dell’isola. Nonostante sia
spesso identificato dai media taiwanesi come “parlamento”, lo Yuan legislativo
è uno dei cinque rami del governo di Taiwan, secondo i principi della
costituzione dell’isola.

Le ultime elezioni presidenziali si erano svolte nel gennaio 2016 e il


Democratic Progressive Party (DPP), il partito della presidente in carica
Tsai Ing-wen , aveva ottenuto il 56% dei voti contro il 31% ottenuto dal suo
storico oppositore, il Guomindang (GMD), allora rappresentato da Eric Chu, e
il 12,8% del People’s First Party (PFP) di Huang Kuo-chang. La vittoria del
DPP aveva messo fine a otto anni di presidenza del GMD. Anche alle elezioni
per lo Yuan legislativo, tenutesi ancora una volta in concomitanza a quelle
presidenziali, il DPP aveva ottenuto una maggioranza schiacciante e, per la
prima volta nella storia del partito, il DPP aveva conquistato la maggioranza
dei seggi (68 su 113).

Questa maggioranza ha permesso a Tsai, dal 2016 ad oggi, di portare avanti


significative riforme sociali. In primis, nel maggio 2019, Taiwan ha legalizzato il
matrimonio tra persone dello stesso sesso , primo paese in tutta l’Asia. La
presidente Tsai è anche l’architetto della ‘New Southbound Policy ’, un
principio di politica estera e commerciale che prevede una maggiore
diversificazione delle relazioni commerciali taiwanesi con altri partner oltre la
Cina continentale e gli Stati Uniti, da sempre grandi sostenitori di Taiwan. Nel
dicembre 2016, il presidente statunitense Donald Trump e quello taiwanese
scambiarono infatti una breve conversazione telefonica durante la quale Tsai si
congratulò per la vittoria di Trump alle elezioni. La telefonata tra le due cariche
fu la prima dal 1979, anno in cui nacque il ‘ Taiwan Relations Act ’, un
accordo che prevede il sostegno statunitense alla difesa dell’isola. La vendita
di armi statunitensi al governo taiwanese rimane un grave motivo di
contenzioso tra Pechino e Washington: solo nel 2019, Taiwan ha speso circa
10,7 milioni di dollari per l’acquisto di armi e tecnologie belliche.

QUALI CANDIDATI?
I tre partiti che costituiscono l’universo politico di Taiwan sono tutti in corsa
verso la presidenza. Stando agli ultimi sondaggi , la presidente uscente Tsai
detiene circa il 50% delle preferenze elettorali da oltre due mesi. Un dato
significativo per il suo DPP che alle elezioni amministrative del 2018 era stato
sconfitto dal GMD. La sconfitta era stata così bruciante (48,7% dei voti
andarono al GMD contro il 39,2% detenuti dal DPP) da costringere Tsai a

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dimettersi dalla leadership di partito, cedendo la carica prima al suo vice Li Yu-
chang, e poi a Cho Jung-tai che lo guida da ormai un anno.

Sebbene il governo taiwanese sia storicamente diviso tra il DPP e il GMD,


queste elezioni comprendono anche il PFP, un partito di centro-destra nato nel
2000, e capeggiato da James Soong , attuale candidato alla presidenza.
Soong è uno storico sostenitore della riunificazione tra Taiwan e Cina e, alla
luce dei sondaggi poco favorevoli, la sua corsa alle presidenziali ha come
conseguenza il danneggiamento delle chance del candidato del GMD, Han
Kuo-yu , già sindaco della città di Kaohsiung, di riuscire a rovesciare la
leadership del DPP. Il PFP e il GMD hanno infatti un elettorato molto simile,
che è composto da coloro che auspicano il rientro dell’isola sotto il governo di
Pechino.

Composto dai superstiti alla Guerra Civile del 1949 fuggiti a Taiwan dopo la
sconfitta per mano del Partito Comunista Cinese (PCC) di Mao Zedong, il
GMD ha governato ininterrottamente sull’isola per 55 anni, fino al 2000,
quando Chen Shui-bian del DPP vinse le presidenziali per due mandati
consecutivi. Il GMD riuscì a tornare alla presidenza solo nel 2008, sotto la
leadership di Ma Ying-jeou, il cui controverso incontro con il presidente Xi
Jinping a Singapore nel 2015 costò un nuovo ciclo presidenziale al partito. Già
nel 2014, infatti, centinaia di studenti avevano occupato lo Yuan legislativo per
settimane, durante un ciclo di proteste che i media soprannominarono il ‘
Movimento dei girasoli ’, chiedendo una maggiore trasparenza negli accordi
commerciali con la Cina. Durante l’incontro a Singapore, Ma aveva ribadito la
validità del “ Consenso del 1992 ” che proponeva la “politica di un’unica Cina”.
In breve, questa norma riconosce un solo stato sovrano a portare il nome
‘Cina’ (la nomenclatura ufficiale per Taiwan infatti è Repubblica di Cina, mentre
quella assegnata alla Cina continentale è Repubblica Popolare Cinese). Il
DPP, e la presidente Tsai in particolare, non riconoscono il Consenso del 1992
e si oppongono a qualsiasi interferenza esterna alla sovranità di Taiwan. La
questione cinese rimane infatti al centro della propaganda elettorale di tutti i
partiti, e Tsai, insieme al suo vice l’ex premier William Lai, rimane ancorata ai
principi cardine del DPP, quali il nazionalismo e l’anti-comunismo così come
il rispetto dei diritti umani e la costruzione di un’identità taiwanese. Il DPP è in
carica dal 2016 sotto la presidenza di Tsai che concorre ora per un secondo
mandato presidenziale.

QUALE DIBATTITO ELETTORALE?


Al centro dei dibattiti elettorali rimane il rapporto tra Taipei e Pechino . La
presidenza di Tsai, in particolare, ha inacidito i rapporti con la Cina
continentale. Pechino ha infatti interrotto il meccanismo formale di dialogo
con Taiwan e aumentato la presenza militare intorno all’isola. Nonostante le

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rassicurazioni, il PCC teme che il DPP punti a dichiarare formalmente


l’indipendenza di Taiwan. Tsai ha infatti ripetutamente affermato di voler
mantenere lo status quo , soprattutto poiché ritiene che Taiwan sia già uno
stato sovrano indipendente.

La Cina continentale rimane tuttavia il principale partner commerciale


dell’isola: nel 2018 gli scambi tra Pechino e Taipei ammontavano a circa 94,5
miliardi di dollari. Il mercato cinese è anche la destinazione di investimento
preferita dalle società taiwanesi che ne apprezzano i bassi costi di produzione.
Tuttavia, la guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti è andata, almeno in
parte, a ledere questa preferenza. Per evitare le imposizioni di dazi sui beni
esportati negli Stati Uniti dalla Cina, infatti, le imprese taiwanesi hanno già
cominciato a riconsiderare la propria posizione, preferendo rientrare sull’isola.

Nonostante la guerra commerciale sia andata a favorire un ritorno a Taiwan, la


spinta di Pechino verso il consolidamento delle relazioni commerciali con i
propri partner internazionali attraverso la Belt and Road Initiative (BRI) ha
danneggiato lo standing internazionale di Taipei. Taiwan è infatti riconosciuto
come stato indipendente solo da 15 paesi: Belize, Guatemala, Haiti, Honduras,
Isole Marshall, Nauru, Nicaragua, Palau, Paraguay, Saint Kitts and Nevis,
Santa Lucia, Saint Vincent e Grenadines, Swaziland, Tuvalu e Vaticano. Fino
al settembre 2019, i paesi erano stati 17: Kiribati e Salomone hanno cessato
le relazioni diplomatiche con Taipei, aprendo quelle con Pechino . Il 7
gennaio l’attuale presidente di Kiribati, Taneti Maamau, si è recato in visita di
stato in Cina, dove ha firmato un Memorandum of Understanding di
adesione formale alla BRI. Lo stesso iter era stato percorso da Salomone lo
scorso ottobre, quando Manasseh Sogavare, primo ministro dall’aprile 2019,
aveva anch’egli visitato Pechino e aderito alla BRI.

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TAIWAN COME HONG KONG?


Nel discorso di inizio anno del 2019, il presidente cinese Xi Jinping ha incluso
un monito a Taiwan, presentando i principi di ‘ riunificazione pacifica ’ e ‘ un
paese, due sistemi ’ – la formula che amministra anche Hong Kong e Macao
– come la scelta più naturale per il futuro delle relazioni tra Pechino e Taipei.
Tuttavia, per la prima volta nella storia del PCC, Xi ha anche menzionato la
possibilità di usare la forza per portare a termine l’obiettivo di riunificazione
nazionale, fissato da Pechino per il 2049, anno del centenario dalla fondazione
della Repubblica Popolare Cinese. La retorica aggressiva di Xi ha però fatto la
fortuna della presidente Tsai , tra i principali oppositori della riunificazione di

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Taiwan con Pechino. In particolare, la proposta di Xi di estendere la formula


‘un paese, due sistemi’ a Taiwan ha dato a Tsai la possibilità di fare leva sulla
disastrosa applicazione di questo principio a Hong Kong , per costruire
nell’immaginario dell’elettorato taiwanese uno scenario di riunificazione che
avrebbe potuto portare non solo sviluppo economico, ma anche instabilità
politica. Seppur continuamente sotto attacco, l’identità taiwanese, in
mutamento continuo dal 1949 ad oggi, trae la sua forza da un connubio
favorevole tra gli Han , fuggiti dalla Cina continentale, e le popolazioni
indigene dell’ex-isola di Formosa . Non a caso, infatti, Tsai ha tenuto il
discorso augurale per il Capodanno cinese del 2019 sia in cinese mandarino
sia in hakka, la lingua delle popolazioni indigene. La corsa alla presidenza
dell’isola rappresenta quindi una corsa alla definizione dell’identità
taiwanese , divisa tra la realtà di uno stato radicato nell’isola in cui è nato e si
è sviluppato, e i forti legami storici ed economici con Pechino. Tuttavia, le
elezioni rimangono anche una tappa importante nei piani di riunificazione
nazionale di Pechino, già messi in seria difficoltà dalle lunghe proteste a Hong
Kong. Non a caso lo scorso 4 gennaio, il PCC ha nominato Luo Huining a
nuovo Direttore dell’Ufficio di collegamento tra Pechino e Hong Kong. Luo è
infatti considerato un ‘ hardliner ’ nel PCC, grazie al ruolo svolto nelle
campagne di stabilizzazione del Tibet del 2013 e in quelle anti-corruzione dello
Shaanxi del 2016. Una nomina che sottolinea come le proteste di Hong Kong
non solo danneggino il principio ‘un paese, due sistemi’ agli occhi dei
taiwanesi, ma che rende ancora più chiaro quanto pressante sia per
Pechino definire le tappe della riunificazione nazionale per rispettare la
scadenza imprescindibile del 2049. E Taiwan, in questi piani, continua a
rimanere l’ostacolo maggiore.

A cura di:
Giulia Sciorati, ISPI China Programme

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