Nasce a Recanati nel 1798. In una prima fase del suo pensiero, detta
pessimismo storico, Leopardi giunge alla conclusione che la sofferenza degli
uomini non dipende dalla natura, ma dall'evoluzione della civiltà nel suo
progredire storico. Alle origini i popoli antichi vivevano a stretto contatto con
la natura che, come madre benevola, li aveva dotati della capacità di
immaginare che è tipica dell'infanzia. Tuttavia il progressivo affermarsi della
ragione e della civiltà ha allontanato le illusioni generate dalla natura,
sprofondando gli uomini nell'angoscia.
Nella seconda fase elabora la teoria del piacere: l'autore constata che l'uomo
tende al raggiungimento del piacere che coincide con la felicità, tuttavia
l'uomo desidera un piacere infinito e assoluto nello spazio e nel tempo che
non esiste in natura. Dalla sproporzione fra il desiderio dell'uomo di un
piacere infinito e la finitezza della realtà nasce l'infelicità dell'uomo. L'unica
via attraverso cui l'uomo può raggiungere il piacere illusorio sono
l'immaginazione e la fantasia, nella forma del ricordo di un piacere passato o
dell'attesa di un piacere futuro.
Nella fase del pessimismo cosmico, l'infelicità dell'uomo è vista come un dato
assoluto e ineliminabile, che riguarda tutti gli uomini e tutte le creature
viventi di ogni epoca. Leopardi non concepisce più la natura come una madre
benevola, ma come un meccanismo cieco e crudele, che ha come unico scopo
la perpetuazione dell'esistenza, secondo un ciclo che comporta la nascita e la
morte dei singoli individui. La natura è del tutto indifferente al benessere
delle sue creature, che tormenta con ogni genere di mali.
Nell'ultima fase della sua poesia, detta titanismo eroico, Leopardi riscopre il
valore della solidarietà umana. Nella ginestra, suo testamento poetico,
l'autore rivolge all'umanità un alto insegnamento morale e civile: gli uomini
dovrebbero unirsi in social catena, di fronte al vero nemico, la natura
matrigna.
L'INFINITO
Composto a Recanati nel 1819, l'Infinito è il primo dei cosiddetti idilli. Il poeta
siede assorto su un colle, dove l'ostacolo visivo costituito da una siepe stimola
per contrasto nella sua immaginazione l'idea dell'infinito, permettendogli di
superare i limiti circoscritti della realtà. Metrica: endecasillabi sciolti.
● Nella prima, vv. 1-8, partendo da una situazione concreta l'io lirico
viene indotto da un ostacolo visivo, la siepe, a passare dal piano della
realtà al piano del'immaginazione, giungendo alla percezione
dell'infinito spaziale;
● Nella seconda, vv. 8-13, un altro stimolo sensoriale, in questo caso
acustico, il vento, e sempre dalla dimensione finita della realtà, gli
permette stavolta di raggiungere con la fantasia l'infinito temporale.
Nel finale la situazione iniziale si è rovesciata, il poeta non si trova più in una
realtà concreta, ma nella dimensione immaginaria e dolcemente vaga
dell'infinito.
Composto nel 1829, il sabato del villaggio fa parte dei canti pisano-recanatesi
e forma insieme alla quiete dopo la tempesta, una coppia di testi che muove
dalla contemplazione del paese natale per allargare la riflessione a tematiche
esistenziali. Quando giunge la sera del sabato, tutti gli abitanti del borgo si
preparano alla festa domenicale, pregustando i divertimenti e il riposo del
giorno seguente. Ma questa vigilia piena di speranza è per il poeta come un
simbolo delle speranze illusorie degli uomini, destinate a essere frustrate
dalla realtà. Metrica: canzone libera di settenari ed endecasillabi, con rime
saltuarie. Il componimento evoca in apertura, l'atmosfera gioiosa che anima il
borgo nella sera che precede la domenica. Al pensiero del giorno festivo che
sta per giungere, tutti, uomini e donne, giovani e anziani, si rallegrano,
pregustando il riposo o i divertimenti dell'indomani. Ma tutte le speranze
saranno presto deluse: la domenica porterà solo tristezza e noia, insieme al
pensiero di una nuova settimana di lavoro. La trepidante attesa della festa è
quindi solo un'illusione. Allo stesso modo, nella vita di ogni uomo, la
giovinezza è come una vigilia piena di speranza, cui seguirà presto una vita
adulta grigia e deludente. Il poeta si rivolge perciò nel finale a un ragazzo
spensierato, invitandolo a godere le gioie dell'età, dal momento che la
maturità gli riserverà solo amare delusioni.
LA GINESTRA
Composta a Torre del Greco nel 1836, in una villa ai piedi del Vesuvio, il
componimento viene pubblicato nell'edizione postuma del canzoniere
leopardiano, curata da Antonio Ranieri nel 1845. Sono di mano di Ranieri
tutte le copie manoscritte del testo Per volontà del poeta, La Ginestra è
collocata a chiusura dei Canti, come una sorta di testamento spirituale. La
ginestra, umile fiore che germoglia con tenacia alle pendici del Vesuvio, in un
luogo in cui si manifesta appieno la potenza distruttiva della natura,
rappresenta un momento etico positivo per gli esseri umani, i quali
dovrebbero abbandonare ogni illusione di progresso e riconoscere con
dignità la propria condizione. Proseguendo nella sua polemica contro le false
illusioni degli uomini, abituati a credersi il fine e il centro dell'universo, il
poeta volge lo sguardo allo spazio celeste osservando la sproporzione tra
l'immensità del cosmo e la piccolezza del genere umano, esposto agli attacchi
di una natura onnipotente, ostile ed esterna, simboleggiata dalla forza
distruttiva del Vesuvio. Dall'umile ginestra giunge il messaggio ultimo della
lirica: pur nella sua sofferenza, l'uomo può trovare una superiore dignità
nell'accettazione serena della propria sorte, contemplato con piena lucidità
intellettuale. Metrica: strofe libere di endecasillabi e settenari. Il
componimento si apre su un paesaggio desolato alle pendici del Vesuvio,
dove sboccia l'odorata ginestra, simbolo di una pacata resistenza alla violenza
ostile alla natura. La visione della ginestra sollecita una riflessione sul senso
della vita dell'uomo e della sua storia. Dalla descrizione paesaggistica
scaturisce inoltre nella seconda strofa la polemica del poeta verso la propria
epoca, e verso tutti coloro che , non volendo riconoscere la fragilità mana, si
illudono con false credenze ottimistiche e rinnegano le conquiste filosofiche
dei secoli illuminati. Nella terza strofa, in antitesi rispetto ai miti ingannevoli,
il poeta invita gli uomini ad accettare la propria condizione,senza
mistificazioni, e a stringersi in social catena contro la natura, comune nemica.
Solo così il vivere collettivo potrà avere una solida base etica per tentare di
arginare il dolore della vita. La quarta strofa si allarga alla contemplazione
degli sconfinati spazi cosmici, di fronte ai quali risalta per contrasto la
piccolezza dell'uomo, il quale pure non cessa di illudersi della propria
centralità nell'universo. La quinta strofa, attraverso una similitudine
quotidiana, paragona la distruzione provocata dall'eruzione del vulcano al
cadere dell'albero di una mela troppo matura, che annienta un intero popolo
di formiche. La riflessione sulla potenza della natura e sulla sua violenza
cieca contro l'umanità culmina nella sesta strofa, in cui il poeta sottolinea
come il timore del vulcano tormenti ancora, come in passato, gli abitanti delle
campagne circostanti: la mole del monte che sovrasta il paesaggio si fa
simbolo della natura e dei suoi tempi eterni, di fronte ai quali la storia
dell'uomo appare irrilevante. Con esatta simmetria rispetto all'esordio, la
strofa finale della lirica si concentra nuovamente sulla ginestra, destinata a
piegarsi anch'essa al sopraggiungere della lava distruttrice, ma fino ad allora
lontana sia dal folle orgoglio, sia dalla viltà. Con la sua umile tenacia e con la
sua dignità, l'arbusto fiorito che dà titolo alla lirica diventa quindi un esplicito
modello esistenziale ed etico per l'uomo.
Composta nel 1824, l'opera segna l'approdo di Leopardi alla fase del
cosiddetto pessimismo cosmico, che influenzerà lo sviluppo successivo di
tutta la sua produzione letteraria. Abbandonata ogni speranza di felicità e
spinto dal desiderio di ridurre al minimo la propria sofferenza, un Islandese
si allontana dalla società umana e, dopo lunghe peregrinazioni, nei pressi
dell'equatore si imbatte nella Natura, personificata in una inquietante figura
femminile. Dopo aver ascoltato il racconto delle vicissitudini dell'uomo e le
sue accuse appassionate, essa risponde con tono freddo e distaccato e le sue
parole suonano terribili. Dopo una breve sequenza narrativa che inquadra
l'incontro tra l'Islandese e la Natura, la prima parte dell'operetta è occupata
da un lungo monologo dell'Islandese, portavoce delle teorie di Leopardi e
simbolo dell'intero genere umano, che ricorda le tappe della propria vana
ricerca di un'esistenza libera dal dolore e si conclude con una violenta accusa
contro la Natura, ritenuta nemica scoperta degli uomini e causa prima dei
loro mali. Nella seconda parte, attraverso un'ampia similitudine, l'Islandese
sostiene che, dal momento che la Natura ha dato la vita agli uomini,
dovrebbe garantire loro un'esistenza serena. Ma la Natura afferma
lapidariamente la propria indifferenza verso le sorti dell'uomo che, come le
altre creature, è parte di un perpetuo circuito di produzione e distruzione, in
cui la sofferenza è necessaria alla conservazione del mondo. Le domande
finali dell'Islandese sul senso della vita umana restano senza risposta, e
nell'epilogo l'autore ipotizza con enigmatica ironia l'incerta sorte finale del
personaggio.
CHARLES DICKENS
Autore inglese nato nel 1812. I suoi romanzi aprono al lettore lo scenario della
società inglese ottocentesca, caria ed affascinante; i suoi personaggi vivono in
tale società con energia spesso intrepida, attraversando mille peripezie senza
mai deviare dal proprio percorso verso l'happy end. Alla fine della storia, di
fatto, il lieto fine arriva immancabilmente, ricco di ordine e di dignità, di
moderato progresso e di buoni sentimenti. In un mondo che cambia tra
conflitti e sofferenze, il romanzo dickensiano ricorda al lettore la possibilità di
soluzioni serene e decorose. Nel 1854, Dickens pubblica il romanzo Hard
Times, tempi difficili, che è considerato il capolavoro del romanzo sociale,
poichè affronta temi legati ai cambiamenti della società inglese durante la
rivoluzione industriale. Attraverso le vicende della famiglia di Grandgring ,
sociologo e membro del parlamento, il romanzo descrive lo stile di vita dei
proletari e dei borghesi medio- piccoli, lo sfruttamento economico e la città
moderna, rappresentata da Coketown, città del carbone, di cui l'autore
dipinge un dettagliato e indimenticabile ritratto.
CAP. V COKETOWN
ALESSANDRO MANZONI
Nacque a Milano nel 1795. Manzoni teorizza l'idea del fine morale della
letteratura, l'utile, che dicendo la verità possa educare i lettori e avere
un'azione di intervento sulla realtà. Per ottenere questo fine, la letteratura
deve rivolgersi a un pubblico ampio più ampio possibile. Per raggiungere il
fine pedagogico e morale della letteratura, Manzoni intende mettere al centro
delle opere letterarie vicende interessanti per il popolo. E' interessante ciò che
è vicino alla realtà e che può essere compreso da tutti perchè attinge ai
sentimenti e alle esperienze che ogni essere umano ha provato. Manzoni
sostiene l'adesione al vero e nei Promessi Sposi, prende ispirazione dalla
storia e fa di due umili, Renzo e Lucia, i protagonisti di un grande romanzo.
Bisogna quindi rifiutare la mitologia della poesia classica, i cui protagonisti
sono frutto della fantasia e si deve rivolgere l'attenzione proprio alle classi
sociali che la letteratura romantica vuole educare. Per questo motivo
Manzoni introduce i Promessi Sposi fingendo di iniziare a trascrivere un
presunto manoscritto anonimo secentesco contenente la travagliata storia di
due giovani fidanzati. Lo stile del testo, tuttavia, è così barocco e roboante da
risultare non solo grottesco ma anche incomprensibile: così dopo aver
pensato addirittura di rinunciare del tutto a raccontare la vicenda, che però è
degna di essere conosciuta, Manzoni si risolve a tradurre il manoscritto in
Italiano moderno.
Il romanzo inizia con una vasta e celebre descrizione del paesaggio in cui la
storia prende avvio "Quel ramo del lago di Como...". Don Abbondio compie
la sua passeggiata serale leggendo il breviario e si imbatte in due bravi, che lo
stanno aspettando e che, su ordine di Don Rodrigo, gli impongono di non
celebrare il matrimonio, fissato di lì a poco, tra Renzo e Lucia. La prima
sequenza narrativa del romanzo introduce subito molti degli elementi
centrali della narrazione: il progettato matrimonio, il sopruso di Don
Rodrigo, la viltà e la debolezza di Don Abbondio, l'inefficacia delle leggi,
l'impunità dei malvagi. Dal punto di vista strutturale, il brano può essere
diviso in cinque sequenza:
MATILDE SERAO
Matilde Serao è una scrittrice e giornalista che ha fondato con il marito Il
Mattino. Nel 1884 pubblica un inchiesta giornalistica.
GIOVANNI VERGA
Nasce a Catania nel 1840. Dopo aver scritto romanzi riguardanti temi
scapigliati e romantici, Verga a partire dal 1874 si dedicò alla lettura dei
principali autori realisti e naturalisti che già l'amico Capuana stava
contribuendo a far conoscere in Italia, grazie ai suoi articoli pubblicati sul
Corriere della Sera. La conversione di Verga al Verismo, e in generale la sua
poetica, fu influenzata e favorita da Zola, Sonnino e Franchetti. I principi
della nuova poetica di Verga sono enunciati in tre testi programmatici che
costituiscono i manifesti del verismo verghiano:
I MALAVOGLIA: CAP. IV
I MALAVOGLIA: CAP. IX
I MALAVOGLIA: CAP. XI
Il dialogo tra nonno e nipote assume toni accesi, e soltanto i rimproveri del
nonno e l'affetto della madre Maruzza, trattengono per poco il giovane dal
suo desiderio di andarsene.
I MALAVOGLIA: CAP. XV
PAUL VERLAINE
Allora e ora: Languore
OSCAR WILDE
Nato a Dublino nel 1856.
Il romanzo più noti di Wilde, pubblicato su rivista nel 1890 e poi in volume in
una versione più ampliata, ha come protagonista l'avvenente Dorian Gray, un
giovane che sceglie di incentrare la propria vita sulla ricerca della bellezza,
calpestando ogni principio morale e cadendo in un abisso di eccessi e
perversione; i rimorsi per la sua dissolutezza non gli lasceranno però scampo
e lo condurranno a un tragico epilogo. Il finale rende esplicito il significato
profondo dell'opera: soltanto l'arte può sfidare il tempo e trionfare sulle
brutture della vita, mentre l'uomo è legato irrimediabilmente a un triste
destino di decadimento.
Mentre Dorian Gray sta posando per il proprio ritratto nello studio dell'amico
Basil Hallward, entra in scena l'aristocratico Lord Henry. Inutilmente Basil
invita quest'ultimo a non esercitare sul giovane la sua nefasta influenza: il
cinico dandy non sa resistere alla tentazione. Le parole di Lord Henry,
raffinato esteta, turbano profondamente Dorian, che, influenzato dalla sua
filosofia di vita, perderà ben presto la sua serena innocenza. Il capitolo si
incentra sull'incontro del protagonista con Henry Wotton che, affascinato
dalla bellezza di Dorian, diventerà presto suo maestro di vita, conducendolo
sulla via della ricerca della bellezza, ma anche della depravazione morale.
Alla presenza dell'amico pittore Basil Howard, che temendo l'influenza di
Lord Henry sul suo giovane amico, ha invano tentato di allontanarlo, il
dialogo si muta presto in un monologo. Con le sue insinuanti riflessioni, Lord
Henry esorta il protagonista a vivere intensamente la propria giovinezza,
seducendolo con la prospettiva di una via fondata su un nuovo edonismo.
GABRIELE D'ANNUNZIO
Nacque a Pescara nel 1863. Fu molto ispirato dalla cultura francese tanto che
lui si incarnò nel mito dell'eroe decadente, un personaggio raffinato, amante
del bello, aristocratico e lontano dalla civiltà dell'epoca, creando un mito dal
vivere inimitabile in una profonda ricerca del piacere dei sensi. Tuttavia il
mito dell'esteta ha anche i suoi limiti, egli per la sua aspirazione veniva
distinto per la sua meschinità e veniva considerato un perdente tanto che lo
portava a un isolamento. A segnare una svolta nella sua vita, fu anche la
tematica del superuomo, un individuo capace di esprimere una nuova libertà
creativa, ovvero un uomo con tutti i valori considerati fondamentali dalla
società. Sposando così l'ideologia nazionalistica, il superuomo legittimava il
ricorso a una politica aggressiva. Legato a questa ideologia si affianca il
panismo, termine che deriva dal Dio Greco Pan, è uno stato di esaltazione
eccitazione ed ebbrezza dei sensi che portano l'uomo a fondersi con la natura.
Insieme a Pascoli, D'Annunzio è considerato il principale esponente del
decadentismo italiano. Tra i due autori vi è una differenza sostanziale. Il
decadentismo di Pascoli è connaturato e più che consapevole, mentre quello
dannunziano è esteriore. Gli elementi che D'Annunzio assimilò furono:
l'estetismo, ovvero il culto per la bellezza, il vitalismo, ovvero la vita
concepita come un'opera d'arte, il panismo, ovvero l'assimilazione con la
natura e con il tutto e l'ulissismo, ovvero il dinamismo tipico di Ulisse. Il
poeta non visse queste nuove assimilazioni con vittimismo, a differenza di
Pascoli, e contrariamente a quanto fecero i poeti decadenti, egli ignorò il
misticismo gnoseologico e il dramma dell'angoscia esistenziale. Tuttavia
nonostante questo limite chiaro, evidente e vistoso, non soltanto D'Annunzio
divenne parte integrante del decadentismo europeo, ma creò addirittura un
proprio filone culturale e letterario: il d'Annunzianesimo. Gli aspetti più
significativi del decadentismo d'annunziano sono:
IL PIACERE: CAP.1
Primo romanzo pubblicato nel 1880 e articolato in quattro libri. Nel libro 1
ambientato nell'atmosfera raffinata del suo appartamento, nel cuore della
Roma barocca, nell'ultimo giorno dell'anno il protagonista, Andrea Sperelli
aspetta di rivedere Elena Muti molto tempo dopo la fine del loro amore.
Nell'inquietudine dell'attesa, i pensieri del protagonista vagano tra passato e
futuro, ricordando altri incontri d'amore e pregustando l'incontro con la
sensuale amante di un tempo. Nel pomeriggio dell'ultimo giorno dell'anno,
Andrea Sperelli attende nel suo appartamento romano l'arrivo di Elena Muti,
tra rose profumate, coppe di cristallo e vasi preziosi. Nell'attesa il narratore
segue i pensieri del protagonista, che rievoca la presenza de Elena in quello
stesso luogo, durante i loro passati incontri d'amore. Dal ricordo Andrea
ritorna alla fiduciosa attesa dell'arrivo imminente della donna, mentre
nell'ultima parte in un nuovo flashback, Andrea rievoca il loro addio,
avvenuto due anni prima.
IL PIACERE: CAP. 2 E 3
Il romanzo uscì a puntate sulla rivista "il Convito" tra la fine del 1894 e l'inizio
del 1895, prima di essere ristampato in volume nel 1895. Le vergini delle
rocce si incentra sulla figura di Claudio Cantelmo , il superuomo
disprezzatore della folla e divulgatore di un'ideologia antisociale,
antidemocratica, antireligiosa. Claudio coltiva progetti di potenza e di
dominio; o meglio, non li coltiva per sè, quanto per il figlio che vorrebbe
generare. Lo immagina superuomo, con un ruolo di capo, proteso a tracciare
nuove strade per l'umanità: la sua principale funzione sarà annunciare una
rivoluzione, materiale e culturale, necessaria per superare la presente crisi
della società borghese. Per compiere tale rivoluzione bisognerà sovvertire le
regole liberali della democrazia e del parlamentarismo. Nel capitolo 1 la
parola di Claudio Cantelmo enuclea i fondamenti ideologici del superuomo
d'annunziano. Cantelmo sa toccare le corde giuste sia per convincere gli
intellettuali, che hanno perduto il loro tradizionale prestigio sociale, sia per
sollecitare l'aristocrazia, che si sta invilendo nella nostalgia di un passato
glorioso. Il suo discorso si sviluppa in tre sequenze:
MYRICAE: X AGOSTO
Il titolo della poesia si riferisce alla morte del padre di Pascoli, assassinato da
ignoti il 10 agosto 1867, mentre tornava dalla fiera di Cesena. A distanza di
quasi trent'anni dal quel lutto il poeta pubblica questa lirica. Nel testo Pascoli,
dopo aver affermato di conoscere la causa del pianto del cielo, la notte di San
Lorenzo è la notte delle stelle cadenti, mette a confronto l'uccisione di una
rondine che tornava al suo nido con l'assassinio di un uomo innocente, colto
di sorpresa sulla via del ritorno a casa. Metrica: sei quartine di decasillabi e
novenari a rima alternata. Nella prima strofa il poeta afferma di conoscere il
misterioso motivo che provoca il fenomeno delle stelle cadenti, interpretato in
senso negativo come un pianto del cielo. Nel seguito della lirica sono
rievocate due vicende parallele: l'uccisione di una rondine che, colpita senza
motivo, lascia soli i suoi piccoli, destinati a morte certa e l'uccisione
altrettanto immotivata di un uomo, che lascia nell'abbandono la sua casa che
lo attende invano. La quartina finale si ricollega alla strofa iniziale e spiega
che il pianto di stelle è il modo in cui il cielo, dall'alto compiange la
sofferenza di tutti coloro che abitano sulla Terra.
MYRICAE: LAVANDARE
Mentre i campi sono avvolti dalla nebbia, il poeta sente in lontananza i suoni
provenienti dal lavatoio, dove le donne accompagnano il loro lavoro con una
canto malinconico, che evoca una struggente sensazione di abbandono e
solitudine. Metrica: madrigale, composto da due terzine e una quartina di
endecasillabi. La lirica si articola in tre parti, corrispondenti alle tre strofe del
testo:
MYRICAE: TEMPORALE
In pochi versi, con rapide notazioni di colore giustapposte fra loro, il poeta
descrive un evento atmosferico, caricandolo di inquietanti valenze
simboliche. Metrica: Ballata minima di settenari. Il temporale viene descritto
dapprima attraverso un dato acustico isolato. Nei versi seguenti, il poeta
coglie gli elementi del paesaggio attraverso notazioni di coloro contrapposte:
il rosso del cielo infuocato dal tramonto, il nero minaccioso del temporale, le
macchie più chiare delle nuvole. Nel paesaggio cupo e sconvolto risalta il
bianco di una casa, che per libera analogia viene associata a un'ala di
gabbiano.
MYRICAE: IL LAMPO
MYRICAE: IL TUONO
La poesia è stata pubblicata ne l891. Il titolo originale era "San Martino come
l'omonima poesia a cui si è spirato scritta da Giosuè Carducci. Metrica: strofe
saffiche, composte da 3 endecasillabi e un quinario, con rime alternate. La
prima strofa presenta l'immagine di una giornata di straordinaria limpidezza
e luminosità; sembra primavera, visto che lo sguardo, istintivamente, cerca
gli albicocchi in fiore. Nella seconda strofa subentra l'inganno: altri segnali, il
ramo stecchito, il cielo senza uccelli, il terreno cavo ai passi umani, negano le
apparenze iniziali. Nella terza strofa abbiamo la dichiarazione conclusiva: la
luce che pareva anticipare il risveglio primaverile si rivela essere gelida aria
che annuncia il sopraggiungere dell'inverno. E' L'estate... dei morti: dunque
siamo all'inizio di novembre come già il titolo dichiarava. Lo svolgimento
tematico e psicologico della poesia si attua dunque nel contrasto fra il
principio e la conclusione: dai simboli della vita, la chiarezza del sole, la
luminosità dell'aria, si giunge all'estremo opposto dove la freddezza
autunnale diventa emblema della morte.
Pubblicato nel 1897 ha come idea centrale il concetto che il poeta coincide con
il fanciullo che sopravvive al fondo di ogni uomo: un fanciullo che vede tutte
le cose per la prima volta con stupore e meraviglia. Il poeta non ha fini
pratici, ma canta solo per cantare. Non si pone obiettivi civili, morali,
propagandistici. Induce alla bontà all'amore alla fratellanza, vuole abolire la
lotta tra le classi e la guerra tra i popoli. La poesia è nelle piccole cose. Pascoli
si propone come cantore delle realtà umili, oggetti umili. Rifiuta separazione
tra ciò che è aulico e ciò che è umile, vi può essere pacifica convivenza. Un
fanciullino è dentro di noi, prova gioie e dolori. Quando si è piccoli egli
confonde la sua voce con la nostra, si stupisce di ogni cosa, è curioso,
spontaneo. Quando cresciamo diventa piccolo, una vocina interiore. In alcuni
uomini pare che non ci sia, ma i segni della sua presenza sono semplici e
umili: nelle paure legate a traumi infantili, come la paura del buio, oppure si
trova nei sogni, oppure nel parlare con gli animali, con gli alberi, le stelle,
quello che piange e ride senza perchè. Fanciullino consente di cogliere la
realtà nella sua essenza profonda senza seguire il ragionamento logico.
POEMETTI: ITALY
Italy è un poemetto che racconta degli immigrati che tornano a casa. E' una
storia di una famiglia migrata in America alcuni dei quali tornano in Italia. In
America si sono fatti una vita ma Giuseppe e Luca tornano, portano con sè
una bambina figlia del fratello malata di tisi, sperando che l'ambiente di
campagna la aiuti a recuperare la salute: Molly. In Italia vivono in una casa
buia, dove si sente l'odore della stalla e tutto è vecchio. Molly trova orribile
l'ambiente e non capisce la lingua, non capisce cosa le dicono e la nonna non
capisce cosa dice lei. La gente del paese va a farsi raccontare di com'è
l'America e loro parlano una lingua mista. C'è una generazione legata al
passato e una che vive a metà tra un mondo e l'altro, vede i vantaggi del
mondo moderno e in questa lingua mista esprime questa sua realtà di
passaggio. Molly è nata nel nuovo mondo e appartiene a quello, non ha
legami con l'Italia ma quando riparte per tornare in America con gli zii
ritrova il legame con la terra dei suoi antenati poichè quando i bambini le
chiedono se sarebbe tornata, risponde si, e sarà l'unica parola in italiano che
dirà. E' la storia del cercare una strada, una via, il benessere in una realtà
lontana dalla propria, senza però dimenticarla. La nonna fila, Molly dice che
in America ci sono delle macchine che fanno in poco tempo il lavoro che si
potrebbe fare in un anno. Per la nonna è una favola, immaginano che ci siano
delle fate e cerca di fare il filo più sottile possibile per dimostrare che è ancora
capace: si vede la differenza estrema tra i due mondi.
● Critiche alla cultura: bisogna che il poeta si prodighi, con ardore, sforzo
e magnificenza per aumentare l'entusiasmo fervore degli elementi
primordiali. La poesia deve essere concepita come un violento ascolto
contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all'uomo.
● Critiche alla società: bisogna giustificare la guerra, il militarismo, il
patriottismo, il gesto distruttore dei liberatori, le belle idee per cui si
muove il disprezzo della donna; ma distruggere anche i musei, le
biblioteche, le accademie d'ogni specie e combattere contro il
moralismo, il femminismo e contro ogni volontà opportunistica e
utilitaria.
● Affermazione di nuovi valori: il coraggio, l'audacia, la ribellione
saranno elementi essenziali della nostra poesia. Il voler esaltare il
movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto
mortale, lo schiaffo e il pugno. Affermare che la magnificenza del
mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità
● Programma Artistico: nessuna opera che non abbia carattere aggressivo
può essere un capolavoro, accostamenti a immagini con estreme
violenze descrittive.
LUIGI PIRANDELLO
Nacque ad Agrigento nel 1867. Egli stesso si definì uno scrittore filosofo.
Questo perchè partiva da una concezione propria dell'esistenza, e le sue
opere erano dunque un modo per dimostrare il suo punto di vista. Tipica
della sua letteratura è prima di tutto una grande attenzione per la vita di ogni
giorno. Tuttavia egli non è un verista, bensì un realista. Allo stesso modo egli
non può essere definito neanche un decadente, perchè per Pirandello
l'essenza unita e universale delle cose non esiste, e non ci si può dunque
arrivare. Tema fondamentale di tutte le sue opere è l'identità. L'identità dei
singoli esseri umani, l'immagine di noi stessi, ciò che appare agli altri di ciò
che realmente siamo. Secondo Pirandello, infatti, la vita è un flusso. E proprio
questo flusso è il principio di una amarezza profonda, dell'inutilità, della
frustrazione. Poichè la vita è un flusso, dunque, anche l'uomo è un costante
divenire, come pure i suoi pensieri. Gli esseri umani, perciò, cambiano,
assumendo nuove identità. Cambiando forma e faccia non si ferma
comunque il flusso della vita. C'è un momento, quindi, in cui, secondo
Pirandello, ci accorgiamo che non siamo più quelli di prima. Tutto d'un
tratto, improvvisamente. Allora c'è la fase di sdoppiamento, in cui non
abbiamo più la nostra identità. La sensazione è quella di vedersi vivere:
vedere di se stessi quello che vedono gli altri. Diveniamo cosi "uno, nessuno e
centomila". Siamo nessuno perchè nessuno conosce il nostro vero sentirci. E
siamo anche centomila: le centomila identità fasulle che ci vengono attribuite
da chi ci sta intorno. Ci chiediamo allora chi davvero siamo, e se
l'impressione che diamo è quella che sentiamo dentro di noi. Ma ciò che
percepiscono gli altri non siamo noi, ecco che siamo tutti dei nessuno. L'uomo
si aggrappa per tutta la vita ad ideali illusori, ma in questo consiste anche il
senso di oppressione che caratterizza gli esseri umani. Occorre dunque
cambiare, insieme al flusso della vita. Questo però significa anche rinunciare
alle nostre certezze, e sentirci pertanto indifesi. Il problema, però, è che
l'uomo ha un bisogno insopprimibile di certezze, e cambiando ruolo, cambia
anche il mondo attorno a lui, perchè il cambiamento riguarda anche chi lo
circonda. Sconvolgendo la realtà che lo circonda, il personaggio pirandelliano
diviene allora un escluso, un estromesso dalla società, un uomo che non ha
più un posto per sè in cui vivere. Allora egli viene in molti casi considerato
un pazzo. Tema dominante nelle opere di Pirandello è infatti anche la pazzia.
Chi può dire, si domanda Pirandello, chi sia matto e chi no?. Pirandello si
occupa, nel corso della sua vita sia di narrativa che di teatro. Il teatro, in
particolare, aiuta Pirandello ad esprimere questa dualità che sente tra essere e
sembrare. Il teatro è dunque il luogo in cui si può rappresentare, nel suo arsi,
quel momento in cui ci accorgiamo che gli altri ci vedono in modo diverso.
Usciamo allora da noi stessi e guardiamo la nostra maschera che recita, e
facciamo a riguardo i nostri commenti, osservando come reagiscono gli altri.
Il teatro diventa da questo punto di vista una rappresentazione della vita. La
maschera, uscita dall'uomo, è nuda, cioè senza vita, e i rapporti sociali si
fondano dunque sull'inganno: "Io sono ciò che mi si crede". Pirandello è
dunque lo scrittore della crisi. La crisi dell'identità prima di tutto: se la vita è
infatti un flusso, non siamo sempre gli stessi, e ce ne rendiamo conto solo
quando il mutamento comincia ad avere un certo peso. Nello stesso tempo la
vita associata ha ruoli determinati, ruoli ben precisi. E se si cambia, ecco che
tutto viene sconvolto. Ecco dunque la scelta di buttare all'aria tutto, da parte
del personaggio pirandelliano, e di fare tutto ciò che si vuole. Gli altri lo
chiamano allora pazzo. In secondo luogo, Pirandello descrive anche una crisi
di ideali oggettivi: tutto diventa soggettivo, e senza un senso preciso.
Esistono infatti due mondi: uno interiore ed uno esteriore.
Ciaula è un povero minatore che lavora tutto il giorno sotto terra e ritenuto
dagli altri incapace di capire e provare sentimenti umani. La vicenda è
ambientata in Sicilia e Cacciagallina, colui che sorveglia il lavoro dei
minatori, quando doveva prendersi uno sfogo, se la prendeva con Zi' Scarda.
Quest'ultimo se la prendeva con Ciaula. Un giorno Zi' Scarda dice a Ciaula
che avrebbero dovuto lavorare tutta la notte, ma lui ha paura del buio. Ha
paura del buio da quella volta che il figlio di Zi' Scarda ebbe un grave
incidente in seguito allo scoppio di una mina. A quello scoppio tutti avevano
smesso di lavorare ed erano andati sul luogo dell'incidente, tutti tranne
Ciaula, che attento era scappato a ripararsi in un antro noto solo a lui. Nella
fretta di andare là, gli si era spenta la lumiera che faceva luce e aveva cercato
di trovare l'uscita dalla galleria. In quel momento ebbe paura. Il lavoro con Zi'
Scarda cominciò e quella notte, all'uscita dalla galleria vide la luna, o meglio
la scopre perchè non l'ha mai vista prima: la sua emozione è così grande e
intensa che scoppia a piangere. Ciaula rappresenta tutti gli uomini che,
oppressi dall'oscurità dell'angoscia aspirano al chiarore delle certezze e che
nella bellezza del mondo cercano il riscatto della loro miseria.
Siamo nella parte iniziale della rappresentazione. Mentre gli Attori sono
impegnati nelle prove per il Giuoco delle parti, una commedia di Pirandello,
sopraggiungono dalla platea sei misteriosi Personaggi, con il volto coperto da
maschere, che rivolgono al Regista un'insolita richiesta: vedere rappresentata
sulla scena la tragedia che essi portano dentro di sè. Partoriti dalla fantasia di
un artista che ha poi lasciato incompiuto la sua opera, essi desiderano
soltanto vivere sulla scena. Dopo un'ampia didascalia in cui l'autore fornisce
una serie di consigli relativi al modi di rappresentare i Personaggi, l'usciere
annuncia l'ingresso sulla scena di certi signori che intendono parlare con il
Capocomico. Suscitando lo stupore del Regista e degli Attori, si fanno avanti i
sei Personaggi, chiedendo di veder rappresentato il loro dramma doloroso.
Di fronte all'iniziale rifiuto del Capocomico, che vede il suo lavoro interrotto,
i Personaggi sottolineano di essere vivi e reali, molto più delle vicende
inverosimili che la compagnia si appresta a rappresentare, e insistono per
vedere esaudito il loro desiderio.
GIUSEPPE UNGARETTI
Nacque ad Alessandria d'Egitto nel 1888. Il suo pensiero e la sua poetica
possono essere divisi in 3 fasi:
L'ALLEGRIA: I FIUMI
L'ALLEGRIA: SOLDATI
Questa poesia chiude la quarta sezione dell'Allegria, intitolata Girovago, ed è
stata scritta da Ungaretti sul fronte francese, in uno dei momenti più
sanguinosi e drammatici della Prima Guerra Mondiale. La brevissima poesia
si basa sull'analogia tra la precarietà della vita dei soldati, indicati dal titolo, e
le foglie che in autunno ogni minimo soffio di vento può staccare dall'albero.
Il testo si basa su un semplice paragone tra i soldati e le foglie. Si tratta di una
similitudine classica, usata per indicare la precarietà dell'esistenza fin dalla
Bibbia e da Omero; ma probabilmente Ungaretti ha presenti i più famosi
passi di Virgilio e Dante, che ricorrono a questa immagine per indicare le
anime dei morti in attesa di entrare all'inferno. La condizione di attesa
espressa dal testo allude quindi alla condizione dei soldati in trincea, in attesa
dell'attacco o della morte, ma anche alla condizione generale dell'umanità, in
riferimento alla brevità della vita.
EUGENIO MONTALE
Nacque a Genova nel 1896. I temi fondamentali della sua poetica sono:
Scritta nel 1916. è una delle prime poesie composte da Montale: inserita in
Ossi di Seppia, si trova all'interno della sezione che dà il titolo all'opera. Il
paesaggio ligure, descritto nell'accecante solarità del mezzogiorno, diventa
emblema del male di vivere, di una condizione universale di disarmonia e di
impossibile desiderio di comunione con la natura. Metrica: quattro strofe di
versi novenari, decasillabi e endecasillabi liberamente alternati. La lirica trae
spunto dalla descrizione del paesaggio della brulla marina ligure per
riflettere sulla condizione umana e sulla sua dolente insensatezza. Le prime
tre strofe hanno carattere descrittivo. Il poeta apre la lirica presentando la
situazione, è mezzogiorno, egli si trova vicino a un muto che lo separa da un
orto. Poi si sofferma su una serie di particolari della natura circostante, colti
dapprima attraverso l'udito, poi con la vista: il fruscio delle serpi, il canto
stridulo dei merli e delle cicale e l'affacendarsi delle formiche sul suolo riarso.
Nella strofa finale si attua in modo più evidente il passaggio dalla descrizione
alla riflessione. La vita umana è infatti paragonata a un doloroso vagare
lungo una muraglia che non si può superare: l'esistenza di ogni creatura si
consuma nella gabbia opprimente di una realtà di sofferenza, animata dalla
vana ricerca di un senso che resta irraggiungibile.
Datata 1930, la lirica è uno dei primi testi scritti dopo Ossi di seppia. Il Tu a
cui si rivolge il poeta si identifica, secondo quanto afferma Montale stesso,
con una villeggiante morta molto giovane, da identificare con Anna degli
Uberti, cantata con il nome di Annetta o Arletta. In realtà, da successive
ricerche è emerso che la donna morì solo nel 1959, anche se i rapporti tra lei e
Montale cessarono nel 1924. Il poeta si rivolge alla donna per rievocare il loro
incontro, avvenuto una sera di molti anni prima nella casa dei doganieri, ora
disabitata. Ma, diversamente da lui, la donna, lontana o forse morta, non
ricorda l'evento: l'inesorabile scorrere del tempo rende impossibile trovare un
punto di contatto. Metrica: Quattro strofe, le dispari di cinque versi, le pari di
sei, di versi liberamente rimati, quasi tutti endecasillabi oppure versi doppi,
formati da un quinario e un senario. Rivolgendosi a una giovane donna,
probabilmente Arletta, Montale ricorda il loro incontro, avvenuto in un
imprecisato passato nella casa dei doganieri, sulla costa di Monterosso. Molto
tempo è trascorso, e sebbene il poeta si sforzi di mantenere vivo il ricordo, la
separazione intervenuta tra i due o, forse, la morte prematura della donna,
impedisce che quest'ultima ricordi quell'episodio. L'impossibilità di
condividere il ricordo e di ristabilire un legame con la donna e con il proprio
passato, suscita nel poeta un ansioso disorientamento, che si oggettiva in
immagini di totale spaesamento. Nell'ultima strofa si affaccia per un istante
un'improvvisa apertura verso un varco, le luci lontane di una petroliera
sembrano indicare la possibilità di superare le difficoltà e ristabilire un
contatto, ridando senso al passato. Ma si tratta di una speranza illusoria, che
non fa che accrescere lo stato di confusione del poeta, il quale non sa
distinguere il passato dal presente, la vita dalla morte.
La breve poesia, inserita in Xenia II, fu scritta nel 1967, quattro anni dopo la
morte della moglie Drusilla Tanzi. Rivolgendosi alla donna ormai scomparsa,
il poeta ricorda con affettuosa nostalgia gli anni trascorsi al suo fianco,
quando lei, semplice e fedele compagna di vita, lo guidava quotidianamente
con la sua capacità di vedere oltre le apparenze. Metrica: Due strofe di versi
liberi, con alcune rime e assonanze. Il testo si presenta come un affettuoso
colloquio con la moglie morta. A lei Montale si rivolge ricordando il lungo
viaggio percorso insieme. L'assenza dolorosa dell'amata Mosca, soprannome
della donna, provoca un senso di vuoto e di smarrimento nel poeta, che a lei
si affidava nella vita di ogni giorno. Ora che la donna non è più al suo fianco,
Montale si rende conto che, nonostante l'apparente fragilità, Mosca aveva una
conoscenza profonda della realtà, poichè era in grado di comprendere che la
verità va ben oltre le apparenze superficiali. Da qui la conclusione
inaspettata: sebbene gli occhi della donna fossero offuscati dalla miopia,
sapevano vedere molto più chiaramente di quelli del poeta ed erano capaci di
orientarsi nel labirinto dell'esistenza.
GEORGE ORWELL
Eric Arthur Blair conosciuto come George Orwell, nasce in India nel 1904.
1984
Romanzo pubblicato nel 1949. Siamo nel 1984, in un mondo distopico in cui
la Terra è divisa tra Oceania Eurasia ed Estasia. Queste tre superpotenze
continuano a farsi guerra per mantenere il controllo sulla società che viene
amministrata e governata da un unico partito con a capo il Grande Fratello. Si
tratta di una sorta di entità che nessuno ha mai visto, ma che controlla tutto e
tutti tramite la TV e i teleschermi che sono installati per forza in ogni
abitazione e che diffondono propaganda in ogni istante. Il romanzo è
ambientato a Londra nel 1984 e una guerra atomica ha diviso il mondo tra
Oceania, Eurasia e Estasia. Proprio in Oceania la società viene controllata in
tutto e per tutto da un unico Partito governato dal Grande Fratello, basato sui
principi di Socing, un socialismo estremo. In città non vige che una libertà
apparente: il Grande Fratello controlla tutti tramite televisori installati
ovunque in città e anche nelle case degli abitanti di Oceania da cui si
trasmette continuamente propaganda. Nelle vie della città si trovano le
pattuglie della Psicopolizia, un'organizzazione paramilitare che ha lo scopo
di controllare la vita dei cittadini ed evitare che pensino qualcosa che vada
contro il regime. La lingua che tutti conosciamo è stata sostituita dalla
Neolingua, un linguaggio epurato dai termini ambigui perfetto per esprimere
le norme base del Socing e in cui sono stati riscritti tutti i testi. Il personaggio
principale è Winston Smith, un 39 enne che lavora ne Partito Esterno, negli
uffici del Ministero della Verità. Il suo lavoro è quello di correggere articoli,
libri e giornali già stati pubblicati in passato per renderli in linea con le
previsioni fatte dal Partito Esterno. Praticamente Winston modifica la storia
scritta per continuare ad alimentare l'infallibilità del Partito e non far sorgere
dubbi sulla sua attendibilità Se all'apparenza Winston sembra un impiegato
come tanti altri, in realtà fa molta fatica a sottostare ai condizionamenti del
regime che influenzano tutta la sua vita e non riesce molto ad adeguarsi, al
punto che inizia a scrivere su un diario i suoi pensieri contro il regime.
Anche questo libro è un romanzo distopico, dove per distopia si intende una
società indesiderabile sotto tutti i punti di vista. Il termine indica spesso una
società fittizia, ambientata in un futuro prossimo nella quale le tendenze
sociali sono portate a estremi apocalittici. Le caratteristiche di un romanzo
distopico sono:
● E' presente una società gerarchica in cui le divisioni tra le classi sociali o
caste, sono rigide e insormontabili.
● La propaganda del regime e i sistemi educativi costringono la
popolazione all'adorazione dello stato e del suo governo convincendola
che il proprio stile di vita è l'unico o il migliore possibile.
● Il dissenso e l'individualità sono visti come valori negativi, in
opposizione al conformismo dominante.
● Lo Stato è spesso rappresentato da un leader carismatico adorato dalla
gente e caratterizzato da un culto della personalità
● Il mondo al di fuori dello Stato è visto come paura e ribrezzo.
● Il sistema penale comprende spesso la tortura fisica o psicologica,
spesso seguita dall'omicidio statale.
● Agenzie governative, una polizia segreta, sono impegnate nella
sorveglianza continua dei cittadini.
ALBERTO MORAVIA
Nasce a Roma nel 1907. La critica nei confronti del mondo borghese è il
nucleo fondamentale della produzione letteraria di Moravia. Tale critica è
presente soprattutto nel capolavoro Gli Indifferenti. In esso prevalgono molte
sequenze descrittive, come quelle che interessano gli ambienti borghesi in cui
si trovano a discutere i personaggi. Questo è un metodo che consiste
nell'accompagnare la sequenza dialogica o la sequenza narrativa con una
precisissima descrizione di tutto ciò che c'è intorno; ciò avviene perchè tanto
più la scena è dettagliata tanto meno il lettore può notare l'inconsistenza della
scena in cui si dovrebbe svolgere l'azione: in sostanza il narratore non può
fare altro che descrivere perchè l'azione è pensata, ma poi non è portata
avanti dai personaggi.
Il romanzo è stato pubblicato nel 1929 nel periodo in cui il fascismo italiano
proseguiva trionfante il suo cammino e in Germania il nazismo si accingeva a
prendere il potere. In questo romanzo, nato da un diretto desiderio di un
analisi moralistica e satirica, vengono ritratti gli aspetti disperati e corrotti
della vita e del costume della società borghese di quel periodo storico, con
una lucidità e freddezza puntigliosa che sembrano rifiutare gli ideali della
politica trionfalistica del regime e sottintendono il giudizio negativo
dell'autore nei confronti del fascismo italiano. L'indifferenza si carica nel
romanzo di connotazioni storiche precise: si tratta del conflitto dell'individuo
con la vita, ma anche del conflitto dell'individuo con una determinata società.
I personaggi chiave si possono raggruppare in due schiere opposte: I vinti,
cioè cloro che sono destinati allo scacco, che tentano in modo spesso
velleitario di ribellarsi al destino; i Vincitori sono i personaggi che accettano
la vita senza farle il processo e che proprio per questo risultano alla fine dei
vincitori o per lo meno non del tutto sconfitti. Michele oscilla tra una vanità
falsa e l'indifferenza in cui sembra lasciarsi andare, senza combattere. E' un
vinto. A volte reagisce, sembra che voglia rompere con la finzione, strappare
le maschere a quei volti della sua vita duri, patetici, inespressivi, denudare i
propri istinti. La ribellione, però, quando avviene, è tiepida e mite: la noia,
l'indifferenza svuotano ogni azione.
PRIMO LEVI
Nasce a Torino nel 1919. E' ebreo e nonostante le leggi razziali si laurea in
chimica e successivamente decise di unirsi a un gruppo di resistenza ebraica
formatosi in seguito all'intervento tedesco nel Nord Italia. Viene catturato e
deportato nel campo di sterminio di Auschwitz. Il suo capolavoro è Se questo
è un uomo che descrive le condizioni di vita dei deportati. Attraverso un
atteggiamento analitico fa appello alla ragione per comprendere le cause
profonde delle atrocità vissute in prima persona. Mosso da un'attitudine
mentale scientifica, legata alla sua formazione da chimico, Levi scrive non
solo per liberarsi dell'ossessione del ricordo, ma anche per analizzare
lucidamente i moventi e i meccanismi della sopraffazione dell'uomo
sull'uomo. Lui pensa che il suo dovere è testimoniare. Il libro si apre con una
poesia che l'autore dedica alle generazioni future affinchè non dimentichino
gli errori e gli orrori che hanno dovuto subire gli uomini durante le
persecuzioni naziste. Egli che è stato ridotto a una larva umana, umiliato e
offeso, ma che è riuscito a sopravvivere alla sua distruzione vuole far sapere
agli altri il dramma infinito che hanno vissuto quegli uomini che non erano
più uomini perchè la loro dignità veniva distrutta e calpestata e non erano
più degni di questo nome perchè il Lager aveva annullato quanto di umano
c'era in loro. Ciò non deve essere dimenticato affinchè i giovani possano
costruire una società fatta di libertà e non di schiavitù, di rispetto e non di
sopraffazione, di amore e non di odio.
Primo Levi si trova nel campo di transito di Fossoli, vicino Modena. Da qui i
prigionieri vengono trasportati in treno in Polonia, attraversando prima il
Brennero e poi l'Austria. Le condizioni che i prigionieri sono costretti a
sopportare nei vagoni sono disumane e molti muoiono già prima dell'arrivo.
Una volta ad Auschwitz i prigionieri vengono fatti scendere, divisi sia per
sesso che per età o condizioni fisiche: spesso è semplicemente il caso di
trovarsi in una fila e non in un'altra a determinare la condanna a morte o la
salvezza di un essere umano. I selezionati salgono su degli autocarri dove
vengono confiscati loro tutti gli averi.
ELSA MORANTE
Nasce a Roma nel 1912. E' stata la prima donna a vincere il premio strega nel
1957. Moglie di Alberto Moravia e grande amica di Pier Paolo Pasolini. Nelle
opere, in particolare nei suoi quattro romanzi l'autrice esprime il suo
pensiero. In questi libri c'è il valore assoluto che per l'autrice assume
l'innocenza degli umili, opponendoli alla forza del mondo moderno che
incombe. Per lei al mondo si scontrano due categorie di esseri: gli infelici,
molti contro i felici pochi. In particolare questi ultimi sono definiti come
categoria di portatori di bellezza, salvezza e scandalo. Per la Morante il poeta
è colui che deve combattere il nemico principale dell'uomo, l'irrealtà che
porta alla morte e alla disintegrazione. Elsa Morante aveva una personalità
forte, definita, che al contempo era in grado di farle vedere in faccia la realtà
senza filtri, ma la faceva commuovere alla vista di un gattino. Elsa Morante
ha avuto la capacità di guardare dritto negli occhi la miseria umana senza
mai volgere lo sguardo altrove, pagando di persona in un vita che ha amato
donando tutta se stessa fino all'ultimo briciolo del suo animo.
LA STORIA : LO STUPRO
ANTONIO GRAMSCI
Nacque ad Ales, Cagliari nel 1891.
ODIO L'INDIFFERENZA
● Con la frase "l'indifferenza è il peso morto della storia" vuole dire che
gli Indifferenti, coloro che non partecipano attivamente alla vita sociale,
contribuiscono passivamente al verificarsi di qualsiasi evento storico.
Le cose non accadono per opera di una ristretta minoranza, ma perchè
l'indifferenza della maggioranza lascia che accadano. Ciò che succede
avviene perchè la massa abdica alla propria volontà, lascia promulgare
leggi che la penalizzano, lascia salire al potere persone che non sono
degne di governare o amministrare la vita pubblica. Proprio per questo
l'indifferenza opera potentemente nella storia.
● Con la frase "la massa degli uomini", si riferisce a tutte quelle persone ,
la maggioranza della società, che non si schierano da alcuna parte
lasciando fare agli altri, e comportandosi passivamente. Egli giudica
questo comportamento in modo negativo, criticando l'indifferenza
perchè si ribella all'intelligenza e la strozza.
● Con la frase "lascia raggruppare i nodi che poi solo la spada potrà
tagliare", l'autore vuole dire che gli indifferenti, non partecipando alla
vita della società provocano rivolte o ammutinamenti per porre fine a
quegli eventi negativi che si manifestano per colpa della loro passività
Se fin da subito avessero espresso la propria opinione, o si fossero
preoccupati di ciò che gli succedeva attorno, magari certe violenze si
sarebbero potute evitare.
● "La massa ignora", indica una mancanza di responsabilità da parte degli
indifferenti. Attraverso l'atteggiamento indifferente l'uomo si chiude in
se stesso, diventa isolato e pericoloso. Chi è indifferente dimostra
debolezza, paura di dialogare, tristezza nel vivere e negatività nel
rischiare. L'indifferenza si scontra con la vita stessa, perchè la vita è
incontro, gioco, rischio e rapporti. Siamo chiamati all'incontro e al
confronto sempre e in ogni luogo in cui siamo. L'indifferente, invece è
colui che sceglie di disinteressarsi di tutto e di tutti, è colui che ignora
deresponsabilizzandosi, lasciando correre tutto ciò che accade.
● Nell'ultima parte del brano Gramsci parla di fatalità, descrivendola
come apparenza illusoria dell'indifferenza. Dice ciò riguardo al
succedersi della storia; piccoli gruppi agiscono, la maggior parte ignora,
e per questo sembra che la storia non sia che un evento casuale, un
evento dettato dal fato, che coinvolge tutti, violenti o non violenti.
RENATA VIGANO'
Nasce nel 1900 a Bologna. Con il marito e il figlio partecipa alla lotta
partigiana, come infermiera, staffetta garibaldina e come collaboratrice della
stampa clandestina. Il suo capolavoro è l'Agnese va a morire pubblicato nel
1949 per cui ha ricevuto il premio Viareggio.
L'AGNESE VA A MORIRE
Questo libro racconta la storia di una donna di mezza età, Agnese, che da una
vita tranquilla accanto al marito passa dapprima a una vita sotterranea di
collaboratrice dei partigiani e poi a una vita clandestina insieme alle truppe
della Resistenza. La storia è ambientata nelle valli di Comacchio durante la
Seconda Guerra Mondiale dal settembre del '43 alla primavera del '45. Le
vicende cominciano con la deportazione del marito di Agnese, Palita,
intellettuale comunista membro della Resistenza; quest'evento stravolge la
vita di Agnese, donna semplice e contadina, che viene in questo modo
avvicinata al movimento della Resistenza dai compagni di Palita. Agnese
diventa protagonista della vita sotterranea caratteristica del movimento civile
della Resistenza, che operava nei villaggi e nelle città: Agnese fa la staffetta
da un paese all'altro per portare cibo, notizie e armi. La sua vita prosegue così
per circa sei mesi, durante i quali viene a conoscenza della morte del marito
durante il trasporto verso i campi di concentramento. Ma un giorno un
soldato tedesco, ospitato dalla famiglia con la quale Agnese e Palita,
dividevano la casa, uccide per gioco la loro gatta nera, simbolo del loro
mondo affettivo stuprato da una guerra gratuitamente crudele. La notte, con
la lentezza di un rito sacrificale, Agnese uccide il soldato spaccandogli la testa
con il mitra. E così scappa e si da alla macchia entrando a far parte della vita
clandestina della Resistenza. Agnese diventa "Mamma Agnese", prepara un
pasto caldo ai partigiani che tornano dalla guerriglia, controlla che vi siano
provviste per tutti, condivide con loro le gioie, i dolori e la morte, il cui odore
aleggia costantemente nell'atmosfera lattiginosa delle valli di Comacchio.
Agnese, umile madre del popolo, esegue tutti i compiti casalinghi,
indispensabili nella vita clandestina; sostiene sulle sue spalle il peso di
un'idea ne modo più pragmatico possibile: non c'è alcun recondito motivo
alla sua partecipazione alla Resistenza, ma lo fa perchè è giusto, e Resistenza
vuol dire obbedire al Comandante, incarnazione reale di quell'idea, e di fare
bene, di eseguire gli ordini.
ROBERTO SAVIANO
Nasce a Napoli nel 1979. Nei suoi scritti, articoli e nel suo romanzo di
esordio Gomorra (che lo ha portato alla notorietà) utilizza la letteratura e il
reportage per raccontare la realtà economica, di territorio e d'impresa
della Camorra e della criminalità organizzata in senso più generale.
Pier Paolo Pasolini nel 1963 realizza il montaggio del film La rabbia,
esperimento alquanto bizzarro perchè per questo film non sarà utilizzata una
sola macchina da presa. Infatti il progetto nasce dal montaggio di centinaia di
immagini e filmati che appartenevano a un cinegiornale degli anni 50. Un
commento a volte in prosa, altre in poesia accompagna lo scorrere delle
immagini, creando analogie e forti contrasti. Una parte di questa sorta di
esperimento, chiamato dallo stesso Pasolini poema cinematografico, è
dedicata a Marilyn Monroe. Le foto che tutti conosciamo di una Marilyn
bellissima e sempre sotto i riflettori, si alternano ad altre di lei bambina
mentre la voce fuoricampo recita una poesia scritta da Pasolini per
l'occasione. Marilyn improvvisamente non è più solo un personaggio,
un'icona vuota da guardare a tutta pagina su una qualsiasi rivista di spicco,
ma acquisisce profondità: Pasolini permette al personaggi di riconciliarsi con
la vera se stessa che si chiama veramente Norma Jeane Mortenson Baker
Monroe. Quello che l'autore utilizza è quindi un approccio completamente
nuovo, lontanissimo per esempio dall'artista Andy Warhol che nel 1967
realizzò dieci serigrafie del famosissimo volto della donna. Alle immagini
dell'attrice si alterna più volte, nella sequenza a lei dedicata, quella di un
Cristo frustrato durante una processione. Il riferimento voluto dall'artista è
forte e immediato: Marilyn è una martire. Martire di un mondo che si è
appropriato della sua bellezza e l'ha resa merce da lanciare sul mercato,
messa in vetrina come un altro qualsiasi prodotto, come uno di quei
manichini che giacciono ammassati in alcune scene del film. Pile di manichini
rotti, abbandonati e infine mangiati dalle fiamme. Marilyn fu ritrovata senza
vita il 5 agosto 1962 nella sua camera da letto a Los Angeles, così il mondo si
mise tra lei e la sua bellezza innata. L'ipotesi più accreditata fu quella del
suicidio dovuto a un'overdose di barbiturici. Numerose però sono state le
ricostruzioni di quella notte, parevano esserci infatti molte incongruenze.
Tredici anni dopo nel 1975, la stessa frase potrà essere utilizzata riguardo alla
morte di Pier Paolo Pasolini. Mortale fu per Marilyn la sua bellezza e mortale
fu probabilmente per Pasolini averla saputa cogliere prima di tutti, prima di
quel feroce mondo futuro di cui aveva visto ogni stortura.