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La folgorazione si verifica quando l'uomo è colpito da una forte carica elettrica o da un fulmine, cioè da una scarica
elettrica ad alta frequenza, che si produce tra due punti della stessa formazione nuvolosa o tra una nube ed il suolo,
sempre dovuta a differenza di potenziale.
La differenza di potenziale tra una nube fortemente elettrizzata e la terra provoca la scarica, che si manifesta
generalmente con una traiettoria di luce discendente seguita da un boato.
La quantità di elettricità che si libera con un fulmine è elevatissima e la velocita della scarica può raggiungere i 50.000
km/secondo. Gli effetti del fulmine sull'organismo possono essere
● Diretti, di grado estremamente elevato. Oltre agli effetti precedentemente descritti, sulla cute compaiono
lesioni simili a ferite da taglio, spesso ramificate ma talora anche a forma di foro e gli organi interni diventano
fortemente edematosi. La morte interviene per fibrillazione cardiaca o per spasmo laringeo. Non mancano i
casi di sopravvivenza alla folgorazione, che è possibile se la corrente non incontra nel suo percorso il cuore
inducendone fibrillazione.
● Indiretti, causati dall'effetto termico.
Gli agenti chimici possono essere causa di danno per l'organismo sia penetrando in esso attraverso la via digerente o
respiratoria sia venendo a contatto con i tessuti di rivestimento sia, infine, attraversando questi, come può avvenire con
l'iniezione o attraverso lesioni di continuo. In ogni caso l'entità del danno è sempre dipendente dalla quantità (dose) e
dal tempo di contatto. Il danno da essi provocato può essere schematicamente suddiviso in due tipi:
- DIFFUSO. Il danno diffuso da agenti chimici, la cui entità dipende sempre dalla dose e dalla durata del contatto, si verifica
in conseguenza di proprietà comuni a molti composti chimici quali quelle di provocare:
● Variazioni del pH. Noi abbiamo un pH sanguigno ben definito (7.35-7.45). Le variazioni di pH influenzano la
funzionalità del sangue, delle sue cellule e di tutti gli scambi che avvengono.
● Solubilizzazione di costituenti cellulari. Se l’agente chimico è idrofilo o lipofilo. Infatti, danneggerà strutture o
vie di segnale in cui son coinvolte proteine o messaggeri oppure membrane lipidiche.
● Denaturazione delle proteine. Capacità di alterare i ripiegamenti e le interazioni secondarie, terziarie,
quaternarie (sia che la proteina sia un monomero sia che sia un dimero, trimero...) Es: emoglobina. Questi
ripiegamenti della catena proteica degli amminoacidi, non sono solo legami covalenti, ma anche idrogeno
(funzione cooperativa) e l’interazione di un complesso proteico spesso è cooperativa (come Hb).
Le cellule sono molto sensibili alle variazioni del pH. Se queste sono di lieve entità, come frequentemente avviene nel
corso di diverse malattie metaboliche, i sistemi tampone entrano in azione e nella maggior parte dei casi riportano il pH
ai valori fisiologici. Se ciò non avviene, si instaurano, in caso di abbassamento, la condizione di acidosi e, in caso di
innalzamento, la condizione di alcalosi.
Andando ad esaminare il danno locale provocato dagli acidi e dalle basi di origine esogena, che vengono a contatto con
tessuti superficiali, sia l'abbassamento che l'innalzamento del pH del liquido intracellulare sono, quindi, seguiti da
conseguenze molto gravi, che possono determinare la morte cellulare per necrosi. L'entità del danno dipende dal livello
della variazione del pH.
Gli acidi forti diluendosi coi liquidi dell'organismo producono calore e determinano nella cute e nelle mucose ustioni di
III e di IV grado, che, a causa della disidratazione dei tessuti indotta dalla evaporazione dell'acqua, formano escare
secche, cioè placche costituite da materiale necrotico che tendono a staccarsi dal contesto dei tessuti.
Anche le basi forti a contatto con i tessuti superficiali sviluppano calore e provocano ustioni della stessa gravità con la
differenza che, a causa del loro potere idrolitico, inducono la macerazione dei tessuti. Si formano così escare molli che,
come quelle secche, formano cicatrici retratte e molto deturpanti.
Il danno che i costituenti cellulari subiscono in conseguenza del potere solvente esercitato dai composti chimici varia a
seconda che si tratti di solventi di lipidi o di solventi di sostanze e composti idrofilici.
I solventi dei lipidi danneggiano le cellule in quanto estraggono i lipidi, che sono i più importanti costituenti della
membrana cellulare e delle membrane degli organuli intracellulari, che, in conseguenza della perdita di essi, vanno
incontro ad una completa disorganizzazione della loro struttura, che provoca lisi cellulare. Questa proprietà dei solventi
dei lipidi (ad esempio l'alcool, l'acetone, il cloroformio, il benzolo, il tetracloruro di carbonio) è stata ampiamente
sfruttata nella ricerca in campo biologico per l'estrazione di molti costituenti cellulari. Il danno che i solventi dei lipidi
provocano a livello della cute è limitato dalla presenza dello strato corneo per l'azione protettiva esercitata dalla
cheratina, che è insolubile in essi.
Gli effetti patologici conseguono quasi sempre ad ingestione o ad inalazione. Diverso è il danno provocato sulle cellule
dai solventi acquosi.
● Nel caso di soluzioni ipotoniche, cioè a contenuto ionico inferiore a quello dei liquidi biologici e quindi con
pressione osmotica inferiore, le cellule sospese in una soluzione ipotonica richiamano l'acqua che penetra
all'interno rigonfiandole fino al punto compatibile con l'elasticità della membrana plasmatica, superato il quale,
scoppiano versando all'esterno il loro contenuto. L'effetto è noto sotto il termine di lisi osmotica ed è
facilmente osservabile sospendendo degli eritrociti in acqua distillata, in quanto la rottura della membrana
plasmatica induce il passaggio in soluzione dell'emoglobina, per cui l'acqua assume un colore rosso brillante
(sangue laccato).
● Nel caso di soluzioni ipertoniche si verifica un fenomeno opposto, definito plasmolisi, consistente nel
raggrinzamento delle cellule dovuto al passaggio all'esterno dell'acqua intracellulare richiamata dall'eccesso di
ioni presente nella soluzione in cui esse sono sospese.
La struttura della membrana plasmatica e delle membrane degli organuli cellulari è anche sovvertita da composti, quali
ad esempio la saponina ed i detergenti, che interagiscono con particolari gruppi chimici in esse presenti, disintegrandoli
o solubilizzandoli.
La saponina è un glicoside che provoca lisi cellulare per la sua capacità di interagire coi lipidi presenti nelle membrane,
ed in particolare col colesterolo, turbando l'orientamento dei lipidi nel doppio strato della membrana plasmatica. Lo
studio al microscopio elettronico della membrana plasmatica di cellule di vario tipo, sottoposte al trattamento con
saponina, ha dimostrato la comparsa di un reticolo esagonale lipidico, che delimita spazi acquosi di minore densità,
permeabili all'acqua, attraverso i quali vengono espulsi costituenti cellulari. Il trattamento dei globuli rossi con saponina
induce ima rapida emolisi.
I detergenti o tensioattivi sono composti molto complessi capaci di abbassare la tensione superficiale: nella loro
struttura sono intercalate parti idrofobe e parti idrofile, attraverso le quali esse interagiscono rispettivamente con la
componente lipidica e con quella acquosa determinando un completo sovvertimento strutturale della membrana
plasmatica, che diventa permeabile all'acqua con conseguente lisi cellulare. Alcuni di essi sono anche in grado di
denaturare le proteine. I tensioattivi si distinguono in non ionici e ionici (cationici o anionici a seconda che lo ione attivo
da essi formato sia positivo o negativo. Molti di essi sono usati come disinfettanti.
Per quanto riguarda la denaturazione delle proteine (alterazione della loro struttura secondaria, terziaria e
quaternaria), si ricorda che essa, oltre che dagli acidi e dagli alcali, è indotta da numerose sostanze organiche, diversi sali
e molti ioni metallici e comporta riduzione o perdita della loro funzione e della loro solubilità, che producono un danno
quasi sempre irreversibile.
-SELETTIVO. Il danno selettivo si verifica quando gli agenti chimici alterano uno specifico costituente cellulare inducendone
riduzione o perdita della funzione. Gli agenti chimici responsabili di tale tipo di danno sono detti veleni o tossici. Sotto il
termine di veleni o tossici sono compresi una serie di composti di origine naturale o sintetica capaci di indurre un danno
selettivo nelle cellule dell'organismo, determinando la comparsa di manifestazioni patologiche, che possono avere
anche un esito letale. La selettività del danno consiste nella capacità del veleno di interagire, direttamente o tramite un
prodotto della sua trasformazione metabolica, con un determinato costituente alterandolo nella struttura e nella
funzione.
La penetrazione nell'organismo avviene per ingestione, per inalazione, per contatto cutaneo, per iniezione cutanea o
endovenosa. Alcuni veleni esercitano la loro azione solo se introdotti nell'organismo per una determinata via e non per
un'altra. L'azione tossica è legata alla dose, cioè alla quantità di veleno che penetra nell'organismo, con la conseguenza
che gli effetti sono tanto più gravi quanto più elevata è la dose; sotto questo aspetto è bene tenere presente che anche i
farmaci possono comportarsi da veleni se somministrati in quantità superiore a quella che induce l'effetto terapeutico,
fatto questo che significa che anche alcuni veleni, in dose adeguata, possono essere usati come farmaci. Sotto questo
aspetto, quindi, i veleni non seguono una legge del tutto o nulla, per cui è facile comprendere l'importanza che assume
la determinazione della dose tossica di ciascun veleno, cioè della quantità minima capace di indurre un effetto dannoso:
alcuni composti sono tossici a piccolissime dosi, altri, invece, determinano danno solo se vengono assunti in notevole
quantità e risultano innocui o anche benefici in piccola quantità, come avviene per esempio per il cloruro di sodio, un
normale costituente della dieta, che diventa tossico se viene assunto in quantità eccessiva.
Prenderemo in considerazione ora alcuni principi di base relativi agli effetti delle sostanze chimiche tossiche e dei
farmaci.
La dose minima letale è la quantità di tossico, riferita ad unita di peso corporeo (generalmente kg), in grado di
determinare la morte degli animali da esperimento in un determinato tempo; la dose limite 50 (DL50) è quella quantità
che determina in un determinato tempo la morte nel 50% degli ammali trattati appartenenti alla stessa specie.
a) la dimostrazione che un composto e privo di tossicità acuta negli animali da esperimento non esclude la possibilità
che esso possa risultare dannoso per l'uomo, in seguito all'esposizione ad esso per un lungo periodo di tempo
b) che la sensibilità delle diverse specie animali allo stesso veleno varia, risultando alcune specie del tutto resistenti.
L'avvelenamento, cioè le conseguenze che subentrano nell'organismo in seguito all'assunzione di un veleno, può essere
● Acuto. Consegue all'assunzione di un veleno in dose tale da produrre immediatamente i suoi effetti,
● Cronico. Consegue, invece, all'esposizione protratta al veleno in piccole, e talora minime, dosi, che possono
risultare anche prive di effetti immediati. In questo secondo caso assumono importanza, al fine della comparsa
dei sintomi, la frequenza e la durata dell'esposizione al veleno: in non pochi casi gli effetti dell'avvelenamento
cronico si rendono manifesti dopo venti ed anche più anni di esposizione. Un particolare tipo di avvelenamento
cronico è quello determinato dall'assunzione dei cancerogeni, che possono essere considerati tossici da
sommazione, capaci di interagire specificamente col DNA.
Gli effetti determinati da un avvelenamento possono essere locali o sistemici e dipendono dal tipo di danno prodotto:
generalmente interessano uno o più apparati o sistemi dell'organismo. Quasi tutti i veleni sono esogeni, cioè estranei
all'organismo il quale, però, è in grado esso stesso di produrre composti tossici (veleni endogeni), che vengono
neutralizzati, a meno che non siano, come avviene in alcune condizioni patologiche, prodotti in eccesso, determinando
in questo caso le cosiddette autointossicazioni.
L'azione tossica del veleno non è sempre dipendente dalla sua originaria struttura molecolare: molti veleni non sono
attivi direttamente ma indirettamente, perché l'organismo è in grado di metabolizzarli dando origine a derivati tossici, o
di formare composti tossici, coniugando un composto esogeno con uno endogeno, processo quest'ultimo noto col
termine di sintesi letale.
Il piombotetraetile, usato come additivo della benzina, viene privato da un sistema enzimatico presente nel fegato dei
mammiferi, di un gruppo etilico, con formazione dello ione piombotrietile, che è un potente inibitore della
fosforilazione ossidativa.
Un insetticida organofosforico, il parathion, è di per sé inattivo nei riguardi della colinesterasi sia negli insetti che nei
mammiferi, ma diventa attivo per il fatto che, sia gli uni che gli altri, sono forniti di sistemi enzimatici, che trasformano il
doppio legame P=S in P = 0 con formazione di un composto, il paraoxon, che è un potentissimo inibitore della
colinesterasi.
Un altro esempio è dato dall'avvelenamento con metanolo (CH3OH), truffaldinamente messo in commercio come
componente essenziale di bevande alcoliche, responsabile di molti casi di cecità. La tossicità del metanolo è in realtà
provocata da prodotti che originano dalla sua trasformazione metabolica e cioè la formaldeide, che per azione
dell'alcooldeidrogenasi si forma dal metanolo e l'acido formico che deriva dalla formaldeide per azione di una
aldeidemutasi. Sia la formaldeide che l'acido formico danneggiano irreversibilmente le cellule retiniche ed il nervo
ottico, oltre agli epatociti.
Un altro esempio e dato dal fluoroacetato , un veleno sintetizzato da diverse piante del genere Dichapetalum ed
utilizzato come topicida, che non esercita di per sé alcuna attività tossica. Introdotto nell'organismo esso attraversa le
membrane mitocondriali e nei mitocondri viene convertito dall'enzima acetil-CoA sintetasi in fluoroacetil-CoA, il quale,
come l'acetil CoA, entra nel ciclo di Krebs dove viene condensato dalla citrato-sintetasi con ossalacetato. Questa
reazione porta alla formazione di fluorocitrato, che è il vero prodotto tossico perché agisce da potente inibitore
dell'enzima aconitasi, che catalizza la reazione di isomerizzazione necessaria perché il citrato venga trasformato in
isocitrato. Poiché in assenza di isocitrato non si ha formazione di a-chetoglutarato, si determina il blocco del ciclo degli
acidi tricarbossilici con conseguente accumulo di citrato ed impossibilità di fornitura energetica.
Oltre ad interferire sulla fornitura energetica, il fluorocitrato si accumula insieme al citrato nelle cellule nervose,
provocando la fuoriuscita del calcio, con conseguente aumento della loro eccitabilità, responsabile della sintomatologia
convulsiva.
L'organismo possiede, inoltre, meccanismi capaci di allontanare il veleno in esso penetrato e meccanismi capaci di
detossificare diversi composti tossici (attività detossificante) con processi di sintesi, che hanno un risultato opposto a
quelli determinanti la sintesi letale e che, pertanto, vengono definite sintesi protettive.
L'azione tossica espletata da alcuni veleni può essere ridotta o anche eliminata con la somministrazione all'avvelenato di
composti definiti antidoti, che sono attivi in varia maniera:
● alcuni interagiscono con il veleno (es. agenti chelanti, quali l'acido etilendiaminotetracetico o EDTA in caso di
avvelenamento da piombo)
● altri favoriscono l'eliminazione del veleno (es. diuretici clorotiazinici o mercuriali in caso di avvelenamento da
bromo), altri ancora competono a livello recettoriale col veleno (es. atropina con la muscarina, vit. K1 con i
dicumarolici).
Difficolta notevoli si incontrano sia nell'elencazione dei composti tossici esogeni, perché destinata ad un continuo
aggiornamento per la continua immissione in commercio di prodotti chimici di nuova sintesi, sia nella classificazione,
che può essere basata su vari criteri, quali quello dell'origine, della forma fisica (solida, liquida, gassosa, aerosolica) della
natura chimica (organica o inorganica), del meccanismo d'azione, dell'organo o tessuto bersaglio. La classificazione più
semplice è quella basata sull'origine dei veleni che li distingue in tre categorie fondamentali:
Il tabacco è la più comune causa esogena di cancro nell’uomo, dal momento che è responsabile del 90% dei tumori del
polmone. Il principale colpevole è il fumo di sigaretta, ma anche il tabacco non da fumo (tabacco da inalare, da
masticare ecc.) è dannoso per la salute ed è un’importante causa di cancro orale. L'uso dei prodotti derivati dal tabacco
non crea solo rischi personali dal momento che l'inalazione di tabacco dalllambiente (“fumo passivo”) può causare
cancro al polmone nei non fumatori. Il fumo di sigarette causa, globalmente, più di 5 milioni di morti l'anno, perlopiù
per patologie cardiovascolari, vari tipi di cancro e problemi respiratori cronici che esitano in un totale di più di 35 milioni
di anni di vita persi. Si è stimato che delle persone oggi in vita circa 500 milioni moriranno di patologie legate al tabacco.
Nei soli Stati Uniti il tabacco è responsabile di oltre 400.000 morti l'anno, un terzo delle quali attribuibili al cancro del
polmone.
Il fumo è la causa di morte più facilmente prevenibile. Riduce la sopravvivenza complessiva attraverso effetti
dose-dipendenti. Ad esempio, mentre l'80% della popolazione di non fumatori è viva all'età di 70 anni, solo il 50% dei
fumatori sopravvive a questa età. La sospensione del fumo riduce fortemente, entro 5 anni, la mortalità complessiva e il
rischio di morte per patologie cardiovascolari. La mortalità da cancro al polmone diminuisce del 21% entro 5 anni, ma
un rischio maggiore rimane per 30 anni.
Il tabacco contiene tra 2.000 e 4.000 sostanze, più di 60 delle quali sono state identificate come cancerogene. La
nicotina, un alcaloide presente nelle foglie di tabacco, non è una diretta causa di patologie legate al tabacco, ma dà
dipendenza. Senza di essa sarebbe molto semplice per i fumatori interrompere questa abitudine. La nicotina si lega a
recettori nell’encefalo e, attraverso il rilascio di catecolamine, è responsabile degli effetti acuti del fumo, come
l’aumento della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna, e l'aumento di contrattilità e gittata cardiaca. Le più
comuni patologie causate dal fumo di sigaretta interessano il polmone e comprendono enfisema, bronchite cronica,
patologia polmonare ostruttiva cronica e cancro del polmone. Il fumo di sigaretta è inoltre fortemente associato allo
sviluppo di aterosclerosi, infarto del miocardio e cancro di labbra, bocca, faringe, esofago, pancreas, vescica, rene e
cervice.
FUMO E CANCRO DEL POLMONE. Gli agenti contenuti nel fumo hanno un effetto irritante diretto sulla mucosa tracheobronchiale
che determina infiammazione e aumentata produzione di muco (bronchite). Il fumo di sigaretta causa inoltre il
reclutamento, nel polmone, di leucociti, che aumentano la produzione locale di elastasi e conseguente danno al tessuto
polmonare che porta all'enfisema. I componenti del fumo di sigaretta, in particolare gli idrocarburi policiclici e le
nitrosamine, sono potenti cancerogeni negli animali e sono probabilmente coinvolti direttamente nello sviluppo del
cancro al polmone negli esseri umani.
Gli enzimi CYP (enzimi di fase I del citocromo P-450) e di fase II aumentano la solubilità in acqua dei cancerogeni,
facilitandone l'escrezione. Tuttavia, alcuni intermedi prodotti dai CYP sono elettrofili e formano addotti del DNA. Se tali
addotti persistono, possono causare mutazioni di oncogeni e oncosoppressori quali rispettivamente K-Ras e p53. Il
rischio di sviluppare un cancro al polmone è correlato all’intensità dell'esposizione, di solito espressa in termini di
“pack years” o in sigarette fumate al giorno. Inoltre, fumare moltiplica il rischio cancerogeno di altre sostanze. Ne sono
testimoni l'incidenza dieci volte più alta di carcinoma del polmone nei lavoratori dell'amianto e nei minatori di uranio
fumatori rispetto a quelli non fumatori, e l'interazione tra il consumo di tabacco e l'alcool nello sviluppo dei cancri orali.
FUMO E ALTRE PATOLOGIE. In aggiunta ai tumori del polmone, il tabacco contribuisce allo sviluppo dei cancri della cavità orale,
dell'esofago, del pancreas e della vescica. Il fumo e il tabacco non da fumo interagiscono con l’alcool nello sviluppo del
cancro della laringe. La combinazione di questi agenti ha un effetto sinergico sul rischio di sviluppare questo tumore.
Il fumo di sigaretta è strettamente legato allo sviluppo dell'aterosclerosi e della sua complicanza principale, l'infarto del
miocardio. I meccanismi causali probabilmente sono correlati a diversi fattori, inclusa l’aumentata aggregazione
piastrinica, la diminuita ossigenazione miocardica (a causa della rilevante patologia polmonare accoppiata con l’ipossia
dovuta al contenuto in CO del fumo di sigaretta) accompagnata da un’aumentata richiesta di ossigeno e una soglia
ridotta per la fibrillazione ventricolare. Il fumo ha un effetto sinergico sull'incidenza dell'infarto del miocardio se
combinato con l’ipertensione e l'ipercolesterolemia.
Il fumo nella madre aumenta il rischio di aborto spontaneo e di parto pretermine ed esita in un ritardo di crescita
intrauterino. I pesi alla nascita dei bambini nati da madri che hanno smesso di fumare prima della gravidanza sono
tuttavia normali.
L'esposizione al fumo di tabacco ambientale (fumo passivo) è associata ad alcuni degli effetti negativi che esitano dal
fumo attivo. Si stima che il rischio relativo di cancro del polmone nei non fumatori esposti al fumo ambientale sia 1,3
volte più alto che nei non fumatori non esposti al fumo. C’è inoltre un aumento del rischio di aterosclerosi coronarica e
di infarto miocardico fatale. L’inalazione di fumo passivo nei non fumatori può essere stimata misurando i livelli ematici
di cotinina, un metabolita della nicotina. I livelli medi di cotinina nei non fumatori sono diminuiti di più del 60% durante
gli ultimi 10 anni, ma l’esposizione domestica al fumo di tabacco ambientale resta un grande problema per la sanità
pubblica, in particolare per i bambini che potrebbero sviluppare patologie respiratorie e asma.
Il consumo di etanolo in quantità moderate generalmente non è dannoso, ma in quantità eccessive l’alcool causa seri
danni fisici e psicologici.
Nonostante tutta l'attenzione rivolta alle droghe illegali quali cocaina ed eroina, l'abuso di alcool è un pericolo più
diffuso e miete molte più vittime. Il 50% degli adulti nel mondo occidentale beve alcolici, e circa il 5-10% soffre di
alcolismo cronico. Si stima che vi siano più di 10 milioni di alcolisti cronici negli Stati Uniti e che il consumo di alcool sia
responsabile di oltre 100.000 morti ogni anno. Più del 50% di queste morti sono dovute a incidenti causati da guida in
stato di ebbrezza e da omicidi e suicidi correlati all'alcool, e circa 15.000 morti l'anno sono una conseguenza della cirrosi
epatica. Globalmente l'alcool è responsabile di circa 1,8 milioni di morti all’anno (3,2% di tutti i decessi).
Dopo il consumo, l'etanolo viene assorbito inalterato nello stomaco e nel piccolo intestino. Viene quindi distribuito a
tutti i tessuti e fluidi del corpo in proporzione diretta al livello ematico. Meno del 10% viene escreto inalterato tramite
urine, sudore e aria espirata. La quantità liberata è proporzionale al livello ematico e forma la base del test “del
palloncino” utilizzato dalle forze di polizia. Una concentrazione di 80 mg/dl nel sangue rappresenta il limite per la
definizione legale di guida in stato di ebbrezza negli Stati Uniti. Per un individuo medio, questa concentrazione di alcool
può essere raggiunta dopo il consumo di tre drink standard, è contenuta in 3 bottiglie di birra (da 35 cl), 45 cl di vino o
120-150 cl di alcolici distillati a 40°.
La velocità del metabolismo influisce sui livelli di alcool nel sangue. Gli alcolisti cronici possono tollerare livelli che
raggiungono i 700 mg/dl, una situazione in parte spiegabile dall'accelerato metabolismo dell’etanolo causato da un
aumento dell’induzione di 5-10 volte dei CYP epatici. Gli effetti dell'alcool variano anche in base a età, sesso e tessuto
adiposo corporeo.
La maggior parte dell'alcool nel sangue viene biotrasƒormata in acetaldeide nel fegato a opera di tre sistemi enzimatici
costituiti da:
● Alcool deidrogenasi (ADH). È il sistema enzimatico principale coinvolto nel metabolismo dell’alcol. Si trova nel
citosol degli epatociti.
● Sistema microsomale etanolo-ossidante (MEOS). Partecipa al metabolismo dell’alcol a livelli ematici elevati.
● Catalasi. Usa il perossido di idrogeno come substrato. È di importanza minore perché metabolizza non più del
5% dell’etanolo nel fegato.
L’acetaldeide prodotta dal metabolismo dell’alcool attraverso l'ADH o il MEOS viene convertita ad acetato
dall'aldeide-deídrogenasi (ALDH), che viene utilizzato nella catena respiratoria mitocondriale. Il sistema di ossidazione
microsomale coinvolge i CYP, in particolare il CYP2E1, sito nel reticolo endoplasmatico liscio. L’induzione dei CYP da
parte dell’alcool spiega l’aumentata suscettibilità degli alcolisti ad altri composti metabolizzati dallo stesso sistema
enzimatico, che includono farmaci, anestetici, cancerogeni e solventi industriali. È da notare, tuttavia, che quando
l'alcool è presente nel sangue a concentrazioni elevatecompete con gli altri substrati del CYPZEI e ritarda il
catabolismo dei farmaci, potenziando gli effetti depressivi di sostanze narcotiche, sedative e psicoattive nel sistema
nervoso centrale. L’ossidazione dell’etanolo produce agenti tossici e blocca le vie metaboliche.
● L'acetaldeide ha molti effetti tossici ed è responsabile di alcuni degli effetti acuti dell'alcool e dello sviluppo del
cancro orale. L’eff1cienza del metabolismo dell'alcool varia tra le popolazioni, in dipendenza dai livelli di
espressione degli isoenzimi ADH e ALDH e dalla presenza di varianti genetiche che alterano l’attività enzimatica.
Circa il 50% degli asiatici ha un'attività dell'ALDH molto bassa, dovuta alla sostituzione di una lisina con una
glutammina al residuo 487 (l'allele normale viene chiamato ALDH2*1 e la variante inattiva viene indicata come
ALDH2*2). La proteina ALDH2*2 ha un’attività negativa dominante, tale che una sola copia dell'allele ALDH2*2
riduce significativamente l’attività dell’ALDH. Gli individui omozigoti per l’allele ALDH2*2 sono totalmente
incapaci di ossidare l’acetaldeide e non tollerano l'alcool, e sperimentano, dopo l'ingestione, nausea,
arrossamento, tachicardia e iperventilazione.
● L’ossidazione dell’alcool da parte dell’ADH causa la riduzione della nicotinammide adenina dinucleotide (NAD) a
NADH, con una conseguente diminuzione del NAD e un aumento del NADH. Il NAD è necessario per
l’ossidazione degli acidi grassi nel fegato e per la conversione del lattato in piruvato. La sua carenza è una delle
cause principali dell'accumulo di grasso nel fegato degli alcolisti. L’aumento del rapporto NADH/NAD negli
alcolisti causa inoltre acidosi lattica.
● Il metabolismo dell'etanolo nel fegato da parte del CYPZEI produce specie reattive dell'ossigeno e causa
perossidazione dei lipidi delle membrane cellulari. Tuttavia, il meccanismo preciso responsabile del danno
cellulare indotto dall'alcool nel fegato non è stato ben definito.
● L'alcool causa, inoltre, il rilascio di endotossina (lipopolisaccaride) dai batteri Gram-negativi nella flora
intestinale, endotossina che stimola la produzione di TNF (fattore di necrosi tumorale) e altre citochine da
parte di macrofagi e cellule di Kupffer, portando al danno epatico.
Gli effetti avversi dell’etanolo possono essere classificati come acuti o cronici.
L’ alcolismo acuto esercita i suoi effetti principalmente sul SNC, ma può indurre alterazioni epatiche e gastriche che
sono reversibili se il consumo di alcool viene interrotto. Anche con un'assunzione moderata di alcool, si accumulano
molteplici goccioline di grasso nel citoplasma degli epatociti (modificazioni grasse o steatosi epatica).
L'alcolismo cronico colpisce non solo il fegato e lo stomaco, ma virtualmente tutti gli altri organi e tessuti. Gli alcolisti
cronici soffrono di una significativa morbilità e hanno un'aspettativa di vita ridotta, collegata principalmente al danno a
fegato, tratto gastrointestinale, SNC, sistema cardiovascolare e pancreas.
● Il fegato è la sede principale di danno cronico. In aggiunta alle modificazioni grasse ricordate
precedentemente, l'alcolismo cronico causa epatite e cirrosi alcolica. La cirrosi è associata a ipertensione
portale e a un aumento del rischio di sviluppo di carcinoma epatocellulare.
● Nel tratto gastrointestinale, l’alcolismo cronico può causare sanguinamenti massivi dovuti a gastrite, ulcere
gastriche o varici esofagee (associate a cirrosi), che possono risultare fatali. Il deficit di tiamina (vitamina B1) è
comune negli alcolisti cronici.
● Le lesioni principali che risultano da questa carenza sono la neuropatia periferica e la sindrome di
Wernicke-Korsakof. Possono anche verificarsi atrofia cerebrale, degenerazione cerebellare e neuropatia ottica.
● L'alcool ha effetti vari sul sistema cardiovascolare. Un danno al miocardio può produrre cardiomiopatia
dilatativa congestizia (cardiomiopatia alcolica). L'alcolismo cronico è inoltre associato a un'aumentata incidenza
di ipertensione.
o É stato riferito che quantità moderate di alcool (circa 20-30 g di assunzione giornaliera, corrispondenti
a circa 250 ml di vino) aumentano i livelli di lipoproteina ad alta densità (I-IDL) e inibiscono
l’aggregazione piastrinica, proteggendo quindi dalla patologia cardiaca coronarica.
o Tuttavia, un consumo elevato di alcool, con concomitante danno al fegato, esita in una riduzione dei
livelli di HDL, aumentando la probabilità di patologia cardiaca coronarica.
● Un’assunzione eccessiva di alcool aumenta il rischio di pancreatite acuta e cronica.
● L’uso di etanolo durante la gravidanza - secondo quanto riportato, anche in quantità molto basse - può causare
la sindrome alcolicafetale. È caratterizzata da microcefalia, ritardo di crescita e anomalie facciali nel neonato e,
con l'avanzare dell'età del bambino, una riduzione nella funzione mentale. È difficile stabilire la quantità
minima di alcool che può causare la sindrome fetale alcolica, ma il consumo durante il primo trimestre di
gravidanza è particolarmente dannoso. Si è stimato che la prevalenza del consumo di alcool frequente e
smodato tra le donne gravide è approssimativamente del 6% e che la sindrome alcolica fetale colpisce da 1 a
4,8 su 1.000 bambini nati negli Stati Uniti.
● Il consumo cronico di alcool è associato a un'aumentata incidenza di cancro di cavità orale, esofago, fegato e,
potenzialmente, seno nelle donne. L'acetaldeide è considerato il principale agente associato a cancro laringeo
ed esofageo indotto da alcool, dal momento che addotti acetaldeide-DNA sono stati riscontrati in alcuni tumori
di questi tessuti. Gli individui con una copia dell'allele ALDH2*2 che bevono sono a rischio più elevato di
sviluppare cancro dell'esofago.
● L'etanolo è una sostanziale fonte di energia (calorie vuote). L’alcolismo cronico porta a malnutrizione e deficit
nutrizionali, in particolare delle vitamine del gruppo B.
Il vino rosso contiene il resveratrolo, un composto polifenolico che aumenta la vita media di vermi e mosche, promuove
la longevità nei topi e protegge questi dall’obesità indotta dalla dieta e dall’insulino-resistenza. Il resveratrolo
contribuisce all’effetto protettivo contro la patologia cardiovascolare nei bevitori moderati di vino e potenzialmente
offre la chiave di interpretazione del “paradosso francese”, una popolazione amante del vino e del cibo con una bassa
incidenza di obesità e patologie cardiovascolari. Gli effetti del resveratrolo sulla longevità sono stati attribuiti
all'attivazione da parte di questa sostanza di proteine deacetilanti della famiglia di enzimi Sir2 (sirtuina), che include le
istone deacetilasi. Tuttavia, poiché il resveratrolo interagisce anche con numerose altre proteine, studi tuttora in corso
cercano di identificare i meccanismi precisi dei suoi effetti protettivi.
INTOSSICAZIONE DA PIOMBO
L'esposizione al piombo avviene tramite aria contaminata, cibo e acqua. Per la maggior parte del XX secolo le maggiori
fonti di piombo nell’ambiente erano le pitture murali per abitazioni contenenti piombo e benzina. Vi sono molte fonti di
piombo nell'ambiente, come quella provenienti da miniere, fonderie, batterie e vernici spray, che costituiscono rischi
occupazionali. Tuttavia, la vernice al piombo in sfaldamento nelle vecchie abitazioni e la contaminazione del suolo
pongono i maggiori pericoli per i giovani, e può verificarsi ingestione fino a 200 mg/giorno.
● L'intossicazione subclinica da piombo può verificarsi in bambini esposti a livelli inferiori a 10 ug/dl,
determinando basse capacità intellettuali, problemi comportamentali come l'iperattività, e scarse capacità
organizzative.
● L'avvelenamento da piombo, sebbene meno comune negli adulti, si verifica perlopiù come rischio
occupazionale negli individui coinvolti nella produzione di batterie, pigmenti, radiatori per automobili e lattine.
I maggiori bersagli anatomici della tossicità da piombo sono il midollo osseo e il sangue, il sistema nervoso, il tratto
gastrointestinale e i reni.
Le variazioni nel sangue e nel midollo osseo avvengono piuttosto presto e sono caratteristiche.
L'inibizione della ferrochelatasi da parte del piombo esita nella comparsa di sideroblasti ad anello, precursori eritrocitari
con mitocondri carichi di ferro che vengono evidenziati con una colorazione con il blu di Prussia. Nel sangue periferico si
evidenzia un'anemia microcitica ipocromica dovuta al difetto nella sintesi dell'emoglobina, spesso accompagnata da una
lieve emolisi. Ancora più distintiva è la punteggiatura basofila degli eritrociti.
Il danno cerebrale è solito verificarsi nei bambini. Può essere molto contenuto, determinando una lieve disfunzione,
oppure può essere massivo e letale. Nei bambini piccoli sono stati descritti deficit sensoriali, motori, intellettivi e
psicologici, compresi un ridotto QI, disabilità nell'apprendimento, ritardato sviluppo psicomotorio, cecità e, nei casi più
gravi, psicosi, convulsioni e coma.
La tossicità da piombo nella madre può determinare problemi nello sviluppo cerebrale del bambino prima del parto. Le
alterazioni anatomiche sottostanti ai deficit funzionali più limitati sono mal definite, ma si teme che alcuni dei difetti
possano essere permanenti. All'estremità più grave dello spettro delle manifestazioni vi sono marcato edema cerebrale,
demielinizzazione della materia bianca cerebrale e cerebellare e necrosi dei neuroni corticali accompagnata da
proliferazione astrocitaria diffusa.
Negli adulti il SNC viene interessato meno frequentemente, ma compare spesso una neuropatia periferica
demielinizzante, che coinvolge tipicamente i nervi motori dei muscoli più comunemente usati. Quindi sono interessati
prima i muscoli estensori del polso e delle dita (polso cadente), seguiti dalla paralisi dei muscoli del perone
(determinando
il piede cadente).
Il tratto gastrointestinale è anch'esse sede di importanti di manifestazioni cliniche. La “colica” saturnina è caratterizzata
da dolore addominale estremamente grave e scarsamente localizzato.
I reni possono sviluppare danno tubolare prossimale con inclusioni intranucleari di piombo. Il danno renale cronico
porta infine a fibrosi interstiziale e potenzialmente a insufficienza renale. La diminuzione nell'escrezione di acido urico
può portare alla gotta (”gotta saturnina").
La maggior parte del piombo assorbito (dall”80 all'85%) viene incorporato nell’osso e nei denti in via di sviluppo, dove
compete con il calcio; la sua vita media nell’osso va da 20 a 30 anni. Tra gli effetti dell’esposizione al piombo troviamo:
● Disturbi nel SNC. Alti livelli di piombo causano disturbi nel SNC in adulti e bambini, ma le neuropatie
periferiche predominano negli adulti. I bambini assorbono più del 50% del piombo ingerito (rispetto a 515%
negli adulti); l’assorbimento intestinale più elevato e la barriera ematoencefalica più permeabile dei bambini
determinano un'elevata suscettibilità al danno encefalico. Gli effetti neurotossici del piombo sono attribuiti
all'inibizione dei neurotrasmettitori causata dalla distruzione dell'omeostasi del calcio. elencati in basso.
● Il piombo interferisce con il normale rimodellamento della cartilagine e delle trabecole primarie dell'osso
nelle epifisi dei bambini. Questo causa un aumento della densità ossea riscontrata come “linee del piombo”
radio-opache (un’altra linea del piombo compare nelle gengive come esito dell’iperpigmentazione). Il piombo
inibisce la guarigione delle fratture aumentando la condrogenesi e ritardando la mineralizzazione della
cartilagine.
● Il piombo inibisce l’attività dei due enzimi coinvolti nella sintesi dell'eme, la acido
8-aminolevulinico-deidratasi e la ferrochelatasi. La ferrochelatasi catalizza l°incorporazione del ferro nella
protoporfirina e la sua inibizione causa un innalzamento nei livelli di protoporfirina. Il risultante deficit di eme
causa varie anomalie ma la più ovvia è una anemia microcitica, ipocromica, che deriva dalla soppressione della
sintesi dell’emoglobina.
Per la diagnosi di avvelenamento da piombo bisogna sempre tenere in considerazione la sua diffusione. Nei bambini
può essere sospettata sulla base delle modificazioni neurologiche e comportamentali, o da un'anemia non spiegata con
punteggiature basofile nei globuli rossi. La diagnosi definitiva richiede il riscontro di livelli elevati di piombemia e
protoporfirina eritrocitaria ematica libera (o legata allo zinco).
GOTTA
In relazione anche al fatto di un’azione a distanza, dovuta al rilascio di sostanze di degradazione del danno cellulare che
possa stimolare la risposta infiammatoria, dobbiamo considerare anche dei veleni che hanno un’azione flogogena, cioè
inducono una risposta infiammatoria anche a distanza, non necessariamente sul punto di applicazione. Dobbiamo
distinguere delle sostanze che stimolano un’azione flogogena e quindi una risposta infiammatoria acuta o che può
tendere alla cronicizzazione. Ciò dipende dal tipo di sostanza: es sostanza flogogena che è un prodotto intermedio del
metabolismo come l’acido urico che può portare alla gotta, è riconducibile ad un’alterazione delle capacità metaboliche
dell’individuo e quindi a varianti geniche che lo predispongono all’accumulo di acido urico. Alcune varianti geniche sono
state selezionate in relazione all’ambiente nutrizionale in cui alcune popolazioni si sono evolute e quindi al tipo di
alimentazione, se su base animale o vegetale; in alcune popolazioni che si sono evolute con scarsità di vegetali, si sono
selezionati individui con capacità metaboliche per quel tipo di alimentazione, che ne ha favorito la fitness (non è solo la
capacità di vivere in un ambiente e quindi di vivere il proprio benessere psicofisico e sociale, ma anche quello
riproduttivo).
La gotta, quindi, è data da alto livello sierico di acido urico che si accumula e forma cristalli di urato sodico a livello delle
articolazioni.
● L’acido urico nelle articolazioni può dare un danno alle loro superfici di rivestimento, che si infiammano e
danno artrite acuta che potrà cronicizzare. Le articolazioni sono dolenti, non funzionano. Si hanno tutti i
sintomi dovuti all’artrite (“ite” suffisso per le infiammazioni acute; “osa” per le infiammazioni croniche). I
sintomi possono oscillare nel tempo, non sono costanti. Questo vale per tutte le patologie infiammatorie che
cronicizzano e che possono avere delle acutizzazioni, per cui contemporaneamente ho uno stato infiammatorio
cronico anche di basso grado che riacutizza.
● A livello dei tessuti periarticolari, si osservano dei tofi (protrusioni)
● A livello renale si può avere urolitiasi
PATOLOGIE GENETICHE
Prof.ssa Mincione
La patologia genetica è un ambito della patologia generale che si occupa dei processi patologici, che vedono in
un’alterazione dei geni la causa di una malattia. La patologia genetica indaga l'origine delle patologie e come esse si
distribuiscono nelle varie popolazioni. Infatti, alcune patologie sono patognomoniche di determinate razze, come la
razza caucasica o razza bianca.
La patologia genetica propone prospettive di diagnosi, prevenzione e terapia. Esempi di strumenti che si utilizzano per
fare diagnosi di una patologia ereditaria sono l'amniocentesi e la villocentesi. Quest’ultima viene fatta nelle prime
settimane di vita del feto e si basa sul prelievo di villi coriali. Sono tecniche che permettono di indagare, grazie al
prelievo di cellule fetali, la presenza di determinate patologie, come la fibrosi cistica.
La fibrosi cistica è una patologia autosomica recessiva, che vede la manifestazione della malattia in soggetti omozigoti,
perché essendo recessiva è necessario che tutti e due gli alleli, materno e paterno, siano mutati affinché si sviluppi la
patologia. Il paziente affetto da fibrosi cistica deriva da due genitori eterozigoti, con un allele sano e un allele mutato, di
conseguenza due persone potrebbero voler sapere se il frutto del loro concepimento è portatore di due alleli malati.
La patologia genetica nasce agli inizi del 1900, quando Garrot elaborò il concetto degli “errori congeniti del
metabolismo’’, in seguito a studi sull’alcaptonuria e sull’albinismo.