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Mi chiamo Antares Willowmare.

Ho 26 anni e a 19 sono fuggito dal posto che un tempo chiamavo casa per scappare da
un destino che mi era stato forzatamente assegnato ancora prima che nascessi.
Scrivo queste note in caso le mie condizioni in futuro si rivelassero critiche, se il
corpo verrà dimenticato in una rovina o coperto dalla neve, le mie ricerche dovranno
essere trovate a qualunque costo, e con esse, la mia storia.
Sono un mezzelfo, nato dall'unione di una potente megera della foresta e di un
capitano drow, stanziatosi con il suo branco da caccia a Tetzankal, un avamposto al
confine con le terre di Avalon.
Come i due si siano conosciuti non ho memoria, ma una cosa è certa, mio padre non
amava mia madre; forse un tempo, quando aveva lasciato la guerra e i conflitti alla
spalle per condurre una vita pacifica ai margini della foresta, ma quei giorni erano
assai lontani.
“La guerra è come un goccio di ambrosia Antares, una volta assaggiato il campo di
battaglia, quel sapore non ti uscirà mai più dalla testa" soleva ripetere quella frase alla
nausea. Voleva fossi come lui, un guerriero capace di guidare un’armata di
consanguinei e di far inginocchiare anche il più agguerrito degli avversari ai miei
piedi.
Il giorno della mia iniziazione, scappai nella foresta, scappai lontano, correndo finché
le mie gambe riuscirono a reggermi. In lontananza sentivo gli ululati del branco da
caccia, cercavano di fiutarmi attraverso la neve che scendeva candida e costante
sull’intero sottobosco. Mi nascosi per giorni, vivendo delle poche provviste che ero
riuscito a trasportare con me prima della fuga, finché non persero le mie tracce, ormai
coperte da un fitto strato di neve.
Mentre fissavo quella lenta cascata di piccoli cristalli bianchi, pensai a mia madre,
Lorelei Willowmare, una donna gentile, votata all’uso della magia per il bene, al
contrario della sua natura di strega d’inverno. Ricordo bene come mi nascondessi
dietro di lei ogni volta che un estraneo entrava in casa, spesso cacciatori della zona
rimasti feriti durante una battuta di caccia, uomini temprati dal freddo ma con modi
educati seppur goffi, quasi intimoriti dalla sua presenza.
Per quanto il clima fuori era selvaggio e senza padrone, lei riusciva sempre a scaldare
la casa col il suo smagliante sorriso; Fu lei a introdurmi alle arti arcane, a insegnarmi i
segreti delle piante e della terra, della neve e del freddo.
“Ricorda Antares, ogni cosa su questo vasto mondo respira assieme a te, a un ritmo
che l’uomo comune non riesce a percepire, ma se ti fermerai ad ascoltare la natura,
essa si rivelerà a te, mio piccolo fiocco di neve”.
Prima di andare, mi fece un ultimo dono, un piccolo batuffolo di piume biancastre:
“Lei fa parte del mio piccolo stormo, si chiama Skadi, sarà la tua compagna ovunque
andrai, in un certo senso, casa sarà sempre con te" fece un debole sorriso e mi baciò la
fronte, per poi lasciarmi andare per la mia strada , senza una parola oltre.
E’ passato molto tempo da allora, ma ho ancora teneri ricordi di lei, di come mi ha
accudito e cresciuto da sola, e non gliene sarò mai grato abbastanza.
Qualche settimana dopo la mia fuga, decisi di allontanarmi da quella maledetta distesa
di ghiaccio,presi il valico tra le montagne verso i confini Avaloniani, per quanto duro
non avrei avuto percorso migliore verso la libertà.
Privo di orientamento e solo con una meta in testa, decisi di avventurarmi oltre la
strada battuta e dopo qualche giorno finii all’entrata di alcune antiche e dimenticate
rovine, un enorme arco di pietra coperto da muschio e foglie stava all’entrata di una
profonda e buia galleria; decisi di affidarmi al mio istinto e mi avventurai deciso a
scoprire i segreti che quelle rovine contenevano.
Più che delle rovine sembrava la rete di un enorme formicaio, estendendosi in
profondità sotto la superficie, in una moltitudine di passaggi e gallerie, i muri erano
ricoperti da segni, scritte e perfino immagini stilizzate di uomini armati che
combattevano enormi creature dall’aspetto terrificante;
Chiunque abitasse queste rovine, aveva lasciato questo mondo molto, molto tempo fa.
Ogni informazione che riuscivo a carpire da quelle fredde mura era aggiunta e
catalogata nel mio diario, che presto divenne quasi un enorme enciclopedia, tutto ciò
che sapevo era in quel libro e più andavo avanti più le pagine si moltiplicavano
sempre più. Riuscii a capire qualche parola, qualche lettera, ma il tutto formava solo
un insieme sconnesso di termini senza capo ne coda; termini come “Oscurità”
“Guerra” e “Male”erano spesso ripetute ovunque in quelle lunghe mura di incisioni e
figure,ero stanco e senza meta, ma decisi di continuare, spinto sempre più da ogni
scoperta che facevo.
Prima che me ne accorgessi passai mesi in quelle rovine, a raccogliere e perfezionare
informazioni di una civiltà di cui ancora non sapevo alcunché; tutto ciò che avevo
scoperto o dedotto era che questo popolo sembrava essere i primi coloni del
Nidavelleir, sopravvissero nascondendosi sottoterra, al riparo dalla luce del sole ,
dichiarando guerra a ogni genere di bestia e aberrazione che abitasse la superficie, non
avevano un nome, quindi decisi di catalogarli come “Popolo del buio”.
Dopo quello che sembrava essere stato un secolo intero, tornai verso la superficie,
seguendo la traccia di segni e direzioni che mi ero lasciato dietro, non avrei mai voluto
perdermi in quelle rovine dimenticate, per tutto questo tempo, il mio unico assistente
era stata Skadi, silenziosa ascoltatrice del mio lavoro e unica vera compagnia in queste
terre aride e gelate. Passammo il valico e in lontananza scorgemmo il confine delle
terre Avaloniane, l’inizio di una nuova vita, di una nuova opportunità per essere
chiunque sarei voluto essere, festeggiammo tutta notte bevendo e parlando, o almeno
io parlavo, lei ascoltava, come sempre, e fu lì che capii;
più il tempo passava, più sentivo un forte legame formarsi tra me e Skadi, quel
silenzioso volatile non era che un battutolo di piume bianche, ma non ce l'avrei mai
fatta a sopravvivere da solo, anche se l’unica cosa che mi donava era il silenzio, lo
apprezzavo in egual modo, era un silenzio quasi confortevole, come quello che si crea
dopo una pesante nevicata notturna, lo steso che sentivo affaciato alla finestra di casa,
Ecco di cosa sapeva, di casa, mi mancherà casa.

Non so bene dove mi porteranno le mie gambe, ma ho intenzione di vivere e scoprire


ogni centimetro del mondo aldilà delle montagne, libero come un, gufo trasportato
vento d’inverno.

Antares Willowmare

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