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Traduzione di

Michael J. Loux
ch. 5 “The necessary and the possible” in Metaphysics. A Contemporary Introduction
Routledge, London and New York, 1998
(Traduzione di Elisa Paganini)

Michael Loux – Metafisica. Un’introduzione contemporanea


Cap. 5 Il necessario e il possibile
I problemi che riguardano la modalità

[…] Le nozioni di necessario, possibile, impossibile, contingente sono chiamate


nozioni modali. […] Abbiamo detto [nei capitoli precedenti del libro], per esempio,
che una proposizione necessariamente vera è tale che è impossibile che sia falsa;
abbiamo detto che un attributo è essenziale a una cosa nel caso in cui quella cosa non
possa esistere senza quell’attributo. In breve, abbiamo spiegato ciascuna nozione
modale nei termini di altre nozioni modali. L’assunzione di fondo è stata che le
nozioni modali sono in ultima analisi non problematiche, che tutti noi afferriamo
queste nozioni e che l’uso filosofico di tali nozioni può semplicemente fare
affidamento su questo fatto.
Tuttavia molti filosofi metterebbero in discussione il nostro uso libero di tali
nozioni.1 Essi sosterrebbero che c’è qualcosa di profondamente problematico
riguardo a tali nozioni e avanzerebbero obiezioni a ciò che considererebbero un uso
sconsiderato di tali nozioni da parte nostra. Direbbero che siamo stati ingenui a
supporre di avere una comprensione affidabile delle nozioni modali e che ci stiamo
rendendo oscuri nel fare appello ad esse. Perché questi filosofi considerano le nozioni
modali con tale sospetto? Ci sono numerose ragioni diverse. Una di esse è certamente
legata a un orientamento empirista in metafisica. Coloro che hanno criticato le
nozioni modali sono stati spesso empiristi, e hanno messo in discussione l’appello a
concetti che non possono essere fatti risalire al nostro confronto empirico col mondo.
Hanno insistito che l’esperienza non rivela mai ciò che è necessario o ciò che è
possibile, ma solo ciò che accade; e hanno sostenuto che se la nostra esperienza del
mondo ci mostra che non ha caratteristiche modali, noi non abbiamo alcun
fondamento per usare i concetti modali nella nostra caratterizzazione metafisica della
struttura di quel mondo. A loro avviso, se il discorso modale (il discorso su ciò che è
necessario, possibile o impossibile) ha un qualche fondamento, è solo in relazione al
linguaggio. Essi concedono che è necessariamente vero che gli scapoli non sono
sposati, ma negano che nel dire ciò stiamo descrivendo caratteristiche del mondo
non-linguistico. Il discorso sulla necessità riflette semplicemente la nostra decisione
di usare le parole in un certo modo. Che gli scapoli non sono sposati è necessario solo
1
Il più eminente critico delle nozioni modali è Quine. Durante tutta la sua carriera ha proposto argomenti contro l’uso
di nozioni come la possibilità e la necessità. Si veda per esempio “Due dogmi dell’empirismo” (nell’antologia Filosofia
del linguaggio, Cortina, Milano, 2003) e Parola e oggetto.
nel senso che è vero in virtù dei significati delle parole “scapolo” e “non sposato”.
Per come lo presentano gli empiristi, la sola necessità è necessità verbale.
Le obiezioni empiriste all’uso delle nozioni modali in metafisica hanno una
lunga storia. Risalgono almeno a Hume. Un diverso tipo di obiezione risale a tempi
più recenti. Questa obiezione al discorso sulla necessità e sulla possibilità era
particolarmente diffusa nella prima metà di questo secolo [il ventesimo secolo]. Trae
origine da una certa concezione di come dovrebbe apparire un linguaggio
filosoficamente adeguato. Il requisito per accettare un certo discorso o un insieme di
enunciati è che sia estensionale. Ma che cos’è un discorso estensionale o un insieme
estensionale di enunciati? Questa non è una domanda semplice, ma per i nostri scopi
possiamo dire che una parte del linguaggio è estensionale se ciascuno dei suoi
enunciati è tale che la sostituzione dei suoi termini costituenti con espressioni
coreferenziali (cioè, espressioni che hanno lo stesso riferimento) non altera il valore
di verità dell’enunciato. Due termini singolari sono coreferenziali se nominano la
stessa cosa; due termini predicativi (o generali) sono coreferenziali se sono veri degli
(o sono soddisfatti dagli) stessi oggetti; e due enunciati possono essere detti
coreferenziali se hanno lo stesso valore di verità. Date queste definizioni, non è
troppo difficile capire in che cosa consiste l’estensionalità. Ciascuno degli enunciati
seguenti è chiamato un contesto estensionale:

(1)Giorgio Napolitano è in vacanza in Valtellina


(2)Ogni essere umano è mortale
(3)Due più due fa quattro e Tony Blair è Primo Ministro del Regno Unito

Supponiamo di sostituire a “Giorgio Napolitano” in (1) il termine coreferenziale


“il Presidente della Repubblica Italiana nel 2008”. Il risultato è un enunciato con lo
stesso valore di verità di (1). Allo stesso modo, se sostituiamo al termine generale (o
predicativo) “essere umano” in (2) il termine coreferenziale “bipede implume”,
l’enunciato che otteniamo è vero se (2) è vero e falso se (2) è falso. Infine, se
sostituiamo “i triangoli hanno tre lati” a “due più due fa quattro” otteniamo un
enunciato che ha lo stesso valore di verità di (3).
Abbiamo detto che i filosofi nella prima metà del ventesimo secolo hanno spesso
sostenuto che un discorso filosofico rispettabile, cioè un discorso filosofico utilizzato
per fare filosofia seria, deve essere estensionale nel senso appena delineato. Perché?
Ci sono diverse ragioni; ma il motivo principale era che dove il linguaggio è
estensionale abbiamo una chiara comprensione delle relazioni inferenziali fra i vari
enunciati del linguaggio; sappiamo quali enunciati seguono o sono derivabili da altri
enunciati. E la ragione di ciò è che ci sono sistemi logici ben fondati, sistemi di cui
comprendiamo completamente il funzionamento, che regolano le relazioni logiche fra
enunciati in un linguaggio estensionale. Disponiamo del calcolo proposizionale che
regola il funzionamento dei connettivi proposizionali (“non”, “e”, “o”, “se…allora” e
“se e solo se”), del calcolo predicativo che mostra come la struttura interna degli
enunciati si rapporta alle connessioni inferenziali in cui sono coinvolte, e della teoria
degli insiemi che esibisce le connessioni inferenziali fra enunciati che esprimono
relazioni insiemistiche.
Pertanto laddove il linguaggio è estensionale, abbiamo un sistema logico che
specifica esattamente quali enunciati sono conseguenza di un qualsiasi insieme di
enunciati; e si è pensato che questo fatto rendesse il linguaggio estensionale adatto a
fare filosofia seriamente. Ma che rilevanza hanno queste osservazioni con la
modalità? Beh, non si può dare per scontato che gli enunciati che contengono termini
con espressioni modali superino il test dell’estensionalità. Un paio di esempi sono
sufficienti per evidenziare la difficoltà. Poiché

(4)Due più due fa quattro e gli scapoli non sono sposati

è una verità necessaria,

(5)E’ necessario che due più due fa quattro e gli scapoli non sono sposati

è vero. Se tuttavia sostituiamo “due più due fa quattro” in (5) con “Giorgio
Napolitano è presidente della Repubblica Italiana”, ciò che risulta

(6)E’ necessario che Giorgio Napolitano è presidente della Repubblica


Italiana e gli scapoli non sono sposati

è falso. Poiché è solo contingentemente vero che Giorgio Napolitano è Presidente


della Repubblica Italiana, la congiunzione “Giorgio Napolitano è presidente della
Repubblica Italiana e gli scapoli non sono sposati” è anch’essa contingente. Pertanto
introducendo la nozione di necessità abbiamo convertito (4), un enunciato puramente
estensionale, in un enunciato che non è estensionale; o, come talvolta si dice,
l’introduzione della nozione di necessità qui converte un contesto estensionale in un
contesto intensionale. Allo stesso modo

(7)L’uomo più alto dell’Indiana è più alto di chiunque altro in Indiana

è un contesto estensionale. Il suo valore di verità non cambia quando sostituiamo


“l’uomo più alto dell’Indiana” col termine coreferenziale “Sam Small”. Tuttavia (7)
esprime una verità necessaria, pertanto

(8)E’ necessario che l’uomo più alto dell’Indiana sia più alto di chiunque
altro in Indiana

è vero; ma (8) non è estensionale, mentre lo è (7). Quando facciamo le sostituzioni


opportune in (8) ciò che risulta è

(9)E’ necessario che Sam Small sia più alto di chiunque altro in Indiana
e (9) è falso; infatti sebbene Sam Small sia più alto di chiunque altro in Indiana, ci
sarebbe ovviamente potuto essere qualcuno in Indiana più alto di Sam.
Pertanto introducendo termini che esprimono nozioni modali nel nostro
linguaggio convertiamo i contesti estensionali in contesti non-estensionali; e per
molti filosofi degli anni quaranta e cinquanta del Novecento ciò significa che le
nozioni modali non possono avere un posto nella filosofia seria.2 Poiché gli enunciati
che includono le espressioni modali non possono essere conciliate con i sistemi
estensionali del calcolo proposizionale, del calcolo predicativo e della teoria degli
insiemi, i filosofi che invocano tali nozioni non riescono a rendere conto delle
relazioni inferenziali fra i diversi enunciati modali che vogliono assumere. Essi non
hanno una chiara comprensione di ciò a cui si impegnano quando fanno una
particolare assunzione di tipo modale; e questo, per i critici, equivale a dire che non
capiscono quello che dicono.
Si potrebbe pensare che ciò di cui c’era bisogno fosse semplicemente un sistema
logico che rendesse conto delle relazioni logiche fra enunciati modali; cioè che c’era
bisogno di una logica modale. Ma c’erano sistemi modali in letteratura. La difficoltà
era dovuta al fatto che ce n’erano troppi.3 I logici hanno lavorato per rendere
sistematiche le inferenze modali, ma ciò che hanno scoperto è che è possibile
generare logiche modali diverse e non equivalenti, logiche che danno risposte diverse
alla domanda “Quali enunciati modali seguono da un dato insieme di enunciati
modali?” E questo fatto è stato utilizzato abilmente dai critici delle nozioni modali.
Dal loro punto di vista, la possibilità di fornire sistemi non equivalenti di inferenza
modale ha mostrato che noi non abbiamo davvero una comprensione affidabile delle
nozioni di necessità e possibilità, ed è servita a confermare la loro fedeltà all’ideale di
un linguaggio completamente estensionale.
Pertanto, un orientamento empirista in metafisica insieme a considerazioni
tecniche sull’estensionalità hanno avuto l’effetto di diffondere un certo scetticismo
sull’uso delle nozioni di necessità, possibilità e contingenza. Per la verità molti
filosofi hanno continuato a credere che la metafisica seria richiedesse l’appello alle
nozioni modali; ma le obiezioni degli scettici li mettevano sulla difensiva. Poi, negli
anni cinquanta e sessanta del Novecento, gli sviluppi nella logica modale hanno
ridato fiducia ai sostenitori delle nozioni di necessità e possibilità. I logici hanno
scoperto che possono dare una chiara spiegazione alle nozioni di possibilità e
necessità così come vengono usate nelle diverse logiche modali facendo appello
all’idea Leibniziana che il nostro mondo, il mondo attuale, è semplicemente uno degli
infiniti mondi possibili.4 L’idea guida è che così come le proposizioni possono essere
vere o false nel mondo attuale, possono avere valori di verità in altri mondi possibili.
Pertanto la proposizione che Gordon Brown è Primo Ministro del Regno Unito è vera
nel nostro mondo; e sebbene ci siano indubbiamente molti altri mondi possibili in cui
2
Si veda per esempio Quine (1947) “The problem of interpreting modal logic” in Journal of Symbolic Logic e “Tre
gradi di coinvolgimento modale” (1953) (tr. it. in A. Varzi (a cura di), Metafisica, Laterza, 2007)
3
Il lettore con una buona conoscenza di logica troverà una presentazione critica di questi problemi in Loux “Modality
and metaphysics” in Loux, The Possible and the Actual, Ithaca, Cornell University Press (1979).
4
Una figura centrale al riguardo è stata Saul Kripke. Si veda Kripke (1963) “Considerazioni semantiche sulla logica
modale” (tr. it. in L. Linsky (a cura di), Riferimento e modalità, Milano, Bompiani, 2002, pp. 80-92).
è vera, ci sono anche molti mondi possibili in cui è falsa. I logici modali hanno
sostenuto che l’idea che le proposizioni possano avere valori di verità nei mondi
possibili fornisce gli strumenti per spiegare l’applicazione dei concetti modali alle
proposizioni. Per dire che una proposizione è vera o vera “attualmente” [actually]
significa che è vera in quel mondo possibile che è il mondo attuale. Del resto, dire
che una proposizione è necessaria o vera necessariamente è equivalente a dire che è
vera in tutti i mondi possibili, e dire che una proposizione è possibile o è possibile
che sia vera è equivalente a dire che è vera in uno o l’altro dei mondi possibili. In
base a questo resoconto, le nozioni di necessità e possibilità devono essere spiegate
nei termini di quantificazione su mondi. Dire di una proposizione p che è
necessariamente vera significa introdurre un quantificatore universale sui mondi
possibili. E’ equivalente a dire “Per ogni mondo possibile W, p è vero in W”. E dire
di una proposizione p che è possibilmente vera significa introdurre un quantificatore
esistenziale sui mondi possibili; è equivalente a dire “C’è almeno un mondo possibile
W tale che p è vera in W”.
L’elaborazione di questa idea coinvolge dettagli tecnici su cui possiamo
soprassedere; ma una caratteristica importante di questo approccio neo-leibniziano
alla modalità è stata la sua capacità di spiegare la pluralità di logiche modali. E’
emerso che possiamo porre diversi tipi di costrizioni o restrizioni formali sulla
quantificazione sui mondi possibili, e le diverse costrizioni corrispondono a diversi
sistemi proposti dai logici modali nei loro tentativi di caratterizzare le inferenze
modali. Ma, inoltre, nel dirci che l’oggetto di indagine nel discorso modale è la
totalità dei mondi possibili, i sostenitori dell’approccio neo-leibniziano alla logica
modale sono stati in grado di spiegare l’impossibilità – sottolineata dagli empiristi -
di spiegare le nozioni di necessità e possibilità facendo appello al contenuto
dell’esperienza di tutti i giorni. Quando parliamo di ciò che è necessario o possibile,
non stiamo parlando semplicemente di come il mondo è di fatto; stiamo parlando
della totalità dei mondi possibili. Di conseguenza, non sorprende che l’empirista non
fosse in grado di identificare l’oggetto di indagine del discorso modale facendo
semplicemente appello ai contenuti delle nostre esperienze percettive nel mondo
attuale.

Mondi possibili

La strategia neo-leibniziana per rendere conto della logica modale ha a lungo


combattuto contro lo scetticismo sulla modalità. Indubbiamente, il successo di quella
strategia ha permesso il sorgere di un’età dell’oro per lo studio delle modalità, che
continua ancora oggi. I filosofi hanno incominciato a credere che se noi prendiamo
seriamente l’idea dei mondi possibili e la facciamo diventare parte della nostra teoria
ontologica, abbiamo le risorse per affrontare una gran quantità di questioni
filosofiche difficili. […] L’idea che esistano infiniti mondi possibili sembra così
lontana dalla nostra comune concezione di ciò che esiste da mettere in discussione
l’intera attività che si chiama metafisica.
La prima replica dei cosiddetti “metafisici dei mondi possibili” è che questo tipo
di reazione è fuori luogo.5 Essi insistono che se i non-filosofi non parlano dei mondi
possibili come tali, l’apparato teorico dei mondi possibili ha radici intuitive profonde.
Sostengono che l’idea dei mondi possibili può essere fatta risalire a idee pre-
filosofiche che tutti condividiamo. Il modo in cui lo spiegano è il seguente. Tutti noi
crediamo che le cose sarebbero potute andare diversamente. Noi crediamo cioè che il
modo in cui vanno le cose di fatto sia solo uno dei molti diversi modi in cui le cose
sarebbero potute andare. Ma non solo crediamo che ci siano molti diversi modi in cui
le cose sarebbero potute andare; noi assumiamo che i diversi modi in cui le cose
sarebbero potute andare siano ciò che conferisce un valore di verità alle nostre
credenze modali pre-filosofiche. Se crediamo che un qualcosa è necessario (che deve
accadere), noi crediamo che in qualunque modo le cose possano essere andate, quel
qualcosa sarebbe accaduto. Come diciamo, sarebbe accaduto in qualunque caso. Allo
stesso modo se crediamo che qualcosa sia possibile (che potrebbe essere accaduto),
crediamo che ci sia un modo in cui le cose sarebbero potute andare tale che se fossero
andate in quel modo, quel qualcosa sarebbe accaduto.
Ora, gli studiosi di metafisica dei mondi possibili ci dicono che quando si parla
di mondi possibili si stanno semplicemente rendendo rigorose le intuizioni pre-
filosofiche che sono qui all’opera. In questa interpretazione, quando gli ontologi
parlano di mondi possibili stanno semplicemente dando un nome tecnico a qualcosa
che noi tutti, filosofi e non-filosofi, crediamo – modi, modi completi o totali, in cui le
cose sarebbero potute andare; e quando ci dicono che le nozioni modali devono
essere intese come quantificatori sui mondi possibili, stanno semplicemente rendendo
esplicita la connessione fra queste cose e le nostre credenze modali ordinarie. L’idea
che una proposizione p è necessaria solo nel caso in cui per ogni mondo possibile W,
p è vera in W, è semplicemente una formalizzazione della credenza che una
proposizione è necessaria se è vera qualsiasi cosa accada; e l’idea che una
proposizione p è possibile solo nel caso in cui ci sia un mondo possibile W, tale che p
è vera in W, non è nient’altro che un modo rigoroso di esprimere la credenza che
questo o quest’altro sarebbero potuti accadere a condizione che certe circostanze si
fossero realizzate.
Pertanto si assume che la comprensione delle nozioni modali utilizzate in logica
modale e la metafisica dei mondi possibili non sia un’invenzione del filosofo, ma una
semplice estensione del senso comune. Le modalità così comprese sono esempi di ciò
che è chiamata modalità de dicto. La modalità de dicto è la necessità o la possibilità
in quanto applicate a una proposizione considerata come un tutto. Quando
attribuiamo una modalità de dicto, stiamo dicendo che una proposizione ha una certa
proprietà, la proprietà di essere necessariamente vera o possibilmente vera; e, come
abbiamo visto, il resoconto delle modalità de dicto in termini di mondi possibili
interpreta queste modalità nei termini di quantificazioni su mondi. Così come una
proposizione ha la proprietà di essere vera o di essere vera “attualmente” quando è
vera nel mondo attuale, così una proposizione ha la proprietà di essere
necessariamente vera quando è vera in tutti i mondi possibili e ha la proprietà di
5
Per una chiara esposizione di questa replica, si veda D. Lewis “Mondi possibili”(1973) tr. it in Varzi (2007) cit.
essere possibilmente vera quando è vera in qualche mondo possibile. E, ovviamente,
possiamo estendere questo resoconto fino a includere le proprietà modali
dell’impossibilità o della contingenza proposizionale. Dire che una proposizione è
impossibile è attribuirle la proprietà di non essere possibilmente vera o di essere
necessariamente falsa; e una proposizione ha quella proprietà quando non è vera in
alcun mondo possibile o quando è falsa in ogni mondo possibile. E dire che una
proposizione è contingentemente vera o falsa significa attribuirle una proprietà che la
proposizione ha quando è vera/falsa nel mondo attuale ma c’è qualche altro mondo
possibile in cui è falsa/vera.
Una diversa nozione di modalità […] è quella adottata quando parliamo di ciò
che è essenziale o accidentale per un oggetto. La modalità qui in uso è chiamata
modalità de re. Mentre l’attribuzione di una modalità de dicto è l’attribuzione della
proprietà della verità/falsità necessaria, della verità/falsità possibile o della
verità/falsità contingente a una proposizione considerata come un tutto, l’attribuzione
di una modalità de re specifica lo stato modale dell’esemplificazione di un qualche
attributo da parte di una cosa. Quando dico che Giorgio Napolitano è necessariamente
o essenzialmente una persona, ma solo contingentemente o accidentalmente il
Presidente della Repubblica, sto attribuendo modalità de re. Non sto parlando di
proposizioni. Sto parlando di un particolare essere umano, e sto distinguendo lo stato
modale della sua esemplificazione di due diverse proprietà o attributi. Sto dicendo
che ha una di queste proprietà essenzialmente o necessariamente e l’altra
accidentalmente o contingentemente. Per dirlo in altro modo, sto attribuendo certe
proprietà modali a un certo oggetto non-proposizionale, Giorgio Napolitano. Sto
attribuendo a lui la proprietà modale di esemplificare necessariamente o
essenzialmente la proprietà di essere una persona e la proprietà modale di
esemplificare contingentemente o accidentalmente la proprietà di essere Presidente
della Repubblica Italiana.
Possiamo mettere in evidenza la differenza fra le modalità de dicto e de re se
supponiamo che Stephen Hawking stia pensando al numero due. Il numero due ha
essenzialmente o necessariamente la proprietà di essere un numero pari. Di
conseguenza, la seguente attribuzione di modalità de re è vera:

(1) La cosa a cui Stephen Hawking sta pensando è necessariamente un numero


pari

L’attribuzione corrispondente di modalità de dicto

(2) Necessariamente la cosa a cui Stephen Hawking sta pensando è un numero


pari

è, tuttavia, falsa: (1) ci dice che un certo oggetto, quello a cui Hawking sta ora
pensando, è essenzialmente o necessariamente un numero pari, e poiché quell’oggetto
è il numero due, (1) è vero. (2), d’altra parte, ci dice che una certa proposizione, cioè
(3) La cosa a cui Stephen Hawking sta pensando è un numero pari

ha la proprietà di essere necessariamente vera. Ma supponiamo che Hawking stia


pensando a un buco nero in una lontana galassia, allora (3) sarebbe falso. Poiché
avrebbe potuto pensare a un buco nero, (3) non è una verità necessaria; e la pretesa de
dicto che abbiamo indicato con (2) è falsa.
Pertanto, l’attribuzione di modalità de re deve essere distinta dal discorso sulla
necessità, possibilità e contingenza proposizionale. Tuttavia, i difensori dell’apparato
dei mondi possibili pretendono che la modalità de re così come la modalità de dicto
possa essere chiarita facendo riferimento a quell’apparato. Viene richiesto che sia
riconosciuto che così come le proposizioni sono vere o false nei mondi possibili, gli
oggetti esistono o non esistono nei mondi possibili. Possiamo metterla in questi
termini, i mondi possibili hanno popolazioni; e le popolazioni dei mondi possibili
differiscono. Nella totalità dei mondi possibili, ce ne sono alcuni in cui certi oggetti
esistono e altri in cui questi oggetti non esistono, ma in cui ne esistono altri. E,
ovviamente, gli oggetti possono esistere in più di un mondo possibile. Io esisto nel
mondo attuale, ma se le cose fossero andate diversamente in vari modi, io avrei
potuto esistere comunque. Ora, i difensori dell’apparato dei mondi possibili
pretendono che questi fatti ci forniscano le risorse per spiegare le modalità de re. Il
resoconto è semplice: dire che un oggetto x ha la proprietà P necessariamente o
essenzialmente significa dire che x ha P nel mondo attuale e in ogni altro mondo
possibile in cui x esiste; significa dire che x ha P nel mondo attuale e che non c’è un
mondo possibile in cui x esiste ed è privo di P. Pertanto, è plausibile pensare che
Giorgio Napolitano abbia la proprietà di essere una persona essenzialmente; infatti è
una persona non solo nel mondo attuale, ma è ragionevole pensare che sia una
persona in tutti i mondi possibili in cui esiste. D’altra parte, dire che una cosa ha una
proprietà solo accidentalmente o contingentemente significa dire che mentre ha
quella proprietà nel mondo attuale, c’è almeno un mondo possibile in cui quella cosa
esiste ma non ha quella proprietà. Pertanto, mentre Giorgio Napolitano ha la proprietà
di essere Presidente, ha quella proprietà solo contingentemente; infatti sebbene abbia
quella proprietà nel mondo attuale, ci sono dei modi in cui le cose sarebbero potute
andare tali che, se fossero andate in quel modo, Giorgio Napolitano sarebbe esistito
ma non sarebbe mai diventato Presidente.
Come il discorso sulla verità necessaria e possibile, il discorso sull’essenza e
l’accidente può essere inteso come un discorso sui mondi possibili; e in entrambi i
casi abbiamo la quantificazione sui mondi possibili. Il modo in cui operano i
quantificatori cambia tuttavia nei due casi. Nel caso della modalità de dicto, la
quantificazione sui mondi possibili è incondizionata. Quando diciamo che una
proposizione è necessariamente vera, stiamo dicendo che è vera in ogni mondo
possibile, senza preclusione di sorta. Quando diciamo che una cosa ha una proprietà
necessariamente o essenzialmente, stiamo ancora invocando un quantificatore sui
mondi possibili, ma ci sono condizioni imposte all’uso del quantificatore. La pretesa
che Giorgio Napolitano sia essenzialmente una persona non è la pretesa che Giorgio
Napolitano sia una persona in tutti i mondi possibili. Giorgio Napolitano non è un
essere necessario, un essere che esiste in tutti i mondi possibili. Egli è semplicemente
un essere contingente; ci sono molti mondi possibili in cui non esiste e pertanto non
ha affatto alcuna proprietà. La pretesa che egli sia essenzialmente una persona è la
pretesa più circoscritta che egli è una persona nel mondo attuale ed è una persona in
tutti i mondi possibili in cui esiste. Allo stesso modo, quando diciamo che Giorgio
Napolitano è solo contingentemente Presidente, non stiamo semplicemente
affermando che c’è un mondo possibile in cui non si dà il caso che sia Presidente;
stiamo facendo l’affermazione più forte che c’è un mondo in cui esiste e non è
Presidente. Ancora una volta, quindi, c’è una restrizione riguardo alla quantificazione
sui mondi. Stiamo quantificando solo sui mondi in cui Giorgio Napolitano esiste.

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