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REGIONE DELL’UMBRIA
Area Operativa Ambiente e Infrastrutture
SOTTOPROGETTO UMBRIA
Agosto 1997
INTRODUZIONE
I dati rielaborati nel presente rapporto sono frutto principalmente di due fasi di attività: una
prima fase, conclusasi nel 1991, riguardava il Progetto finalizzato alla valutazione degli effetti
nell’Alta valle del Tevere conseguenti all’esercizio dell’invaso di Montedoglio, promosso dalle
Regioni Umbria e Toscana con l’ausilio di tutti gli enti locali . Successivamente il lavoro è
proseguito nell’ambito delle attività sulla conoscenza degli acquiferi alluvionali regionali e
definizione della loro vulnerabilità all'inquinamento e stato di conservazione (progetto VAZAR)
dell'Unità Operativa 4.11 del GNDCI-CNR, facente capo alla Regione dell'Umbria. Le attività
condotte si riferiscono al periodo 1992-93 ed hanno portato alla redazione della Carta della
vulnerabilità all’inquinamento e delle Note illustrative (1995).
Ulteriori dati pregressi si riferiscono a quanto riportato nel volume “Le acque sotterranee
in Umbria”, a cura di Giaquinto, Marchetti, Martinelli e Martini, edito dalla Protagon nel 1991.
1. IL CONTESTO GENERALE
Nell’ambito del progetto di ricerca “Montedoglio” hanno operato una serie di sottogruppi
di lavoro aventi diverse finalità. L’attività del sottogruppo Idrogeologia è quella che fornisce in
modo particolare le informazioni necessarie alla caratterizzazione degli acquiferi. Da segnalare
comunque le informazioni importanti che provengono dai sottogruppi Idrologia, Quadro
informativo ( analisi conoscitiva sulla qualità delle acque superficiali) e da quello Prelievi idrici e
Restituzioni. Il progetto è articolato in più fasi ma solamente la fase 1 è stata finora realizzata ed ha
avuto come obiettivo l’individuazione della rete preliminare di controllo del sistema idrico
superficiale e sotterraneo e la definizione del tipo di modello matematico di flusso da adottare.
E’ stata creata in questa fase una banca dati suddivisa per tematiche, sono state individuate
20 stazioni di misura sul reticolo idrografico superficiale ( monitorate tra novembre 90 ed ottobre
91 con cadenza bimestrale) ed è stato definito un reticolo di monitoraggio delle acque di falda
avente 95 punti di misura su cui sono state eseguite tre campagne di misure quali-quantitative di
terreno a novembre 1990, maggio ed ottobre 1991. Nell’ultima campagna si è proceduto anche
all’analisi di laboratorio dei campioni d’acqua. Nel corso poi del 1992 si sono aggiunte altre due
campagne di misura e campionamento ( giugno e settembre) con analisi di laboratorio effettuate dal
PMP di Perugia.
Per ogni punto del reticolo è stata redatta una scheda monografica comprendente i dati di
localizzazione, l’utilizzo dei pozzi, le caratteristiche idrogeologiche e costruttive, il contesto
ambientale e le misure di terreno effettuate.
La scelta del reticolo di monitoraggio si è sviluppata dalle informazioni pregresse esistenti
sull’area e disponibili a partire dal 1973: censimento di 310 punti d’acqua su tutta la valle con
misure piezometriche e di cond. elettrica nel 1973; censimento di 143 punti nel settore
settentrionale e due campagne di misura nel 1979-80; censimento di 390 punti in tutta la valle con
una serie di misure del livello piezometrico, della conducibilità elettrica e durezza delle acque nel
1982.
Il reticolo interessa solamente i terreni alluvionali ed utilizza preferibilmente pozzi a
stratigrafia nota o localizzati in corrispondenza dei bordi dell’acquifero ed in prossimità dei corsi
d’acqua.
Le elaborazioni comprendono una cartografia alla scala 1:25.000 sia delle piezometrie che
della distribuzione della conducibilità elettrica e dei nitrati nelle tre campagne di misura del 1990-
1991, una carta della piezometria media del periodo ed una delle fluttuazioni dei livelli di falda.
Una cartografia generale considera gli aspetti geologici, idrogeologici, delle spessore delle
alluvioni, delle condizioni al contorno e delle relazioni con il reticolo idrografico superficiale
( Carta di generazione del reticolo ad elementi finiti per il modello di flusso).
Da segnalare inoltre una cartografia riguardante Topoieti e topotermi della zona, Prelievi idrici e
restituzioni sia industriali ed idropotabili che irrigui e zootecnici.
Nella fase relativa alla redazione della cartografia di vulnerabilità è stata sviluppata e completata
l’indagine idrogeochimica e sono state realizzate carte di distribuzione dei principali elementi
chimici delle acque di falda ed una carta delle differenziazioni chimiche areali.
Nelle due fasi sono state condotte rielaborazioni delle prospezioni geofisiche mediante SEV,
ricostruzioni stratigrafiche con i dati dei pozzi e raccolta dei tests idrodinamici sui principali pozzi
idropotabili.
L'elaborazione di tutti i dati, unitamente a quelli sulle attività antropiche ha portato alla
realizzazione della Carta della Vulnerabilità all’inquinamento dell’acquifero alluvionale dell’Alta
Valle del Tevere.
Il livello di conoscenza della situazione idrogeologica ed idrochimica dell’area risulta abbastanza
buono, mancando però un lavoro di ricostruzione dettagliata delle situazioni quale quello effettuato
in Conca Ternana.
Attualmente il Settore Geologico della Regione Umbria sta realizzando una cartografia geologica in
scala 1:10.000 del Foglio Città di Castello: una attività specifica riguarda l’analisi di dettaglio dei
depositi “alluvionali” oggetto degli studi precedenti. Il rilevamento geologico di dettaglio ed oltre
600 stratigrafie stanno fornendo un quadro della situazione più accurato e stanno emergendo nuove
interpretazioni di alcuni litotipi cartografati.
a. geolitologia;
L'Alta Valtiberina è una ampia zona alluvionale che si estende dalla stretta di Montedoglio
fino all'altezza di Città di Castello per circa 130 Km2. Di questa superficie un 40% ricade al di fuori
della Regione Umbria.
I terreni che bordano i depositi alluvionali sono rappresentati nel settore orientale da formazioni
flyschoidi della serie Umbro-Marchigiana e di quella Toscana s.l.; la porzione nord-occidentale è
costituita da terreni argilloso-calcarei, argillo-scistosi e metamorfici della serie ofiolitifera alloctona
ligure formante i M. Rognosi.
Depositi definiti come fluvio-lacustri si rinvengono nel settore occidentale, da Anghiari a Citerna,
e meridionale all'altezza di Città di Castello.
La porzione meridionale del margine occidentale è rappresentata infine da terreni flyschoidi umbri.
Per quanto riguarda i depositi alluvionali si rilevano situazioni differenti all'interno della piana. E'
presente una fascia, posta lungo il margine orientale da S.Sepolcro a Città di Castello, costituita da
alluvioni antiche terrazzate giacenti a quote fino a 50 m al di sopra di quelle attuali; la massima
ampiezza si registra a partire dalla porzione a sud di S.Giustino. Tra queste alluvioni e l'alveo
attuale del Tevere si interpongono altre alluvioni terrazzate con una elevazione inferiore rispetto al
F.Tevere. Situazione analoga si ripete in destra del Tevere ma interessa porzioni arealmente ridotte.
La parte centrale della piana è caratterizzata da un cospicuo materasso alluvionale con spessori
massimi superiori ai 100 m., ben sviluppato nel settore centro-settentrionale della valle .
Dati sulla composizione litostratigrafica delle alluvioni sono stati raccolti da 30 perforazioni la
maggior parte delle quali si riferiscono a pozzi idropotabili od irrigui pubblici. Cinque di queste
sono state effettuate successivamente alla campagna di prospezione geofisica del '75 ed ubicate
nelle zone ipotizzate come le più favorevoli. Si rileva infatti come sia notevole lo spessore totale e
la percentuale della frazione più grossolana che in genere supera il 50% del totale.
Con l’ausilio delle prime informazioni raccolte dal recente rilevamento geologico dell’area da parte
delle Regione Umbria si può schematizzare la situazione presente nella piana distinguendo quattro
settori principali:
1. la parte della piana compresa tra l’asta del Tevere e la Reglia dei Molini-T. Cerfone: le
alluvioni sono essenzialmente ghiaiose e raggiungono i massimi spessori dell’area nel
pozzo S. Romano con circa 130 metri. Nella porzione media-inferiore si rinvengono ghiaie
in matrice argillosa ( o intercalazioni argillose) che diventano più abbondanti nel pozzo
Vingone 1 posto tra il Tevere ed il T. Cerfone. Nella zona della confluenza Tevere-
Cerfone il materasso ghiaioso si riduce drasticamente a non più di una ventina di metri.
2. la zona in sinistra del Tevere tra Sansepolcro e Selci: i depositi ghiaioso-sabbiosi hanno
uno spessore più ridotto se non quasi nullo e la stessa superficie terrazzata non rappresenta
che una esigua copertura di depositi del precedente ciclo sedimentario continentale (delta
fluvio-lacustri) poggiante a ridotte profondità sulle formazioni marnose ed arenacee
mioceniche. In prossimità del Torrente Afra si hanno i massimi spessori di terreni a
granulometria grossolana. Davanti a questi depositi ( cioè verso ovest) si rinviene una
copertura di limi marroni che si interpone alle alluvioni del Tevere.
3. la zona in sinistra del Tevere tra Selci e Città di Castello: l’area è in genere caratterizzata
da condizioni erosive e solo limitatamente ci si trova in presenza di un ridotto spessore di
depositi recenti di natura da fine a ghiaiosa localizzati in prossimità dei corsi d’acqua. Il
litotipo principale che costituisce la zona è un corpo a granulometria grossolana di tipo
conglomeratico analogo a quello affiorante nei dintorni di Città di Castello e riconducibile
a depositi deltizi coevi di quelli limo-argillosi del bacino lacustre tiberino. Si tratterebbe
quindi di una zona ribassata rispetto agli affioramenti di Città di Castello. Il loro spessore
massimo è di circa 80 m.
4. la zona meridionale della valle fino alla stretta a sud di Città di Castello: le alluvioni sono
estremamente ridotte e di natura prevalentemente fine. In corrispondenza dell’alveo del
Tevere gli spessori massimi sono dell’ordine dei 10 metri ed il fiume scorre a contatto con
i terreni conglomeratici posti nella sua destra. Verso il margine orientale della valle è
presente con spessori ridotti il deposito deltizio del punto 3.
conduttivi prevalenti.
Verticalmente sono stati differenziati tre complessi, uno ad alta resistività con intercalati livelli
conduttori (alluvioni più permeabili delle due zone sopra menzionate) uno a resistività media (che
ingloba anche terreni lacustri più grossolani ed eventualmente Marnosa Arenacea) eteropico al
primo, ed uno conduttore sottostante riferibile alle argille lacustri.
La fascia resistiva parallela al corso del Tevere (asse Gricignano-Città di Castello) tende a
restringersi verso sud con una contemporanea diminuzione della profondità del substrato da circa
100-120 m a non più di 60. Localmente è presente un livello conduttivo sovrapposto od intercalato.
b. Idrogeologia
Più campagne piezometriche sono state condotte nell'area tra il 1975, il 1980 ed il 1982: quelle
relative al 1980 si sono concentrate sul settore settentrionale della valle e sono state mirate a
ricostruire i rapporti falda-fiume in vista della messa in esercizio dell'invaso di Montedoglio con
conseguente modifica delle condizioni idrogeologiche.
Le isopieze mostrano delle evidenze significative sul comportamento della falda alluvionale; in
primo luogo si nota la presenza nella parte settentrionale di un asse di drenaggio principale ubicato
più ad ovest dell'attuale alveo del Tevere, in secondo luogo l'esistenza di gradienti molto diversi tra
la parte centro-meridionale (valori estremamente bassi) e le porzioni N-W ed orientale.
La zona compresa tra lo sbocco del Tevere nella piana e la direttrice S.Sepolcro-Gricignano
presenta flussi radiali convergenti che sono ben evidenziati nelle campagne condotte nel 1980. Da
questi dati risulta chiara una alimentazione della falda da parte del Tevere.
Dall'analisi del gradiente e delle permeabilità è stata calcolata la portata percolante in falda: a
giugno '80 tra Anghiari ed il ponte di Anghiari ( nei pressi di Sansepolcro) si stimava pari a circa
800 l/s, a luglio '80 circa 650 l/s. Queste portate sono dovute prevalentemente alla rialimentazione
invernale della falda da parte del Tevere, in quanto risulta esigua quella diretta per pioggia.
Le misure idrometriche sul Tevere rispecchiano questi dati con una alimentazione, a giugno '80, di
circa 1000 l/s nel tratto Montedoglio-Ponte Anghiari, un equilibrio falda-fiume tra Ponte Anghiari e
la confluenza con l'Afra, ed un drenaggio della falda più a sud di circa 1800 l/s. Le oscillazioni
sono risultate molto sensibili ai deflussi: a luglio ‘80, infatti, gli apporti alla falda risultavano di 500
l/s, la zona di equilibrio si allargava verso monte e la rialimentazione del Tevere a sud scendeva a
600 l/s.
Considerazioni sulle piezometrie, permeabilità e capacità d'immagazzinamento delle falde hanno
portato a stimare in 25 milioni di m3 annui gli apporti del Tevere.
Considerando i parametri idraulici e la soglia della valle nella stretta di S.Lucia (260 mslm) le
riserve regolatrici al di sopra di tale quota venivano ad essere dell'ordine di 17 milioni di m3.
La profondità della tavola d'acqua nei depositi legati al Tevere risultata in genere compresa entro i
10 m con zone in cui si manteneva ancor più vicina al suolo (area ad W di S.Sepolcro) per la
presenza di strati argillosi che permettono condizioni di risalienza: nella zona della conoide del
T.Lama la profondità della falda si aggira invece su valori dell'ordine dei 20 metri.
Parametri idraulici dell'acquifero sono stati ottenuti da una serie di prove di portata su circa 10
pozzi, con indicazioni complete relative a 5 pozzi pubblici a scopo irriguo: i dati di tali pozzi sono
riportati nella tabella che segue.
POZZO PROF. GHIAIE TRASMI COEFFICI LIV. PORTAT LIV. PORTA LIV.DIN
. SSIVITA ENTE STATIC A max DINAMI TA AMICO
' immagazz. O misurata CO ottimale calcolato
m. m. m2/s adim. m. l/s m. l/s m.
-1
S.ROMANO1 133 89 1-4*10 0.1-0.001 5.2 106 24.5 75 10-15
-1 -3
S.FISTA1 123 100 2*10 5*10 4.7 44 7.0 100 10-15
-1 -2
VINGONE1 125 70 1*10 1.8*10 0.8 102 7.6 >100 10-15
-2 -2
CERBARA1 124 36 3*10 2.7*10 17.4 29 62.4 20-40 30-80
-3 -3
LAMA1 132 88 9*10 1.4*10 26.9 23 63.9 15-30 30-80
Per quanto riguarda le trasmissività queste sono migliori nella zona del Tevere (dell'ordine di 10 -1
m2/s) rispetto alla conoide del torrente Lama (circa 10-2 m2/s).
I coefficienti di immagazzinamento variano molto di più ed in genere risultano troppo bassi per un
acquifero freatico tipico. Nel pozzo S.Romano 1 si passa da valori di 0.1 a 0.027-0.001 per i tre
piezometri utilizzati.
Le portate specifiche sono buone per i 3 pozzi della zona Tevere, inferiori al l/s per i 2 della
conoide del T. Lama.
I nuovi dati quantitativi sono relativi al reticolo di monitoraggio attuato tra il 1990 ed il 1992 e
costituito di 95 pozzi. Le cinque campagne di misura risultano equamente ripartite tra i periodi di
morbida e quelli di magra. Un confronto tra le due situazioni estreme prende in considerazione le
campagne di ottobre ’91 e giugno ’92: le isopieze mostrano significativi spostamenti che risentono
notevolmente della differente ricarica operata dal Tevere e dagli affluenti laterali ( T. Lama in
particolare). Le escursioni del livello di falda nei pozzi si mantengono nell’ordine dei 2 metri per il
settore a ridosso del Tevere: valori più elevati si limitano al tratto iniziale a monte di Sansepolcro.
Nel settore orientale della piana le oscillazioni sono più accentuate.
L’analisi dell’andamento piezometrico porta alle seguenti situazioni areali:
1. l’area nord-occidentale dell’acquifero in destra idrografica viene alimentata del Tevere;
2. lungo tutta la sinistra idrografica invece il processo è invertito con la falda che defluisce verso
il fiume;
3. lungo il bordo orientale del bacino sono presenti una serie di spartiacque sotterranei
riconducibili a fattori geolitologici;
4. il principale asse di deflusso non coincide con l’attuale alveo del Tevere se non nel settore
meridionale della valle dove il fiume drena la falda.
A livello dei pozzi del reticolo sono emerse indicazioni precise circa la loro rappresentatività del
sistema alluvionale.
In particolare i pozzi n. 1, 15, 50 e 57 sono risultati ricollegabili a circuiti minori, con quote e
variazioni piezometriche anomale; allo stesso modo i pozzi n. 27 e 66 sono riconducibili a falde
In prossimità dell’alveo del Tevere tra Montedoglio e Sansepolcro si rinviene una serie di laghi di
falda impostati su vecchie aree di cava le cui superfici sono più che significative. Essi si trovano in
contatto diretto con le acque del fiume e rappresentano una zona particolarmente a rischio per la
falda che da lì defluisce verso sud. Una situazione analoga si rinviene a sud di Città di Castello.
c. Idrochimica
Il Progetto di Ricerca Finalizzato alla valutazione degli effetti nell'Alta Valle del Tevere
conseguenti all'esercizio dell'invaso di Montedoglio, promosso dagli Enti Regionali umbro e
toscano, con la partecipazione di vari gruppi di studio, ha definito un reticolo di controllo di 95
pozzi per l'analisi piezometrica ed idrochimica nell'area che va dall'ingresso del Tevere nella piana
altotiberina (Montedoglio) fino a Città di Castello.
Dopo le prime due campagne del periodo '90-'91 (novembre e maggio) limitate a misure di
conducibilità elettrica e nitrati sul terreno, in quelle di ottobre '91, giugno e settembre '92 si è
proceduto all'analisi chimica di laboratorio delle acque sui parametri principali (PMP di Perugia),
più le specie azotate, i fosfati ed il ferro.
Una prima elaborazione dei dati di ottobre '91 è riportata nel rapporto finale del progetto
sopramenzionato e si limita ad una classificazione degli idrotipi (diagrammi Langelier-Ludwig o
L.L.) ed alla Carte di distribuzione areale dei Nitrati e Conducibilità el in scala 1:25.000..
I dati dei nitrati sono utilizzati per una cartografia con ranges piuttosto estesi ( <10; 10-40; 40-100;
>100 mg/l) che evidenziano una fascia di minimo prossima al Tevere, da Montedoglio fino circa a
Selci, ed un incremento in sinistra idrografica fino al margine delle alluvioni.
In destra idrografica valori superiori a 40 mg/l si rilevano solo localmente ( sbocco del Torrente
Sovara); nei pressi di Città di Castello la valle alluvionale si restringe ed i tenori sono variabili.
Situazione analoga è indicata dalla Conducibilità elettrica che viene differenziata in tre classi
(<800, 800-1000 e >1000 S).
Con l'ausilio delle 2 successive campagne si è cercato di andare più a fondo nella problematica
della circolazione idrica sotterranea ed individuare elementi e situazioni utili al discorso della
conoscenza della qualità delle acque, loro stato di protezione e contaminazione.
La campagna di giugno '92 ricade indicativamente in un periodo idrologico che possiamo definire
di morbida del sistema considerato in relazione al regime torrentizio del Tevere e quindi all'influsso
delle piogge invernali-primaverili; le altre 2 campagne sono probabilmente di magra.
I dati a disposizione sono stati utilizzati per dare risposte a tre tipi di problematiche:
1- esistenza di una o più linee genetico-evolutive
2- condizioni areali e relazioni con input esterni
3- relazioni con il reticolo idrografico superficiale.
L'analisi classificativa individua un solo gruppo omogeneo di acque bicarbonato alcalino terrose da
cui si discostano solo pochi campioni ( 4,6,15 e 26 tendenzialmente più cloruratici o alcalini o
salini).
La nube che raccoglie tutti i restanti punti presenta una frangia di dispersione sia verso tenori
prettamente bicarbonato alcalino-terrosi, rappresentati dai n. 57, 56, 21 e 5, che verso termini
solfatici ( campioni 90, 10, 31, 25, 41 e 93) con il n. 94 che va un pò verso termini alcalini.
Questi ultimi (a parte il n. 31) sono quelli che hanno salinità maggiore assieme al gruppo della zona
di Città di Castello ( n. 83, 84, 85, 86, 89, 79, 92) più i pozzi 21, 38, 58 e 73.
Le salinità più basse sono dei punti 44 e 55.
Le carte di distribuzione della Salinità (di ottobre '91 e ottobre '92) in scala 1:100.000 sono state
elaborate con 2 differenti scale di dettaglio per mostrare da un lato gli andamenti generali, dall'altro
le condizioni più limitate.
A grande scala risaltano 2 zone di minimo principali a livello del settore settentrionale e centrale
della valle, la prima in destra idrografica del Tevere piuttosto allungata, la seconda in sinistra nella
zona del T.Lama, separate da un certo numero di punti a valori più alti.
I massimi si rinvengono all'altezza di Sansepolcro, S. Giustino e Città di Castello in sinistra
idrografica, mentre nella zona centromeridionale si localizzano in destra a ridosso dei margini
alluvionali.
Lungo il margine occidentale del settore nord i valori di salinità si mantengono mediamente bassi.
Le carte di distribuzione areale degli ioni Cloro e Solfati hanno varie analogie con la distribuzione
precedente ma in particolare definiscono un aumento più graduale dei tenori procedendo sia verso
sud che verso i margini laterali della valle.
Nel caso del cloro la parte meridionale della valle mantiene un gradiente unico.
Nella zona centrale risalta un massimo definito dai punti 10 e 18 proprio a ridosso del Tevere. Il
settore in sinistra idrografica del Tevere all'inizio della valle rappresenta sempre un minimo ben
marcato ed esteso longitudinalmente al Fiume: per i solfati si evidenziano punti anomali a bassi
tenori lungo il margine occidentale.
La carta di distribuzione della durezza totale ricalca molto quella della salinità. Da segnalare che i
valori maggiori di 50°F sono distribuiti in maniera sparsa e rappresentano i massimi delle aree più
saline.
Lo ione magnesio è quello che più si discosta dagli andamenti finora rimarcati.
I massimi areali più evidenti sono rappresentati dall'area a nord di Anghiari, dalla zona del T.
Cerfone e da quella a nord di Città di Castello.
Il settore marginale orientale si mantiene su valori medi intorno ai 20 mg/l. L'unico minimo ben
marcato si rinviene ad ovest di Sansepolcro, in posizione parzialmente diversa da quelli di salinità,
cloro e durezza.
La carta di distribuzione dei nitrati è quella che mostra andamenti arealmente più definiti.
La zona di minimo, evidenziata in senso longitudinale sub-parallelo al Tevere da Montedoglio fino
all'altezza del T. Lama, potrebbe indicare proprio il settore dove il ricambio della falda operato da
parte del fiume è il fattore dominante nel controllo delle concentrazioni di tale elemento.
Un confronto con la salinità, con cui ha un buona analogia, porta ad ipotizzare che i punti anomali
a livello salino, che interrompono una distribuzione ipoteticamente simile, possano essere ricondotti
a condizioni locali e/o a falde differenziate impostate nella fascia di interazione tra i depositi
alluvionali del Tevere e quelli del settore orientale.
Il ben evidente incremento di concentrazione verso est rimarca quindi il probabile limite tra le
acque di falda legate agli afflussi meteorici ed agli alvei laterali e quelle vincolate al Tevere.
In sinistra del Tevere la situazione è meno nitida per la presenza ed est di Anghiari di un minimo
probabilmente imputabile ad altre condizioni.
Nella zona a nord di Città di Castello i valori di NO 3 diventano elevati ed irregolari, segno che
l'acquifero tende a diversificarsi in analogia con le condizioni idrogeologiche più ristrette.
I punti ad est di Città di Castello hanno valori bassi non legati probabilmente al Tevere.
In conclusione si può dire che l'analisi chimica ha evidenziato un unico idrotipo rappresentativo dei
terreni alluvionali all’interno del quale si distinguono 3 condizioni diversificate che hanno un
significato anche areale:
1- acque della falda legate all’interazione con le acque del F. Tevere in tutta una fascia ad esso
prospiciente ( anche se non sempre coincidente con l'attuale alveo) fino all'altezza della confluenza
con il T. Lama;
2- acque con arricchimento naturale in tutti gli elementi principali a causa di tempi di circolazione
più lunghi e minore ricarica della falda nelle zone marginali della piana, nelle situazioni in cui
esistono condizioni più ristrette ed idrogeologicamente meno significative, nelle zone in cui
presumibilmente cambia la composizione tessiturale e litologica dei terreni ( sono indicativi la
presenza di ferro ed ammoniaca, cioè di condizioni riducenti).
3- acque con aumento graduale dei contenuti in sali, e quindi tempi di circolazione più lunghi, nel
settore meridionale dell'area dove non si rilevano interazioni con il Tevere e dove variazioni
localizzate sono significative di un acquifero più limitato ed eterogeneo.
Gli effetti prodotti dagli apporti del F. Tevere si evidenziano molto bene nella distribuzione dei
nitrati: sicuramente è il maggior ricambio delle acque che determina il controllo della loro
concentrazione, presupponendo che a livello areale la distribuzione sul terreno di tali elementi sia
piuttosto omogenea.
A livello delle altre specie azotate i risultati analitici sono confortanti in quanto sono ben pochi i
pozzi in cui si sono rilevate concentrazioni di nitriti ed ammoniaca di origine presumibilmente non
naturale ( relazione con il chimismo e gli elementi principali), in tutti i casi ben al di sotto delle
soglie di potabilità.
d. prelievi
I valori relativi alle singole tipologie di prelievo sono disponibili anche in forma disaggregata,
ripartiti tanto per comune che per aste fluviali e sottobacini.
Per quello che riguarda i pozzi idropotabili la loro ubicazione è piuttosto disseminata all’interno
della valle e solo nel caso di Città di Castello si ha un campo pozzi posto a nord della città non
lontano dall’alveo del Tevere. Per motivi logistici comunque la maggior parte dei pozzi non attinge
dalla zona di maggior interesse idropotabile posta in destra del Tevere.
Gli acquedotti del comune di Città di Castello prelevano annualmente da pozzi circa 3 milioni di
metri cubi di acqua ( circa 100 l/s), quelli di Sansepolcro e Anghiari circa la metà ( quasi 50 l/s), S.
Giustino circa 800.000 m3 (25 l/s) e Citerna 300.000 (10 l/s).
L’Alta Valle del Tevere è un’area ad alta vocazione agricola che ha sviluppato in tempi recenti
colture di tipo specializzato quali quelle del tabacco. Indagini recenti condotte dalla USL sul settore
umbro hanno analizzato l’impiego di pesticidi e diserbanti nelle colture, sostanze che non sono state
poi rilevate in concentrazioni significative nei prelievi dalla falda.
Resta comunque il fatto che le colture irrigue e ad elevato utilizzo di fertilizzanti e presidi sanitari
rappresentano una buona parte della superficie totale agricola ( 13 milioni di m 3 di acqua utilizzati
possono corrispondere a 3.000-4.000 ha.) e sono da considerarsi come fattore principale di rischio
di inquinamento in tutta la parte centro-occidentale della piana.
L’attività zootecnica è abbastanza diffusa sul territorio anche se i principali allevamenti, soprattutto
suinicoli, sono ubicati al di fuori della piana alluvionale del Tevere. Dei circa 3.000 capi bovini
stimati poco più della metà si trovano nella valle mentre degli oltre 6.000 suini tale ubicazione si
riferisce solo ad un migliaio. La zona della piana con maggior densità di allevamenti e capi è quella
settentrionale.
Gli insediamenti urbani ed industriali sono prevalentemente concentrati lungo l’asse della Statale
3bis nella porzione orientale della valle ed hanno Città di Castello e Sansepolcro come estremi. La
zona industriale artigianale più estesa corrisponde al settore a nord di C. di Castello: le tipologie
principali delle attività esistenti sono classificabili come produttrici di scarichi e rifiuti organici
difficilmente biodegradabili.
La situazione dei reflui fognari è ancora abbastanza precaria con numerosi centri abitati ancora
sprovvisti di sistemi di depurazione: le acque reflue rappresentano quindi un pericolo oltre che per
le acque superficiali ( i corsi d’acqua in periodo di secca sono particolarmente compromessi) anche
per quelle sotterranee a causa delle interrelazioni esistenti.
Conseguenza di una intensa attività estrattiva passata ( attualmente è minima) sono le numerose
aree di cava con falda affiorante a cui si è già accennato, esposte a qualsiasi tipo di fenomeno
inquinante.
La zona alluvionale dell’Alta valle del Tevere rappresenta la principale risorsa idrica sotterranea
del comprensorio altotiberino. Il territorio al contorno è infatti caratterizzato da litologie aventi in
genere scarse caratteristiche idrauliche e/o risorse idriche poco consistenti. Gran parte dei punti di
captazione posti al di fuori della piana è costituito da emergenze sorgentizie modeste a cui si ricorre
per l’approvvigionamento di piccoli centri abitati. Tutte le attività idroesigenti che non attingono
dalle acque superficiali sono quindi localizzate nella piana alluvionale.
E’ anche per questo motivo che le indagini idrogeologiche svolte negli ultimi anni hanno
considerato la sola zona valliva. Nello studio del Progetto Montedoglio, lo schema del reticolo di
generazione del modello di flusso considera come nulli tutti i flussi provenienti dai terreni che
circondano la piana alluvionale, ad eccezione dei tratti corrispondenti all’ingresso in valle degli
affluenti del Tevere ed ai loro relativi depositi alluvionali aventi spessori ridotti.
Nel precedente capitolo si sono comunque evidenziate a livello della piana situazioni
idrogeologiche molto differenti corrispondenti ad almeno 4 zone, con quella relativa alla zona in
destra idrografica del Tevere che presenta le migliori caratteristiche idrogeologiche ed è legata a
questi da condizioni di ricarica a monte e drenaggio a valle. Il settore nord-orientale prossimo a
Sansepolcro presenta acquiferi di minore consistenza e si evidenzia per la presenza di un sistema
multifalda e/o in pressione. La zona corrispondente al T. Lama evidenzia un acquifero piuttosto
consistente riconducibile a depositi deltizi di un ciclo sedimentario antecedente a quello attuale. La
zona meridionale della valle ha, infine, un acquifero di scarso spessore e qualità.
La zona di Sansepolcro
Non si hanno maggiori dettagli di quanto riportato nel capitolo 1. A livello piezometrico le
elaborazioni esistenti mostrano linee di flusso provenienti da nord e dirette sia verso l’asta del
Tevere che ad est verso il T. Afra. La zona rappresenta un alto piezometrico in parte riferito a
condizioni risalienti nei pozzi. Mancano parametri idrodinamici di caratterizzazione del o degli
acquiferi, le indicazioni disponibili propendono per delle falde poco consistenti, ipotesi che le
caratteristiche chimiche delle acque tendono a validare.
I dati recenti di rilevamento geologico individuerebbero al di sotto di una ridotta copertura
direttamente le formazioni marnose pre-quaternarie affioranti sui rilievi contigui.
Situazione analoga si ritrova a sud-est del T. Afra nella zona di S. Giustino. Nei pressi del T.
Afra si trova un pozzo dell’acquedotto di Sansepolcro, nella zona in cui i conglomerati
raggiungono i massimi spessori.
Tra Selci, Cerbara e Città di Castello si rinvengono scarsi depositi recenti di natura da fine a
ghiaiosa con spessori ridotti ( 10-20 m.) in buona parte in condizioni non sature. La falda, o meglio
le falde individuate si localizzano nel sottostante deposito di tipo conglomeratico, riconducibile a
depositi deltizi coevi a quelli limo-argillosi del bacino lacustre tiberino, il cui spessore massimo è
di circa 100 m..
Le linee di flusso sono dirette principalmente in senso N-S e NE-SW, mancano comunque
indicazioni dei rapporti esistenti tra i pozzi superficiali e quelli profondi con più livelli acquiferi.
Tra l’alveo del T. Lama e quello del T. Regnano si localizzano 4 pozzi idropotabili ed irrigui
profondi dei comuni di Città di Castello e S. Giustino.
Le caratteristiche delle acque sono di bassa salinità per quelle più superficiali e prossime al T.
Lama, salinità intermedie per quelle della zona più a sud prossima al Tevere, salinità più alte per il
settore più orientale.
Il settore meridionale
Si caratterizza per avere una scarsa consistenza dei depositi alluvionali tanto arealmente che per
spessore mentre i lati della valle sono costituiti da depositi conglomeratici e sabbiosi in matrice
limo-argillosa aventi una modesta circolazione idrica.
Nella zona di confluenza dei torrenti Cerfone, Regnano e Vaschi con il Tevere si localizzano alcuni
pozzi idropotabili del Comune di Città di Castello. Il Tevere ha un ruolo di drenaggio della modesta
falda acquifera che degrada da est. La scarsa mobilità delle acque di falda è evidenziata dalle
condizioni di incremento dei principali parametri chimici, con accumulo anche di eventuali
inquinanti di origine antropica (caso di inquinamento da idrocarburi nel 1993).
Gli apporti esterni al sistema alluvionale sono risultati insignificanti se si eccettuano le modeste
ricariche prodotte dall’ingresso in valle di corsi d’acqua secondari, rilevabili dai pozzi di
monitoraggio nel caso dei torrenti Afra e Lama. Condizioni simili si verificano tra il settore
orientale della piana e quello centro-occidentale con il primo che defluisce in maniera non
significativa verso SW, in parte verso livelli confinati profondi, in parte probabilmente per via
superficiale mascherato dall’influsso ben più consistente delle acque del Tevere.
Indagini sia idrogeologiche che idrochimiche evidenziano chiaramente la forte interrelazione tra
il Tevere e la falda freatica: come già accennato nel capitolo 1 le condizioni di ricarica da parte del
corso d’acqua alla falda si evidenziano chiaramente dopo l’ingresso in valle a Montedoglio nel
tratto fino a Sansepolcro con rialimentazione della falda stimata nel range di 500-800 l/s in periodo
di magra. Il tratto successivo del fiume viene indicato in condizioni di equilibrio con la falda fino
all’altezza della confluenza con il T. Afra mentre più a valle sussistono condizioni di drenaggio in
misura nettamente superiore ai valori di cui sopra.
Queste condizioni dipendono comunque dai deflussi superficiali e sia le quantità in gioco che le
dimensioni dei tre tratti differenziati variano stagionalmente ed in funzione dei cicli idrologici.
L’entrata in funzione dell’invaso di Montedoglio e la regolazione dei rilasci idrici a valle comporta
attualmente una diversa distribuzione delle portate in alveo, garantendo da un lato deflussi anche in
stagione estiva (normalmente il Tevere si presentava per lunghi periodi asciutto nel suo tratto
toscano) e dall’altro modulando le piene invernali, con un bilancio globale comunque negativo
(travasi irrigui nel bacino del’Arno e maggiore evaporazione).
A livello idrochimico l’area di massima interazione Tevere-falda è ben visibile e produce effetti di
diluizione di tutti i parametri chimici, compresi quelli di origine esterna quali i nitrati: questa zona
corrisponde in gran parte ad una zona in destra idrografica del Tevere soprattutto nel settore
settentrionale.
La Reglia dei Molini e l’asse Sovara-Cerfone rappresentano il possibile paleoalveo del Tevere con i
massimi spessori di alluvioni, le acque di falda comunque non risentono in maniera evidente della
ricarica dal Tevere e rappresentano una circolazione più lenta e maggiormente interessata da
apporti locali siano essi meteorici o di provenienza da alvei superficiali. Quest’ultimo aspetto non
risulta molto evidente mancando dati idrochimici delle acque superficiali della zona ( Reglia del
Molini, torrenti Sovara e Cerfone).
c. esposizione ai CDP
Come già accennato nel capitolo precedente il settore centro-occidentale della piana, che
presenta le risorse idriche più consistenti, è interessato prevalentemente da attività agricole mentre
quelle industriali ed i centri urbani si concentrano nella fascia orientale della valle in concomitanza
con i settori idrogeologici meno interessanti definiti al punto a).
La zona a maggiori risorse idriche risulta quindi vincolata per la qualità delle acque
prevalentemente alle pratiche agricole ed alle capacità autodepuranti del suolo. Nel settore
settentrionale si localizzano inoltre i laghi di falda prossimi all’alveo del Tevere, situazione a
rischio in caso di sversamento di prodotti inquinanti. Alcune attività industriali si trovano nella
zona di S. Fiora e nei pressi di Pistrino.
Il ruolo di interazione con la falda svolto dal Tevere è a sua volta un fattore di pericolo: il bacino
idrografico a monte della piana alluvionale è scarsamente antropizzato con il rischio maggiore
costituito dall’arteria viaria di grande traffico e dal centro abitato di Pieve S. Stefano. Nella parte
centro-settentrionale della valle alluvionale esistono invece numerosi punti di recapito di acque
reflue non trattate: lo sversamento di inquinanti può determinare situazioni di rischio per la falda
alimentata dal fiume.
Il rapporto falde idriche - pressione antropica è visualizzato nella Carta della Vulnerabilità
L’inquadramento della situazione idrogeologica a livello dell’Alta valle del Tevere, con
particolare riferimento alle zone di interesse regionale, può essere visualizzato e sintetizzato in uno
schema concettuale che riprenda tutti gli elementi essenziali di natura geolitologica ed
idrogeologica così come quelli idrochimici e dello scenario antropico.
In un contesto informatizzato (GIS) si possono considerare 4 “strati” di informazioni da
sovrapporre alla base cartografica:
1. natura, consistenza e grado di protezione degli acquiferi e loro interrelazioni;
2. zonazione dei caratteri idrodinamici degli acquiferi ed interrelazioni;
3. zonazione della qualità e genesi delle acque di falda;
4. zonazione del tipo ed entità di pressione antropica.
Carte relative alla prima tematica sono contenute negli studi elaborati finora tanto per il Progetto
Montedoglio che per la realizzazione della Carta di Vulnerabilità all’inquinamento. In quest’ultima
sono riportati uno schema geolitologico semplice con delle sezioni stratigrafiche e una carte
interpolativa geofisica con le isopache del complesso resistivo. Riportando tali isopache nello
schema geolitologico si ottiene una caratterizzazione anche della zona alluvionale altrimenti
indifferenziata.
Occorre inoltre riportare in carta anche le alluvioni terrazzate recenti.
In alternativa si può utilizzare la cartografia del progetto Montedoglio ( allegati cartografici in scala
1:25.000 n. 1, 2 e 3) tenendo presente che ci sono alcune imprecisioni per quello che riguarda il
settore orientale e non differenziano le alluvioni terrazzate sia recenti che antiche.
Nella carta redatta si dovranno infine riportare le indicazioni emerse dal recente rilevamento
geologico dell’area in corso di completamento: aree terrazzate, aree con presenza di un substrato
flyschoide a ridotta profondità, aree con depositi conglomeratici di tipo deltizio, estensione della
copertura limosa.
Per l’aspetto idrogeologico si dispone di varie carte piezometriche del periodo 90-92 in scala
1:25.000; nella Carta di Vulnerabilità all’inquinamento sono riportate in scala 1:100.000 due
piezometrie a confronto di morbida e magra. Tale carta, disponibile anche in scala 1:25.000 è la più
adatta a definire il contesto idrogeologico della valle ( da Idrogeotec, 1993). Occorre comunque
aggiungere il limite della piana ( allegato 7 progetto Montedoglio), le relazioni esistenti con il
Tevere ( modello concettuale Carta di vulnerabilità) e differenziare idrogeologicamente i settori
orientale ed occidentale ( dalle indicazioni geolitologiche).
L’aspetto della qualità e genesi delle acque di falda è stato già trattato in forma areale ( Martinelli,
1993) e si dispone di una cartografia di zonazione in scala 1:25.000 basata sui dati dei pozzi del
reticolo di monitoraggio. E’ necessario riportare in carta anche le indicazioni di punti d’acqua
risultati chimicamente anomali. Da segnalare che il sistema Sovara-Cerfone manca di definizione
idrochimica e non si hanno indicazioni sulle interrelazioni esistenti con la falda freatica.
L’ultimo strato deve considerare invece in modo areale l’utilizzo del territorio, zonizzando la
superficie in funzione delle attività principali e più a rischio di inquinamento, partendo da quanto
cartografato nella carta della vulnerabilità.
Mancano dati areali sulla distribuzione delle attività agricole per fasce di impatto ( tipologie
colturali a differente utilizzo di fertilizzanti e presidi sanitari, aree irrigue).
I quattro strati dello schema sono forniti alla fine del presente elaborato.
Un parziale interfacciamento delle 4 informazioni è già contenuto nel Modello concettuale
dell’acquifero in margine alla Carta di vulnerabilità. Ulteriori indicazioni specifiche potranno
essere aggiunte secondo le finalità del caso. L’elaborazione finale nel caso del reticolo di
monitoraggio regionale, potrà fornire informazioni e differenzazioni mirate, ad esempio per
correlare i punti del reticolo di monitoraggio con ciascuna specificità degli acquiferi.
Nel corso delle attività di studio sono state effettuate elaborazioni sia idrogeologiche che
idrochimiche riguardante l’intera area d’indagine.
In particolare si hanno elaborati piezometrici generali di 4 campagne di misura, della piezometria
media tra novembre ’90 ed ottobre ’91 ( 3 campagne) con equidistanza 5 metri.
A livello idrochimico è stata adottata una procedura analoga con cartografia generale su tutti i punti
limitata alla conducibilità el. ed ai nitrati (misura semiquantitativa di terreno) per intervalli di
valori. Carte in scala 1:100.000, elaborate in automatico, riguardano invece le isocone di Salinità,
durezza totale, magnesio, cloro, solfato e nitrati ad ottobre ’92.
5 BIBLIOGRAFIA
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Tevere conseguenti all’esercizio dell’invaso di Montedoglio. Regione Toscana, Regione Umbria,
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Tevere. ESAU (Ente di Sviluppo agricolo dell'Umbria), rapporto interno.
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bacino. Cap.2: Situazione idrogeologica nell'Alta Valle del Tevere. Regione Lazio, rapporto
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GNDCI-CNR U.O. 4.11 Regione dell’Umbria. Rapporto interno
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rapporto interno.
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Tevere. GNDCI-CNR U.O. 4.11 Regione dell’Umbria. Rapporto interno
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Vulnerabilità all’inquinamento. Pubbl. n. 1115, GNDCI-CNR U.O. 4.11 Regione dell’Umbria.
I dati rielaborati nel presente rapporto sono frutto principalmente delle attività svolte nel
periodo novembre 1994 - aprile 1997 dall'Unità Operativa 4.11 del GNDCI-CNR, facente capo
alla Regione dell'Umbria, in collaborazione con la U.S.L. n.1 della Regione Umbria,
Dipartimento di Prevenzione, il Comune di Gubbio e la A.R.U.S.I.A., nell'ambito delle ricerche
sulla conoscenza degli acquiferi alluvionali regionali e definizione della loro vulnerabilità
all'inquinamento e stato di conservazione (progetto VAZAR).
Dati pregressi si riferiscono a quanto riportato nel Rapporto finale per la realizzazione della
“Carta di vulnerabilita all´inquinamento degli acquiferi della Conca Eugubina“ a cura del prof.
S. Giaquinto e del Dott. Geol. A.Martinelli ( aprile 1997).
1. IL CONTESTO GENERALE
I documenti utilizzati sono stati in buona parte raccolti presso il Comune di Gubbio, il
Dipartimento Prevenzione della USL n.1, la Camera di Commercio di Perugia e la Regione
dell’Umbria.
Per quanto riguarda le informazioni di base geologico-litologiche esse provengono da indagini
eseguite dalla Gemina sui terreni fluvio-lacustri ( Gemina, 1962), dalle Note illustrative e dalla
Carta Geologica d’Italia Scala 1:100.000, Foglio n.116 Gubbio del Servizio Geologico, dall’
IDROTECNECO- RPA (1974-75), dalla RPA (1987, 1990), da Scandellari (1986) per tutta
l’area alluvionale e detritica pedemontana, mentre per gli affioramenti calcarei i dati a
disposizione provengono da Menichetti (1995) e Menichetti e Pialli (1986); il censimento pozzi
di monitoraggio eseguito nel 1994 ha infine fornito indicazioni sulle stratigrafie di parte di essi
(Schede di terreno).
I dati idrologici ed idrografici sono del Servizio Idrografico dello Stato e del Servizio
Idrografico della Regione Umbria; altre indicazioni sono state raccolte dallo studio Lotti sugli
acquiferi calcarei (1989).
I dati idrogeologici ed idrogeochimici provengono dai lavori di Perigeo (1987), Scandellari
(1986), IDROTECNECO-RPA (1974 e 1975), RPA (1986-88-90), dagli archivi USL-PMP e
dalle ultime 4 campagne di monitoraggio. Elaborazioni a scala locale sono contenute nel lavoro
dello Studio Acqua Ambiente e Sottosuolo (1996).
Le informazioni sulle caratteristiche dei suoli sono state tratte dallo studio di Schomaker e
Von Waveren (1984), reinterpretate da Perigeo (1987).
I dati delle attività antropiche sono desunti dalle carte di assetto del territorio redatte dal
Comune di Gubbio, dalla Camera di Commercio di Perugia, dalle indagini della ARUSIA per
quello che riguarda l’attività agricola (1996) e dall’Ufficio del P.U.T. della Regione dell’Umbria
(per gli allevamenti).
a. geolitologia;
Un quadro geologico sulla Conca Eugubina porta a distinguere la fascia dei rilievi che la
contornano dalle zone di piana.
I rilievi sono caratterizzati dalle formazioni Calcaree e Marnose marine della Serie Umbro-
Marchigiana: nei Monti di Gubbio affiora tutta la sequenza a partire dai Calcari Diasprigni fino
alla Scaglia Cinerea, allo Schlier ed al Bisciaro.
Il rilievo è caratterizzato da un’anticlinale rovesciata e sovrascorsa sul fianco orientale, tagliata
circa a metà da un grosso sistema distensivo dal lato della Conca Eugubina, con la parte della
piana ribassata di almeno 1000 metri.
Questi rilievi costituiscono un’area di notevole interesse idrogeologico in quanto la loro
permeabilità determina circuiti idrici sotterranei le cui risorse idriche riemergono solo in piccola
parte all’interno della stessa area e si travasano nei prospicienti depositi vallivi.
Sul versante orientale la presenza di formazioni marnose costituisce invece un limite alla
circolazione idrica.
All’interno della sequenza carbonatica si definiscono tre acquiferi principali, uno dei quali non
affiora ma è stato raggiunto da perforazioni: gli acquiferi calcarei superiore, rappresentato dalla
formazione della Scaglia, intermedio ( Maiolica e Diaspri) ed inferiore ( Corniola e Calcare
massiccio).
2
L’area di affioramento dell’acquifero calcareo superiore (Scaglia) è di circa 11,8 km mentre
per l’acquifero calcareo intermedio essa rappresenta una fascia più sottile di 2,9 km 2.
L’acquifero inferiore è stato invece raggiunto dai pozzi Casamorcia (del Comune di Gubbio) e S.
Donato.
Generalmente i tre acquiferi sono localmente in connessione idraulica e sussistono condizioni di
travaso alla coltre detritica; si sono individuati 4 sottobacini aventi circuitazione parzialmente o
completamente separata: un sottobacino settentrionale che riversa le sue acque nella valle
dell’Assino e attualmente, in misura più consistente, rifornisce i pozzi Mocaiana del Comune; un
sottobacino che va dal Monte Foce al Monte Casamorcia, che ha come riferimento l’area delle
ex sorgenti di Raggio e dei pozzi Casamorcia e S. Donato; due sottobacini meridionali di minor
estensione, che non hanno prelievi diretti e 2 sole restituzioni sorgentizie, e che dovrebbero
trasferire le loro risorse idriche tanto alla prospiciente fascia detritica ed ai piccoli torrenti che li
tagliano, quanto in senso trasversale ai sottobacini contigui. Nei mesi di febbraio-aprile ´97 è
stato realizzato un sondaggio esplorativo in questi sottobacini, nella Gola del Bottaccione.
Le sorgenti esistenti aventi portate significative, ma pur sempre poco consistenti (ordine del l/s),
sono solo tre: quella del Bottaccione, sulla Scaglia, che alimenta l’acquedotto del palazzo dei
Consoli, quella di Suelle che è alimentata dal circuito idrico presente nella Maiolica
(l’emergenza è nel detrito ma il chimismo ne dichiara la sua provenienza), e quella di S. Marco
avente carattere intermittente stagionale ( si prosciuga in tarda estate-autunno, portate massime
di circa 10 l/s) ricollegabile al circuito idrico presente nella Scaglia.
Gran parte della Conca è comunque delimitata dalla Formazione della Marnosa Arenacea
costituita da marne con intercalazione di orizzonti arenacei e calcarenitici che, essendo più
resistenti all’azione degli agenti atmosferici, condizionano la morfologia dei rilievi.
A livello tettonico sono state riconosciute più Unità che si contraddistinguono sia per le
condizioni spaziali di deposizione che per il loro assetto strutturale attuale e la presenza di
orizzonti di riferimento (es. Livello Contessa). Ad esempio nella zona di S. Marco questa
Formazione poggia in contatto tettonico sulla sequenza calcareo-marnosa dei Monti di Gubbio.
Nell’insieme comunque si ha una disposizione abbastanza omogenea con ondulazioni degli
strati non troppo accentuate ed immersione degli stessi verso la zona della piana.
La formazione ha scarse caratteristiche idrogeologiche in quanto la frazione marnosa blocca la
circuitazione idrica; tuttavia la presenza e frequenza delle intercalazioni arenacee e calcarenitiche
permette di ospitare modeste falde idriche generalmente confinate ai singoli strati ed a piani di
taglio drenanti. Numerose sono le sorgenti presenti nell’area, la cui portata è generalmente
scarsa, così come i pozzi che intercettano più livelli permeabili.
La formazione della Marnosa Arenacea costituisce il substrato dei depositi continentali che
colmano la Conca Eugubina.
Numerosi sondaggi eseguiti dalla Gemina la intercettano infatti in tutta la parte meridionale ed
occidentale della piana. Informazioni di tale genere mancano invece nella zona prossima ai
rilievi calcarei, laddove si assiste ad un maggior spessore dei depositi detritico-alluvionali le cui
relazioni con i depositi fluvio-lacustri più fini sono di difficile interpretazione.
Mentre nella zona meridionale della Conca fino all’altezza di Gubbio la copertura alluvionale dei
terreni fluvio-lacustri è esigua, ed anzi, a parte i materiali deposti dal F. Chiascio nei pressi di
Branca, possiamo parlare più di depositi colluviali che alluvionali, risulta quindi semplice
ricondurre eventuali corpi conglomeratici a paleodelta associati all’ambiente lacustre, nel settore
settentrionale è quasi impossibile distinguere sulla base delle indicazioni dei pozzi ciò che in
profondità è alluvionale dal più antico fluvio-lacustre.
Il fatto che la base dei sedimenti fluvio-lacustri non fosse sicuramente piana e che i depositi
di sponda più grossolani si siano interdigitati a quelli fini in un originario bacino poco ampio, fa
sì che le loro geometrie per conseguenza non siano ubiquitariamente ben definibili al contrario
delle ricostruzioni Gemina che danno una sequenza tipo costituita da argille verdi di base
(spessore fino a 25 m.), una facies argilloso-lignitifera intermedia (spessa fino a 90 m.) ed una
facie argilloso-sabbiosa superiore (che raggiunge con i dati disponibili dei sondaggi i 160 m).
E’ possibile che nel settore meridionale i depositi abbiano avuto una polarità verso il centro
della valle, mentre in quello settentrionale l’attività della faglia marginale associata ai calcari
abbia prodotto un bacino asimmetrico colmato verso est da notevoli spessori dei prodotti di
alterazione detritica delle formazioni calcaree, tanto nel periodo tardopliocenico-pleistocenico
inferiore che in quello recente. I pozzi che attraversano maggiormente i depositi vallivi in
prossimità delle coltri detritiche rilevano infatti una abbondante presenza di detriti calcarei
associati a matrice generalmente fine; mancando indicazioni precise sulle caratteristiche
morfometriche dei clasti e sui caratteri tessiturali o strutture sedimentarie ( i pozzi sono tutti
eseguiti a distruzione di nucleo) è impossibile stabilire chiaramente fin dove sia ancora ambiente
lacustre o alluvionale. Per il pozzo Madonna del Ponte sono stati distinti in passato dagli autori
(Idrotecneco-RPA, 1975) tre livelli: da 0 a 40 m. detrito di falda calcareo incoerente con
rimaneggiamenti fluviali (depositi recenti); da 40 a 120 m. detrito calcareo e arenaceo più o
meno legato da materiale marnoso ( ambiente fluviale); oltre i 120 m. brecce conglomeratiche
ed argille marnose (ambiente lacustre). Per il pozzo delle Cementerie, Menichetti (1995) riporta
il limite tra il complesso detritico-alluvionale e quello fluvio lacustre a circa 220 m. di
profondità, ossia ad una quota di poco superiore ai 300 m.s.l.m. che si correla abbastanza bene
con il dato del pozzo precedente. Il substrato dei depositi continentali è a quote inferiori ai 380
m. dal piano campagna ( al di sotto dei 180 m.slm). I pozzi nuovi di Raggio mettono in
evidenza infine la presenza di un’intercalazione argillosa consistente che si insinua anche
all’interno delle coltri detritiche differenziando almeno 2 orizzonti detritici, il più antico dei
quali potrebbe già essere coevo ai depositi fluvio-lacustri.
L’utilizzo dei dati delle perforazioni note assieme ai risultati della campagna geofisica
condotta su parte della zona alluvionale settentrionale e nell’area di Branca dall’Idrotecneco, con
l’ausilio delle informazioni di terreno o raccolte nel censimento pozzi, ha permesso di realizzare
una ricostruzione dell’andamento dei depositi continentali della Conca come riportato in
cartografia.
A livello degli affioramenti detritici si sono distinti quelli che poggiano direttamento sulle
formazioni calcaree (di spessore esiguo) da quelli che vanno ad intercalarsi e rimaneggiarsi nei
depositi alluvionali. Le isopache certe di questi depositi si limitano a poche zone per una scarsa
copertura areale delle informazioni; spessori dell’ordine dei 200 metri o più sono riconducibili
alla zona di contatto con i calcari.
Le stratigrafie disponibili si riferiscono al pozzo Curva Raggio ( del Comune) ed a quello
delle Cementerie Barbetti mentre i 4 pozzi esistenti nella zona delle ex sorgenti di Raggio sono
ubicati al limite tra la fascia detritica e la piana (in facies argillosa), captando comunque livelli
di origine detritica.
I depositi alluvionali sono stati distinti in tre zone: la prima corrisponde alla fascia a ridosso
delle coltri detritiche ( detta ghiaioso-detritica) dove tanto la geofisica che i sondaggi indicano la
presenza di cospicui orizzonti grossolani originatisi dal rimaneggiamento in ambiente fluviale
dei detriti di falda (ad essa corrisponde il complesso ad alta resistività). Dal punto di vista
idraulico tali terreni non hanno un buon comportamento come ci si attenderebbe, è il caso dei
pozzi Madonna del Ponte e Piaggiola, a causa dell’elevato contenuto di matrice fine. Le isopache
indicano lo spessore totale dei depositi, talora includendo anche cospicue intercalazioni fini: si
va da un minimo di circa 60 metri a valori massimi di oltre 100 metri.
Esternamente a tale zona si rinviene la zona alluvionale a media resistività (definita come
sabbioso-limosa) caratterizzata da spessori ridotti (mediamente sui 20 metri) e scarse
intercalazioni ghiaiose che fanno supporre un’origine anche colluviale di molti orizzonti.
Tale zona si protende verso sud-est lungo il margine orientale della piana in una stretta fascia
prossima ai rilievi della Marnosa Arenacea: qui si suppone che la messa in posto dei depositi sia
tanto di tipo alluvionale che colluviale e gravitativo per la disgregazione dei terreni miocenici, lo
spessore è comunque esiguo se si eccettuano delle piccole conoidi a ridosso del pendio.
Nella parte meridionale, infine, si ha la stretta valle del Chiascio dove si rinvengono depositi
alluvionali ad energia variabile poggianti sul substrato della Marnosa Arenacea ad un massimo
di 50 m. di profondità ( Pozzo Branca). Pur se litologicamente più grossolana e più consistente
questa zona è riconducibile al complesso a media resistività e mantiene scarse caratteristiche
idrogeologiche.
Nella zona di Raggio è riportata inoltre l’area di affioramento (al di sotto del suolo agrario)
dell’intercalazione argillosa che si ritrova anche all’interno del detrito. In tale zona alcuni pozzi
sono risultati sterili fino a 70 metri di profondità ( Perforazione n. 12, Comune di Umbertide);
una tale consistenza può far supporre che ad una profondità inferiore ci possa già essere il
passaggio diretto alla sequenza fluvio-lacustre. Non si può tuttavia neanche escludere che tale
affioramento sia già ascrivibile a quest’ultima sequenza; un episodio lacustre recente è
comunque ben inquadrabile in una situazione paleogeografica che vede la faglia marginale dei
monti di Gubbio in attività con sprofondamento della parte ribassata ed alta produzione di
depositi clastico-gravitativi.
All’interno della sequenza fluvio-lacustre viene evidenziata la zona di affioramento del
complesso argilloso-lignitifero che ha caratteristiche idrauliche peggiori di quello sabbioso-
argilloso. Tuttavia il limite tra i due complessi è di dubbia localizzazione così come quello tra il
fluvio-lacustre ed il complesso alluvionale a media resistività. I lavori di rilevamento precedenti
si discostano infatti notevolmente nell’ubicazione di tale limite.
Quello che va evidenziato è la presenza di terrazzamenti del complesso sabbioso-argilloso
tanto sul limite occidentale della piana a ridosso della Marnosa Arenacea che in sinistra del
Saonda tra Padule e Branca. E’ possibile che tale scarpata in quest’ultima zona possa coincidere
con il limite tra i due complessi fluvio-lacustri aventi differenti caratteristiche meccaniche ed
erosive, mascherata attualmente dalle attività agricole e dal dilavamento dei terreni. Il limite
degli affioramenti proposto da Gemina infatti è poco più basso dell’orlo dei terrazzi, irregolare e
non continuo. Le indicazioni riportate in carta degli spessori attraversati dai pozzi Ge.mi.na. si
riferiscono a entrambi i complessi fluvio-lacustri.
La presenza di lignite, associata alle principali direttrici di alimentazione del paleobacino
(probabilmente il ruolo maggiore potrebbe essere stato quello di un paleoChiascio), non può
essere considerata quale unico elemento discriminante tra i due complessi in quanto può rendere
maggiormente evidente il complesso inferiore in certe zone a scapito di altre. In ogni caso
entrambi i depositi fluvio-lacustri non costituiscono un settore di elevato interesse idrogeologico
per le loro scarse caratteristiche tanto quantitative che qualitative.
b. Idrogeologia
L'indagine 1994-95 ha interessato 145 punti d'acqua, di cui 124 pozzi, scelti con criterio
casuale in una maglia di 1-2 per km2 su un'area di circa 80 km2. I dati caratteristici dei pozzi e le
misure di terreno sono stati rilevati in apposite schede.
Le misure freatimetriche sono state utilizzate per avere un quadro globale dell'andamento della
superficie piezometrica della falda, per la definizione delle linee di flusso principali, per la
differenzazione areale sulla base dei gradienti idraulici e dello spessore del non saturo.
Arealmente sono state distinte più situazioni riferibili a:
1- la fascia detritica ed alluvionale ad ovest e N-W di Gubbio ( isopieze mal definibili a ridosso
del pendio detritico, bassi gradienti idraulici nelle alluvioni, flusso principale convergente verso
Raggio, non saturo decrescente da nord-est a sud-ovest, limite orientale rappresentato da uno
spartiacque sotterraneo);
2- la fascia detritica ed alluvionale ad est e sud-est di Gubbio ( gradienti piuttosto regolari e
deflusso verso sud con emergenza della falda al contatto con i deposito fluvio-lacustri, spessore
del non saturo decrescente verso sud, alimentazione del Torrente Saonda (sud);
3-la piana alluvionale del Chiascio (deflusso verso sud e scabio con il Fiume, insaturo
decrescente verso sud);
3- le zone fluvio-lacustri villafranchiane sud-occidentale e meridionale [gradienti idraulici da
medi ad elevati, non saturo variabile o mal definibile per la presenza di condizioni risalienti
(zona S-W, falda affiorante) e falde esigue negli orizzonti sabbioso-limosi o conglomeratici
(valori alti).
I dati freatimetrici delle 4 campagne dell´anno idrologico ´94-95 ( 124 pozzi) hanno indicato
una generale ridotta variazione areale della superficie piezometrica; localmente le differenze
rilevate sono riconducibili alle variazioni dei prelievi dei principali campi pozzi ad uso
idropotabile.
Ad un generale andamento stagionale con massimo ad aprile ´95 e minimo ad ottobre si
associano condizioni locali di sfasamento del massimo ( a giugno, pozzi al margine del fluvio-
lacustre) o di costante decremento dei livelli di falda ( anno idrologico negativo, incremento dei
prelievi).
La raccolta dei dati piezometrici storici ha fornito dati nell’ambito dell’intera valle relativi a 3
periodi.
Il più antico si riferisce al lavoro Idrotecneco-RPA del 1974: nei mesi di marzo e aprile ’74
furono censiti e misurati 122 pozzi, da cui venne ricostruita una carta delle isopiezometriche in
scala 1:25.000.
Operazione analoga fu svolta nel periodo 86-87 dallo Studio Perigeo che rilevò i livelli di falda
di circa 100 pozzi in 6 campagne di misura, 3 delle quali sono state riportate nel lavoro
eseguito per la USL (1987).
Nello stesso periodo il geologo Scandellari eseguì un rilievo piezometrico nell’area delle ex
sorgenti di Raggio misurando i livelli di una cinquantina di pozzi.
In ultimo, dall’ottobre ’94 al novembre ’95 sono state effettuate 4 campagne di misura su 124
pozzi nell’ambito degli studi sulla vulnerabilità degli acquiferi.
Risulta comunque di difficile attuazione una elaborazione dell’evoluzione temporale della
superficie piezometrica in quanto le oscillazioni stagionali rilevate nei due cicli del 86-87 e del
94-95 sono per certe zone abbastanza cospicue e corrispondono o superano le differenze dei
valori misurate nei tre differenti decenni. Inoltre esiste una discrepanza dei dati disponibili:
mentre per i pozzi del ’74 e del 94-95 esiste una schedatura con le quote del piano campagna
desunte e ed il livello statico misurato, per i dati del 86-87 si ha solo il valore calcolato del
livello piezometrico assoluto, il che comporta un errore non trascurabile ( dovuto all’assunzione
del livello del piano campagna) che impedisce di uniformizzare i dati di tutte le campagne
partendo dal dato misurato.
Maggior affidabilitá è riferibile all’analisi puntuale delle variazioni piezometriche rilevate nelle
tre differenti decadi o in almeno 2 di esse.
I valori differenziali ottenuti sono nella maggior parte dei casi piuttosto bassi e con segno
variabile.
L’unica indicazione chiara che emerge dal confronto tra i tre periodi è relativa all’evoluzione
della zona del campo pozzi di Raggio, che non subisce grosse modifiche tra il 74 e l’86-87,
mentre tra l’87 ed il 94-95 si ha un abbassamento dei livelli di falda notevoli ( quasi 10 m.)
accompagnati da un esaurimento produttivo dei vecchi pozzi ( a scapito dei nuovi più a monte).
Altri dati relativi a periodi analoghi sono disponibili per i pozzi Madonna del Ponte, Piaggiola,
Mocaiana 2 e Branca, tutti realizzati tra il 1974 e il 1987. I valori delle variazioni decennali sono
piuttosto significativi pur se si riferiscono per gli ultimi due pozzi a condizioni dinamiche di
sfruttamento dell’acquifero. Per Madonna del Ponte e Piaggiola si è verificato un abbassamento
della falda dell’ordine dei 2 metri ( a Piaggiola ciò si è notevolmente accentuato nel corso del
1995, mentre nel 1994 il suo livello di falda risultava essere appena un metro inferiore a quello
del 1987), negli altri due il marcato regime dinamico ha prodotto una depressione di circa 20
metri per Mocaiana ( valore dovuto all’aumento dei prelievi con 2 pozzi in esercizio, le misure si
riferiscono comunque a pozzi fermi) e di 17 metri per Branca (valori influenzati dalle
caratteristiche idrodinamiche dei pozzi, attualmente i pozzi non sono più in esercizio).
Il pozzo Casamorcia infine, che attinge alla falda dei calcari ed è in funzione regolarmente dal
periodo di realizzazione (1975) con portate oscillanti tra 12 e 15 l/s, ha evidenziato un
abbassamento della falda di circa 12 metri tra il 1975 ed il 1996, uniche due misure rilevate
entrambe in condizioni statiche o quasi statiche ( dopo qualche ora dall’arresto del pompaggio).
Sui dati delle ultime 4 campagne di monitoraggio sono state calcolate la media e
l’oscillazione massima stagionale dei livelli statici.
Nella carta idrogeologica realizzata in scala 1:25.000 si è riportato l’andamento piezometrico
medio delle 4 campagne, eliminando valori anomali occasionali dovuto al variare dei prelievi; a
scala minore si dispone delle piezometrie delle singole campagne. Le curve isopiezometriche
ottenute non si discostano per gran parte da quelle elaborate nei due periodi 74 e 86-87 se si
escludono l’area di Raggio e quella di Branca.
L’entrata in funzione dei pozzi a monte di quelli delle vecchie sorgenti di Raggio,
contemporaneamente all’aumento della domanda idropotabile ed alla presenza di un ciclo
idrologico negativo, ha prodotto un consistente cono di depressione della falda che si è addossato
alla fascia pedemontana detritica dei rilievi calcarei. Essendo l’alimentazione principale di tale
area proveniente dagli acquiferi calcarei, ciò sta ad indicare che si sono svuotate le risorse
idriche travasate principalmente nell’acquifero detritico e che le acque di rialimentazione non
riescono a ripristinare l’equilibrio. Non sappiamo se l’aumento dei prelievi all’interno della
struttura carbonatica (Mocaiana 1 e 2) sia anche la causa dei minori travasi. La mancanza di
informazioni dettagliate nel tempo limita qualsiasi analisi di questo genere.
Conseguenza di questa situazione è la modificazione delle linee di flusso principali del settore
settentrionale che drena verso nord a partire dall’altezza di Gubbio.
Nel 1974 tutte le linee di flusso principali si dirigevano verso le aste fluviali del Saonda e Assino
mentre attualmente tutto il settore che parte dalla Valle della Contessa verso NW si dirige verso
la depressione di Raggio.
La differente permeabilità dei depositi detritico ed alluvionale ed i volumi idrici in gioco
fanno sì che la frazione di acque provenienti dal sistema alluvionale sia molto inferiore a quella
di ricarica dai rilievi carbonatici e detritici. Il chimismo scadente delle acque che circolano
nell’alluvionale comporta comunque un graduale peggioramento della qualità delle risorse
idriche estratte ed una maggiore vulnerabilità del campo pozzi.
La carta elaborata, oltre al quadro piezometrico, riporta anche un tentativo di definizione delle
velocità di deflusso delle acque di falda. I valori calcolati hanno preso in considerazione da un
lato i gradienti idraulici esistenti e dall’altro i valori di permeabilità dei settori idrogeologici
definiti.
Le prove di portata sui pozzi sono state utilizzate per stabilire i valori di riferimento delle
permeabilità: Mocaiana e S. Donato per i calcari, il pozzo Curva Raggio per il detrito, Piaggiola
e Madonna del Ponte per le alluvioni ghiaioso-detritiche, i pozzi Branca per le alluvioni a media
resistività.
Tali dati sono stati poi confrontati con le distribuzioni areali delle misure indirette di
trasmissività (tramite le portate specifiche) effettuate da Giaquinto,Checcucci e Peruzzi (1996) e
con le indicazioni litologiche degli acquiferi.
Il risultato ottenuto evidenzia che tranne in zone limitate e particolari ( come Raggio) la velocità
di deflusso dipende principalmente dalla permeabilità del mezzo mentre il gradiente idraulico
rappresenta un fattore dal peso minore.
L’informazione cartografata non è certamente definibile come quantitativa, ma la scala di
velocità di deflusso da noi scelta, quasi logaritmica, differenzia bene qualitativamente le zone a
circolazione idrica lenta e limitata da quelle dove le acque si muovono in maniera significativa.
Questa indicazione, unita a quella sulla consistenza degli acquiferi e della ricarica meteorica
potrà fornire un quadro di riferimento per la definizione dei volumi idrici in gioco e sul loro
tempo di rinnovamento.
I pozzi sottoposti a monitoraggio sono stati per questo motivo rappresentati secondo la loro
profondità per fornire già un’idea sulla consistenza degli acquiferi interessati: la fascia detritica e
le alluvioni ghiaioso-detritiche, unitamente alle zone fluvio-lacustri più povere di risorse idriche,
sono quelle che mostrano una maggiore profondità dei pozzi. In generale comunque le
profondità sono limitate ai primi 30 metri ed in tutta la zona centrale si ha un notevole numero di
pozzi con profondità inferiori ai 15 m..
Nella cartografia sono riportate delle stime della disponibilità annua delle risorse idriche per
tipo di complessi: l’analisi prende solo in parte in considerazione l’area fluvio-lacustre in quanto
si ritiene che la variabilità composizionale areale del complesso fluvio-lacustre renda poco
significativa la definizione di un coefficiente di infiltrazione efficace con i metodi utilizzati. I
valori riportati si riferiscono ad una media ventennale ottenuta utilizzando i dati
termopluviometrici della stazione di Gubbio.
I dati di precipitazione media ed evapotraspirazione media per i settori considerati sono stati
desunti da quelli della stazione di Gubbio applicando le rette di correlazione altimetrica alla
quota media degli affioramenti. La suddivisione è stata fatta tanto su base litologica ( alluvioni,
detrito, calcari, Marnosa Arenacea) che idrodinamica (spartiacque, aree a circolazione scarsa).
Per ogni zona si è poi valutato il coefficiente di deflusso superficiale partendo dai dati di
acclività degli affioramenti, dal tipo di copertura vegetale e dalla permeabilità dei suoli
(quest’ultimo dato deriva dalle informazioni riportate nella Carta 3 allegata alla presente
relazione). Nel caso delle due principali aree alluvionali, separate dallo spartiacque sotterraneo
che corre a S-W di Gubbio, il valore di infiltrazione efficace ottenuto tiene conto dei differenti
coefficienti di deflusso per i diversi suoli più permeabili nella parte a ridosso del rilievo calcareo
e delle coltri detritiche e gradualmente meno permeabili allontanandosi da tale area.
Nella tabella che segue sono riportati in forma riassuntiva i valori dei parametri idrogeologici
utilizzati per la valutazione della disponibilità idrica annua delle zone considerate.
Anticipando i risultati sulla qualità delle acque si possono così sintetizzare le valutazioni areali
della disponibilità idrica annua di cui si parla:
Sono stati presi in esame 30 parametri chimico-fisici tra elementi principali, specie
azotate, elementi minori e metalli pesanti; inoltre sono state effettuate analisi batteriologiche.
E´ stata realizzata una carta genetico-evolutiva delle acque sotterranee che considera anche le
situazioni idrogeologiche esistenti ed include anche informazioni sulle condizioni ossidoriduttive
delle acque sotterranee che influenzano la distribuzione in particolare delle specie azotate e dei
metalli (ferro e manganese).
Le sei fasce differenziate corrispondono in linea generale a due meccanismi principali di
evoluzione: le prime (sottogruppi A) si ricollegano all’alimentazione ed ai circuiti calcarei e
detritici da cui defluiscono verso SW modificando il chimismo in funzione dei tempi di
permanenza e degli input dalla superficie tanto di natura meteorica che inquinanti. Infatti la
qualità peggiora gradualmente con un significativo aumento di salinità e specie azotate.
Le altre tre fasce sono invece caratterizzate da circuiti molto più poveri di risorse idriche con un
effetto predominante sulla qualità, conseguenza diretta delle caratteristiche dell’acquifero e dei
tempi di permanenza delle acque ( gruppo B). Valori piuttosto elevati di salinità, condizioni
riducenti, forte variabilità locale sono i fattori caratteristici di queste zone.
In pratica si individuano 2 settori distinti, uno di interesse idropotabile, l’altro di scarse e
scadenti risorse idriche utilizzabili solo localmente. In realtà anche parte delle zone di interesse
idropotabile presentano attualmente acque di scarsa qualità a causa soprattutto della presenza di
nitrati.
I parametri presi in considerazione nell’analisi delle condizioni ossido-riduttive delle acque di
falda sono l’Ossigeno Disciolto, il Potenziale Redox e gli elementi in condizioni ridotte ( NH 4,
Fe+2, Mn). Nelle due campagne di misura di aprile ed ottobre ’95 i valori di O.D. e degli
elementi sopra menzionati sono rimasti per buona parte dei punti di campionamento invariati.
Fanno eccezione alcuni punti dove si sono avute variazioni notevoli di O.D. con passaggio da
condizioni ossidanti a riducenti o viceversa. Tali variazioni possono essere in parte ascrivibili ad
una stratificazione degli orizzonti acquiferi di poca consistenza che risentono molto della
ricarica meteorica; in alcuni casi potrebbero essere imputabili ad errori di misura peraltro insiti
nella procedura di determinazione di campo.
Ammoniaca, ferro e manganese, hanno dato una piccola variabilità solo a basse
concentrazioni prossime alla soglia analitica, su tali variazioni può aver inciso tanto l’effetto
della ricarica meteorica che, nel caso dell’ammoniaca soprattutto, differenti condizioni di
inquinamento di tipo organico.
Proprio i risultati delle analisi batteriologiche effettuati dal Laboratorio di Igiene Ambientale
della USL n.1 suggeriscono che possa essere consistente in gran parte della piana l’arrivo in
falda di inquinanti di origine organica. Infatti la frequenza di coliformi fecali e streptococchi
fecali è elevata sia come numero di campioni che nel tempo. In gran parte dei campioni
contaminati i valori persistono sia nel campionamento di morbida (aprile) che di magra (ottobre
’95).
Le cause di una tale presenza di inquinamento organico possono essere riferite ai sistemi di
smaltimento dei reflui domestici ed all’attività zootecnica.
Nel caso dei reflui si hanno due situazioni distinte: le zone provviste di rete fognaria e quelle che
invece smaltiscono nel sottosuolo.
L’esiguità delle falde è un altro elemento che può generare un tale consistente inquinamento
batteriologico.
Associato all’inquinamento batteriologico c’è quello da specie azotate, che può sommarsi a
quello prodotto da altre fonti, per prima l’attività agricola.
Nelle carte di distribuzione areale relative alle due campagne le zone a massima concentrazione
in NO3, con valori superiori ai limiti di legge, mostrano leggere oscillazioni legate in buona parte
all’effetto del trasporto dalla superficie operato dalle acque meteoriche. Le zone maggiormente
impattate ed estese si ubicano ad ovest di Gubbio, nel settore alluvionale della piana che drena
attualmente verso Raggio, come riporta la cartografia realizzata relativa all’ottobre ’95. La
consistenza delle falde acquifere e le velocità di deflusso, così come il grado di protezione
offerto dal non saturo influiscono sulla distribuzione delle concentrazioni. Condizioni riducenti,
con presenza dell’azoto in forma ridotta, intervengono poi nelle zone alluvionali marginali e nel
fluvio-lascustre. Alcuni massimi in NO3 sono associabili alle pratiche agricole, altri
probabilmente agli insediamenti civili con sversamenti occasionati sia da perdite del sistema
fognario (probabilmente nella zona tra Gubbio e Raggio) che da smaltimento di reflui nel
sottosuolo (zona a sud-ovest di Gubbio e parte della zona di cui sopra). L’indagine isotopica
condotta sul 15N dello ione nitrato ha evidenziato che non c’è un inquinamento marcato da
concimi chimici quanto piuttosto da mineralizzazione della materia organica a livello del suolo.
I massimi localizzati nel settore centro-meridionale sono di tipo puntuale (minor densità del
reticolo di monitoraggio) e meno interpretabili per la configurazione morfologica ed
idrogeologica degli acquiferi fluvio-lacustre ed alluvionale: fa eccezione la zona di Branca
dove si rilevano valori piuttosto elevati ai margini della piana.
La presenza dello ione ammonio risulta molto meno diffusa, andandosi a localizzare, quando i
valori sono molto elevati, nelle zone a carattere riducente associato generalmente a Ferro e
Manganese.
Le analisi dei Fosfati hanno evidenziato una limitata presenza di P 2O5; i campioni con valori
apprezzabili sono quasi tutti riferibili a pozzi aventi condizioni da parzialmente a molto riducenti
(difficile dire in più casi se siano condizioni naturali oppure se si sia in presenza di forti
inquinamenti locali) ed ad alcune delle sezioni d’alveo (Canale di Raggio, T. Saonda Sud e F.
Chiascio).
Da segnalare che le analisi delle acque in uscita dai depuratori indicano concentrazioni
elevate o significative di specie azotate rilasciate che possono essere fonte di contaminazione
dopo l´immissione nel reticolo idrografico superficiale collegato alle falde freatiche.
Le analisi relative al campionamento di ottobre ’95 hanno preso in esame anche i seguenti
elementi metallici pesanti: Zinco, Rame, Piombo, Manganese, Cadmio, Mercurio, Arsenico,
mediante strippaggio anodico, oltre al Ferro, determinato in via semiquantitativa sul terreno
nelle due campagne sia come Fe totale che come Fe +2, ed al Cromo, analizzato con fornetto a
grafite in entrambe le campagne.
Tutti ad eccezione del manganese e del ferro, presentano valori inferiori ai limiti di legge o sono
al di sotto della soglia di sensibilità strumentale.
Nello schema che segue si sintetizzano le indicazioni ricavate dall’analisi dei metalli pesanti.
Partendo dagli elementi meno rappresentati si segnala l’assenza al di sopra dei limiti di
sensibilità analitica di valori relativi al Mercurio: situazione simile si rileva per il Cromo con
l’eccezione del pozzo n.7 trovato “positivo” nella prima campagna di campionamento, su valori
comunque poco superiori alla soglia di sensibilità ( S.d.S).
Per quanto riguarda il Cadmio è sempre risultato in concentrazioni molto inferiori al limite di
legge e prossime alla S.d.S., escludendo eventi di tipo inquinante sul reticolo.
Nel caso dell’Arsenico si rileva un trend generale di valori inferiori alle 10 ppb mentre tre
campioni con valori leggermente superiori sono ricollegati a condizioni riducenti.
Il Rame mostra valori generalmente bassi oscillanti tra 0,5 e 20 ppb; solo alcuni campioni
mostrano leggere anomalie di qualche decina di ppb. Tra essi è interessante notare le sorgenti di
Suelle e di Piaggiola, la prima ubicata sulle pendici dei monti di Gubbio.
La sorgente di Piaggiola è quella che presenta il massimo tenore in Piombo con un valore
abbastanza prossimo a quello limite di legge e che si discosta notevolmente da tutti gli altri. Da
segnalare valori estremamente bassi in corrispondenza dei depositi fluvio-lacustri dove
presumibilmente le argille adsorbono l’eventuale piombo in circolo.
Nel caso dello Zinco si segnalano 7 campioni con valori superiori al Valore Guida, quasi tutti
localizzati nel settore orientale della Conca su terreni fluvio -lacustri o alluvionali a lenta
circolazione ad eccezione di uno prossimo alla città di Gubbio. Mentre per i primi l’accumulo è
più presumibilmente di tipo naturale, per quest’ultimo sono maggiori le indicazioni a favore
dell’origine antropica.
Ferro e Manganese registrano una distribuzione condizionata dalle condizioni riducenti della
falda con una decina di punti che raggiungono valori ben superiori ai limiti di legge. La
distribuzione di parte dei punti corrisponde ad acque soggette ad inquinamento anche di tipo
organico e quindi le condizioni riducenti sono riferibili sia a condizioni naturali ( falde isolate
“profonde”) che di contaminazione da parte degli insediamenti antropici.
Valori estremamente alti sono anche dovuti al tipo di utilizzo dei pozzi ed alla natura del
rivestimento: pozzi inutilizzati o poco sollecitati vedono salire le concentrazioni in particolare di
ferro fin oltre il mg/l.
d. Prelievi
I prelievi sono quantitativamente mal definibili anche nel caso di quelli pubblici idropotabili:
i volumi medi annui estratti si aggirano sui 100-120 l/s equamente ripartiti tra il campo pozzi di
Raggio ed i pozzi nei calcari (Mocaiana e Casamorcia).
Gli altri prelievi, a partire da quelli industriali e domestici fino a quelli irrigui e zootecnici, non
sono noti. Dati relativi al recente censimento pozzi richiesto dalla legge, hanno fornito un totale
di circa 1200 pozzi nella piana in prevalenza ad uso domestico, con consumi stimabili in poche
centinaia di metri cubi annui. A livello dei fabbisogni industriali soltanto i 2 cementifici sono
considerabili come attività idrorichiedenti: il C. Barbetti preleva circa 5 l/s dalla falda mentre
per la Colacem si ha un utilizzo prevalente di acque superficiali con modeste integrazioni di
acque sorgive e sotterranee ( circa 32 l/s medi e 90 l/s nelle fasi lavorative, di cui la metà
reimmessi nel Torrente Saonda).
Per le ultime due categorie si può valutare il fabbisogno idrico dai capi di bestiame censiti
dall’Ufficio PUT della Regione Umbria e dalle superfici delle colture idrorichiedenti ( dati
denunce PAC, Arusia 1993 ). Da notare che è abbastanza diffuso l´attingimento a fini irrigui da
corsi d´acqua e da piccoli invasi ubicati nelle depressioni della zona meridionale della piana sui
terreni fluvio-lacustri.
Nella tabella che segue si riportano i valori stimati dei consumi idrici annui di acque
sotterranee per i vari usi ed attività a livello della Conca.
La Carta della vulnerabilità all’inquinamento degli acquiferi della Conca Eugubina riporta
l’insieme delle attività antropiche presenti sul territorio. Una zonazione di tali attività in
relazione agli acquiferi, nell’ottica di un reticolo di monitoraggio, e´ giá stata elaborata nella fase
di predisposizione della cartografia preliminare.
La Conca Eugubina non risulta avere attivitá fortemente a rischio di inquinamento; gli
insediamenti urbani sono il fattore predominante associato ad attivitá artigianali ed industriali
non idrorichiedenti o a pericolositá medio-bassa quali quelle legate all’estrazione e
trasformazione delle marne da cemento.
Sulla coltre detritica pedementana dei Monti di Gubbio, caratterizzata da elevata permeabilitá
superficiale, in particolare nella sua porzione inferiore, insistono parte degli insediamenti urbani
dell´area a partire dallo stesso centro storico di Gubbio.
Gran parte delle superfici urbanizzate corrispondono infatti ad un asse che corre lungo il margine
nord-orientale della Conca da Mocaiana a Branca ed insistono in gran parte sui depositi
detritico-alluvionali originatisi dai Monti di Gubbio (calcarei) o dai rilievi collinari della
Marnosa Arenacea.
Nel resto dell´acquifero alluvionale si hanno limitate zone urbanizzate sviluppate in continuitá
solo lungo la statale verso Perugia.
L´unica area industriale degna di nota si situa comunque su terreni fluvio-lacustri ( Padule)
mentre il Cementificio Colacem, insiste su un´area abbastanza vasta a cavallo tra la Marnosa
Arenacea, i depositi fluvio-lacustri inferiori e le ridotte alluvioni del Saonda. La sua pericolositá,
essendo anche gran parte delle superfici impermeabilizzate, è quindi maggiormente rivolta verso
le acque superficiali.
Piccole discariche incontrollate, antecedenti al DPR 915/82, o abusive di RSU e residui
industriali (rottami), sono ubicate in prossimitá di Gubbio mentre le 2 discariche di RSU di
Ghigiano ( colmata) e Colognola si ubicano la prima oltre lo spartiacque della Conca, la seconda
sui terreni fluvio-lacustri inferiori.
Di notevole importanza è invece l´attivitá estrattiva, concentrata nelle incisioni vallive e sul
retro dei Monti di Gubbio: materiali lapidei e granulati dai calcari per l´edilizia e le
infrastrutture, marne da cemento per i cementifici e le attivitá ad essi collegate ( prefabbricati).
Le superfici coltivate ed i volumi annualmente estratti sono consistenti a fronte di un rischio
soprattutto paesaggistico - ambientale. Per le acque sotterranee la pericolositá maggiore è legata
ai mezzi pesanti che operano sui fronti di cava e nel trasporto dei materiali. Le numerose cave
inattive non ripristinate possono invece divenire sede di discariche abusive.
In definitiva si evidenzia una parziale sovrapposizione delle attività antropiche a rischio
maggiore sulle aree idropotabili: le condizioni generali di peggioramento della qualità delle
acque di falda del settore centro-settentrionale della Conca sono il risultato anche di un maggior
sfruttamento della falda acquifera e conseguente allargamento dell´area di ricarica a zone
fortemente antropizzate.
Gli acquiferi carbonatici non destano finora preoccupazione se non per gli aspetti quantitativi dei
prelievi, troppo concentrati in relazione alla distribuzione delle ricariche e prossimi, se non
superiori, alle ricariche annue in condizioni idrologiche negative.
2. GLI ACQUIFERI DI INTERESSE REGIONALE
Gli acquiferi della piana eugubina hanno mostrato di avere scarse caratteristiche
idrogeologiche e di qualitá aventi limitato interesse a scala regionale. Di fatto gran parte delle
risorse prelevate a fini idropotabili provengono direttamente o indirettamente dai rilievi calcarei
dei Monti di Gubbio.
Direttamente, mediate i pozzi impostati sulle formazioni carbonatiche, ed indirettamente tramite
i pozzi del campo pozzi di Raggio, dove si attingono risorse idriche in prevalenza originatesi
dagli affioramenti calcarei e dalla coltre detritica pedemontana. I “pozzi dei calcari“ prelevano
attualmente circa 50-60 l/s ed altrettanti provengono da Raggio. Altri 10 l/s provengono
mediamente dalle sorgenti dei calcari di S. Marco, Bottaccione e Suelle.
Fino al 1995 era in funzione un campo pozzi (2 pozzi per 10-15 l/s) nelle alluvioni del Chiascio
in prossimitá di Branca, attualmente abbandonato per la non buona qualitá delle acque
( manganese) e sostituito da acque di provenienza esterna.
La piana alluvionale vera e propria mostra una scarsa consistenza e qualità delle acque di falda ;
solamente il settore prossimo alle coltri detritiche affioranti denota caratteristiche migliori, in
particolare quantitative, dovute alla presenza di più orizzonti permeabili e stratificazione della
falda che in profondità assume condizioni riducenti. Nell’area urbana di Gubbio, in parte
corrispondente alla coltre detritica ed alla conoide del T. Bottaccione, in parte all’alluvionale,
non si dispone di informazioni idrogeologiche ed idrochimiche dirette.
I risultati hanno evidenziato che la disponibilità idrica media per l’intero rilievo calcareo si
aggira sui 200 l/s comprendendo anche gli affioramenti delle coltre detritica (che fornisce circa
30 l/s).
A livello dei dati meteorologici, negli ultimi 20 anni si è assistito con frequenza circa
quinquennale ad anni estremamente negativi (tra cui il 1995) in cui i valori della ricarica
meteorica possono quasi dimezzarsi producendo squilibri maggiori al sistema di
approvvigionamento idropotabile.
I fabbisogni idrici in tali anni aumentano naturalmente a scapito delle riserve immagazzinate che
non riescono più a ricostituirsi producendo un graduale abbassamento dei livelli delle falde.
Dalla ricostruzione del quadro idrogeologico attuale e storico si è giunti a definire, con l’ausilio
dei dati geologico-strutturali e della foto-interpretazione, una suddivisione dei rilievi calcarei in
4 sottobacini aventi presumibilmente una circolazione idrica separata.
Le conferme a tale ipotesi idrogeologica vengono sia dai dati chimici che dai pochi dati
disponibili sui prelievi ed i livelli di falda. Le acque dei circuiti settentrionale ( di Mocaiana) e
meridionale ( di S. Marco) risultano chimicamente diverse da quelle dei circuiti intermedi di
Raggio-Casamorcia e di M.Foce-M. Ingino (è stato realizzato un sondaggio esplorativo ubicato
all’ingresso della Valle del Bottaccione). I primi sono riferibili agli acquiferi calcarei superiore
ed intermedio, i secondi a quello calcareo inferiore avente maggiori concentrazioni di magnesio,
solfati e fluoruri in particolare.
Il circuito idrico della zona di Mocaiana è separato da quello di Raggio: nel primo
l’alimentazione passa dall’acquifero superiore calcareo ubicato nella Scaglia a quello intermedio,
le risorse rinnovabili sono circa 40 l/s inferiori agli attuali prelievi; nel secondo sono gli
acquiferi calcarei intermedio ed inferiore che si travasano nell’acquifero della coltre detritica,
miscelandosi alle risorse ivi presenti in minor misura, per poi raggiungere i pozzi idropotabili
nella zona delle vecchie Sorgenti.
I prelievi idropotabili dunque si concentrano in questi due sottobacini emungendo quantità di
risorsa superiore alle possibilità medie annue di ripristino. La domanda idropotabile rappresenta
oltre il 50% della disponibilità idrica media annua; è necessario affinare e rendere dinamico il
sistema di valutazione delle disponibilità idriche, verificando le relazioni idrodinamiche tra i
bacini e gli acquiferi e proponendo una riorganizzazione del sistema di captazione e gestione
della risorsa con la messa in opera di un sistema di monitoraggio dei prelievi e dei livelli delle
falde (con georeferenziazione delle quote) sui pozzi e sorgenti.
Il reticolo di monitoraggio esistente include quattro pozzi e la sorgente di Suelle.
I parametri idrodinamici misurati nei pozzi sono buoni ad eccezione del pozzo Casamorcia (a
causa del suo posizionamento sulla faglia marginale della struttura calcarea).
La fascia pedemontana dei Monti di Gubbio gioca un ruolo importante nel ricevere e
travasare o far emergere le acque provenienti dai calcari, più che per la ricarica diretta delle
falde.
Trattandosi di una fascia stretta e talora molto acclive mancano dati arealmente omogenei e gli
andamenti soprattutto delle isopieze sono mal definibili. Sono 8 i pozzi e 3 le sorgenti
monitorate nel ‘94-95. Altri pozzi appartengono poi a quella che è la fascia di transizione alla
piana alluvionale con acquiferi di tipo ghiaioso-detritico.
La fascia detritica è idraulicamente suddivisibile in due tronconi, uno settentrionale con deflusso
verso ovest ed uno meridionale con deflusso verso sud. Quest’ultimo è poco caratterizzato dai
dati a disposizione.
Le acque mantengono valori bassi di salinità ma assumono concentrazioni di nitrati piuttosto
anomale ed elevate rispetto a situazioni analoghe presenti in altre valli umbre. In alcuni casi si
può invocare a giustificazione la presenza di falde sospese esigue associate a paleosuoli o livelli
fini.
L’eterogeneità dei depositi è associata anche alla presenza di zone con vere e proprie conoidi
molto più permeabili e con minor presenza di matrice nei sedimenti.
Esemplare è il caso dei due pozzi di Raggio ( Curva Raggio e Vigna Mengoni) che presentano
stratigrafia analoga ma parametri idraulici molto diversi; elevati per il primo, scadenti per il
secondo sebbene siano distanti poche centinaia di metri.
Entrambi emungono principalmente il livello acquifero inferiore, separato da quello superiore da
una consistente intercalazione argillosa e corrispondente all’orizzonte produttivo dei pozzi
Raggio ubicati nell’area dell’ex-sorgente, mentre il corpo detritico superiore risulta in gran parte
in condizioni non sature.
Nella piana alluvionale l’acquifero è di fatto caratterizzato da una zona di transizione alle
coltri detritiche calcaree, fonte di gran parte dei materiali risedimentati o solamente smistati in
ambiente di conoide fluviale, e da un’area in cui prevalgono i depositi medio-fini di bassa
energia con spessori molto più ridotti che si estende verso sud-ovest fino ad estinguersi sui
depositi fluvio-lacustri.
Stratigrafie ed indagini geofisiche hanno rilevato che nella prima zona, che va da Raggio a S.
Marco per un’ampiezza massima di poco più di 1 km., lo spessore dei depositi va da un minimo
di 60 metri ad oltre 100 metri con punte di 150 m. In tale spessore sono compresi orizzonti
ghiaioso-detritici profondi coevi ed eteropici forse ai depositi fluvio-lacustri fini affioranti verso
sud-ovest, originatisi dalle paleoconoidi lungo la faglia marginale attiva dei rilievi calcarei.
I dati idrochimici ed idrogeologici delle falde inferiori raggiunte in queste zone (pozzi Piaggiola,
Madonna del Ponte ) indicano infatti falde confinate (e quindi tamponate verso sud-ovest) e/o
con ridotta permeabilità, con chimismo tipico di condizioni riducenti. In superficie la falda
freatica si ricollega chimicamente ad una evoluzione dalle acque circolanti nella coltre detritica o
di infiltrazione locale con incrementi degli elementi ricollegati alle attività antropiche o ai suoli
(nitrati, cloruri, potassio).
Nell’insieme si ha comunque una risorsa idrica abbastanza cospicua anche se di caratteristiche
non proprio ottimali tanto per cause naturali che antropiche: lo spessore del non saturo varia
infatti dai 10 ai 20 metri con un conseguente acquifero di 40-80 metri. La tecnologia attuale è in
grado di poter correggere a costi sostenibili le caratteristiche chimiche delle acque presenti negli
orizzonti confinati, che quindi possono assumere rilevanza ed interesse anche idropotabile, oltre
che agricolo ed industriale, in un contesto della Conca Eugubina assetato di risorse non
dipendenti dalle condizioni idrologiche stagionali o periodiche.
Da questa zona il deflusso della falda superficiale prosegue verso i margini della coltre
alluvionale alla zona avente un acquifero meno consistente impostato su livelli prevalentemente
limoso-sabbiosi con ridotte intercalazioni ghiaiose. Lo spessore della falda si assottiglia e
diminuisce quello non saturo fino all’affioramento della superficie freatica, che denota la
graduale diminuzione della permeabilità dell’acquifero.
Il deflusso della falda è verso ovest e nord-ovest nel settore settentrionale, verso sud in quello
meridionale. La consistenza dei volumi di deflusso e travaso al reticolo superficiale sembra
essere maggiore nella zona meridionale: misure in alveo sul T. Saonda hanno rilevato ricariche
dal circuito alluvionale per un ordine del centinaio di l/s.
Questa falda superficiale è fortemente impattata dalle attività antropiche, soprattutto nella zona
dove minore è la velocità di deflusso ( area dello spartiacque sotterraneo che corre a sud-ovest di
Gubbio), con concentrazioni elevate di nitrati e forte inquinamento batterico.
Quest’area riveste quindi uno scarso interesse idropotabile; nonostante ciò esistono ancora molte
zone ( rurali) non servite dalla rete acquedottistica che attingono a questa falda e quindi non può
essere completamente trascurata.
b. Scambi con il reticolo idrografico e relazioni tra le falde acquifere contigue.
Si è già poco sopra accennato al caso del T. Saonda (sud) dove mediante bilanci di massa è
stata messa in evidenza la ricarica del torrente da parte della falda avente caratteristiche
intermedie tra l’idrotipo alluvionale più evoluto chimicamente e quello fluvio-lacustre. L’entità
di tale ricarica viene definita nell’ordine del centinaio di l/s in periodo di magra per la parte a
monte di Ponte d’Assi: un incremento analogo è indicato nel settore tra ponte d’Assi e la
Colacem.
Alcuni dati rilevati nel 1975 (Idrotecneco) sull’Assino, sul Canale di Raggio e sul Fosso della
Contessa indicavano:
- che il T. Assino riceve una ricarica (periodo dell’anno sconosciuto) tra la cava Cecchetti
(quasi al limite SW dei calcari) e Raggioli (nella piana a circa 1,5 km).
- il Canale di Raggio riceve emergenze sorgentizie per circa 40-60 l/s che vanno a sommarsi
ai 70-80 prelevati a fini idropotabili dai pozzi: si avrebbe quindi un deflusso medio di circa
110-140 l/s. Mancano pero dati e date precise delle misurazioni.
- il Fosso Contessa allo sbocco nella piana alimenta la falda detritica ed alluvionale.
La situazione da allora si è modificata a causa dei nuovi prelievi: in 6 misurazioni su tre sezioni
del Torrente Assino tra il luglio ‘88 ed il gennaio ‘89 si è rilevato un flusso di base proveniente
dai calcari che si esaurisce in autunno, una alimentazione del torrente alla falda detritica e
alluvionale di circa 20 l/s tra luglio e settembre ed una inversione successiva degli scambi.
Più recentemente lo studio condotto tra il ‘94 ed il ‘95 nell’ambito degli Studi sulla vulnerabilità
degli acquiferi del CNR-GNDCI, Unità Operativa 4.11 Regione dell’Umbria, ha preso in esame i
corsi d’acqua che provengono dai rilievi o che si originano nella piana, effettuando 4 serie di
misure nei mesi di nov.’94, marzo, giugno e settembre ’95 ed associando poi un’analisi
idrochimica.
Sono stati considerati tre sistemi idrografici ed acquiferi contigui:
1. il sistema settentrionale della Conca, con i Torrenti Assino, Saonda nord, S. Donato e
Canale di Raggio;
2. la zona centro meridionale relativa al bacino del Saonda sud, con gli affluenti
Bottaccione e Rio Acquina;
3. la piana del Chiascio.
Le evidenze principali sono le seguenti:
1. i torrenti Assino (sezione all’uscita dei calcari) e S. Donato hanno un chimismo non
correlato con i pozzi della piana e con quelli nei calcari ( Mocaiana) nè si hanno evidenze
quantitative;
2. il Saonda e l’Assino ( sezione allo sbocco della valle) mostrano buone analogie con i pozzi
contigui segno di uno scambio a livello delle alluvioni con drenaggio della falda in
periodo di magra per pochi l/s ( ottobre ’95);
3. il Canale di Raggio ha analogie con i pozzi posti nei depositi fluvio lacustri per cui si
ipotizza un drenaggio minimo di queste falde mentre le acque di Raggio (pozzi 80, 82 e
83) sono interamente captate dagli acquedotti;
4. il sistema idrografico del Saonda sud, oltre a confermare le relazioni di drenaggio della
falda fluente da nord, mostra che i Torrenti Bottaccione e Rio Acquina sono scollegati dai
pozzi considerati;
La situazione più chiara è risultata quella espressa dalla piccola piana del Chiascio nel settore
sud-orientale della Conca in cui si rileva sia un trend evolutivo diretto dalle acque del Chiascio
con una evoluzione complessiva in tutti i parametri chimici, riconducibile ad una circuitazione
abbastanza lenta delle acque provenienti dal fiume.
Per quello che concerne lo scambio tra falde acquifere contigue, si è più volte sopra
accennato ai travasi dai rilievi calcarei alla coltre detritica e da questa alla piana alluvionale.
I dati a disposizione permettono solo di stimare l’entità di tali flussi in quanto solo nel caso della
zona delle ex-sorgenti di Raggio si hanno indicazioni di flussi convergenti: le ipotesi fatte sono
che i travasi dai calcari siano di tipo localizzato e che la faglia marginale abbia il ruolo di
tamponare in genere la falda calcarea. Le zone dove i travasi si manifestano sarebbero associate
ai piani di taglio attivi che spezzano il muro di faglia. L’individuazione di più zone di
trascorrenza e faglie dirette aventi direzione trasversale, presumibilmente attive in tempi recenti,
porta ad indicare i luoghi ove tali travasi sono maggiormente possibili.
c. Esposizione ai CDP
Come già accennato nel capitolo 1, in particolare nella fascia posta sul settore nord-orientale
si concentra una pressione antropica prevalentemente relativa ai centri urbani ed infrastrutture
collegate con sporadiche attività industriali a pericolosità medio-bassa.
L’attività agricola è in genere caratterizzata da colture non irrigue e medio impiego di
fertilizzanti e presidi sanitari, quella zootecnica è riconducibili in prevalenza a tipologie
tradizionali o produttive aventi un basso numero di capi. Nell’insieme queste attività non hanno
quindi una elevata pericolosità per le acque sotterranee.
L’elemento idrogeologico che condiziona la qualità delle acque sotterranee e ingigantisce
l’impatto di queste attività antropiche è la ridotta consistenza dei volumi idrici in gioco e
l’esiguità delle falde alluvionali. Nell’ambito degli studi promossi sulla Conca Eugubina è stata
anche realizzata una cartografia della pericolosità relativa dei produttori potenziali e reali di
inquinamento con una zonazione delle varie tipologie esistenti e la relativa pericolosità, derivata
da metodologie in via di elaborazione in ambito CNR-GNDCI.
Su tale carta sono stati riportati i principali soggetti a rischio di inquinamento corrispondenti agli
acquiferi di interesse per la comunità, che sono i tre di cui si è poco sopra parlato.
Tale cartografia è servita poi per giungere alla definizione di una stima dei livelli di rischio di
inquinamento (ossia senza applicare equazioni legate alla probabilità che gli eventi si
manifestino). Per tale passaggio si è dovuto tra l’altro prendere in considerazione proprio
l’esposizione delle singole porzioni di acquifero ai centri di pericolo, utilizzando le indicazioni
idrogeologiche relative alle direzioni e velocità di flusso, gli spartiacque idrogeologici, il ruolo
di protezione offerto dal non saturo. Tra le varie condizioni applicate, dall’esposizione diretta
alla non esposizione a centri di pericolo a pericolosità medio-alta, vi è quella della convergenza
del flusso idrico sotterraneo da zone più o meno lontane (a livello spaziale e temporale) verso
settori particolari, quali ad esempio il Campo pozzi di Raggio.
Il rapporto falde idriche - pressione antropica è visualizzato poi nella Carta della Vulnerabilità
all’inquinamento in corso di realizzazione da parte della U.O. 4.11 del CNR-GNDCI, Regione
dell’Umbria in collaborazione con la U.S.L. n.1 dell’Umbria, il Comune di Gubbio e la
A.R.U.S.I.A..
3. SCHEMA CONCETTUALE
Carte relative al primo “strato”, sono state redatte nel Rapporto finale per la realizzazione della
Carta di vulnerabilità all’inquinamento della Conca Eugubina. In particolare si tratta di
riprendere gli allegati 1 e 3; il primo da usare come base, su cui sovrapporre le indicazione sulla
protezione offerta dal non saturo, del secondo.
La qualità e genesi delle acque deve considerare gli idrotipi principali ( dati puntuali rapporto
idrochimica) oltre al quadro genetico-evolutivo già presentato come carta al margine di quella
della vulnerabilità, evidenziando inoltre le condizioni di inquinamento da nitrati ( carte delle
distribuzioni dei nitrati).
La zonazione dell’utilizzo del territorio, che differenzia le superfici in funzione delle attività
principali più a rischio di inquinamento, riprende in pratica la carta in allegato n.5 al rapporto
sopra citato.
Nella zona degli affioramenti calcarei sono presenti 4 pozzi di monitoraggio ed una sorgente
(Suelle). Di questi, 2 ( pozzi Mocaiana) sono distanti appena un centinaio di metri. Esistono
attualmente altri punti inseribili nel reticolo e relativi al settore meridionale del rilievo: il
piezometro Bottaccione e la Sorgente S. Marco.
Nella fascia detritica pedemontana sono presenti una decina di pozzi (tra cui i pozzi idropotabili
Raggio Curva e Vigna Mengoni) e 3 sorgenti, arealmente non ben distribuiti.
Nel corso delle attività di studio sono state effettuate elaborazioni sia idrogeologiche che
idrochimiche riguardante l’intera area d’indagine.
In particolare si hanno elaborati piezometrici generali sui 124 pozzi del reticolo, quali la
piezometria media delle 4 campagne di misura in scala 1: 25.000 ( equidistanza 5 metri) ed
elaborati delle singole campagne in scala 1:100.000 (informatizzati).
A livello idrochimico è stata adottata una cartografia generale in scala 1:25.000 delle isocone dei
nitrati e della salinità nonché una carta della qualità delle acque realizzata con la metodologia
proposta da Civita,Giuliano e Zavatti.. Elaborazioni a scala maggiore hanno poi riguardato la
distribuzione degli elementi in tracce, dell’ossigeno disciolto e del potenziale redox.
I punti di monitoraggio sono risultati in genere rappresentativi delle condizioni del loro intorno
ad eccezione di alcuni pozzi della piana alluvionale e del prospiciente fluvio-lacustre,
probabilmente interessati da condizioni di inquinamento locali, quali il n. 9 ed il n 14.
L’eterogeneità dei dati sia piezometrici che chimici ottenuti dai pozzi del settore meridionale
fluvio-lacustre evidenzia condizioni molto variabili del sistema. Lo scarso interesse che riveste
tale area dal punto di vista delle risorse idriche porta a suggerire la sua esclusione da un
monitoraggio a carattere regionale.
5. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
I dati a disposizione per l’intero tratto che va da Città di Castello a Todi sono riferiti alle
attività condotte negli anni ’70 su iniziativa della Regione Umbria e sono riportati nel volume
“Le acque sotterranee in Umbria”, a cura di Giaquinto, Marchetti, Martinelli e Martini, edito
dalla Protagon nel 1991.
Attività conoscitive di dettaglio si limitano al territorio della IX a Circoscrizione del Comune di
Perugia e sono di carattere idrochimico (1993).
Nel settore compreso tra Pierantonio e Deruta esiste inoltre un’indagine idrogeologica realizzata
alla fine degli anni ’80 dal Comune di Perugia: per il settore a nord di P.S.Giovanni soccessive
indagini sullo stesso reticolo sono il frutto dell’attività di studenti in tesi presso il Dipartimento
di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Perugia.
Non esistono per l’area in questione indagini finalizzate allo studio della vulnerabilità degli
acquiferi, né si sono attivati reticoli generali di monitoraggio quali-quantitativi.
1. IL CONTESTO GENERALE
a. geolitologia
L'informazione geofisica si rifà a circa 300 sondaggi elettrici verticali ed alle informazioni
areali e verticali emerse dalla elaborazione di tali sondaggi.
Nel tratto Città di Castello-Umbertide si evidenziano due esigui terreni resistivi dello spessore
dell'ordine della decina di metri ed un substrato conduttivo a profondità variabile tra 20 e 50
metri.
Nei pressi di Montecastelli si segnala invece una profonda conoide resistiva (100-150 m) che
affiora nel settore occidentale della valle ed è ascrivibile ai terreni villafranchiani grossolani.
Nel tratto Umbertide-Ponte S.Giovanni è presente un primo resistivo con un asse di maggior
spessore in parte coincidente con l'asta fluviale del Tevere, in parte definente porzioni di
paleoalveo. I massimi spessori ipotizzati per questo resistivo sono di circa 20 metri.
Nei settori di Pieve S.Quirico, Villa Pitignano e Ponte S.Giovanni questo primo resistivo è più
consistente: viene inoltre individuato un secondo resistivo più profondo. Quest'ultimo ha
estensioni areali ridotte riferibili a paleoconoidi-paleodelta.
Tra Ponte S.Giovanni e Deruta al primo resistivo sono ascritti spessori più consistenti (30-35 m)
che individuano due fasce permeabili parallele all'asse della valle presenti al di sotto di una
copertura limo-argillosa che raggiunge anche i 30 metri.
Meno definite sono le situazioni permeabili più profonde di cui si ha avuto evidenza nel pozzo
Torgiano 1.
Nella parte della valle tra Deruta e Todi le indicazioni emergenti sono di una diminuzione della
consistenza dei depositi resistivi che non si estenderebbero in profondità per più di 25-30 m.
Le sezioni interpretative sottolineano le differenti geometrie dei depositi nei diversi tratti della
valle.
b. Idrogeologia
Misure piezometriche su tutta la valle sono state compiute tra il 1974 ed il 1975 su circa 400
pozzi d'acqua: in genere si trattava di pozzi con profondità inferiore a 10 m (attorno al 60% del
totale) o a 20 m (circa il 90%).
Campagne di misura più recenti hanno sempre interessato porzioni diverse dell'area in esame.
Le curve isopieze e le linee di flusso principali relative al 1974 indicano che l'asse di drenaggio
principale coincide in genere con l'asse del Tevere: nella zona a nord di Perugia si delineano
linee di flusso trasversali in prossimità degli affluenti orientali; nella zona sud, all'altezza di
Torgiano, provengono dal settore occidentale ed a Marsciano una direttrice molto netta è legata
allo sbocco del F. Nestore.
Nella porzione meridionale della valle, nei pressi di Montemolino, infine è presente una soglia
trasversale alla valle costituita dai terreni villafranchiani e dalla Marnosa Arenacea.
Su tutta l'area la profondità della falda è in genere ridotta, dell'ordine di qualche metro.
Per quanto riguarda i parametri idraulici dell'acquifero informazioni sono state ottenute dai pozzi
pubblici di Pierantonio, Pieve S.Quirico, Ramazzano e dal pozzo Torgiano 1.
Nelle prime 2 zone le prove di portata hanno fornito valori di trasmissività dell'ordine di 10 -2
m2/s, nei restanti di 10-4: le portate di regime sono risultate piuttosto basse e prossime ai 10 l/s
solo per i pozzi di Pierantonio. Nel Torgiano 1 la portata ottimale è stata di 5 l/s, pur essendo
interessato all'estrazione un consistente spessore di ghiaie. Una spiegazione può ricondursi ai
litotipi flyschoidi presenti nel bacino imbrifero che darebbero luogo a particelle fini anche per
processi di argillificazione di terreni originariamente granulari.
c. Idrochimica
I dati quantitativi sull’utilizzo delle risorse idriche sotterranee si riferiscono unicamente alle
indicazioni dei pozzi idropotabili dei comuni di Umbertide, Perugia, Deruta,, Marsciano,
Collazzone e Fratta Todina.
Quelli del Comune di Perugia sono localizzati nei pressi di Pierantonio ( 5 pozzi, a S. Orfeto,
portata ottimale globale circa 55 l/s), Pieve S.Quirico ( 5 pozzi, portata ottimale 11 l/s) e
Ramazzano ( Passo dell’Acqua, 3 pozzi per circa 17 l/s).
Il Consorzio Acquedotti di Perugia ha fornito i dati relativi ai comuni che ne fanno parte.
Il comune di Torgiano è attualmente servito da una rete idrica proveniente dal campo pozzi di
Cannara in Valle Umbra: è in fase di progetto l’estensione di tale acquedotto a tutti i comuni
della Valle del Tevere a sud di Torgiano al fine di sostituire gli attuali prelievi provenienti da
pozzi nelle alluvioni del Tevere dotati di acque di scarsa qualità.
Il comune di Deruta attinge acqua da circa 15 pozzi della piana, ubicati in 4 settori prossimi alla
cittadina: un campo pozzi composto da 5 captazione è posto all’interno del centro abitato stesso
(Via Briganti). Profondi dai 12 ai 40 metri forniscono solamente dai 5 a 9 l/s. Di dimensioni
analoghe è il campo pozzi Pescheto ( 5 pozzi per circa 5 l/s) mentre nelle frazioni di Casalina e
Ponte Nuovo ci sono rispettivamente 3 ed 1 pozzo con prelievi dell’ordine del l/s. Nel 1996 i
volumi totali estratti corrispondevano a 365.000 m3 ( pari a quasi 12 l/s).
Il comune di Marsciano mostra una situazione abbastanza simile con una serie di campi pozzi
posti in destra idrografica del Tevere di fronte a Deruta: 4 pozzi in loc. Barca per oltre 10 l/s, 4
in loc. Stradone per una quindicina di l/s, 4 in loc. Pantano più lontani dall’alveo del Tevere per
circa 12 l/s. A questi si aggiungono altri due pozzi in prossimità del centro abitato ( pozzi
Persichetti e Pettinaro) per una decina di l/s. Il consumo totale nel 1996 è stato di circa un
milione di m3 (pari ad una media di 32 l/s).
Il comune di Collazzone presenta captazioni in prossimità di Collepepe (n.3 pozzi Baccarello,
pozzo Montescarsa) dalle portate estremamente ridotte ( circa 3 l/s) ed un paio di pozzi nella
valle del T. Puglia che interessano anche le formazioni sottostanti e che non danno più di 1l/s.
Il prelievo complessivo comunale è di circa 5 l/s, parte dei quali provenienti da altri acquiferi.
Il comune di Fratta Todina attinge da 5-6 pozzi disposti in 3 differenti zone della piana ( loc.
Casaccia, pozzi Coppo, loc. Stazione di Fratta T.) tutti con portate inferiori al l/s.
Il prelievo globale del comune è di circa 3 l/s.
Il Comune di Todi non fa parte del Consorzio Acquedotti: la società CREA gestisce dei pozzi
idropotabili in località Pian di Porto.
Nel settore settentrionale della valle, il Comune di Umbertide attinge alla falda della valle in
località Montecastelli ( 3 pozzi per pochi l/s ).
Il prelievo idropotabile totale è di circa 150 l/s di cui quasi 2/3 prelevati dal settore a nord di
Perugia.
I prelievi ad uso irriguo sono consistenti per la presenza di colture idroesigenti, tabacco e mais in
particolar modo, e si dividono tra le acque superficiali ( asta del Tevere, con regolamentazione
degli attingimenti) e sotterranee.
e. Zone attività a rischio
All’interno della Media valle del Tevere, estesa per circa 85 km e dall’ampiezza molto
ridotta, si possono distinguere sulla base delle indicazioni idrogeologiche almeno 5 situazioni
con caratteristiche differenziate:
1. il tratto Città di Castello -Umbertide (circa 16 km): con acquiferi alluvionali poco
consistenti, estensione laterale limitata ( zona più ampia solo in corrispondenza della
confluenza del T. Nestore) e scarsamente utilizzato a fini idropotabili;
2. il tratto Pian d’Assino - Ponte Felcino (circa 21 km) : sempre di estensione laterale ridotta
ma con presenza localizzata di acquiferi multifalda, di condizioni idrochimiche migliori
(legate ad apporti laterali del T. Assino e dei rilievi carbonatici di M.Acuto - M. Tezio),
con utilizzo idropotabile delle risorse idriche;
3. il tratto P.Felcino - Ponte S. Giovanni ( circa 4 km) ; delimitato ai due estremi da soglie
impermeabili date da terreni miocenici, caratterizzato da una copertura alluvionale molto
esigua ed in genere terrazzata;
4. il tratto P. S. Giovanni - Montemolino ( circa 30 km) ; rappresenta il settore più esteso ed
interessante con depositi terrazzati più estesi, paleoalvei nelle alluvioni recenti, maggior
consistenza degli acquiferi anche se con caratteristiche idrauliche e chimiche non ottimali;
5. il tratto finale tra Montemolino e Todi-Ponte Rio ( circa 4 km); di ridotte dimensioni e
consistenza delle falde.
L’area è stata interessata negli ultimi 2 decenni dalla realizzazione di pozzi a fini idropotabili
da parte del Comune di Perugia, sulla base delle indicazioni degli studi condotti nel 1974.
Le perforazioni sono state ubicate in corrispondenza dei massimi spessori dei depositi ghiaiosi e
delle migliori caratteristiche chimiche delle acque.
Le ricostruzioni stratigrafiche più complete si riferiscono a sezioni passanti per i tre campi pozzi
di Pierantonio, Pieve S. Quirico e Passo dell’Acqua.
Nel primo si hanno circa 100 metri di depositi ghiaiosi alternati a consistenti banchi argillosi e
limosi che creano condizioni di confinamento delle falde inferiori evidenziate sia dalle prove di
emungimento sui pozzi che dalle analisi chimiche ( presenza di ferro ed ammoniaca).
I pozzi Nese ed Ascagnano con migliori trasmissività sono ricollegabili alla falda più superficile
in connessione con il Tevere, da cui distano pochi metri.
Chimismo.
Le analisi chimiche sui pozzi si riferiscono ad un prelievo effettuato a dicembre ’89 su 22 pozzi
dei 119 censiti. A questi sono state aggiunte 45 analisi effettuate nello steso periodo dalla USL e
relative a pozzi ubicati per zone ( 7, da nord a sud). I parametri analizzati non riguardano tutti gli
elementi principali ma si limitano allo standard USL: pH, Conducibilità el., Residuo solido,
Durezza totale, cloruri, solfati, fosfati, nitrati, nitriti, ammoniaca, ferro e manganese.
A questi si aggiungono le analisi batteriologiche relative a: carica batterica, coliformi totali e
fecali, streptococchi fecali e clostridi solfito-riduttori.
Non è stato possibile realizzare una cartografia areale ma in ogni caso alcune importanti
indicazioni sono comunque emerse:
1. il tenore in nitrati delle acque definisce due gruppi, uno con valori medio-bassi ( fino a
circa 30-35 mg/l) a cui corrispondono quasi tutti i campioni della zona di Parlesca, ed
uno con tenori elevati ( tra 40 e 80 mg/l) in cui si evidenziano i pozzi della zona di
Ponte Valleceppi. I valori massimi isolati corrispondono alla zona di Resina ( 2
campioni oltre i 100 mg/l).
2. i tenori in cloruri sono mediamente compresi tra 12 e 30 mg/l: una decina di punti
mostrano valori compresi tra 30 e 50 mg/l e 4 campioni valori superiori a 70 mg/l.
3. i solfati mostrano una vasta gamma di valori, da 20 ad 80 mg/l con un valore medio
prossimo a 50: alcuni punti, in destra del Tevere, sono nell’intorno di 100 mg/l.
4. il contenuto salino delle acque, espresso come residuo solido, va da un minimo di 500
mg/l ad un massimo di 800.
5. la presenza di ammoniaca, ferro e manganese è limitata ai pozzi profondi di S. Orfeto
(valori elevati) e a pochi altri ( valori bassi).
6. la durezza delle acque si distribuisce tra i valori di 30 e 50 °F.
Non altrettanto buono risulta invece il quadro batteriologico, limitato peraltro ai 22 pozzi del
dicembre ’97. Gran parte dei pozzi mostrano un numero da basso ad elevato di specie fecali
indicatrici di un chiaro inquinamento fognario. Non si può dire se tale situazioni sia di tipo
areale o se corrisponda a fenomeni puntuali caratteristici delle aree agricole ( edifici sparsi con
presenza di fosse disperdenti o sub-irrigazioni in prossimità dei pozzi).
Nel settore facente capo ai comuni di Perugia, Torgiano e Deruta esiste un rilevamento di pozzi
analogo a quello del settore settentrionale, effettuato dal Comune di Perugia nel 1988, ma
limitato ad una sola campagna piezometrica. Il numero di pozzi controllati è comunque alto
( densità di 2 x km2) e ciò permette una buona ricostruzione delle isofreatiche.
Nel periodo 1992-93 nella parte settentrionale de tratto in questione è stata effettuata
un’indagine sulla qualità delle acque sotterranee, relativa al territorio della IXa Circoscrizione del
Comune di Perugia. Dei circa 37 Km2, investigati con un reticolo di 80 pozzi ripetuto tre volte,
quasi la metà corrispondo alle alluvioni terrazzate e non della valle del Tevere dove si ubicano
37 punti del reticolo. I restanti terreni si ricollegano ai depositi di tipo deltizio del ciclo fluvio-
lacustre e sono posti sui rilievi collinari in destra idrografica del Tevere.
Dei pozzi monitorati è stata redatta una scheda anagrafica che rileva sia le caratteristiche
costruttive che l’uso del suolo e la presenza di cause potenziali di inquinamento nel loro intorno.
La situazione geologica dell’area indica la presenza di depositi alluvionali recenti aventi
spessori medi di 20-30 metri a composizione prevalentemente sabbioso-limosa e
subordinatamente ghiaioso-sabbiosa, coperti in superficie da un livello limo-argilloso di spessore
medio 3-5 metri. A profondità maggiori ( a partire dai 40 m.) si individua un altro corpo
irregolare a granulometria grossolana riconducibile a paleoalvei del Tevere con spessori che
possono raggiungere i 50 metri: è sede di un acquifero confinato quasi mai interessato dalle
captazioni.
I depositi alluvionali terrazzati giacciono a quote superiori fino ai 30 metri di quelle delle
alluvioni attuali e presentano una composizione sovente ciottolosa e localmente sono cementate.
A livello idrogeologico i dati piezometrici mostrano delle isopieze ben marcate al limite tra i
terreni alluvionali e fluvio-lacustri, con una disposizione rettilinea ed un gradiente elevato: nella
piana le alluvioni terrazzate hanno in gran parte un deflusso verso sud, parallelo all’asse del
Tevere, mentre quelle recenti mostrano delle linee di drenaggio rivolte verso il fiume nel settore
di S. Martino in Campo ed un alto piezometrico a S. Maria Rossa. Il tratto di asta fluviale
contiguo all’area di indagine è di soli 4 km., risulta pertanto impossibile avanzare qualsiasi
ipotesi sulle relazioni falda fiume che abbiano un valore più generale.
La profondità della falda dal piano campagna nella piana alluvionale è in genere compresa
entro valori di 6-7 metri con aree a profondità minore nei pressi di S. Maria Rossa ( inferiore ai
2 metri). Nei terreni fluvio-lacustri i valori del non saturo oscillano tra i valori di 10 e 30 m..
I caratteri idrochimici delle acque campionate evidenziano una composizione bicarbonato
alcalino terrosa per la zona alluvionale mentre nella zona del fluvio lacustre si osserva una
tendenza verso termini clorurato-solfatici e/o alcalini che comporta generalmente un incremento
di salinità. Queste differenziazioni sono tipiche di tutti gli acquiferi continentali delle valli
umbre.
La cartografia specifica dei parametri chimico-fisici mette in evidenza una maggiore
eterogeneità delle distribuzioni dei valori non ricollegabili alle differenziazioni litologiche.
I parametri conducibilità elettrica e durezza risultano abbastanza ben correlati e differenziano
nei terreni fluvio-lacustri almeno tre situazioni con un minimo nella zona a sud di S. Fortunato.
Nella piana alluvionale assumono invece distribuzioni più articolate: la durezza decresce
partendo dai terreni terrazzati verso l’asta del Tevere in modo costante nel settore nord mentre
in quello sud i margini orientali vedono un leggero riaumento dei valori, su gran parte dell’area
mantiene comunque valori superiori ai 50 °F. La conducibilità elettrica ( e quindi la salinità
totale) sottolinea in maniera più accentuata queste situazioni presentando un asse di minimo
( nell’intorno di 1000 S.) tra S. Martino in Campo e S. Niccolò di Celle.
I nitrati costituiscono il principale elemento di deterioramento della qualità delle acque di
falda. Caratteristica di gran parte dell’area è una concentrazione superiore ai limiti di legge.
Nei terreni fluvio-lacustri si rinvengono due fasce con valori inferiori ai 50 mg/l (C.M.A.)
costanti nell’arco dell’anno idrologico che si insinuano tra le aree anomale che raggiungono
anche i 150-200 mg/l ( S. Enea, S. Martino in Colle, valle della Genna).
La piana alluvionale mostra uno stato di degrado anche maggiore in quanto gli unici e limitati
settori, posti nella zona nord, con valori inferiori a 50 mg/l corrispondono alle zone con presenza
di ammoniaca. L’area di massima concentrazione si localizza nell’intorno di S. Martino in
Campo con valori fin oltre i 200 mg/l: mediamente i valori sono comunque superiori ai 100
mg/l.
Ammoniaca e nitriti si caratterizzano per una distribuzione a macchia con un nucleo più
consistente a est di S. Martino in Colle. L’area è interessata da allevamenti suinicoli e pratica
diffusa di fertirrigazione. La distribuzione dello ione zinco, presente nei liquami zootecnici in
quanto utilizzato come integratore alimentare nei mangimi, caratterizza le zone di massimo
ingresso di liquami zootecnici localizzate in prossimità dei principali allevamenti: lungo la S.P.
Marscianese e in 2 punti della piana ad est di S. Martino in Campo e S. Maria Rossa. I valori di
punta superano anche la C.M.A. prevista dalla legge.
I parametri microbiologici indicano un avanzato stato di degrado delle acque sotterranee; la
presenza di forme di chiara origine inquinante, quelle fecali, interessa dal 40 % al 90 % dei
pozzi nelle 3 serie di campionamento con il valore minimo riferito al periodo primaverile 1993.
Le cause di tale situazione possono essere sia l’abbondante presenza di allevamenti suinicoli
(stoccaggio liquami, fertirrigazione ) che la mancanza parziale di rete fognaria e totale di
impianti di depurazione: le scadenti caratteristiche costruttive di gran parte dei pozzi ( 70%)
utilizzati anche a fini idropotabili (65% del totale di cui il 75% quelli non idonei) accentuano lo
stato di degrado esistente in quanto ubicati in prossimità o nel raggio delle attività a rischio
maggiore di inquinamento. Il 75% dei pozzi si riferisce ad abitazioni non allacciate alla
fognatura pubblica, ripartizione analoga si ha riguardo alle zone ad agricoltura intensiva mentre
il 40% si localizza in prossimità delle attività zootecniche.
c. esposizione ai CDP
Mancano dati di maggior dettaglio di quanto esposto al capitolo 1. Nei due settori di maggior
interesse, quello a nord di P. Felcino e quello a sud di P.S. Giovanni, è da segnalare un’attività
agricola specializzata ad alto supporto chimico (tabacco e cereali irrigui) per il primo ed
un’intensa attività zootecnica (suinicola) con estesa pratica della fertirrigazione per il secondo.
Non esistono elementi sufficienti per poter mettere su carta una schematizzazione articolata
dell’area in esame di tipo approfondito. Utilizzando i dati a disposizione, in gran parte riferibili
alle indagini dei primi anni ’70 o al quadro geologico della Carta Geologica d’Italia, è possibile
uno schema geolitologico che differenzia le varie alluvioni terrazzate e quelle attuali con
indicazioni sullo spessore medio del pacco alluvionale (zonazione).
Il contesto idrogeologico è aggiornabile per il settore Pierantonio - Ponte Valleceppi- Deruta
alle piezometrie del 1988 e nella zona prospiciente Torgiano ai dati del 1993, con indicazioni
anche sullo spessore del non saturo.
Per gli aspetti idrochimico e della pressione antropica saranno necessarie indagini più
complete ed esaustive ( una campagna di prospezione conoscitiva) per il primo, un’elaborazione
cartografica aggiornata per il secondo con i dati dei piani regolatori dei vari comuni o cartografia
più generale ( PUT, Piano provinciale).
Nei due settori di maggior interesse si hanno solamente dati sul livello della falda per la zona
Pierantonio - Ponte Valleceppi - e Ponte S. Giovanni -Deruta, rispettivamente 119 e 180 punti
con una densità media d’informazione di 1-2 punti per km2, mentre per un esiguo settore nei
pressi di Torgiano si hanno dati completi relativi a circa 20 km 2 e densità di misura di 2 punti
per km2: nei restanti 50-60 km2 mancano informazioni più recenti di quelle dei primi anni ’70,
troppo lontane per l’evoluzione che ha subito il territorio negli ultimi decenni.
Per correttezza metodologica ed uniformizzazione dei dati di base è necessario completare la
fase conoscitiva del sistema acquifero mediante un’indagine da svolgere prima della fase
operativa del progetto Prismas contemporaneamente alle attività preliminari sul reticolo di
monitoraggio regionale.
Si tratterà di operare in due modi a diversa definizione:
1. settore a nord di Perugia, circa 80-100 punti di misura:
- verifica del reticolo di 119 pozzi censiti dal Comune di Perugia, con raccolta di dati di
localizzazione, anagrafici, misura dei livelli di falda e campionamento delle acque dei
pozzi nonché delle acque superficiali principali; le analisi di laboratorio devono come
minimo comprendere i seguenti parametri chimico-fisici: conducibilità elettrica, ione NO3,
ione Cl, O.D., HCO3, ferro e ammoniaca. Sono inoltre auspicabili altri elementi principali
e gli indicatori di inquinamento quali fosfati e tensioattivi.
2. settore P.S. Giovanni-Montemolino, circa 150-180 punti:
- verifica dei punti del tratto superiore, compresi i 37 pozzi già monitorati chimicamente, e
censimento di almeno 50-70 pozzi su tutta l’area di Marsciano-Todi secondo una maglia
prestabilita (densità, relazione con gli alvei superficiali, campi pozzi o pozzi idropotabili
pubblici), con raccolta di dati di localizzazione, anagrafici, misura dei livelli di falda e
campionamento/analisi secondo le modalità di cui sopra.
A completamento del quadro conoscitivo si potrà procedere alla valutazione dei punti a
disposizione per il reticolo preliminare e ad una sua rapida definizione ed attivazione.
Le procedure da attuare per la scelta del reticolo si baseranno sui principi delle buone
caratteristiche del punto di rilevamento e della rappresentatività dei valori del suo intorno.
Il completamento della presente caratterizzazione degli acquiferi sarà quindi possibile al termine
della fase conoscitiva a cui si è accennato, attualmente in corso.
5. BIBLIOGRAFIA
4. LA VALLE UMBRA
INTRODUZIONE
I dati rielaborati nel presente rapporto sono frutto principalmente delle attività svolte nel
periodo 1984-1991 dalla Regione dell’Umbria nell’ambito della realizzazione del Modello
matematico di flusso della Valle Umbra e delle ricerche sulla conoscenza degli acquiferi
alluvionali regionali e definizione della loro vulnerabilità all'inquinamento e stato di
conservazione (progetto VAZAR), Unità Operativa 4.11 del GNDCI-CNR, in collaborazione
con il Dip. di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Perugia
La maggior parte delle informazioni sono contenute nel volume “Le acque sotterranee in
Umbria”, a cura di Giaquinto, Marchetti, Martinelli e Martini, edito dalla Protagon nel 1991.
1. IL CONTESTO GENERALE
Nel 1984 ha preso l'avvio lo studi di modellizzazione matematica delle risorse idriche della
Valle Umbra. La taratura del modello è stata basata su misure piezometriche periodiche
effettuate su una rete di controllo di 54 pozzi, scelti tra i circa 400 utilizzati per la ricostruzione
freatimetrica e delle linee di flusso.
Di questi pozzi, 7 appartengono all'acquifero artesiano di Cannara, idrogeologicamente
differenziabile dal restante acquifero che interessa tutta la valle. Inoltre sono state utilizzate le 16
stazioni idrometriche in telerilevamento poste sui principali corsi d'acqua al fine di quantizzare i
rapporti di scambio con le falde acquifere.
Da Maggio '85 la Regione Umbria ha intrapreso il controllo periodico, piezometrico ed
idrometrico, dei pozzi e delle sezioni d'alveo sopracitate, procedendo allo stesso tempo al
campionamento delle acque. Sono state effettuate 13 campagne, in collaborazione con il Presidio
Multizonale della USL di Perugia e con il Settore geochimico del Dipartimento di Scienze della
Terra dell'Università di Perugia, in cui sono stati presi in esame 32 parametri chimico-fisici al
fine di:.
- definire i caratteri chimici delle falde,
- differenziare il sistema alluvionale in relazione alla sua vulnerabilità,
- individuare le specie ioniche più rappresentative della variabilità del sistema acquifero,
- valutare, infine, l'esistenza o meno di trend modificatori del chimismo e della qualità delle
acque.
Ulteriori indagini specifiche hanno riguardato settori particolari della valle quali, l’area del
campo pozzi di Petrignano d’Assisi, l’acquifero artesiano di Cannara e l’intera Valle Umbra sud.
Nei vari settori è stato definito ed approfondito l’aspetto idrochimico generale in relazione alle
situazioni idrogeologiche ed agli inputs esterni, nei casi di Cannara e Petrignano si è migliorata
la conoscenza dei parametri idrodinamici dell’acquifero nonché degli aspetti stratigrafici della
zona satura ed insatura. A Petrignano sono stati utilizzati tra i 100 ed i 150 punti di osservazione,
a Cannara una cinquantina, mentre in Valle Umbra sud si è passati da 350 punti della fase
conoscitiva a 254 pozzi analizzati chimicamente in seconda battuta, 37 dei quali fanno parte del
reticolo di monitoraggio esistente.
a. Geolitologia;
La Valle Umbra ha una estensione di circa 330 km 2 ed è compresa tra i rilievi occidentali dei
Monti Martani e quelli orientali del M.te Subasio-M.ti di Foligno e Spoleto.
I principali corsi d'acqua che la attraversano sono il Maroggia a sud, il Topino nella parte
centrale ed il Chiascio in quella nord; il deflusso superficiale dell'intera valle avviene nella zona
nord-occidentale attraverso il Fiume Chiascio.
Il margine orientale è caratterizzato dalle formazioni carbonatiche mesozoiche della serie
Umbro-Marchigiana che sono a contatto con i depositi alluvionali, in genere mediante
interposizione di spesse coltri detritiche. Solo davanti alla struttura del M. Subasio si rinvengono
le formazioni flyschoidi cenozoiche o i depositi fluviolacustri che rappresentano i litotipi a
bassa permeabilità formanti i rilievi occidentali ed il letto dei depositi alluvionali, sede degli
acquiferi in studio.
Dati piezometrici, chimici e prospezioni geoelettriche confermano in genere l'esistenza di
consistenti apporti idrici sotterranei agli acquiferi alluvionali lungo tutto il versante orientale
della Valle Umbra. Uniche grosse emergenze sorgentizie sono presenti alle Fonti del Clitunno,
storicamente famose, dove portate dell'ordine del metro cubo sono caratterizzate da acque di tipo
solfatico. Vari autori le riferiscono alla falda di base di un consistente settore di affioramenti
carbonatici mesozoici, formanti fronti di accavallamento meridiani, tagliati dalla depressione
della Valle Umbra.
Il versante occidentale apporta volumi idrici poco consistenti, riconducibili alle conoidi
conglomeratiche Villafranchiane.
Il bilancio idrico elaborato nel Modello matematico della Valle Umbra (Aquater - RPA,
1986) assegna, come alimentazione dalle formazioni calcaree del margine orientale, un volume
medio annuo di circa 2.5 m3/s rispetto agli 0.7 dei terreni del margine occidentale e all’ 1.0 degli
apporti meteorici.
Le geometrie dei depositi alluvionali sono state oggetto di più campagne geofisiche
condotte negli ultimi due decenni. I risultati definiscono in modo abbastanza chiaro i rapporti dei
corpi alluvionali permeabili con il substrato ed i contatti con le formazioni calcaree laterali.
L'escavazione di vari pozzi esplorativi fino al letto delle alluvioni, più le informazioni
ottenute dal rilevante numero di pozzi esistenti, ha consentito una taratura costante dei sondaggi
elettrici. Più difficilmente definibili sono invece i rapporti tra le due estese aree alluvionali
caratterizzate da spessi depositi limo argillosi (con torbe) ed i terreni villafranchiani a litologia
simile. Arealmente si evidenziano 4 zone caratterizzate da litotipi permeabili con spessori fino a
150-200 metri. La più meridionale è ricollegabile ai depositi del Fiume Maroggia in contatto con
le conoidi detritiche del margine orientale.
Nella zona centrale è presente la conoide sepolta del Fiume Topino al suo ingresso nella
Valle Umbra (zona di Foligno) ed una lunga e stretta fascia vicina al margine orientale (zona di
b. Idrogeologia
L’elaborazione piezometrica dei dati ottenuti dai 54 punti di monitoraggio, basata sulla
covarianza e la deviazione standard dei valori (matrice di correlazione), ha individuato 4 classi a
differente comportamento che corrispondono arealmente a settori idrogeologici precisi collegati
ai depositi dei principali corsi d’acqua ( bacino del Chiascio a nord, conoide del Topino nella
zona centrale) o relazionati a condizioni confinate ( artesiano di Cannara) ed esigue ( zona delle
coperture argillose). I rapporti delle singole osservazioni piezometriche sulle medie del periodo
hanno fornito un andamento adimensionale delle 4 classi che evidenzia i gruppi di pozzi la cui
falda è alimentata in profondità dai massicci carbonatici rispetto a quelli legati alla ricarica
meteorica: questi ultimi si correlano bene con gli andamenti temporali adimensionali delle
precipitazioni mensili.
Gli andamenti piezometrici mostrano linee di flusso in genere parallele allo scorrimento delle
acque superficiali ed alle direzioni di maggior spessore dei depositi permeabili. Buona parte
delle aste fluviali drena le falde.
L'evoluzione piezometrica nell'arco dei 5 anni del monitoraggio è caratterizzata dalla
continua espansione della depressione prodotta dal campo pozzi di Petrignano, in funzione dal
1975. Inoltre nel settore meridionale della valle si osservano consistenti abbassamenti.
I 7 pozzi artesiani sono stati inseriti nella stessa elaborazione piezometrica in quanto dal
modello matematico risulta che una parte della falda freatica alimenta quella in pressione.
L'entrata in funzione del campo pozzi di Cannara nell'estate '88, anche se a regimi ridotti, ha
prodotto un primo riequilibrio della falda in pressione: studi di dettaglio idrogeologici, con prove
di portata sui singoli pozzi ed in gruppo, hanno definito le caratteristiche idrodinamiche e
geometriche dell'acquifero, gli input di ricarica principali e secondari (contatti idraulici con
conoidi freatiche del margine occidentale).
La parametrizzazione idrodinamica degli acquiferi è limitata ai dati dei pozzi dei principali
siti di prelievo idropotabile, così che si hanno molte informazioni concentrate in piccole zone.
Per la taratura del modello matematico di flusso furono eseguite 10 prove di portata in regime
transitorio. I valori misurati oscillavano tra 1 x 10-4 e 8 x 10-2 m2/s per la trasmissività e tra 0,7 x
10-5 e 2,6 x 10-3 per il coefficiente di immagazzinamento.
Nel campo pozzi di Petrignano di Assisi è stata sviluppata nel 1993 un’analisi idrodinamica su
ciascuno dei 9 pozzi esistenti, con prove in regime stazionario e transitorio, oltre ed una prova
sull’intero campo pozzi. I valori ottenuti sui pozzi e piezometri con i vari metodi adottati sono
piuttosto eterogenei e non viene specificato quello più attendibile
Nella tabella che segue si riportano in sintesi i dati disponibili raggruppati per aree.
Zona Foligno:
Maceratola 1 - 5 x 10-2 5,5
Zona Spoleto:
S. Giacomo 8,33 x 10-2 7
Nota: a) condizioni stazionarie; b) condizioni transitorie
c. Idrochimica
Sono stati misurati 32 parametri chimico-fisici nei 54 campioni raccolti nei 13 giri di
monitoraggio. Alcuni di questi sono stati determinati direttamente sul terreno: temperatura, pH,
conducibilità el. a 25°C, ione bicarbonato, SiO2 (primi 4 giri) ed ossigeno disciolto D.O.(ultimi 6
giri).
Le analisi di laboratorio sono state effettuate per i primi 6 giri dal Lab. del Presidio Multizonale
della USL di Perugia: le specie ioniche considerate sono state: le specie principali Ca2+, Mg2+,
Na+, K+, Cl-, SO4=, le specie azotate NO3-, NO2-, NH4+, il fosforo P2O5, i metalli pesanti Fe tot.,
Zn++, Mn++, Al+3, Cu++, Pb++, Ni++, Cd++ e Cr tot., l'ossigeno disciolto D.O., i tensioattivi (MBAS
e TNI) ed i fenoli.
I campioni dei secondi 6 giri di monitoraggio sono stati analizzati dal laboratorio della società
RPA S.p.a.. A differenza del primo gruppo di analisi non sono stati determinati i metalli pesanti
Al+3, Zn++, Pb++ e Cd++, mentre lo ione ferro è stato determinato sia in forma bivalente che
trivalente. Inoltre è stato aggiunto lo ione F-.
Il laboratorio del Dipartimento di Scienze della Terra ha infine analizzato le specie Li+ e Rb+,
procedendo inoltre ad effettuare un controllo della qualità dei parametri chimici principali e delle
specie azotate, effettuando inoltre il 13° giro.
I cambiamenti che si sono verificati sia a livello di laboratorio che di specie ioniche analizzate
sono legati a cause oggettive che creano problemi a livello di omogeneità e qualità dei dati.
I dati analitici dei 53 pozzi di monitoraggio ( uno è stato abbandonato in quanto inadatto
al monitoraggio chimico) e delle 14 sezioni d'alveo campionate sono stati inseriti nei diagrammi
classificativi di Langelier-Ludwig e nelle rispettive sezioni di salinità.
Si sono evidenziate 2 situazioni distinte in regime di morbida e di magra. In morbida si
distinguono due famiglie principali, una a carattere bicarbonato alcalino-terroso, che
comprende il maggior numero di campioni, ed una bicarbonato alcalino-terrosa alcalina formata
da 7 campioni. Non rientrano in questi due gruppi i campioni 40 e 42 a salinità molto elevate e
la sezione relativa al Fiume Clitunno, a carattere solfato alcalino terroso. Nei campionamenti in
magra si ha una maggior differenziazione composizionale dei punti: si evidenzia un gruppo AB,
intermedio tra A e B, formato da campioni che in morbida ricadono nel gruppo A, ed un gruppo
C che è composto da 4 acque superficiali ( sezioni a valle del Clitunno).
Rispetto al gruppo A, le acque dei gruppi B ed AB sono caratterizzate da più alti tenori in
sodio, magnesio e cloro, da più bassi valori in solfati, calcio e nitrati, e dalla presenza di specie
ridotte quali NH4+, Fe++ e Mn++. Il gruppo B si genera per processi ossido-riduttivi legati ai
sedimenti limo- argillosi che permettono gli scambi calcio-sodio, la trasformazione dei nitrati ad
ammoniaca e la distruzione dello ione solfato ad opera dei batteri anaerobi. E' interessante
notare che nel diagramma Calcio vs. Sodio sono presenti due trend di arricchimento in sodio con
valori molto diversi. Quello a più bassi tenori è composto da pozzi artesiani (anche i punti del
gruppo A sono artesiani) , l'altro da pozzi freatici.
L'istogramma di distribuzione dei nitrati mostra un andamento bimodale che in parte
corrisponde ai gruppi sopradescritti: alcuni campioni dei gruppi AB e B ricadono comunque nel
picco principale a valori più elevati. Se si analizza la distribuzione areale di tali punti si vede
come individuino una zona nel settore centro-meridionale della Valle Umbra. I rimanenti
campioni dei gruppi AB e B ne definiscono un'altra più settentrionale.
argillosi. La diminuzione degli afflussi meteorici, unico sistema di alimentazione della falda, sta
evidenziando l’incremento salino di tali acque.
Infine, con particolare attenzione, si rileva l'elevato valore medio presente nel sottogruppo
A1, molto al di sopra del limite di potabilità fissato dai decreti ministeriali, indice di una
condizione avanzata di degrado del patrimonio idrico dei depositi alluvionali del Fiume
Chiascio. A ciò concorre l'assenza di alimentazioni profonde che, come si verifica nelle aree A2
ed A3, diluiscono gli elementi inquinanti.
I cronogrammi relativi alla specie cloro mostrano valori bassi e piuttosto costanti per i
sottogruppi A2 ed A3 mentre si assiste ad un costante aumento per il sottogruppo A1 e ad
oscillazioni consistenti per i due sottogruppi B.
Da notare come nell'ultimo campionamento si siano registrati valori più elevati, riconducibili
anche in questo caso, al lungo periodo caratterizzato da assenza di apporti meteorici.
d. Prelievi
L'utilizzo della risorsa idrica esistente nell'acquifero alluvionale della Valle, con riferimento agli
studi effettuati nel 1986, risultava così ripartito:
- prelievi civili tra pubblici e privati, 15 milioni di m 3/ anno, di cui 9,5 milioni di m3/anno nel
solo Campo pozzi di Petrignano;
- prelievi industriali pari a 1,37 milioni di m3/anno;
-prelievi agricoli in falda pari a 16,4 milioni di m3/anno;
Inoltre i prelievi da acque superficiali risultavano pari a 21,75 milioni di m3/anno.
I principali punti di prelievo idropotabili ed industriali censiti (una cinquantina) sono stati
riportati nella cartografia del modello matematico con relativo numero di riferimento.
Aggiornando i dati per quanto possibile si ha che le aree di maggior prelievo per uso
idropotabile risultano attualmente ubicate nel Campo pozzi di Petrignano, costituito da 9 pozzi
profondi dai 100 ai 150 metri, che attingono nell'acquifero alluvionale, e che alimentano
l'acquedotto consortile dei Comuni di Perugia, Corciano, Deruta ecc.con un volume annuo
inferiore a quello del 1986 (circa 7 milioni di m3), a cui si sommano i prelievi da parte del
Comune di Assisi (15 l/s), e nel campo pozzi di Cannara che si ricollega alla stessa rete di
distribuzione (prelievi, in crescita, di 100-150 l/s).
Sono poi presenti una serie di captazioni costituite da singoli pozzi, distribuite su aree più
vaste, e che alimentano la zona di Foligno, Spello-Budino, S.Giacomo di Spoleto, con
emungimenti complessivi rispettivamente di 100 l/s, 100 l/s e 9 l/s oltre ai comuni di Bevagna e
Castel Ritaldi, ed i centri abitati di Castelnuovo, Azzano, Beroide. Nei pressi di Spoleto è
presente infine un altro campo pozzi.
Iil prelievo civile è fortemente presente su tutta la valle, ma con particolari concentrazioni nelle
aree urbanizzate di campagna ( nel solo comune di Assisi i pozzi privati erano stimabili nel 1987
in oltre 4.000), anche se stimato quantitativamente in soli 2 milioni di m 3/anno.
Questo costituisce uno dei fenomeni più preoccupanti per il degrado della falda anche profonda,
viste le tipologie costruttive e l'incuria in cui versano la maggior parte dei pozzi privati.
Un discorso analogo può essere fatto per quanto riguarda i prelievi industriali ed agricoli,
diffusi in maniera più o meno omogenea su tutto il bacino; fa eccezione l'area centro-sud, ad est
di Montefalco, ove l'assenza di una falda consistente, privilegia gli attingimenti superficiali.
Pur essendo per oltre il 70% costituita da aree coltivabili, la Valle Umbra presenta nel suo
complesso un elevato grado di antropizzazione ed interessa in parte o completamente 14 comuni,
dei quali escludendo i più periferici tra cui il capoluogo Perugia, conta tra effettivamente
residenti nell'area e gravitanti delle aree collinari circostanti, oltre 146.000 cittadini.
Le attività agricole sono diffuse su tutta la Valle, ed incentrate prevalentemente su colture di tipo
cerealicolo, sia irrigue che non, ma che prevedono comunque nella maggior parte dei casi un
forte utilizzo di concimi chimici e fitofarmaci.
Gli allevamenti sono pure distribuiti in maniera diffusa, prevalgono quelli suini e
secondariamente bovini; solo nella zona di Bettona e ad est di Montefalco si rileva una
particolare concentrazione di allevamenti suinicoli ad alto numero di capi.
L'esistenza di impianti di stoccaggio e depurazione dei liquami, consente un parziale
alleggerimento dei carichi inquinanti, che tuttavia vengono ancora e in larga parte distribuiti sui
terreni della valle, mediante una pratica della fertirrigazione non controllata. Anche la sepoltura
di centinaia se non di migliaia di carcasse animali a causa di epidemie, in zone "ritenute idonee",
continua a rappresentare un fenomeno non controllato.
Le più alte concentrazioni di attività industriali si rilevano ai margini delle aree maggiormente
urbanizzate e lungo la principale arteria viaria, costituita dalla strada statale n.75 e dalla S.S. n.3
Flaminia, coincidente con il lato orientale della valle.
Le industrie con più di cinque adetti risultano così suddivise in base ai dati del SIRP Regione
Umbria:
- Alimentari 71, - Tabacchi 1,
- Tessili 79, - Vestiario e abbigliamento 104,
- Pelle e cuoio 2, - Legno 17,
- Mobili in legno 27, - Meccaniche 105,
- Mezzi di Trasporto 9, - Minerali non metalliferi 40,
- Chimiche 6, - Gomma 3,
- Carta e cartone 8, - Poligrafiche 12,
- Fotografiche 1, - Materie plastiche 14,
- Varie 3, per un totale complessivo di 502.
Pur essendo presente un numero limitato di industrie fortemente inquinanti per tipo o quantità
di produzione, esistono tuttavia un numero elevato di piccole attività, disperse su tutto il
territorio, che costituiscono fattori potenziali e in alcuni casi reali di inquinamento, se pur
limitati nello spazio e in alcuni casi nel tempo.
Le Carte della vulnerabilità all’inquinamento degli acquiferi della Valle Umbra Nord e Valle
Umbra Sud riportano l’insieme delle attività antropiche presenti sul territorio. Per semplificare
l’informazione nell’ottica di un reticolo di monitoraggio è necessario fornire una zonazione di
tali attività in relazione agli acquiferi e classificare dal punto di vista della pericolosità le attività
industriali sopra enumerate.
L’intera Valle Umbra rappresenta un’area con notevoli risorse idriche sotterranee di
qualità da buona a mediocre, interessate da cospicui prelievi idropotabili localizzati in tutti i
settori più produttivi. La sola zona di Cantalupo, ad est dei terreni fluvio-lacustri di Montefalco è
l’unica che ha risorse di scarsa entità e qualità, il tutto imputabile alla natura stessa dei terreni.
Gli acquiferi che per consistenza ed entità dei prelievi hanno un interesse regionale sono
quelli delle alluvioni del Chiascio nella parte nord ( con il Campo pozzi di Petrignano d’Assisi
da cui si estraggono dai 7 ai 10 milioni di m 3 annui di acqua pari a 200-300 l/s ), dell’acquifero
artesiano di Cannara collegato alle alluvioni sepolte del paleoTopino nel settore centro-
occidentale della valle ( prelievi programmati per oltre 200 l/s), della conoide del F. Topino allo
sbocco in valle nella zona di Foligno (captazioni per oltre il centinaio di l/s) e della zona delle
conoidi detritiche coalescenti e degli antistanti depositi alluvionali del settore meridionale.
Le zone a bassa salinità prossime a Petrignano sarebbero invece quelle dove avviene la ricarica
della falda da parte del Chiascio, le cui acque risultano avere un effetto di diluizione su quelle
sotterranee.
Potassio e solfati mostrano valori anomali nelle porzioni settentrionale e meridionale dell'area a
bassa salinità senza dare chiare indicazioni genetiche.
La distribuzione delle specie azotate fa rilevare, innanzitutto, valori elevati di nitrati su tutta
l'area, che superano generalmente i 50 mg/l, valore soglia di potabilità fissato a termine di legge.
Valori molto alti si rinvengono nelle zone marginali ed in quelle probabilmente più permeabili in
superficie come la fascia a nord di Petrignano che corrisponde a bassi valori di salinità.
Gli stessi pozzi idropotabili, pur captando la falda a notevoli profondità, hanno presentato valori
alti di nitrati e poco variabili nel tempo, riconducibili ad un processo di omogenizzazione del
chimismo favorito dalle condizioni dinamiche della falda. Un’irregolare stratificazione delle
concentrazioni è comunque ben visibile su tutta l’area.
Gli studi finalizzati ad una miglior definizione del meccanismo di arrivo in falda degli
inquinanti (uso del suolo; permeabilità verticale e velocità di infiltrazione nell'insaturo; scambi
fiume-falda) hanno permesso di discretizzare l’area di indagine in sottodistretti aventi profili
verticali propri: ad una copertura poco permeabile non sempre presente, costituita dal suolo e da
sottostanti materiali mediamente fini di spessore variabile fino alla decina di metri, si
interdigitano suoli e terreni ghiaiosi molto più porosi che scendono in profondità in maniera più
o meno discontinua fino ai livelli di falda. Setti a bassa permeabilità di qualche metro massimo
di spessore hanno una buona continuità laterale e favoriscono movimenti orizzontali delle acque
di infiltrazione. Le misure di permeabilità in sito ed in laboratorio forniscono una vasta gamma
di valori che, pur se calibrati, contribuiscono ad una stima non troppo accurata dei tempi di
transito delle acque di infiltrazione meteorica. Valori cautelativi delle isocrone di infiltrazione,
calcolati in condizioni di saturazione e senza considerare la ritenzione operata dal terreno,
risultano compresi tra 6 mesi ed un anno.
Da un modello di trasporto chimico applicato ai nitrati si sono ottenuti tempi di riequilibrio
all’interfaccia di falda ( sui 25-35 m. di profondità) dell’ordine di qualche anno. Le misure
effettuate sul non saturo con metodi di prospezione diretta ed indirette, e con l’ausilio di prove
infiltrometriche in situ e misure di permeabilità di laboratorio indicano il settore settentrionale
come quello dotato di minore protezione.
L’analisi idrodinamica del campo pozzi di Petrignano ha messo in evidenza che, ad una generale
buona trasmissività di tutti i 9 pozzi provati, si contrappongono fronti di richiamo di diversa
orientazione dipendenti dalla ubicazione e dagli orizzonti produttivi captati, con un
comportamento di tipo parzialmente confinato delle falde. L’insieme dei pozzi produce invece
un cono di depressione più regolare maggiormente esteso verso nord-est: il fronte di richiamo
corrispondente all’isocrona 4 anni arriva a lambire il corso del Chiascio nella zona in cui è
probabilmente maggiore la ricarica operata dal corso d’acqua.
Lo studio idrochimico sul campionamento a maglia dei pozzi della Valle Umbra Sud ha
permesso, in primo luogo, di evidenziare l'esistenza di tre idrotipi principali e di due gruppi di
acque a caratteristiche intermedie. Il primo idrotipo, bicarbonato alcalino terroso, ha bassa
salinità con arricchimenti modesti in ioni alcalini e solfato cloruratici, legati ai tempi di
circolazione nei depositi alluvionali; il secondo, solfato- clorurato alcalino-terroso, presenta
elevata salinità; il terzo, bicarbonato alcalino, rappresentato da pochi campioni, è legato
all'arricchimento in sodio collegabile ai ricoprimenti argillosi ed alle condizioni riducenti.
Il primo idrotipo è riconducibile ad una alimentazione orientale dai massicci carbonatici e
dalle conoidi detritiche: il sottogruppo A2, infatti, presenta caratteristiche chimiche analoghe alle
acque delle sorgenti carbonatiche. Non si ha, invece, evidenza di una alimentazione da parte di
acque solfato calciche del tipo di quelle delle Fonti del Clitunno.
Il sottogruppo A3 presenta modificazioni più accentuate; nella distribuzione areale delle
acque lo troviamo associato agli altri idrotipi (gruppi AB, B, AC, C).
L'idrotipo C è associato ai terreni Villafranchiani presenti a debole profondità lungo la fascia
occidentale della valle. I suoi elevati tenori in tutte le specie chimiche principali, in primo luogo
Cl, Na, SO4, sono geneticamente riconducibili a processi di interazione delle acque con livelli e
banchi lignitiferi, all'esistenza di condizioni ossidanti e a lunghi tempi di circolazione.
Il gruppo intermedio AC non è il risultato di processi di miscela con acque dell'idrotipo A,
ma della circolazione in livelli più superficiali della falda dove è minore il contenuto in lignite e
si verifica una diluizione ad opera delle acque di infiltrazione locale.
L'analisi dei fattori inquinanti è stata basata sullo ione nitrato, prendendo in considerazione
aree chimicamente omogenee. E' stato applicato un criterio di deviazione dal trend medio di
aumento del tenore in nitrati in relazione alla salinità totale ed agli altri ioni.
Le aree anomale appartengono alla fascia marginale orientale della valle ed una fascia
intermedia ubicata appena ad ovest di Foligno. Valori inferiori al trend sono presenti nell'intorno
dell'artesiano di Cannara e sono dovuti sia alla riduzione dei nitrati a ione ammonio, sia al
minore apporto in falda degli stessi per la presenza di una copertura più efficace.
Le distribuzioni areali dei parametri chimici principali sono generalmente analoghe a quelle
della salinità totale.
Gli idrotipi A e C, in particolare modo, sono ben differenziati, indice di una separazione quasi
completa dei rispettivi circuiti idrici.
Differenzazioni verticali sono riscontrabili in pochi casi (artesiano Cannara) anche per il
ridotto numero di pozzi profondi. In questi casi la falda profonda risulta generalmente meno
salina di quella più superficiale.
Condizioni riducenti permettono la comparsa dello ione ammonio e dell' acido solfidrico (per
riduzione dei solfati) nella falda profonda ed in quella superficiale a ridosso dei terreni
Villafranchiani.
I 37 punti costituenti il reticolo di monitoraggio dell'acquifero alluvionale si sono rivelati
rappresentativi del chimismo dei corpi idrici principali; tuttavia si ritiene conveniente inserire un
numero ridotto di nuovi punti nelle situazioni locali rilevate come interessanti dal punto di vista
idrogeologico e prive di pozzi di controllo, quali la fascia marginale orientale a sud di Trevi e la
zona a sud di Cannara.
b. Scambi con il reticolo idrografico e relazioni della falda alluvionale con gli
acquiferi contigui.
Il bilancio idogeologico della Valle Umbra elaborato dal modello matematico di flusso ha
evidenziato che l’alimentazione agli acquiferi vallivi da parte delle formazioni carbonatiche del
versante orientale costituisce la fonte principale di ricarica delle falde con un valore di 2.500 l/s
contro i circa 700 l/s degli altri apporti laterali ed i 1.000 l/s della ricarica meteorica
( mediamente pari a 3 l/s per Km 2 di affioramento). Seicento-settecento l/s sono riferibili alla
struttura del M. Subasio, i rimanenti al settore compreso tra Foligno e Spoleto. Dal M. Subasio
sono possibili 2 direttrici di deflusso della falda di base, nei settori settentrionale (Assisi) e
meridionale (Spello), con maggiori evidenze per quest’ultimo di un collegamento con la falda
artesiana di Cannara. I corsi d’acqua che bordano o tagliano a sud e nord la struttura non sembra
invece che ne siamo interessati.
Nel settore dei Monti di Foligno e Spoleto le zone indiziate di ricaricare maggiormente le falde
della piana sono quello prospicienti Foligno ( con il bacino del T. Menotre che drena nel
sottosuolo) e quella tra Campello e Spoleto: gli indizi idrochimici mostrano le migliori analogie
con le acque di circolazione nei carbonati.
Le relazioni tra le falde e le acque superficiali sono abbastanza ben definite.
Nel settore settentrionale il F. Chiascio è in grado di ricaricare il sistema multifalda di
Petrignano nel tratto Pianello-Bastia con volumi dell’ordine dei 200-400 l/s: nel suo tratto
inferiore assume invece condizioni di equilibrio e/o di drenaggio della falda.
Il sistema del F. Topino rilascia notevoli quantità di acqua alla falda al suo ingresso nella valle
con le acque della conoide che sono chimicamente ben correlate a quelle superficiali. Non ci
sono comunque indagini specifiche quantitative. A partire dalla zona dell’artesiano di Cannara il
c. Esposizione ai CDP
Come già accennato nel capitolo 1, in particolare nella parte orientale della piana
alluvionale e nei contigui depositi detritici, insiste una notevole pressione antropica collegata ai
centri urbani e relative infrastrutture.
I dati raccolti presso gli Uffici competenti della Regione, presso i Comuni, le USSL, le Aziende
Acqua e Gas, la Camera di Commercio ecc., hanno permesso di tracciare con un buon dettaglio
la situazione, mettendo innanzi tutto in evidenza i più significativi fattori antropici:
- l'alto grado di urbanizzazione e di spinta espansiva su tutta la valle e sui versanti al contorno;
- le aree di concentrazione industriale intorno ad alcuni centri urbani (Bastia, S.Maria degli
Angeli, Foligno, Trevi, Campello, Spoleto) e in generale sul versante orientale del bacino;
- il predominante smaltimento delle acque reflue provenienti dalle reti fognarie tramite il reticolo
idrografico superficiale, vista la carenza di impianti di depurazione, solo in parte realizzati o in
via di realizzazione;
- la massiccia presenza di industrie zotecniche, di cui un numero rilevante ubicate nelle aree
Bettona, Cannara, e per un buon 30% costituite da aziende con numero di capi compresi tra 500
e 2.000, e il conseguente utilizzo di parte dei terreni agricoli per lo smaltimento dei liquami
tramite fertirrigazione;
- il forte utilizzo agricolo di tutta l'area con colture prevalentemente seminative e l'uso di
trattamenti chimici, a cui sono riferibili i fenomeni di concentrazione di alcuni inquinanti
nell'insaturo e i relativi rilasci in falda nei periodi piovosi o irrigui;
- la presenza, in alcuni casi in prossimità delle aree di sfruttamento dell'acquifero, di una
superstrada a grande traffico, con possibilità di fenomeni di inquinamento puntuale acuto.
Il rapporto falde idriche - pressione antropica è già visualizzato nelle due Carte della
Vulnerabilità all’inquinamento della Valle Umbra Nord e Sud, realizzate dalla U.O. 4.11 del
CNR-GNDCI, Regione dell’Umbria. Nelle carte preliminari dello scenario antropico è presente
una prima differenziazione delle attività industriali per numero di addetti.
3. SCHEMA CONCETTUALE
L’inquadramento della situazione idrogeologica a livello della Valle Umbra nel suo
insieme, può essere visualizzato e sintetizzato in uno schema concettuale che riprenda tutti gli
elementi essenziali di natura geolitologica ed idrogeologica così come quelli idrochimici e dello
scenario antropico, considerando che il grado di densità e qualità delle informazioni varia da
settore a settore e che esiste un quadro d’insieme elaborato per la definizione del modello
matematico di flusso che è carente soprettutto per gli aspetti idrochimici.
In un contesto informatizzato (GIS) si possono considerare 4 “strati” di informazioni da
sovrapporre alla base cartografica:
1. natura,consistenza e grado di protezione degli acquiferi e loro interrelazioni;
2. zonazione dei caratteri idrodinamici degli acquiferi ed interrelazioni;
3. zonazione della qualità e genesi delle acque di falda;
4. zonazione del tipo ed entità di pressione antropica.
Per lo schema 1 è possibile utilizzare la carta di base del modello matematico come
riferimento al 25.000. Poiché essa non differenzia le alluvioni si possono sovrapporre le
indicazioni di dettaglio relative a Petrignano, Cannara e la Valle Umbra sud, in particolare le
isopache dei depositi alluvionali permeabili e le zone di estensione delle coperture impermeabili
( Cannara) o dei complessi a bassa permeabilità ( settore meridionale). Per quanto riguarda la
natura ed efficacia del non saturo si può inserire l’informazione sui suoli relativa alla zona di
Foligno- Cannara ( Carte in scala 1: 50.000) ed a quella di Petrignano ( Carta al 10.000).
Lo schema idrogeologico deve considerare più che il quadro proposto da 53 pozzi del reticolo
di monitoraggio, le 3 situazioni dettagliate della piana alluvionale, eventualmente separate da
una demarcazione in quanto riferite a periodi diversi e densità di osservazione diversa: campagna
del 1990 o del 1992 per la zona di Petrignano ( scala 1:10.000); la piezometria di maggio 1989
per l’artesiano di Cannara; quella del 1989 o 1990 per la Valle Umbra sud ( scala al 25.000 da
un originale al 10.000). Eventualmente si possono riportare le 4 zone a diverso comportamento
evidenziate dall’analisi delle serie di monitoraggio e le aree con falda in pressione o
semiconfinata conosciute..
Si devono infine aggiungersi i punti di prelievo industriale ed i campi pozzi con le
indicazioni quantitative ( portate estratte, zonazione dei parametri idrodinamici)
La qualità e genesi delle acque deve considerare sia le indicazioni emerse dal reticolo di
monitoraggio principale che quelle di dettaglio riferibili in modo particolare alla Valle Umbra
sud: Alla semplice diversificazione idrochimica va preferita una zonazione del tipo di quella
riportata a pag. 89 del libro “ Le acque sotterranee in Umbria” in cui si deve riportare anche il
quadro genetico. In particolare per la Valle Umbra sud la carta di pag. 97 del libro
sopramenzionato può essere utilizzata per un tale contesto.
Lo schema delle attività antropiche deve considerare invece in modo areale l’utilizzo del
I quattro strati dello schema sono forniti alla fine del presente elaborato.
Un interfacciamento dei 4 strati potrà fornire informazioni e differenzazioni mirate, ad
esempio per correlare i punti del reticolo di monitoraggio con ciascuna specificità degli
acquiferi.
5. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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rapporto interno.
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naturali dell'Umbria. 1. Bacini del settore centro-meridionale. Boll. Soc. Geol. It., 95
- Boila P. Marchetti G. e Martinelli A. (1993). L’acquifero del campo pozzi di Petrignano di
Assisi: sviluppi degli studi idrogeologici e idrochimici. Atti del 2° Convegno internazionale di
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- Chiodini G., Giaquinto S., Marchetti G. e Martinelli A. (1990). Circuiti idrici e processi
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- Chiodini G., Giaquinto S., Marchetti G. e Martinelli A. (1990). Il monitoraggio idrogeologico
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Marano sul Panaro (Mo), 20-22 Settembre.
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Rapporto interno
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Geoidrologia. La cooperazione nella ricerca con i paesi in via di sviluppo e quelli dell’est
Europa. Firenze 29 novembre - 3 dicembre 1993. Pubbl. n. 1000 del GNDCI.
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- Idrogeotec (1992) Rapporto sulla campagna piezometrica di febbraio 1992 condotta nell’area
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- Idrogeotec (1988) Rapporto conclusivo sui lavori relativi alla realizzazione di una mappatura
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Rapporto interno.
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Rapporto interno.
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nell’area di Petrignano d’Assisi:indagine delle attività agricole. Ente di Sviluppo Agricolo in
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Consorzio Acquedotti di Perugia. Rapporto interno.
5. LA CONCA TERNANA
INTRODUZIONE
I dati rielaborati nel presente rapporto sono frutto principalmente delle attività svolte nel
periodo febbraio 1992 - giugno 1993 dall'Unità Operativa 4.11 del GNDCI-CNR, facente capo
alla Regione dell'Umbria, in collaborazione con l'Azienda Servizi Municipalizzati di Terni e la
collaborazione dell’Università degli Studi di Perugia, nell'ambito delle ricerche sulla conoscenza
degli acquiferi alluvionali regionali e definizione della loro vulnerabilità all'inquinamento e stato
di conservazione (progetto VAZAR).
Ulteriori dati pregressi si riferiscono a quanto riportato nel volume “Le acque sotterranee in
Umbria”, a cura di Giaquinto, Marchetti, Martinelli e Martini, edito dalla Protagon nel 1991.
1 IL CONTESTO GENERALE
Esistono vari elaborati cartografici in scala 1:25.000 in parte ripresi nella pubblicazione della
Pitagora.
Per le indagini geologiche generali:
- Carta geologica generale e dettaglio dei depositi continentali con sezioni geologiche e sezioni
litostratigrafiche dei depositi continentali;
- Quadro piezometrico storico
- Carte delle resistività apparenti con AB = 20 , AB = 80, AB = 200, AB = 600, AB = 1.000 e
relative sezioni geoelettriche interpretative
- Carte delle Resistenza trasversali totali e della Conduttanza longitudinale superficiale
Per le indagini di monitoraggio:
- Censimento dei punti d'acqua (febbraio '92)
- Carta delle isopache del non saturo (febbraio '92)
- Carta delle piezometrie (febbraio '92)
- Carta delle Conducibilità elettrica specifica delle acque (febbraio '92);
Per le indagini sulla falda alluvionale e rapporti con il Nera:
- L'indicatore idrochimico Magnesio
- L'indicatore idrochimico Cloro
- L'indicatore idrochimico Silice
- L'indicatore idrochimico Salinità
- Il quadro piezometrico ( Novembre '92)
- Carta delle zone di interazione
Per le Indagini idrogeochimiche:
- Carta di campionamento e dei tipi chimici
- Carta della distribuzione della Durezza Totale
- Carta della distribuzione dei tenori in Magnesio
- Carta della distribuzione dei tenori in Solfati
- Carta della distribuzione dei tenori in Cloro
- Carta della distribuzione dei tenori in Silice
- Carta della distribuzione dei tenori delle specie azotate
- Carta delle condizioni ossidoriduttive della falda
- Carta delle condizioni di potabilità della falda.
Infine si dispone di elaborati relativi alla permeabilità ed alle classi tessiturali dei suoli ( dai
carotaggi e dall’estrapolazione geofisica), alla distribuzione areale della trasmissività degli
acquiferi ( correlazione geofisica - prove di emungimento) ed alle caratteristiche idrodinamiche
delle falde ( tests recenti e pregressi).
a. Geolitologia;
Con le informazioni emerse dalle oltre 300 stratigrafie raccolte si è potuto elaborare uno
schema interpretativo dei principali potenziali acquiferi dell'area. La differenziazione prodotta a
livello dei depositi continentali nella carta geologica distingue anche arealmente dal punto di
vista litologico quelli che si possono definire l'acquifero alluvionale del Nera, del "Detrito" (zona
Nella piana alluvionale del Nera sono 6 le situazioni diversificate sia dall'entità e natura
dell'acquifero, del tipo di substrato, che dalla presenza o meno di coperture fini e dei loro
spessori.
La zona di Terni (zona A1) si caratterizza per una copertura fin oltre i 10 m. di spessore di
sabbie e limi prevalenti al di sotto dei quali le ghiaie hanno uno spessore dell'ordine dei 20-30 m.
che tende a rastremarsi verso est (industrie ILVA). Tre pozzi profondi oltre 100 m. rilevano la
presenza predominante di conglomerati villafranchiani, alternati a terreni fini limo-argillosi
consolidati, per circa 80-100 m. di spessore, essendo dubbio talora il passaggio ghiaie-
conglomerati. Al di sotto, tra i 120 e 130 m. di profondità, sono stati raggiunti i calcari rosati
della Scaglia. Potenzialmente siamo quindi in presenza di 3 acquiferi.
Il livello di falda passa dagli oltre 25 m. dal piano campagna ad E fino a circa 10 m. nella zona
di Cospea dove si rinviene un terrazzo in sinistra fluviale a ridosso del Nera, che potrebbe essere
riferito a tutta la zona di Terni.
La parte occidentale della zona A1 caratterizzata da pozzi pubblici ad utilizzo idropotabile. I
pozzi Cospea, per quanto attraversino una parte ridotta dei depositi fluvio-lacustri, mostrano gi
come comincino a prevalere le facies fini rispetto ai conglomerati con una interdigitazione
eteropica tra la conoide conglomeratica di Terni e le argille ad ovest.
A sud di questa zona presente il terrazzo antico delle Grazie (zona A5), rialzato di circa 30 m.
rispetto alla piana che denota un cospicuo spessore di limi sabbiosi, sabbie e limi argillosi
passanti al di sotto di quota 120 a non ben definite ghiaie (o conglomerati ?).
Non sono stati rinvenuti pozzi per poter misurare il livello di falda; riferimenti trovati nelle
stratigrafie dei sondaggi danno valori negli anni '70 di pochi metri dal piano campagna se non di
falda subaffiorante.
La parte centrale della valle (A2) presenta ridotti spessori o assenza di copertura fine (qualora
sia presente si tratta di sabbie, principalmente in sinistra fluviale) poggianti su ghiaie acquifere
spesse fin oltre 30 m. ed intercalate da livelli (3-6 m.) piuttosto continui di argille.
Sono numerosi i campi pozzi ad uso idropotabile in destra del Nera mentre in sinistra c' quello
industriale della Moplefan-Himont (circa 15 pozzi).
Proprio alcuni di questi ultimi ed il pozzo Maratta 1 evidenziano la scomparsa dei conglomerati
nel substrato villafranchiano.
La falda si trova in genere a profondità inferiori ai 10 metri ed affiora in vari laghi di cava,
continuamente rimodellati dall'attività estrattiva, lungo l'alveo del Nera.
Da segnalare la presenza di varie ed estese discariche sia di rifiuti solidi urbani che industriali
impostate su vecchie cave dismesse a partire da dove comincia il Canale Recentino fino ai laghi
in falda attuali.
Nei pressi di Colleluna lo spessore delle alluvioni tende a diminuire.
La zona A4, che contraddistingue quest'area si sviluppa a nord di un orlo di terrazzo solo in parte
visibile; i dati indicano uno spessore notevolmente ridotto (10-15 m.) di alluvioni di varia natura,
da prevalentemente fini ad W a ghiaiose nella parte centrale e verso Colleluna, che si
interdigitano con i terreni del "Detrito" posti a nord; il substrato fluvio-lacustre è
prevalentemente fine.
La parte occidentale della piana contraddistinta da 2 situazioni differenziate; una (zona A3)
legata propriamente al Nera con alluvioni ghiaiose di spessore contenuto (entro 20 m.) coperte
da ridotti livelli di materiali prevalentemente limo-sabbiosi, di tipo eluviale a ridosso delle zone
marginali; un'altra riconducibile alla conoide del Torrente Caldaro (A6) con materiali di tipo
argilloso di spessore dell'ordine dei 10 metri, terrazzati (sopraelevazione dell'ordine dei 10 m.)
ed erosi ai margini dal Nera, poggianti in parte sulle alluvioni del Nera stesso.
Il substrato delle due aree è dato dal fluvio-lacustre argilloso, la profondità della falda è di pochi
metri in A3 (<5 m.), di oltre 10 in A6.
I terreni villafranchiani in facies conglomeratica, distinti dalle sottostanti facies argillose e/o
dalle facies argilloso sabbiose, hanno rivelato talora spessori consistenti, come nella zona di
Sangemini, nell'area della Città di Terni ( spessore intorno ai 100 metri) sepolti sotto le alluvioni
ed eteropici verso W alle 2 facies fini.
Varie e consistenti intercalazioni sono emerse dalle stratigrafie dei pozzi della zona meridionale
(tra Collescipoli e Fiaiola) e nell'intorno di Colle dell'Oro.
Una continuità del Villafranchiano è stata riscontrata nell'area a cavallo di Colleluna, tanto a
nord sottostante il detrito, che a sud sotto le alluvioni per la correlazione di depositi di travertino
ai due lati.
b. Idrogeologia
L'indagine di febbraio '92 ha interessato 321 punti d'acqua, di cui 254 pozzi d'acqua, scelti con
criterio casuale in una maglia di 1/2 km2 su un'area di circa 130 km2. I dati sullo stato dei pozzi,
rilevati in apposite schede, hanno evidenziato notevoli carenze a livello costruttivo ( notevole il
numero di pozzi in cemento, anche di recente costruzione, e in muratura; la cementazione poi
una pratica quasi sconosciuta; talora la testa pozzo a livello del terreno) e pessimo stato di
conservazione (molti i pozzi abbandonati, frequenti quelli senza un manufatto di protezione o
privi di chiusura).
Le misure freatimetriche sono state utilizzate per avere un quadro globale dell'andamento della
superficie piezometrica della falda, per la definizione delle linee di flusso principali, per la
differenzazione areale sulla base dei gradienti idraulici e dello spessore del non saturo.
Arealmente sono state distinte pi situazioni riferibili a:
1- la piana alluvionale del Nera ( bassi gradienti idraulici, flusso principale est-ovest, limiti
laterali ben definiti, non saturo decrescente da est ad ovest);
2- la zona pedemontana dei Martani ( gradienti dell'ordine del 50 %o più elevati nel settore
orientale, spessore del non saturo decrescente verso valle, possibile contatto idraulico con la
falda alluvionale ad ovest di Colleluna);
3- le zone villafranchiane occidentale e meridionale ( gradienti idraulici da medi ad elevati, non
saturo variabile in funzione della presenza di condizioni risalienti e falde esigue confinate in
terreni argillosi ( valori bassi) o di litotipi conglomeratici (valori alti in funzione di
permeabilità e consistenza dell'acquifero maggiore).
I dati freatimetrici delle campagne successive ( 90 pozzi) hanno indicato una generale ridotta
variazione areale della superficie piezometrica; localmente le differenze rilevate sono
riconducibili alle variazioni dei prelievi dei principali campi pozzi ad uso idropotabile ed
industriale.
Dai singoli punti sono emerse indicazioni significative in accordo con i dati storici del Servizio
Idrografico, laddove sono confrontabili.
Nella piana alluvionale si sono avuti minimi a giugno e massimi a settembre, nella zona
detritica invece è marcato un costante decremento di livelli in tutto l'anno mentre nei terreni
villafranchiani si ha un minimo a settembre ed una ben visibile risalita a novembre ( falde
superficiali di ridotta consistenza influenzate dalle variazioni di prelivi e/o ricarica meteorica
diretta).
Dati storici freatimetrici sono stati raccolti presso il Servizio Idrografico relativi a 6 pozzi
( misure a cadenza di 3 giorni continue dal 1955) ubicati nella porzione meridionale della Valle
alluvionale del Nera.
Le elaborazioni hanno riguardato differenti scale temporali.
A livello di medie annue non ci sono evidenze di trend evolutivi dei livelli: variazioni cicliche
pluriennali sono comunque ben marcate; gli ultimi 5 anni hanno rappresentato un ciclo negativo.
Di notevole interesse il raffronto temporale dei cicli annuali e lo sfasamento rispetto ai massimi
afflussi meteorici. Nella zona da Sabbione fino a Casella del Pozzo si hanno minimi piezometrici
a giugno e massimi a settembre; verso Narni Scalo lo sfasamento si riduce e talora è quasi
immediata la risalita piezometrica dopo le piogge.
Questi comportamenti sono sicuramente influenzati da fattori sia geologici, quali lo spessore del
non saturo, la natura della copertura, la porosità efficace e permeabilità dell'acquifero, che
idraulici come il regime idrico del Nera, vincolato alle centrali ENEL, e la sua relazione con la
falda.
Una parametrizzazione idrodinamica degli acquiferi è limitata ai dati di alcuni pozzi dei
principali siti di prelievo idropotabile, localizzati nella zona detritica pedemontana e nelle
alluvioni del settore occidentale: i dati si riferiscono unicamente alla determinazione della
trasmissività mentre i valori di coefficiente di immagazzinamento sono stati considerati non
corretti.
Ad un generale buon andamento dei valori di trasmissività e permeabilità riscontrati, si associa
nella piana alluvionale l’evidenza di una diminuzione dei valori procedendo dalla città di Terni
(pozzi Mattatoio, Stadio, Campo Scuola) verso ovest ( Cospea, Maratta, Cerasola). Nella zona di
Narni l’unico dato è relativo al campo pozzi Argentello ubicato sulle alluvioni del T. Aia.
Nella tabella che segue si riportano i dati ricavati dalle prove di emungimento.
c. Idrochimica
Sono stati presi in esame 30 parametri chimico-fisici tra elementi principali, specie
azotate, elementi minori e metalli pesanti.
Le misure di conducibilità elettrica e la concentrazione in nitrati hanno contraddistinto le tre aree
sopra definite a conferma di differenti tempi di circolazione delle acque ( la conducibilità
indicativa del grado di salinità delle acque) e/o natura degli acquiferi.
Più in dettaglio sono state evidenziate le zone a ridosso del Fiume Nera a bassa salinità, con un
incremento in nitrati nel settore occidentale della piana alluvionale. Comportamento analogo si
rileva nella fascia detritica pedemontana procedendo verso sud.
L'estrema variabilità dei valori riferiti alle aree villafranchiane è indicativa di un sistema
complesso.
La classificazione e differenziazione chimica dei 101 campioni, prelevati nelle campagne di
giugno e novembre '92 ha portato alla definizione di tre gruppi principali:
La Carta dei tipi chimici mostra la distribuzione areale dei 3 gruppi individuati: si notano alcune
evidenze immediate;
- la relazione tra il gruppo A 2 e le acque della piana alluvionale del Nera (i campioni delle
sezioni d'alveo vi rientrano pienamente);
- la tipologia omogenea (gruppo A1) delle acque campionate a ridosso dei rilievi calcarei;
- la tipologia omogenea ( gruppo B) delle acque relative ai rilievi collinari villafranchiani; i
punti nell'intorno di Terni hanno bisogno di qualche ulteriore spiegazione e dato (tipo
profondità e stratigrafie);
- i campioni delle acque superficiali appartengono in parte al gruppo A 2 ( i valori del F. Nera
sono caratteristici per Mg ed SO4), in parte al B (alvei secondari zona occidentale); solamente il
401 al gruppo A1;
- pochi punti della piana non risultano appartenere ad un preciso gruppo (A 2), facendo
ipotizzare delle variazioni laterali dell'acquifero per la loro ubicazione nelle zone di margine.
La cartografia redatta riporta le distribuzioni areali dei parametri principali che meglio
caratterizzano arealmente la zona d'indagine.
La Carta della distribuzione della Durezza totale evidenzia le zone dei campioni del gruppo B in
cui si raggiungono valori superiori ai 50 gradi francesi ed alcune anomalie in positivo o negativo
nella piana alluvionale, mentre nella zona pedemontana dei Martani si assiste ad un graduale
incremento dei valori procedendo verso valle. L'area di Lagarello è quella che ha mostrato la
Da notare che la salinità nella zona di Terni ha valori più alti del resto della piana, riferibili in
parte ai pozzi profondi (falda nei conglomerati fluvio lacustri), ma non solo; si può
ragionevolmente pensare che in superficie i valori siano influenzati da una infiltrazione diffusa
di elementi reflui del centro urbano.
Le variazioni avutesi tra le 2 campagne sono in genere molto basse; variazioni di salinità
maggiori di 1 meq/l sia positive che negative si rinvengono solo nella zona occidentale
villafranchiana.
L'andamento generale ben si inquadra con le situazioni incontrate nella Conca Ternana: la piana,
legata al Nera, risente della ridotta variabilità salina degli apporti del fiume; le 2 campagne sono
rientrate, per il particolare anno idrologico, in condizioni abbastanza analoghe nè di particolare
magra o morbida.
Quello che sulla carta lo stato dei risultati analitici puri e semplici ha bisogno, per essere
interpretato, di un ulteriore passo e di alcune precisazioni al contorno:
- non sempre la presenza contemporaneo di 2 o 3 specie è sinonimo di inquinamento in atto o
recente, in quanto esistono concomitanze idrogeologiche che possono riprodurre tale situazione
(es. falde sovrapposte a differente potenziale redox e loro miscelazione attraverso un pozzo);
- l'origine dell'azoto in vario stato di ossidazione può essere di natura geologica;
- pozzi inutilizzati (es. pozzi irrigui in inverno) e/o non periodicamente ripuliti possono attivare
processi di generazione o accumulo di specie azotate.
L'analisi di 11 elementi in tracce (litio, rubidio, ferro, rame, piombo, zinco, cadmio, selenio,
Nella zona detritica pedemontana dei Martani la presenza di valori più elevati in Zinco, Piombo
e Manganese risultata compatibile con un'origine naturale legata agli equilibri con la principale
fase solida che caratterizza l'acquifero: il CaCO3.
Il risultato dell'analisi relativa ai nitrati, principale input esterno di origine agricola, rileva un
accumulo di tale elemento nella parte bassa centro-occidentale dell'area.
Lo ione fluoro risultato il più significativo nel differenziare i campioni provenienti dai pozzi in
cui la falda presumibilmente circola all'interno di travertini (e conglomerati) sottostanti il detrito.
Nella piana alluvionale le caratteristiche peculiari dell'acqua del Nera, marcata da magnesio e
solfati in concentrazioni e rapporti significativamente diversi dagli altri circuiti della Conca
Ternana, ed analogamente in buona parte dei pozzi, hanno evidenziato la consistenza
dell'interscambio tra il fiume e la falda. Una parte specifica del lavoro è stata finalizzata allo
studio di questa interazione; ad essa si accennerà nel capitolo 2.
d. Prelievi
Al tradizionale e limitato utilizzo delle acque sotterranee della piana a fini domestici o irrigui,
testimoniato dalla presenza di numerosi pozzi privati costruiti molti decenni fa, si affianca uno
sfruttamento a fini industriale ed idropotabile di gran lunga più consistente e maggiormente
localizzato.
Le industrie fortemente idroesigenti, concentrate nella piana alluvionale del Nera, hanno
preferito rivolgersi alle acque sotterranee piuttosto che ai prelievi diretti dal Fiume
probabilmente per una maggiore garanzia di potabilità (acque destinate anche ai servizi) e
costanza nella loro qualità (lavorazioni speciali).
La ex Società Terni, oggi ILVA, utilizza per i servizi una quantità media di 100 l/s
provenienti da 4 pozzi profondi, il gruppo chimico Moplefan-Montedison preleva invece portate
medie dell'ordine dei 500 l/s destinate prevalentemente alla produzione attraverso una quindicina
di pozzi, così come la Società Elettrocarbonium di Narni estrae dalla falda in media circa 400 l/s
(10 pozzi), la Società Bosco circa 60 l/s (2 pozzi) e l'Italtel in zona Maratta Bassa una media di
100 l/s (5 pozzi).
A questi, che sono i principali prelievi industriali, vanno aggiunti quelli delle imprese minori
attualmente non quantificabili in quanto fanno riferimento a fonti di prelievo diversificate
(emungimento da pozzi e rete acquedottistica pubblica).
Il prelievo idropotabile pubblico è stato gestito autonomamente nei tre comuni dell'area
(ASM di Terni, Comune di Narni, Comune di Sangemini) a cui si aggiunge il Consorzio
Amerino che serve comuni esterni alla Conca Ternana. I dati si riferiscono al ’93.
Il Comune di Sangemini si approvvigiona con alcuni pozzi (località Colle Rotondo) che
emungono la falda presente nei conglomerati villafranchiani con una portata complessiva di
circa 50 l/s.
Il Comune di Narni utilizza le acque provenienti da pozzi ubicati in tre zone, Narni Scalo,
Argentello-Brecciaro e Ponte S.Lorenzo (in totale circa 110 l/s), che sfruttano sia la falda
alluvionale del T.Aia e del Nera che i livelli acquiferi dei depositi villafranchiani.
Il Consorzio Amerino utilizza un unico campo pozzi (8 pozzi per una portata di 100 l/s)
situato al centro della piana in prossimità del corso del Nera (località Cerasola).
L'Azienda dei Servizi Municipalizzati di Terni ha un sistema di approvigionamento idrico
diversificato, in quanto utilizza sia le risorse provenienti dagli acquiferi calcarei che quelle delle
falde dei depositi continentali. In questi ultimi si hanno una serie di campi pozzi che partendo a
ridosso dei Martani (Fratta, 30 l/s) si approssimano alla piana alluvionale (Fontana di Polo e
Lagarello, 150 l/s emunti dalla falda dei travertini sepolti) e proseguono al suo interno sia in
destra che in sinistra del Nera (Campo Le Croci, 60 l/s emunti in parte dall'acquifero alluvionale
e in parte dai travertini sepolti, Maratta, 60 l/s, Cospea, 100 l/s, e S.Martino, 100 l/s, questi
ultimi prelevati dalla falda delle alluvioni).
I prelievi irrigui in falda non sono conosciuti, ma dai dati raccolti si deduce che sono di
ridotta entità, in quanto prevalgono le colture in secco e per il resto viene privilegiato
l'approvvigionamento da acque superficiali, sia direttamente dal Nera che dai canali di
derivazione.
Fa eccezione l'area in sinistra del Nera nella parte centrale della valle dove ci sono alcune
aziende agricole che utilizzano l'acqua proveniente da pozzi.
L'utilizzo domestico è attualmente contenuto perché in gran parte sostituito dalla
distribuzione acquedottistica; tuttavia è frequente e non stimabile l'attingimento delle acque di
falda per l'irrigazione di orti e giardini.
La Carta della vulnerabilità all’inquinamento degli acquiferi della Conca Ternana riporta
l’insieme delle attività antropiche presenti sul territorio. Per semplificare l’informazione
nell’ottica di un reticolo di monitoraggio è necessario fornire una zonazione di tali attività in
relazione agli acquiferi.
Per l’acquifero della coltre detritica pedementana dei Martani si evidenzia una fascia di
insediamenti urbani tra Rivo e Campitello che prosegue con minore densità, diramandosi, verso
Cesi e Sangemini ( zona di Gabelletta). Nella parte più occidentale, a ridosso dei terreni
villafranchiani è presente un’area industriale di ridotte dimensioni.
L’acquifero alluvionale al contrario risulta estremamente antropizzato, in particolar modo nei
settori centro-orientale e sud-occidentale, corrispondenti alle zone di Terni e Narni Scalo.
Facendo riferimento alla zonazione geolitologica dell’inizio del capitolo, le zone A 1 ed A5
corrispondono interamente ad insediamenti urbani con limitata ma significativa presenza di
industrie ( area Ilva al limite est) ed attività a rischio ( discariche di RSU e residui industriali
delle acciaierie sui terreni villafranchiani prospicienti ). Da segnalare che una zona di A 5 non è
dotata di rete fognaria ( Villaggio Matteotti).
La zona A2 risulta invece intensamente cosparsa di attività industriali di dimensioni da medie- a
grandi ( Moplefan, Italtel, ecc..) aventi alti indici di pericolo di inquinamento, localizzate su
entrambi i lati del Nera ( zone Sabbione e Maratta); si associano poi numerose discariche
incontrollate di RSU e residui industriali, attive per decenni, impostate su vecchie cave di inerti
lungo il margine del fiume e talora impostate direttamente in falda. L’attività estrattiva è
attualmente spostata verso ovest, evidenziata da numerosi laghetti con falda affiorante, in parte
cave inattive riconvertite ad altre attività , in parte ancora in fase di modellazione per le attività
lavorative. La zona risulta quindi quella maggiormente a rischio di inquinamento ed al contempo
quella con i maggiori prelievi dalla falda.
La zona A3 si presenta come prevalentemente agricola ad eccezione del suo settore occidentale
dove si concentrano insediamenti urbani ed industriali anche consistenti ( Elettrocarbonium).
La zona 6 infine presenta una situazione in evoluzione per lo sviluppo di attività industriali ed
artigianali lungo le arterie stradali.
In definitiva si evidenzia una sovrapposizione delle attività antropiche a rischio elevato sulle
aree di maggior interesse idrico e di localizzazione dei prelievi in falda: condizioni generali di
buona qualità delle acque di falda sono spiegabili con la notevole ricarica degli acquiferi dal F.
Nera e le elevate caratteristiche idrodinamiche degli stessi. Il monitoraggio ha avuto comunque
durata limitata ed è solamente indicativo delle condizioni generali; tracce di inquinamenti passati
si sono evidenziate in più periodi dai controlli USL ( idrocarburi in particolare).
Gli acquiferi che per consistenza ed entità dei prelievi possono avere un interesse regionale
sono quelli della fascia detritica pedemontana dei M. Martani, con prelievi prevalentemente
idropotabili per circa 180 l/s da 3 campi pozzi, ed in modo particolare quello alluvionale.
Quest’ultimo fornisce infatti circa 1700 l/s solo per i prelievi industriali principali e quelli
idropotabili con una localizzazione bipolare: zona est di Terni, 700 l/s per le industrie e oltre 400
per gli acquedotti; zona di Narni Scalo, 450 l/s per le industrie e 100 idropotabili.
Gli altri acquiferi non vanno al di là dei prelievi significativi di Sangemini ( 50 l/s dai
conglomerati villafranchiani, con falda sovrasfruttata) e di Narni ( pozzo Ponte S. Lorenzo, 15
l/s, nelle sabbie villafranchiane).
b. Scambi con il reticolo idrografico e relazioni della falda alluvionale con gli
acquiferi contigui.
L’acquifero ospitato nel “detrito” risulta avere scambi limitati tanto con le strutture
carbonatiche a monte, senza evidenze di ricariche sotterranee consistenti, che nel trasferimento a
valle in quanto i terreni nelle zone inferiori sono poco consistenti e scarsamente permeabili; e
l’acquifero è ospitato nei travertini in condizioni confinate.
gradienti piezometrici.
Per quanto riguarda la ricarica proveniente dal limite meridionale della piana, in contatto
stratigrafico con il più ampio affioramento dei terreni villafranchiani, esistono conferme da tutti
gli elementi chimici considerati con aree di raccordo tra la falda a più elevata salinità localizzata
in questi litotipi e quella influenzata dal Fiume Nera.
In carta sono state indicate anche le zone in cui si presume l'esistenza di una falda sepolta,
contenuta in terreni fluvio-lacustri : a Sud di Colle Luna ( in località Maratta Bassa e Campo le
Croci ), a Sud di Colle dell' Oro ( nella zona denominata Cardeto e nella parte settentrionale
della città di Terni ) ed intorno all'area di confluenza in valle del Fosso Calamone, fino
all'abitato di Narni Scalo. In queste zone i depositi villafranchiani si spingono, a debole
profondità, oltre il limite stratigrafico della valle, sotto le alluvioni.
Le zone di alimentazione da alvei secondari sono risultate essere sostanzialmente tre : quella del
Torrente Serra, che si spinge fino alla periferia nord-orientale della città di Terni, ed esercita una
chiara influenza sui punti n. 306 e 307; quella del Torrente Caldaro, più estesa ma meno
rilevante ed infine una stretta fascia legata al Torrente L’Aia.
L' area in corrispondenza del limite nord-occidentale delle alluvioni e della piccola valle del
Fosso Tarquinio mostra un ingresso in valle di una falda acquifera che non è quella contenuta
nella fascia detritica quanto piuttosto legata al ricarica del fosso stesso e di varie diramazioni di
un canale irrigatore disperdente.
I tratti al contorno delle alluvioni con limiti a scambio nullo sono localizzati lungo il margine
occidentale e settentrionale, per lo più al passaggio a litotipi essenzialmente argillosi.
Le relazioni tra il Fiume Nera e l’acquifero alluvionale, considerando anche gli inputs meteorici
e gli ingressi dagli acquiferi villafranchiani contigui, sono state oggetto di uno studio di dettaglio
basato su indicatori chimici. Il Nera riceve infatti un inprinting caratteristico dalle acque termali
di Triponzo.
Magnesio, cloro, silice, salinità e litio messi tra loro a confronto e ricostruita la loro
distribuzione areale hanno messo in evidenza un trend di dispersione facente capo al valore del
Nera e la presenza di un gradiente, basso e regolare, perpendicolare all'asse del fiume.
Verso i lati della valle si registra un brusco cambio di gradiente, più marcato ed esteso in destra
idrografica.
Applicando un modello di miscela a 3 componenti, l'acqua del F. Nera, la ricarica meteorica
( valori uguali a zero) e quella rappresentativa del circuito villafranchiano con un sistema di
equazioni corrispondenti a 3 coppie di elementi (Mg-Cl; Mg-SiO 2; Mg-Li) si è giunti ad una
valutazione qualitativa percentuale dell'interazione delle 3 tipologie d'acqua sui singoli punti di
prelievo.
Nella maggior parte dei casi si è verificata una buona corrispondenza proporzionale di tutte le
coppie, in qualche caso ciò non è avvenuto a causa di anomalie di singoli elementi mentre i
valori inattendibili di alcuni campioni hanno confermato come essi siano legati ad un circuito
idrico diverso ( quelli ubicati lungo il margine destro della valle) o intevengano fenomeni
inquinanti notevoli ( es. pozzo 220, ubicato a ridosso di una discarica vicina al Nera).
Un risultato altrettanto importante, ottenuto con una metodologia puramente idrogeologica, (e
c. Esposizione ai CDP
Come già accennato nel capitolo 1, in particolare nella piana alluvionale insiste una notevole
pressione antropica sia di tipo industriale ( zone di Terni est, Maratta, Sabbione e narni Scalo)
che collegata ai centri urbani e relative infrastrutture ( Terni centro, terrazzo Le grazie, Narni
Scalo). Nel tratto centrale ed orientale del F. Nera si concentrano poi attività estrattive in falda e
discariche incontrollate ed abusive contenenti rifiuti di vario genere, realizzate principalmente
nel periodo che va dagli anni 50-’60 agli ’80. Residui industriali sono comunque relativi anche a
periodi precedenti ( i primi insediamenti industriali sono di fine ottocento). Il Fiume Nera agisce
in genere come elemento diluitore di eventuali inquinanti, provenendo da un bacino a monte non
troppo antropizzato: la gestione delle sue acque determina comunque situazioni diverse da quelle
naturali con elevati prelievi a scopo idroelettrico, l’ultimo dei quali in Località S. Maria Magale,
a valle della Città di Terni. Le portate medie a livello di Terni sono di oltre 70 m 3/s, dopo la
derivazione di pochi metri cubi. E’ possibile quindi che lo sversamento in alveo di inquinanti
possa determinare situazioni di rischio per la falda alimentata dal fiume. Non si hanno finora
indicazioni precise sui tratti di ricarica più consistenti anche se la zona orientale risulterebbe
quella predominante ( ci sono indicazioni contrastanti a livello della città di Terni, vedi
Genevois-Rinaldi)
Il rapporto falde idriche - pressione antropica è già visualizzato nella Carta della Vulnerabilità
all’inquinamento realizzata dalla U.O. 4.11 del CNR-GNDCI, Regione dell’Umbria.
Carte relative al primo “strato”, si tratta di assemblarle, sono contenute nel libro edito dalla
Pitagora, serie Tecniche di Protezione ambientale: Studi sulla vulnerabilità degli acquiferi, La
Conca Ternana e nell’annessa Carta di vulnerabilità all’inquinamento. In quest’ultima è riportato
uno schema concettuale base che deve essere ampliato e modificato, aggiungendo le zonazioni
presenti nella Carta geologica generale e dettaglio dei depositi continentali di pagina 30-31 e le
indicazioni delle superfici terrazzate.
La legenda della carta riporta già gli elementi principali di differenziazione, cui devono
aggiungersi informazioni sul suolo e non saturo.
Il layer idrogeologico deve invece considerare le situazioni dettagliate della piana alluvionale
(figura di pagina 103), cui debbono aggiungersi i punti di prelievo industriale e le indicazioni
quantitative ( portate estratte, zonazione dei parametri idrodinamici, l’area di influenza del Nera
desunta con l’aiuto dell’idrochimica, l’estensione della falda in pressione legata ai livelli
travertinosi sepolti o alla conoide di Sangemini.
La qualità e genesi delle acque deve considerare gli idrotipi principali ( dati puntuali di pag.92,
modificando i punti 296, 122 e 228), le zone di interazione con il Nera e le relazioni con gli
acquiferi contigui o sottostanti ( pag. 116), il quadro sintetico di qualità delle acque monitorate
(pag. 133) evidenziando condizioni probabilmente naturali o antropiche ( carte Allegati 21 e 22,
rapporto finale U.O. Geochimica, inquinamenti da metalli pesanti).
L’ultimo strato deve considerare invece in modo areale l’utilizzo del territorio, zonizzando la
superficie in funzione delle attività principali e più a rischio di inquinamento, partendo da quanto
cartografato nella carta della vulnerabilità.
I quattro strati dello schema sono forniti alla fine del presente elaborato.
Un interfacciamento dei 4 strati potrà fornire informazioni e differenzazioni mirate, ad esempio
per correlare i punti del reticolo di monitoraggio con ciascuna specificità degli acquiferi.
Il monitoraggio attivato nel 1992 ha utilizzato un reticolo di 101 punti di misura, selezionati da
un censimento originario di 321, composto da 89 pozzi e piezometri ( 2), 4 sorgenti, 1 lago di
falda e 7 sezioni d’alveo.
Nella fascia detritica pedemontana dei M. Martani sono presenti 16 pozzi ( di cui 3 ubicati nei
campi pozzi idropotabili di Fratta, Fontana di Polo e Lagarello) ed 1 sorgente con una densità di
circa 1 punto per km2, nella piana alluvionale del Nera il reticolo è composto da 48 pozzi ( 2
piezometri) ed un lago di falda con una densità analoga ad eccezione delle aree industriali di
Maratta e Sabbione dove si è provveduto ad un raffittimento del reticolo.
Su tale reticolo sono state effettuate 4 campagne piezometriche con alcune misure chimico-
fisiche di terreno ( febbraio, giugno, settembre e novembre ’92) e 2 campagne chimiche ( giugno
e novembre ’92) per la determinazione di elementi principali, specie azotate, elementi minori e
metalli pesanti, 30 parametri in totale.
Nel corso delle attività di studio sono state effettuate elaborazioni sia idrogeologiche che
idrochimiche riguardante l’intera area d’indagine e l’area di dettaglio della piana alluvionale.
In particolare si hanno elaborati piezometrici generali sia sui 250 pozzi di febbraio 92, che sugli
89 del reticolo e su quelli della piana alluvionale ( 4 campagne), piezometrie medie delle 4
campagne di misura sul reticolo completo ( equidistanza 10 metri) e sulla piana alluvionale
(equidistanza 2 metri). In entrambe le situazioni sono stati inseriti i valori relativi alle quote di
tratti del F.Nera, dopo l’analisi delle relazioni esistenti.
A livello idrochimico è stata adottata una procedura analoga con cartografia generale su tutti i
punti censiti limitata alla conducibilità el. ed ai nitrati (misura semiquantitativa di terreno), carte
in scala 1:25.000 delle isocone di Durezza totale, magnesio, cloro, solfato e silice sull’intero
reticolo, di magnesio, silice, cloro, salinità e litio sulla piana alluvionale. Elaborazioni
informatizzate a scala maggiore ( 1: 50.000) hanno poi riguardato gli elementi in tracce,
l’ossigeno disciolto, la salinità e gli altri elementi principali, nonché le variazioni di salinità, e
durezza tra le due campagne.
Correlazioni tra vari elementi sono state utilizzate per definire input chimici di tipo antropico, sia
di origine industriale ( metalli e cloro) che urbano ( cloro, fosfati e nitriti) ed agricolo ( nitrati e
potassio).
Nell’insieme i punti di monitoraggio sono risultati rappresentativi delle condizioni del loro
intorno ad eccezione di alcuni pozzi della piana alluvionale: il 107 ( inquinamento consistente),
122 (anomalo riconducibile alla falda sepolta villafranchiana), 296 ( falda nei conglomerati e
calcari) e 305 ( forse inquinato dalla discarica a monte).
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6. I MASSICCI CARBONATICI
ED IL COMPLESSO VULCANICO
INTRODUZIONE
Le informazioni raccolte nella presente sintesi provengono per gran parte degli aspetti generali
dalla prima fase del "Piano ottimale di utilizzazione delle risorse idriche della Regione Umbria"
redatto nel 1989 dalla società C. Lotti e Associati e dagli Uffici competenti della Regione
Umbria. Tale piano prevede, fra le varie attività, lo studio idrogeologico dei massicci carbonatici
umbri. L'obiettivo della prima fase era di giungere ad una valutazione preliminare globale delle
risorse disponibili mediante:
- uno studio geologico generale di verifica della cartografia esistente e ricostruzione degli assetti
strutturali;
- uno studio idrogeologico per determinare, in prima approssimazione, il tipo di permeabilità
delle singole formazioni affioranti e definire i rapporti fra le stesse;
- una analisi delle fratture mediante fotointerpretazione ed uno studio geomorfologico;
- una elaborazione dei dati idroclimatici esistenti;
- delle indagini dirette di campagna sulle sorgenti più significative;
- l'esecuzione di bilanci idrogeologici.
Su tale contesto di base, che comprendeva il censimento delle principali emergenze sorgentizie
ed il monitoraggio a breve termine delle 25 principali, si inseriscono i dati e gli studi condotti in
vari ambiti sulle sorgenti che sono poi state prescelte per il reticolo di monitoraggio regionale e
che saranno dotate di sistemi automatici in continuo di rilevazione dei dati di portata.
Una seconda fase del Piano Regionale ha interessato il Complesso Vulcanico Vulsino per una
valutazione delle risorse disponibili.
Il territorio della Regione Umbria può essere schematicamente suddiviso in quattro settori, che
sono:
- I rilievi carbonatici: che bordano i confini orientali della Regione, occupano l'intera Val Nerina
fino al M.Vettore e si diramano nelle dorsali dei Monti Martani, di Narni e di Amelia. In
quest'area affiorano i terreni più antichi, depostisi in un bacino pelagico durante il Mesozoico.
- Il settore collinare centro-occidentale: che occupa la maggior parte della Regione, si estende ad
oriente e ad occidente del Tevere, è caratterizzato da sedimenti marnoso-argillosi- arenacei di età
prevalentemente Cenozoica, depostisi sopra la serie carbonatica più antica. Da questi sedimenti
affiora localmente il substrato carbonatico in modeste strutture isolate (Monte Subasio, Monti di
Gubbio, Monte Tezio, Monte Peglia).
- La depressione Tiberina: che nel Pleistocene ha ospitato un esteso bacino lacustre, ormai colmo
di depositi eterogenei argillosi, sabbiosi e conglomeratici.
- Il margine settentrionale dell'apparato vulcanico Vulsino: costituito da tufi vulcanici e colate
laviche e piroclastiche.
I rilievi carbonatici umbri si prolungano con continuità nelle Marche e nel Lazio settentrionale,
costituendo il dominio geologico umbro-marchigiano-sabino, caratterizzato da una serie
stratigrafica tipica interessata da una tettonica plicativa.
Le differenti formazioni geologiche che costituiscono i rilievi carbonatici sono:
- Il complesso delle Dolomie Triassiche;
- La Formazione del Calcare Massiccio (Retico-Sinemuriano);
- La Formazione della Corniola (Lias medio);
- Il complesso dei Calcari marnosi e dei Diaspri (Giurassico) comprendente il Rosso
Ammonitico, le Marne a Posidonia, i Calcari diasprini e gli Scisti con Aptici;
- La formazione degli Scisti a Fucoidi (Aptiano-Albiano);
- Il complesso della Scaglia calcarea (Turoniano-Eocene medio).
Durante il Miocene-Pliocene un'intensa fase tettonica ha sollevato e corrugato tutte le
sopracitate formazioni sedimentarie portandole all'emersione. Una successiva fase di collasso ha
dato origine alle due vaste depressioni (Val Tiberina, Valle Umbra) che sono state colmate da
depositi continentali.
L'attuale assetto tettonico delle dorsali carbonatiche umbre è il prodotto di un complesso
processo evolutivo che si è sviluppato prima, durante e dopo la sedimentazione della serie
sedimentaria.
Il totale scollamento della serie carbonatica dal basamento metamorfico, i fenomeni di
piegamento ed accavallamento delle sequenze calcareo-marnose, i graben interappenninici sono
gli elementi strutturali che maggiormente influiscono sulla circolazione delle acque nel
sottosuolo umbro. Sulla risultante di tali eventi gli affioramenti carbonatici sono stati suddivisi
in sette strutture idrogeologiche ben definite che sono:
Con lo scopo di avere una rappresentazione grafica di tutti quei fenomeni di carattere
morfogenetico, la cui distribuzione può essere di aiuto per la determinazione della potenzialità
idrogeologica, è stato effettuato uno studio attraverso l'interpretazione di foto aeree a scala
1:40.000 ed immagini Landsat elaborate in falso colore.
Nel suo insieme il reticolo idrografico dei massicci carbonatici si presenta complesso per genesi
ed evoluzione. Impostato generalmente su terreni calcarei che formano rilievi marcati,
particolarmente nella zona orientale, il reticolo è rappresentato da valli ben incise e da una
geometria varia ma sempre soggetta ad un forte controllo strutturale.
La tessitura e la densità, variabili in funzione dell'influenza del carsismo, hanno valori medi ed
aumentano in presenza di alternanze di calcari con rocce più erodibili come marne ed arenarie
marnose.
L'esame approfondito dei modelli prodotti dallo scorrimento delle acque superficiali sottolinea,
per ciascuna struttura carbonatica, quanto segue.
Il sistema della Valnerina "A", è attraversato dal F.Nera e dai suoi affluenti principali di sinistra
che presentano corsi con aste profondamente incise ed adagiate su direttrici tettoniche principali.
Da questo schema si discosta l'area ad Est della valle del F.Corno per la minore incisione del
reticolo idrografico e per la frammentarietà che questo talora presenta; ne sono un esempio il
bacino endoreico del Piano Grande di Castelluccio e la conca tettonica del Piano di S.Scolastica
(Norcia).
Il sistema dell'Umbria Nord-orientale (Spoleto-Scheggia) "B" presenta, a Nord, corsi di limitata
lunghezza impostati perpendicolarmente al fianco occidentale della struttura.
Nella parte centrale e meridionale si ha uno sviluppo maggiore nella lunghezza dei corsi d'acqua
ed una maggiore incisività dei solchi erosivi.
Nella parte centro-orientale vi è un'area a drenaggio endoerico, denominata "bacini chiusi di
Colfiorito". La meggioranza dei corsi d'acqua di queste due strutture sono perenni e con portate
notevolmente costanti, che sottolineano la loro alimentazione principale dalle acque sotterranee.
I Monti Martani, che compongono la struttura "C", presentano incisioni fluviali con spiccato
carattere di stagionalità, di particolare entità lungo il corso dei Fiumi Serra e Maroggia; per i
restanti le incisioni risultano meno marcate.
Il sistema dei Monti di Amelia e di Narni "D" è caratterizzato da un reticolo a tessitura ampia da
imputarsi prevalentemente al debole rilievo che non permette l'approfondimento dei solchi
vallivi.
Un fenomeno particolare è rappresentato in questa struttura dalla Gola del Forello, profonda
incisione che il F.Tevere ha praticato in corrispondenza di una frattura appartenente alla "Linea
della Valle del Chienti", per superare lo sbarramento della struttura carbonatica e permettere così
il deflusso delle acque dal lago Tiberino.
L'Unità del Monte Subasio "E", l'Unità del Monte Malbe-Monte Tezio "F" e l'Unità dei Monti
di Gubbio "G", hanno caratteristiche molto simili, con una rete idrografica a tessitura e densità
media, in gran parte con carattere stagionale.
L'analisi geomorfologica è stata incentrata sulla individuazione e conseguente analisi dei sistemi
morfogenetici più attinenti alle finalità della ricerca.
E' stata così messa in luce l'esistenza di numerosi fenomeni carsici in tutti gli affioramenti
calcarei. Doline, uvala ed inghiottitoi sono presenti in tutte le strutture, con particolare frequenza
nella Valnerina e nella parte più meridionale del sistema Spoleto-Scheggia.
L'analisi delle fratture ha permesso di determinare l'esistenza di una fratturazione omogenea,
estesa indistintamente a tutti gli affioramenti calcarei e con elevata densità (da 2.5 a 4 Km di
fratturazione per Km2). In tale omogenea diffusione risultano ben individuabili due direzioni
preferenziali di fratturazione, l'una orientata NNW-SSE e l'altra ENE-WSW.
Il confronto tra le informazioni scaturite dalla lettura comparata della morfologia, della
idrografia e dell'analisi delle fratture, ha sottolineato una stretta interdipendenza tra gli effetti
prodotti da questi tre gruppi di processi: il carsico, il fluviale ed il tettonico.
In particolare, le aree caratterizzate da un'elevata concentrazione di fenomeni carsici sono quelle
che maggiormente risultano individuate da un "pattern" di drenaggio che trova la sua
giustificazione in una morfologia prevalentemente pianeggiante, nella quale sono disseminate
depressioni per lo più di limitate dimensioni.
Inoltre la dissoluzione viene favorita dalla presenza di un'elevata fratturazione, con direzione di
tipo appenninico, come testimoniano i fenomeni carsici impostati su di essa.
Sono stati acquisiti i dati relativi a sei sezioni di corsi d'acqua significativi ai fini del bilancio
idrogeologico delle aree in studio e precisamente:
Inoltre è stata eseguita un'apposita campagna di misure di portata dei corsi d'acqua perenni e di
alcune sorgenti e si sono raccolti dati storici sulle portate di sorgenti non direttamente
controllate. Le misure di portata, eseguite mensilmente per sei mesi consecutivi (dal Luglio 1988
al Gennaio 1989) sono risultate particolarmente favorevoli alla valutazione delle portate erogate
dagli acquiferi carbonatici perchè eseguite in un periodo caratterizzato da precipitazione molto
limitate.
La serie stratigrafica mesozoica che costituisce le dorsali carbonatiche umbre è formata per
circa l'85% da carbonati e per il 15% da sedimenti argillo-marnosi e silicei.
Lo studio fotogeomorfologico ha messo in chiara evidenza che tutti i complessi carbonatici sono
interessati da un denso sistema di faglie e da un esteso reticolo di fratture.
Le rocce carbonatiche assumono, di conseguenza, un'elevata capacità di assorbimento delle
acque meteoriche ed una netta predisposizione allo sviluppo del carsismo, che è ovunque diffuso
con caratteristiche forme epidermiche e che si accentua dove le condizioni morfologiche e
strutturali ne favoriscono lo sviluppo.
L'uniforme distribuzione della fratturazione rende sostanzialmente omogenea, a grande scala,
anche la distribuzione della permeabilità nell'ambito dei singoli complessi idrogeologici. Quanto
meno non è stata identificata alcuna direttrice tettonica regionale che possa favorire il flusso
delle acque sotterranee lungo direttrici preferenziali.
Questa osservazione di carattere generale non esclude ovviamente che, a scala locale, la
permeabilità sia più sviluppata dove la fratturazione è più intensa.
Si può pertanto concludere che tutti i complessi carbonatici affioranti, a causa della loro elevata
fratturazione e distribuzione dei fenomeni carsici, possono essere considerati buone aree di
infiltrazione delle precipitazioni e quindi potenziali serbatoi di acque sotterranee.
I complessi non-carbonatici assumo un ruolo inerte nei processi di infiltrazione e svolgono la
sola funzione di limitare o condizionare la circolazione sotterranea.
I vari complessi carbonatici sono stati riportati su di una carta idrogeologica alla scala 1:100.000
nella quale, con simboli convenzionali, è riportata anche la posizione delle principali emergenze.
Il ruolo idrogeologico di ciascun complesso è essenzialmente caratterizzato dalla sua attitudine
ad immagazzinare ed a cedere le acque meteoriche. Tutte le formazioni carbonatiche umbre,
intensamente fessurate dalla tettonica, sono permeabili per fessurazione e sono interessate dal
carsismo che assume localmente particolare sviluppo; tuttavia non essendo ancora noti i valori
della "permeabilità" di diversi complessi (peraltro certamente molto variabili anche nell'ambito
di ciascun complesso) non è stato possibile nemmeno valutare la permeabilità relativa fra
complessi differenti,perchè una tale classificazione sarebbe risultata assai poco motivata e basata
su considerazioni intuitive difficilmente dimostrabili.
Il più significativo dato quantitativo che è stato invece possibile valutare è l'infiltrazione
efficace, vale a dire quanta acqua meteorica ogni anno si infiltra profondamente nei vari
complessi carbonatici per ricaricare gli acquiferi che alimentano le grandi sorgenti.
L'infiltrazione efficace è stata calcolata, come valore medio, su grandi estensioni, dove sia i tipi
litologici che le entità delle precipitazioni possono essere molto variabili. Dal confronto tra
diverse situazioni è parso possibile discriminare, in prima approssimazione, il comportamento
dei diversi complessi ed indicare per ciascuno il campo dei valori di infiltrazione efficace
(massimi e minimi) correlato al campo dei valori delle precipitazioni. Il risultato, espressione
della quantità di acqua che penetra nelle strutture carbonatiche, per quanto certamente
approssimato, si può considerare attendibile e significativo perchè coerente con l'entità delle
emergenze, espressione della quantità di acqua in uscita dal sistema.
I vari complessi carbonatici che presentano caratteristiche di acquiferi sono:
a) il Complesso dei calcari pelagici cretacici, costituito da calcari micritici e calcari marnosi
bianchi e rosati, stratificati con locali intercalazioni di calcari bioclastici (formazioni della
Scaglia e della Maiolica).
A metà del suo spessore questo complesso contiene una formazione marnoso-argillosa poco
permeabile, potente alcune decine di metri (Scisti a Fucoidi) che ne condiziona notevolmente le
caratteristiche idrogeologiche.
Questo complesso assorbe, in media, da 400 a 600 mm/anno per precipitazioni variabili tra 800
e 1300 mm; contiene falde estese e potenti, di notevole importanza nell'economia idrogeologica
regionale.
b) Il Complesso dei calcari micritici liassici e delle calcareniti giurassiche, costituito da Calcari
micritici stratificati con sottili partizioni argillose, livelli bioclastici e selce in liste e noduli
(Corniola); calcari bioclastici e detritici in strati e banchi (Calcari Granulari) presso Spoleto
(Lias medio-Giurassico).
Lo spessore è molto variabile: questo complesso può infatti mancare nelle serie ridotte e
raggiungere uno spessore massimo di circa 250 metri nella serie completa.
Questi calcari, fessurati e carsificati, assorbono tra 400 e 700 mm/anno per precipitazioni
variabili tra 800 e 1.300 mm; contengono falde molto produttive, di notevole importanza
nell'economia idrogeologica regionale.
Tale fenomeno, particolarmente sviluppato nel settore Sud-occidentale, rende inutilizzabili per
l'uso potabile gran parte delle risorse idriche sotterranee della regione.
b- Emergenze sorgentizie
Le emergenze naturali di acqua sotterranea dai vari acquiferi sono state suddivise in "sorgenti
puntuali", ubicate in aree relativamente ristrette ed in "sorgenti lineari", ubicate lungo gli alvei
dei corsi d'acqua perenni.
Per valutare la portata ed il regime delle sorgenti "lineari" sono state selezionate 50 sezioni di
misura lungo i corsi d'acqua perenni; sulla maggior parte delle stesse sono state eseguite 6
misure di portata nel semestre Luglio 1988- Gennaio 1989.
Sono state inoltre controllate 25 sorgenti puntuali. La scelta di queste sorgenti è stata operata in
modo da avere un campione rappresentativo delle diverse situazioni idrogeologiche identificate
nella regione ed in aree limitrofe. Per questa ragione si sono controllate sorgenti con portate sia
elevate sia molto modeste.
Non è stato eseguito un censimento dei pozzi che utilizzano acquiferi carbonatici. I dati raccolti
sulle perforazioni, peraltro molto scarsi, riguardano la struttura di Gubbio e l'estremo margine
settentrionale della dorsale di Amelia. L'attuale sfruttamento delle falde contenute nei carbonati,
attraverso pozzi perforati, sembra comunque trascurabile.
c- Idrogeochimica
In tutte le emergenze selezionate sono state effettuate analisi chimico-fisiche complete, per
arrivare a definire la tipologia degli acquiferi, le principali modalità di circolazione e la qualità
delle acque.
L'elaborazione delle componenti chimiche principali normalizzate permette di distinguere
quattro idrotipi legati alle modalità di circolazione illustrati in Tabella .2.
I valori dei coefficenti di correlazione lineare confermano il carattere bicarbonato calcico della
maggior parte delle emergenze prese in osservazione e permettono di quantizzare la scarsa
incidenza della componente silicatica (RSiO2<0.10) nei processi di lisciviazione che
determinano la qualità del contenuto salino disciolto in questi tipi di acque.
Sempre da questo quadro di valori, si osserva come la concentrazione dello ione nitrato,
elemento guida classico dei fenomeni di inquinamento, pur mantenendosi molto bassa (inferiore
a 30 mg/l), non ha la stessa origine naturale delle altre componenti chimiche (R<0.10). Questa
conclusione potrà aiutare nelle future indagini di monitoraggio ad escludere, in caso di sospetta
contaminazione delle falde, un eventuale dubbio sulla possibile origine geologica di questo
anione indesiderato.
Quadro di sintesi sulla qualità delle acque.
La valutazione della qualità, superando le differenza tra le normative sulle acque superficiali
destinate alla produzione di acqua potabile, nelle quali rientrano le sorgenti "lineari" e quelle
meno definite,nelle quali rientrano le sorgenti "puntuali" (acque minerali), sono sintetizzabili in
tre punti (secondo il DRR del 3.7.82, n°5.15):
1 - le strutture principali: "A", "B", "C" e "G" sono in generale serbatoi di acque di buona qualità
(classe A1);
2 - il settore centro-meridionale della struttura "B" (Topino, Marroggia, Clitunno) ed "E" (Monte
Subasio) ospitano acque di qualità media-buona, sewmpre di classe A1, ma con salinità più alta
ed una tendenza al carattere solfatico;
3 - Il gruppo delle sorgenti di Stifone, S.Susanna e Brecciaro hanno caratteristiche chimico-
fisiche incompatibili con una destinazione ad uso potabile (nonostante le portate).
d. Strutture idrogeologiche
Sulla base delle misure fatte, lo schema generale della circolazione sotterranea nelle varie
strutture carbonatiche può essere così sintetizzato:
Il sistema della Valnerina è la più estesa ed imponente struttura idrogeologica dell'Umbria che si
estende per un migliaio di Km2 tra la linea tettonica Ancona-Anzio e la linea della Valnerina. Il
sistema è idraulicamente chiuso in modo netto a SE dal sovrascorrimento della serie mesozoica
umbra sui depositi torbiditici della Laga.
L'intera dorsale è prevalentemente costituita da strutture carbonatiche, interessate da una
tettonica complessa, che assumono il doppio ruolo idrogeologico di aree di ricarica delle acque
sotterranee e di serbatoio. Le strutture carbonatiche, chiuse a SE, sono sature fino a quote
superiori a 800 metri nei settori più interni (alto Corno); i livelli piezometrici decrescono da Est
ad Ovest fino a raggiungere la minima quota in corrispondenza dell'alveo del Nera, che
costituisce il livello di base principale del sistema.
A questa linea di drenaggio dominante, diretta SO-NE, si associano altre tre linee secondarie,
che incidono il sistema con direttrici NO-SE: l'alto Nera, tra Castel S.Angelo e Visso (fuori
regione), il Campiano ed il Corno-Sordo, che si versa nel Nera all'altezza di Triponzo. In questo
settore le acque sotterranee alimentano direttamente il reticolo di superficie con portate
veramente notevoli.
Le portate qui di seguito considerate sono le medie del periodo e corrispondono pertanto ad una
condizione di magra.
L'incremento di portata nel reticolo di Ussita e del Nera misurato a Visso (Sezioni 1 e 2, a quota
600) è complessivamente di 3.600 l/s che vengono interamente derivati dall'ENEL e rilasciati
poi, sempre nel Nera, immediatamente a valle della Sezione 6.
L'incremento di portata nel reticolo del Sordo-Corno a Serravalle (Sezioni 11 e 12, a quota 500)
è complessivamente di 2.100 l/s, con massimi di 2.400 e minimi di 1.800 l/s.
Il contributo del Sordo è estremamente regolare, con valori costanti di 1.800 l/s, mentre l'alto
Corno ha portate variabili da 600 l/s al totale esaurimento. Tra Serravalle e Triponzo (Sezioni
11+12 e Sezione 10) il Corno riceve un ulteriore contributo medio di 1.950 l/s. La portata
complessiva del reticolo Corno-Sordo è di circa 4.000 l/s, anche questi interamente derivati
dall'ENEL e convogliati nel Canale del Medio Nera.
Lungo il corso del Nera, a valle di Visso, si registrano i seguenti incrementi di portata in alveo:
- 360 l/s tra le quote 600 (Sez.3) e 530 (Sez.4);
- 700 l/s tra le quote 530 (Sez.4) e 460 (Sez.6) compreso il contributo delle sorgenti del
Molinaccio.
La Sezione 7 misura, a quota 450, la portata complessiva derivata dall'ENEL nel Canale del
Medio Nera. Il valore medio nel periodo è di 5.350 l/s, con massimi di 6.300 e minimi di 4.800
l/s. In tale valore sono compresi i 3.600 l/s derivati dall'ENEL a Visso e rilasciati
immediatamente a valle della Sezione 6.
A valle di Chiusita il Nera continua a ricevere apporti. L'incremento di portata medio tra quota
450 (Sez.7) e 420 (Sez.13 di Belforte) è di circa 870 l/s, con massimi di un metro cubo e minimi
di 650 l/s.
Tra la Sezione 13 e la Sezione 10bis di quota 370, l'incremento medio di portata è di 2.250 l/s.
In questo tratto la portata in alveo, di circa 3.000 l/s, viene ridotta a circa la metà per un prelievo
operato dall'ENEL con una stazione di pompaggio che solleva circa 1.500 l/s nel Canale del
Medio Nera.
Restano in alveo portate variabili tra 1.500 e 1.600 l/s, a fronte di 6.500-7.000 l/s derivati.
A valle di Borgo Cerreto e fino alla stazione di Torre Orsina si hanno ancora emergenze per
circa 4.000 l/s.
Alla stazione di Torre Orsina (quota 216) le portate sono regolarissime, con valori costanti
intorno a 5.600 l/s.
Poco a valle di Torre Orsina la maggior parte delle acque del Nera viene derivata verso le
centrali idroelettriche dell'ENEL.
Si può concludere che il sistema della Valnerina alimenta, in periodo di magra, emergenze con
portata complessiva di circa 15.3 m3/s entro i confini regionali. A questi si aggiungono circa
4.000 l/s che emergono a monte del limite regionale e circa 1.500 l/s che provengono dalla valle
del Vigi.
Oltre alle emergenze in alveo, dove si concentra la maggior parte del drenaggio, si trovano
numerose sorgenti localizzate che erogano una frazione molto limitata delle risorse idriche
sotterranee, valutabile dell'ordine di qualche centinaio di l/s.
La qualità chimica dell'acqua è generalmente buone in tutto il sistema.
Lo studio ha messo in evidenza un'anomalia geochimica che si riscontra nel basso Corno e
presso Triponzo sul Nera. Nelle acque del fiume si registra infatti un netto incremento della
salinità totale ed in particolare del tenore in solfati.
Questo incremento, che resta comunque entro i limiti di potabilità, è in evidente relazione con la
situazione idrogeologica che caratterizza la zona di Triponzo, dove un marcato motivo tettonico
rompe il nucleo di un'anticlinale e porta il substrato triassico molto prossimo alla superficie. In
questo settore si è sviluppata un'intensa attività idrotermale che ha dato origine a potenti depositi
di travertino ed una sorgente che eroga una ventina di l/s di acqua a circa 30° di temperatura, con
salinità di 1.300 mg/l.
Le principali emergenze orientali, verso la Valnerina, si trovano nell'alto corso del Vigi, a
monte di Sellano, dove emerge una portata variabile tra 1.000 e 1.500 l/s (derivati dall'ENEL) e
nel T.Argentina, presso Agliano, a quota 550 circa, dove è stata misurata una portata variabile
tra 300 e 600 l/s, in gran parte alimentata da sorgenti localizzate.
Nel settore occidentale gli acquiferi carbonatici alimentano le Fonti del Clitunno, poste allo
sbocco di una linea di drenaggio impostata lungo l'asse di un'anticlinale a nucleo liassico, rotta
alla cerniera da un motivo distensivo a forte rigetto. Questa situazione strutturale, oltre a creare
una linea di drenaggio preferenziale, influenza anche i caratteri chimici delle acque sorgive che
risentono gli effetti di una circolazione profonda ed uno scambio col substrato triassico (730
mg/l di salinità totale ed oltre 200 mg/l di solfati).
La sorgente del Clitunno eroga una portata costante di circa 1.200 l/s a quota 225; misure
eseguite lungo il corso del Clitunno mettono in evidenza un ulteriore incremento medio in alveo
di circa 500 l/s.
Gli apporti in alveo, misurati nel Clitunno a valle delle sorgenti, sembrano provenire da un
diverso bacino di alimentazione in quanto, con l'aumento della portata, diminuisce sensibilmente
la salinità.
All'altezza di Foligno il sistema è drenato dall'alto corso del Menotre, dove sono ubicate le
grandi sorgenti di Rasiglia, poste a quota 690, con una portata media di 600 l/s, (e minimi di
500) e Alzabove, a quota 650, con una portata molto regolare di 150 l/s. La portata del Menotre,
oltre che dalle sorgenti localizzate, è alimentata da apporti diretti in alveo, nel settore posto a
monte di Rasiglia.
La qualità dell'acqua della sorgente Rasiglia è discreta, con circa 500 mg/l di salinità totale e
tenori in solfati di 150 mg/l. Una mineralizzazione così elevata è probabilmente correlabile con
una circolazione interessata da scambi con il substrato triassico. Di ottima qualità è invece
l'acqua della sorgente Alzabove, alimentata da un circuito più epidermico.
A Nord del Menotre la più importanta linea di drenaggio della struttura è il corso dell'alto
Topino a monte di Nocera Umbra. Le portate misurate in alveo mostrano un incremento totale di
circa 900 l/s fra Boschetto e la confluenza con il Caldognola. Ancora più a Nord, lungo il
margine occidentale della struttura, si hanno varie sorgenti di trabocco come Capodacqua (quota
300) con portata media di circa 150 l/s, ed altre minori. Le principali sorgenti del settore si
trovano in una posizione più interna e più elevata, dove gli Scisti a Fucoidi, con giacitura molto
inclinata e direzione sub-meridiana, ostacolano il flusso delle acque sotterranee verso Ovest,
mantengono elevati i potenziali dell'acquifero e fanno da soglia a numerose sorgenti. La
principale, San Giovenale (a quota 480) eroga una portata di 300 l/s interamente derivati per uso
potabile.
In posizione analoga si trovano la sorgente Boschetto (a quota 450) con portata variabile tra 200
e 300 l/s e le sorgenti Vaccara e Rumore, con portate minori.
I caratteri chimici delle acque, in questo settore, sono mediamente buoni o molto buoni. Unica
eccezione si è riscontrata alla sorgente Boschetto, con tenori in solfati molto variabili, che
possono raggiungere un centinaio di mg/l, comunque sempre ampiamente compresi entro i limiti
di potabilità.
Analoga situazione si riscontra più a Nord, sul versante occidentale di Monte Cucco, dove si
trova la notissima sorgente di Scirca, alimentata da un reticolo carsico molto studiato.
La portata media della sorgente, utilizzata per l'alimentazione di Perugia, è di circa 200 l/s, con
minimi di 80 l/s. La potenzialità della struttura potrebbe essere tuttavia molto superiore.
Ai limiti settentrionali del sistema è stato eseguito un controllo delle portate lungo il corso del
Sentino, tra Scheggia ed i limiti regionali. E' risultato che il corso d'acqua tra quota 570 e 420
incrementa la sua portata in misura variabile tra 150 e 300 l/s.
In sintesi la valle del Vigi e dei suoi affluenti drena una portata media approssimativa di 1.500
l/s, con minimi di 1.000 l/s, interamente derivata dall'ENEL. A questa portata si possono
aggiungere circa 200 l/s derivati per uso municipale dalla valle del T.Argentina.
Nell'area di Campello emergono complessivamente almeno 1.700 l/s, in gran parte di qualità
scadente.
Nell'alto Menotre sono state misurate portate variabili tra 600 e 1.200 l/s.
Nell'alto Topino la portata media in alveo è risultata di circa 900 l/s, con minimi di 600 l/s.
Dalle sorgenti localizzate, distribuite lungo la dorsale, emerge una portata complessiva di circa
1.000 l/s, in gran parte già utilizzata.
Nel corso del Sentino le emergenze sono valutabili in circa 250 l/s, a monte di quota 420, entro i
limiti regionali.
La dorsale carbonatica dei Monti Martani, estesa su una superficie di circa 200 Km 2, è una
emianticlinale a nucleo triassico che evolve ad Est in una larga sinclinale a nucleo miocenico.
Il sistema è idraulicamente chiuso nel settore Nord- orientale dal limite stratigrafico e di
permeabilità Scaglia calcarea-Scaglia cinerea che corre a quota sempre superiore a 400 metri. La
periferia Sud-occidentale della struttura è invece lacerata da un marcato sistema tettonico
distensivo che apre la struttura a Sud-Ovest ed è coronato da potenti depositi di travertino,
intercalati e sovrapposti a depositi lacustri che poggiano sulla struttura a quote variabili, ma
sempre superiori a 300 metri.
Nè all'interno, nè alla periferia della struttura sono note sorgenti con portate significative. Con i
dati disponibili si deve concludere che l'intera struttura dreni, presumibilmente, a Sud-Ovest,
verso un livello di base posto all'esterno del sistema, riconoscibile nelle grandi sorgenti delle
gole del Nera presso Narni, a quote variabili tra 70 e 90 m.s.l.m..
Il livello di saturazione del serbatoio carbonatico della struttura martana si colloca al di sotto
dei 200 metri slm. L'acquifero che satura il nucleo della struttura è caratterizzato da acque
mineralizzate con alti tenori in solfati come evidenziato da una perforazione di oltre 400 eseguita
dal Consorzio Acquedotti di Perugia e come lascia presumere la passata intensa attività
idrotermale e la stessa natura delle acque che emergono nelle gole del Nera.
Situazione più favorevole si ha nel settore periferico della struttura, settentrionale ed orientale,
dove tra i carbonati cretacici ed il nucleo triassico-liassico si estendono il complesso silico-
marnoso del Giurassico superiore e, in parte, gli Scisti a Fucoidi. Le acque intercettate dalle
perforazioni profonde hanno mostrato livelli di falda simili a quelli del nucleo centrale,
produttività contenuta ma il chimismo rimane di tipo bicarbonato calcico a bassa salinità.
Ai fini dell'approvvigionamento idrico potabile questo sistema non sembra offrire buone
prospettive anche se l'acquifero periferico, esteso nei calcari cretacici, può costituire una risorsa
idrica di entità non trascurabile.
probabili di deflusso ubicate nei settori meridionale e settentrionale del margine occidentale del
rilievo..
Questa unità idrogeologica, con una superficie complessiva di circa 60 Km2, è costituita da
frammenti di una serie carbonatica sensibilmente diversa da quella tipica umbra.
E' stato recentemente accertato che le dorsali sono formate da scaglie tettoniche sradicate dal
loro substrato.
Il Monte Malbe è formato prevalentemente da sedimenti carbonatici triassici e cretacici
circondati da depositi terrigeni cenozoici. E' probabile che la struttura carbonatica sia saturata da
un acquifero di fondo, sebbene sia al suo interno che alla periferia non sono note sorgenti con
portate significative.
Le acque assorbite dalla struttura non emergono in superficie ma drenano nelle alluvioni che la
circondano.
Le strutture di Monte Tezio e Monte Acuto sono prevalentemente costituite da carbonati del
Cretacico. Le dorsali sono circondate da depositi terrigeni ed è quindi presumibile che siano
saturate da una falda. Mancano tuttavia, anche in questo caso, sorgenti significative.
La piccola struttura carbonatica di Gubbio (di circa 15 Km2), circondata da depositi terrigeni, è
una modesta struttura idrogeologica costituita da una anticlinale rovesciata tagliata a livello
dell’asse da un sistema distensivo.
La dorsale carbonatica alimentava in passato la nota sorgente di Raggio, citata nella letteratura
idrogeologica: la portata erogata originariamente dalla sorgente è stata sostituita dai prelievi
mediante pozzi ubicati nei depositi gravitativi prospicienti ed anche sulla struttura carbonatica.
Da informazioni raccolte la portata complessiva emunta negli ultimi venti anni è mediamente
superiore ai 100 l/s.
e. Bilancio idrologico
Il calcolo del bilancio idrologico delle strutture carbonatiche umbre è stato eseguito seguendo
tre metodi differenti ma fra loro complementari.
Il primo metodo si è basato sulla determinazione delle Precipitazioni e sulla Evapotraspirazione
per calcolare l'Infiltrazione efficace ed il Ruscellamento.
Il secondo metodo si è basato sulla misura diretta dell'Infiltrazione partendo dal principio che le
acque in uscita (sorgenti) da una struttura ben definita equivalgono a quelle che vi si infiltrano.
Il terzo metodo, partendo sempre dalla determinazione delle precipitazioni, ha utilizzato dei
coefficenti di infiltrazione a carattere regionale, determinati, per le varie strutture dell'Italia
Centrale, sulla base di dati d'infiltrazione calcolati su vaste aree.
Nella Tab.3 vengono riportati i dati del bilancio, calcolati per ogni struttura utilizzando i
coefficenti d'infiltrazione regionale, che probabilmente è quello che più si avvicina alla realtà.
Tab.3: Calcolo del bilancio idrogeologico basato sull'infiltrazione presunta dedotta dai
coefficienti di infiltrazione regionali.
STRUTTURA 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12
"A" Valnerina 1.076 1.001 50 500 17.1 100 401 40 16.4 479 569 57
"B" Umbria N E 647 1.127 50 564 11.6 113 450 40 8.5 411 631 56
"C" M.Martani 238 1.105 50 553 4.2 110 442 40 - - 682 62
"D" M.Narni- 277 1.048 60 629 5.5 105 314 30 15 1706 669 64
Amelia
"E" M.Subasio 48 951 50 476 0.7 95 380 40 - - 598 63
"F" M.Malbe- 63 805 50 403 0.8 81 321 40 - - 560 69
Tezio
"G" Gubbio 16 1.037 50 519 0.26 104 414 40 0.26 513 616 59
2
1: Superficie km 2: Precipitazione mm/anno 3: Infiltrazione presunta in %P 4:Infiltrazione
presunta in mm/anno 5: Ruscellamento come 10%P in m 3/s 6: Ruscellamento come 10%P in mm/anno
7:Evapotraspirazione per differenza in mm/anno 8: Evapotraspirazione per differenza in mm/anno 9:Portata
sorgenti in m3/s 10: Portata sorgenti in mm/anno 11:Evapotraspirazione Turc in mm/anno
12:Evapotraspirazione Turca in %P.
L’area del complesso vulcanico vulsino interessa marginalmente la Regione Umbria. Tuttavia
la porzione di questo acquifero nell’ambito regionale è fonte di risorse idriche di particolare
interesse per il comprensorio orvietano.
Nei primi anni ottanta in questa area sono state effettuate indagini di tipo strutturale,
idrogeologico e geochimico nell’ambito del Progetto Finalizzato Energetica, Sottoprogetto
Energia Geotermica del CNR. All’interno di questi studi, estesi a tutto il bacino del fiume
Paglia, è stato effettuato il censimento di 273 punti d’acqua di cui 230 (70 sorgenti, 140 pozzi, e
20 sezioni d’alveo) sono stati campionati per effettuare analisi chimiche di laboratorio
(determinazione di 12 parametri chimici). Circa 30 punti d’acqua, tra quelli campionati, si
trovano nella porzione umbra dell’Apparato vulcanico Vulsino.
All’inizio degli anni novanta la Regione dell’Umbria, a completamento degli studi per la
redazione del Piano Ottimale di utilizzazione delle risorse idriche della regione, ha attivato
nell’Area Vulcanica di Orvieto una ricerca finalizzata al reperimento di risorse idriche da
destinare al consumo umano.
Nell’ambito di questa ricerca sono stati acquisiti dati stratigrafici, geofisici, idrogeologici e
idrochimici generali.
I dati stratigrafici consistono in 19 stratigrafie con profondità variabili da alcune decine di metri
a fino a circa 2.000 metri per i pozzi geotermici.
I dati geofisici derivano da una campagna geolettrica con 22 sondaggi elettrici verticali effettuati
nella zona compresa fra Castel Giorgio e Bagnoregio, lungo una fascia di circa 10 km di
lunghezza per 2-3 di ampiezza. L’informazione geofisica è stata arricchita dall’acquisizione dei
sondaggi elettrici profondi eseguiti per scopi geotermici dall’Enel. Tali dati sono stati elaborati
per valutare lo spessore della coltre di vulcaniti, riconoscerne i caratteri fisici e definire
l’andamento del substrato sedimentario.
Nel 1989 è stato effettuato il censimento di 39 sorgenti e 68 pozzi molti dei quali ubicati fuori
dai confini regionali. Sulle sorgenti e su 36 sezioni d’alveo del sistema idrico superficiale sono
state effettuate misure di portata. Su tutti questi punti d’acqua sono stati misurati la conducibilità
elettrica e la temperatura delle acque mentre un’informazione idrochimica più dettagliata è
presente per soli 4 punti (determinazione di nove parametri chimici).
Il quadro idrogeologico evidenziato indica che l’acquifero è contenuto nella coltre di depositi
piroclastici e colate laviche, poggianti su un substrato praticamente impermeabile costituito da
argille plioceniche, ed è caratterizzato da elevata permeabilità e notevole capacità di
immagazzinamento. Il tetto delle argille si approfondisce gradualmente da NE verso SW. Lo
spessore dell’acquifero è mediamente intorno ai 100 metri. Lo spessore del non saturo varia da
alcune decine di metri fino a 100-150 metri. La superficie piezometrica presenta un massimo a
ovest di Castel Giorgio e una fascia di culmine lungo l’allineamento Castel Giorgio-Lubriano, si
deprime poi sia verso la Valle del Paglia che verso il Lago di Bolsena. Di conseguenza si
evidenziano due linee principali di flusso: una dall’allineamento Castel Giorgio-Lubriano (in
prossimità del confine regionale) diretta verso la Valle del Paglia ovvero verso nord-est, la
seconda diretta verso il Lago di Bolsena ovvero verso sud-ovest. Nei limiti regionali l’acquifero
vulcanico alimenta sorgenti puntuali con una portata complessiva di circa 200 l/s e lineari per
circa 100 l/s. Il bilancio idrogeologico ha permesso di stimare per la parte umbra dell’acquifero
Vulcanico Vulsino (100 km2 di superficie) una potenzialità residua dell’acquifero in ambito
regionale di 500 l/s.
Da un punto di vista idrochimico le acque hanno carattere bicarbonato alcalino-magnesiache con
basso contenuto salino.
Nel lavoro effettuato sul Bacino del fiume Paglia vengono presentati i dati chimici di alcune
sorgenti. Per quanto riguarda le specie azotate si evidenziano contenuti in nitrati ben al di sotto
della CMA (mediamente intorno ai 20 mg/l). Gli autori degli studi consultati affermano che le
acque dell’acquifero vulcanico vulsino presentano buona qualità per uso potabile, ad eccezione
di fenomeni di mineralizzazione (acque connesse a circuiti idrotermali) riscontrati all’interno dei
confini regionali solamente nei pressi di Monte Rubiaglio, dove si localizzano le sorgenti termali
delle Fonti di Tiberio. Le principali emergenze sorgentizie presenti in ambito regionali si
localizzano non lontano da Orvieto, nei pressi di Sugano, con l’omonima sorgente captata dal
Comune di Orvieto e quella di Tione, utilizzata da una concessione di acque minerali.
3. I SISTEMI SORGENTIZI
Le risorse idriche sotterranee delle strutture carbonatiche della Regione sono state valutate
complessivamente a circa 40 m3/s. La valutazione comprende le risorse naturali totali disponibili,
indipendentemente dall'attuale grado di utilizzazione e di qualità.
Solo un percentuale ridotta dei volumi totali corrisponde a sorgenti puntuali mentre gran parte
delle restituzioni avvengono direttamente nei corsi d’acqua che tagliano le strutture
carbonatiche.
Ad oggi le risorse idriche dei calcari utilizzate a fini idropotabili provengono dalla captazione di
gran parte delle sorgenti puntuali, talora anche lontane dai centri abitati di recapito.
I Comuni, le Aziende municipalizzate di Foligno, Spoleto e Terni ed il Consorzio Acquedotti di
Perugia sono i principali gestori delle acque sorgive. L’entità dei prelievi captati dipende
chiaramente dai bacini di utenza di ciascun gestore e le sorgenti aventi portate maggiori e
migliori caratteristiche idrologiche ( ossia maggiore regolarità dei deflussi) sono in genere
gestite dalle strutture sovracomunali. A questo elemento fondamentale si associa poi la maggiore
capacità operativa e la disponibilità di energie che tali strutture mettono in campo.
Le esigenze di monitoraggio delle principali sorgenti della regione trovano una coincidenza
quasi diretta tra gli aspetti di maggior interesse idrogeologico ( bacini di alimentazione estesi,
restituzioni qualitativamente e quantitativamente importanti) e le capacità tecnico operative dei
gestori delle risorse idriche.
La scelta preliminare delle sorgenti da monitorare è scaturita in prima analisi da questo tipo di
informazioni, essendo di difficile proposizione ed attuazione a scala regionale la messa in opera
di infrastrutture e strumentazioni di misurazione automatica laddove il progetto avrebbe dovuto
assumersi tutti i compiti considerando poi l’onere della successiva gestione.
Lo schema di partenza è stato il monitoraggio delle 25 sorgenti realizzato nel 1989 per il Piano
ottimale di gestione delle risorse idriche della Regione.
Sono state evidenziate le emergenze sorgentizie già captate e monitorabili, quelle tuttora
inutilizzate o parzialmente utilizzate ma che rientrano negli ambiti territoriali delle aziende
acquedottistiche, è stata messa in evidenza la qualità e proprietà all’uso potabile, si sono definite
le variazioni di portata in funzione dei cicli idrologici ( in particolare in regime di magra ed
esaurimento a seguito della coincidenza delle osservazioni con un ciclo idrologico negativo).
L’esame delle informazioni ha portato all’individuazione di una parte delle 25 sorgenti a cui se
ne sono aggiunte altre in via preliminare al fine di ottenere informazioni anche da sistemi meno
noti.
Il totale dei punti prescelti assomma a 22; la maggior parte dei punti corrispondono alla struttura
dell’Umbria Nord-orientale, B secondo lo schema adottato al capitolo 1. Questo perché è la
struttura più prossima alla maggior parte dei centri urbani e perché presenta un elevato numero
di emergenze puntuali. La struttura della Valnerina ha invece restituzioni prevalentemete di tipo
lineare con un utilizzo principale delle risorse di tipo idroelettrico; sono proprio i vincoli e le
concessioni a tale uso ad aver limitato finora i prelievi idropotabili.
Le strutture carbonatiche minori non risultano dotate di sorgenti di significativa importanza: nel
caso dei Monti di Gubbio la sorgente di Raggio, che restituiva circa la metà delle infiltrazioni, è
di fatto stata sostituita da una serie di pozzi ubicati anche direttamente sulle formazioni calcaree.
Questi sono stati già inseriti nel reticolo di monitoraggio della Conca Eugubina in quanto
l’alimentazione principale degli acquiferi vallivi proviene dal circuito calcareo, notevolmente
sollecitato dai prelievi.
Attualmente è in corso un programma Regionale di definizione delle risorse degli acquiferi
calcarei che consiste nella realizzazione una decina di pozzi pilota nelle 4 strutture carbonatiche
principali della Regione, da utilizzare come risorse di emergenza o sostitutive.
I primi pozzi realizzati nella struttura dei Monti Martani ed in quella dei Monti di Amelia hanno
in parte risposto positivamente alle attese, ma soprattutto stanno fornendo informazioni
importanti per la comprensione dei circuiti idrici dei sistemi calcarei. Un loro monitoraggio in
continuo è di estrema importanza e permetterà, associato a quello delle emergenze sorgentizie di
ottenere dati quantitativi dei circuiti.
L’ultima delle sorgenti inserite nel reticolo preliminare corrisponde alla restituzione
principale dell’acquifero vulcanico Vulsino, posto al limite sud-occidentale della Regione ed
esteso prevalentemente al di fuori dei confini regionali.
Oltre a fornire dati su una risorsa essenziale per l’area occidentale dell’Umbria, cronicamente
povera di acque potabili, permetterà di confrontare gli aspetti e gli andamenti quali-quantitativi
di un sistema vulcanico impostato su lineamenti idrogeologici propri con quelli carso-tettonici
delle falde acquifere dei calcari.
a. Il reticolo di monitoraggio
Le prime due risultano non captate ed i dati preesistenti sono abbastanza limitati, le altre tre sono
invece gestite dalla ASM di Terni. La sorgente di Pacce presenta attualmente associato un campo
pozzi ( 7 pozzi) che contribuisce ad aumentare la disponibilità idrica della sorgente. Di fatto
attualmente le acque della sorgente non sono più condottate.
Si tratterà quindi di monitorare comunque sia le portate totali delle emergenze e dei prelievi che
i dati specifici di pozzi e sorgenti ( livelli di falda e portate) per quanto possibile.
Le risorse potenziali di tutta la struttura sono state valutate in circa 11.6 m 3/s. Di questi, circa
3.5 m3/s vanno ad alimentare gli acquiferi alluvionali della Valle Umbra ed alcuni acquiferi
marchigiani, mentre 8.1 m3/s sono ripartiti come segue:
- Fonti del Clitunno e Vene del Tempio : 1.500 l/s
- Incremento in alveo dell'Alto Clitunno : 650 l/s
- Principali sorgenti fra Scirca e Capodacqua : 1.300 l/s
- Sorgenti minori : 250 l/s
- Incremento in alveo Alto Topino : 900 l/s
- Sorgenti ( Rasiglia e Alzabove) ed incremento in alveo Alto Menotre : 1.300 l/s
- Alto Vigi e sorgenti Argentina : 2.200 l/s.
La maggior parte di queste risorse è di qualità da buona ad ottima, eccezion fatta per le Fonti del
Clitunno, che presentano una mineralizzazione abbastanza alta.
Sono 16 le sorgenti inserite nel reticolo di monitoraggio preliminare.
Le sorgenti Scirca e Cappuccini fanno parte del sistema idrico di monte Cucco; la prima è
captata dalla CESAP di Perugia ed è disponibile una cospicua serie di dati soprattutto
quantitativi con alcune limitazioni per quanto riguarda le portate di massima (presenza di uno
sfioro di massima non misurato oltre la soglia dei 400 l/s). La sorgente è alimentata da un
circuito carso-tettonico ben conosciuto (Grotte di M. Cucco, profonde quasi 1.000 metri) dove
sono stati realizzati studi di tracciamento dei tempi di transito delle acque di circolazione veloce.
In poche ore le acque del sistema carsico principale recapitano all’emergenza sorgentizia.
La sorgente ha un regime che risente molto degli afflussi e le portate di magra estive si riducono
notevolmente: nel 1990 a seguito di un ciclo estremamente negativo la sorgente si è per la prima
volta praticamente esaurita.
Le sorgenti Rumore, Vaccara e Rocchette fanno parte assieme a quella di Boschetto della
struttura di Gualdo Tadino. Meno conosciute di Scirca, sono state comunque oggetto di studi
idrogeologici generali per il Comune di Gualdo Tadino; le prime due sono state anche studiate
nel 1989, l’ultima è utilizzata da una società di acque minerali.
Le sorgenti di San Giovenale, La Cartiera e Capo d’Acqua fanno capo alla zona di Nocera
Umbra: la prima è gestita dal Consorzio Acquedotti di Perugia. Si tratta di una emergenza
sorgentizia attualmente associata ad un campo pozzi costituito da 10 punti e che fa capo ad un
acquedotto su cui convergono i pozzi di Cese ( altra sorgente vicina) ele acque della sorgente di
Bagnara.
La seconda sorgente è attualmente inutilizzata mentre la terza è utilizzata dal comune di
Fabriano in quanto posizionata sul versante orientale dei rilievi.
Nella struttura dei Monti Martani non è stata riconosciuta alcuna emergenza significativa. Le
risorse potenziali sono state valutate in oltre 4 m3/s che, con ogni probabilità, vanno ad
alimentare la portata delle grandi sorgenti di Stifone-Montoro, ubicate nelle gole del F. Nera.
Nessuna sorgente fa parte quindi del reticolo di monitoraggio.
Nel settore periferico settentrionale della struttura, costituito da calcari cretacici, il pozzo
Montecchio realizzato dal Consorzio Acquedotti di Perugia raggiunge la falda sotterranee di
buona qualità mentre il pozzo Rocchette intercetta quella solfatica.
Il monitoraggio in continuo di tali punti potrà fornire informazioni importanti sulle due diverse
circuitazioni.
La struttura ha una potenzialità di alimentazione non superiore a 5.5 m 3/s però è noto in essa il
complesso sistema di sorgenti lineari e localizzate (sorgenti di Montoro-Stifone) che erogano
portate di 13-15 m3/s di acqua estremamente mineralizzata, inutilizzabile per uso potabile.
La struttura deve essere quindi collegata idraulicamente ad altre strutture (Monti Martani -
Monti Sabini) dalle quali riceve circa 10 m3/s.
Come nel caso dei Monti Martani, anche in questa struttura è stato rinvenuto un acquifero
periferico di buona qualità nei carbonati del Cretacico nel settore settentrionale prossimo al Lago
di Corbara ed al F. Tevere. Tale pozzo è di sicuro interesse in quanto unico punto di
monitoraggio dell’acquifero con caratteristiche idropotabili. A nord di tale zona, sul versante
occidentale del Monte Peglia si ubica inoltre la sorgente termale delle Gole di Parrano, ben
studiata nell’ambito delle indagini geotermiche nella zona del F. Paglia..
La potenzialità media di rialimentazione della struttura, nella quale non vi sono sorgenti
significative, è di circa 800 l/s che drenano tutti nell'acquifero alluvionale della Valle Umbra.
La struttura di Gubbio ha una potenzialità media di circa 250 l/s, dei pozzi hanno sostituito
l’emergenza sorgentizia di Raggio.
Il settore idrogeologico che rientra nell’ambito regionale ha una potenzialità di circa 800 l/s.
La sorgente di Sugano captata dal Comune di Orvieto rappresenta l’emergenza sorgentizia di
maggiore interesse ed è stata prescelta per il monitoraggio in continuo.
Constatata la presenza di pozzi che raggiungono a profondità anche cospicue la stessa falda
acquifera è opportuno prevedere l’inserimento di alcuni di questi nel ssitema di monitoraggio
regionale.
b. Le Sorgenti prescelte
Sulla base dei dati disponibili sia quantitativi che qualitativi acquisiti da letteratura si sono
individuate 22 sorgenti con portate medie annue superiori a 40 litri/s. La maggior parte di quelle
selezionate sono utilizzate per approvvigionamento civile.
Le attività di verifica ed i contatti con gli enti ed aziende locali sono già stati in parte intrapresi
per verificare la fattibilità di strumentare in continuo le emergenze in oggetto.
Su circa la metà delle sorgenti in questione si sono già conclusi gli accordi con gli enti gestori e
si è redatto il progetto di sistemazione idraulica e messa in opera della strumentazione in
automatico di misura dei livelli, per le restanti è tuttora da verificare che sussistano le condizioni
tecniche per porre in opera le strumentazioni necessarie.
Nella lista che segue vengono indicate con un asterisco le sorgenti per le quali è già stato
concluso positivamente l’iter progettuale.
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