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Kierkegaard, rispetto a Schopenhauer, ha nella storia della filosofia un ruolo secondario,

perché è il primo che si preoccupa di superare il sistema Hegeliano, li possiamo numerare


entrambi per aver invitando a riflettere su questo problema: dell’annullamento
dell’individuo e delle sue istanze (questo termine è molto importante, perché lo potremmo sostituire
tornando indietro di 100 anni) fondamentali.

Kierkegaard era preso da problemi esistenziali, tanto è vero insieme a Schopenhauer lo


annumeriamo tra i propulsori dell’essenzialismo. È uno dei pochi filosofi per i quali, le
vicende autobiografiche sono particolarmente importanti per capire la sua filosofia.
Vita
Kierkegaard Nasce a Copenaghen, in Danimarca, il 5 maggio 1813; è il più giovane di sette
figli di una famiglia di umili origini, figlio di un mercante e per di più ha una religione
particolare, cioè il protestantesimo (a livello economico il protestantesimo libera la Germania dalle
pressioni della chiesa, inoltre questa religione che ci ha insegnato ad avere un rapporto diverso con il
denaro e a credere nella predestinazione associando il successo alla benevolenza o malevolenza di Dio che
ci ha destinato alla salvezza o alla dannazione eterna a prescindere dalle opere* ). Il padre, Michael, si
era trovato in una situazione di particolare indigenza economica dalla quale solo
casualmente era uscito e ha visto tutta la sua esistenza come una esistenza all’insegna di
una colpa da espiare. Appunto Michael proveniva da una severa comunità religiosa e la
sua visione della vita era fondata su concetti come colpa, punizione e sofferenza; temeva
per la salvezza della sua anima e credeva, che a causa di una colpa di cui si era macchiato,
Dio avesse maledetto la sua famiglia. Kierkegaard vive quest’ansia legate a questo evento
della gioventù del padre, che aveva cambiato le condizioni economiche della famiglia,
come un qualcosa che incombe e incomberà per sempre su di lui e sulla sua famiglia e
questo spiega anche il perché rompe il matrimonio con Regine Olsen. La vita del filosofo la
possiamo tradurre in paralisi esistenziale e che è significativa di questa ribellione
allegorismo. In seguito alla morte del padre ottenne un’ingente somma di denaro, che gli
consentì di continuare gli studi e di non dover lavorare per sopravvivere e ricordiamo che
morì l’11 novembre del 1855.
Egli va introdurre la critica nei confronti di Hegel, quest’ultimo considerava la storia come
un processo razionale e necessario, a differenza Kierkegaard aveva come un limite, ossia
l’incapacità di saper scegliere. Egli guarda la vita in modo distaccato, cioè preferisce non
scegliere piuttosto che scegliere vivendo la sua vita ed è proprio questo il suo limite, in
particolare nell’opera “Il diario” ci sono scritti gli stati d’animo del filosofo, però ingigantiti.
Tutto ciò dai filosofi esistenzialisti verrà chiamata paralisi esistenziale.
*un destino in qualche modo indefinito, però ci sono degli elementi nel corso della vita che
ti fanno capire, ad esempio l’arrivo di un lavoro importante, che Dio ha destinato per te un
piano che riconduce alla salvezza e quindi a un qualcosa di positivo. Lavoro e arricchimento
personale per i protestanti sono segno di salvezza eterna, al contrario dei cristiani che
vedono nel denaro un peccato, per quanto riguarda il lavoro per esempio quando Adamo
ed Eva commettono il peccato originale il lavoro non è ciò che fa capire all’uomo la
benevolenza di Dio, ma al contrario una maledizione (lo possiamo collegare all’art. 1 della
costituzione).
Ora ci possiamo domandare: che cosa comporta a livello esistenziale e religioso che la
salvezza non è per tutti e non dipende dalle opere, ma dipende invece da privilegi acquisiti?
Per quanto riguarda la società dobbiamo in primis enunciare la differenza tra società degli
ordini e delle classi:
 Società degli ordini→ all’interno della quale c’era immobilismo, qui non erano divisi
per ricchezza, ma per prestigio e per motivi giuridici e non c’era la mobilità sociale,
tranne in casi straordinario
 Società delle classi→ qui erano divisi a seconda della ricchezza del singolo ed è
possibile il passaggio tra le varie classi. Da qui l’ansia che vive il papa di Kierkegaard
e che trasmette quest’ansia al figlio perenne, ed era dovuta alla possibilità che porta
con se la società delle classi di regredire e che nulla è per sempre → paralisi
esistenziale.
La biografia nel caso di Kierkegaard è fondamentale perché si trova al crocevia tra vicende
personali e massimi sistemi
Dunque, se la filosofia hegeliana la possiamo definire all’insegna dei due connettivi logici
passiamo da et et ad aut aut, l’individuo hegeliano veniva completamente annullati in
quanto tale dal sistema storico/filosofico in cui Hegel lo aveva inserito, quindi la
problematicità dell’esistenza non veniva presa in considerazione. Invece, Kierkegaard
sottolinea come l’uomo sia problematicamente esistenziale quindi anti hegelianamente:
non esiste un disegno che mi può in qualche modo rassicurare: sono ricco e resterò tale
per sempre o indurre alla rassegnazione, come facevano i cristiani, sono povero ed è quasi
un dono di Dio “beati gli ultimi”→ questo spiega un po' l’assistenzialismo tipico delle
società fondate sul cristianesimo, come grandi banchieri sono di matrice protestante che
hanno assorbito questa mentalità indipendentemente dalla religione di appartenenza.
Il titolo dell’opera “aut aut” è proprio un rifiuto di questa visione conciliante e
provvidenzialistica che emergeva nella filosofia hegeliana, lui sottolinea proprio l’unicità
dell’individuo e l’esistenza, tanto è vero questo termine “esistenzialismo” (problematicità
dell’esistenza) sarebbe ex-sisto che vuol dire venir fuori dal sistema (ribellarsi al sistema).
L’esistenza la possiamo definire possibile, non cristianamente da cui l’esistenza non è per
forza, c’è la possibilità della vita che richiama con sé la lotta che si è verificata la vita
richiama anche la possibilità della morte e anche la libertà come possibilità anziché come
necessità. Le possibilità che mi sottopone anche giorno per giorno l’esistenza sono
potenzialmente infinite e io nel momento in cui decido ed elimino il resto, questa libertà di
scelta fino ad ora abbiamo visto i romantici che l’hanno definita come la bellezza della
possibilità di decidere, adesso con Kierkegaard noi stiamo puntando l’attenzione non su la
pars construens (il bello), ma sul fatto che c’è qualcosa che io mi lascio fuori e che può
generare in me angoscia. Dunque, la vita è fonte di angoscia, l’esistenza porta con sé
libertà e angoscia non libertà e bellezza, la libertà non è segno della mia grandezza, ma
fonte della mia oppressione. La vita, quindi, è questo: scegliere tra infinite possibilità
lasciando fuori l’infinito per il finito, cioè l’unica scelta rispetto alle scelte infinite che si
possono fare.
Il Singolo si trova davanti a tre alternative principali, cioè a tre modelli esistenziali
inconciliabili:
• Lo stadio estetico; Descritti in
• Lo stadio etico; «Aut-aut»
• Lo stadio religioso. Descritto in «Timore e tremore»
Le tre sfere dell’esistenza sono esclusive l’una dell’altra, e perciò il passaggio dall’una
all’altra impegna il Singolo con un atto libero di scelta, che può essere soltanto suo: più
che un passaggio dialettico, è un salto. Non è possibile un «et…et» fra due stadi fra loro
contraddittori, ma solo un’antitesi radicale, che si esprime come «aut…aut»
Lo stadio estetico
Lo stadio estetico è una vita di piacere e di gioia: è la vita del dilettante, che si rifiuta di
impegnarsi in un compito definito e non vuole affrontare il rischio della scelta; dell’esteta,
che si compiace delle belle parvenze e coltiva i piaceri raffinati dell’arte; del seduttore, che
al celibato chiede la garanzia di una libertà irresponsabile.
Il Don Giovanni di Mozart ne è la rappresentazione letteraria e musicale più perfetta.
L’esteta vive in un presente che non si protende verso il futuro, ma si esaurisce in sé
stesso; gode dell’attimo; egli non sceglie e non si impegna, non assume ruoli o
responsabilità sociali, passa di esperienza in esperienza, senza mai definirsi come identità
stabile. Don Giovanni non ama nessuna donna in particolare, ma la sensualità in quanto
tale. Il seduttore non ha continuità e per questo non ha neppure un’individualità. L’esteta
si disperde nelle cose e nelle esperienze, non costruisce sé stesso e manca perciò di un
«io» inteso come di riferimento continuativo della propria esistenza.
Lo stadio etico
La vita estetica rivela la sua insufficienza e la sua miseria nella noia. Chiunque viva
esteticamente è disperato, lo sappia o non lo sappia; la disperazione è l’ultimo sbocco
della concezione estetica della vita.
Lo stadio etico è la vita dedicata al dovere. Qui l’individuo si sottopone ad una forma, si
adegua all’universale e rinuncia ad esser l’eccezione, si è sposato, si è formato una
famiglia, ha assunto delle responsabilità di marito, di cittadino, di professionista. La figura
caratteristica di questo tipo di vita è l’assessore Guglielmo, il quale è essenzialmente un
marito fedele, un professionista onesto e laborioso, un funzionario esemplare. Assumendo
come proprie le obbligazioni comuni, inserendosi nella società, l’uomo etico si sceglie ed
esiste in modo autentico: chi vive eticamente sceglie la propria vita e in questo modo
definisce e costruisce se stesso, afferma la propria identità nella continua ripetizione dei
propri compiti.
La scelta etica appare nella sua contraddittorietà ed insufficienza in quanto l’individuo
giunge al riconoscimento di sé, che è, al tempo stesso, riconoscimento di fronte a Dio e,
quindi, consapevolezza della propria natura limitata e della propria inadeguatezza. È il
senso di una colpa irrimediabile, cioè di un peccato commesso contro Dio e perciò non
emendabile con mezzi puramente umani, ciò che rivela a Kierkegaard l’insufficienza della
vita etica. L’unica via per riscattarsi dal peccato è il pentimento, cioè il riconoscimento
della propria miseria, della propria impotenza, e l’abbandono fiducioso a Dio come una
possibile fonte di salvezza. Allora l’ultima parola della scelta etica sarà il pentimento,
ovvero il riconoscimento da parte dell’uomo della propria povertà morale di fronte a Dio.
Lo stadio religioso
Tra vita etica e vita religiosa non c’è alcuna continuità, anzi tra esse c’è un abisso più
profondo che tra l’estetica e l’etica, in quanto la fede è incomprensibile e a-razionale, è
paradosso.
K. chiarisce questa opposizione in Timore e tremore (1843), raffigurando la vita religiosa
nella persona di Abramo. Questi, vissuto fino a 70 anni nel rispetto della legge morale,
riceve da Dio l’ordine di uccidere il figlio Isacco e di infrangere così la legge per la quale è
vissuto. Il comando divino è, quindi, in contrasto con la legge morale e con l’affetto
naturale e non trova alcuna giustificazione innanzi ai familiari stessi di Abramo.
L’affermazione del principio religioso sospende interamente l’azione del principio morale.
Tra i due principi non c’è possibilità di conciliazione, la loro opposizione è radicale. L’uomo
che ha fede, come Abramo, opterà per il principio religioso, seguirà l’ordine divino anche a
costo di una rottura con la generalità degli uomini e con la norma morale; la fede, infatti,
non è un principio generale: è un rapporto privato tra l’uomo e Dio, un rapporto assoluto
con l’Assoluto.
Laddove nella concezione hegeliana l’individuo si realizza nella misura in cui si identifica
con il generale, nel rapporto diretto con Dio, di cui parla K., il singolo si pone al di sopra del
generale: Abramo non è di fronte a Dio in quanto membro di un popolo con cui si
identifichi. La fede è la certezza angosciosa, l’angoscia che si rende certa di sé e di un
nascosto rapporto con Dio. L’uomo può pregare Dio che gli conceda la fede, ma la
possibilità di pregare è già, essa stessa, un dono divino.
L’uomo è posto di fronte al bivio: credere o non credere. Da un lato è lui che deve
scegliere, dall’altro ogni sua iniziativa è esclusa perché Dio è tutto e da lui deriva anche la
fede. Questa contraddizione, d’altra parte, è quella stessa dell’esistenza umana:
paradosso, scandalo, contraddizione, dubbio, angoscia, sono le caratteristiche
dell’esistenza e nello steso tempo sono i fattori essenziali del Cristianesimo.

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