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Astronomia ieri e oggi

Il viaggio dell’uomo lungo le mappe celesti

Foligno 2011
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Con il patrocinio di:

Società Astronomica Italiana (SAiT)

Astronomia ieri e oggi


Il viaggio dell’uomo lungo le mappe celesti

© copyright 2009 Coordinamento Editoriale Progettazione grafico editoriale


Ministero dell’Istruzione, dell’Università Giuseppe Zito
e della Ricerca
Curatore Copertina
ISBN: 978-88-906050-0-0 Giuseppe Marucci Giampiero Badiali

2011 testi S tampa


1 Aldo Altamore, Roberto Buonanno, Grafiche CMF - Foligno (PG)
Paolo Galluzzi, Giuseppe Marucci,
Quater edizioni Filippo Mignini, Alessandro Omizzolo, Confezione
via Oslavia, 32/c Enrico Saggese, Xiaochun Sun Legatoria Umbra Bastia Umbra (PG)
06034 Foligno (PG) Italia
Coordinamento redazionale
Maria Dolores Garofalo
Monica La Torre
Evelina Roselli

Immagine copertina: NASA images by Reto Stöckli, data from NASA and NOAA - http://earthobservatory.nasa.gov

In collaborazione con:

Agenzia Spaziale Italiana Istituto Matteo Ricci


Sommario

Introduzione
Prof. Giuseppe Marucci, ispettore tecnico Miur- Roma
“Attualità dell’astronomia e percorsi formativi” 5

Prof. Roberto Buonanno, docente di Astronomia Università “Roma Tor Vergata”,


presidente SAiT, Società astronomica italiana
“L’astronomia prima di Galileo” 9

Prof. Paolo Galluzzi, docente di Storia della scienza Università di Firenze


direttore istituto e museo di Storia della scienza di Firenze
“Da Galileo a Newton, genesi e affermazione dell’Universo-Macchina” 41

Prof. Xiaochun Sun, docente di Storia della scienza, Chinese Academy of Science, Pechino
istituto di Storia di scienze della natura
“L’impatto del telescopio e delle scoperte di Galileo nell’astronomia cinese nei secoli XVII e XVIII” 59

Prof. Filippo Mignini, docente di Filosofia e direttore istituto Matteo Ricci, Università di Macerata
“La Cina di Matteo Ricci e l’astronomia tra Oriente e Occidente” 79

Prof. Alessandro Omizzolo, astronomo, Specola Vaticana


“Creazione ed evoluzione cosmica. Un contrasto che non esiste” 97

Prof. Aldo Altamore, docente di Fisica e Didattica dell’astronomia Università, Roma Tre
“Astronomia a scuola: prospettive per un insegnamento integrato delle scienze” 113

Prof. Giuseppe Marucci, ispettore tecnico Miur- Roma


“Osservatori, musei, nuove tecnologie e media” 133

Dott. Enrico Saggese, presidente Asi, Agenzia spaziale italiana


“L’esplorazione spaziale italiana” 147
Introduzione
Attualità dell’astronomia
e percorsi formativi
Giuseppe Marucci
Attualità dell’astronomia
e percorsi formativi
Giuseppe Marucci
Ispettore tecnico MIUR

“Attraverso l’osservazione del cielo, si invitano i cittadini di tutto il mondo, e so-


prattutto i giovani, a riscoprire il proprio posto nell’universo, il senso profondo
dello stupore e della scoperta, le ricadute e l’importanza della scienza sulla vita
quotidiana e sugli equilibri globali della società”
(dal sito italiano dell’IYA, Istituto nazionale di astrofisica).

Le attuali frontiere dell’astrofisica toccano un ampio ambito di scienze,


dallo studio della natura della materia e dell’energia, all’origine della vita.
L’astronomia è dunque un efficace strumento per un approccio interdi-
sciplinare alle scienze della natura e offre un’occasione propizia per miglio-
rare l’accoglienza e l’integrazione delle comunità.
Invita all’incontro e alle attività che permettono di scoprire l’immensa ric-
chezza custodita nelle visioni del cosmo tramandate dalle diverse culture.
L’impegno della scuola e dell’università è quello di promuovere, anche
attraverso il tema dell’astronomia, scambi culturali tra realtà geograficamen-
te distanti.
Questa guida, pertanto, vuole essere un contributo del MIUR, Ministero
dell’Università, dell’Istruzione e della Ricerca, che si affianca alle azioni di
informazione e di formazione degli insegnanti del primo e del secondo ciclo
scolastico.
Un ruolo insieme di guida e di indirizzo, nella formulazione di una nuova
e più ampia offerta formativa, del quale comunque rimane artefice il docente
con la sua classe.
Uno strumento grazie al quale l’approfondimento accademico torna ad
essere immediatamente fruibile ed accessibile alla popolazione studente-
sca, grazie alle opportune indicazioni date ai docenti, nel merito dei diversi
ambiti tematici.
Ci sono infatti ampi spazi per considerare l’astronomia, ovvero i contenu-
Astronomia ieri e oggi - Attualità dell’Astronomia e percorsi formativi 7

ti e i metodi astronomici, punti di riferimento nell’insegnamento delle scienze


naturali nei licei e delle scienze integrate negli Istituti tecnici e professionali
e più in generale per tutti gli insegnamenti scientifici (compresa la matema-
tica) e non solo scientifici, in tutti i gradi e ordini di scuola.
Una guida intesa come uno strumento editoriale che possa essere di
compendio ed approfondimento ad altri materiali già in uso nelle scuole e
nelle università.
Uno strumento che possa essere di sostegno e indirizzo, che coadiuvi i
docenti nell’affrontare la materia in modo più ampio, produttivo e coerente,
con suggerimenti e approfondimenti.
Il focus della guida è dunque questo: aprire la via ai docenti ma anche
attrarre alla lettura tutti gli appassionati intenzionati ad approfondire le loro
conoscenze, per avvicinare e riavvicinarsi al cielo, in un contesto di riferi-
menti culturali di ricerca, interdisciplinarità e approfondimento più ampi.
Un volume che torni a invogliare allo studio, che accompagni lo studente
nel suo percorso di sapere e scienza, sino a quando non abbia acquisito
maggiore e definitiva consapevolezza di sé, delle sue potenzialità.
Un volume che guardi alla scuola di domani, senza dimenticare la pre-
ziosa eredità lasciataci grazie all’impegno, al sacrificio, all’ideale dei grandi
scienziati del passato.
L’astronomia
prima di Galileo
Roberto Buonanno
L’astronomia prima di Galileo
Roberto Buonanno
Docente di astronomia Università “Roma Tor Vergata”
Presidente Società astronomica italiana

Premessa
A noi sembra ragionevole pensare che gli uomini si siano interessati al cielo
da sempre, e che il concetto stesso di storia sia nato con quella tensio-
ne intellettuale che é stata messa in moto quando qualcuno ha avvertita
l’esigenza di comprendere le dinamiche che venivano osservate nel mondo
naturale. Quando siamo passati dalla osservazione del firmamento a quella
della regolarità dei moti celesti é nato probabilmente lo stupore e da qui la
presa di coscienza del proprio essere e la consapevolezza che la condizione
umana é diversa da quella delle altre specie animali.
Certo, quando parliamo di storia dell’astronomia, il riferimento è più
concreto rispetto a questi temi generali. Tuttavia cercare di risalire ad una
data, ad un punto preciso dopo il quale si può considerare che siano nate
le scienze del cielo é un’altra cosa. Proprio perché pensiamo che l’istinto di
osservare il cielo è antico tanto quanto la comparsa del primo barlume di
consapevolezza nell’uomo preistorico, non possiamo neppure immaginare
che esista una traccia del momento in cui nasce l’astronomia, il momento,
cioè, nel quale é sorta l’esigenza di comprendere il motivo della regolarità
del cosmo attorno a noi.
Tutto sommato é una situazione concettualmente simile a quella nella
quale ci imbattiamo quando, alla fine di una conferenza sull’origine dell’uni-
verso, qualcuno chiede di conoscere “quando” é nato l’universo con il co-
rollario di cosa c’era “prima”. Con l’esperienza, abbiamo messo nel nostro
bagaglio una serie di risposte standard a domande come questa, per esem-
pio che il tempo non esiste “prima” dell’universo, ma la verità é che questo
momento di cesura fra prima e dopo semplicemente non esiste perché
la fisica dell’universo primitivo diventa intrinsecamente indeterminata. Allo
stesso modo la consapevolezza dell’uomo primitivo del proprio essere e
del mondo nel quale vive è un processo progressivo che non permette di
identificare alcun momento inziale.
Astronomia ieri e oggi - L’astronomia prima di Galileo 11

D’altra parte per raccontare una storia dobbiamo pur partire da un


certo punto e noi qui abbiamo scelto di partire da un momento, confuso
perchè antico ma che tuttavia possiamo sperare di riuscire a segnare
sul calendario della Storia. Il momento nel quale qualcuno ha inventate le
costellazioni nel cielo.

Le costellazioni
L’idea che esistano in cielo dei disegni che rappresentano le figure più dispa-
rate ci è talmente abituale che quando, alzando gli occhi verso il cielo, abbia-
mo difficoltà a identificare questi disegni, quasi ce ne facciamo una colpa e
pensiamo che è la nostra inesperienza che non ci permette di vederle.
Non é così. Per identificare le figure che vengono rappresentate nelle
costellazioni nel cielo, a parte le tre o quattro più visibili, ci vuole molta molta
fantasia. Il motivo per cui questi disegni nel cielo ci sono molto familiari non
é che sono ben evidenti in cielo, tutt’altro, ma è che sono antichissimi, molto
più antichi dei nomi latini e greci che essi portano. Ce lo dicono gli autori
antichi – Arato di Soli, per esempio, e Omero stesso che nomina l’Orsa e il
pastore Boote – che parlano delle costellazioni come se fossero ben note
ai loro lettori. Ma a chi é venuto in mente di intraprendere quel lavoro tanto
complicato di unire con linee immaginarie le stelle nel cielo e identificare
delle figure comprensibili ai più e perché?
Il motivo ce lo possiamo soltanto immaginare e ha sicuramente a che
fare con il fatto che il cielo che si osserva non solo cambia durante l’anno ma
cambia anche quando ci si sposta da un luogo all’altro (per osservare que-
sto secondo cambiamento bisogna spostarsi di alcune centinaia di chilome-
tri lungo un meridiano). Il cambiamento delle stelle nel cielo che osserva un
agricoltore è un fenomeno che gli torna sicuramente utile per riconoscere la
stagione per i raccolti e le semine, mentre quello che osserva un marinaio
gli è indispensabile per conoscere “dove” si trova. Sia per l’agricoltore che
per il marinaio, in ogni caso, è molto più facile e certamente più rassicurante
riconoscere la cintura del cacciatore dagli occhi celesti, Orione, seguito dal
suo fedele cane, Sirio, piuttosto che identificare un pugno di stelle allineate.
È anche più facile da ricordare che quelle cinque stelle che formano una W
nel cielo, di fatto rappresentano quella civetta della regina Cassiopea che
deve essere tenuta continuamente sotto stretto controllo da suo marito, il
re Cefeo che è disegnato da sei stelline lì vicine.
Che il motivo per inventare le costellazioni sia di questa natura ce lo con-
ferma il fatto che anche le civiltà più lontane fra di loro, come quella cinese,
quella indiana e perfino quella degli aborigeni sudafricani hanno immaginato
di vedere in cielo i disegni delle loro tradizioni, segno che le costellazioni
hanno a che fare con esigenze importanti della vita umana.
Assumiamo quindi che il motivo per inventare le costellazioni sia legato
alla agricoltura e alla navigazione e cerchiamo di rispondere alla domanda
fondamentale di chi ha inventato le costellazioni.
Noi nell’emisfero boreale vediamo che, a causa della rotazione terrestre,
il cielo compie una rotazione ogni 24 ore attorno al polo Nord celeste men-
tre gli abitanti dell’altro emisfero vedono il cielo che ruota attorno al polo
Sud celeste. Siccome la Terra compie anche una rivoluzione annuale attorno
al Sole (Scheda 1), un osservatore –poniamo– a una latitudine intermedia
dell’emisfero boreale, vedrà che ci sono stelle che restano nel cielo solo in
alcuni periodi e che altre restano in cielo tutte le notti dell’anno. Si può anche
immaginare che esistano stelle che restano sempre nascoste per questo
osservatore.
È da questa semplice osservazione che possiamo partire per rispondere
alla domanda che ci siamo posti. È evidente, infatti, che la porzione di cielo
che non osserviamo attorno al polo Sud dipende dalla nostra latitudine per
cui, se fossimo esattamente al polo Nord, non potremmo vedere neppure
una stella al di sotto dell’Equatore, mentre se ci trovassimo all’Equatore
vedremmo tutto il cielo che, ogni notte, sorge e tramonta. Questo concetto
era chiaro a un grande astronomo greco, Ipparco, il quale, confrontando nel
II secolo la posizione di alcune stelle con quella ricavata molto prima da un
altro astronomo greco, Eudosso, non riusciva a capacitarsi come quest’ulti-
mo potesse parlare di costellazioni che egli, pur vivendo negli stessi luoghi,
non vedeva e, al contrario, egli vedesse stelle brillanti che Eudosso, nel IV
secolo, non nominava. Da qui Ipparco arrivò all’unica spiegazione che gli
sembrava ragionevole, cioè che l’asse di rotazione della Terra si sposta con
un movimento che prende il nome di precessione degli equinozi. Ipparco
riuscì anche a calcolare che la velocità di questo spostamento era di circa
360° ogni 26.000 anni. Proviamo a riassumere: la zona di cielo che resta
nascosta alle osservazioni in una data epoca è un cerchio il quale si sposta
di circa 50 secondi d’arco ogni anno in modo tale da creare una forma curva
(in 26.000 anni il cerchio ritorna al punto iniziale), per cui dalla dimensione
dell’area senza costellazioni possiamo risalire alla latitudine del luogo dove
viveva il popolo che ha inventato le costellazioni ma, anche, dal centro del
cerchio dove mancano le costellazioni riusciamo a sapere quando quel po-
polo ha fatto questa invenzione. Il gioco si fa interessante e infatti molti
astronomi lo hanno giocato!
Per esempio, circa un secolo fa, un astronomo inglese, Andrew Clau-
de de la Cherois Crommelin, ha stabilito con discreta precisione che l’area
senza costellazioni é ampia circa 36° mentre un altro astronomo inglese,
Edward Walter Maunder, ha calcolato a ritroso la precessione degli equinozi
arrivando così alla conclusione che il popolo che ha disegnato per primo le
costellazioni viveva circa 36° a nord dell’equatore circa 4500 anni fa!
Ora: individuato il periodo della nascita delle costellazioni e la latitudine
dove vivevano gli inventori, rimane da individuare la paternità dell’invenzione.
Astronomia ieri e oggi - L’astronomia prima di Galileo 13

Costellazione di
Orione e sua rappre-
sentazione ad opera di
J. Hevelius

Siamo in un’epoca di cui rimangono testimonianze sufficienti ad ipotizzare


attribuzioni fondate. A quale tra le civiltà fiorenti in quel periodo, bisogna
guardare? Il cerchio si stringe.

Scheda 1: La precessione degli equinozi


La precessione è un fenomeno che riguarda la rotazione dell’asse terre-
stre ed è conosciuta sicuramente dai tempi di Ipparco di Nicea (II secolo
a.C.) il quale, misurando la posizione di diverse stelle e confrontandola
con quella determinata da Eudosso circa tre secoli prima, si rese conto
che tutte sembrava che si fossero spostate. Il motivo é che la Terra ruo-
ta su se stessa e contemporaneamente percorre una traiettoria ellittica
intorno al Sole. I due moti, di rotazione e di rivoluzione, che determinano
l’alternarsi del giorno e della notte ed il ciclo delle stagioni (conseguenza
quest’ultimo anche dell’inclinazione dell’asse terrestre), presentano due
assi di rotazione differenti: l’asse del moto di rotazione, cioè, risulta incli-
nato di circa 23° rispetto all’asse del moto di rivoluzione. La precessione
degli equinozi è il risultato del movimento dell’asse di rotazione rispetto
a quello di rivoluzione, causato da due effetti: il primo é l’attrazione gravi-
tazionale del Sole e della Luna, il secondo è la forma della Terra che non
è perfettamente sferica. Questo movimento, paragonabile al movimento
di una comune trottola e causato dallo stesso principio fisico, consiste nel
fatto che l’asse di rotazione descrive un cono attorno a un asse parallelo
a quello dell’asse di rivoluzione. La durata di un ciclo completo di pre-
cessione, ovvero il tempo che l’asse di rotazione impiega per compiere
un giro completo é di circa 25.700 anni. È appena il caso di notare che
questi ragionamenti richiedono che sia pienamente accettata l’idea che
la Terra sia all’incirca sferica. Questo è un concetto che in Grecia viene
sistematizzato attorno al VI secolo con Parmenide e con Pitagora ma che
è certamente patrimonio di civiltà più antiche.
Gli Egizi?
Sembrano candidati naturali: il nord dell’Egit-
to si trova a 31° di latitudine, la loro civiltà si
sviluppa a partire dal 3000 a.C. e giunge fino
all’epoca della conquista dei Romani. Gli Egi-
ziani erano sicuramente in grado di organizza-
re una catalogo celeste figurato come quello
del quale stiamo parlando, anche se la rappre-
sentazione più completa dei segni dello Zodia-
co che abbiamo ereditato dalla civiltà egizia è
la mappa di Dendera (attualmente al Louvre)
che risale soltanto al I secolo. Tuttavia non
sembrano i candidati più probabili per diversi
motivi. In primo luogo la posizione dell’Egitto è
Faro di Alessandria
un po’ troppo meridionale rispetto ai 36° che
ci aspettiamo; in secondo luogo sappiamo che l’altissima evoluzione che
caratterizzava la civiltà egizia, li aveva portati ad apprendere il valore del-
la parola scritta. Conoscendo la scrittura, ci aspetteremmo che avrebbero
dovuto parlare diffusamente di una eventuale pratica di immaginare figure
nel cielo, vista anche la grande importanza che la volta celeste aveva nella
loro civiltà. Ma nei documenti scritti degli Egizi non v’è traccia particolare di
questa eventuale invenzione e anche nei documenti come lo Zodiaco della
città di Dendera al quale abbiamo fatto cenno, appaiono tutti i segni zodiaca-
li che conosciamo con, in aggiunta, costellazioni “africane” come quelle del
coccodrillo, dell’ippopotamo e del babbuino come se, questi segni fossero
stati aggiunti a un corpus preesistente, che é poi quello che é giunto fino a
noi. In conclusione sembra che questa indagine tenda a escludere che gli
Egizi abbiano inventato le costellazioni.

I Fenici?
I Fenici hanno due buoni motivi per entrare nel novero dei sospettati: in
promo luogo vivevano a 33°- 34° di latitudine, cioè più a nord degli egiziani,
e poi, essendo degli eccellenti navigatori avrebbero avuto un buon motivo
per rendere più facile l’osservazione del cielo al fine di orientarsi. Esistono
però motivi che ci inducono a non considerarli fra i sospettati più credibili.
In primo luogo la loro civiltà si sviluppa 1000 anni più tardi rispetto ai 4500
anni fa che la precessione degli equinozi sembra indicare. Certo non possia-
mo escludere che essi possano aver disegnato nella loro mente le immagini
del cielo ben prima che sviluppassero al massimo la loro civiltà e prima
che utilizzassero diffusamente la scrittura, ma in questo caso verrebbe a
mancare la motivazione per farlo perchè nel 2500 a.C. i fenici ancora non
Astronomia ieri e oggi - L’astronomia prima di Galileo 15

erano i grandi navigatori che avevano la necessità di orientarsi nel mare.


Inoltre la mitologia di questo popolo è molto diversa da quella dello zodiaco
così come lo conosciamo1. Tutto considerato, abbiamo buoni motivi per far
uscire i Fenici dal novero dei sospettati.

Ziggurat di Tallil

Chi resta?
Esaminiamo la civiltà degli Assiro-Babilonesi. Non c’è dubbio che come pe-
riodo storico ci siamo perché la civiltà babilonese fu dominante in medio
oriente per tutto il secondo e il primo millennio a.C. Il loro interesse per
l’astronomia è fuor di dubbio: utilizzavano infatti un calendario astronomico
molto avanzato basato sulle fasi della luna che, nel loro olimpo, era la dea
Ishtar. Moltissime sono le tavolette di creta, da loro utilizzate per scrivere,
nelle quali sono riportate mappe celesti e, in aggiunta, attualmente si ritiene
che la funzione più probabile delle zigurat, cioé di quelle torri che ancora
oggi si trovano in buon numero in quelle regioni, fosse quella di osservato-
ri astronomici utilizzati dai sacerdoti babilonesi. Non c’è dubbio infine che
questi popoli vivessero alla latitudine giusta, visto che l’attuale Bagdad si
trova a 34° Nord, per cui il principale indizio del quale disponiamo corri-
sponderebbe piuttosto bene. L’ultimo pezzo del puzzle che sembra andare
a posto è che il racconto del poema più antico del quale disponiamo, quello
di Arato del III secolo aC, che a sua volta si rifà a tradizioni molto precedenti,
sembra convergere, secondo lo studio dell’orientalista Robert Brown, verso
la conclusione che le costellazioni esistenti e che la zona di cielo priva di
costellazioni corrispandono alla configurazione del cielo che si osservava da
Babilonia attorno al 2084 a.C.
Abbiamo così identificato gli autori delle costellazioni nel cielo? Non è detto.
Quello che sappiamo con ragionevole certezza è dove e quando questi au-

1
A. E. Roy, 1983, l’Astronomia, n. 24
tori sono vissuti. Da questi due elementi siamo risaliti a tre possibili sospetti
(qualcuno aggiunge al gruppo la civiltà dei Minoici prima della sua distru-
zione ad opera della eruzione vulcanica del 1628 a.C. Siamo poi riusciti a
escludere un paio di possibili candidati con argomenti ragionevoli, mentre
un terzo resiste. Naturalmente non si tratta di una conclusione definitiva per-
ché, utilizzando il metodo scientifico, se emergesse anche una sola prova
contro la nostra ipotesi dovremmo rimetterci al lavoro e trovare un nuovo
indiziato che possa strappare agli Assiro Babilonesi il merito di permettere
a tante persone di uscire ogni mattina confortati dal loro oroscopo positivo
(ancorché generico quanto basta).
“Escluso l’impossibile, tutto ciò che resta, per quanto improbabile, è pur
sempre la verità” (Sherlock Holmes).

Il metodo
Quando si parla di astronomia bisogna avere sempre presente che i dati sui
quali possiamo contare sono pochi, i segnali deboli e spesso incerti. Questo
è vero soprattutto quando, come abbiamo visto nel caso delle costellazioni,
cerchiamo di ricostruire l’astronomia degli antichi. Un astronomo è un po’
come un archeologo che si imbatte in pochi reperti, spesso non connessi
immediatamente fra loro, e da questi deve ricostruire un quadro generale.
Anche quando si studiano epoche storiche più vicine, per esempio quelle
della astronomia dei Greci, ci si imbatte in difficoltà, per così dire, culturali.
I Greci antichi, infatti, generalmente non consideravano indispensabile fare
riferimento nei loro scritti ai modelli vigenti al momento: quando un astrono-
mo elaborava una nuova teoria, considerando superate quelle precedenti,
non si curava di descrivere le opinioni dei suoi predecessori. Il risultato di
questa indifferenza alla conservazione del “superato” e del “vecchio” é che
su molti argomenti ci è pervenuta una immagine molto parziale dei concetti
che avevano elaborato gli autori greci presocratici e di quanto avanzata
fosse la società greca anche dal punto di vista tecnologico2.

Le teorie antiche: la centralità e l’immobilità della Terra


Nell’analizzare oggi le teorie e le ipotesi elaborate dai popoli antichi non
bisogna compiere l’errore di giudicarle alla luce delle conoscenze attuali:
l’idea che la Terra fosse ferma e che l’universo girasse attorno a essa, era
del tutto ragionevole e adeguata alla osservazione diretta che mostrava le
stelle sorgere e tramontare in una notte, così come faceva il Sole durante il
giorno. È proprio con l’affinamento delle osservazioni che ci si rende conto

2
Per un esame complessivo dell’argomento, Lucio Russo, 1996, La rivoluzione dimenticata. Il
pensiero scientifico greco e la scienza moderna, ed. Feltrinelli, Milano.
Astronomia ieri e oggi - L’astronomia prima di Galileo 17

che il quadro cosmologico richiede degli aggiornamenti ed é solo quando i


dati sono tali da dimostrare che non è più possibile aggiustare il sistema che
questo viene abbandonato.
La semplice osservazione che il Sole sorge e tramonta, per poi sorgere
nuovamente il giorno seguente è stata una delle evidenze più importanti per
concludere che la Terra ha una forma sferica. Certo, si tratta solo di un indi-
zio ma non è il solo. Un altro indizio ce lo fornisce l’osservazione che tutto le
stelle sembrano ruotare attorno a un punto del cielo vicino alla stella Polare
ma, quando ci si sposta lungo un meridiano, si osserva che questo punto
si alza o si abbassa rispetto all’orizzonte a seconda se ci muoviamo verso
nord o verso sud: non è questa una indicazione che la Terra sia all’incirca
sferica? E poi, se la Luna e il Sole sono rotondi, non è ragionevole pensare
che lo sia anche la Terra? Le evidenze che gli esseri umani vivano su una
superficie sferica sono quindi molteplici e non c’è dubbio che gli uomini
abbiano raggiunto molto presto questa convinzione.

N. Bertin,Carro del Sole, 1720. Museo del Louvre, olio su tela


La natura della Luna
La Luna è, forse addirittura più del Sole, l’oggetto celeste che richiama mag-
giormente la nostra attenzione. Il fatto che presenti le sue fasi in maniera re-
golare la rende particolarmente adatta a misurare il tempo e quindi a fungere
da calendario naturale. Di tanto in tanto, poi, si osserva un’ombra gigantesca
che la oscura e, quando si capisce che si tratta dell’ombra della Terra che si
è frapposta fra la Luna e il Sole, si ha la conferma definitiva che la forma della
Terra è sferica visto che la sua ombra appare perfettamente circolare.
La Luna sembra così fortemente associata al nostro pianeta che diventa
naturale chiedersi di cosa sia fatta.
La risposta, della quale abbiamo testimonianza già dal VI secolo, é di una logi-
ca deduttiva tanto disarmante quanto gravida di conseguenze: poiché la Luna
non può essere fatta di fuoco come il Sole in quanto illumina ma non brucia, e
poiché non può essere né di aria né di acqua in quanto non è possibile guar-
dare attraverso di essa, dobbiamo dedurre che può essere fatta dell’unico
elemento restante, cioè la terra, esattamente come il nostro pianeta. Poiché,
poi, la Terra non è luminosa concludiamo che la luce che proviene dalla Luna
é di fatto solo un riflesso della luce del Sole. La conclusione che i corpi che
vediamo in cielo sono fatti della stessa materia del nostro pianeta porta la
conseguenza che essi rispondano alle stesse leggi fisiche che governano la
nostra vita per cui é possibile esaminare il loro comportamento sulla base
della nostra esperienza: in altri termini vengono poste di fatto le basi per lo
studio scientifico del cielo.
Il passo successivo a questa deduzione è quello di misurare le dimensioni
relative di Terra e Luna. Il metodo é piuttosto semplice: poiché si pensa che il
Sole si trovi lontanissimo, i suoi raggi arrivano sulla Terra praticamente paral-
leli fra loro, per cui basterà attendere che si verifichi una eclisse della Luna,
cioè attendere il momento in cui la Terra si frappone fra questo e la Luna e
osservare le dimensioni dell’ombra che la Terra proietta su quella. In questo
modo si conclude che il raggio della Luna é circa ¼ di quello della Terra, un
risultato che approssima bene le misure moderne.
Non restava a questo punto che misurare la Terra. Eratostene di Cirene (c.
276-c. 195 a.C), amico di Archimede e responsabile della grande biblioteca di
Alessandria, si trovava con un problema pratico in quanto il sovrano Tolomeo
Filadelfo, per regolare il grande traffico marittimo della città, aveva deciso che
era necessario costruire un grande faro che fosse visibile da una cinquantina
di chilometri di distanza in modo da evitare alle navi in arrivo il rischio di are-
narsi sui bassi fondali creati dalla corrente del Nilo3. Probabilmente è proprio
la necessità di calcolare l’altezza del faro che spinse Eratostene a inventare un
sistema per misurare la curvatura della Terra. Ecco quale deve essere stato

3
E. Lo Sardo, 2007, Il Cosmo degli Antichi, Donzelli ed.
Astronomia ieri e oggi - L’astronomia prima di Galileo 19

il suo ragionamento. Se il Sole si trova una distanza grandissima dalla Terra


(una ipotesi che, come abbiamo visto, si rivela indispensabile per una serie
di ragionamenti) possiamo immaginare che i suoi raggi giungano sulla Terra
paralleli fra di loro. Ora, se si scelgono due luoghi lungo lo stesso meridiano
e abbastanza distanti fra di loro (in effetti per effettuare la misura non è ne-
cessario che i due luoghi siano sullo stesso meridiano ma in questa maniera
i calcoli risultano molto più semplici) e si misura nello stesso momento l’incli-
nazione dei raggi del sole, è chiaro che la differenza fra questa inclinazione
che si osserva nei due luoghi prescelti non dipende dai raggi solari che sono
paralleli ma dalla diversa inclinazione della superficie terrestre in quei due
luoghi, cioè dalla curvatura della Terra.
I due luoghi scelti da Eratostene erano Alessandria (dove lui viveva) e Sie-
ne (l’attuale Assuan), il momento scelto era il mezzogiorno del solstizio d’esta-
te perché si sapeva che in quel momento il Sole a Siene era esattamente in
verticale per cui a Eratostene fu sufficiente misurare la lunghezza dell’ombra
di uno gnomone ad Alessandria per calcolare che i raggi formavano un angolo
di 7° con la superficie della Terra. A questo punto era sufficiente conoscere
la distanza fra le due città per calcolare, con una semplice proporzione, la
circonferenza della Terra e quindi il suo raggio. Il risultato raggiunto da Erato-
stene è di una precisione quasi sbalorditiva perché stimò che la Terra avesse
una circonferenza di circa 45000 km, rispetto alle stime attuali di 40000
km (in effetti esiste fra gli specialisti un certo dibattito sulle unità di misura
utilizzate da Eratostene ma nessuno mette in dubbio l’incredibile accuratezza
della sua stima).
La conseguenza immediata è che gli astronomi greci furono immedia-
tamente in grado di stimare che il raggio della Luna supera di poco i 1790
chilometri, rispetto ai 1735 misurati attualmente.

Le distanze della Luna dalla Terra


Il passo successivo, quello di misurare la distanza della Luna dalla Terra ri-
chiede capacità di osservazione, conoscenze di calcolo matematico e tanto
ingegno.
Si tratta di una misura che possiamo compiere anche da soli. Se si pren-
de una moneta della quale conosciamo il diametro,è sufficiente allontanarla
dal proprio naso fino al punto da fare in modo che copra l’intera superficie
della Luna. A questo punto il problema diventa quello elementare dei trian-
goli simili per cui la distanza della Luna è data da

D luna = D moneta d Luna / d moneta

dove con D abbiamo indicato le distanze e con d i diametri della Luna e della
moneta.
Siccome si conoscono la distanza alla quale è necessario portare la
moneta per coprire la Luna e i diametri sia della moneta che della Luna, il
risultato è immediato. Questo metodo, tutto sommato, è un metodo basato
sull’eclisse della Luna da parte della moneta e Aristarco di Samo (circa 310-
230 a.C.), con un ragionamento basato sulla eclisse della Luna da parte
del Sole ottenne che la distanza della Luna dalla Terra è di circa 110 volte il
diametro della Luna stessa: un risultato di accuratezza sorprendente.

Scheda 2: Dimensioni e caratteristiche della Luna


Il diametro della Luna è di 3470 km (circa un quarto di quello terrestre); la
distanza media tra la Terra e la Luna è pari a 30 volte il diametro terrestre,
ossia circa 384 000 km. A causa della sua vicinanza, la Luna ci appare
molto grande, nonostante sia un astro relativamente piccolo, infatti. il suo
volume è pari a 21 990 milioni di km3 ovvero il 2% del volume della Terra.
La sua superficie è di 37,960 milioni di km2 (il 7,4% di quella terrestre),
mentre la massa della Luna è l’1,2% della massa terrestre. La densità è
pari a 3,33 (contro i 5,5 della Terra). Basso è poi il valore della gravità che
sulla superficie lunare è circa un sesto di quella terrestre.

La distanza tra la Terra ed il Sole


Nel III secolo gli astronomi misurarono anche la distanza della Terra dal
Sole anche se questa volta sbagliarono di molto. Non che avessero fatto
un ragionamento sbagliato: ma la misura era difficilissima, tanto è vero che
fu applicato correttamente solo duemila anni più tardi. In poche parole, il
metodo utilizzato è quello descritto nella figura che segue
Bisogna attendere che Luna, Terra e Sole si trovino in quadratura come in
figura. Al primo quarto di Luna, quando risulta visibile anche il Sole, i due astri
formano un angolo di 90°. I triangoli rettangoli, come quello Terra-Luna-Sole in
questo caso, godono di proprietà particolari (che i Greci conoscevano benis-
simo) fra le quali c’è quella che, misurando un angolo e conoscendo un lato, é
possibile risalire a tutti i lati del triangolo. Nel nostro caso il lato del triangolo
che si conosce é proprio la distanza Terra-Luna per cui Ipparco pensò di mi-
surare l’angolo del vertice del triangolo sul Sole e trovare così l’ipotenusa del
triangolo, cioè proprio la distanza fra Terra e Sole.
Il ragionamento è corretto ma l’angolo che Ipparco voleva misurare è di
fatto piccolissimo a causa della enorme distanza alla quale si trova il Sole per
cui risultava impossibile da misurare con i mezzi a sua disposizione (cioè qua-
si nessuno). Il risultato fu che, avendo ottenuto che l’angolo era più grande di
quanto in realtà non sia, la distanza che Ipparco calcolò in questa maniera, cir-
ca 1200 volte il raggio della Terra, era circa 20 volte minore di quella reale.
Astronomia ieri e oggi - L’astronomia prima di Galileo 21

Sole

Luna

Terra

Ipparco aveva quindi progettato un metodo corretto, dando prova della


straordinaria capacità della cultura greca di porsi domande, di formulare
interrogativi e, in ultima analisi, di indagare la Natura in tutte le sue forme ed
in ogni suo aspetto. Il suo errore di misura, tuttavia, dovuto alla inadeguatez-
za degli strumenti che aveva a disposizione, ebbe ripercussioni formidabili
nella storia umana (almeno in quella occidentale). La distanza del Sole che
Ipparco aveva ottenuta fu adottata da Tolomeo, l’ultimo grande astronomo
dell’antichità, che la pose alla base della sua grande costruzione cosmologi-
ca e rimase in auge fino al 1700, quando Gian Domenico Cassini, utilizzando
una tecnica completamente differente, ottenne una misura molto vicina alla
distanza corretta. Se il Sole si trova a una distanza dalla Terra piccola come
quella che Ipparco aveva misurata porta a concludere che l’universo nel
quale viviamo abbia dimensioni modeste per cui viene naturale considerare
che questo è stato fatto in funzione dell’uomo sulla Terra: è solo con le smi-
surate distante trovate da Cassini che si capisce che il Sole è enorme e che,
sopratutto, è enorme lo spazio che separa la Terra dal resto dell’Universo.
Questo spazio, che risulta essenzialmente vuoto, porta gli uomini del ‘700 a
chiedersi per la prima volta se la Terra e noi stessi siamo poi così importanti
nella economia del Creato.

Sole ripreso a differenti lunghezze d’onda


dalla sonda Stereo
Scheda 3: parametri del Sole
Il Sole è una stella di classe spettrale G2 che si trova a una distanza di un
po’ meno di 150 milioni di km. Il suo raggio è di 696000 Km (cioè 100
volte il raggio della Terra). La sua massa é di 1.99x1030Kg pari a 33000
volte quella della Terra e 743 volte quella di tutti i pianeti del sistema
solare messi assieme. La temperatura media della superficie (fotosfera)
è di circa 6000 gradi.

Aristotele: un filosofo che parla di cosmologia


Naturalmente i risultati delle misure e delle intuizioni ottenute nel corso di
tanti secoli richiesero, soprattutto per un popolo speculativo come quello
degli antichi greci, che qualcuno ne tentasse una sintesi. Probabilmente la
più importante (e che ci è giunta in maniera completa) è quella che si trova
nel Timeo di Platone (siamo nel IV secolo). Non c’è dubbio –spiega Platone
per bocca di Timeo nel trattato che prende il suo nome- che il mondo non
sia sempre esistito ma che abbia avuto un inizio: questo mondo è nato per
l’intervento di un Creatore-artigiano che deve rispettare leggi già esistenti.
Con questo concetto di un Dio che non ha infinite scelte davanti a sé, Timeo-
Platone apre un dibattito tanto profondo da risultare ancora oggi attualissi-
mo. Un secondo punto che viene affrontato nel Timeo è la costituzione del
mondo: questo è fatto da quattro elementi, terra, acqua, aria e fuoco che si
inseriscono in strutture geometriche (anche queste preesistenti come idee)
per realizzare il mondo nel quale viviamo.
È questo, per grandi linee, il quadro nel quale si perviene alla visione
cosmologica di Aristotele, uno degli allievi di Platone, che avrà una profon-
dissima influenza nella cultura europea per oltre duemila anni. Il cosmo di
Aristotele risponde alla esigenza sia filosofica che politica (è l’epoca di Ales-
sandro Magno e l’epoca in cui il mondo della piccola Grecia entra in contatto
con gli enormi imperi medio-orientali) di creare un unicum compiuto, orga-
nico, una fisica della natura dove il problema della conoscenza mostrava la
forte esigenza di attribuire al mondo una finalità. La finalità della cosmologia
aristotelica è quella di trovare un sistema capace di spiegare come funzioni
il mondo, inserendo ogni dinamica in una sequenza chiusa e compiuta perfi-
no spiegabile. Un quadro di funzionamento logico, che tuttavia lascia al suo
interno grandi contraddizioni.
Con Aristotele l’astronomia da quantitativa diventa speculativa. I fenome-
ni sono elementi la cui interpretazione è al servizio di un disegno filosofico
rigido: l’interpretazione dei dati diviene funzionale alla visione cosmologica
nella sua interezza. Si tratta indubbiamente di un regresso culturale perché
la cosmologia dei Greci, fino a quel momento, era basata sulla misura, su
un dato, cioè, riscontrabile e verificabile da chiunque mentre da quel mo-
Astronomia ieri e oggi - L’astronomia prima di Galileo 23

mento assume il ruolo di schema immutabile


all’interno del quale inserire le osservazioni.
Lo sviluppo dell’astronomia e della fisica che
si era registrato precedentemente si arresta
perché nasce una priorità filosofica, estetica e
non più scientifica.
La cosmologia aristotelica, per molti versi
non particolarmente originale e innovativa, si
è dimostrata funzionale a esigenze politiche e
ideologiche diverse. Il cosmo di Aristotele è
un cosmo unico, chiuso e eterno, refrattario
al cambiamento, esattamente quello che sem-
bra richiesto per giustificare logicamente le J. L. J. Ferris, Aristotele insegna
dinastie divinizzate dei re persiani, dei faraoni ad Alessandro Magno, 1895
egizi e di Alessandro Magno stesso4. Il mondo
degli umani, poi, nella visione di Aristotele è
costituzionalmente diverso da quello celeste per cui il divino (e ciò che ema-
na dal divino) è essenzialmente inconoscibile. Questa visione del mondo si
presta a una lettura particolarmente rigida e colma di sillogismi come dimo-
strerà quella parte dell’occidente cristiano che adotterà l’aristotelismo come
impalcatura filosofica del messaggio evangelico e che Galileo, a distanza
di duemila anni, smonterà pagando, come sappiamo, un prezzo personale
assai elevato.
Aristotele ha, in ogni caso, il merito di aver lasciato una preziosa te-
stimonianza delle teorie elaborate dai suoi predecessori: preoccupandosi
di esporre le concezioni in auge prima della formulazione delle sue teorie
le illustra al fine di spiegare dove e come sono errate e, contestandole, ne
lascia una traccia scritta che perviene fino a noi.

Il cielo aristotelico
Aristotele tratta della sua visione cosmologica nella sua opera Il cielo dove
riprende da Platone l’idea che il cosmo vicino alla Terra sia composto di quat-
tro elementi, terra, acqua, aria e fuoco. La Terra è posizionata al centro del
mondo e la materia della quale è costituita è un misto dei quattro elementi già
identificati da Platone. I corpi celesti, e tutto lo spazio che li separa dalla Terra,
sono costituiti da un quinto elemento, l’etere, che ha natura di incorruttibilità e
di perfezione. Le stelle rappresentano lo sfondo che racchiude l’universo.
L’etere, detto anche quintessenza, occupa tutto lo spazio esistente tra
i vari corpi e, poiché ad ogni elemento è associato un tipo di movimento, ai
corpi composti dell’elemento perfetto deve essere associato il movimento

4
E. Lo Sardo, 2007, Il Cosmo degli Antichi, Donzelli ed.
perfetto, cioè il movimento circolare che, come si sa, non ha un punto di
inizio né uno di fine. I pianeti e le stelle secondo Aristotele sono fissati su delle
sfere concentriche alla Terra le quali, ruotando, trascinano i pianeti che noi
osserviamo muoversi nel cielo. Le sfere sono costituite di cristallo purissimo,
per cui, essendo trasparenti, non possono essere viste dalla Terra. Vale la
pena di soffermarsi sull’artificio retorico insito nella proposizione nella quale
si afferma che i corpi celesti si muovono seguendo un percorso circolare.
In questo enunciato sembra che venga spiegato il motivo per cui i corpi ruo-
tano attorno alla Terra mentre la rotazione di fatto è il dato di partenza che
non trova, quindi, alcuna spiegazione nel ragionamento. Siccome, poi, i corpi
ruotano in virtù della loro natura perfetta, ne segue che la Terra deve trovarsi
al centro dell’Universo, così come appare dalle osservazioni (in effetti ci sareb-
bero anche altre osservazioni che non trovano spiegazione in questo modello
ma queste vengono probabilmente considerate alla stregua di dettagli che
non mettono in discussione il quadro generale). Infine, un cielo composto di
etere è per definizione privo di peso per cui vengono superate nel cosmo di
Aristotele le mitologie che richiedono la presenza di un Atlante che sostiene
il mondo.
La Terra, pur trovandosi nel centro dell’universo, è relegata nel mondo im-
perfetto che ha il suo confine all’interno dell’orbita della Luna. Questo mondo è
detto sublunare e, essendo largamente imperfetto, è dominato da movimenti
rettilinei e non circolari, come tutti noi sperimentiamo quotidianamente. La
differenza intrinseca fra il mondo sublunare e quello al di là della Luna contiene
il germe della inconoscibilità dell’Universo perché qualunque esperimento si
porti a termine sulla Terra, non potrà essere utile per capire il funzionamento
di un cosmo, sottoposto a regole diverse o, meglio, non sottoposto ad alcuna
regola.
I quattro elementi che si ritrovano sulla Terra si trovano disposti secondo
superfici sferiche che circondano la Terra. La successione delle sfere, de-
terminata dalla loro “pesantezza” è la seguente: al centro c’è l’elemento più
pesante, la terra, seguito all’esterno dalla sfera dell’acqua, da quella dell’aria
e da quella del fuoco. La distribuzione è verificabile direttamente partendo
dall’elemento “acqua”. Infatti facendo cadere l’elemento “terra” in una vaschet-
ta di acqua si osserva che la terra precipita in basso, segno che è l’elemento
più pesante dei due, mentre se si soffia dell’aria nell’acqua, si osserva che le
bollicine d’aria vanno verso l’alto, portando così a concludere che l’aria è più
leggera dell’acqua. Infine chiunque può seprimentare che l’elemento “fuoco” è
il più leggero di tutti perché tende a salire verso l’alto rispetto all’aria.
I movimenti che osserviamo nel mondo sublunare sono dovuti alla spinta
naturale che ogni elemento subisce per giungere alla propria sfera di compe-
tenza. Per i corpi compositi, come quasi tutti quelli che osserviamo, il movi-
mento avviene secondo la spinta dell’elemento dominante.
Astronomia ieri e oggi - L’astronomia prima di Galileo 25

Tolomeo
Il declino della civiltà greca
coincide con la nascita di
quella dei Romani, i quali però
non si concentrarono sui temi
speculativi e astratti dei quali
si erano occupati i pensato-
ri greci ma si dedicarono ai
temi giuridici per l’evidente
importanza del diritto nella
costruzione di uno stato soli-
do ed efficiente. Con l’avvento A. Cellarius, Scenographia systematis mundani ptole-
dell’impero romano, la civiltà maici, Amsterdam 1660
greca, perduto il potere politico ed economico, fatica a rinnovarsi attraverso
quegli scambi e quelle dinamiche politiche che l’avevano vista protagonista e
regredisce sino ad un immobilismo che durerà fino al II secolo dopo Cristo.
Questo spiega perché, dopo Aristotele, non osserviamo grandi innovazio-
ni nel campo della cosmologia ma non spiega il motivo per cui questo modello
di Universo venga accettato per tanti secoli.
Uno dei motivi è che la cosmologia aristotelica viene rielaborata da Clau-
dio Tolomeo, scienziato alessandrino del II d.C., il quale, basandosi sui modelli
di Eudosso (un astronomo contemporaneo di Aristotele, le cui opere erano
in gran parte andate perdute), arricchisce il sistema con una formulazione
matematica rigorosa e di grande valore. Nel prologo della sua opera più
importante, l’Almagesto, Tolomeo dichiara di applicare nelle sue indagini il
punto di vista del matematico e di essere convinto che utilizzando metodi
sperimentali, quindi fisici, la conoscenza umana si avvicini alla verità in misura
incomparabilmente inferiore. Ciononostante, quando due modelli gli appaiono
equipollenti nello spiegare un fenomeno osservato, e quando, sulla base di
applicazioni matematico-geometriche, sia ininfluente decidere quale di essi
convenga adottare, egli sceglie con convinzione quello che meglio si accorda
con il modello aristotelico e col senso comune. Grazie al grande impegno
nell’opera di sistematizzazione delle teorie degli astronomi che lo avevano
preceduto, e grazie ai contributi alla spiegazione dei moti degli astri, Tolomeo
è considerato l’artefice di quel sistema astronomico-cosmologico che da lui
prenderà il nome di “tolemaico”.
Sono diversi i problemi che il sistema aristotelico lascia aperti e che To-
lomeo affronta, alcune volte riprendendo le idee di Eudosso e proponendo in
altri casi soluzioni originali.
Il primo problema é il seguente: come fanno le sfere cristalline a ruotare
in maniera coordinata (ma non identica)? La risposta di Eudosso mostra la
complessità della questione. In primo luogo dobbiamo comprendere come
facciano i corpi celesti a muoversi: per le stelle fisse è facile immaginare che
esista una sfera che trascina tutte le stelle, ma per i pianeti la questione è più
complessa perché è necessario immaginare una sfera che spieghi il moto
diurno e almeno un’altra per il moto mensile. Queste semplici considerazioni
porterebbero a concludere che devono essere almeno 16 le sfere che ruo-
tano attorno alla Terra (2 per ognuno dei 7 pianeti e per le stelle fisse). La
risposta alla questione che stiamo esaminando potrebbe essere quindi che la
prima sfera, quella delle stelle fisse, si muove per un moto “naturale” impreci-
sato (nel senso che sono state avanzate ipotesi differenti sulla causa di questo
moto) e che le altre vengono trascinate dal moto della prima in quanto tutte le
sfere risultano collegate le une alle altre. Il punto è che i movimenti dei pianeti
sono differenti uno dall’altro, per cui é necessario immaginare un meccanismo
complesso che non solo trasmetta il movimento ma che eviti che il moto pecu-
liare delle sfere inferiori come quella della Luna, si ritrasmetta all’indietro su su
fino alle stelle fisse. Per evitare questo effetto, Eudosso introduce quindi delle
sfere controrotanti che siano in grado di annullare il movimento non voluto
all’indietro. Il numero delle sfere arriva così alla trentina.
Anche queste, tuttavia, non sono sufficienti a spiegare un movimento che
gli astronomi conoscono da secoli (già al tempo di Tolomeo) ma che in un
sistema geocentrico è difficile da schematizzare. Alcuni pianeti, infatti, sem-
brano cambiare direzione del loro moto durante l’anno il che, in un sistema
che si immagina costituito da movimenti e geometrie perfette é difficilmente
comprensibile. La seconda domanda alla quale dare risposta é quindi: come
fanno i pianeti a cambiare direzione del loro movimento? La risposta di To-
lomeo riprende l’ipotesi di Ipparco che aveva introdotto nuove sfere, quelle
degli epicicli (scheda 4). In conclusione, fra sfere rotanti, sfere controrotanti
e epicicli si arriva a un totale di 55 sfere, un sistema sicuramente complica-
to da comprendere ma che è anche bellissimo e rassicurante: prendendolo
alla lettera, si ha l’impressione di vivere all’interno di un grande orologio nel
quale ogni singolo movimento è assicurato da un meccanismo perfetto ap-
positamente costruito. Non fa meraviglia che questo modello, ideato da un
popolo laico come i Greci, sia stato adottato praticamente senza modifica-
zioni dall’occidente cristiano. In effetti fra gli studiosi è in piedi il dibattito
su cosa significasse per Tolomeo questo complesso meccanismo di sfere
rotanti. Secondo molti per l’astronomo alessandrino il sistema altro non è che
uno strumento matematico per calcolare i movimenti dei pianeti: le sfere di
cui abbiamo parlato non avrebbero per Tolomeo una esistenza fisica reale ma
sono semplicemente la maniera di visualizzare una procedura matematica che
non è ancora stata formalizzata. Scompaiono quindi in questa interpretazione
le critiche che a volte vengono avanzate al sistema tolemaico sulla contraddi-
zione di un deferente costituito da una sfera cristallina impenetrabile che però
viene periodicamente attraversata dal pianeta in movimento lungo l’epiciclo.
La contraddizione non esiste semplicemente perché il deferente non esiste.
Astronomia ieri e oggi - L’astronomia prima di Galileo 27

Scheda 4: epicicli e deferenti


La necessità di introdurre i deferenti e gli epicicli deriva dalla assunzione
che il sistema planetario è geocentrico.
Le sfere delle quali abbiamo parlato e che trasportano i pianeti nel loro
movimento attorno al Sole sono le “sfere principali” o “deferenti”. Si im-
magina che esista, incernierata sul deferente, una sfera di dimensioni più
piccole di quelle del deferente e diverse da pianeta a pianeta. Queste sfere
vengono chiamate “epicicli”. Il deferente non trascina il pianeta ma la sfera
epiciclica sulla quale è incastrato il pianeta. Poiché la sfera epiciclica ruota
attorno al suo centro, un osservatore sulla Terra osserva il moto del piane-
ta come la somma dei due movimenti, quello del pianeta attorno al centro
dell’epiciclo e quello della sfera epiciclica attorno al centro della sfera
deferente. L’epiciclo e il deferente ruotano entrambi nella stessa direzione
antioraria. Al momento in cui un pianeta, a causa della rotazione dell’epi-
ciclo, si trova all’esterno del deferente, il moto dell’epiciclo si somma a
quello del deferente, mentre, quando il pianeta si trova all’interno del de-
ferente, il moto dell’epiciclo si sottrae a quello del deferente. Aggiustando
opportunamente le dimensioni e le velocità degli epicicli il pianeta inverte
la sua direzione di marcia, spiegando in tal modo il moto retrogrado.

Resta un ultimo problema per il quale Tolomeo propone una soluzione origina-
le: come mai i pianeti a volte appaiono più vicini e a volte più lontani dalla Terra
e come mai sembrano muoversi di velocità differenti in periodi diversi?
La risposta a questo problema potrebbe essere trovata scegliendo degli
epicli opportuni ma si tratterebbe di una di quelle soluzioni ad hoc che gli
scienziati, sia quelli antichi che quelli moderni, vedono come il fumo negli
occhi perché sembrano risolvere il problema che ci si trova di fronte senza
che in effetti spieghino nulla.
Il filosofo Alessandrino sceglie una soluzione più elegante: se il moto
deve essere circolare perché il cerchio è la figura perfetta che si addice alla
materia eterea –ragiona Tolomeo– non è detto che che questo cerchio deb-
ba essere centrato sulla Terra, per cui propone un modello nel quale questa
é collocata in posizione decentrata rispetto alle orbite dei pianeti. Il risultato
che Tolomeo ottiene con questo modello (che, ricordiamo, è l’approssima-
zione migliore di una orbita ellittica che sia possibile fare mantenendo le
orbite circolari) è che i pianeti si trovano a volte più vicini e a volte più lontani
dalla Terra e inoltre, osservati dalla Terra, percorrono la loro orbita con ve-
locità angolari diverse. Questo introduce il concetto di equante (vedi scheda
5) cioè di un punto all’interno dell’orbita dei pianeti che non coincide con il
centro dell’orbita e che, rispetto a questo centro, è solitamente simmetri-
co alla posizione della Terra (non stupisca l’uso dell’avverbio “solitamente”
ma va tenuto presente che il sistema tolemaico è sopravvissuto per una
quindicina di secoli, durante i quali gli aggiustamenti e le interpretazioni del
sistema si sono succeduti in grande quantità).

Scheda 5: l’equante
Il problema che il concetto di equante si ripromette di risolvere è una con-
seguenza del fatto che le orbite dei pianeti attorno al Sole sono ellittiche
e che, in virtù delle leggi di Keplero, i pianeti percorrono le loro orbite a
velocità differente nei diversi punti dell’orbita.
L’equante è un punto all’interno dell’orbita del pianeta rispetto al quale
il movimento dell’epiciclo appare uniforme. È chiaro che un moto che
è uniforme rispetto a un punto risulta non uniforme rispetto a un altro,
per cui spostando opportunamente le distanze relative fra Terra e punto
dell’equante é possibile riprodurre le velocità (non uniformi) dei pianeti che
vengono osservate dalla Terra.

Il Medioevo
Alla fine dell’impero romano d’Occidente segue una decadenza profonda
della cultura occidentale. Le difficoltà della vita quotidiana portano ad abban-
donare le attività speculative della razionalità umana e a rivolgersi a modelli
religiosi e mistici che aiutino ad accettare l’idea della morte, una eventualità
continuamente presente in quell’epoca. Gli studi astronomici medievali sono
essenzialmente dei compendi a metà strada fra la descrizione del cosmo
e la relativa interpretazione favolistica, perdendo completamente il rigore
metodologico e razionale che aveva contraddistinto gli astronomi greci. Lo
studio dell’astronomia migra dalle accademie ai conventi, per cui le scienze
celesti vengono sempre più viste come ausiliari alle scienze dello spirito e
ai fondamenti delle Scritture. Si perde in occidente perfino la capacità di
leggere i classici in lingua greca per cui a poco a poco vengono dimenticati
i modelli cosmologici che abbiamo descritto. In un mondo nel quale la dif-
fusione della cultura scritta è affidata agli amanuensi che ricopiano opere a
loro volte copiate da un altro artigiano della penna, è necessaria che costoro
capiscano ciò che stanno copiando. Quando così non capita diventa inevita-
bile che nel nuovo testo vengano introdotti errori su errori che, moltiplicati in
ogni passaggio, rendono l’opera incomprensibile. Spesso, poi, la copia non
viene effettuata neppure da una copia dell’originale, bensì semplicemente
dagli appunti che uno studente ha preso durante una lezione.
Di questa natura sono le opere che circolano nel Medioevo e probabil-
mente oggigiorno avremmo una idea molto vaga della concezione astrono-
mica del mondo antico se non ci fossero stati gli studiosi arabi che furono in
Astronomia ieri e oggi - L’astronomia prima di Galileo 29

grado, durante il periodo di eclisse della cul-


tura occidentale, di recepire, comprendere e
trascrivere i testi antichi. Le opere di Tolomeo,
Aristotele, Platone, Euclide e Galeno sono ar-
rivate in Occidente perché furono di interesse
dei grandi filosofi medievali arabi come al-
Farghani, al-Battani, al-Zarqali e Averroè.
In Europa queste opere arrivano a partire
dal 1150, quando Gerardo da Cremona tra-
duce dall’arabo il Compendio di Astronomia
di al-Farghani che, è a sua volta, un estratto
dell’Almagesto di Tolomeo. Naturalmente, per Un astrologo discute
il tema natale
permettere che i filosofi europei riacquistino di un bambino con la madre.
gli strumenti culturali per capire ed assimilare Manoscritto medievale
del Tetrabiblos di Tolomeo.
un’opera complessa come l’Almagesto, biso-
gnerà attendere altri secoli.

Il cielo di Marziano Capella


La transizione fra la cultura razionale classica a quella religiosa medievale
è impersonificata da diversi studiosi della tarda latinità come Severino Bo-
ezio e Cassiodoro, a cavallo fra il V e il VI secolo d.C.. Fra questi Marziano
Capella ha lasciato un trattato particolare dal titolo De nuptiis Mercurii et
Philologiae (Le nozze di Filologia e Mercurio). Capella é un avvocato colto
e decide di scrivere questo trattato per raccontare al figlio tutto quello che
gli è pervenuto, spesso in forma verbale, della cultura classica. Le nozze di
Filologia e Mercurio, pur nel tipico impianto allegorico dell’epoca, diventano
uno dei testi più diffusi nel medioevo e permette di conservare in qualche mi-
sura le conoscenze del mondo latino ed ellenistico, tanto che viene adottato
fino al XVI secolo come libro di testo in diverse università europee (Lutero e
lo stesso Copernico citano positivamente questo piccolo trattato).
Nel suo obbiettivo enciclopedico, Capella resta uno dei pochissimi autori
antichi che lascia una traccia della visione cosmologia del popolo etrusco
del quale, senza il racconto de Le nozze di Filologia e Mercurio avremmo
saputo pochissimo. Secondo Capella gli Etruschi dividevano il cielo in 16
parti e, a seconda della zona di cielo dove si verificava un qualsiasi evento
meteorologico (tipicamente un fulmine), ne traevano auspici. Si tratta di di-
vinazioni, quindi, che poco sembrano avere a che fare con la cosmologia.
In effetti é così ma bisogna considerare, tuttavia, che la divinazione è una
espressione, certamente primordiale, della fiducia nella possibilità di com-
prendere il mondo: se un fulmine che appare a est ha un significato diverso
da un fulmine che compare a ovest vuol dire tutto sommato che viviamo
in un mondo che ha una sua logica e che è quindi predicibile a patto di
comprendere il linguaggio nel quale si esprime. È forse questo il motivo per
cui Capella decide di inserire nel suo trattato anche questo riferimento alle
credenze degli Etruschi. Certamente Capella non avrebbe mai immaginato
che questi informazioni, così incerte anche per per lui, avrebbero costituito
una specie di mappa del tesoro per comprendere, quindici secoli più tardi,
il significato di quello stranissimo ritrovamento costituito dal fegato di Pia-
cenza (scheda 6).

Scheda 6: il fegato di Piacenza


Il fegato di Piacenza è una modello in bronzo di un fegato ovino ri-
trovato nel 1877 durante i lavori di aratura di un campo a Settima di
Gossolengo, vicino Piacenza dove attualmente è custodito. Si tratta di
un’opera databile tra la fine del II e l’inizio del I sec. a.C. che riporta delle
iscrizioni in lingua etrusca e si ritiene che fosse utilizzato dagli aruspici
come una specie di mappa celeste per
identificare la divinità che aveva inviato
il segno meteorologico. Il lato superiore
è diviso in quasi in 38 caselle di diver-
sa forma che dovrebbero identificare
la divinità che ha inviato il messaggio.
Le grandi divinità superiori, favorevoli
all’uomo, abitano le aree celesti orienta-
te ad est – nord est, le divinità della Terra e della Natura sono collocate
verso mezzogiorno, le divinità infernali e del fato, oscure e inquietanti,
occupano le regioni dell’occaso in particolare il nord-ovest, considerato
il più nefasto. Orientando opportunamente lo “strumento” l’aruspice era
in grado di identificare la divinità e quindi il significato del messaggio.

Il sistema della scatola chiusa


Un sistema cosmologico estremamente interessante della tarda latinità è
quello elaborato da Cosma Indicopleuste nel 500 d.C., un monaco il cui vero
nome è Costantino di Antiochia, che lo espone nel suo trattato “Topografia
cristiana di Cosma Indicopleuste”. L’interesse del trattato risiede nel fatto
che testimonia il definitivo abbandono dell’approccio razionale alla cosmo-
logia per quello mistico che perdurerà per diversi secoli a venire. Cosma
aveva affinato la sua formazione girando per il mondo conosciuto, era quindi
in condizioni di potersi avvantaggiare di un’ottima preparazione in materia
geografica e cartografica. Disegna quindi un sistema nel quale, ignorando i
pianeti, si concentra essenzialmente sul rapporto Terra – Sole – Luna foca-
lizzando in particolare la sua attenzione sulla estensione della Terra.
Astronomia ieri e oggi - L’astronomia prima di Galileo 31

L’universo di Cosma è rac-


chiuso in un tabernacolo e,
dimentico della lezione degli
astronomi greci, la Terra è piatta
con una geografia ben delineata.
Unica (inevitabile) concessione
alle osservazioni astronomiche è
che il giorno si alterna alla notte
per cui Cosma deve immaginare
che esista al centro della Terra
piatta una montagna altissima Mappa del mondo di Cosma Indicopleuste
attorno alla quale gira il Sole in
modo che, quando questo è nascosto dalla montagna, in metà della Terra
si determina la notte. È degno di nota che il fatto che questa montagna non
si veda e che il Sole sorga all’orizzonte è considerato un dettaglio che non
invalida la sua costruzione logica.
Le stelle che vediamo nel cielo sono semplicemente dipinte sulla parte
superiore del tabernacolo all’interno del quale si trova la Terra, il Sole e la
Luna. Cosma, ignorando il sistema di pianeti e le inconguenza della Terra
piatta e della montagna inesistente vuole rappresentare probabilmente l’ani-
ma del mondo, una astrazione concettuale che ricorda da vicino quelle che
allo stesso modo realizzeranno, dopo molti secoli, i pittori del novecento.
Egli frantuma il sistema del cosmo e lo racchiude in una scatola per eviden-
ziare quello che é immediatamente visibile agli occhi: il movimento del Sole.
Cosma vede benissimo che le stelle si muovono, ma questo non influenza
l’elaborazione della sua concezione. A dispetto del movimento evidente, egli
fissa il cielo, sottolineandone la vicinanza al Signore, e lo cristallizza sul co-
perchio della scatola cosmica. Cosma é un uomo integralmente medioevale
ed è proprio la sua concezione chiusa, finita, compiuta che lo porta a ridurre
il mondo visibile ad una scatola. Tanta è l’urgenza di superare il mondo
materiale per entrare in contatto con il divino che Cosma restringe il campo
dello sperimentale il più possibile: non è pensabile per questo monaco che
il mondo lo distragga dalla ricerca di Dio!

L’incontro tra Aristotele e la filosofia cristiana


Quando gli studiosi occidentali arrivano infine a comprendere la struttura del
cosmo tolemaico si rendono conto che la divisione del mondo in due regioni
centrate sulla Terra, una mutevole e imperfetta nella quale ci troviamo a
vivere e l’altra che assomiglia molto al Regno divino della Bibbia, sembra
adattarsi perfettamente alle Sacre Scritture. Non disponendo di altri sistemi
ai quali fare riferimento o sui quali effettuare paragoni, la filosofia cristiana
si innamora e si impadronisce, piegandola alle sue esigenze, della figura e
della concezione aristotelica del cosmo. Non c’erano in Aristotele elementi
di contraddizione con il Cristianesimo: il suo cosmo poteva coesistere senza
strappi sostanziali con l’escatologia cristiana tanto che viene adottato in
toto dalla scolastica. Il moto perpetuo che in Aristotele esiste da sempre nel
sistema cristiano diventa innescato da Dio: il Motore Primo, appunto, che
aziona il meccanismo agli albori della Creazione.
Tutto ciò naturalmente a patto che si stabilisca senza mezzi termini che
il nostro è un mondo creato, cioè che non esiste da sempre, come invece
pensa Aristotele. La distinzione è profonda perché, se il mondo è stato
creato, è evidente che deve avere anche uno scopo, a differenza del mondo
immaginato dal filosofo greco che, eterno sia nel passato che nel futuro,
appare a un cristiano privo di speranza e senza un traguardo.
Anche se la cosmologia aristotelica presenta diversi aspetti che non
sono estranei a un cosmo cristiano, in quest’ultimo la presenza del Creatore
fa differenze più profonde di quanto si possa immaginare a prima vista.
Si prenda per esempio il problema della unicità della Terra: questo è un
assunto indiscutibile nel cosmo di Aristotele perché in questo il moto degli
elementi è determinato dalla loro tendenza a raggiungere la rispettiva sfera
di competenza. Se per ipotesi esistesse un altro luogo diverso dalla Terra
che fosse costituito di acqua, aria, terra e fuoco, è chiaro che, in base alla
fisica aristotelica, quegli elementi sarebbero costretti a muoversi in direzio-
ne delle sfere che costituiscono i loro luoghi naturali e che circondano la
nostra Terra. La conclusione è che, ammesso che possa esistere un altro
luogo costituito della stessa materia del nostro, questo sarebbe condanna-
to a scomparire immediatamente. Questo concetto si scontra, nel cosmo
cristiano, con quello della onnipotenza di Dio. È ovvio per un cristiano del
medioevo che non si può accettare alcuna limitazione, neppure determinata
dalla fisica, alla onnipotenza di Dio.
Mentre esiste una solida base di concetti che il cosmo cristiano mutua
dal cosmo aristotelico, emerge allo stesso tempo una miriade di aspetti che
differenziano i due sistemi. C’è per esempio l’aspetto relativo al numero del-
le sfere: se ogni pianeta viene mosso da una sua specifica sfera, perché non
esiste una sfera che provveda a trascinare ogni stella? Sembrerebbe logico
che, poiché le stelle appaiono avere una differente luminosità una dall’altra,
si dovrebbe concludere che queste si trovano a distanza differente dalla
Terra per cui ogni stella dovrebbe essere trasportata da una sua apposita
sfera. Il problema, così posto, rischia di risultare esplosivo perché, se per
descrivere più o meno accuratamente il movimento di 7 pianeti si devono
introdurre più di 50 sfere, di quante sfere bisogna disporre per descrivere il
movimento delle 1022 stelle che Ipparco ha contate, una per una , nel cielo?
D’altra parte, si osserva facilmente che la distanza fra stella e stella nel cielo
resta la stessa anno dopo anno e, anche volendo credere che le stelle si
comportano come i pianeti, ognuno dotato della propria sfera, bisognereb-
Astronomia ieri e oggi - L’astronomia prima di Galileo 33

B. Gozzoli, S. Tommaso d’Aquino, tra Platone e


Aristotele, trionfa su Averroé, 1471, museo del
Louvre, olio su tavola

be in ogni caso concludere che si tratta di sfere speciali che si muovono


pressoché all’unisono…
C’é poi la questione delle acque sopra il firmamento della cui esistenza
parla la Bibbia mentre per Aristotele la sfera delle stelle fisse chiude al suo
interno tutte le altre. Alcuni teologi medioevali risolvono questa contraddi-
zione inserendo la distinzione tra acque allo stato liquido (quelle di cui parla
Aristotele) e acque allo stato solido, ovvero ghiacciate (quelle oltre la sfera
delle stelle fisse). A questi problemi non si può dare una vera risposta per
cui li si accantona in attesa di tempi migliori o di un nuovo Aristotele. Tutto
sommato si tratta di dettagli, fastidiosi sì, ma pur sempre dettagli che non
mettono in discussione i fondamenti del sistema.
Il cosmo cristiano mutua dal cosmo aristotelico anche il concetto che tutte
le sfere si muovano perché trascinate dalla prima delle sfere. Ma, mentre per
Aristotele questo moto iniziale è eterno e senza spiegazione, il cosmo cristia-
no, come abbiamo visto, introduce il Primo mobile, che é una sfera esterna
alla sfera delle stelle fisse, la quale si muove per volontà di Dio (resta aperta
la questione se Dio ha impresso il movimento una volta per tutte all’atto della
creazione o lascia che sia un angelo a muovere la sfera esterna in continuo).
Gran parte dell’opera per raccordare il sistema aristotelico con quello
biblico è realizzata da San Tommaso, venerato come Padre della Chiesa e
vero scienziato il quale, pur muovendosi all’interno della rigida osservanza
del testo biblico, evita di esaminare i diversi problemi che vengono posti dal
sistema cosmologico vigente esclusivamente in un’ottica dogmatica.
Egli, per esempio, si pone il problema di identificare il luogo fisico nel
quale collocare il Paradiso e lo stesso Padre Eterno. Aristotele, infatti, non
solo non si é preoccupato di questo problema ma, anzi, sembra escludere
esplicitamente l’esistenza di questo luogo in quanto al di sotto delle stelle
fisse non si osserva alcun Paradiso mentre al di là di quelle la questione
neppure si pone, visto che quella delle stelle é l’ultima sfera esistente. La
soluzione che trova Tommaso è che l’Empireo si trova probabilmente al di là
Domenico di Michelino (Firenze 1417-1491), Dante Alighieri,
Santa Maria del Fiore Firenze,

del Primo Mobile al quale viene attribuita l’utile caratteristica di essere latti-
ginosa e non trasparente, al contrario delle altre sfere, ma, poiché la Bibbia
non parla di questo problema egli, laicamente, conclude che ognuno é libero
di credere quello che vuole. Questo vale anche per la “forma” dell’Empireo,
cioè se sia convesso (come tutte le altre sfere) o concavo (che certamente
rende più stabile la posizione fisica delle anime beate...).
Tommaso si rende perfettamente conto che localizzare il Paradiso con
troppa precisione crea un problema del quale molti suoi epigoni nei secoli
successivi sembrano non rendersi conto. Se si afferma con eccessiva insi-
stenza che l’Empireo si trova al di là della sfera delle stelle fisse, sorge il
problema di comprendere come facciano le anime dei santi a raggiungerlo
attraversando una quantità di sfere cristalline.
Dettagli, dettagli…

Il maggiore interprete della visione cosmologica di San Tommaso è


probabilmente Dante Alighieri il quale risolve in maniera poetica alcuni
degli interrogativi che restano aperti. Dante suggerisce che il motore di
tutto l’universo sia l’amore e che lo stesso movimento delle sfere avven-
ga a causa della stessa forza che costringe un essere a muoversi verso
la persona amata. Quando Dante osserva il Signore circondato dai cori
angelici, così come la Terra è circondata dalle sfere dei pianeti, si rende
conto che i cori e i pianeti stessi diminuiscono la loro velocità mano a
mano che si allontanano da Dio. Il motore dell’universo è quindi l’amore
divino che trasmette la sua forza tanto più intensamente quanto un og-
getto si trova vicino alla sorgente di questo: il Primo Mobile, quindi, è la
sfera più veloce fra quelle che interessando direttamente la Terra ma è
più lenta dell’ultimo coro angelico.
Astronomia ieri e oggi - L’astronomia prima di Galileo 35

L’immobilità della Terra


La questione della centralità della Terra e della sua immobilità assoluta
è forse il postulato più importante che il sistema aristotelico-tolemaico
condivide con la cosmologia cristiana.
Ci sono diversi motivi psicologici che fanno in modo che gli uomini
preferiscano pensare che la Terra sia al centro dell’universo (è sicura-
mente confortante, per esempio, pensare che il mondo esista per per-
mettere l’esistenza degli esseri umani), ma esistono anche motivi fisici
che sembrano confermare l’immobilità della Terra. I ragionamenti che
si fanno sono del tipo: “come potrebbero gli uccelli ritrovare il loro nido
se, mentre si trovano in volo, la Terra si fosse spostata nel frattempo?”,
oppure, “se tiriamo una freccia in perfetta verticale sopra di noi, essa
ricade sulla nostra testa, cosa che non avverrebbe se, mentre la freccia
è in volo, la Terra si fosse spostata trascinandoci nel suo movimento”. Si
tratta di ragionamenti abbastanza superficiali (anche per l’epoca) e che
troverebbero una immediata risposta se si considerasse che gli uccelli
e le frecce si muovono anche essi assieme alla Terra. Esistono tuttavia
ragionamenti più complessi e che hanno conseguenze di maggiore por-
tata. L’argomento principe è quello della assenza (o, meglio, della non
osservazione) della parallasse. Si tratta di questo: se la Terra ruota su se
stessa e, ancora di più, se la Terra ruota attorno al Sole, e le stelle sono
fissa nel cielo, si dovrebbe osservare il movimento della Terra come un
moto riflesso delle stelle. È evidente, in altri termini, che per un osser-
vatore che si trova sulla Terra il movimento di questa dovrebbe apparire
come un piccolo cerchio che ogni stella descrive nel cielo. Poiché questo
movimento delle stelle, la parallasse, non si osserva, la conclusione è
che la Terra è ferma.
Naturalmente esiste un’altra possibilità, cioè che il movimento in
effetti esista ma che le stelle siano tanto lontane che non sia possi-
bile osservarlo. L’ipotesi sembra remota perché le misure che è stato
possibile ottenere fino a quel momento per l’universo sono largamente
sottostimate. In particolare la sfera delle stelle fisse si dovrebbe trovare
immediatamente a ridosso di quella di Saturno che si trova all’incirca
alla distanza di 20000 raggi terrestri. Ancora una volta, però, non é sol-
tanto la misura incerta della distanza delle stelle che porta a escludere
l’esistenza della parallasse ma c’è la convinzione profonda che non ci sia
motivo per pensare che l’universo sia tanto grande. Un universo di di-
mensioni smisurate sembra illogico: perché mai, si chiedono gli studiosi
cristiani, Dio avrebbe dovuto creare un universo così inutilmente grande?
Il mondo è stato creato per l’uomo, l’uomo è qui e vive sulla Terra. Che
senso avrebbe avuto spingere le dimensioni del creato a grandezze così
immense e così inutili alla vita umana?
Anche la pretesa maggiore semplicità di un sistema eliocentrico ri-
spetto a un sistema geocentrico è largamente un mito da sfatare, come
il sistema Copernicano dimostra. Prima dell’avvento delle leggi di New-
ton e di Keplero e la prova della aberrazione della luce del 1725, le
sfere di cristallo non sono eliminabili così come è necessario inventare
un sistema per tenere conto che i pianeti di fatto si muovono su orbite
ellittiche e non circolari.
Tante sono le obiezioni al fatto che la Terra si trovi in movimento che
non fa meraviglia che il sistema geocentrico abbia convinto gli uomini
per alcuni millenni.

Copernico, Tycho e Galileo: la rivoluzione


Il sistema cosmologico Tolemaico arriva alla metà del ‘500 praticamente
immutato dai tempi di Tolomeo (a parte le modifiche richieste per adat-
tarlo alla lettera delle Scritture cristiane). Copernico, nel 1543, nella
sua opera De revolutionibus Orbium Coelestium si propone di affrontare
il problema dell’equante, il problema cioè che, al fine di calcolare con
una certa accuratezza l’orbita dei pianeti, è necessario introdurre un
punto arbitrario rispetto al quale l’epiciclo si muova di moto uniforme.
Dal punto di vista di un fisico moderno, l’equante potrebbe apparire una
invenzione scaltra e utile per fini di calcolo, ma per uno studioso cristiano
è qualcosa che disturba l’armonia generale del sistema cosmologico e
Copernico nella prima pagina del suo Commentariolus scrive che a lui
sembra che “un sistema di questo tipo non è né sufficientemente assolu-
to, né sufficientemente piacevole alla nostra ragione”.
Sembrerà strano ma anche al giorno d’oggi alcune delle proposte più
avanzate della cosmologia sono ispirate, esattamente come il modello
di Copernico, da un motivo di armonia generale del sistema proposto.
Copernico, pur disponendo semplicemente dei dati osservativi dei quali
dispongono tutti gli studiosi della sua epoca, possiede una cultura ma-
tematica fuori dall’ordinario per cui è in grado di concepire un sistema
molto lontano dall’intuizione, un sistema nel quale il Sole, che vediamo
sorgere e tramontare, sia in effetti fermo rispetto alle stelle e nel quale la
Terra, che sembra ferma, in effetti sia sottoposta a diversi movimenti, la
rotazione giornaliera, la rivoluzione annua e la precessione degli equino-
zi. Una delle conseguenze di un sistema tanto rivoluzionario è che vanno
calcolati su basi completamente nuove i movimenti di tutti i pianeti e per
far questo occorrono nozioni di geometria sferica niente affatto elemen-
tari. È proprio questo uno dei motivi (probabilmente involontario) per cui
il De revolutionibus Orbium Coelestium passa indenne per diversi anni
attraverso le maglie della censura: i teologi dell’Inquisizione non sono in
grado di comprenderlo!
Astronomia ieri e oggi - L’astronomia prima di Galileo 37

Abbiamo già visto che il modello copernicano resta un sistema che


acquisisce diverse eredità del sistema tolemaico quali le orbite circolari,
le sfere cristalline e gli epicicli. La sua carica innovativa, oltre ovvia-
mente alla “soluzione tecnica” che pone il Sole al centro dell’Universo
dell’epoca, consiste nel fatto che, nel tentativo di comprendere l’univer-
so, viene data maggiore fiducia al ragionamento matematico astratto
che alla esperienza empirica basata sui sensi.
Completamente diversa è l’origine del secondo grande sistema co-
smologico del ‘500, quello cosidetto ticonico, proposta da Tycho Brahe
nel 1577. Tycho Brahe è probabilmente il più importante astronomo os-
servativo prima della introduzione del telescopio. Egli dispone di un vero
è proprio osservatorio astronomico in Danimarca nell’isola di Hven e
passa decine di anni a raccogliere dati astronomici assieme ai suoi colla-
boratori (uno di questi, Giovanni Keplero, ne raccoglierà il frutto quando
proporrà le sue leggi sul moto dei pianeti proprio sulla base di questa
enorme quantità di dati) per cui arriva a comprendere l’inadeguatezza
del sistema aristotelico-tolemaico non sulla base di considerazioni filoso-
fiche ma semplicemente perché i dati gli indicano che il movimento dei
pianeti è diverso da quello previsto dai modelli esistenti.
C’è in particolare il problema delle comete. C’è da lungo tempo il
sospetto che questi corpi celesti che appaiono per breve tempo per tor-
nare a scomparire nei cieli provengano da distanze enormi per cui nasce
il problema: se vengono da un luogo misterioso che si trova al di là della
sfera di Saturno, come fanno ad arrivare fino a noi attraversando tutte le
sfere cristalline che conosciamo? È -diciamo così- la versione scientifica
del problema delle anime benedette che, partendo dalla Terra, devono
raggiungere l’Empireo, al di là delle stelle fisse.
Si tratta di un problema talmente serio che i due sistemi, tolemaico e
copernicano, condividono perché ambedue hanno necessità di introdur-
re le sfere cristalline, che Galileo stesso tenta di liberarsene affermando
che le comete non sono oggetti celesti ma semplici fenomeni meteoro-
logici. La cosa è sorprendente perché Galileo è perfettamente consape-
vole che esiste il sistema cosmologico ticonico che elimina la necessità
delle sfere cristalline.
Il sistema di Tycho Brahe, fra gli altri meriti, è in grado di descrivere
con elevatissima accuratezza quello che vede in cielo un osservatore
posizionato sulla Terra perché propone che il Sole e la Luna ruotino attor-
no alla Terra mentre i pianeti Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno
ruotino attorno al Sole assieme alle stelle fisse. Il sistema ticonico, non
solo prevede movimenti degli astri che si trovano in eccellente accordo
con le osservazioni disponibili, ma ha la conseguenza di superare di fatto
l’esistenza delle sfere cristalline le quali, attraversandosi l’un l’altra, de-
vono essere considerate fluide, cioè penetrabili. Tutto sommato si tratta
di un modo come un altro per sostenere che le sfere cristalline possono
essere utili per rappresentare i movimenti nel cosmo ma che, in ultima
analisi, non é che esistano veramente.
Il sistema cosmologico di Tycho presenta diversi vantaggi. Il primo è
che, rappresentando il punto di vista di un osservatore posizionato sulla
Terra, permette il calcolo delle orbite dei pianeti in maniera diretta e in-
tuitiva; il secondo è che, essendosi liberato delle sfere rigide di cristallo,
non si scontra con il problema di spiegare come facciano le comete a
attraversarle anche se sembrano provenire da distanze grandissime. Un
ulteriore vantaggio del sistema ticonico emergerà quando Galileo scopri-
rà quattro satelliti che ruotano attorno a Giove: nel sistema tolemaico
nel quale tutti i corpi celesti ruotano attorno alla Terra, il movimento
di questi satelliti é inspiegabile mentre nel nuovo sistema di Tycho non
costituisce una difficoltà logica in quanto questi nuovi corpi celesti sem-
plicemente condividono con tutti i pianeti la proprietà di non ruotare
attorno alla Terra.
Così stando le cose, è ragionevole chiedersi perché mai Galileo non
adotti anche lui lo stesso sistema che hanno adottato i gesuiti (guada-
gnando anche qualcosa sul piano politico) evitando di incorrere in infortuni
come quello appena citato sulle comete mentre preferisce intestardirsi a
restare un copernicano convinto. La risposta è forse proprio nell’ultimo
vantaggio che sembra offrire il sistema ticonico ma che invece si rivela
anche il suo limite.
Si sa che una delle obiezioni al sistema copernicano è che dalla Ter-
ra non si osserva la parallasse delle stelle. Poiché le stelle non percor-
rono questo circolo, si conclude che la Terra non ruota attorno al Sole,
esattamente come prevede il sistema ticonico e contrariamente a quanto
predice il sistema copernicano. Questa conclusione è sbagliata per un
motivo che Tycho non poteva sapere, e cioè che la parallasse delle stelle
in effetti esiste ma non si osserva perché è piccolissima in quanto le stelle
si trovano a distanze enormi, molto maggiori di quanto si immaginasse
quattrocento anni fa.
Galileo, da fondatore del metodo sperimentale, è consapevole degli er-
rori che sono associati alle misure scientifiche e, non avendo preconcetti
sulle dimensioni del cosmo, non esclude che la parallasse non si osservi
solo perché le misure sono troppo incerte. Anzi egli suggerisce alcune
tecniche per migliorare la qualità delle osservazioni astronomiche che ven-
gono effettuate a questo scopo. Egli teme, in conclusione, che adottando
il sistema ticonico, di gran lunga più soddisfacente di quello tolemaico, ci
sia il rischio che gli scienziati si adattino a questo nuovo sistema e si vada
incontro a ulteriori secoli che, dopo quelli che hanno seguito l’adozione del
sistema tolemaico, non si preoccupino di verificare sperimentalmente le
idee preconcette sul natura dell’universo.
Astronomia ieri e oggi - L’astronomia prima di Galileo 39

Egli decide così di continuare la sua battaglia principale che consiste


nel sostenere che le leggi del cielo sono identiche a quelle della terra e
che l’unica cosmologia valida é quella che resiste alle prove fornite dalle
misure. È la nascita del metodo scientifico. Un metodo - non una tecnica-
che avrà conseguenze profonde sulla concezione del mondo nel quale ci
troviamo a vivere.
È con il ‘600, con Keplero e Galileo, che il mondo scientifico apre le
porte a concetti rivoluzionari di enorme portata. L’uomo si trova a fron-
teggiare l’inquietudine che deriva dall’aver frantumato i protettivi limiti del
sistema cosmico chiuso, interamente riconducibile ad un divino paterno e
protettivo. Ci si accorge che, laddove non si riusciva ad osservare la pa-
rallasse, non era perché si era fermi, ma perché si era così grandi da non
averne visione. In sintonia con un universo immenso, incommensurabile
con le dimensioni con le quali ci confrontiamo tutti i giorni, l’infinito diventa
la dimensione da valutare nell’affrontare i temi che riguardano sia lo spazio
che il tempo.
Il comodo universo nato 4000 anni avanti Cristo, data che si otteneva
semplicemente sommando l’età dei personaggi biblici, rivela d’un tratto
la sua ingenuità. La realtà svela la sua enorme dimensione che l’uomo
scopre essere smisurata anche per quanto riguarda il tempo. Di fronte
all’abisso che si apre sotto i piedi dell’uomo nuovo, lo studioso si trova a
dover fronteggiare le conseguenze di questa scoperta e al tempo stesso
le inevitabili chiusure, le lotte aspre, le difficoltà che il sapere ufficiale, il
dogma, la fortissima spinta alla conservazione del sistema culturale domi-
nante provocano nel mondo scientifico…

Universum - C. Flammarion, Parigi 1888. Colorazione: Heikenwaelder Hugo,


Vienna 1998.
Da Galileo a Newton
Genesi e affermazione dell’Universo-Macchina
Paolo Galluzzi
Da Galileo a Newton
Genesi e affermazione dell’Universo-Macchina

Paolo Galluzzi
Docente di Storia della scienza Università di Firenze
Direttore istituto e museo di Storia della scienza di Firenze

Si è soliti affermare che, se non ha inventato il cannocchiale, Galileo è stato il


primo a puntarlo verso la volta celeste, animato dalla piena convinzione che i
fenomeni mostrati dalle lenti corrispondessero perfettamente alla realtà.
Meno spesso ci si è domandati perché, tra i tanti che in Europa, nell’an-
nus mirabilis 1609, ebbero tra le mani i primi tubi ottici provenienti dall’Olan-
da, l’idea di usarli per scrutare i corpi celesti sia balzata nella mente del solo
Galileo. Thomas Harriot lo aveva in realtà preceduto di qualche mese: ma
senza conseguire i risultati straordinari ottenuti da Galileo.
La spiegazione è probabilmente semplice: Galileo era più preparato, ri-
spetto ad altri filosofi naturali, nel cercare nell’osservazione diretta del cielo
la risposta agli interrogativi che si affollavano nella sua mente. Tale predi-
sposizione era la conseguenza dell’intensa applicazione che, fin dagli esordi
della sua carriera, egli aveva dedicato all’indagine della grande macchina
dell’universo, per scoprire le leggi che ne governano il funzionamento.
Fino a pochi anni fa, l’intensa produzione storiografica su Galileo presen-
tava, tra gli assunti universalmente condivisi, quello della netta separazione
nei suoi interessi scientifici. Da un lato, lo sforzo di elaborare una scienza
rigorosa dei moti naturali e violenti; dall’altro, il tentativo di offrire prove con-
vincenti della concezione copernicana dell’universo. A quest’ultimo obbietti-
vo Galileo si sarebbe dedicato con continuità solo in seguito all’utilizzazione
astronomica del cannocchiale (dopo cioè la seconda metà del 1609), men-
tre le indagini de motu lo avrebbero interamente assorbito nella lunga fase
precedente. Secondo questo schema interpretativo, solo alla fine della sua
vita Galileo, impedito dal proseguire gli studi cosmologici dalla drammatica
condanna ecclesiastica del 1633, sarebbe tornato alle a lungo trascurate
ricerche di meccanica, che rese finalmente pubbliche nei Discorsi e dimo-
strazioni matematiche (Leida 1638).
Astronomia ieri e oggi - Da Galileo a Newton 43

Uno dei lavori più penetranti dell’intera storiografia galileiana, gli ormai
attempati Studi Galileiani di Alexander Koyré, pubblicati per la prima volta tra
il 1935 e il 1939, avevano invero proposto una lettura diversa della relazione
tra meccanica e cosmologia lungo l’intero arco della biografia intellettuale di
Galileo. Il grande storico della scienza intuì per primo che le innovative ricer-
che galileiane sul movimento avevano svolto una funzione essenziale nel suo
impegno per confermare la verità del sistema eliocentrico. Koyré mise infatti
in luce l’uso intelligente che Galileo fece della nuova concettualizzazione del
movimento (relatività, conservazione, composizione, inerzia circolare, ecc.)
per sostenere le ragioni di Copernico (1473-1543) e, soprattutto, per demo-
lire le obbiezioni (tutte fondate sull’incompatibilità dei moti della Terra con la
concezione aristotelica del movimento) che erano state sollevate contro il
sistema eliocentrico, accreditando l’idea dell’assurdità di tale concezione e
delle ridicole pretese dei suoi sostenitori. Di conseguenza, il sistema coper-
nicano poteva essere ammesso come ipotesi utile per semplificare i calcoli,
mentre andava risolutamente respinta la pretesa del suo autore di affermar-
ne la verità fisica. Lo straordinario contributo di Koyré alla comprensione
del progetto galileiano (fondare la riforma della cosmologia sulla radicale
trasformazione della concezione del movimento) dipendeva soprattutto dal-
la sua penetrante lettura del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
(Firenze 1632). Dato che la convergenza tra meccanica e cosmologia era
attestata da un’opera tarda, rimaneva possibile tuttavia circoscriverla alla
fase finale della sua esperienza intellettuale mantenendo la tradizionale in-
terpretazione di un uomo dal doppio volto: il geniale studioso del movimento
e il copernicano convinto che avrebbero convissuto in totale estraneità per
quasi tutta la vita. Lo stesso Galileo – seppur per ragioni di forza maggiore –
contribuì all’accreditamento di questa netta giustapposizione. La condanna
comminatagli dalla Chiesa nel 1633 mise infatti una violenta sordina alla

L’universo a vortici di Cartesio


(da Nicolas Bion, L’usage des
globes célestes et terrestres,
Parigi)
sua appassionata milizia copernicana. Per seguitare a far sentire la propria
voce, Galileo decise di rendere pubbliche le sue conclusioni innovative sulla
natura del movimento attraverso i Discorsi e dimostrazioni. Nell’ultima sua
opera egli fu costretto a sopprimere gli espliciti riferimenti alla essenziale
funzione di sostegno all’ipotesi copernicana svolta dalla nuova scienza de
motu che aveva messo in chiara evidenza nel Dialogo. D’altra parte, ancora
oggi, spesso per motivazioni apologetiche, non manca chi esalta i Discorsi
e dimostrazioni, risultato di una penosa autocensura, come il vero capolavo-
ro di Galileo, relegando il Dialogo – pieno di teorie erronee (l’interpretazione
delle maree e delle comete) e di residui di mentalità prescientifiche (le orbite
circolari, la velocità uniforme dei pianeti, ecc.) – tra le opere che non hanno
retto al severo vaglio del progresso delle conoscenze.
Viceversa il Dialogo rappresentava per Galileo l’opera della vita, il culmi-
ne del suo più ambizioso progetto. Il fatto che, letto dalla prospettiva dello
stato presente delle conoscenze scientifiche, quest’opera possa apparire
meno innovativa dei Discorsi, non deve farci sfuggire le ragioni dell’impor-
tanza cruciale che gli assegnava il suo autore: dimostrare che era possibile
fondare su una nuova concezione del movimento una teoria fisica organica
capace di sottrarre la visione copernicana all’accusa di assurdità togliendola
così dal suo riduttivo confinamento tra le conoscenze puramente ipotetiche.
Una serie di interventi storiografici importanti hanno contribuito negli ul-
timi anni a restituire evidenza a questa motivazione essenziale dell’impegno
di ricerca di Galileo. I contributi di due studiosi, in particolare, meritano di
essere menzionati. In primo luogo, Maurice Clavelin (Clavelin 1995) ha forni-
to molteplici evidenze non solo della costante presenza di interessi cosmo-
logici negli anni padovani (1592-1609) di Galileo, ben prima dell’avvento del
cannocchiale, ma anche della relazione diretta tra alcune delle più impegna-
tive ricerche galileiane sul movimento e questioni fondamentali poste dalla
cosmologia copernicana. La più organica ricostruzione della programmati-
ca integrazione tra meccanica e cosmologia in Galileo è tuttavia il Galileo
e Keplero di Massimo Bucciantini (Bucciantini 2003). La lettura di questo
contributo è straordinariamente convincente: prove desunte dai documenti
ed evidenze fornite da un’analisi penetrante del macrocontesto nel quale lo
scienziato pisano operò (con speciale attenzione alle relazioni tra Galileo
e il mondo tedesco, finora preso in considerazione solo marginalmente)
ci prospettano uno scenario totalmente diverso da quello della dicotomia
meccanica-cosmologia della tradizione storiografica. Ne scaturisce l’imma-
gine di un filosofo naturale precocemente copernicano, che si impegna con
determinazione in un ambizioso progetto di radicale riforma della concezio-
ne aristotelica del movimento per dimostrare l’infondatezza delle obbiezioni
“fisiche” rivolte alla teoria eliocentrica. Sollevate già in antico contro le dot-
trine pitagoriche, tali obbiezioni erano state rilanciate e affinate dal grande
astronomo danese Tycho Brahe (1546-1601). Brahe aveva sostenuto che,
Astronomia ieri e oggi - Da Galileo a Newton 45

in base ai principi della fisica aristotelica, i moti attribuiti alla Terra da Co-
pernico avrebbero dovuto produrre conseguenze devastanti sulla superficie
del nostro pianeta. Dato che queste conseguenze non si verificavano, la
concezione eliocentrica era priva di fondamento.
La nuova prospettiva storiografica permette di attribuire più preciso si-
gnificato alle esplicite dichiarazioni di adesione al copernicanesimo espres-
se da Galileo fin dal 1597 nella lettera al suo vecchio maestro pisano Iacopo
Mazzoni (1548-1598) e, soprattutto, nella risposta inviata a Johannes Ke-
pler (1571-1630) per ringraziarlo dell’invio di una copia del suo Mysterium
Cosmographicum (Tubinga 1596). Galileo vi informava il collega tedesco
che l’ipotesi copernicana gli consentiva di fornire spiegazioni convincenti
di fenomeni naturali fino ad allora rimasti inesplicati. Lo scienziato pisano
faceva con ogni probabilità riferimento alle maree, che più avanti negli anni
(nella lettera al Cardinal Orsini del gennaio 1616, che circolò manoscritta, e
infine nella Giornata Quarta del Dialogo del 1632) avrebbe interpretato come
effetto della combinazione dei moti diurno e annuo della Terra.
L’insieme delle evidenze sul fortissimo collegamento, fin dagli esordi
delle ricerche di Galileo, tra meccanica e cosmologia aiuta a capire perché
egli avvertì per primo il bisogno di puntare il cannocchiale verso il cielo,
alla ricerca non solo di novità inaudite, ma anche di evidenze che offrissero
conferme probanti alle proprie convinzioni copernicane. Per Galileo guarda-
re il cielo attraverso le lenti del cannocchiale significava anzitutto verificare
il fondamento del suo tentativo di spiegare i moti dei corpi celesti con gli
stessi principi che governano il movimento dei corpi sulla superficie della
Terra. L’ipotesi di lavoro di Galileo si fondava infatti sul presupposto es-
senziale dell’omogeneità dell’universo. E imponeva di dimostrare l’assurdità
della netta separazione operata da Aristotele tra mondo elementare (quello
terrestre), sottoposto al cambiamento, e mondo celeste, regno dell’assoluta
perfezione, animato esclusivamente da moti a velocità costante lungo orbite
circolari. Le scoperte del volto irregolare della Luna, della presenza di mac-
chie sulla superficie del Sole e di satelliti che orbitano attorno a Giove contri-
buirono a rafforzare in Galileo la convinzione che i corpi celesti non fossero
fisicamente diversi dalla Terra, incrementando la sua fiducia nella possibilità
di estendere alla dinamica dei cieli i principi della nuova scienza matematica
del movimento dei corpi gravi sulla Terra che veniva elaborando.
Sarà questa l’operazione che Galileo tenterà nel Dialogo sopra i due
massimi sistemi del mondo, pur con i mascheramenti e le cautele impostegli
dalle minacciose ammonizioni ricevute dalle autorità ecclesiastiche a conclu-
sione del cosiddetto “primo processo” del 1616. Mette conto ricordare che,
se non si fosse scontrato con l’opposizione irremovibile dei censori eccle-
siastici, Galileo avrebbe assegnato al suo capolavoro un titolo diverso – Del
flusso e reflusso del mare – capace di esprimere assai più efficacemente il
reale obbiettivo perseguito: fondare la verità dell’ipotesi copernicana sulla
radicale riforma della concezione aristotelica del movimento. Nel Dialogo
Galileo non prospettava un nuovo sistema del mondo, limitandosi a ripropor-
re tal quale quello concepito da Copernico. Ma forniva strumenti concettuali
essenziali per mostrarne la ragionevolezza e sbarazzare il campo dalle ob-
biezioni che ne avevano fino ad allora impedito l’affermazione.
Per una di quelle singolari coincidenze che ricorrono spesso nella storia
dello sviluppo delle conoscenze umane, negli stessi mesi del 1609 nei quali
Galileo cominciava a scrutare il cielo con il cannocchiale, in Germania ve-
deva la luce l’opera capitale di un suo illustre collega, Johannes Kepler, col
quale i rapporti si erano interrotti dopo il breve scambio epistolare del 1597.
Kepler non era più il giovane matematico, sconosciuto ai più, che aveva in-
viato al collega di Padova il suo primo libro sperando di avviare una proficua
collaborazione in nome del comune orientamento copernicano. Subentrato
a Tycho Brahe nel prestigioso incarico di Matematico Imperiale, già autore
di opere matematiche e di ottica di grandissimo pregio, Kepler godeva nel
1609 di notevolissima reputazione anche come astronomo. Il titolo della sua
nuova pubblicazione ne esprimeva eloquentemente il programma innovati-
vo: Astronomia Nova, seu Physica Coelestis (Praga 1609). Era soprattutto
il sottotitolo a chiarire in cosa consistesse la novità: il mondo celeste era
indagato facendo ricorso a principi fisici e i moti planetari venivano spiegati
con le stesse leggi impiegate per dar conto del movimento dei corpi sulla
superficie terrestre. Definire la “nuova” astronomia come una “fisica dei cie-
li” rappresentava una svolta rivoluzionaria. Significava manifestare la piena
convinzione dell’omogeneità strutturale dell’universo, prendendo così ine-
quivocabilmente le distanze dalla contrapposizione netta tra Terra e mondo
celeste sostenuta dalla filosofia naturale tradizionale.
È stato detto giustamente che col libro di Kepler le forze fanno per la
prima volta il loro ingresso nell’astronomia. La rottura degli orbi solidi della
sfera celeste imposta dal sistema di Tycho Brahe – che lasciò in eredità
a Kepler l’immenso tesoro dei dati astronomici accumulati in venti anni di
ricerche con l’impiego di strumenti di osservazione e misura di precisione
inaudita e l’evidenza che egli fornì del percorso sopralunare delle comete,
obbligavano ad accettare l’ipotesi dei cieli fluidi. Venendo a mancare il so-
stegno degli orbi solidi, diventava necessario spiegare cosa costringesse
i pianeti a muoversi stabilmente lungo le rispettive orbite. Se Galileo aveva
spiegato la stabilità dei moti planetari con il principio dell’“inerzia circolare”
(della tendenza naturale cioè di tutti i corpi che si muovono in circolo con ve-
locità uniforme a mantenersi in tale stato), Kepler si propose di individuarne
la causa fisica. Come scriverà a Longomontano (1562-1642), che era stato
il principale assistente di Tycho, egli intendeva rompere definitivamente la
barriera che aveva fino ad allora separato la fisica dall’astronomia: “entram-
be le scienze sono così strettamente legate che nessuna delle due può
raggiungere la perfezione senza l’altra”.
Astronomia ieri e oggi - Da Galileo a Newton 47

Tycho Brahe (1546 - 1601)

In pagine che rappresentano un passaggio fondamentale della grande


avventura umana dell’esplorazione del cosmo, Kepler racconta il processo
estremamente arduo attraverso il quale è giunto a decifrare il segreto celato
nella grande macchina del mondo. La solida base di partenza è costituita dal
corredo dei dati osservativi di Tycho Brahe ai quali la teoria fisica generale
che si propone di elaborare dovrà corrispondere in maniera puntuale. Alla
concretezza dei dati – ineludibile termine di paragone – si accompagna
l’assunto metafisico che la forza che costringe i pianeti a muoversi nelle
rispettive orbite con le loro specifiche velocità abbia origine dal Sole. For-
mulata da Kepler già nel Mysterium Cosmographicum del 1596, questa tesi
si fondava sull’osservazione che le velocità orbitali dei pianeti diminuiscono
costantemente con l’aumentare delle distanze dal Sole: se Mercurio risulta il
pianeta più veloce, il moto orbitale più lento è quello di Saturno. Individuata
nel Sole la sede della forza che muove i pianeti, Kepler suppone che essa
diminuisse proporzionalmente alla distanza (non al quadrato della distanza,
come la luce, alla quale Kepler lo paragona esplicitamente).
Nell’Astronomia nova il disegno di Kepler assume una configurazione
meglio definita. Se il Sole è la sede della virtù motrice, è necessario allo-
ra considerarlo come centro reale, fisico, del sistema cosmico. Seguendo
un’antica tradizione, Tycho aveva rapportato i moti dei pianeti che si muovo-
no lungo orbite circumsolari al Sole “medio”, cioè a un punto eccentrico ri-
spetto alla posizione reale del grande luminare. Lo stratagemma consentiva
all’astronomo danese di mantenere i pianeti lungo orbite circolari percorse
con velocità uniformi, ottenendo un’approssimazione accettabile tra teoria
e dati osservativi. Animato dalla volontà di stabilire un sistema fisicamente
vero, Kepler non può accettare questo espediente (che nella tradizione geo-
centrica veniva applicato alla Terra “media”). Si impegna dunque in un’este-
nuante serie di nuovi calcoli per determinare le distanze dei pianeti dal Sole
“vero” (Terra compresa, dato che è un convinto copernicano). Tenendo i dati
osservativi dei quali dispone come riferimento essenziale, Kepler non riesce
tuttavia a elaborare una teoria, basata sull’ipotesi di moti orbitali circolari a
velocità costanti, che mostri soddisfacenti capacità di previsione delle po-
sizioni dei corpi planetari. Il caso sul quale concentra la propria attenzione
è quello di Marte (il compito di stabilirne l’orbita gli era stato assegnato da
Tycho quando lo chiamò presso di sé a Praga nel febbraio del 1600). Utiliz-
zando i dati molto precisi di cui dispone sull’orbita di Marte, egli si impegna
in un terrificante sforzo di calcolo per definire in maniera più precisa quella
della Terra rispetto al Sole “vero”. Operazione fondamentale, dato che è dal-
la Terra che prendiamo tutte le misure astronomiche. Scopre così una non
trascurabile eccentricità della Terra (ignorata anche da Copernico) rispetto
al Sole “vero”. Combinando questo dato col principio della proporzione in-
versa tra velocità orbitale dei pianeti e distanza dal Sole, Kepler è costretto
a concludere che la Terra si muove lungo la propria orbita (che considera a
questo punto ancora circolare) con velocità continuamente variabile. La po-
tente spallata di Kepler faceva crollare uno dei paradigmi fondamentali della
cosmologia tradizionale (accolto ancora da Galileo): quello che assegnava
velocità uniforme a tutti i moti planetari.
Una nuova sfida si prospetta subito al matematico tedesco: come in-
dividuare il punto dell’orbita nel quale la Terra si troverà in un determinato
istante futuro? Per rispondere a questa domanda occorre stabilire una rela-
zione precisa tra gli spazi coperti dalla Terra lungo la propria orbita e i tempi
impiegati per percorrerli. Facendo ricorso al metodo di esaustione utilizzato
da Archimede per quadrare il cerchio, Kepler divide la circonferenza descrit-
ta dall’orbita terrestre eccentrica intorno al Sole “vero” in infiniti segmenti di
lunghezza continuamente variabile. Considera poi i fasci formati dagli infiniti
segmenti contigui come equivalenti al corrispondente settore del circolo
orbitale. Fondandosi sul principio della proporzionalità inversa tra distanza
dal Sole e velocità orbitale, giunge così a formulare la legge che è oggi
universalmente nota come “seconda legge” (o “legge delle aree”) di Kepler:
il raggio vettore (la linea che collega il pianeta al Sole “vero”) descrive aree
uguali in tempi eguali. Ciò significa che la Terra si muove con la minima
velocità all’afelio, superato il quale accelera fino a raggiungere nel perielio la
velocità massima. Geometria e fisica apparivano adesso perfettamente inte-
grate. Il calcolo rendeva infatti rigorosamente conto dell’armonia del cosmo,
mentre la virtù motrice del Sole evidenziava le forze che rendevano coesa e
stabile la macchina del mondo.
Il successo ottenuto con l’orbita della Terra consente a Kepler di affron-
tare il problema della definizione di quella di Marte con strumenti di analisi
più adeguati. Ma l’assalto a Marte risulta assai più arduo. Il procedimento
Astronomia ieri e oggi - Da Galileo a Newton 49

applicato alla Terra non dà i risultati sperati: lo scarto con i dati osservativi
resta troppo elevato. Kepler si convince progressivamente che il pianeta
rosso non si muove lungo un’orbita circolare, ma incontra grandi difficoltà a
stabilirne la vera natura. Numerosi capitoli dell’Astronomia nova ci illustrano
i suoi tormenti alla ricerca di una quadratura tra teoria e dati, testimoniando
l’impressionante lavoro di calcolo al quale Keplero si assoggetta per rag-
giungerla. La profonda convinzione che l’armonia che governa l’universo sia
intrinsecamente matematica lo spinge a cercare una curva alternativa alla
circonferenza, ma anch’essa regolare. Finalmente i suoi sforzi sovrumani
vengono ripagati: le orbite dei pianeti sono ellittiche e il Sole ne occupa
uno dei due fuochi (la cosiddetta “prima legge”, anche se scoperta dopo la
“seconda”). Kepler verifica che la “legge delle aree” (la “prima legge”) resta
valida anche nel caso di orbite ellittiche. Il secondo fondamentale paradigma
dell’astronomia tradizionale – quello che assegnava ai moti celesti orbite
perfettamente circolari – accettato anche da Copernico e da Galileo, veniva
così demolito. L’entusiasmo di Kepler è alle stelle. Come scriverà nella dedi-
ca dell’Astronomia nova al suo patrono, l’imperatore Rodolfo II (1552-1612),
la dura battaglia ingaggiata con Marte si era conclusa con la resa senza
condizioni del bellicoso avversario:

“Conduco alla presenza di Vostra Maestà un prigioniero nobilissimo, catturato


da me in una guerra difficile e laboriosa … Questi è costui che aveva trionfato
di tutte le invenzioni umane, irridente a tutte le campagne degli astronomi … Il
nemico, vedendomi deciso ad arrivare fino in fondo e non sentendosi più sicuro
in nessun punto del suo regno, si rassegnò alla pace; e con l’intermediario di
sua madre, la Natura, mi confessò la sua disfatta, e, arrendendosi sulla parola,
passò poco dopo nel mio campo scortato dall’aritmetica e dalla geometria …
La guerra non offre più pericoli, poiché Marte è nelle nostre mani” (Koyré 1966,
pp. 235-6).

L’universo esibiva un volto nuovo, manifestando una tessitura perfetta-


mente armonica. La ricerca della struttura armonica del cosmo – armonia
matematica e musicale (nell’Harmonices Mundi del 1619 avanzerà l’ipotesi
che le note della vera musica celeste scaturiscano dalle continue variazioni
di velocità dei pianeti) – rappresentava fin dagli esordi una vera e propria
ossessione per Kepler, che si era dedicato anima e corpo all’astronomia sot-
to l’impulso di profonde motivazioni teologiche. Appariva adesso chiaro ai
suoi occhi il progetto rigorosamente armonico della creazione. Il numero dei
pianeti dipendeva dalla scelta dei cinque solidi perfetti come modelli arche-
tipi (concetto già manifestato nel Mysterium Cosmographicum). Il Sole non
era solo sorgente di luce, ma anche sede della forza motrice che animava
con variazioni di intensità scandite dalla geometria l’orologio perfetto della
macchina del mondo, nella quale i pianeti procedevano lungo orbite ellittiche
con velocità proporzionali alla distanza dal Sole. Neppure la scansione dei
cinque pianeti nello spazio celeste e le loro diverse velocità apparivano ca-
suali. La “terza legge” pubblicata da Kepler nell’Harmonices Mundi mostrava
la natura squisitamente armonica di questi caratteri distintivi della macchina
del mondo, evidenziando la precisa relazione proporzionale in tutti i pianeti
tra i tempi impiegati a percorrere le rispettive orbite e la dimensione delle
stesse. La “terza legge” di Kepler stabilisce infatti che i quadrati dei periodi
stanno tra loro come i cubi dei semiassi maggiori delle orbite ellittiche.
Se i modelli geometrici e l’analogia con l’armonia musicale costituivano
strumenti da sempre largamente impiegati nello sforzo di decifrare i se-
greti dell’universo, l’estensione dell’indagine fisica al mondo celeste rap-
presentava una novità rivoluzionaria. In questo Kepler seguiva, con metodi
assolutamente originali e partendo da motivazioni diverse, la stessa strada
intrapresa da Galileo, che trovava per entrambi un riferimento fondamentale
nel cambiamento di scenario introdotto dal De revolutionibus di Copernico.
Altrettanto convinto di Galileo della struttura matematica dell’universo, Ke-
pler aveva posto tutte le proprie energie al servizio del disvelamento delle
regole dell’armonia cosmica, spingendosi oltre il collega italiano nello sforzo
di elaborare un’organica teoria fisica capace di dar conto del funzionamento
della macchina celeste. Se nel Mysterium la virtù motrice attribuita al Sole
si configurava ancora come una forza “animale”, la successiva lettura del
De magnete (Londra 1600) di Gilbert (1544-1603) – che produsse gran-
de impressione anche su Galileo – lo spingerà a cercare una spiegazione
fisica dell’energia fondamentale che mantiene il cosmo in movimento ordi-
nato. Nell’Astronomia nova Kepler accetta l’ipotesi avanzata da Copernico
della rotazione del Sole sul proprio asse (Galileo ne confermerà la verità
poco dopo, fondandosi sull’osservazione telescopica delle macchie sola-
ri). Secondo Kepler, la rotazione del Sole costringe i pianeti a muoversi
nelle rispettive orbite, come un vortice d’acqua trascina i corpi che vi sono
immersi. Nell’Astronomia nova la natura ellittica delle orbite, così come le
accelerazioni e i rallentamenti dei moti celesti, vengono attribuiti alle inte-
razioni magnetiche tra il Sole e i pianeti, considerati come calamite. Kepler
afferma che la virtù magnetica è proporzionale alla mole dei corpi. Per que-
sto l’azione attrattiva del Sole risulta enormemente più efficace di quella dei
pianeti (che pure attraggono a loro volta il Sole). I pianeti si approssimano al
Sole quando i due poli magnetici opposti sono vicini. Ne vengono viceversa
respinti quando si avvicinano i due poli eguali. L’avvicinamento e l’allonta-
namento periodici dal Sole causati dalle interazioni magnetiche spiegano
sia perché le orbite dei pianeti siano ellittiche (con il Sole in uno dei fuochi),
sia la continua variazione della loro velocità, dato che essa è inversamente
proporzionale alla distanza dal Sole.
Se le attrazioni e repulsioni tra il Sole e i pianeti apparvero a molti (tra
i quali quasi certamente anche Galileo) come ipotesi troppo legate a con-
cezioni animistiche, Kepler nutriva la piena convinzione di essere riuscito a
trasformare il cosmo da “macchina animale” in orologio o organo perfetto,
Astronomia ieri e oggi - Da Galileo a Newton 51

nel quale ogni movimento era prodotto da azioni meccaniche armoniche.


Kepler scomparve prima della pubblicazione del Dialogo di Galileo. È
probabile che la lettura di quel grande testo non lo avrebbe soddisfatto per
il suo carattere frammentario, per l’abbondanza di lunghissime digressioni
e, soprattutto, per l’assenza di ogni riferimento alle grandi novità di metodo
e “filosofiche” da lui introdotte. L’unica prova fisica del sistema copernicano
che Galileo vi proponeva – la spiegazione delle maree come effetto della
combinazione dei moti diurno e annuo della Terra – non avrebbe incontrato
l’approvazione del matematico tedesco, il quale attribuiva il flusso e riflusso
del mare all’attrazione magnetica esercitata dalla Luna. Inoltre, la cautela
con la quale Galileo presentava le ragioni a sostegno della concezione elio-
centrica sarebbe apparsa a Kepler – che aveva sempre rifiutato di piegare
il proprio pensiero alle prescrizioni delle autorità ecclesiastiche – l’espres-
sione di una rinuncia inammissibile a manifestare perentoriamente le proprie
idee, contribuendo in tal modo alla ricerca della verità e alla scoperta della
grandezza del’universo, opera di un Ente perfetto.
Se non poté leggere il Dialogo, Kepler aveva tuttavia dedicato grande
attenzione al Sidereus Nuncius di Galileo, contribuendo in maniera decisiva a
sedare le opposizioni che aveva suscitato e conferendo alle scoperte celesti
ottenute dallo scienziato pisano grazie al cannocchiale il decisivo supporto
della sua autorità scientifica. Fin dalla lettera inviata a Galileo nel 1597, Ke-
pler lo aveva invitato ad abbandonare ogni esitazione, impegnandosi a fondo
nella battaglia per l’affermazione della verità. Aveva rivolto al collega italiano
una serie di accorate raccomandazioni, invitandolo a esprimersi in maniera
esplicita sui grandi interrogativi posti dal cosmo: la natura e il significato
della sua struttura, i suoi fini, le leggi e le ragioni della sua armonia, il ruolo
dell’uomo nel creato, l’esistenza di esseri umani negli altri corpi celesti, se
l’universo fosse finito o infinito. Com’è noto, Galileo non raccolse la sfida. Le
domande di Keplero e il modo nel quale le poneva lasciavano già trasparire
le risposte che lo scienziato tedesco desiderava vedere condivise e confer-
mate da Galileo. Quest’ultimo aveva un’agenda diversa. La conferma che si
proponeva di dare all’ipotesi copernicana doveva passare attraverso le sen-
sate esperienze e le dimostrazioni matematiche. Mediante un paziente pro-
cesso di osservazione e di ragionamento matematico Galileo si proponeva
di mostrare che l’universo è scritto in caratteri matematici e che è il teatro
di leggi rigorosamente armoniche. Armonia, simmetria e ordine matematico
dell’architettura dell’universo si sarebbero rivelati per Galileo alla fine del
processo di ricerca. Non costituivano – come per Keplero – il presupposto
metafisico e teologico che l’analisi interpretativa dei dati osservativi doveva
necessariamente confermare.
L’impegno cosmologico di Kepler era stato caratterizzato da una predo-
minante motivazione teologica destinata a rimanere costante per tutto il cor-
so della sua carriera. Anche se oggi, di nuovo per esigenze apologetiche,
si tende a esaltare il contributo fondamentale che avrebbe dato all’esegesi
biblica nelle sue straordinarie “lettere copernicane” Galileo non era un teo-
logo, né avrebbe mai impegnato tempo prezioso nell’elaborazione di tesi e
interpretazioni teologiche se non vi fosse stato costretto da cogenti ragioni
di autodifesa. Lo scienziato pisano considerava lo sforzo di approssimazio-
ne alla verità come un obbiettivo da conseguire grazie all’uso esclusivo della
ragione e dell’osservazione attenta dei fenomeni naturali senza far ricorso a
principi metafisici per svelare i misteri più reconditi dell’universo.
Impegnati a combattere contro nemici comuni, protagonisti entrambi di
una riforma radicale dell’immagine del cosmo, Galileo e Kepler si muoveva-
no su lunghezze d’onda profondamente diverse. Ciò aiuta a capire perché
non unirono le loro forze contro il poderoso blocco ostile alla nuova fisica
celeste formato dall’alleanza tra la filosofia naturale tradizionale e l’autorità
ecclesiastica. Visti dalla prospettiva contemporanea, il cannocchiale, la na-
tura irregolare della superficie lunare, le macchie solari e le fasi di Venere
appaiono acquisizioni pienamente convergenti con le scoperte delle orbite
ellittiche, delle velocità variabili delle rivoluzioni planetarie e dell’esistenza di
forze che tengono insieme armonicamente l’universo. Ma i contemporanei
e i protagonisti delle generazioni successive non percepirono affatto Galileo
e Kepler come compagni d’avventura. Al contrario, i loro contributi furono
interpretati come modelli alternativi per realizzare la riforma del sapere.
L’influenza di Galileo fu ostacolata dalla drammatica condanna ecclesiastica
e dalla proibizione del Dialogo del 1633. Le opere cosmologiche di Kepler
ebbero un numero circoscritto di lettori (e ancor minore di ammiratori e
seguaci) per la loro intrinseca difficoltà e per la commistione, che parve
a molti inaccettabile, tra dati osservativi precisi e rigorose dimostrazioni
matematiche, da un lato, e presupposti metafisici e motivazioni teologiche
dall’altro. La visione galileiana dell’unità di dinamica terrestre e celeste costi-
tuirà la base di partenza per i grandi protagonisti che porteranno a compi-
mento la rivoluzione astronomica. Le tre leggi di Keplero rimarranno, d’altra
parte, termine di riferimento obbligatorio nei decenni successivi sia per i
protagonisti dell’astronomia di osservazione, impegnati nella raccolta di dati
sempre più precisi grazie al continuo perfezionamento degli strumenti, sia
per i filosofi naturali impegnati nello sforzo di comprendere la natura e i modi
di operare delle forze che costringono i corpi celesti a occupare quelle posi-
zioni e a muoversi lungo quelle orbite con quelle determinate velocità.
Negli anni del terzo decennio del Seicento che videro la scomparsa di
Kepler (1630) e la drammatica condanna di Galileo per veemente sospetto
di eresia (1633), con la definitiva messa al bando della concezione coper-
nicana, un giovane francese, René Descartes (Cartesio, 1596-1650) era
impegnato nella stesura di un’opera che avrebbe presentato un’originale te-
oria dell’Universo, fondata su una visione rigorosamente meccanicistica, sul
presupposto dell’unità di fisica terrestre e celeste e sull’esplicita adesione
Astronomia ieri e oggi - Da Galileo a Newton 53

alla concezione copernicana. L’opera in questione, Il Mondo o trattato della


luce, era già abbozzata nel 1630. Stesa in francese, Cartesio progettava di
pubblicarla nel 1633, pur essendo perfettamente cosciente che rischiava di
apparire troppo audace ai censori. Decise pertanto di presentare le sue idee
rivoluzionarie come una “favola” non solo per ragioni di cautela, ma anche
per rendere più facile e gradevole il cammino verso la scoperta della verità:
“Lasciate dunque che per un poco il vostro pensiero esca da questo mondo
per venire a vederne un altro, nuovissimo, che farò nascere al suo cospetto
negli spazi immaginari” (Descartes 1969, p. 56). Il progetto della pubblica-
zione sarà abbandonato non appena gli giungerà notizia della condanna di
Galileo: “ho appreso che … era stato stampato in Italia il Sistema del Mondo
di Galileo” e che “tutte le copie erano state date alle fiamme e il suo autore
condannato … Il fatto mi ha tanto colpito che mi son quasi deciso a bruciare
tutte le mie carte … Riconosco che se [questa opinione] è falsa lo sono
anche tutti i fondamenti della mia filosofia” (lettera a Marin Mersenne, fine
novembre 1633).
Diversamente da Galileo e da Kepler, il ragionamento di Cartesio è in-
teramente a priori. Il filosofo francese trascura i dati osservativi e limita il
ricorso alle dimostrazioni matematiche, affidando la costruzione del suo
universo alla deduzione dei fenomeni da principi chiari e distinti. Per Carte-
sio, Dio è autore delle leggi fondamentali e degli elementi costitutivi dai quali
attraverso processi puramente meccanici prende progressivamente forma
il mondo che conosciamo: stabilite le leggi e creati i materiali, Dio si ritira
dal mondo.
Gli elementi dell’universo cartesiano sono particelle omogenee che si
distinguono solo per forma, grandezza e movimento. Il primo elemento è
costituito da particelle dotate di notevole agitazione, flessibili, minutissime e
di forma instabile (l’elemento del fuoco). Il secondo elemento è formato da
particelle dotate di movimento più lento, di maggiori dimensioni e di forma
rotondeggiante (l’elemento dell’acqua). Il terzo elemento consiste di particel-
le di grandi dimensioni, estremamente lente e dalla forma tendenzialmente
cubica. Lo spazio del mondo cartesiano è pieno. Il vuoto viene risolutamente
respinto come assurdo. Attraverso la penetrante dimostrazione della natura
puramente soggettiva delle qualità secondarie (odori, sapori, colori, durez-
za, ecc.), Cartesio riduce la materia che riempie lo spazio del suo Mondo a
pura estensione: spazio pieno, dunque, e omogeneo, come quello della ge-
ometria euclidea. Nell’universo di Cartesio, privo di centro e di confini, non
si riconosce alcuna distinzione tra mondo terrestre e celeste. Dio ha creato
la materia-estensione, vi ha immesso movimento in quantità destinata a ri-
manere costante e ha stabilito le leggi che hanno formato il mondo, al quale
garantiscono perenne stabilità. Il mondo è un orologio, programmato da un
artefice talmente perfetto da non richiedere interventi di manutenzione né
di riparazione. Le leggi universali e necessarie stabilite da Dio all’atto della
creazione definiscono le proprietà fondamentali del movimento, l’agente fon-
damentale dell’universo cartesiano. La prima legge chiarisce che ogni parte
della materia tende a restare nel medesimo stato fino a quando è costretta
a mutarlo per l’urto di altre parti. La seconda legge precisa che la quantità di
movimento immessa originariamente da Dio nella materia-estensione rimane
costante: “Quando un corpo ne spinge un altro non può comunicargli alcun
movimento senza perderne contemporaneamente altrettanto del proprio,
né sottrarglielo senza aumentare il proprio nella stessa misura” (Descartes
1969, pp. 64-5). Il moto dunque non si “consuma” – come sostenevano la
fisica aristotelica e quella medievale dell’impetus – ma passa continuamente
da un corpo all’altro, senza che cambi la sua quantità complessiva. La teoria
della conservazione della quantità di moto costituisce il fondamento della
terza legge, che presenta la prima formulazione organica del principio di
inerzia: “Quando un corpo si muove, benché il suo movimento avvenga per
lo più secondo una curva …, le sue parti … tendono sempre a continuare il
loro in linea retta” (ibid., p. 67).
Stabilite le leggi fondamentali, creata la materia omogenea che riempie
completamente lo spazio e immessavi la necessaria quantità di moto, ini-
ziano i processi che portano alla formazione del mondo nel quale viviamo.
Esso prende forma attraverso le azioni puramente meccaniche della materia
in movimento. Mettendo in agitazione la materia - estensione, il movimento
ne provoca la frammentazione nei tre elementi di forma e grandezze diverse
(fuoco, acqua, terra). Essendo il mondo pieno, l’unico movimento possibile
per le particelle dei tre elementi è quello circolare. Le particelle si distribui-
scono a diverse distanze dai centri, rispetto ai quali ruotano secondo la loro
grandezza e velocità. Vengono così formandosi dei vortici di materia, alle
periferie dei quali si addensano le particelle più grosse e pesanti (il terzo
elemento – la terra – del quale consistono pianeti e comete) trascinate nelle
loro orbite con grande velocità. Le particelle del secondo elemento costitu-
iscono i cieli, mentre al centro dei vortici convergono le particelle più mobili
e leggere del primo elemento, che danno vita al Sole e alle stelle fisse.
La formazione dei vortici avviene attraverso azioni rigorosamente mecca-
niche: materia e movimento realizzano da soli una cosmogonia perfetta,
costringendo i corpi a distribuirsi secondo precise regole negli spazi degli
innumerevoli vortici, l’uno contiguo all’altro, che popolano l’universo. Anche
la luce e la gravità vengono interpretate da Cartesio come fenomeni prodotti
da azioni puramente meccaniche. La luce perde la sua natura di sostanza,
riducendosi alla sensazione generata dalla pressione esercitata dalle parti-
celle in movimento sull’organo della vista. La gravità, d’altra parte, cessa
di essere una proprietà intrinseca dei corpi. Cartesio spiega per primo che
quello che noi chiamiamo gravità è la conseguenza di un’azione meccanica
esercitata dall’esterno sui corpi (la pressione verso il centro delle particelle
in movimento). Dato che per Cartesio la pressione è proporzionale alla su-
Astronomia ieri e oggi - Da Galileo a Newton 55

perficie sulla quale si esercita, ciò spiega perché i corpi più grandi risultino
più pesanti.
Pubblicata per la prima volta a Parigi nel 1664 dopo la morte di Cartesio
(1650), la “favola” del Mondo rimase sconosciuta ai contemporanei. Ma
la sua singolare interpretazione della struttura dell’universo e delle leggi
del movimento che lo hanno generato e lo governano vennero divulgate,
con arricchimenti e precisazioni, nei Principia philosophiae, pubblicati ad
Amsterdam nel 1644. I Principia erano concepiti come un manuale di filoso-
fia naturale che, secondo le speranze dell’autore, avrebbe contribuito alla
diffusione delle sue idee nelle scuole sottraendole al monopolio dei Gesuiti.
A tal fine, aveva articolato la trattazione in fitte sequenze di brevi paragrafi,
evitando sistematicamente il ricorso alle dimostrazioni matematiche. Se le
aspettative di Cartesio sul successo dei Principia come manuale d’insegna-
mento andarono deluse, la sua fisica dei vortici – proprio a ragione della sua
radicale impostazione meccanicistica – esercitò un’influenza molto forte sui
ricercatori impegnati in tutta Europa a disegnare una filosofia della natura
interamente nuova nella quale l’interpretazione razionale della struttura e
delle dinamiche del cosmo rappresentava un capitolo fondamentale.
Gassendi (1592-1655) in Francia (che meglio di tutti comprese la novità
dell’alleanza galileiana tra meccanica e cosmologia), Huygens (1629-1695)
in Olanda, Hooke (1635-1702) in Inghilterra furono influenzati in varia misura
dalla fisica cartesiana. Numerosissimi altri geniali innovatori guardarono al
blocco di sapere organico (matematica, medicina, metafisica, logica, fisica
e religione) del sistema cartesiano come a un riferimento essenziale col
quale fare i conti.
Osteggiato dai Gesuiti (che Cartesio si era illuso a lungo di riuscire a
portare dalla sua parte), dalle gerarchie cattoliche (l’espulsione di Dio dal
mondo, la concezione dell’universo e dell’uomo come macchine, il sostan-
ziale atomismo, seppur senza il vuoto, e la negazione dei miracoli lo rende-

John Rowley, Orrery, 1712 - 1713,


Science Museum, Londra
vano un nemico da contrastare risolutamente) e dai seguaci della filosofia
scolastica, il sistema di Cartesio animò per molti decenni le discussioni tra
i dotti europei.
Tra coloro che avvertirono la necessità di fare i conti con Cartesio vi fu
il giovane Isaac Newton (1642-1727), che venne tuttavia progressivamente
prendendo le distanze dalla fisica dei vortici. Facendo fondamento sull’ana-
lisi galileiana del moto naturale, sulla rivoluzionaria concettualizzazione del
movimento di Cartesio (inerzia rettilinea, leggi dell’urto, ecc.) e sulla sco-
perta della vera natura della forza centrifuga e della sua formula da parte di
Huygens, Newton (che dichiarerà non casualmente di aver visto più lontano
perché poggiava sulle spalle di giganti) elaborò una nuova organica teoria
fisica. La forza che governa i complessi fenomeni dinamici dell’intero univer-
so è l’attrazione gravitazionale, la cui intensità è inversamente proporzionale
al quadrato della distanza e direttamente proporzionale alla quantità di mate-
ria (massa) dei corpi. Nella sua straordinaria opera di sintesi, i Philosophiae
naturalis principia mathematica (Londra 1687), Newton spiegò attraverso
l’azione di tale forza la struttura dell’intero universo dando ragione di tutti i
movimenti che si osservano sulla superficie del nostro pianeta così come
negli spazi celesti. Dal movimento dei pianeti a velocità variabile lungo orbi-
te ellittiche, a quelli periodici delle comete, dalla caduta dei gravi al flusso
e riflusso del mare sulla Terra, tutti i fenomeni venivano spiegati facendo
ricorso a un numero limitatissimo di assiomi e affermando l’esistenza di
un’unica forza che esercita il proprio potere dal centro della Terra fino ai
confini più estremi dell’universo. Partendo da questi principi, attraverso ri-
gorosi processi matematici, Newton deduceva le tre leggi che Kepler aveva
formulato induttivamente sulla base dei dati osservativi. L’universo di New-
ton appariva una struttura ordinata secondo infallibili principi matematici, la
cui immagine fu da molti percepita come quella di una macchina perfetta.
Tuttavia – diversamente da Cartesio – l’autore dei Principia nutriva la con-
vinzione che il grande orologio dell’universo non potesse funzionare senza il
continuo intervento divino. Dopo l’atto della creazione il Dio di Newton non
si estrania dal mondo. Ubiquamente ed eternamente presente nello spazio
e nel tempo assoluti, Dio garantisce la stabilità dell’universo. Egli interviene
continuamente per impedire che le interazioni gravitazionali producano squi-
libri che porterebbero l’universo al collasso con la concentrazione di tutte
le masse dei pianeti in un unico corpo. Come Kepler, Newton considera la
matematica strumento essenziale per capire e illustrare la natura e le opere
della divinità, che governa il mondo mediante l’attrazione universale, una
forza che agisce in maniera non meccanica. Negli spazi pervasi dall’ambi-
gua sostanza di un etere sottilissimo dell’universo di Newton l’attrazione fa
sentire il proprio effetto a distanza, senza contatto fisico tra i corpi. Per i
numerosi e autorevoli seguaci di Cartesio del Continente, l’azione a distanza
senza contatto rappresentava una concezione inaccettabile, un ritorno alle
Astronomia ieri e oggi - Da Galileo a Newton 57

“qualità occulte” della filosofia naturale aristotelica che Cartesio aveva defi-
nitivamente bandito.
Così, per un paradosso della storia, colui che aveva elaborato un siste-
ma, capace di fornire una ricostruzione razionale trasparente della struttura
e del funzionamento dell’universo fondandosi sulla matematica e sull’esperi-
mento, appariva ai seguaci di sistemi – come quello cartesiano – struttural-
mente dipendenti da presupposti metafisici e fondati su ipotesi ardimentose,
come il minacwwcioso restauratore dell’antico modo di filosofare.
Se le polemiche tra cartesiani e newtoniani, tra meccanicisti risoluti e
sostenitori della “filosofia sperimentale” continuarono a svilupparsi vivacis-
sime per tutto il corso del Settecento, ormai la concezione del Dio perfetto
orologiaio e l’immagine dell’universo come una macchina si erano universal-
mente affermate nell’immaginario collettivo. Ne forniscono una prova elo-
quente la concezione, all’inizio del Settecento e la larga produzione in tutta
Europa per tutto il resto del secolo, di quelle raffinate e complessissime
rappresentazioni meccaniche della struttura e dei moti dell’universo, che
dal nome di Charles Boyle, conte di Orrery, promotore del primo esemplare
costruito nel 1722 da John Rowley, presero il nome di orreries: congegni di
suggestiva bellezza, utilizzati per divulgare anche tra i non addetti ai lavori la
nuova immagine dell’universo-macchina, frutto della straordinaria rivoluzione
intellettuale prodottasi in meno di un secolo.

Armilla zodiacale dell’osservatorio di Tycho Brahe


(Astronomiae Instauratae Mechanica,
Wandersburg, 1598)
Bibliografia essenziale

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L’impatto del telescopio e
delle scoperte di Galileo
nell’astronomia cinese
nei secoli XVII e XVIII
Sun Xiaochun
L’impatto del telescopio e
delle scoperte di Galileo
nell’astronomia cinese
nei secoli XVII e XVIII
Sun Xiaochun
Docente di Storia della scienza
(Istituto di Storia di Scienze della natura, Chinese Academy of Science, Pechino)
Traduzione a cura della prof.ssa Fu Zhuo, facoltà di Lingue straniere, Communication University of China, Pechino

Le trasformazioni dell’astronomia cinese nel XVII e XVIII secolo furono do-


vute principalmente a due italiani. Il primo, Matteo Ricci, missionario gesuita
(1552-1610), non solo insegnò agli allievi cinesi la matematica e l’astrono-
mia occidentale, ma persuase e fece da tramite con le autorità cattoliche
romane, affinché inviassero altri astronomi gesuiti in Cina, in modo da con-
tribuire alla riforma astronomica, impresa cruciale per l’Impero cinese. Il
secondo, ovviamente, fu Galileo Galilei (1564-1642), le cui scoperte con
il telescopio furono introdotte in Cina nei primi anni del 17esimo secolo.
In Europa, le scoperte galileane con il telescopio hanno dato un contributo
sostanziale all’affermarsi del copernicanesimo, scuotendo le basi sulle quali
si fondavano i dogmi - e quindi le fondamenta stesse dell’autorità cattolica
romana: incrementando così dibattiti feroci sulle questioni cosmologiche.
Ma che impatto ha avuto il telescopio sull’astronomia cinese e la società
in genere?
L’astronomia cinese si componeva di due ambiti principali, l’astronomia
matematica e l’astrologia. Il buon funzionamento del sistema astronomico,
l’esattezza delle sue previsioni, consolidavano la legittimità del ruolo im-
periale e simboleggiava il buon governo. Il telescopio venne introdotto in
Cina nel periodo in cui gli astronomi della dinastia Ming erano impegnati nel
dibattito sui vari metodi necessari alla compilazione di un accurato sistema
astronomico e il suo calendario associato. Questo era un problema molto
importante sia pratico che politico.
Utilizzando il telescopio per osservare le eclissi solari e lunari Xu Guan-
Astronomia ieri e oggi - L’impatto del telescopio e delle scoperte di Galileo nell’astronomia cinese 61

Eclissi solari e lunari

gqi (1562 - 1633), insieme ai suoi collaboratori gesuiti, dimostrò che


il ‘metodo occidentale’ era superiore ai metodi tradizionali cinesi utilizzati
per determinare il calendario astronomico. Ma ironia della sorte, il “metodo
occidentale” legittimato in Cina dalle osservazioni telescopiche non fu quello
copernicano ma quello di Tycho Brahe1.
Le maggiori scoperte galileane con il telescopio furono presentate in
Cina nel 1615 da Emmanual Diaz nel suo Catechismo del Cielo (Tian wen lue
). Queste scoperte, vennero accolte dai cinesi con grande sorpresa.
Va inoltre sottolineato che le informazioni ottenute dai gesuiti erano par-
ziali2. I gesuiti non avevano menzionato il nome di Galileo, nè parlato delle
controversie cosmologiche e religiose relative alle scoperte effettuate tra-
mite telescopio. Tutto il problema legato alle accuse di eresia, era taciuto.
E nella cultura cinese non c’era distinzione categorica tra ambito celeste e
ambito terrestre. Le sostanze nel cielo erano soggette alle stesse leggi, agli
stessi mutamenti di quelle osservabili sulla Terra. Quanto alla storia delle
osservazioni cinesi, da lungo tempo in Cina si erano osservate le macchie
solari. Alcuni storici, addirittura, hanno rivendicato il fatto che i cinesi aves-
sero osservato i satelliti di Giove prima dell’introduzione del telescopio.3 E
questo, perché i cinesi consideravano questi tipi di fenomeni celesti come
malauguranti, funesti, segnali di allarme inviati dal cielo ai potenti. Dato che
i governatori non potevano mai esser sicuri di gestire il Paese alla perfezio-
ne, questi strani avvenimenti li gettavano sempre in uno stato di profonda

1
Per un dettegliato resoconto della riforma del calendario Chongzhen, vedi Keizo Hashimoto,
Hsü Kuang—Ch’I and Astronomical Reform. Osaka:Kansai University Press, 1988.
2
Nathan Sivin. Copernicus in China. Ristampato in Science in Ancient China: Researches and
Reflections. Collected Studies Series. Aldershot, England: Variorum 1995.
3
Xi Zezong. La scoperta del satellite di Jupiter da Ge De 2000 anni prima di Galileo. Chinese
Astronomy and Astrophysics, 1981.2, pp.242-243.
apprensione. E al tempo stesso, era dato come assodato, prevedibile, dagli
ufficiali di corte come dagli astronomi che dal cielo giungessero dei segnali:
che qualche fenonemo straordinario potesse accadere. In questa ottica, i
cinesi accettarono le scoperte galileane asetticamente, senza interpretarle
come una sfida alla filosofia cinese tradizionale.
Le osservazioni telescopiche spinsero alcuni intellettuali cinesi a nuove
considerazioni sulle questioni cosmologiche, anche se solamente all’interno
della struttura cosmologica cinese tradizionale, essenzialmente pluralistica
ed eclettica. Ad esempio, Fang Yizhi (1611 - 1671) usando il tele-
scopio per osservare la galassia, si rifece al pensiero antico di Zhang Heng
(78 A.D. – 139 A.D.) secondo cui le stelle erano di essenza acquosa.
Altri, per alcuni fenomeni specifici si riallacciarono alla tradizione cinese nel
tentativo di “ravvedere l’origine cinese delle conoscenze occidentali”. Per
tutti, il telescopio era solo un aiuto all’osservazione ad occhio nudo. Non una
minaccia al dogma, al potere, al complesso di concezioni legittime in vigore.
E per questo motivo, la conoscenza occidentale era considerata soltanto un
progresso degli studi, la cui origine probabilmente poteva anche essere sta-
ta cinese. Questa dichiarazione potrebbe sembrare strana agli occhi di un
ricercatore moderno: ma ha permesso di superare la barriera psicologica,
e di accettare le conoscenze occidentali.
L’astronomia era una scienza che il governo riservava solo ed esclusiva-
mente ad un suo studio privato, ad un suo esclusivo utilizzo. I più importanti
telescopi erano stati portati in Cina, ma rimanevano chiusi nel magazzino
imperiale, o presentati ai nobili come oggetto di curiosità. Come in Europa,
tuttavia, il telescopio era utilizzato anche a scopi militari.

Il ruolo svolto dalla rivoluzione astronomica


nell’ultima dinastia Ming
Come si è detto, l’astronomia cinese si componeva di due ambiti principali,
l’astronomia matematica e l’astrologia. Un buon sistema astronomico conso-
lidava la legittimità del ruolo imperiale e simboleggiava il buon governo. Fino
ai primi anni del XVII secolo, il grande sistema unitario (Datung li )
in uso presso la dinastia Ming presentava seri discrepanze nelle previsioni
degli eventi celesti, specie riguardo le eclissi solari e lunari. Tale metodo era
basato sul sistema stagionale (Shoushi li ) elaborato da Guo Shoujing
( ) nel 1280, e risaliva ai primi tempi della dinastia Yuan. Anche se il
sistema stagionale era il più accurato tra quelli in uso in Cina, dopo 300
anni dalla sua introduzione, non era più in grado di garantire l’esattezza
delle previsioni dei fenomeni e dei cambiamenti del cielo. Nel 1610, quando
l’ufficio di Astronomia fallì di nuovo la previsione dell’eclisse solare, l’autorità
imperiale si rese conto che era il momento di riformare il calendario. Il “mini-
Astronomia ieri e oggi - L’impatto del telescopio e delle scoperte di Galileo nell’astronomia cinese 63

Osservatorio astronomico di Pechino

stro dei Riti” presentò una memoria all’imperatore, suggerendo di convocare


tutti gli studiosi di astronomia; ad essi fu chiesto di recarsi nella capitale per
discutere la riforma del calendario. In quella occasione, Xing Yunlu e
Fan Shouji , stavano lavorando al perfezionamento del grande siste-
ma unitario; Xu Guangqi and Li Zhizhao , proposero di adottare il ‘me-
todo occidentale’ nella riforma del calendario. Tra gli altri, trovarono posto
anche due gesuiti missionari, Diego de Pantoja (1571 - 1618) e Sabbathinus
de Ursis, (1575 -1620), forse introdotti da Xu Guangqi e Li Zhizhao.
Xu e Li erano difatti da tempo in contatto con il gesuita Matteo Ricci e
altri, con cui studiavano l’astronomia matematica e lavoravano per tradurre
i principali trattati occidentali. I due studiosi cinesi erano pienamente consa-
pevoli del fatto che il ‘metodo occidentale’ era migliore, in grado di assicura-
re una precisione nelle previsioni celesti di gran lunga superiore ai sistemi
vigenti in Cina. E pertanto, ne proponevano l’adozione. Per la prima volta,
poi, costoro, in qualità di allievi dei gesuiti, erano stati invitati ufficialmente a
partecipare alla riforma astronomica. Tuttavia, la loro proposta non era stata
accettata immediatamente dall’imperatore: costui in prima battuta aveva
convocato Xing Yunlu e Li Zhizhao solo per consultarli.
Xing Yunlu era laureato in Astronomia dal 1580. Era stato nominato
ispettore locale ad Henan. Nel 1596, dopo che il grande sistema unitario
aveva mostrato la sua fallacia nel predire più d’una eclisse solare e lunare,
aveva proposto di cambiare il calendario, consegnando una memoria all’im-
peratore. Il fatto che un funzionario non appartenente all’ufficio dell’Astro-
nomia proponesse addirittura il cambiamento del calendario ufficiale, non
era visto di buon occhio: come si è citato prima, durante la dinastia Ming
era proibito ai privati l’occuparsi di questioni ufficiali inerenti l’astronomia.
Lui era riuscito ad uscire da questo empasse, con una difesa che provava
come anche gli scolari confuciani – quale lui era stato - fossero autorizzati a
studiare il calendario. Ed era stato assolto anche perché era assolutamente
evidente che il sistema astronomico in uso non funzionava.
La riforma suggerita da Xing Yunlu evidenziava la necessità di migliorare
- all’interno del quadro tradizionale cinese - la “scienza del calendario”. E
questo, ad iniziare dalla modifica e dal miglioramento del metodo impiegato
per annunciare e definire le stagioni. A questo scopo, aveva redatto un’anali-
si storica dei sistemi astronomici, e scritto un libro intitolato “Studi su calen-
dari ed armonie dal passato al presente (Gu jin lu li kao )”.
Li Zhizhao, dal canto suo, aveva proposto di adottare l’astronomia occi-
dentale in toto. Nel 1613, aveva consegnato una memoria, rilevando tutti gli
errori contenuti nelle previsioni delle eclissi solari e lunari redatte dall’ufficio
dell’Astronomia. Per la riforma del calendario, raccomandava di reclutare
astronomi gesuiti. Ed in particolare, sottolineava come gli strumenti usati da
quegli astronomi fossero straordinariamente precisi.
Dopo aver ascoltato tali istanze, l’autorità imperiale assumeva una po-
sizione ben precisa. Siccome il fine ultimo era la definizione di un buon
calendario astronomico, non importava il problema se i metodi usati erano
occidentali o cinesi. Andava selezionato il migliore. Sul tavolo delle riforme,
c’erano quattro proposte in competizione. Una era basata sul grande siste-
ma proposta da Xing Yunlu. Era sostanzialmente un sistema introdotto da
Guo Shoujing all’inizio della dinastia Yuan.
La seconda era il sistema islamico Huihui. L’astronomia islamica era
stata introdotta in Cina sotto il controllo Mongolo nella dinastia Yuan. Era
stato creato un altro ufficio separato dell’Astronomia, chiamato dipartimen-
to Huihui. Durante la dinastia Ming, questo ufficio aveva proseguito il suo
cammino, ed alcuni trattati astronomici sull’astronomia islamica erano stati
tradotti in cinese. Anche per questo, alcuni astronomi proponevano di adot-
tare il sistema Huihui, che veniva considerato estremamente diverso dal
sistema occidentale.
La terza proposta, fatta da Wei Wenkui, propendeva per la creazione di
un nuovo sistema cinese. L’ultima, era quella relativa all’adozione del sistema
astronomico occidentale, di cui Xu Guangqi e Li Zhizhao erano i fautori.
Per decidere quale sistema adottare, il procedimento fu era quello di
valutare questi sistemi, verificando le previsioni indicate, e la loro esattezza
rispetto agli eventi celesti. Grazie alla lunga tradizione astronomica, i cinesi
avevano già imparato che la cartina al tornasole per verificare al meglio la
precisione, l’accuratezza, l’affidabilità del sistema astronomico utilizzato per
definire il calendario era la sua precisione nel predire le eclissi solari. E questo
era considerato, lo ripetiamo, di importanza strategica, per il peso politico
dell’ufficio dell’Astronomia imperiale, che cresceva di pari passo con la sua
capacità di prevedere tali fenomeni. Laddove di fatto giungevano inattese,
le eclissi diventavano un serio problema. Essendo considerate dei segnali di
malaugurio inviati dal Cielo, e annunciando di fatto che un dato tipo di potere
stava per cadere, non si dava modo all’autorità di effettuare contromosse
Astronomia ieri e oggi - L’impatto del telescopio e delle scoperte di Galileo nell’astronomia cinese 65

Mappa stellare risalente alla dinastia Tang,


VII sec. d. C.

propagandistiche o politiche: non le si metteva in condizione di minimizzar-


ne l’impatto destabilizzante. Ecco perché l’autorità imperiale era fortemente
allarmata quando il sistema astronomico falliva. Ad esempio, quando l’ufficio
dell’Astronomia fallì nel prevedere l’eclisse solare del primo maggio 1629,
l’Imperatore ammonì gli astronomi: “L’ufficio dell’Astronomia ha dato le previ-
sioni sbagliate sia per l’inizio che per la fine delle eclissi solari. L’astronomia è
una materia seria. Dite loro che li perdono solo per questa volta. Se di nuovo
commetteranno errori, sicuramente non avrò più pietà per loro”.4
In più occasioni, Xu Guangqi aveva potuto presentare all’Imperatore uno
studio comparato sulle previsioni fatte in base al metodo occidentale, al gran-
de sistema unitario, al sistema Huihui (vedi Figura 7). Era emerso che il meto-
do occidentale era il più accurato, rispetto agli altri sistemi. Offriva i valori più
affidabili sulla data e sulla natura delle eclissi.
Dopo queste prove, aveva presentato una nuova memoria, ribadendo que-
sto dato. E tuttavia, non era riuscito nell’intento di convincere definitivamente
l’imperatore. Ad esempio, nella risposta alla memoria di Xu del 20 Novembre
1630, l’imperatore suggeriva che era tanto difficile verificare la teoria di Xu
Guangqi sulla maggiore esattezza del metodo occidentale, perché ‘riguardo il
momento dell’eclisse’ gli ufficiali dell’ufficio dell’Astronomia avevano utilizzato
strumenti diversi, ottenendo quindi diversi risultati (non comparabili)5
Quindi, Xu Guangqi si pose il problema di come dimostrare definitivamente
che le predizioni effettuate con il metodo occidentale fossero più accurate.
A questo scopo, il telescopio si dimostrò molto utile. Era difficile infatti
determinare il momento e la magnitudo delle eclissi solari a occhio nudo. Ma

4
Xu Guangqi. Xu Guanqi ji (Collected Writings by Xu Guangqi). Edited by Wang Chongmin.
Shanghai: Guji Chubanshe, 1981, p.325.
5
Ibid., p.355.
proiettando l’immagine del sole tramite un telescopio, su un telo di seta, ciò
divenne molto facile. Questo metodo già era stato spiegato da Adam Schall
von Bell nel suo “Sul Telescopio” nel 1626. Utilizzando il telescopio per
osservare le eclissi solari, Xu Guangqi ottenne dati più precisi e il risultato
poteva essere verificato; quindi, non c’era dubbio che il metodo occidentale
fosse superiore.
Nel 1631, in una memoria riguardo l’imminente eclissi solare del 25
ottobre, Xu Guangqi spiegò all’imperatore il vantaggio di usare il telescopio
per osservare l’eclisse solare:
“Precedentemente, [a occhio nudo], erano visibili solo eclissi solari mag-
giori di un decimo di magnitudo … A causa della luce abbagliante del Sole,
solo le eclissi di 4 o 5 decimi di magnitudo potevano essere attendibili e
comparate con quelle previste. Di solito, la magnitudo osservata è inferiore
a quella calcolata. Se la magnitudo è minore di un decimo, l’eclisse solare
non si vede. Se la magnitudo è poco più di un decimo, l’eclisse solare si
vede comunque meno di quella di due decimi. Se la magnitudo osservata
è inferiore a quella reale, l’inizio dell’eclissi osservata può esser in ritardo
rispetto a quello reale.
Usando il telescopio in una stanza scura, possiamo vedere chiaramente
l’immagine del Sole. In questo modo, possiamo determinare la magnitudo
e il tempo d’inizio dell’eclisse. Ciò può esser visto da tutti i funzionari e gli
studiosi, senza equivoci.
Se osserviamo a occhio nudo anziché con il telescopio, la luce solare ac-
cecante potrebbe rendere le osservazioni non effettuabili realmente. Alcuni
potrebbero utilizzare una vasca d’acqua per fare le osservazioni. Ma, poiché
la superficie dell’acqua non è statica, soltanto le eclissi di almeno un decimo
di magnitudo possono esser osservate. Ciò equivaleva a circa tre quarti
d’ora.6 In quel giorno, Xu Guangqi ed i suoi assistenti “osservarono l’eclisse
solare nell’ufficio dell’Astronomia. Due telescopi erano stati installati, l’uno
sul tetto, l’altro all’interno. Tutti e due misurarono la magnitudo dell’eclisse,
1.5 fen. E la misurazione effettuata corrispose esattamente a quella della
previsione effettuata utilizzando il metodo occidentale”7 .
L’uso del telescopio migliorò sostanzialmente la precisione delle misure
delle eclissi solari. Il miglioramento delle osservazioni delle eclissi lunari non
fu altrettanto notevole di quello delle eclissi solari, anche perché le lunari
potevano essere osservate a occhio nudo senza alcun effetto abbagliante.
Testimonianze riferite alle eclissi solari della tarda Dinastia Ming dimostra-
no che la precisione delle osservazioni aumentò considerevolmente dopo
il 1610. Prima dell’uso del telescopio, la precisione delle osservazioni era

6
Ibid, pp. 392-393
7
Xu Guangqi et al. Xinfa suanshu, p. 26.
Astronomia ieri e oggi - L’impatto del telescopio e delle scoperte di Galileo nell’astronomia cinese 67

instabile. Gli errori orari erano in media 15 minuti ed a volte deviavano anche
di 47 minuti. Dopo il 1610, gli errori erano ridotti a 10 minuti8. Presumibil-
mente ciò era dovuto al risultato delle osservazioni telescopiche.
Con questi risultati, ottenuti grazie alle osservazioni telescopiche delle
eclissi solari, Xu Guangqi finalmente persuase l’imperatore ad optare per
l’impiego del metodo occidentale nella riforma del calendario.
Per Xu Guangi, il metodo occidentale non doveva limitarsi alla realizzazio-
ne del calendario. Lui aveva riconosciuto come la scienza occidentale fosse
basata su rigidi principi deduttivi. Non solo studiava l’apparire del fenomeno,
cosa fosse, ma anche la sua origine, la causa, il perché del fenomeno. Inoltre
Xu Guangi, da buon funzionario addetto alla formazione, era particolarmente
interessato alle innovazioni “didattiche”, ad un nuovo metodo di apprendi-
mento. E insisteva sul fatto che la riforma astronomica, la realizzazione di
un buon calendario, dovessero essere il primo passo per l’introduzione di
una nuova scienza, da applicare ai problemi pratici e utili. Elencò pertanto
dieci applicazioni del metodo occidentale, la cui adozione era indispensabile
per la riforma astronomica, che potevano essere utili alla vita di tutti i giorni:
ad iniziare dalle leggi dell’idraulica e della fisica meccanica, applicabile alla
costruzione di strade, ponti, progetti militari. Insomma, si può dire che le
osservazioni telescopiche delle eclissi avevano svolto un ruolo cruciale nel
persuadere l’imperatore ad approvare l’adozione del sistema occidentale, e
più in generale, del metodo scientifico nel suo complesso.

Il quadrante dell’osservatorio astronomico di


Pechino. Costruito nel 1673 d.c. (dinastia Qing).
Il quadrante fu progettato per misurare altitudini
o distanze di corpi celesti.
8
Shi Yunli. The eclipse observations made by Jesuit astronomers in Beijing: a reconsidera-
tion. (L’osservazione dell’eclisse fatta da astronomi gesuiti a Pechino: una riconsiderazione)
Journal of the History of Astronomy 31 (2000): 136-147.
L’impatto del telescopio sulle conoscenze cosmologiche
Nel suo Catechismo del cielo (Tian wen lue ) pubblicato nel 1615,
Emmanual Diaz presentò queste scoperte galileane:
1
) Venere cambia fasi come la Luna
2
) La forma di Saturno non è completamente rotonda, ma ovale, con
due stelle minori attaccate ai suoi due lati.
3
) Giove ha quattro satelliti
4
) Ci sono molte più stelle rispetto a quelle osservate a occhio nudo. La
galassia, che ad occhio nudo è come una fascia di seta, con il telescopio
appare come una scia enorme di stelle.
Diaz non aveva menzionato il nome di Galileo, riferendosi a lui solo come
ad un famoso astronomo che aveva inventato il telescopio, ed utilizzato
così ampiamente da indebolirsi la vista, a causa delle osservazioni di lunga
durata. Tenne viva l’attenzione dei lettori dicendo che avrebbe parlato delle
“meravigliose applicazioni” con il telescopio dopo che era stato importato in
Cina. Le “meravigliose applicazioni” erano state introdotte da Johann Adam
Schall von Bell dieci anni dopo, nel 1626, nella sua Monografia sul Tele-
scopio. Schall illustrò come usare il telescopio per osservare il cielo, ed in
particolare per osservare le eclissi solari. Le sue descrizioni delle scoperte
galileiane erano più dettagliate, perché aveva aggiunto alle descrizioni di
Diaz le macchie solari e la superficie rocciosa lunare.
Mentre in Europa le osservazioni telescopiche avevano offerto ragioni
molto forti ai sostenitori del sistema eliocentrico copernicano, i gesuiti in
Cina non si erano azzardati a parlare della teoria copernicana, per timore
della Chiesa. Fu Schall, che tra l’altro non aveva fatto menzione delle appli-
cazioni cruciali delle osservazioni galileiane, ad introdurre queste scoperte:
portandole però a sostegno del sistema tychonico, e non copernicano.
Le figure 2-6 illustrano come Schall aveva presentato le scoperte galileiane
nella monografia sul telescopio: spiegò le fasi di Venere utilizzando la co-
smologia tychonica.
Presentate in questo modo, le scoperte galileiane non avevano fatto
sospettare nessuno, in Cina, delle terribili controversie cosmologiche e reli-
giose che avevano scatenato. Quindi, i cinesi risposero a queste scoperte,
inserendole nella linea dettata dalla loro tradizione cosmologica e culturale.
È particolarmente significativo vedere come gli studiosi inserirono le scoper-
te telescopiche galileiane in una prospettiva comparativa. La cultura cinese
permeò profondamente le loro risposte.
Innanzitutto, con il telescopio si evidenziavano più stelle rispetto a quelle
osservate a occhio nudo. Se per gli occidentali, questo aveva implicato
la rottura dell’Universo chiuso aristotelico ed orientò alcuni ad una visione
Astronomia ieri e oggi - L’impatto del telescopio e delle scoperte di Galileo nell’astronomia cinese 69

Fig. 1. Xu Guangqi (1562-1633), aveva condotto


la riforma del Chongzhen calendario alla fine della
dinastia Ming utilizzando il metodo occidentale.

più misteriosa di un universo pluralistico9, i cinesi, da tempo si erano resi


conto che il numero delle stelle non era definito. Avevano visto che le “stelle
ospiti” passavano. Nel primo secolo d.c., Zhang Heng (78 -139), addirittura,
aveva proclamato che il numero delle stelle leggere era stato calcolato in
11520. La galassia era stata chiamata Fiume Celeste. E non era considera-
ta un fenomeno sub-lunare. Le osservazioni telescopiche dimostrarono che
la galassia era una scia gigante di stelle: pertanto, in qualche modo, alcuni
studiosi cinesi la utilizzarono a riprova della validità delle teorie afferenti alla
cosmologia cinese antica. Nelle “Costituzioni Spirituali” di Zhang Heng, si
dice che le stelle erano la quintessenza dell’acqua. Quindi, anche il Fiume
Celeste era anche formato dalla quintessenza dell’acqua. Erano della stessa
sostanza.
Fang Yizhi (1611—1671) perfezionò le sue intuizioni grazie alle
osservazioni telescopiche, che descrisse in seguito nel suo “Brevi note sui
principi del fenomeno” (Wu li xiao zhi ). Vi ribadisce come, con il te-
lescopio, si può appurare che il Fiume Celeste è una scia di stelle. Lo stesso
dicasi per le costellazioni Langwei e le stelle morte nella Lodge - Gui lunare.
I commenti sulle Costituzioni Spirituali affermano che il Fiume Celeste è
fatto di essenza acquosa. Ciò implica che anche le stelle sono della stessa
essenza10. E continua ad elencare la validità di altre teorie tradizionali, a

9
Thomas Kuhn. Copernican Revolution, (Rivoluzione copernicana) p. 220.
10
Fang Yizhi. Wuli xiao zhi Little Notes on Principles of the Phenomena (Brevi note ai principi
dei fenomeni), juan 2, p. 37.
sostegno delle quali le osservazioni telescopiche della galassia costituivano
una sorta di prova. Quindi, anche dopo l’introduzione del telescopio, non si
assiste a nessuna rottura o contraddizione con la cosmologia tradizionale,
ma soltanto ad un suo rafforzamento.
Il secondo tema da evidenziare, è riferito alle osservazioni della Luna e
delle macchie solari. La superficie della Luna era stata scoperta come co-
perta da blocchi, crateri, valli e montagne. Le osservazioni del Sole avevano
svelato le macchie scure sulla superficie. In Occidente, entrambe le que-
stioni avevano sollevato dubbi sulla distinzione vigente nel dogma cristiano
tra natura della sfera celeste e del mondo terreno. Una volta scoperto ed
appurato come il cielo non fosse perfetto ed immutabile, come era stato
assunto nella cosmologia aristotelica; una volta appurata l’esistenza delle
macchie solari, si entrava in aperto conflitto con l’autorità cattolica, strenuo
difensore della perfezione del mondo celeste. Il loro apparire e scomparire
poi entra in conflitto con la immutabilità del cielo11. Kuhn, p.221] Gli astrono-
mi gesuiti le spiegarono come ombre create dalle stelle nascoste vicine al
Sole. E questo, di nuovo, era stato accettato dai cinesi, che inoltre: a) non
avevano mai fatto distinzioni tra il campo celeste ed il campo terrestre; b)
riconoscevano come le teorie adottate per illustrare i fenomeni sulla Terra
fossero applicabili perfettamente ai fenomeni celesti; c) avevano sempre
seguito la teoria della correlazione e interazione tra Cielo e Terra. A tale pro-
posito poi va sottolineato come questa correlazione fosse talmente innata
nella cultura e nella scienza e nella logica cinese che, nell’osservare in pas-
sato le ombre sulla Luna, gli osservatori vi avevano scorto di volta in volta
un rospo, un albero o un coniglio. E ancora: già nel XII secolo a.C i cinesi
avevano osservato le macchie solari. Ed interpretate seguendo gli oracoli.
Le prime registrazioni attendibili delle macchie solari furono effettuate dal
28 a.C., e compaiono scritte nella Storia del Han (Han shu ). I cinesi
avevano classificato le macchie solari in categorie basate su grandezze e
forme. Quindi, ancora una volta, ci troviamo a ribadire che le scoperte fatte
con il telescopio non furono assolutamente nuove per i cinesi, e che furono
accettate volentieri.
Jie Xuan (1610 - 1702) fu uno degli studiosi cinesi che approfondì
con più entusiasmo le conoscenze occidentali dell’astronomia, mettendone
in pratica le relative teorie. Come fedele seguace della dinastia Ming, aveva
resistito fermamente alle regole di ManChu della dinastia Qing, ed aveva
rifiutato di seguire una carriera da ufficiale sotto il nuovo regime. Tuttavia,
aveva tanti contatti con gli studiosi che conoscevano l’astronomia occiden-
tale. Fang Yizhi faceva parte di questi. Si incontrarono, e discussero dei pro-
blemi astronomici. Probabilmente, Jie Xuan fu il primo cinese che disegnò

11
Thomas Kuhn. Copernican Revolution. p. 221.
Astronomia ieri e oggi - L’impatto del telescopio e delle scoperte di Galileo nell’astronomia cinese 71

Fig. 2. Illustrazione che nel


Yuanjing shuo mostra le fasi di
Venere. Venere viene mostrata
ruotante intorno al Sole quando il
Sole gira attorno la terra.

Fig. 3 Immagine della Luna nel


Yuanjing shuo.

Fig. 4. Illustrazione dei quattro


satelliti di Giove nel Yunjing shuo.

Fig. 5. Forma ovale di Saturno


vista attraverso il telescopio, nel
Yuanjing shuo.
la superficie della Luna con l’aiuto del telescopio. Dai movimenti osservati
sulle macchie solari, concluse che il Sole girava sul proprio asse. Questa
illustrazione del movimento delle macchie solari era ovviamente del tutto
diversa dalla lettura data dai gesuiti. Negli scritti elaborati da quest’ultimi,
le macchie erano viste come stelle nascoste dei piccoli pianeti in orbita
attorno al Sole. Adottando la cosmologia tychonica alle idee cosmologiche
di Zhu Xi (1130 -1200), ed a quella neo-confuciana dell’epoca di Nan
Song, Jie Xuan propose una teoria cosmologica ispirata dal vortice centrico.
Il Sole era sferico ed eliocentrico. I pianeti o stelle fisse erano tutti sferici ed
eliocentrici. I satelliti di Giove, le due piccole stelle attaccate a Saturno, e
il fatto che la Luna fosse sempre di fronte alla Terra, tutto serviva come ad
evidenziare la bontà della sua teoria cosmologica12. La scoperta dei quattro
satelliti naturali di Giove aveva avuto un forte impatto sull’evoluzione della
cosmologia occidentale. Se Giove poteva essere il centro del suo sistema
planetario, perché il Sole non poteva fare altrettanto? Le osservazioni di
Giove offrirono il modello visibile del sistema solare copernicano. Gli ar-
gomenti contro il sistema copernicano erano stati letteralmente demoliti
da queste scoperte. I missionari gesuiti in Cina, Adam Schall ed altri, ave-
vano comunque presentato queste osservazioni a riprova della validità del
sistema Tychonico, in cui i pianeti giravano attorno al Sole mentre il Sole
girava attorno la Terra. E siccome il dibattito cosmologico nella sua com-
plessità era stato nascosto dai gesuiti, i cinesi non potevano immaginare
che da queste osservazioni era scaturita una straordinaria rivoluzione nella
Cosmologia. Anche per questo, di nuovo, va ribadito che i cinesi non ave-
vano considerato queste osservazioni particolarmente sorprendenti: tutte
erano facilmente integrabili alla cosmologia tradizionale cinese. Non solo
ipotizzabili senza alcuna rottura, ma probabilmente già osservate dai cinesi
ben prima dell’introduzione del telescopio. In un saggio sull’astrologia dal
VII secolo, il “Canone Astrologico del Periodo Kaiyuan”, già si osservava
come Giove avesse una piccola stella rossa attaccata, e di come con questa
formasse “un’alleanza”13. Probabilmente, quelle cinesi erano state le prime
osservazioni in assoluto sui satelliti naturali di Giove. E gli osservatori cinesi
furono attenti nell’osservare anche altri fenomeni planetari. In questa pro-
spettiva, appare molto interessante ipotizzare che probabilmente potevano
aver osservato anche gli anelli di Saturno. Nello stesso libro, si riporta che
Saturno ha gambe e ci sono stelle leggere attaccate14. Certo, senza ulteriori

12
L’essenza del pensiero cosmologico di Jie Xuan’s può essere trovato nel suo Xuan ji yi shu
(Testimonianze dell’antica arte dell’osservazione astronomica) pubblicato intorno al 1675.
Vedi Shi Yunli (2004), pp. 43-64.
13
Qutan Xida. Kaiyuan zhanjing Trattato astrologico del periodo Kaiyuan (713-741).), juan 23,
p. 172.
14
Ibid., juan 38, p. 203.
Astronomia ieri e oggi - L’impatto del telescopio e delle scoperte di Galileo nell’astronomia cinese 73

Fig. 6. Gruppi di stelle viste


attraverso il telescopio
considerate in previsioni stelle
singole o nebulose, nel Yuanjing
shuo.

Fig. 7 Un disegno dal Xinfa


suanshu in cui si mostrano le
previsioni differenziate sulla
magnitudo delle eclissi solari,
utilizzando rispettivamente il
grande sistema unitario e il
metodo occidentale.

testimonianze, è difficile affermare con matematica certezza che i cinesi ef-


fettuarono queste scoperte prima delle osservazioni telescopiche galileiane.
Però, il punto cruciale è evidenziare come sia chiaro da ogni parte che que-
ste scoperte non furono mai considerate impossibili dalle concezioni cinesi.
Nel pensiero cosmologico cinese, tutto è possibile. Le scoperte dei satelliti
naturali di Giove, e l’eliocentrismo, non sorpresero affatto gli astronomi.
In conclusione, mentre le scoperte telescopiche erano state considerate
sensazionali in Occidente, e avevano costituito una grande sfida alle idee
cosmologiche precedenti, in Cina nel XVII secolo erano state placidamente
accettate. In parte, perché le informazioni date dai gesuiti non erano com-
plete ed erano anche distorte dalla loro ideologia; in parte però perché di
fatto non contraddissero il pensiero cosmologico cinese: basato sui principi
di sostanziale interazione e corrispondenza tra il Cielo e gli esseri umani.
In genere, queste scoperte ottenute dal telescopio erano ben viste dagli
intellettuali, e usate per rinforzare e rilanciare le proprie tradizioni. Alcuni,
addirittura, avevano fornito nuove teorie incorporando cosmologie occiden-
tali con quelle tradizionali cinesi.
L’impatto del telescopio nella società cinese
In Occidente, l’impatto del telescopio sul pensiero astronomico era stato
profondo e aveva cambiato le prospettive cosmologiche degli uomini. Nei
suoi sviluppi successivi, l’uso del micrometro fece sì che il telescopio dive-
nisse uno strumento fondamentale per le misure astronomiche, inducen-
do un fortissimo sviluppo dell’astronomia. In Cina, come già sottolineato, il
telescopio aveva avuto un’influenza importante anche nell’elaborazione del
calendario e della concezione cosmologica. Eppure, l’evolversi delle cono-
scenze avevano avuto uno sviluppo tanto diverso da quanto si era verificato
in Occidente. Le scoperte telescopiche non avevano portato all’accettazione
della teoria eliocentrica copernicana, ma erano servite a rinforzare le validità
del sistema tychonico. Addirittura, dopo che Michel Benoist (1715 - 1774)
aveva introdotto pienamente il sistema copernicano nell’opera Mappa del
mondo con illustrazioni attorno al 1760, i cinesi l’avevano rifiutato per il fatto
che fosse discordante con il sistema Tychonico adottato. Nel 1669, quando
l’astronomo gesuita Ferdinand Verbiest (1623—1688) propose l’adozione
di strumenti più adatti alle esigenze dell’Osservatorio imperiale, lui non ave-
va proposto l’adozione del telescopio tra gli strumenti astronomici di misu-
ra. Aveva costruito invece sei strumenti classici tra quelli indicati da Tycho
Brahe. Perché?
La questione va inquadrata nell’ottica più generale della risposta cinese
alle indicazioni provenienti dalla scienza occidentale. Alcuni sostengono che
la Cina tentava di respingere le idee scientifiche occidentali per ignoranza
e xenofobia. Altri, che un certo atteggiamento del mondo culturale cinese
abbia bloccato l’avanzamento della scienza occidentale moderna. Ancora
altri, che certi aspetti insiti nel pensiero filosofico cinese, hanno fatto si che
il pensiero moderno scientifico occidentale fosse destinato a non integrarsi,
e fallire.
Certamente, sono aspetti importanti. Ma la situazione è più complessa,
e non riconducibile ad un approccio riduttivo. L’introduzione del telescopio
dimostra che la trasmissione del sapere scientifico dall’Occidente alla Cina è
stato un processo “pieno di concezioni distorte, ambiguità, reinterpretazioni
ed adozioni selettive,” come veniva indicato dal Nathan Sivin15. Un processo
che aveva subito l’influenza dei metodi e delle motivazioni dei missionari
gesuiti. E che è stato anche condizionato dal governo imperiale e dalle sue
motivazioni.
La questione è così complessa da rendermi impossibile il compito di
analizzarla completamente in questo scritto. Vorrei solamente evidenziare
una serie di punti relativi alla nostra discussione sull’impatto del telescopio
in Cina.

15
Nathan Sivin. “Wang Hsi-Shan”. In: Science in ancient China, V, p.1. Variorum, 1995.
Astronomia ieri e oggi - L’impatto del telescopio e delle scoperte di Galileo nell’astronomia cinese 75

Non volevo utilizzare la parola “xenofobia” per descrivere l’approccio


generale degli intellettuali cinesi nel tardo periodo Ming e all’inizio del perio-
do Qing. Come abbiamo detto, gli studiosi del periodo Ming erano attenti e
ricettivi nei confronti delle nuove conoscenze astronomiche e matematiche
provenienti dall’Occidente. Non solo si era accorti del loro uso efficace ai
fini della risoluzione dei problemi del calendario, ma avevano anche visto
le loro potenzialità, e le applicazioni a vantaggio di situazioni pratiche, ad
iniziare dalle realizzazioni in ambito civile e militare. Quando i gesuiti avevano
introdotto le osservazioni telescopiche, i cinesi non si erano meravigliati:
le avevano considerate un nuovo punto d’inizio per ampliare le loro cono-
scenze in materia di astronomia. Le scoperte dell’astronomia occidentale
si diffusero velocemente tra gli intellettuali cinesi. Ad esempio, abbiamo
appreso da Fang Yizhi che quando lui aveva nove anni, aveva già sentito par-
lare dell’astronomia occidentale da Xiong Mingyu (1579 -1649), in
occasione della visita di suo padre a Xiong attorno al 162016. Xiong Mingmu
era un ufficiale di alto livello che era in contatto con tanti studiosi, compresi
i missionari gesuiti. Aveva scritto sulle osservazioni telescopiche già nel
1615, e pubblicato nel 1634.
Inoltre, per i gesuiti, insegnare l’astronomia occidentale era soprattutto
un mezzo, una strategia per introdurre e predicare il cristianesimo. Fu solo
una coincidenza il fatto che fossero presenti nel momento in cui il governo
imperiale stava risolvendo il problema legato alla riforma del calendario. Nel
loro tentativo di introdurre le conoscenze astronomiche occidentali in Cina,
erano condizionati, da un lato, dall’ideologia cattolica romana, dall’altro, dal-
la loro limitata formazione astronomica. Il quadro che presentarono era in-
completo e distorto, e per questo non del tutto convincente. Alcuni studiosi
intelligenti come Mei Wending (1633 -1721) potevano distinguere
varie teorie introdotte dai gesuiti e considerare l’astronomia occidentale e il
suo sviluppo complessivo adottando nello stesso momento diverse teorie.
Però, per alcuni intellettuali - come Luan Yuan (1764-1849) abituati all’idea di
unità della conoscenza, le due teorie contrastanti introdotte dai gesuiti, era
semplicemente inaccettabili. E per questo i funzionari gli fecero rifiutare la
teoria copernicana al momento della sua introduzione in Cina.
In ultimo luogo, dalla parte del governo cinese imperiale, si voleva solo
un sistema attendibile ed accurato, utile per elaborare il calendario e preve-
dere importanti eventi celesti. L’ufficio Astronomico imperiale si era messo
a disposizione per riformare il calendario. Un buon sistema astronomico ma-
tematico poteva essere elaborato senza bisogno di assegnare un significato
fisico al sistema cosmologico adottato. Nei primi anni della dinastia Qing,

16
Hsu Kuang-Tai. “Evidential Study on Fang Yizhi’s First Contact with Western Scientific know-
ledge at the Age of Nine.” Presentato alla 12a Conferenza Internazionale di Storia della scien-
za nell’Asia orientale. Baltimore, USA, 14-18 Luglio 2008.
c’erano studiosi che rifiutarono di adottare le norme impartite dal governo e
fecero lavori creativi sull’astronomia. Uno di questi era stato influenzato da
Wang Xishan (1628 -1682). Egli criticò gli astronomi, che si erano interes-
sati al calendario, senza acquisire dei principi da introdurre nelle loro teorie.
Solo Wang Xishan aveva fatto sforzi per uniformare tecniche matematiche e
principi cosmologici17. Ma questo era questo era l’obiettivo del governo im-
periale. Gli astronomi responsabili dell’ufficio dell’Astronomia, sia gesuiti sia
cinesi, non erano spinti o motivati ad adottare nuove teorie: ma interessati al
solo fatto che il problema del calendario potesse essere risolto.
Fino al 1660, il telescopio non svolse un ruolo importante nell’astrono-
mia cinese: non serviva molto, per aumentare la precisione del calendario.
Quindi gli astronomi cinesi non lo avevano trovato così utile. I telescopi più
importanti erano stati portati in Cina: ma non avevano avuto molta influenza
al di fuori della corte e del circolo di ufficiali di alto livello. Il telescopio aveva
aumentato la curiosità degli ufficiali e ingenerato alcune riflessioni significa-
tive negli imperatori; alcuni ufficiali di alto livello avevano scritto poesie sulle
osservazioni telescopiche, senza che tuttavia progredisse alcuna nuova ri-
cerca scientifica

Astronomo cinese XVII sec.

17
Per uno studio critico degli studi astronomici di Wang Xishan, vedere Nathan Sivin. “Wang
Hsi-Shan”. In: Science in Ancient Cina, V, p.1. Variorum, 1995.
Astronomia ieri e oggi - L’impatto del telescopio e delle scoperte di Galileo nell’astronomia cinese 77

Bibliografia essenziale

Fonti Primarie
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led by Xutan Xida. Ca. 724. Reprint. Beijing: Zhongguo Shudian, 1989.
Tian wen lue (Catechism of the Heavens) by Emmanual Diaz. 1615. Reprint.
Zhengzhou: Daxiang Chubanshe, 1998.
Wuli xiao zhi (Little Notes on Principles of the Phenomena), by Fang Yizhi (1611—
1671). 1664. Reprint. Shanghai: Shangwu Yingshuguan, 1937.
Xinfa suanshu (Treatise on Mathematical Astronomy According to the New Me-
thods), compiled by Xu Guangqi et al. First issued in 1635, then in 1645 as Xiyang xinfa
suanshu. Reprint. Zhengzhou: Daxiang Chubanshe, 1998.
Xu Guanqi ji (Collected Writings by Xu Guangqi (1562-1533)). Edited by Wang
Chongmin. Shanghai: Guji Chubanshe, 1981.
Xuan ji yi shu (Records of Ancient Arts of Astronomical Observations), by Jie Xuan
(1610-1702). Ca. 1675. Reprint. Zhengzhou: Daxiang Chubanshe, 1998.
Yuanjing shuo (Monograph on the Telescope), by Adam Schall von Bell. 1626. Re-
print. Zhengzhou: Daxiang Chubanshe, 1998.

Fonti secondarie
Hashimoto, Keizo (1988). Hsü Kuang—Ch’I and Astronomical Reform. Osaka:Kansai
University Press.
Hsu, Kuang-Tai (2008). Evidential study on Fang Yizhi’s first contact with Western
scientific knowledge at the age of nine. Paper presented at the 12th International Confe-
rence of the History of Science in East Asia, Baltimore, USA, 14-18 July 2008.
Kuhn, Thomas S. (1957). The Copernican Revolution: Planetary Astronomy in the
Development of Western Thought. Cambridge, Mass.: Harvard University Press.
Shi, Yunli (2000). The eclipse observations made by Jesuit astronomers in Beijing:
a reconsideration. Journal of the History of Astronomy 31: 136-147.
Sivin, Nathan (1973). Copernicus in China. Reprint. Sivin (1995). Science in Ancient
China: Researches and Reflections, IV, 1-53. Aldershot, England: Variorum.
Sivin, Nathan (1976). Wang Hsi-Shan. Reprint. Sivin (1995). Science in Ancient Chi-
na: Researches and Reflections, V, 1-28. Aldershot, England: Variorum.
Xi, Zezong (1981). The discovery of Jupiter’s satellite by Ge De 2000 years before
Galileo. Chinese Astronomy and Astrophysics, No.2: 242-243.
La Cina di Matteo Ricci
e l’astronomia
tra Oriente e Occidente
Filippo Mignini
La Cina di Matteo Ricci
e l’astronomia tra Oriente e
Occidente
Filippo Mignini
Professore di Filosofia e direttore istituto Matteo Ricci, Università di Macerata

Vita e opere di Ricci1


Nato a Macerata il 6 ottobre 1552, Matteo ricevette la prima formazione in
casa, specialmente ad opera del sacerdote Nicolò Bencivegni; poi, apertasi
nel 1561 la scuola dei Gesuiti, fu iscritto tra i primi alunni dei “preti rifor-
mati”. Qui compì gli studi umanistici di base fin verso il 1566; dopo aver
collaborato per un certo tempo alla spezieria paterna, a sedici anni fu inviato
a studiare legge alla Sapienza di Roma.
Matteo dovrebbe aver frequentato il ciclo completo degli studi triennali
della facoltà di diritto dall’autunno 1568 al giugno 1571. Tuttavia, nel verba-
le del suo esame di ingresso nel Noviziato, avvenuto il 15 agosto 1571, si
dichiara che aveva studiato umanità e “doj anni” di legge. Per un singolare
destino, essendo malato il maestro dei novizi padre Fabio de Fabii, fu esami-
nato e accolto dal vice-maestro Alessandro Valignano. Sarà questi, più tardi,
ad affidargli il compito di attuare l’impresa della Cina. Finito il noviziato, fu
inviato a perfezionare gli studi umanistici a Firenze. Tornato a Roma, nell’au-

1
Rinvio alle più recenti biografie di Ricci in lingua italiana: F. Mignini, Matteo Ricci. Il chiosco
delle fenici, Il lavoro editoriale, Ancona 2004, 20092con la bibliografia essenziale annessa; e
M. Fontana, Matteo Ricci. Un gesuita alla corte dei Ming, Mondadori, Milano 2005. Per informa-
zioni bibliografiche più ampie rinvio alla bibliografia disponibile nel sito dell’ Istituto Matteo Ricci
di Macerata:www.istitutomatteoricci.com. Le opere storiche di maggiore riferimento di Ricci,
ossia Della Entrata della Compagnia di Giesù e Christianità nella Cina, Edizione realizzata sotto
la direzione di P. Corradini, Prefazione di F. Mignini, a cura di M. Del Gatto, Quodlibet, Macerata
2000 e Lettere (1580-1609), edizione realizzata sotto la direzione di Piero Corradini, a cura
di F. D’Arelli, Prefazione di F. Mignini, con un saggio di S. Bozzola, Quodlibet, Macerata 2001,
saranno indicate rispettivamente con le sigle E e L seguite dal numero della pagina.
Astronomia ieri e oggi - La Cina di Matteo Ricci e l’astronomia tra Oriente e Occidente 81

Matteo Ricci e il discepolo Xu

tunno del 1573 iniziò a frequentare il Collegio Romano, dove seguì i corsi
di retorica e di filosofia. All’ambito delle discipline filosofiche appartenevano
anche quelle matematiche, che abbracciavano non soltanto aritmetica e ge-
ometria, ma anche astronomia, geografia, cartografia, scienze della misu-
razione dello spazio e del tempo. Ricci frequentò in quegli anni l’accademia
del celebre matematico Cristoforo Clavio, amico e corrispondente di Galileo
e di Keplero. Da Clavio, che chiamerà sempre “il mio maestro”, egli apprese
le scienze e le tecniche che gli consentiranno, grazie anche alla prodigiosa
memoria e alla solida formazione umanistica, di imporsi all’attenzione dei
letterati cinesi2.
Nel maggio del 1577 lasciò Roma per il Portogallo, dove si imbarcò
nella primavera dell’anno successivo per l’India, giungendo a Goa il 13 set-
tembre 1578. Qui studiò teologia e insegnò latino e greco nei collegi di
Goa e di Cochin, dove fu ordinato sacerdote nel luglio del 1580. Terminato
il corso triennale di teologia, nell’estate del 1582 fu chiamato a Macao da
Alessandro Valignano, Visitatore della Compagnia in Asia orientale.
In quella città, porto strategico per le comunicazioni tra la Cina, il Giap-
pone, le Filippine e il Sud-Est asiatico, i gesuiti avevano costruito un collegio
e una chiesa. Nel 1577 Valignano vi era giunto in veste di Visitatore ed aveva
concepito un progetto nuovo di evangelizzazione del grande impero. Per
entrare in contatto con questo mondo chiuso e fortemente gerarchico, sa-
rebbe stato necessario anzitutto apprenderne la lingua ufficiale, detta “man-

2
Per la formazione complessiva ricevuta da Ricci nel Collegio romano rinvio a Mignini, Matteo
Ricci. Il chiosco delle fenici, cit., cap. 3; M. Fois, Il Collegio romano ai tempi degli studi del
p. Matteo Ricci, in Atti del convegno internazionale di studi ricciani (Macerata-Roma, 22-25
ottobre 1582), Macerata 1984, pp.203-228; e ora, per la formazione scientifica, U. Baldini, La
formazione di Matteo Ricci nelle scienze (1572-1577), in Matteo Ricci, Cartografia, a cura di F.
Mignini, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 2010 (in corso di stampa).
darina”, utilizzata nei tribunali e nella pubblica amministrazione. In secondo
luogo, sarebbe stato necessario studiare la cultura del Paese, in particolare
i testi canonici del confucianesimo, filosofia della classe dirigente della Cina.
Valignano comprese inoltre che non sarebbe stato in alcun modo possibile
avere accesso a un Paese convinto di non aver nulla da apprendere da
stranieri, restando estranei ai suoi costumi di vita, ossia senza farsi, per
quanto possibile, cinesi. Mise per iscritto queste direttive e chiamò dall’India
Michele Ruggeri, che aveva compiuto con Ricci il viaggio dall’Europa, era
di dieci anni più anziano ed anche più pratico di mondo, avendo svolto la
professione di avvocato in Napoli prima di entrare nell’Ordine3.
Ruggeri giunse a Macao verso la fine di luglio del 1579; si mise a stu-
diare la lingua mandarina e tentò ripetutamente di stabilirsi all’interno del
territorio cinese accompagnando i mercanti portoghesi alla fiera di Canton.
Sperimentate le enormi difficoltà di ogni genere che si opponevano alla mis-
sione, Ruggeri iniziò a chiedere al Visitatore l’aiuto del giovane Ricci, dotato
di grande memoria e di un metodo per coltivarla. Ma i superiori preferirono
che Ricci terminasse debitamente il corso di teologia. Giunto infine a Macao
il 7 agosto 1582, dopo un altro tentativo fallito di Ruggeri e F. Pasio di entra-
re in Cina, finalmente, nel settembre 1583, Ruggeri e Ricci furono ammessi
a risiedere nella città di Zhaoqing. Fu chiesto loro, che professavano di
essere religiosi, di adeguarsi ai costumi e all’abito dei monaci buddisti, tra i
quali venivano ammessi stranieri. Si rasarono barba e capelli e indossarono
l’abito grigio dei bonzi. Iniziava così quell’impresa della Cina che porterà Ric-
ci, diciotto anni più tardi, dopo straordinarie fatiche ed esperienze inaudite,
a essere chiamato a corte dall’imperatore Wanli per presentare i suoi doni
quale ambasciatore d’Europa.
Cinque anni dopo l’ingresso a Zhaoqing, e dopo alcuni tentativi falliti
di aprire nuove residenze più a nord, Ruggeri veniva inviato a Roma per
organizzare un’ambasciata del papa (regnava in quel tempo Sisto V) presso
l’imperatore di Cina. Ma la delegazione pontificia, sulla quale molto si conta-
va, non poté essere inviata nei tempi sperati e Ricci dovette aprirsi la strada
verso Pechino con le sue virtù umane, con la sua fede e le sue scienze.
Ricci rimase sei anni a Zhaoqing, dove il bonzo occidentale si era im-
posto all’attenzione dei letterati e dei mandarini della provincia con le sue
conoscenze matematiche, letterarie e filosofiche; specialmente per aver
disegnato e tradotto in lingua cinese, un anno dopo il suo arrivo, la carta
geografica universale, fino a quel momento ignota ai cinesi4. Un nuovo vice-
ré lo cacciò dalla città per impossessarsi della sua casa; ma Ricci riuscì a

3
Su Ruggeri si veda A. Gisondi, Michele Ruggeri, missionario in Cina e primo sinologo europeo
(Spinazzola 1543 – Salerno 1607), Jaca Book, Milano 1999.
4
La prima carta geografica disegnata da Ricci a Zhaoqing era intitolata: Carta geografica com-
pleta dei monti e dei mari (Yudi shan hai quan tu); Una seconda edizione, il doppio della prima
ma con lo stesso titolo, appare nel 1600; una terza edizione in sei pannelli a Pechino nel 1602:
Carta completa delle miriadi di paesi sulla terra (Kun yu wanguo quan tu); una quarta in otto
pannelli nel 1603: Mappa visuale misteriosa delle due forme (Liang yi xuan lan tu); una quinta
nel 1608, riproduzione dell’edizione del 1602 per l’imperatore Wanli; una sesta, in due emisferi,
nel 1609. Solo della terza e della quarta edizione sono pervenuti originali e copie successive.
Astronomia ieri e oggi - La Cina di Matteo Ricci e l’astronomia tra Oriente e Occidente 83

ottenere il permesso di potersi stabilire in una città più a nord, nella stessa
provincia.
Nel 1589 aprì a Shaozhou la seconda residenza. Qui comprese, passati
dodici anni dal suo ingresso in Cina, che doveva affidare alla stampa e ai
libri il suo messaggio civile e religioso. Nel corso del 1594 si mise a scuola
di composizione letteraria cinese per imparare a comporre libri in questa
lingua e ottenne da Valignano il permesso di presentarsi come un letterato
straniero, in tutto simile ai predicatori confuciani. Aveva intanto portato a
termine la traduzione latina dei Quattro libri, i classici confuciani, e una loro
parafrasi in latino a beneficio dei gesuiti che giungevano in Cina e di quanti
altri, all’esterno, volessero iniziare ad apprendere i capisaldi della cultura del
misterioso Paese. Intorno al 1593 aveva anche iniziato a comporre un nuo-
vo Catechismo, dopo quello pubblicato nel 1584 insieme a Ruggeri e che
verrà del tutto abbandonato, anche perché in esso gli autori si presentavano
come religiosi buddisti. Ricci si fece crescere di nuovo barba e capelli, vestì
l’abito di seta dei letterati confuciani e si conformò in tutto al loro status e
ai loro costumi.
Nel 1595, giunto a Nanchang, dove aprì la terza residenza, presentò la
sua prima opera in cinese: Dell’amicizia. Fu la prima di una serie di opere
fortunate che diffusero la fama di Xitai - che significa “maestro dell’estremo
Occidente”, come preferivano chiamarlo i cinesi -, in tutto l’impero. Con i suoi
orologi solari e meccanici, i suoi globi terrestri e celesti, le sfere armillari, gli
astrolabi, le clessidre, i prismi di cristallo, i quadri a olio, gli strumenti musicali,
stava seducendo la Cina. Nel 1596, dopo essersi sottoposto a prove pubbli-
che di memoria, tradusse in cinese una trattatello intitolato Mnemotecnica oc-
cidentale, sulla base di un suo precedente trattato in lingua italiana, composto
negli anni del Collegio romano5.
Giunto la prima volta a Pechino sul finire del 1598, durante l’invasione
giapponese della Corea e in un clima di alto allarme in Cina, preferì tornare
indietro. All’inizio del 1599 aprì la quarta residenza a Nanchino. Terminata la
guerra di Corea e superate alcune gravi vicissitudini, il 24 gennaio del 1601
entrava definitivamente a Pechino. L’imperatore Wanli, che da anni non si mo-
strava più in pubblico e non riceveva neppure i ministri, pur senza mai incon-
trarlo accolse lo straniero all’ombra della corte e lo mantenne, con quattro
suoi compagni, a spese dell’erario.
Nei nove anni che trascorse a Pechino, Ricci pubblicò le sue opere più
importanti, alcune delle quali con l’aiuto determinante di amici e letterati cine-
si. Nel 1602 compose con Li Zhizao il grande mappamondo in sei pannelli;
su incitamento di Feng Yingjin stampò Vero Significato del Signore del Cielo
nel 1603 e Venticinque sentenze nel 1605. Con Xu Guangqi tradusse e pub-
blicò nel 1607 i primi sei libri della Geometria di Euclide. L’anno successivo
Wanli vide per la prima volta la carta geografica universale, ne comprese
l’attendibilità e l’importanza e ne ordinò dodici esemplari in seta. Nello stesso

5
Questa notizia è offerta da Ricci stesso nella lettera inviata da Nanchang il 9 settembre 1597
al vecchio amico di collegio Lelio Passionei, per il quale aveva composto un piccolo trattato di
mnemotecnica che aveva portato con sé in Cina: L346-7.
Il planisfero disegnato da Matteo Ricci

1608 Ricci pubblicava Dieci capitoli di un uomo strano, un’opera morale in


dieci capitoli ispirata allo stoicismo, che riscosse ammirazione in tutta la Cina.
Verso la fine di quell’anno aveva anche iniziato a comporre l’opera storica che
farà conoscere la Cina all’Europa nei due secoli successivi: Della entrata della
Compagnia di Giesù e Christianità nella Cina. Il confratello belga N. Trigault,
che si trovava a Pechino alla morte di Ricci, prese con sé il manoscritto in
lingua italiana, lo tradusse in latino e lo pubblicò ad Augusta nel 1615 a pro-
prio nome6. Intanto Ricci aveva anche dimostrato che il Catai di Marco Polo
coincideva con la Cina e che tutti i mappamondi europei andavano corretti7.

6
De Christiana expeditione apud Sinas suscepta ab Societate Iesu. Ex P. Matthaei Ricij eiusdem
Societatis Commentarijs. Libri V […] Auctore P. Nicolao Trigautio belga ex eadem Societate.
Augusta Vind. Apud Ch. Mangium, MDCXV. L’opera ebbe molte edizioni in latino e diverse tradu-
zioni in lingua volgare, tra le quali una in italiano: Entrata nella China de’ Padri della Compagnia
del Gesù. Tolta da i Comnmentarij del P. Matteo Ricci di detta Compagnia, in Napoli per Lazzaro
Scoriggio, 1622.
7
Man mano che saliva all’interno della Cina Ricci si accorgeva che la descrizione del Catai data
nel Milione di Marco Polo corrispondeva perfettamente alla Cina. Iniziò allora a comunicare la
notizia ai confratelli di Goa e di Roma; tuttavia la certezza della coincidenza dei due Paesi,
creduti diversi, non si ebbe fino alla conclusione di un tormentato viaggio di esplorazione orga-
nizzato dai gesuiti d’India, che, risalendo fino alla Via della seta e proseguendo su di questa,
non condusse che a Pechino, dove Ricci già risiedeva e dove poté accogliere l’ultimo superstite
della spedizione, dal quale ebbe memorie orali e scritte del viaggio, serv3endosi delle quali
compose i capp. 12-14 del libro V della Entrata, pp. 510-35. Su questo punto si veda anche E
358 ed E 285.
Astronomia ieri e oggi - La Cina di Matteo Ricci e l’astronomia tra Oriente e Occidente 85

Tomba di Matteo Ricci, Pechino

Consumato dalla fatica, il maestro dell’estremo Occidente morì serena-


mente, dopo pochi giorni di letto, l’undici maggio del 1610. I grandi della Cina
lo piansero. Per la prima volta nella storia del millenario Paese, l’imperatore
concesse un terreno per la sepoltura di uno straniero. La sua tomba è ancora
oggi onorata a Pechino.

Gli studi astronomici di Ricci


Sulla formazione fisico-matematica di Ricci vi sono alcune certezze e molte
incertezze. La prima certezza è che egli fu allievo «per alcuni anni», come
scrive nella Entrata8, di Cristoforo Clavio9 (1537-1612), editore e commen-
tatore di Euclide e della celebre Sfera del Sacrobosco, riformatore del calen-
dario gregoriano, corrispondente e amico dei maggiori matematici del tem-
po, tra i quali Galileo. A Clavio scrive da Nanchang nel 1597 per comunicare
di aver ricevuto «il libro dell’Astrolabio che V.[ostra] P.[aternità] mi mandò
con tanta charità»10, e con dedica autografa: «P. Mathaeo Riccio donum
auctoris. Alla China»11. La seconda certezza è che la totalità delle opere
scientifiche che Ricci tradusse in Cina e che dimostra di aver conosciuto e
studiato, furono di Clavio, dalla Geometria di Euclide all’ Aritmetica prattica,

8
E 143-44.
9
Casanovas, Juan, Alle origini del missionariato scientifico nell’Asia orientale: Clavio e il Colle-
gio Romano, in Dall’Europa alla Cina: contributi per una storia dell’Astronomia, a cura di Isaia
Iannaccone e Adolfo Tamburello, Napoli, Università degli Studi “Federico II”- Istituto Universitario
Orientale, 1990, pp. 75-84.
10
L 353.
11
Il volume è oggi conservato nella Biblioteca Nazionale di Pechino.
al Calcolo delle misure, al Trattato sulle figure isoperimetre, alla Sfera del
Sacrobosco nella edizione e con il commento del maestro e allo stesso trat-
tato dell’ Astrolabio. Da ciò si può inferire che la scienza introdotta da Ricci
in Cina fosse quasi esclusivamente quella appresa alla scuola di Clavio.
Le incertezze, a cause delle poche notizie date da Ricci stesso sui pro-
pri studi e della scarsità dei documenti d’archivio, riguardano gli anni della
sua formazione nel Collegio Romano, le modalità e i maestri (eccettuato
il Clavio), i corsi frequentati e i testi studiati. Sulla base delle conoscenze
relative all’organizzazione degli studi nel Collegio romano al tempo di Ricci
e ai documenti relativi ai professori del corso triennale di filosofia, si può
ritenere verosimile la seguente ipotesi complessiva, ampiamente argomen-
tata da Ugo Baldini in un saggio in corso di pubblicazione12. Ricci iniziò
a frequentare il corso di filosofia nell’autunno 1574, studiando nel primo
anno la logica, nel secondo la fisica e nel terzo (fino alla primavera) la me-
tafisica sotto l’insegnamento di Antonio Maria Menù . Per l’insegnamento
ordinario della matematica Ricci dovrebbe aver seguito nel primo e nel
secondo anno le lezioni del conterraneo Bartolomeo Ricci o di C. Clavio,
nel terzo anno quelle di Ferdinando Capece. Ma poiché le conoscenze ma-
tematiche ed astronomiche possedute da Ricci non sono spiegabili con la
semplice frequentazione dei corsi ordinari e poiché tale frequentazione non
spiegherebbe neppure l’affermazione ricciana della particolare discepolanza
da Clavio, si deve supporre che Ricci avesse frequentato, oltre ai corsi ordi-
nari, anche l’Accademia matematica di Clavio, alla quale venivano ammessi
studenti particolarmente dotati su giudizio del maestro. In particolare, Ricci
potrebbe aver frequentato tale accademia sin dall’anno 1574-75, oppure,
quanto meno e certamente, negli anni 1575-76 e dall’ottobre 1576 fino
alla primavera 1677. Come osserva Ugo Baldini, l’insegnamento seguito da
Ricci in questi anni è contrassegnato da tre eventi: dalla pubblicazione del
commento di Clavio agli Elementi nel 1574; dalla costruzione, per iniziativa
di Clavio, di una sfera celeste nell’anno 1575, nella quale venivano utilizzate
misure tratte dallo studio del De revolutionibus di Copernico13; infine da un
corso accademico del maestro sulla theorica planetarum, del quale riman-
gono lezioni sul moto del Sole e parte di quelle sul moto della Luna.
Nei corsi pubblici e ordinari seguiti da Ricci nel triennio di filosofia, come
nelle lezioni avanzate tenute da Clavio nella sua accademia matematica,
Ricci apprese in astronomia il sistema aristotelico-tolemaico e le tecniche di
indagine e di misurazione più avanzate del tempo, aperte anche alle nuove
prospettive copernicane, non quanto al modello generale eliocentrico ma ai
nuovi calcoli relativi alle distanze e ai movimenti dei corpi celesti. Con questa
preparazione e con questa idea del mondo Ricci si troverà a confrontarsi
con l’astronomia dei cinesi.

12
U. Baldini, La formazione di Matteo Ricci nelle scienze (1572-1577), cit.
13
La sfera celeste è ora conservata nella sezione manoscritti e rari della Biblioteca Nazionale
di Roma; su di essa si veda U. Baldini e J. Casanovas, La sfera celeste di Cristoforo Clavio, in
Osservatorio astronomico di Capodimonte. Almanacco 1996, pp. 175-182.
Astronomia ieri e oggi - La Cina di Matteo Ricci e l’astronomia tra Oriente e Occidente 87

Sistema astronomico occidentale disegnato da Matteo Ricci

Giudizi ricciani sull’astronomia dei cinesi


Le informazioni e i giudizi di Ricci intorno all’astronomia dei cinesi subiscono
una significativa variazione, passando da una valutazione positiva all’inizio
del suo soggiorno a un giudizio critico e negativo man mano che la sua
conoscenza della teoria e della pratica astronomica nella tarda dinastia Ming
gli divenivano più familiari. Nel 1584, un anno dopo il suo ingresso in Cina,
scrive a J. B. Román, tesoriere di Filippo II nelle Filippine, che i cinesi sono
molto dotti nelle loro scienze, «come nella medicina, nella fisica morale,
nelle matematiche e nell’astrologia [da intendere come astronomia] -- con la
quale calcolano le eclissi molto chiaramente e puntualmente con un metodo
differente dal nostro -- e nell’aritmetica e finalmente in tutte le arti liberali e
meccaniche»14.
Undici anni dopo, scrivendo da Nanchang, terza residenza, dichiara di
essere molto apprezzato come matematico, perché i cinesi non sanno quasi
nulla di astronomia: «Et nel vero per loro posso dire di essere un altro Tolo-
meo; perché non sanno niente, fanno horologi solo inchinati, cioè equinotiali,
ma non si inchinano se non a ragione di 36 gradi, pensando che tutto il mon-
do è di 36 gradi di altezza, né più né meno. Però veda V.[ostra] R.[everenza]
che visite saranno le mie et che verità possono sapere delle hore: pe[n]
sano che tutta la terra è piana e quadrata; che il cielo è uno e liquido, cioè
di aria, et altre cose assai absurde etc. Dell’eclisse del sole danno buona
ragione, ma della luna loro stessi stanno svergognati di sì fiacca ragione;
perché dicono che quando la luna sta di rimpetto al sole fa chiara più la sua
luce, ma quando gli sta puntualmente per diametro, come impaurita, perde
la luce e il colore»15.

14
L 75-76.
15
L 282. È necessario qui osservare che i cinesi hanno registrato le eclissi solari e lunari sin da
tempi antichissimi ed alcuni loro astronomi hanno compreso le vere cause di questi fenomeni
celesti fin dal I secolo d.C., anche se le loro interpretazioni non ebbero larga diffusione. Osser-
Un passaggio importante, per intendere ciò che Ricci considerasse
propriamente astronomia, anche in relazione all’idea di astronomia propria
dei cinesi, si trova in una lettera del 12 maggio 1605 a J. Alvares. Ricci
spiega che l’attenzione portata dai cinesi sull’astronomia è giustificata dal
loro interesse a produrre calendari o efemeridi di ogni anno, a prevedere le
eclissi e a osservare i fenomeni celesti per pronosticare il futuro. A tal fine
l’imperatore sostenta a Pechino due collegi di eunuchi nello stesso palazzo
imperiale, altri due collegi fuori dal palazzo per un totale di oltre duecento
persone, più due altri collegi a Nanchino, capitale del sud16. Poiché essi non
sono dotati delle conoscenze necessarie, Ricci pensa che sarebbe cosa
estremamente utile inviare in Cina uno o due confratelli buoni astronomi e
con i libri necessari, per provvedere seriamente alle necessità dei cinesi. E a
tal proposito egli distingue l’astronomia dalla geometria, dalla gnomonica o
arte di costruire orologi e dalla scienza delle misurazioni mediante astrolabi,
nelle quali egli stesso si ritiene sufficientemente competente e dotato dei
libri necessari e utili. Così scrive: «Nel fine di questa voglio priegare molto
a V.[ostra] R.[everenza] una cosa, che molti anni sono chiesi, né mai mi fu
risposto, et è che una delle cose più utili che potrebbe de là venire per que-
sta corte, era alcun padre o anco fratello buono astrologo. E dico astrologo,
perché di queste altre cose di geometria, horiuoli e astrolabij ne so io tanto
e ne ho tanti libri che basta; ma loro non fanno tanto conto di questo, come
del corso e vero luogo de’ pianeti e del calcolo delle eclisse et in summa di
uno che possa fare efemeridi. […] Come io qua con questi mappamondi,
horiuoli, sphere e astrolabij et altre opre, che ho fatte e insegnate, venni a
guadagnar nome del maggior matematico che ha nel mondo, e se bene non
ho qua nessun libro di astrologia, con certe efemeridi e repertorij portughe-
si, alle volte predico le eclissi assai più puntuali che loro; e così quando dico
che non ho libri e non mi voglio mettere a emendare le loro regole, puochi
sono che me lo credano. Dico poi che, se qua venisse questo matematico
che dissi, potressimo voltare le nostre tavole in lettera sinica, il che farò
io assai facilmente, e pigliar l’assunto di emendare l’anno che ci darebbe
grande reputatione, aprirebbe più questa entrata nella Cina e staressimo più
fissa e liberamente. Desidero V[ostra] R.[everenza] torni a trattare questo
con N.[ostra] P.[aternità] come di cosa molto importante per la Cina, e di
qual si voglia natione che sia ce ne mandi qua uno o doi direttamente alla
Cina, anzi a Pechino, poiché in altra parte ci sarebbe di puoco agiuto. Et
adverta che porti seco i libri necessarij; né confidi in Goa, né in altre parti;
perché ne’ collegij della India non vi sono simili libri, e quei che vi sono non
gli danno ad altre case»17.

va M. Del Gatto: «Nel momento della permanenza di Ricci in Cina era in uso un metodo per le
predizioni dell’eclissi, le cui procedure erano già codificate in un trattato di epoca Yuan. Inoltre
Ricci non fa menzione,delle 19 eclissi solari e delle 46 lunari tutte regolarmente osservate e
registrate dagli astronomi cinesi», E 300.
16
L 407-08; cfr. E 30-1.
17
L 407-8.
Astronomia ieri e oggi - La Cina di Matteo Ricci e l’astronomia tra Oriente e Occidente 89

Tavola astrologica cinese. Globo celeste

Come è evidente, Ricci si considera, pur nei suoi limiti, miglior astrono-
mo di quelli cinesi; ma è consapevole di non possedere gli strumenti, i libri
e le competenze necessarie per far compiere all’astronomia cinese il passo
necessario e per procedere compiutamente alla riforma del calendario cine-
se. È questo, infatti, insieme alla composizione o traduzione di effemeridi,
il fine principale al quale Ricci tende. Risulta anche evidente, dal testo, la
finalità pratica del lavoro che Ricci vuole compiere, ossia quella di acquisire
credito nei confronti della Cina e consolidare la propria posizione in essa.
Nella Entrata, composta negli ultimi due anni della sua vita, Ricci in-
forma sull’astronomia dei cinesi, confermando il giudizio sostanzialmente
negativo.
Non conoscono orologi a sabbia e meccanici, ma solo ad acqua, fuoco
e pietra, che tengono “molta imperfettione”. Degli orologi solari conoscono
soltanto l’equinoziale, ma non sanno calcolare i gradi per la loro posizio-
ne18. I cinesi eccellono nella scienza morale, ed oltre a questa hanno molte
conoscenze di astronomia e di altre scienze matematiche, “ma anco questo
molto confuso”19. Mentre sottolinea la grande competenza dei cinesi nella
osservazione delle stelle, calcolandone quattrocento in più degli astronomi
occidentali, osserva che essi “niente si curano di dar ragione delli Phenome-
ni o Apparentie, e solo procurano calculare al meglio che possono le eclipsi
e movimenti de’ pianeti con assai di errori”20. Ricci precisa inoltre che i cinesi
ebbero notizia della rotondità del cielo e che costruirono globi celesti; ma
pensavano che la terra fosse quadrata: «Percioché questa fu la prima volta
che si uditte in questa terra esser la terra ritonda, avendo loro per primo
principio e detto antico essere il Cielo rotondo e la terra quadrata»21.
Ricci non manca di sottolineare il nesso tra astronomia e applicazioni

18
E 23.
19
E 29.
20
E29-30.
21
E 299.
alla vita sociale e politica, in particolare alla coltivazione delle campagne.
Fondamentale era dunque nella civiltà cinese la promulgazione del calen-
dario, riservata all’imperatore e giustificata in tal senso la proibizione della
pratica dell’astronomia e della matematica al di fuori dei collegi imperiali e
delle persone espressamente deputate22.
Grande ammirazione Ricci manifesta per gli strumenti astronomici di
Nanchino, che suppone con ragione essere stati costruiti da astronomi arabi
tre secoli prima e per un altro luogo, essendo tarati su trentasei gradi, che
non corrispondono alla posizione di Nanchino, dove erano stati trasportati
all’inizio della dinastia Ming. A questo proposito infatti osserva: «Pare sta-
vano tutti posti per 36 gradi di polo, e può essere che questi fussero fatti
per altra terra, e dipoi posti in Nanchino da persone che puoco sapevano di
questa scientia»23.
Il giudizio complessivo che Ricci formula sull’astronomia dei cinesi, sulla
base delle conoscenze dirette che egli ne aveva nel momento in cui gli era
dato osservarla è contrassegnato da due elementi principali: dall’apprezza-
mento quasi meravigliato per il grande interesse dei cinesi per l’astronomia
e per il ruolo centrale che questa scienza svolgeva nella vita civile e sociale
della nazione; dai limiti teorici e dallo scarso fondamento scientifico di prati-
che astronomiche più rivolte alla conduzione della vita economica e sociale
che alla vera e propria conoscenza del cielo e dei suoi fenomeni24.

Lavori astronomici di Ricci


Il primo riferimento alle competenze astronomiche di Ricci e all’interesse dei
cinesi per questa scienza si trova in una lettera dell’inizio 1583 del gesuita
Alonso Sanchez, di stanza nelle Filippine ma di passaggio a Macao, dove
aveva incontrato Ricci. Ecco la descrizione che egli dà del giovane gesuita
maceratese, dopo quattro o cinque mesi dal suo arrivo a Macao: «Matteo
Ricci, italiano, è tanto somigliante in tutto ai cinesi, che sembra uno di loro
nella bellezza del viso e nella delicatezza, mansuetudine e soavità che tanto
stimano. Soprattutto nel grande ingegno e memoria, perché, oltre a essere

22
E 30: «L’autore di questa famiglia che adesso regna prohibitte che nessuno imparasse questa
scientia, se non i deputati, avendo paura che per questa via machini alcuno qualche ribellione».
Cfr. anche E 78: «E a quest’effetto ogn’anno si stampano due sorti di Calendarij per autorità
publica, fatti dai gli Astrologi del Re (il che autoriza più questa falsità) e si divolgano tanti, che
dessi si empiono le Case, ne’ quali di giorno in giorno si avisa quel che non è lecito fare e quel
che è lecito fare, et a qual hora, di tutte le cose occorrenti nell’anno».
23
E 305.
24
Su questo giudizio di sufficienza ricciano e sui suoi limiti cfr. F. D’Arelli, P. Matteo Ricci S. J.:
le “cose absurde” dell’astronomia cinese. Genesi, Università eredità ed influsso di un convin-
cimento tra i secoli XVI-XVII, in Dall’Europa alla Cina: contributi per una storia dell’Astronomia,
a cura di Isaia Iannaccone e Adolfo Tamburello, Napoli, degli studi “Federico II” - Istituto Uni-
versitario Orientale, 1990, pp. 85-123; Id., Il’ puoco fondamento’ dell’astronomia dei cinesi:
l’eredità di una communis opinio. In: Scienze tradizionali in Asia. Principi ed applicazioni, a cura
di Lionello Lanciotti e Beniamino Melasecchi, Perugia, Centro Studi ‘Enrico Fermi’ - Istituto
Italiano per il Medio ed Estremo Oriente, 1996, pp. 169-79.
Astronomia ieri e oggi - La Cina di Matteo Ricci e l’astronomia tra Oriente e Occidente 91

ottimo teologo e grande astronomo, cose che i cinesi apprezzano molto e


conoscono, ha imparato in pochissimo tempo la loro lingua e tante delle
loro parole che già parla con i mandarini senza interprete, cosa di cui essi si
meravigliano e che stimano enormemente»25.
Il primo riferimento autografo a lavori di astronomia e ai libri che posse-
deva si trova in una lettera al p. Giulio Fuligatti, che Ricci aveva conosciuto
al collegio romano e che era stato con lui allievo del Clavio: «Ho fatti e
donati alcuni globi celesti: il mappa già anda stampato per la Cina. Feci un
orologio nel frontespicio della casa et adesso ando con un globo celeste;
non so come mi riuscirà perché non ho libri; se non la opera del p. Clavio
et il Piccolomini. Ho ritrovato tra loro dodici o per dir meglio ventiquattro
tempi dell’anno che rispondono a nostri puntualmente che mi facilita questo
negocio; in queste parti il puoco val molto»26.
Agli inizi del soggiorno a Shaozhou, che narra in una lettera al supe-
riore generale Claudio Acquaviva, osserva: «Infine venne al sodo col dire
che io ero un grande astrologo e cosmografo e che sapevo disegnare
tutto il mondo e che già a Zhaoqing avevano stampato quello che io avevo
disegnato»27. A Shaozhou prende come discepolo Qu Taisu28, che tanta im-
portanza avrà nella diffusione della fama di Ricci in Cina, al quale insegna
matematica e astronomia: «Avendo prima imparato la nostra Aritmetica, che
è assai più facile e metodica che la sua, la quale tutta consiste e si essercita
in uno istrumento di pallotte infilzate, senza usare né penna né carta, la
quale se bene è certa, con tutto è esposta a errar facilmente et è ristretta
a puoche cose, doppo questo uditte la Sfera del P. Clavio et il Primo Libro
degli Elementi di Euclide»29.
Soprattutto nella descrizione del mappamondo, composto la prima volta
a Zhaoqing nel 1584, quindi ampliato a Nanchino nel 1600 e giunto alla
sua redazione definitiva a Pechino nel 1602, Ricci introduce le nozioni ele-
mentari dell’astronomia occidentale in Cina, come egli stesso sottolinea:
«Cominciò prima a fare varie dichiarationi e discorsi di cose di Cosmografia
et Astrologia negli Mappamondi che si stamporno, nelle quali, se bene non

25
FR I, 163.
26
L 116. I riferimenti sono a C. Clavio, In Sphaeram Ioannis de Sacro Bosco commentarius,
Romae 1570 e a A. Piccolomini, De la sfera del mondo, Venezia 1540.
27
L 139-140.
28
Qu Taisu (1549-1611?) nacque a Changshu da una influente famiglia del Jiangsu. Nel 1589,
incuriosito dalla fama dei bonzi stranieri di Zhaoqing, andò a incontrare Ricci, nella speranza
di apprendere il segreto della produzione dell’argento. Si mise alla sua scuola nella secon-
da residenza di Shaozhou, rimanendovi per circa due anni. Studiò specialmente matematica,
astronomia e geografia, traducendo in cinese il primo libro della Geometria di Euclide.
29
E 78-79. Si tratta degli Euclidis elementorum libri XV, opera di Clavio pubblicata per la prima
volta nel 1574. La traduzione in cinese dei primi sei libri di Euclide, condotta da Ricci insieme
a Xu Guangqi, fu pubblicata nel 1607 con il titolo Jihe yuanben (Libro elementare di geometria);
la traduzione dei restanti libri è stata portata a termine solo nel 1857. Non è tuttavia con la
traduzione ricciana che i cinesi incontrano Euclide per la prima volta: è ipotizzabile, da risultati
conseguiti in campi come la topografia e l’astronomia, l’esistenza di una sua traduzione, per
tramite arabo, già a partire dal XIII secolo.
disse altro che cose tra noi facili e sapute da tutti, furno per questi letterati
le più alte, sottili e nove che mai udittero in questa materia e che aveva dato
che fare ai loro maggior letterati antichi, caduti in chiari errori per non avere
avute le scientie e le osservationi de’ nostri filosofi»30.
Grazie alla fama di astronomo che Ricci acquisisce soprattutto per i suoi
mappamondi, oltre che per gli strumenti di misurazione e rappresentazione
del cielo che costruiva continuamente, viene invitato dal ministro dei riti di
Nanchino Wang Zhongming a occuparsi della riforma del calendario cinese:
una impresa che Ricci considera prioritaria rispetto a tutta l’attività scienti-
fica che egli potrebbe dispiegare. Il primo tentativo di avviare tale riforma,
con un viaggio a Pechino al seguito del ministro nel 1598, fallisce per il
clima di sospetto nei confronti degli stranieri che aleggia nella capitale a
causa dell’invasione giapponese della Corea.
È negli anni di Pechino che Ricci dispiega il massimo impegno in campo
astronomico, specialmente grazie alla collaborazione del letterato e geogra-
fo Li Zhizao. Come l’altro grande amico Xu Guangqi collabora con Ricci alla
traduzione dei primi sei libri della Geometria di Euclide, Li Zhizao lavora alla
traduzione delle opere geografiche ed astronomiche. Con lui Ricci realizza
il grande mappamondo in sei pannelli del 1602, da cui deriva l’estensione
in otto pannelli del 1603. E nel 1607, mentre viene pubblicata la traduzio-
ne cinese della Geometria, esce anche la traduzione cinese dell’Astrolabio
di Clavio a cura di Li Zhizao. Di quest’opera, che apprezzava molto, Ricci
scrive: «Il letterato con che conversai cinque anni sono, detto Lingozuon,
che stampò il Mappamondo in forma molto grande di tre braccia di alto e
sei di lungo, et uditte molte materie di matematica, cominciò a stampare e
quest’anno stampò l’Astrolabio, che è un compendio di quello del p. Clavio
che io gli lessi. Di questo mando un volume in due tomi a V.[ostra] P.[aternità]
acciocché vegga almanco le figure così bene stampate, poiché non potrà
vedere la elegantia del suo stile, e il bene che egli dice delle nostre scientie;
et adesso è venuto a questo Pachino e vuol stampare l’Aritmetica pratica
del detto p. Clavio e De Horologijs, che già ha voltato in lingua sinica e ne
fa molti e molto belli per sue mani, et ha fatti anco alcuni Astrolabij assai
esatti»31.
Come risulta evidente da questo testo e come si è anticipato, è la scien-
za occidentale esposta e mediata da Clavio che Ricci introduce in Cina.
Lo sottolinea egli stesso con soddisfazione in una lettera al p. J. Alvares,
assistente del Generale: «Facciame V.[ostra] R.[everenza] carità di comuni-

30
E 451
31
L 491; cfr. anche L 459: «L’anno passato mi mandò stampato l’Astrolabio del p. Clavio, la pra-
tica, e il modo di farlo, e l’uso di esso. Non ne ho più che due o tre tomi; e così ne mando uno
solo al nostro p. Generale, che V. R. potrà vedere, e solo dalle figure di queste due opere Ella
scorgerà l’abilità di questa gente, e quanto frutto si può ritrarre da loro con le nostre scienze».
L’opera pubblicata a Roma nel 1593 con il titolo Christophori Clavii Bambergensis e Societate
Iesu Astrolabium, fu composta in cinese da Li Zhizao ed edita nel 1607 con il titolo Hungai
tongxian tushuo (Astrolabio e sfera con figure e commento). Nel testo non solo sono date
istruzioni sull’uso e la costruzione dello strumento, ma si illustrano alcuni principi fondamentali
dell’astronomia, come i gradi della sfera o gli equinozi.
Astronomia ieri e oggi - La Cina di Matteo Ricci e l’astronomia tra Oriente e Occidente 93

Matteo Ricci, ritratto

car tutto questo con il p. Clavio, e dicali che già molti e molti Cinesi sanno
il nome del p. Clavio, e che qualche cosa aumentò del suo nome un suo
discepolo, e che adesso risposi al Lingozuon [Li Zhizao] che una delle figu-
re che mi mandò voglio mandare al mio maestro il p. Clavio, che egli ben
conosce»32.
Conforme alla teoria e alla prassi dell’ordine, in particolare allo stesso
pensiero del Clavio, è l’utilizzazione ricciana della scienza, apprezzata e ri-
cercata in se stessa quale suprema espressione della perfezione umana,
ma anche, al tempo stesso, subordinata alla diffusione del vangelo e della
religione cristiana. Scrive Ricci in una lettera al p. Pasio del 15 febbraio
1609: «Laonde se gli potessimo insegnare le nostre scientie, non solo ha-
vrebbono a riuscire in esse huomini molto eminenti, ma anco per mezzo di
esse gli indurremmo facilmente alla nostra santa legge e mai si scordaranno
di un beneficio sì grande, del che anco habbiamo al presente manifesto
inditio»33.

Il modello astronomico trasmesso da Ricci alla Cina


I principali insegnamenti astronomici di Ricci vengono riassunti dall’autore
stesso in una pagina della Entrata, che conviene citare, pur nella sua lun-
ghezza: «Una delle cose con che fece il Padre Matteo admirare i letterati
e grandi della Cina fu con la novità delle nostre scientie, mai udita a loro.
Percioché questa fu la prima volta che si uditte in questa terra esser la terra
ritonda, avendo loro per primo principio e detto antico essere il Cielo roton-

32
L 407.
33
L 517.
do e la terra quadrata34; che stava nel Centro dell’universo e di tutte le parti
di sopra, e di sopra era habitata essendo gli uni Antipodi degli altri, cosa che
sino adesso non possono totalmente molti credere; || che l’ecclisse della
luna era fatta per interpositione della terra fra il sole e la luna con l’ombra
sua, avendo fin adesso i loro letterati finte mille chimere per dar ragione
di questa oscurità della luna, sino a dire che la luna, posta ex diametro di
rimpetto del sole, spaurita perdeva il lume, altri che nel mezzo del sole vi
era un buco vacuo, all’incontro del quale, posta la luna, non poteva esser
illuminata; che il sole era molto magior che la terra, e questo creddero più
facilmente, perché avevano detto certi letterati che lo volsero misurare con
instromenti, esser grande più di mille miglia; ma esservi stelle maggiori e
molto maggiori della terra, parve magior paradossa; che il cielo era cosa
solida e le stelle stavano fisse in esso e erano dieci globi l’uno sopra l’altro
con diversi movimenti, perché quello degli excentrici et epicicli non insegnò
se non di poi di molti anni ad alcuni più intelligenti; che l’altezze de’ poli erano
diverse secondo i varij climi e l’istesso de’ giorni e notti, nascere e ponere
del sole. Questa anco fu la prima volta che videro la descrittione universale
di tutta la terra in globo et in Mappa con le terre poste con distintione di
meridiani paralleli e gradi, con la linea equinoctiale, tropici e poli Artico et
antartico, con le sue cinque zone; delle quali cose, se bene avevano avuta
qualche notitia nel Cielo o globo Celeste , pure mai avevano visto queste
cose nella terra.
Videro anco Astrolabio con sue lamine, sfera con la terra nel mezzo, e
due diversità de’ poli, uno mobile e fisso, con che hebbero grande lume per
intendere il movimento de’ planeti a loro inintelligibile. Videro l’horiolo solare
in piano all’orizonte et anco in ogni muro che volessino, oltre altre sorti di
horologij; e, quel che più gli fece stupire in questa materia, gli segni celesti o
gli ventiquattro tempi degli anni, di che loro più usano, posti negli horiuoli, con
le sue parabole et hiperbole e linee rette, dalle quali l’ombra dello stilo non
discrepava né un punto il giorno che in esso stava scritto in loro lettera. Videro
anco quadranti et altri modi di mesurare le altezze de torri, profundità de pozzi
e de valli, e longhezze de’ viaggi con molta faciltà, con l’arte del contare con
penna, usando loro a contare con certi instromenti. Di tutte queste cose, a
loro tanto strane, rendeva il Padre raggione sì chiare e manifeste, che molti
non potevano negare esser tutto quanto diceva verità, e per questo in breve
si sparse la fama di queste cose per tutti i letterati della Cina; di che si può

34
Osserva a questo riguardo M. Del Gatto: «Ricci, a quanto pare, ritiene di essere stato il primo
ad avere introdotto il concetto della sfericità della terra in Cina. Egli fa riferimento ad una teoria,
quella del Gaitian, che la tradizione fa risalire almeno all’epoca Zhou, secondo la quale il cielo,
inteso come una calotta emisferica, sarebbe posto sopra una terra di forma quadrata; ma
mostra di ignorare completamente la teoria della sfera celeste della scuola Huntian, risalente
almeno al IV secolo a.C., che anzi secondo Zhang Heng, grande esponente di tale scuola del
I secolo d.C., risalirebbe a tempi molto più antichi: questa teoria descriveva una terra sferica
con antipodi e posta all’interno di un cielo anch’esso sferico o a forma di uovo, con il sole e le
stelle posti in uno spazio infinito, il che potrebbe anche spiegare l’esistenza in Cina, prima dei
gesuiti, di strumenti astronomici quali cerchi e sfere armillari. Questa teoria non era rimasta
certo isolata, anzi ai tempi di Ricci era quella più diffusa, tanto che ne rimangono numerose
tracce in trattati scientifici e anche in opere di letterati e poeti come Chu Yuan», E 299 .
Astronomia ieri e oggi - La Cina di Matteo Ricci e l’astronomia tra Oriente e Occidente 95

scorgere quanto credito ne risultasse a’ nostri et anco a tutta nostra terra,


che non osavano dipoi chiamarla barbara, come chiamano a tutte le altre terre
fuora della Cina».
Il testo appena citato mostra dunque con chiarezza che Ricci aveva tra-
smesso alla Cina i principi della cosmologia e dell’astronomia aristotelico-to-
lemaica, presentati come “verità” e come tali, secondo l’affermazione dell’au-
tore, accettati dai cinesi. Il risultato di questo insegnamento, a sua volta fina-
lizzato a un risultato ulteriore, ossia l’apertura della Cina alla predicazione del
cristianesimo, era stata dunque la conquista del rispetto e del riconoscimento
da parte cinese della pari civiltà dell’Occidente. Risulta per noi paradossale
che tale riconoscimento venga conseguito con una dottrina astronomica che
l’Occidente stava negli stessi anni abbandonando. Proprio nel 1610, mentre
Ricci muore a Pechino, Galilei pubblica il Sidereus nuncius, contenente le nuo-
ve osservazioni sulla luna, sui pianeti medicei di Giove e sulla via lattea, com-
piute con il cannocchiale. L’antico mito della differenza della materia sublunare
da quella dei corpi celesti stava crollando e ci si avviava alla considerazione
di una materia unica e di un universo infinito. Il paradosso viene ulteriormente
rafforzato se si considera che Ricci, anche in nome di un modello che credeva
vero e che in realtà in Europa stava crollando, oltre che per la difficoltà di acce-
dere alle giuste informazioni sulla scienza cinese sul finire della dinastia Ming,
giudicò negativamente l’astronomia del Paese di mezzo, ponendosi all’origine
di un pregiudizio che in Europa ebbe seguito per oltre un secolo.
Tuttavia, la lezione di Ricci, benché destinata ad essere presto supe-
rata, non fu inutile né caduca sotto il profilo della trasmissione del metodo
scientifico nella osservazione del cielo e della sua fondazione geometrico-
matematica. Anche in ambito scientifico, come rispetto alla predicazione del
cristianesimo, a Ricci era spettato il compito di “rompere la terra”, ossia di
preparare il terreno alla scienza che verrà. La Cina era stata posta in condizio-
ne di poter seguire l’evoluzione della scienza occidentale e, forse memore e
grata di tale contributo, ha voluto raffigurare Ricci nell’altare del millennio con
un telescopio in mano.

Matteo Ricci, monumento.


Creazione ed
evoluzione cosmica
Un contrasto che non esiste
Alessandro Omizzolo
Creazione ed evoluzione
cosmica
Un contrasto che non esiste

Alessandro Omizzolo
Astronomo, Specola Vaticana

Introduzione
L’Anno internazionale dell’astronomia, anniversario delle osservazioni gali-
leiane fatte a Padova, la città dove abito, è motivo sufficiente per dedicare
un po’ di attenzione, senza peraltro presumere di dover o poter dire tutto,
a tematiche che percorrono trasversalmente il sapere e il vivere umani.
Vista la mia duplice formazione, scientifica in un primo tempo e teologica in
seguito, cercherò di fornire alcuni elementi essenziali che possano essere
utili nell’insegnamento scolastico per affrontare le tematiche che riguardano
il rapporto scienza-fede.
Sebbene da molti anni il corretto rapporto tra le evidenze scientifiche e
il messaggio della Bibbia sia stato chiarito, negli ultimi tempi, a seguito del
riemergere negli Stati Uniti delle posizioni creazioniste e fondamentaliste
attraverso la proposizione del cosiddetto progetto intelligente (in bibliogra-
fia [1]-[3]) e anche della pubblicazione di un articolo del cardinale di Vienna
Christoph Schönborn apparso sul New York Times (New York Times del
7.7.2005), anche in Italia e con ampia risonanza nei media è stata fatta
molta confusione a tutti i livelli e sono state alimentate polemiche che non
hanno ragione di sussistere.
In questo saggio, partendo dall’ambito scientifico e attraversando quello
teologico cercherò di toccare temi che, oltre ad essere utili nella didattica
curriculare, possano in generale favorire un dialogo tra le diverse visioni
della realtà e possano aiutare ad evitare sterili ed infondate polemiche.
Astronomia ieri e oggi - Creazione ed evoluzione cosmica 99

Creazione ed evoluzione
Il modo con cui ci si accosta al tema della creazione determina in qualche
modo quello con cui poi si affronta il tema dell’evoluzione. La creazione,
infatti, è un tema “fondante” tutto il resto, comunque si intenda l’idea di
creazione.
E a sua volta l’idea di creazione ha a che fare con l’idea di Dio che si ha
o che non si ha o che si crede di non avere. Per questo penso che la prima
domanda alla quale dovremmo rispondere dovrebbe essere quella sulla im-
magine di Dio che ci portiamo dentro in modo più o meno consapevole.
In modo grossolano potremmo riferirci a due immagini abbastanza an-
titetiche di Dio:
il Dio orologiaio/meccanico/ordinatore
il Dio amante/liberante.

Siccome l’orologio è un meccanismo rigido e ordinato, esso non tollera


deviazioni e dunque tutto deve essere pensato e progettato in anticipo fin
nei minimi dettagli; non c’è spazio alcuno per variazioni che intervengano
strada facendo. È il Dio di Newton, che nasce dalla rivoluzione scientifica,
preludio all’ateismo.
Da una visuale così rigida discende un Dio altrettanto rigido, che pianifi-
ca fin nei minimi dettagli la sua azione ovunque e comunque essa si esplichi.
È facile intuire che a questa visione di Dio si rifanno tutti i movimenti crea-
zionisti, che partono da un approccio letterale al testo biblico, e coloro che
sostengono un progetto intelligente di tipo creazionista in senso stretto.
Accanto a questa visione e ad essa contrapposta sta quell’altra che si
riferisce ad un Dio amante/liberatore. È la visuale della pazienza e della cre-
scita molto vicina a quella del genitore che accompagna la crescita del figlio
promuovendone la libertà e la responsabilità, spingendolo verso decisioni
personali e autonome.
È chiaro che in questo secondo caso nulla è predefinito se non il creare
il clima che consenta il dispiegarsi della libertà verso strade di sempre mag-
giore realizzazione, collocazione adeguata per una visione evolutiva dell’Uni-
verso e di quanto in esso è contenuto.
Dunque ogni eventuale conflitto tra scienza e fede va in realtà ricondotto
ad un conflitto tra due opposte visioni del Dio creatore accogliendo tutte le
implicazioni che derivano da ciascuna delle due visioni.
Tra le due posizioni, la prima è per molti aspetti la più facile da assumere
se non altro perché scarica su Dio anche tutto il peso e la fatica di riflettere
umanamente e sensatamente sul reale.
Ma è davvero questa l’immagine che il Dio biblico dà di sé? Nella fede
cristiana che fa centro attorno al Nuovo Testamento, che è anche criterio di
lettura dell’Antico Testamento, il Dio prevalente è quello misericordioso, len-
to all’ira e grande nell’amore che ama la sua creatura tutelandone la libertà
e spingendosi in questo amore anche ad accettare un eventuale rifiuto da
parte della creatura stessa. In questo gioco di libertà è compresa anche la
libertà della natura che pure è chiamata a percorrere le vie del tempo alla
ricerca della sua espressione più piena e migliore.

Origine ed evoluzione del cosmo secondo la scienza e la Bibbia


Fatta questa prima precisazione possiamo affrontare il tema dell’origine del-
la struttura dell’universo che emerge dalla Scienza e quella proposta nella
Bibbia e di come le due visuali siano o non siano in conflitto tra di loro.

Il dato cosmologico
L’immagine del cosmo che emerge dall’investigazione scientifica è quella
di una struttura estremamente dinamica e varia, in perenne evoluzione. Non
per niente l’universo degli astrofisici è considerato il miglior laboratorio per
qualsiasi fisico che voglia cimentarsi con gli stati più estremi della materia.
Un universo che continua a porre sfide a chi lo studia e le sfide si collocano
proprio all’inizio laddove le condizioni sono state cruciali per tutto lo sviluppo
successivo. La storia temporale dell’universo, per quella parte di tempo che
ci è accessibile, inizia con uno stato di estrema concentrazione: sappiamo
che esistono un tempo e uno spazio, definiti come tempo e spazio di Planck
(rispettivamente 5.39x10-44 s e 10-33 cm) prima del quale e all’interno del
quale la fisica come noi la conosciamo non riesce ad andare. A questi livelli
la materia si trova in uno stato ovviamente indifferenziato. In seguito alla
violenta espansione, nota come big bang, ha inizio la storia dell’universo
come noi lo conosciamo.
Da questo inizio la storia può essere tratteggiata nel modo seguente (Fig. 1):
• 10-43 -10-35 s. Era della grande unificazione delle forze della Natura;
• 10-35-10-10 s. Era elettrodebole: disaccoppiamento della forza nucleare for-
te e inflazione;
• 10-10-10-3s. Era delle particelle: disaccoppiamento delle forze elettroma-
gnetica e nucleare debole;
• 10-3-180 s. Era della nucleosintesi (elettroni, protoni, neutroni, neutrini):
annichilazione tra materia e antimateria;
• 180 s – 300000 anni. Era dei nuclei: l’universo è un plasma di idrogeno
e di elio;
• 300000 anni. Si formano gli atomi e i fotoni sono liberi di muoversi gene-
rando la radiazione cosmica di fondo (vedi fig. 2);
• 300000-109 anni. Era degli atomi: si formano le prime stelle e le prime
galassie
• 109 anni-oggi. Era delle galassie: presenza ed evoluzione delle galassie e
Astronomia ieri e oggi - Creazione ed evoluzione cosmica 101

degli ammassi di galassie, apparizione ed evoluzione della vita. Evoluzione


culturale dell’Uomo.

Fig.1: Schema della evoluzione dell’universo conosciuto così


come viene descritta dalla cosmologia contemporanea (Foto CERN).
Fig. 2: Immagine delle anisotropie della radiazione cosmica di fondo a microonde
(foto NASA, 2008)

La scienza ci dice che l’universo conosciuto ha circa 14 miliardi di anni e


che il nostro sistema solare ne ha circa 5, ci dice anche che le prime stelle
si sono formate quando l’universo aveva poco più di 400 milioni di anni e
le più massicce tra di esse ben presto esplosero dando luogo al fenomeno
noto come supernova (vedi fig. 3). Le supernovae, oltre che spettacolari,
sono importanti perché nello scoppio di una supernova vengono prodotti gli
elementi più pesanti dell’idrogeno e dell’elio. Dal materiale arricchito che si
rende disponibile in seguito allo scoppio di una supernova e che viene di-
sperso nello spazio, si formano altre stelle, alcune delle quali a loro volta, se
avranno massa iniziale sufficientemente grande, diventeranno supernovae.
In questo ciclo di morte e di rinascita vengono prodotti tutti gli elementi chi-
mici noti e quindi anche quelli necessari allo svilupparsi della vita. L’origine
della vita e dell’uomo dunque è nello spazio, noi siamo fatti di materiale per
la cui produzione è stato necessario il ripetersi di questo ciclo di vita e di
morte delle stelle.

Il messaggio della Bibbia


L’approccio biblico invece ci offre due racconti della creazione che partono
da prospettive diverse anche se unico è il messaggio che essi vogliono tra-
smettere. Dunque già all’interno del testo biblico esiste una varietà di modi
espressivi rispetto ad una stessa realtà.
I due racconti, già ad una prima lettura, presentano tutta la loro diversità
ma anche la loro complementarietà. Nel racconto di Gen 1,1-2,4 la crea-
Astronomia ieri e oggi - Creazione ed evoluzione cosmica 103

Fig. 3: Le fasi salienti della espansione cosmica. Si noti la formazione delle prime stelle,
a circa 400 milioni di anni dal Big Bang, e l’espansione accelerata in atto
da circa 5 miliardi di anni (Foto Nasa, 2008).

zione avviene secondo la scansione temporale dei sei giorni più il settimo
giorno consacrato al riposo. Culmine della creazione, che val dal grande al
piccolo come dimensione e dal piccolo al grande come contenuto di valore,
è l’uomo che è costituito signore del creato, responsabile e custode di esso.
Il palinsesto di questo racconto attinge abbondantemente alla cosmogonia e
alla cosmologia babilonese per le quali la creazione era frutto della lotta con-
tro il caos e dunque la creazione è una sorta di rimessa in ordine di quanto
c’è. A differenza di quella babilonese la creazione biblica avviene attraverso
la parola che è lo strumento principe della relazione: questo ci lascia già intu-
ire cosa sia la creazione per la Bibbia: una relazione tra creatore e creatura.
Relazione che si esprime al meglio nel riposo sabbatico, giorno riservato al
rapporto con Dio nel grande tempio che è il creato.
Nel secondo racconto della creazione, Gen 2, 5-25 dopo il cielo e la
terra, Dio crea subito l’uomo; ma un essere solitario di nuovo non cresce
perche non può coltivare la relazione e allora Dio crea gli animali ai quali il
primo uomo assegna il nome, cioè ne dichiara, nel nome, la natura intima,
ma non sono la compagnia adatta all’uomo che invece ha bisogno di un
essere alla pari per relazionarsi e allora Dio crea la donna.
La presenza di due racconti mette in luce il fatto che la riflessione sulla
creazione è stata fatta in ambienti diversi e in epoche diverse; gli esperti di
esegesi biblica ci dicono ad esempio che il secondo racconto è più antico
del primo e sono anche in grado di dirci che il primo racconto, quello più
recente, proviene da ambienti legati al culto quindi al mondo sacerdotale in
epoca tarda dopo l’esilio babilonese, mentre il secondo racconto, più antico,
proverrebbe da ambienti che si caratterizzano per il fatto di chiamare Dio
col nome di Jahwe.
Questo è un esempio di come (e non lo si ripeterà mai abbastanza) il
testo biblico voglia offrire una riflessione sul senso della realtà e non indica-
zioni scientifiche su di essa.
A riconoscere l’esistenza di una duplice fonte dei racconti della creazione
ci ha condotti lo studio delle forme letterarie della Bibbia. Studio sviluppatosi
alla fine del 1800 e che ha consentito di pervenire un po’ alla volta ad una
corretta lettura e interpretazione del testo biblico. Su questi nuovi metodi
esistono anche pronunciamenti ufficiali (Pio XII, Concilio Vaticano II, Pontificia
commissione biblica)1: la Bibbia non è un testo di scienza ma un testo reli-
gioso, che racconta l’esperienza di fede di un popolo (quello ebreo) e di una
persona (Gesù Cristo), popolo e persona che volevano capire il senso delle
cose e il perché della loro esistenza e non il come queste cose siano venute
all’esistenza; la risposta a queste domande l’hanno trovata nella rivelazione
di Dio creatore, rivelazione fatta di parole e di opere.
Un primo dato viene colto dagli autori della Bibbia: il creato è bello e
buono. Ce lo dice il ritornello che viene scandito alla fine di ogni giorno della
creazione quando si afferma che Dio avrebbe detto “e Dio vide che era cosa
buona”, dove il termine buona in ebraico ha il doppio significato di buono e
bello. Tra quanto è creato c’e anche l’uomo, del quale solo si dice che era
“cosa molto buona”, che dunque non è fuori dalla creazione ma ne segue le
stesse leggi: un essere, come tutti gli esseri, in divenire.
Il creato non è dato tutto all’inizio ma sperimenta la temporalità: un po’
alla volta, dietro all’immagine dei sette giorni della creazione, l’universo si
struttura secondo le sue diverse componenti che culminano nell’uomo. Dun-
que c’è una gradualità temporale e anche qualitativa che si evidenzia nel
fatto che l’uomo sarebbe l’unico essere capace di dialogo col creatore.
Tutti gli esseri creati sono in cammino, si evolvono verso una pienezza
del loro essere perché non è dato tutto all’inizio ma tutto va esperito, pro-
vato, tentato per poter raggiungere il meglio e il massimo di ciò che si può
essere. In questa visione il Dio creatore è quello che assicura, tutela, garan-
tisce questa possibilità di sviluppo, di crescita, di cambiamento.

1
Il papa Pio XII emanò una Enciclica, la Divino Afflante Spiritu, che fu di fondamentale impor-
tanza nel dare nuovo vigore ed entusiasmo agli studi biblici e soprattutto per farli aprire alla
accoglienza dei nuovi metodi esegetici. Per il Concilio Vaticano II il documento dedicato alla
Bibbia e alla rivelazione è la Dei Verbum; la Pontificia commissione biblica ha pubblicato nel
1993 un importantissimo documento il cui titolo “L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa”
si spiega da sé. Sul sito del Vaticano (www.vatican.va) è possibile reperire tutti i discorsi e gli
interventi dei pontefici e gli interventi delle congregazioni vaticane sui rapporti scienza e fede.
Per una informazione essenziale sulle forme letterarrie nella bibbia si veda Lohfink.
Astronomia ieri e oggi - Creazione ed evoluzione cosmica 105

Cosa significa allora creare per la Bibbia e la teologia? Quando furono


scritti i testi biblici sulla creazione (molto tardi a dire il vero nella storia
della redazione del testo biblico) si partiva da una costatazione: Dio aveva
liberato Israele dall’Egitto (il riposo del settimo giorno della creazione fa
riferimento a questo: l’uomo libero si riposa lo schiavo non può) e lo aveva
condotto lungo il deserto fino a farlo diventare un popolo. Il Dio che aveva
fatto questo, che era cosa buona perché significava vita e libertà e autono-
mia, non poteva volere che cose buone e tutto il suo operare poteva essere
ispirato solo dalla bontà. Dunque la creazione stessa era un gesto buono e
l’esito di tale gesto era esso pure buono. Questa bontà di Dio si manifestava
come amore per le creature, un amore che le faceva esistere.

Il telescopio a teconologia avanzata del Vaticano


(VATT) situato sul monte Graham in Arizona, un luo-
go ove il cielo è particolarmente limpido. Sulla stessa
montagna si trova anche il Large binocular telescope
(LBT), un telescopio unico al mondo per la sua strut-
tura costruito in cooperazione tra varie nazioni tra cui
anche Italia e Stati Uniti.

Il telescopio a tecnologia avanzata del Vaticano visto


da dentro la cupola.

Lo specchio del VATT ha un diametro di 180cm ed e’


stato costruito con un tecnica innovativa che consente
di realizzare specchi di grandi dimensioni ma relativa-
mente leggeri, con grandi vantaggi per la loro mano-
vrabilità. Lo specchio qui presente e’ il primo al mondo
ad essere stato costruito con questa tecnica dal Mir-
ror laboratory dell’Università dell’Arizona a Tucson.
Una creazione continua
Il creare di Dio non è tanto un atto puntuale cronologicamente collocabile
bensì un atteggiamento, un rapporto tra Dio e il creato: Dio è creatore per-
ché mantiene in esistenza tutte le cose create, garantisce loro lo spazio nel
quale poter essere e vivere e svilupparsi. E questo Dio lo fa da sempre per-
ché da sempre è il Dio buono. Dunque la creazione sarebbe nient’altro che
questa relazione tra Dio e le creature, una relazione che continua ad essere
viva e in tal senso la creazione per la Bibbia non è finita ma continua ancora.
Lo avevamo intuito già scorrendo velocemente i due racconti della creazione
nei quali viene sottolineato la relazione Dio-creatura, creatura-creature. La
relazione è uno dei pilastri del testo biblico e lo è fin dall’origine, dall’inizio
ed è, almeno da parte di Dio, una relazione di profondo e gratuito amore per
tutte le creature.
Il nostro problema è che non riusciamo a ragionare in modo atemporale,
perché siamo strutturalmente legati allo spazio e al tempo e in questo ad
una sorta di consecutio temporum che ci viene spontaneo applicare a tutto,
Dio compreso.
In realtà Dio da sempre e per sempre crea e dunque la sua azione è
sempre presente rispetto al creato proprio come garanzia della possibilità
di esistere. Solo un essere non contingente può garantire esistenza a chi è
contingente.
Allora va da se che la creazione, cosi come emerge dal dato biblico che
lascia intuire una successione temporale, non si può prestare neppure lonta-
namente a interpretazioni riduttive. Vale sempre il discorso galileiano che la
Bibbia insegna come si va in cielo e non come va il cielo.

Scienza-Bibbia: ruoli diversi


Dunque nella Bibbia non è contenuta alcuna ricostruzione temporale del tem-
po della creazione, nessun tentativo di datare secondo la nostra cronologia.
La scienza invece lo può e lo deve fare perché diverso è il suo approccio
alla stessa realtà, e tocca alla scienza datare cronologicamente gli eventi
della storia dell’Universo. Il fatto poi che la scienza possa prevedere una
esistenza da sempre dell’universo non dà luogo ad alcun conflitto con la
dottrina biblica della creazione perché da sempre Dio crea cioè mantiene in
vita e rende possibile il cammino verso l’essere di più.
Dal punto di vista della fede cristiana ciò che conta è che sia mantenuta
la relazione tra le cose e il loro principio primo. Quando tale relazione si
spezza le cose non sono più, mentre finché è in atto esse esistono.
Teilhard De Chardin2 è a tal proposito illuminante. Secondo lui Dio pro-

2
Teilhard De Chardin, Notes sur les modes de l’action divine dans l’universe (1920), in Comment
Astronomia ieri e oggi - Creazione ed evoluzione cosmica 107

priamente non fa, ma fa si che si facciano le cose. Non fa delle cose ma


concede alle cose di svilupparsi. Insomma non fa camminare il bambino
ma prepara il box dove il bambino provando ed esercitandosi e cadendo e
rialzandosi impara finalmente a stare prima in piedi e poi a camminare su
due gambe.
Potremmo esprimere questo concetto ricorrendo ad una distinzione di
carattere filosofico. In filosofia si parla di causalità efficiente e causalità cre-
atrice. Dio non è causa efficiente delle cose ma causa creatrice nel senso
che non impone leggi ma suscita movimenti che si strutturano secondo re-
gole costanti; non costringe all’azione ma garantisce varie possibilità di azio-
ne. Per questo la scienza non è in grado di misurare l’azione divina, perché
la scienza studia le cause efficienti che vanno ritrovate sempre nell’azione
delle creature.
Se alle creature è data l’autonomia di movimento e garantita la possibi-
lità di scelta, allora i salti qualitativi non sono specificati dalla azione divina
bensì dalla capacità di accoglienza delle creature.
Questo ci dice che nella prospettiva di fede creazione ed evoluzione non
sono in opposizione, ma sono due aspetti che riguardano la stessa storia di
ogni creatura. L’essere creati in tale prospettiva significa dipendere e non
tanto avere un inizio, cosicché l’Universo può anche esistere da sempre.
Infatti la creazione non rappresenta l’origine delle cose ma il loro futuro, il
loro divenire.
In questo quadro anche la casualità trova il suo spazio appropriato. La
casualità non va intesa come carenza da parte della causa, bensì come
l’esperienza di una sovrabbondanza di offerta nei confronti delle creature
ancora incompiute.3 Per questo il credere in Dio creatore non esclude i
processi casuali.

Il progetto intelligente
Se Dio offre una ricchezza di possibilità di scelta, quale strada prende l’evo-
luzione e perché quella e non un’altra? Le posizioni sono varie. C’è chi pensa
ad un percorso precostituito, pensato e progettato da Dio e chi invece pen-
sa che Dio conferisca alle creature la forza perché esse stesse si aprano la
strada attraverso le strutture spesso resistenti e ostili della Natura: è quella

je crois (Oevres 10, 1969); ‘La vision du passe’ (Oevres 3, 1957); Le fondements et le Fond de
l’idee d’evolution (1926) in ‘La vision du passe’ (Oevres 3, 1957) (Theilhard De Chardin, trad. it.
Di F. Ormea, Vallecchi, Firenze 1968); Sur la notion de transformation creatrice, in Comment je
crois (Oevres 10, 1969). Si veda anche Procacci.
3
Carlo Molari (in bibliografia [7]-[10]) si è occupato di queste tematiche con articoli apparsi in
vari numeri della rivista Rocca. Un articolo che riassume bene le sue idee, dal titolo “La cre-
azione non è finita: dialogo tra scienza e fede” è apparso nella rivista Vita Monastica, n. 237
(luglio-dicembre 2007) e ad esso rimandiamo per ulteriori dettagli.
che Darwin chiamava selezione naturale operata attraverso l’ereditarietà. In
questo caso l’azione creatrice accompagna sempre il processo evolutivo
nel senso che ne alimenta lo sviluppo senza determinare le forme che esso
assumerà.4
Accanto a questa posizione vi è quella di un movimento sorto negli USA
come ramo di un altro movimento di creazionismo estremo, che ammet-
te l’evoluzione ma questa sarebbe pilotata dall’esterno. Questo movimento
prende il nome di progetto intelligente e si presenta con una parvenza di
scientificità anzi afferma che la scienza dovrebbe essere in grado di trovare
evidenti tracce di tale progetto.
Ma il progetto fa acqua da diverse parti. Anzitutto i dati che la scienza
dovrebbe interpretare come dimostrazioni dell’esistenza di un progetto in
realtà trovano varie spiegazioni senza la necessità di ricorrere ad interven-
ti divini, cosa questa sempre estremamente pericolosa perché rischia di
ridicolizzare la stessa fede. Certamente il creato suscita domande, pone
problemi molti dei quali insoluti ma questo non è sufficiente per vedere in
questo una prova dell’esistenza di Dio e della sua azione nel creato. Si tratta
evidentemente ancora una volta di una incresciosa confusione di due piani
della realtà, l’uno attingibile attraverso la scienza e l’altro attraverso la fede.
Due piani che proprio per la loro diversità esigono metodi e approcci diversi
che è pericoloso scambiare e confondere tra di loro.
È ovvio che per chi crede nel progetto intelligente tutto è precostituito,
nel senso che Dio avrebbe già previsto tutto e dunque i gradi di libertà del-
la creazione in realtà sarebbero nulli, e tutti saremmo già inesorabilmente
segnati da un destino che annullerebbe di fatto la libertà di scelta di ogni
vivente.
Ancora una volta occorre chiarire che la scienza si appoggia sulla analisi
delle cause efficienti mentre le cause finali esulano dal metodo scientifico.
La potenza della scienza infatti sta proprio nell’essersi concentrata nello
studio delle cause efficienti, lasciando le cause finali alla filosofia, alla meta-
fisica e alla teologia. E questo non per disprezzo ma per coerenza di scelte
di campo.

4
Vedi nota 3.
Astronomia ieri e oggi - Creazione ed evoluzione cosmica 109

Un universo ricco
Se è importante sottolineare come la scienza si occupi di cause efficienti
(per capirsi la scienza considera solo effetti che seguono ad una causa e
non effetti che precedono le cause), va anche detto che la realtà non è solo
quella che cade sotto la lente di ingrandimento della scienza. Esiste infatti
tutta una fetta della realtà che esula, va oltre, non si lascia imbrigliare entro
i confini talora angusti della analisi scientifica.
Ed è una parte non trascurabile almeno per quella componente dell’uni-
verso che si chiama umanità e che gioca il suo vivere nell’arena delle re-
lazioni umane e delle soggettività. Gli ambiti affettivi, relazionali, estetici,
spirituali godono della stessa realtà di cui gode un atomo se non addirittura
di più, anche se per descriverli non ricorriamo a particolari teorie fisico-
matematiche.
Chi volesse proporre una teoria del tutto, ed esistono persone che pen-
sano ad una teoria del tutto, deve tener conto che non esiste una teoria
scientifica del tutto perché la realtà non è tutta scientifica.
John Barrow, nella sua opera monumentale sul principio antropico5 ma
anche in altre opere successive, lo dice chiaramente e credo che le sue
siano affermazioni credibili perché arrivano da una fonte al di sopra di ogni
sospetto. Egli afferma che non esiste teoria scientifica che sia in grado di
spiegare la bellezza di un notturno di Chopin, o il fascino di un dipinto, o
l’emozione suscitata da una poesia. La scienza non può nulla per spiegarle
eppure sono reali!
Forse sono affermazioni ovvie e scontate, ma ciò che vogliono sottoli-
neare è che ogni forma di esclusività del conoscere è un modo di falsificare
il reale.
Se conoscere vuol dire poter vivere meglio allora non basta la scienza
così come non basta la filosofia, la teologia, l’estetica, l’economia… Sono
tutte egualmente importanti e necessarie.

5
John D. Barrow si occupa di cosmologia teorica ma anche di tematiche interdisciplinari, so-
prattutto cercando di cogliere quei dati della scienza che pongono o possono porre domande
di carattere filosofico e metafisico. Gran parte delle sue opere su questi argomenti sono state
tradotte in italiano e sono facilmente reperibili (si vedano le indicazioni bibliografiche 11-13.
Per non litigare
I problemi tra scienza e teologia6 sorgono dunque quando ciascuna delle
discipline che ci servono per capire chi siamo, dove siamo, perché ci
siamo, presume di essere l’unica detentrice della chiave di lettura per
tutta la realtà. E il problema si chiama allora interazione dei saperi o asso-
lutizzazione di qualcuno di essi a scapito degli altri. Saperi diversi hanno
metodi diversi [14] che non sempre sono intercambiabili tra di loro, e que-
sta diversità non inficia a priori la bontà dei rispettivi risultati. Così come
non ha senso usare la metafisica per descrivere l’evoluzione stellare, allo
stesso modo sarebbe di nessuna utilità usare la meccanica quantistica
per spiegare l’innamoramento tra due persone e le scelte di vita che esso
comporta.
La storia ci dice che ogni volta che si sono create indebite intrusioni
del metodo di una disciplina nell’ambito di un’altra sono sorti problemi
assai gravi.
Un esempio per tutti sia il caso Galileo e la lettura scientifica del testo
biblico. A chi voleva far dire al testo ispirato ciò che esso non voleva dire,
ossia voleva ricavare dalla Bibbia il modello del cosmo, Galileo ricorda
che al testo biblico occorre chiedere il perché della creazione: è il perché
che poi determina le scelte di vita che, come affermava Galileo, possono
“condurre al cielo”. Personalmente credo che questo sia uno dei mag-
giori contributi che Galileo abbia dato all’umanità’ ossia il riconoscimento
dell’esistenza di piani diversi della realtà da affrontare con metodi diversi.
La condanna di Galileo aveva infatti la sua radice proprio nel fatto che un
laico si permetteva di insegnare ai teologi come si leggeva la Bibbia e
lo faceva proprio perché era credente. Egli credeva che il Dio che aveva
ispirato la Bibbia era lo stesso Dio della creazione, perciò creazione e
rivelazione non potevano essere in contrasto tra di loro, ma ogni apparen-
te contrasto doveva essere il segno di una incapacità umana di leggere
correttamente l’uno e l’altro dei due libri.
Sono passati quattro secoli da quando quell’errore grossolano è stato fatto
e oggi lo stesso errore rischia di essere ripetuto da entrambe le parti: una
scienza alcune volte arrogante e tronfia di se stessa, e una teologia pau-
rosa di sminuire il creatore se riconosce nel creato una potenza autonoma
che in realtà altro non è se non il segno di un amore che tale potenza ha

6
Occorre distinguere tra fede e teologia. La teologia è propriamente, nella cultura occidentale,
lo studio razionale del dato rivelato, studio condotto attraverso gli strumenti della filosofia e
delle scienze umane e in tal senso, come tutte le scienze cha nascono dall’uomo, è scienza
non assoluta ma perfettibile. La fede invece non rientra nel campo delle scienze ma delle scelte
e delle decisioni umane che vengono prese quando si tratta di una relazione. Dunque prima si
dà la relazione tra uomo e Dio, poi la riflessione razionale sul contenuto e sul significato di tale
rapporto e questa riflessione la chiamiamo teologia.
Astronomia ieri e oggi - Creazione ed evoluzione cosmica 111

immesso nella creature. Il dialogo nasce laddove c’è una sincera e serena
ricerca della verità, verità che per sua natura non è possesso esclusivo di
nessuno bensì è un mosaico che necessita di infiniti tasselli per offrirsi alla
contemplazione e alla continua ricerca della sua completezza.

Il telescopio rifrattore Zeiss da 50cm di diametro, sul quale è montato anche un telescopio
solare (il tubo dorato in basso a sinistra)

La sede della Specola Vaticana presso il palazzo papale di Castel Gandolfo. Sono visibili le due
cupole del telescopio rifrattore Zeiss e del doppio astrografo Zeiss.
Bibliografia essenziale

[1] H. Allen Orr 2005, “Intelligent design, il creazionismo evolutivo”, Le Scienze, n. 446
[2] G. V. Coyne 2006, “Science Does Not Need God. Or Does It? A Catholic Scienti-
st Looks at Evolution”, testo in http://www.catholic.org/national/national_story.
php?id=18504&page=1
[3] P. Greco 2001, “Diabolico Darwin”, Rocca, Pro Civitate Christiana Assisi, n. 4,
p. 39.
[4] L.S. Lerner 2000, “Good and bad Science in US schools”, Nature n. 407, 287,
[5] G. Lohfink 1981, “Ora capisco la Bibbia. Studio sulle forme letterarie della Bib-
bia”, ed. EDB.
[6] S. Procacci 2009, “Creazione continua, principio unitivo e responsabilità umana
secondo Teilhard De Chardin”, in Poietica. Rassegna critica di filosofia e di scien-
ze umane, anno XIX, n. 21.
[7] C. Molari 2004, “L’azione di Dio in un contesto evolutivo” Rocca, Pro civitate
Christiana, Assisi, n. 16, p. 52
[8] C. Molari 2006, “Il caso ed il progetto intelligente”, Rocca, Pro civitate Christiana
Assisi, n. 20, p. 54
[9] C. Molari 2004, “Creazione ed evoluzione un po di confusione”, Rocca, Pro civita-
te Christiana Assisi, n. 11, p. 57
[10] C. Molari 2007, Vita Monastica n. 237, testo in www.biosferanoosfera.it/scritti/
MOLARI%20SITO.pdf
[11] J. D. Barrow 1991, “Il mondo dentro il mondo”, Adelphi
[12] J. D. Barrow 1992, “Teorie del tutto”, Adelphi
[13] J. D. Barrow, F. J. Tipler 2002, “Il principio antropico”, Adelphi
[14] M. Mayer e M. Vicentini 1996, “Conoscenza Comune e Conoscenza Scientifica”,
in Didattica della Fisica, a cura di M. Vicentini e M. Mayer, La Nuova Italia, p. 25.
Astronomia a scuola
Prospettive per un insegnamento
integrato delle scienze
Aldo Altamore
Astronomia a scuola
Prospettive per un insegnamento integrato delle scienze

Aldo Altamore
Docente di Fisica e Didattica dell’Astronomia
Università degli Studi Roma Tre

Introduzione
L’astronomia fin dall’antichità ha avuto un profondo impatto sull’intelletto e la
cultura degli uomini nei più diversi contesti sociali ed è stata determinante
per lo sviluppo delle civiltà. Con alterne vicende nel corso di migliaia di
anni l’umanità ha accumulato conoscenze ed osservazioni astronomiche:
non a caso, l’inizio della modernità che ha portato alla presente civiltà del-
la conoscenza e all’immenso sviluppo tecnologico attuale ha mosso i suoi
primi passi dalla rivoluzione astronomica copernicana, dalle osservazioni al
telescopio di Galileo e dalle teorie di Keplero e di Newton.
Negli ultimi decenni l’astronomia ha attraversato una fase di grande svi-
luppo che ha portato ad una visione dell’universo impensabile solo pochi
decenni fa.
Un secolo fa avevamo una conoscenza molto parziale della nostra ga-
lassia, la Via Lattea, che la maggior parte degli astronomi allora ancora
identificava con l’universo intero, mentre ancora ci si interrogava sulla natura
delle cosiddette nebulose a spirale poi rivelatesi essere galassie simili alla
nostra. Anche la conoscenza sulla struttura e l’origine del sistema solare era
molto limitata e non si aveva modo di verificare l’esistenza di pianeti intorno
ad altre stelle. Il cielo veniva studiato solo attraverso i telescopi ottici e la
fotografia astronomica era ai suoi primi passi.
Oggi, sappiamo che l’universo ha un’età di circa 13,7 miliardi di anni,
che è popolato da centinaia di miliardi di galassie, e ci interroghiamo su
nuovi affascinanti aspetti come la materia e l’energia oscure. Abbiamo sco-
perto quasi 400 pianeti attorno ad altre stelle della nostra galassia [1] e gra-
zie allo sviluppo dell’astronautica e ai progressi della tecnologia possiamo
osservare il cosmo in tutte le frequenze, dalle onde radio ai raggi gamma
Astronomia ieri e oggi - Astronomia a scuola 115

e per mezzo delle particelle elementari che costituiscono i raggi cosmici.


Gli interrogativi sull’origine del cosmo e su gli inizi e l’evoluzione della vita ci
appaiono meno oscuri e sono ormai divenuti pieno dominio della scienza.
Mai come oggi ci sono stati tanti scienziati impegnati nello studio del cosmo
e l’interesse della gente comune per l’astronomia è ai massimi livelli come
mostrano le notizie che quasi quotidianamente vengono diffuse dai media.
Per questi motivi l’anno 2009, 400° anniversario delle prime osservazioni

Due esempi dell’influenza dell’astronomia in diversi contesti culturali ed artistici.


a) L’Atlante farnese, copia romana (II sec DC) da originale greco – museo Archeologico nazionale
Napoli; b) Meridiana sulla facciata del monastero di Haghpat (sec XIII) - nord est dell’Armenia
(cortesia Corinne Rossi).

Evidenza della presenza di materia oscura nell’ammasso di galassie 1E 0657-56. Immagine otte-
nuta dalla sovrapposizione delle osservazioni dei telescopi spaziali Hubble, Magellano e Chandra.
La distribuzione della massa della materia oscura, in blu, è dedotta dall’effetto “lente gravitazio-
nale”, in rosa il gas intergalattico osservato nei raggi X da Chandra.
al telescopio di Galileo è stato proclamato anno internazionale dell’astrono-
mia (International Year of Astronomy (IYA2009). Una celebrazione universale
caratterizzata da una grande attenzione per l’educazione scientifica e che
intende promuovere, specialmente tra i giovani, l’interesse per la scienza
per mezzo di innumerevoli iniziative organizzate su scala internazionale, na-
zionale, e locale [2].
In questo contributo cercherò di illustrare il ruolo che l’astronomia può
svolgere nella scuola ai fini della trasmissione dei saperi scientifici, sia
nell’ambito dell’educazione formale che in quello non formale. Nel contesto
cercherò anche di indicare alcuni strumenti minimi che potranno essere utili
ai docenti nella pratica didattica quotidiana.

L’anno internazionale dell’Astronomia nella scuola


Il motto dell’IYA2009 “L’universo, a voi scoprirlo” prefigura il coinvolgimento
di giovani ed adulti nelle tematiche scientifiche ai fini di una maggiore consa-
pevolezza del Cosmo in cui viviamo.
Per quanto riguarda l’insegnamento delle scienze fisiche e naturali, la
celebrazione dell’IYA2009 non solo rappresenta un’occasione di riflessione
sul ruolo di questa scienza, ma offre anche un’opportunità per sviluppare
nuovi approcci didattici. Questi sono basati anche sulle moderne tecnologie
e sull’utilizzo del patrimonio di osservazioni professionali ottenute con i gran-
di telescopi a terra e nello spazio, oggi divenute facilmente accessibili agli
insegnanti e agli studenti grazie agli sviluppi dell’informatica [3].
Ciò riveste una importanza particolare per l’Italia, nel momento in cui si
è nel guado di una riforma della scuola, e a seguito dei risultati delle indagini
OCSE-PISA [4] ci si interroga sull’efficacia del nostro sistema educativo, spe-
cialmente per quanto riguarda l’acquisizione delle competenze di scienze e
di matematica.
L’aggancio alla figura di Galileo suggerisce inoltre la possibilità di pro-
poste interdisciplinari di ampio respiro, che attraverso il coinvolgimento dei
docenti di area umanistica contribuiscano a superare la falsa dicotomia cul-
turale ancora imperante tra saperi scientifici e saperi umanistici. A Roma per
esempio sono state attuate attività interdisciplinari [18] in luoghi significativi
per l’astronomia che rivestono anche un interesse artistico, letterario, sto-
rico, o archeologico: come i mitrei, la basilica di Santa Maria degli Angeli o
villa Adriana a Tivoli [5], sempre a Roma, il liceo scientifico A. Labriola ha
organizzato un convegno su scienza e letteratura [6]. A proposito di questo
ruolo di ampia interdisciplinarità che l’astronomia può svolgere si vedano
anche gli altri contributi contenuti in questo volume, in particolare quelli di R.
Buonanno, P. Galluzzi ed A. Omizzolo.
Astronomia ieri e oggi - Astronomia a scuola 117

Le nebulose planetarie: a) dai disegni di


Angelo Secchi (Le Stelle 1877);
b) osservata dal telescopio spaziale Hubble.
Ricerca scientifica e società civile
Il grande interesse che l’astronomia suscita nel pubblico è occasione per
esaminare i rapporti che intercorrono tra il mondo della ricerca scientifica
e la società civile a partire dal fatto che nell’ultimo secolo, la scienza e la
tecnologia hanno influito sempre di più sulla vita quotidiana.
John Ziman fisico e sociologo della scienza sottolinea [7] che, dopo
la fase di nascita e di sviluppo (1600-1800), la scienza moderna è stata
caratterizzata dalla Fase accademica, nella quale l’indagine scientifica si è
sviluppata e specializzata all’interno delle istituzioni universitarie e di ricer-
ca. In questa fase le università e gli istituti scientifici sono divenuti i luoghi
canonici della scienza e si è manifestata una sostanziale separazione tra gli
scienziati e la società.
A partire dal 1945 (l’anno delle bombe di Hiroshima e Nagasaki) il qua-
dro cambia drasticamente: la scienza e la tecnologia cominciano ad influire
in modo più profondo sul quotidiano delle persone. Da allora si è entrati nella
Fase post-accademica.
Oggi, nelle società democratiche, i cittadini sono finanziatori della ricer-
ca attraverso la contribuzione fiscale, e sono chiamati ad esprimersi sulle
scelte etiche e quelle che riguardano lo sviluppo, e quindi influiscono sull’in-
dirizzo dei finanziamenti alla ricerca. A questo proposito basta ricordare
come temi quali il nucleare, l’ambiente e la bioetica siano continuamente al
centro del dibattito civile. Riteniamo inoltre che in un futuro molto prossimo
la convergenza tra nanotecnologie, biologia, informatica e scienze cogniti-
ve, la cosiddetta Grande convergenza NBIC (Nano, Bio, Info, Cogno) [8], [9]
porrà a tutti noi interrogativi nuovi, pressanti, e non certo semplici.
Per questi motivi, oggi gli scienziati non possono aristocraticamente
rimanere chiusi nei loro laboratori ma hanno il dovere e la necessità di co-
municare e far comprendere i risultati delle loro ricerche non solo ai colleghi
ma anche ai comuni cittadini.
Questo tipo di comunicazione è particolarmente complessa giacché la
specializzazione delle scienze che ha permesso gli enormi progressi che
sono sotto gli occhi di noi tutti, ha nello stesso tempo prodotto una enor-
me frammentazione del sapere. Per una persona comune e persino per
gli scienziati stessi, è sempre più difficile avere una visione globale della
Scienza e del suo impatto sulla realtà umana. A questo proposito vale la
pena citare quanto scrive Edgar Morin [10]: “Giganteschi progressi nelle
conoscenze sono stati attuati nell’ambito delle specializzazioni disciplinari
durante il XX secolo. Ma questi progressi delle conoscenze hanno prodotto
una regressione della conoscenza, proprio a causa della specializzazione
che spesso frammenta i contesti, le globalità, le complessità. Per queste
ragioni, enormi ostacoli si sono accumulati e hanno impedito l’esercizio del-
la conoscenza pertinente, anche in seno ai nostri sistemi d’insegnamento.
Astronomia ieri e oggi - Astronomia a scuola 119

La galassia M 51 dai disegni di Angelo Secchi (Le Stelle 1877) e osservata dal
telescopio spaziale Hubble.

Questi ultimi operano una disgiunzione tra discipline umanistiche e scienze,


così come, in seno alle scienze, la separazione in discipline divenute iper-
specializzate, chiuse in se stesse”.
In conclusione, sia nella scuola che nella società, una corretta comunica-
zione scientifica che permetta una ricomposizione dei saperi e aiuti ad orien-
tarsi tra problemi complessi, che, come dice Morin, sono polidisciplinari,
trasversali, multidimensionali, transnazionali, planetari, non è solamente una
questione di ordine culturale ma è importante anche ai fini di una consape-
vole partecipazione dei cittadini alla vita democratica.

La crisi delle vocazioni scientifiche ed il progetto Lauree


scientifiche
In questo contesto, sia in Europa che in nord America, emerge paradossal-
mente nei giovani un preoccupante disinteresse e una sfiducia nei confronti
della scienza. In Italia, questo si manifesta particolarmente attraverso la
macroscopica flessione nelle immatricolazioni ai corsi di laurea relativi alle
cosiddette scienze dure: chimica, fisica e matematica.
Come mostrato dai dati Alma Laurea [11] tra il 1989 ed il 2000 la fles-
sione nelle immatricolazioni è stata del 43%, 56%, e 63 %, rispettivamente
per la chimica, la fisica e la matematica. Inoltre circa il 20% delle matricole
trascorre il primo anno di studi senza superare alcun esame e la percentuale
di abbandoni è intorno al 25%.
Se questa tendenza continuerà, nel prossimo futuro la carenza di laure-
ati in discipline scientifiche produrrà per il nostro paese un’ulteriore perdita
di competitività internazionale, in particolare nell’ambito delle più moderne
tecnologie.
Per cercare di porre un parziale rimedio a questa crisi, il MIUR, la Confe-
renza nazionale dei presidi delle facoltà di Scienze e tecnologie e la Confin-
dustria hanno promosso il progetto nazionale Lauree scientifiche (PLS) [12]
che a partire dal 2005 ha attuato centinaia di iniziative tendenti ad avvicinare
i giovani alle scienze di base. Tra le attività ha avuto un ruolo fondamentale
lo sviluppo di azioni di formazione e di aggiornamento degli insegnanti fina-
lizzate ad una didattica che risulti più attraente per gli studenti e nella quale
un ruolo centrale sia svolto da laboratori strutturati in modo tale da rendere
i ragazzi protagonisti dell’apprendimento. Con un generoso impegno di mi-
gliaia di docenti della scuola e dell’università sono state attuate più di 600
iniziative educative che hanno interessato circa 2000 scuole e 200 istituzio-
ni, tra università, enti di ricerca, associazioni ed aziende e hanno coinvolto
decine di migliaia di studenti della scuola secondaria.
Vale la pena anche sottolineare la fruttuosa sinergia tra il PLS e gli indiriz-
zi scientifici e tecnologici delle Scuole di specializzazione all’insegnamento
secondario (SSIS), rimasti attivi fino al 2009, che ha avuto il merito di dare
impulso alla ricerca didattica sul campo e ha delineato una nuova figura di
insegnante, impegnato nell’innovazione e nella ricerca educativa. È auspica-
bile che nell’ambito della prevista istituzione dei tirocini formativi attivi e dei
corsi di laurea magistrale per la formazione iniziale degli insegnanti questo
patrimonio di esperienze non vada perduto.

Un nuovo rapporto tra scuola e mondo della ricerca scientifica


Nella presente società globale lo sviluppo futuro dei paesi dell’Europa, e la
sopravvivenza della stessa cultura europea, dipenderà dalla capacità delle
nuove generazioni di acquisire competenze scientifiche di base [13], [14]
che permettano di affrontare negli anni a venire la competizione interna-
zionale già in atto.
Per questo motivo a livello europeo è maturata la visione di un nuo-
vo modello di formazione scientifica che offra spazi nei quali studenti,
insegnanti e ricercatori, ciascuno nel suo ruolo, lavorino fianco a fianco
in un comune itinerario di apprendimento basato soprattutto sulla speri-
mentazione e l’osservazione; a questo proposito si vedano per esempio i
materiali prodotti dal consorzio internazionale Form-it [15]. Questo approc-
cio prevede che gli studenti e gli insegnanti possano essere direttamente
coinvolti anche in progetti professionali di ricerca scientifica; per quanto
riguarda l’astronomia, a titolo di esempio, si veda il progetto internazionale
Galaxy Zoo [16] nel quale i partecipanti contribuiscono all’analisi dei dati
acquisiti dalla Sloan digital sky survey.
In questa nuova prospettiva il rapporto tra scuola, università e mondo
Astronomia ieri e oggi - Astronomia a scuola 121

I disegni di Galileo delle fasi di Venere; b) Immagini della superficie di Venere ottenute nelle fre-
quenze radar dalla sonda Magellano (NASA). Sull’orizzonte il vulcano Gula, alto 3000 m, al centro
il cratere Cunitz il cui diametro supera i 48 km.

della ricerca non va visto come occasionale ma come parte irrinunciabile di


una didattica curriculare che preveda il coinvolgimento ordinario e istituzio-
nale degli scienziati nell’attività educativa.

L’apprendimento non formale


È noto che l’apprendimento può essere schematicamente classificato secon-
do due tipi fondamentali: apprendimento formale e apprendimento informa-
le. L’apprendimento formale è quello prevalente nelle istituzioni scolastiche
ed universitarie ed ha le seguenti caratteristiche. È fortemente strutturato:
guidato dai docenti e caratterizzato da una intensa programmazione i cui
tempi non sono decisi dai discenti. La sequenzialità degli argomenti trattati,
che molto spesso hanno un carattere teorico, è prevalente. Sono pochi i ri-
sultati di apprendimento non previsti. Inoltre l’aspetto sociale della dinamica
educativa è frequentemente trascurato e la valutazione-certificazione svolge
un ruolo che, seppur necessario, risulta troppo spesso prevalente.
Sul versante opposto sta l’apprendimento informale, proprio della di-
vulgazione scientifica e caratteristico di una molteplicità di situazioni molto
variegate, che vanno dalle sempre più ricche offerte multimediali, alle riviste
scientifiche, ai musei, agli eventi organizzati dagli istituti di ricerca e dagli
enti locali, alle attività delle associazioni amatoriali. In questi casi il processo
di apprendimento risulta quasi completamente destrutturato e lasciato al
completo controllo del discente sia per quanto riguarda i tempi che le mo-
dalità. Senza nulla togliere ai grandi meriti della divulgazione nello stimolare
l’interesse della società verso la scienza, il pericolo, sempre attuale in questi
casi, è quello di una presentazione dogmatica del sapere scientifico, un
modello che già troppo spesso la scuola propone [17].
Una modalità intermedia di apprendimento si colloca nell’ambito del nuo-
vo modello di formazione scientifica descritto nella sezione precedente e si
può classificare come apprendimento non formale.
Cacciatore G. (ed.), Rapporti sulle osservazioni dell’ecclisse totale di sole del 22 dicembre 1870
eseguite in Sicilia dalla Commissione italiana, Palermo, stabilimento tipografico Lao, 1872.
a) Il disegno (1870) della fotosfera e cromosfera solare di Pietro Tacchini, Cortesia a Terranova
nei giorni precedenti all’eclisse del 1870. (Cortesia Ileana Chinnici, INAF- osservatorio astronomi-
co di Palermo). B) Il Sole osservato nei raggi X dal satellite Soho.

Si tratta di un insegnamento-apprendimento che si realizza anche al di


fuori dell’istituzione scolastica, in un ambiente che favorisca il coinvolgimen-
to personale e susciti il piacere della sperimentazione e della scoperta.
L’attività, pur essendo frutto di un’attenta programmazione educativa lascia
spazio a chi apprende e può dare risultati imprevisti. La guida del docente
o del comunicatore scientifico ha un ruolo rilevante, tuttavia il rapporto con
i discenti risulta essere più libero e paritetico. In questo contesto ha spesso
un ruolo rilevante un apprendimento tra pari o quasi tra pari (quando siano
coinvolti giovani comunicatori che sono percepiti dai ragazzi come fratelli
maggiori piuttosto che come insegnanti).

Il ruolo dell’astronomia nella scuola


Come già abbiamo detto uno degli obiettivi fondamentali dell’insegnamento
delle scienze deve essere quello di favorire una maggiore comprensione inte-
grata dei saperi. L’astronomia e l’astrofisica (che va intesa come parte essen-
ziale dell’astronomia moderna e con essa praticamente coincide) si prestano
particolarmente a questo percorso; infatti esse sono un potente stimolo per
la curiosità intellettuale dei giovani e nello stesso tempo toccano un vasto
spettro di tematiche che va dallo studio della natura della materia e dell’ener-
gia all’origine della vita.
Come è noto l’astronomia non è presente nella scuola italiana come ma-
teria autonoma, ed è inserita prevalentemente nei programmi d’insegnamento
delle scienze naturali: tuttavia, grazie agli importanti agganci con la fisica e
la matematica, questa collocazione può rappresentare un vantaggio ai fini di
un’integrazione delle discipline. Per questo motivo molti docenti impegnati
nell’innovazione didattica ne stanno sperimentando le potenzialità formative.
Astronomia ieri e oggi - Astronomia a scuola 123

Didattica non formale al Museo del Bali (Foto: Michela Bamonte e Livia Giacomini)

Per esempio, in occasione dell’IYA2009 è stato avviato nel Lazio il pro-


getto Astronomia a scuola [18] che attraverso la stretta collaborazione tra
insegnanti, docenti universitari, ricercatori degli enti pubblici, dottorandi di
astrofisica e operatori museali ha promosso una serie di attività che fino
ad oggi hanno coinvolto circa 4000 studenti, 150 insegnanti della scuola
secondaria. Queste attività, grazie ai finanziamenti delle province di Roma e
di Latina, sono offerte gratuitamente alle scuole dei rispettivi territori.

Le proposte didattiche del progetto Astronomia a scuola


Il progetto, ancora in corso di realizzazione, è articolato nelle seguenti linee:
- Interventi nelle sedi delle scuole: Astronomia e scienze
- Master class e stage di astrofisica
- Monitoraggio della brillanza del cielo notturno.

Astronomia e scienze
È l’attività chiave del progetto. Nell’anno scolastico 2008-09 l’iniziativa ha
coinvolto circa 2500 studenti della scuola secondaria superiore.
La proposta offre occasioni di approfondimento interdisciplinare delle
scienze attraverso strumenti e stimoli basati sull’astronomia e nello stesso
tempo cerca di sperimentare nuove forme di collaborazione didattica tra la
scuola e il mondo della ricerca scientifica. L’attività consiste in due interventi
tenuti prevalentemente da giovani astrofisici delle tre università romane. Gli
interventi della durata di circa due ore sono strutturati in una lezione dialogata
seguita da una semplice attività pratica, possibilmente del tipo hands-on. Si
cerca di sollecitare nei ragazzi la curiosità con lo scopo di favorire il pas-
saggio da un apprendimento passivo di domande e di risposte in cui tutto
è risolto ad un coinvolgimento personale che permetta la costruzione di
opinioni motivate.
I temi trattati riguardano problematiche astronomiche strettamente con-
nesse con tutte le scienze naturali. I docenti della scuola possono liberamen-
te scegliere due tra i seguenti titoli:
- Il Sole e la sua influenza sull’ambiente interplanetario e terrestre
- La geologia del pianeta Terra e degli altri pianeti del sistema solare
- Il vulcanismo nel sistema solare
- Origine ed evoluzione della vita e la ricerca della vita extraterrestre
- Nascita ed evoluzione delle stelle
- La nostra galassia nell’Universo
- Astronomia antica e moderna

Master class e stage di astrofisica


Le master class e gli stage di astrofisica sono attività rivolte a studenti
particolarmente motivati degli ultimi tre anni della scuola superiore e hanno
lo scopo di valorizzare le capacità e l’interesse dei ragazzi. Le master class
di astrofisica, denominate Astrofisici per un giorno [19] si svolgono nell’arco
di una giornata presso il dipartimento di Fisica dell’Università Roma Tre, e
sono guidate dai docenti coadiuvati da dottorandi e studenti di astrofisica.
Nella mattinata vengono tenute due lezioni dialogate, supportate da alcu-
ne esperienze dimostrative. Le lezioni intitolate rispettivamente “La natura
della luce e l’informazione astrofisica” e “L’universo e i nuclei galattici attivi”
hanno il fine di fornire agli studenti gli elementi di base che permettano loro
di operare proficuamente nel corso della successiva attività di laboratorio
pomeridiana.
Le lezioni sono seguite da osservazioni al telescopio della fotosfera e
della cromosfera solare ed eventualmente da una visita ai laboratori del Di-
partimento. Dopo il pranzo gli studenti lavorano su di una serie di immagini
ottenute, nell’ottico dal Very large telescope (VLT) dell’European southern ob-
servatory (ESO); nell’infrarosso dal satellite Spitzer; nei raggi X dal satellite
XMM-Newton. Per mezzo di MIDAS (un package professionale di analisi dati
distribuito dell’ESO) identificano quattro sorgenti astrofisiche e ne misurano
il flusso. Inoltre da spettri ottici ottenuti al VLT misurano anche il redshift de-
gli oggetti. Infine, attraverso semplici formule, ricavano dai dati la distanza e
luminosità delle sorgenti e, nel caso di un quasar, stimano la massa del buco
nero ad esso associato e il tasso di accrescimento di massa.
Anche gli stage di astrofisica tenuti prevalentemente presso l’Area di
ricerca INAF/CNR di Tor Vergata [20] sono rivolti a studenti provenienti da
scuole diverse. Nel corso di quattro giorni consecutivi, per 8 ore al giorno,
i ragazzi partecipano a lezioni dialogate, discussioni, laboratori dimostrativi
ed osservazioni e stanno a stretto contatto con gli scienziati che lavorano
presso l’Area di ricerca. Nell’anno scolastico 2008-09, in due distinte occa-
sioni sono stati coinvolti 110 ragazzi provenienti da 20 scuole e 14 ricer-
catori e tecnologi. Gli argomenti affrontati hanno riguardato la cosmologia,
l’evoluzione stellare, la planetologia, il Sole ed il mezzo inteplanetario, la
Bio-astronomia e le tecniche osservative in diverse lunghezze d’onda.
Astronomia ieri e oggi - Astronomia a scuola 125

Monitoraggio della brillantezza del cielo notturno


“Quanto è stellata la notte?”
La proposta riguarda il problema dell’inquinamento luminoso, che ormai im-
pedisce, specialmente nel nord del mondo, la piena osservabilità del cielo
stellato [21].
L’attività presenta forti valenze interdisciplinari e si propone di:
- Familiarizzare gli studenti all’osservazione del cielo;
- Coinvolgere gli studenti in una campagna di raccolta di dati scientifici;
- Favorire contatti tra studenti ed insegnanti di scuole diverse;
- Sensibilizzare sulle problematiche ambientali.
La tecnica utilizzata per la raccolta dei dati è molto semplice: l’osservazio-
ne ad occhio nudo del cielo, il riconoscimento di alcune costellazioni tramite
mappe celesti, l’identificazione della stella più debole visibile ad occhio nudo.
Per partecipare al progetto gli studenti utilizzano un sito web apposita-
mente realizzato [22] che permette le seguenti funzioni:
- iscrizione ed inserimento delle coordinate della propria posizione geografica;
- inserimento dei dati osservativi raccolti;
- visualizzazione dei luoghi di osservazione su una carta geografica interattiva;
- possibilità di acquisizione di tutta la base dei dati inseriti ai fini di una succes-
siva analisi;
- possibilità di scambio di informazioni tra gli studenti tramite un forum
dedicato.
Nel corso dell’anno scolastico 2008-09 la campagna osservativa ha coin-
volto circa 150 studenti appartenenti a 16 scuole secondarie del Lazio. Le
650 osservazioni raccolte hanno permesso di realizzare una mappa dell’inqui-
namento luminoso che è confrontabile con quella ottenuta tramite i dati dei
satelliti [23].

Altre proposte significative


Nel corso negli anni più recenti sono state attuate molte altre interessanti
proposte rivolte sia alla formazione degli studenti che allo sviluppo profes-
sionale degli insegnanti. Nello spazio ristretto di questo saggio non è pos-
sibile darne una panoramica completa, pertanto in questa sezione illustrerò
una piccola selezione di iniziative che non valgono solo per se stesse ma
soprattutto perché possono essere spunto e prototipo per nuovi progetti.
Infine nella sezione successiva cercherò di dare una panoramica essenziale
delle risorse per la didattica dell’astronomia al momento disponibili in Italia.
Campi scuola residenziali al museo del Balì di Saltare (PU)
Il museo del Balì di Saltara (PU) è uno Science center inaugurato nel maggio
2004, che dopo la Città della Scienza di Napoli, è il secondo museo scientifi-
co italiano hands-on, che cioè offre al visitatore la possibilità di sperimentare
di persona e di avviare un processo di apprendimento per scoperta [24].
Il museo, in collaborazione con il dipartimento di Fisica dell’Università
Roma Tre, ogni anno organizza campi scuola di Fisica [25] della durata di
cinque giorni rivolti sia a classi intere, guidate dai propri insegnanti, che a
singoli studenti particolarmente motivati. I campi sono strutturati in moduli
della durata di mezza giornata ciascuno e riguardano temi chiave della fisica
sperimentale nei suoi più attuali settori di ricerca. In occasione dell’IYA2009,
grazie alla presenza nel museo di un planetario, di un osservatorio astrono-
mico e di numerosi esperimenti di ottica, è stato dato particolare spazio
alle tematiche astrofisiche e a quelle storiche e filosofiche connesse con la
figura di Galileo.
Le lezioni dal carattere colloquiale e critico, sono tenute da docenti uni-
versitari e da studiosi degli enti di ricerca (INAF, INFN, INGV) e sono integrate
da attività di laboratorio condotte dai comunicatori scientifici del museo.
Al margine delle lezioni e dei laboratori si sviluppano colloqui informali tra
studenti, docenti e animatori che sono molto facilitati dal carattere residen-
ziale dell’iniziativa e dalla situazione logistica particolarmente felice. Oltre
alle attività educative i ragazzi hanno l’opportunità di effettuare escursioni in
vicine località di interesse artistico o naturalistico.
Vale anche la pena ricordare che la Società astronomica italiana [26]
organizza presso il museo del Balì una delle sue due scuole estive di astro-
nomia per insegnanti.

Studenti e cittadini del mondo


L’osservazione e lo studio del cielo rappresenta una base naturale di incon-
tro e dialogo tra i popoli. L’astronomia è certamente un prezioso strumento
per affrontare i temi dell’integrazione e del dialogo tra le varie culture e
quello dell’accoglienza dei ragazzi immigrati.
Il futuro dell’Unione europea sarà legato sia alla capacità delle nuove
generazioni di acquisire la consapevolezza dell’identità e della cittadinanza
europea, che alla comprensione che esse sono inserite in un contesto pla-
netario complesso, oggi divenuto villaggio globale, nel quale tutte le culture
hanno uguale dignità e con la loro ricchezza e tradizione hanno contribuito e
continueranno a contribuire al progresso dell’umanità.
In quest’ottica l’INAF-osservatorio astrofisico di Arcetri dal 2006 ha idea-
to il “I cieli del mondo”, una mostra itinerante modulata su molteplici attività
tra cui uno spettacolo di ombre nel planetario, conferenze di astronomi afri-
cani e indiani e vari laboratori per i bambini. Realizzata nell’ambito Universe
Astronomia ieri e oggi - Astronomia a scuola 127

Le costellazioni nella cultura africana (South Africa astronomical Observatory, Starlore 1998 )

Awareness, programma UNESCO dell’Unione astronomica internazionale, la


mostra è proposta in due versioni dai titoli: Alla scoperta del cielo cinese, africa-
no e di casa nostra. Alla scoperta del cielo indiano, africano e di casa nostra [27].
Questo tipo di iniziative si collocano pienamente sulla scia degli obiettivi
dell’IYA2009 che prevedono un’attenzione allo sviluppo culturale scientifico
dei paesi emergenti e al tema della visione del cielo e del cosmo nelle diver-
se tradizioni e culture.

I telescopi didattici
Gli sviluppi tecnologici più recenti, in particolare quelli dell’informatica e nel
campo dei rivelatori di radiazione (in particolare le camere CCD) permettono
oggi di compiere con piccoli telescopi osservazioni e misure astronomiche
che solo qualche anno fa erano appannaggio di telescopi professionali. Que-
sto offre alla didattica dell’astronomia e della fisica nuove interessanti oppor-
tunità. A titolo di esempio in figura sono mostrati alcuni spettri ottenuti con
un piccolo telescopio didattico, uno Schimdt Cassegrain, ∅20 cm, f/10.
Questo tipo di strumentazione ha già permesso a molte scuole di dotarsi

Il Very large telescope dell’ESO (VLT) , situato sul Cerro Paranal (2600 m) nel deserto cileno di
Atacama, è il più grande telescopio ottico del mondo. È costituito da quattro strumenti principali
i cui specchi hanno il diametro di 8,2 m, e da quattro strumenti ausialiari da 1,8 m. I telescopi
possono anche lavorare insieme in modalità interferometrica; questo permette di ottenere un
potere risolutivo dell’ordine del millesimo di secondo d’arco.
di laboratori di astrofisica che rappresentano un ottimo esempio di integra-
zione didattica tra l’insegnamento delle scienze e quello di fisica, come per
esempio l’osservatorio realizzato dal liceo Parini di Milano [28].
Un altro aspetto interessante è quello dei telescopi a controllo remoto,
che permettono alle scuole di acquisire dati in tempo reale attraverso la
strumentazione che viene messa a loro disposizione e che può essere con-
trollata direttamente dal docente o dagli studenti attraverso la connessione
internet; tra questi ricordiamo il telescopio Tacor del dipartimento di Fisica
dell’Università La Sapienza di Roma [29] e il Virtual telescope [30].

Panoramica sulle risorse educative per l’astronomia


Per concludere, in questa sezione cerchiamo di fornire una panoramica
essenziale delle risorse educative per l’astronomia disponibili in Italia per
attività in presenza.
Per quanto riguarda invece le risorse nazionali ed internazionali disponibili
in rete si può fare riferimento alla guida fornita dal sito della Società Astro-
nomica Italiana:
www.sait.it/index.php?pagina=astronomia_in_rete

Musei storico astronomici


Presso gli osservatori astronomici italiani sono custodite importanti colle-
zioni di strumentazione di interesse storico, l’elenco completo dei musei
astronomici dell’INAF può essere trovato nel sito: www.inaf.it/struttura-orga-
nizzativa/dsr_1/musei/lista_musei. A questi vanno aggiunti gli interessanti
materiali storici e scientifici custoditi presso la Specola Vaticana di Castel
Gandolfo, http://www.specolavaticana.org

Planetari
Come è noto, una risorsa didattica molto importante è quella dei planetari.
Oltre ai grandi planetari presenti nelle maggiori città italiane, che possono
ospitare centinaia di spettatori, esistono, anche in provincia, decine di altri
piccoli planetari, gestiti da istituti scolastici, science center o dalle asso-
ciazioni amatoriali afferenti all’Unione astrofili italiani [31]; per un elenco si
consulti: www.astrofilibresciani.it/Planetari/Elenco_Planetari.htm
Astronomia ieri e oggi - Astronomia a scuola 129

Risorse INAF per la didattica e la comunicazione dell’astronomia


Gli osservatori astronomici e gli istituti INAF svolgono una preziosa attività
istituzionale di diffusione delle conoscenze astronomiche che prevedono
anche visite, osservazioni ed attività guidate, per ottenere la lista completa
delle opportunità offerte nelle varie città si consulti:
www.inaf.it/struttura-organizzativa/dsr_1/didattica_divulgazione/divulgazio-
ne-inaf-per-sede/attivita_per_sede

La Rete di Eratostene e le altre reti di scuole per l’astronomia


La Rete di Eratostene nasce nel febbraio del 2001 e si sviluppa grazie alla col-
laborazione di numerosi insegnanti di tutta Italia. Attraverso il sito www.vialat-
tea.net/eratostene/ vengono offerti interessanti materiali didattici e proposte
di attività in presenza che prevedono anche la collaborazione tra più scuole,
come quella della misura del raggio terrestre attraverso lo storico metodo di
Eratostene. Per quanto riguarda le reti di scuole per la didattica dell’astrono-
mia si veda anche http://astrodidattica.vialattea.net/frame.html

vega (A0V)

H Ha
b
DENEB (A21)

SOLE (G2V)

Na Ha
ANTARES (M1I)

Fe Na

Serie di spettri stellari acquisiti dal telescopio didattico del dipartimento di Fisica E. Amaldi
dell’Università Roma Tre. A titolo orientativo sono identificate alcune righe di assorbimento. (Cor-
tesia Enrico Bernieri).
Conclusioni
Come abbiamo visto l’astronomia può svolgere un ruolo chiave ai fini di un
insegnamento/apprendimento significativo delle scienze fisiche e naturali.
Dal monitoraggio delle esperienze educative non formali di carattere
astronomico che finora sono state attuate nella scuola secondaria emergo-
no apprezzamento ed interesse da parte degli studenti, degli insegnanti e
degli scienziati coinvolti.
È quindi auspicabile che il tipo di approccio proposto, basato sulla stret-
ta collaborazione tra scuola e mondo della ricerca, possa essere replicato
in altri contesti e per scuole di diverso ordine. Inoltre, l’astronomia per il
fascino che esercita sulla generalità delle persone è un canale privilegiato
di comunicazione della scienza e si può configurare come un efficace stru-
mento anche per l’apprendimento permanente (Lifelong learning) che, come
auspicato dalle indicazioni dell’Unione europea [32], dovrà assumere una
sempre maggiore rilevanza.
Per quanto riguarda poi la cornice generale dell’integrazione multidisci-
plinare, un elemento portante di unificazione è certamente rappresentato
dalla tematica dell’evoluzione chimica, fisica, geologica, biologica ed antro-
pologica del cosmo, dal Big Bang alla presente civiltà globale.
Come è noto, questo quadro evolutivo è il frutto dell’investigazione scien-
tifica multidisciplinare degli ultimi duecento anni; tuttavia la consapevolezza
dell’Evoluzione non è ancora stata interiorizzata a pieno dalla generalità del-
le persone, anche da quelle che hanno un’istruzione superiore. Pertanto
è culturalmente importante sviluppare itinerari, che, a partire dalla scuola,
favoriscano la maturazione di questa consapevolezza.
Astronomia ieri e oggi - Astronomia a scuola 131

Bibliografia essenziale

[1] J.Schneider 1995, The Extrasolar Planets Encyclopedia, http://exoplanet.eu/


[2] IYA2009:Sito internazionale: www.astronomy2009.org.; Nazionale:
www.astronomy2009.it
[3] www.virtualobservatory.org/
[4] www.invalsi.it/invalsi/ri/pisa2006.php?page=pisa2006_it_05
[5] N.Lanciano 2003, “Villa Adriana tra cielo e terra”, Ed. Apeiron
[6] Scienza e letteratura 2009,
www.liceolabriola.it/scienzaquantestorie.php
[7] J. Ziman 2002,“Le fasi della Scienza Moderna, “La vera scienza”, ed. Dedalo, Bari
[8] E. Fontela 2006, www.ilsecondorinascimento.it/Pages/Cit18Fon.htm
[9] W. S. Bainbridge 2006, “ Managing Nano-Bio-Info-Cogno Innovations: Converging
Technologies in Society “, M. C. Roco and W. S. Bainbridge ed.;
Springer Netherlands
[10] E. Morin, 2001, “I sette saperi necessari all’educazione del futuro”, ed. Raffaello
Cortina.
[11] A. Camelli 2006, “Le lauree scientifiche e tecnologiche. Dall’accesso all’Università
alla prova del mercato del lavoro “, Varese alla XIII Giornata Orientagiovani, 17 nov
2006,
www.almalaurea.it/universita/altro/lauree_scientifiche/lauree_scientifiche.pdf
[12] PLS, www.progettolaureescientifiche.eu/info/lang/it-it
[13] Euridice 2007,
www.bdp.it/eurydice/content/index.php?action=read_cnt&id_cnt=3130
[14] B. Hazard 2009, “L’insegnamento integrato delle Scienze in Francia, tra continuità
ed innovazione”, in Scienze e lingue europee. Seminario Internazionale,
Roma 14-16 mag 2009;
www.scienze-lingue.net/wp-content/uplo/insegnamento-delle-scienze-in-francia.pdf
[15] Consorzio Form-it, www.form-it.eu
[16] Galaxy Zoo, www.galaxyzoo.org/
[17] P. Greco 2001, ”Il mercato delle notizie”, Sapere, Anno 67, n. 1, pp. 38-40
[18] Astronomia a Scuola-IYA2009, www.astronomy2009.roma.it/IYA_PROVINCIA_
RM.pdf
[19] A. Altamore 2009,
www.treccani.it/Portale/sito/scuola/in_aula/fisica/astronomia/mainArea.html
[20] A. M. Sambuco e L. Giacobini 2009,
http://www.ifsiroma.inaf.it/ifsi/index.php?categoryid=87
[21]M. Di Sora 2009, “L’inquinamento luminoso”, Gremese
[22] R. Nesci e G. Cirimele 2009, astrowww.phys.uniroma1.it/monitor/index.php
[23] R. Nesci 2009,
”Monitoraggio della brillanza del cielo notturno a Roma e nel Lazio”, XLII
Congresso UAI, Padova 24-27 set 2009,
astrowww.phys.uniroma1.it/nesci/uai_padova09.ppt
[24] www.museodelbali.org/
[25] webusers.fis.uniroma3.it/~pls/iniziative/orientamento_camposcuola.htm
[26] www.sait.it/index.php
[27] www.arcetri.astro.it/cielidelmondo/
[28] http://lnx.liceoparini.org/home/page/8/Specola.html
[29] http://astro1.phys.uniroma1.it/nesci/tacor.html
[30] http://virtualtelescope.bellatrixobservatory.org/italia.html
[31] www.uai.it/web/guest/home
[32] http://ec.europa.eu/education/lifelong-learning-policy/doc58_en.htm
Osservatori, musei
nuove tecnologie e media
Giuseppe Marucci
Osservatori, musei
nuove tecnologie e media
Giuseppe Marucci
Ispettore tecnico MIUR - Roma

Osservazione e osservatori pre galileiani: l’osservatorio di Pechino


L’osservatorio di Pechino costituisce il più significativo esempio storico della
felice fusione fra scienza orientale e scienza occidentale. Nella seconda
metà del Seicento, l’opera di mediazione culturale dei padri gesuiti, in parti-
colare l’italiano Matteo Ricci coniugò mirabilmente gli strumenti propri della
eccezionale esperienza osservativa del danese Tycho Brahe (1546-1601)
e del polacco Johann Hoewel (1611-1687) con quelli documentati da alcu-
ni secoli all’interno della tradizione astronomica cinese. Oggigiorno, quasi
paradossalmente, gli astrolabi armillari, i quadranti e i sestanti dell’osser-
vatorio di Pechino, dovuti per la maggior parte all’opera di Ferdinand Ver-
biest (1623-1688), costituiscono una delle poche testimonianze materiali
dei grandi dispositivi usati nel tardo Rinascimento europeo per misurare le
posizioni degli astri.
L’eccezionale rarità e la peculiare genesi storica dell’osservatorio di Pe-
chino evidenziano come la conservazione e la valorizzazione della struttura
e del relativo contenuto dovrebbero costituire due passi importanti per la
Comunità europea e per la Cina.
Nell’ambito degli scambi economici e culturali fra Italia e Cina, appare un
compito primario dedicare attenzione all’osservatorio di Pechino, antico e
concreto simbolo di cooperazione internazionale.
Astronomia ieri e oggi - Osservatori, musei, nuove tecnologie e media 135

Ill sestante dell’osservatorio astronomico di Pechino.


Costruito nel 12° anno del regno di Kangxi della
dinastia Ming (1673 d.c.).
Fu il primo sestante usato nell’osservatorio dell’antica
Cina e fu progettato per misurare la distanza angolare
minore di 60 tra due stelle così come il diametro
angolare del Sole e della Luna.

Osservazione con strumenti: la Specola Vaticana


L’osservatorio Astronomico, o Specola Vaticana, è un istituto di ricerca
scientifica direttamente dipendente dalla Santa Sede.
La Specola Vaticana può essere considerata uno degli osservatori astro-
nomici più antichi del mondo. La sua origine infatti risale alla seconda metà
del secolo XVI, quando Papa Gregorio XIII fece erigere in Vaticano nel 1578
la torre dei Venti e vi invitò i gesuiti astronomi e matematici del Collegio
Romano a preparare la riforma del calendario promulgata poi nel 1582.
Questa antica tradizione raggiunse il suo apice nel secolo ventesimo con le
ricerche compiute presso il Collegio Romano dal famoso astronomo gesuita
p. Angelo Secchi, che per primo classificò le stelle in base ai loro spettri.
Agli inizi degli anni Trenta, del ’900 l’aumento delle luci elettriche che
aveva accompagnato la crescita urbana della città eterna aveva reso il cie-
lo di Roma così luminoso da rendere impossibile agli astronomi lo studio
delle stelle più deboli.
Pio XI dispose allora che
la Specola si trasferisse
nella sua residenza esti-
va a Castelgandolfo, sui
colli Albani a circa 35 km
a sud di Roma. Nel 1957
poi, con l’istallazione di
un telescopio a grande
campo di tipo Schmidt e
l’aggiunta di un moderno
centro di calcolo, si potè
Foto attività Specola Vaticana secolo scorso estendere la ricerca a
nuovi campi come lo sviluppo di nuove tecniche per la classificazione delle
stelle in base ai loro spettri: ricerca questa ancora in atto alla Specola.
A causa del dilatarsi continuo della città di Roma e dei suoi dintorni, il
cielo di Castelgandolfo si fece così luminoso da costringere ancora una vol-
ta gli astronomi ad andare altrove per le loro osservazioni. Perciò nel 1981,
per la prima volta nella sua storia, la Specola fondò un secondo centro di
ricerca, il “Vatican observatory research group” (VORG), a Tucson in Arizona.
Nel 1993 la Specola, in collaborazione con l’osservatorio Steward, ha por-
tato a termine la costruzione del Telescopio vaticano a tecnologia avanzata
(VATT), collocandolo sul monte Graham (Arizona), il migliore sito astronomi-
co del continente nordamericano. La Specola svolge questi programmi in
collaborazione con molti istituti astronomici di altri paesi, come Argentina,
Brasile, Canada, Cile, Finlandia, Italia, Lituania, Sud Africa e Stati Uniti ed è
membro della Unione astronomica internazionale (IAU) e del Centro interna-
zionale per l’astrofisica relativistica (ICRA). Nel 1987 la Specola Vaticana, in
collaborazione con il Centro per la teologia e le scienze naturali con sede a
Berkeley, California, ha dato inizio a una serie di seminari di studio in campo
interdisciplinare che interessa scienza, filosofia e teologia sul tema dell’azio-
ne divina in prospettiva scientifica.
A Castelgandolfo la Biblioteca, ricca di circa 22.000 volumi, possiede
una preziosa collezione di libri antichi tra cui opere di Copernico, Galileo,
Newton, Keplero, Brahe, Clavio, Secchi; accoglie anche una importante col-
lezione di meteoriti, preziose per le informazioni che ci possono dare sui
primordi del sistema solare. L’Osservatorio è finanziato annualmente dalla
Santa Sede.

Osservazioni con strumenti sofisticati: il monte Palomar USA


L’osservatorio del monte Palomar si trova a nord di San Diego, in California.
E’ uno dei più importanti centri mondiali di ricerca astronomica, di proprietà
del Caltech, California institute of technology: ente che ne cura anche la
gestione. Gli strumenti principali dell’osservatorio di monte Palomar sono:
il telescopio Hale da 200 pollici di diametro (5 m);
il telescopio Oschin da 48 pollici;
il telescopio Schmidt da 18 pollici;
il telescopio riflettore da 60 pollici (utilizzato in cooperazione tra il Cal-
tech e l’istituto Carnegie di Washington).
I telescopi del Palomar sono coinvolti in una vasta gamma di programmi di ricer-
ca astronomica. Gli studi condotti qui vanno dalla caccia di asteroidi vicini alla Terra
alla ricerca di galassie remote e quasar, scrutando i confini più remoti dell’universo.
Astronomia ieri e oggi - Osservatori, musei, nuove tecnologie e media 137

Osservatorio monte Palomar

Il telescopio da 5 metri di monte Palomar, chiamato telescopio Hale, il


più celebre al mondo, fu ideato e costruito da George Ellery Hale, che morì
10 anni prima del suo completamento.
Per lungo tempo il telescopio di monte Palomar fu il più grande telesco-
pio del mondo. Dal giorno della sua ideazione al suo completamento nel
1948 passarono 20 anni.
Il cuore del telescopio Hale, e il vero problema della realizzazione, è lo
specchio principale, costituito da un blocco di vetro rigido con la superficie
lavorata a paraboloide resa speculare da un sottilissimo strato di alluminio. Il
blocco doveva essere assolutamente esente da difetti, anche microscopici.
Solo nel 1934 si riuscì a ottenere un perfetto sbozzo circolare con foro
centrale subito messo a raffreddare in un forno speciale. la lavorazione della
superficie, impegnò l’officina ottica del California institute of technology per
ben 11 anni. Lo specchio finito pesava 14,5 tonnellate. Quando il telescopio
vide la prima luce, nel 1948, Hale era ormai morto da 10 anni. Il telescopio
Hale fu l’ultimo telescopio della sua specie: oggi la costruzione di uno spec-
chio di questo tipo avrebbe un costo insostenibile per qualunque Paese.
(vedi www.sapere.it)

Musei e Science Centres


La scienza e la formazione scientifica diffusa sono un bene pubblico, una
necessità in un paese moderno alla pari del complesso dei saperi e delle
attività intellettuali di un Paese. La conoscenza scientifica diffusa favorisce
lo sviluppo dello spirito critico, promuove la non accettazione di affermazioni
scontate, la messa in discussione di presupposti a priori, stimola l’ascolto
delle argomentazioni altrui.
Per tutti questi motivi i ritardi e le gravi lacune italiane nell’affermarsi
di una cultura scientifica e tecnologica diffusa devono essere rapidamente
superate.
Un punto particolarmente critico nell’insegnamento scientifico è la
scarsa importanza data alla sperimentalità e in particolare alla pratica di
laboratorio. Al riguardo numerose indagini, incluse quelle comparative inter-
nazionali, ne danno conferma e ne mostrano i dettagli. Non c’è dubbio che
la mancanza di una pratica sperimentale è uno dei fattori sia del deficit di
apprendimento sia dello scarso interesse verso la scienza.
Una condizione per garantire che l’approccio sperimentale si possa re-
almente affermare è che esistano e siano praticabili, dentro e fuori delle
scuole e delle università, spazi fisici, infrastrutture, tecnologie, attrezzature,
personale tecnico e organizzazione di supporto.
Una formazione efficace, non può non tenere in considerazione una cul-
tura di base nel settore scientifico e tecnologico.
Obiettivo, il miglioramento della:
• qualità e dell’organizzazione degli insegnamenti scientifico-tecnologici;
• professionalità degli insegnanti;
• cultura scientifico- tecnologica degli studenti.
L’educazione scientifica deve passare attraverso:
• la documentazione, cioè la possibilità di documentare esperienze in ambito
scientifico,
• la formazione in rete, anche attraverso Learning objects (LO);
• l’utilizzo di situazioni non formali quali musei, parchi naturali, attrezzature
museali presenti nelle scuole;
• l’uso di laboratori in remoto nei casi in cui le scuole non abbiano particolari
attrezzature o comunque vogliano mettere in comune con altre scuole attrez-
zature implementate in una scuola, o presso centri universitari;
• la collaborazione in rete a livello nazionale e internazionale, rispetto alla “co-
municazione della scienza” ed in particolare rispetto a “scienza e media”.
è importante promuovere, attraverso un insieme organico e diffuso di
iniziative internazionali, nazionali, regionali e locali, la partecipazione, il con-
senso, e il sostegno dei cittadini alla cultura, alla educazione, alle pratiche e
alle comunità della scienza e della tecnica.
Allargare l’area della responsabilità è possibile solo a patto di promuovere
una “cittadinanza scientifica”, che sia esprimibile in un insieme definito di dirit-
ti, di doveri e di responsabilità rispetto alla ricerca e in un sistema di istituzio-
ni che consentano di rendere tali diritti e doveri effettivamente “praticabili”.
Astronomia ieri e oggi - Osservatori, musei, nuove tecnologie e media 139

L’importanza dei musei e degli Science centres nella formazione


I tradizionali modi di trasmettere la cultura si stanno rivelando inefficaci e
dissonanti con le potenzialità cognitive e motivazionali della stragrande mag-
gioranza dei giovani. Il sistema scolastico evolve, infatti, molto lentamente,
e spesso ragazze e ragazzi sono scoraggiati e respinti da una “scienza a
scuola” che non riesce a coinvolgerli. Anche in Italia musei scientifici e science
centres, parchi naturalistici, acquari ecc. vedono incrementare il numero di
visitatori (per la maggior parte studenti). Queste istituzioni da anni sviluppano
programmi e attività educative per le scuole: si è così creata una infrastrut-
tura educativa, che, di fatto, offre sempre più un significativo supporto alla
didattica lavorando direttamente con gli studenti; realizzando programmi di
formazione per gli insegnanti; sviluppando materiali e tools didattici, spesso
curandone anche il trasferimento a scuola.
Per gli insegnanti diventa, quindi, importante imparare a valutare e valoriz-
zare le esperienze museali. Sulla valenza didattica dei musei e in particolare di
quelli interattivi esistono punti di vista diversi e spesso complementari.
Oppenheimer, in una fase di grande rinnovamento della didattica delle
scienze negli Stati Uniti, ha creato l’Exploratorium di S. Francisco, che ha poi
portato al PSSC. Per lui, l’exhibit permette di vedere/sentire in modo coinvol-
gente cosa accade quando facciamo variare una grandezza che interviene
in un fenomeno, e la ridondanza con cui sono presentati gli stessi concetti
in fenomeni diversi e/o correlati (si pensi alla risonanza, alla conservazione
dell’energia, ecc.) aiuta a comprendere. Per Gregory (il percettologo coinvolto
tra l’altro nell’ideazione dell’Exploratorium) l’hands-on è fondamentale ma oc-
corre nello stesso tempo capire come favorire il “passaggio” all’attività minds-
on e ciò richiede una progettazione mirata di exhibit e spazi. Per altri ancora
è soprattutto la possibilità di socializzare nelle aree espositive, di cooperare e
condividere significati il punto di forza delle esperienze nei musei interattivi.
Nella esperienza italiana (Napoli, Pesaro, Milano, Firenze…) l’apprendi-
mento nei contesti informali può essere favorito soprattutto perché il coin-
volgimento emotivo e il gioco possono aiutare a far emergere quelle abilità
che sono in noi innate e che spesso non sono riconosciute per difficoltà di
formalizzazione e di linguaggio.
In tutto il mondo responsabili e curatori dei musei cercano di capire
come stabilire un rapporto stabile con il sistema dell’educazione formale.
Città della Scienza di Napoli mira a superare la dimensione di museo in-
terattivo sia con una concezione più avanzata degli spazi e dei temi esposti
sia con una molteplicità di funzioni e di iniziative specificamente rivolte al
sistema scolastico. Il Planetario è in grado di ospitare fino a 75 spettatori.
La visita guidata (dall’insegnante o da una guida) prevede una parte generale
e approfondimenti, scelti dall’insegnante, in una delle sezioni.
Le dimostrazioni interattive e gli eventi coinvolgono sia intere classi che i
singoli visitatori e possono essere suddivise in due tipologie: le dimostrazio-
ni di fenomeni scientifici e le drammatizzazioni con animatori.
Dal 1992 circa settantamila studenti (dalla materna alla secondaria su-
periore) sono stati coinvolti in attività didattiche sperimentali progettate dalla
sezione didattica di Città della Scienza di Napoli. Diverse scuole frequentano
con assiduità il Museo e alcune decine di esse hanno realizzato laboratori
innovativi che si ispirano a quelli di Città della Scienza.
A livello mondiale Il progetto PENCIL (Permanent european resource cen-
tre for informal learning), sul rapporto tra educazione formale e informale e
la realizzazione di un centro risorse permanente in Europa in collaborazione
con: ECSITE (rete europea dei musei scientifici); quattordici musei europei,
European Schoolnet, INDIRE=ANSAS, Università degli Studi di Napoli Federi-
co II e King’s College di Londra (www.pencil.unina.it).
Nei curricoli scolastici non è presente l’astronomia come disciplina, ma
solo all’interno di scienze della terra o geografia astronomica. Si potrebbe
ipotizzare un percorso su “Terra e universo” sperimentato nel piano naziona-
le Insegnare scienze sperimentali (ISS):

1. Per l’astronomia e le scienze della terra non esiste a scuola una radicata
tradizione didattica: bisogna inventarsi strategie, contenuti, modalità di
lavoro
2. astronomia e scienze della terra, nella maggior parte dei casi, non esi-
stono come discipline, anzi si caratterizzano per la loro trasversalità e
possono interessare più ambiti disciplinari: questo è sembrato essere per
tutti i partecipanti un punto di forza.
3. Il laboratorio per l’astronomia e le scienze della terra parte essenzial-
mente dall’osservazione diretta dei fenomeni e non permette sempre una
riproduzione in laboratorio degli stessi.
Occorre non allontanarsi dagli obiettivi del piano ISS:
• Situazione laboratoriale
• Gioco ed esplorazione attiva
• Prospettiva verticale
• Lavoro didattico culturalmente creativo
• Insegnante come mediatore attivo
• Sceneggiatura emblematica di azione didattica validata in classe
• Sceneggiatura emblematica di cooperazione professionale
Astronomia ieri e oggi - Osservatori, musei, nuove tecnologie e media 141

Radiotelescopio

• Progettazione critica condivisa


• Percorso cognitivo
Il filo conduttore del percorso è risultato essere “il viaggio”, inteso come
esplorazione a partire dalla Terra, attraverso il sistema solare e oltre il si-
stema solare.

Nuove tecnologie e osservazione: telescopi a controllo remoto


scienza e tecnologia: Il raggiungimento di una adeguata comprensione
delle leggi matematiche, fisiche e chimiche che descrivono l’universo, per-
mettono lo sviluppo della creatività e della innovazione, abilità fortemente
necessarie per la crescente complessità della tecnologie e l’alto grado di
flessibilità richiesto in tutte le aree della conoscenza.
Per combinare in modo efficiente la tecnologia disponibile e gli alti costi
associati all’implementazione di un laboratorio, è stato messo a punto dal
MIUR il progetto “ Remote lab”, che sviluppa un sistema che permette a un
gran numero di studenti di utilizzare strumentazione, elementi e dispositivi
di un laboratorio reale in forma remota, superando le barriere economiche
e geografiche.

Remote lab
• Il progetto “Esperimenti in remoto” ha inizio nell’anno 2000 con un pro-
gramma “insegnamento di concetti di base delle scienze mediante azione
e monitoraggio remoto di applicazioni reali nel settore produttivo” per conti-
nuare parallelamente nell’anno 2002 con un programma simile ma rivolto ad
alunni della scuola superiore “Sistema di esperimenti remoti di fisica, chimica
e biologia per l’insegnamento nella scuola secondaria superiore” che ha por-
tato alla realizzazione di sistemi per esperimenti remoti.
• L’obiettivo principale del programma è stato di creare una piattaforma che
permette l’applicazione della tecnica dell’information technology all’educazio-
ne, permettendo parallelamente di generare soluzioni nell’automazione dei
processi reali utilizzati attraverso internet da qualsiasi parte del mondo, per
ottenere così un effettivo trasferimento al settore pubblico.
Gli esperimenti remoti nascono in virtù della situazione in cui versa la
didattica delle materie scientifiche, e la mancanza di risorse per l’implemen-
tazione di laboratori adeguati che permettano di accompagnare la teoria con
esperimenti pratici e reali.
A vantaggio di questa situazione va il fatto che l’uso dei sistemi multime-
diali è attualmente ben conosciuto. Questi sistemi operano con programmi
che favoriscono la comunicazione e l’interazione di diversi utenti. L’insegna-
mento e l’educazione non sono che un particolare ambito, per cui le loro
potenzialità sono enormi.
La necessità di un’educazione più efficace nei campi della scienza e della
tecnologia, e i vantaggi che le nuove tecnologie creano ogni giorno, danno
un’ idea dei motivi per i quali sperimentare con un laboratorio on line in forma
remota, risulta attraente e comodo: porta un grande guadagno di tempo de-
stinato alla sperimentazione e opportunità illimitate di interazione con l’espe-
rimento stesso.
Gli esperimenti remoti prevedono una serie di apparecchi ad alta tecnolo-
gia, contenuti e integrati in un unico sito virtuale, via internet, che permette la
conduzione e la supervisione degli stessi con accesso in tempo reale. Si può
attivare un processo da qualsiasi posto che abbia una connessione internet,
per cui la portata e l’impatto di questo progetto è non solo regionale e nazio-
nale ma mondiale. Mediante queste apparecchiature è possibile effettuare il
trattamento e l’analisi dei dati nelle diverse aree delle scienze come chimica,
fisica e biologia. Senza ostacoli, il sistema può essere applicato ad altre aree
della conoscenza come un qualsiasi campo produttivo che richiede il monito-
raggio ed il controllo automatico.
è importante notare che tutti i dati acquisiti dal sistema sono dati reali,
soggetti alle stesse cause di errore che ci sarebbero in un esperimento in
presenza in laboratorio; in nessun momento si lavora con dati simulati, poiché
l’hardware e il software permettono la supervisione di variabili proprie delle
apparecchiature o del processo e il controllo via internet attraverso una inter-
faccia remota caricata su un navigatore convenzionale.
Astronomia ieri e oggi - Osservatori, musei, nuove tecnologie e media 143

Materiale di sostegno
Il sito web degli esperimenti remoti comprende anche tutto il materiale didat-
tico necessario per realizzare con successo ciascuno degli esperimenti:
• Guida teorico sperimentale: la guida contiene una spiegazione chiara di
ciascuno dei concetti relativi all’uso dell’esperimento, oltre a esempi ed
esercizi sull’argomento.
• Istruzioni per l’uso: dato che l’uso del laboratorio per gli esperimenti remoti
richiede l’uso di un sito web; si dà agli alunni una guida per l’uso del sistema
•Guida concettuale: questo documento permette al docente di disporre
di una guida di supporto che contiene tutti i concetti teorici approfonditi
dell’esperimento.

Telescopio a controllo remoto (TACOR).


Nell’ambito del progetto Remote lab è stato presentato il telescopio a con-
trollo remoto TACOR.
Il telescopio didattico TACOR nasce per offrire agli studenti del corso
di laurea in Fisica e Astrofisica dell’Universita’ “La Sapienza” di Roma uno
strumento capace di compiere osservazioni astronomiche senza gli svan-
taggi logistici di una stazione remota. 
Collocato sul tetto del dipartimento
di Fisica (Edificio Fermi) in una casetta prefabbricata di dimensioni 2x3 m,
munita di tetto scorrevole azionato da un motore elettrico realizzato dalla
ditta Gambato. 
In collaborazione con l’Università di RomaTre il TACOR viene
utilizzato anche per svolgere attività di divulgazione e di diffusione della
cultura scientifica (legge n.6/2000) rivolta agli alunni delle scuole e alla
formazione degli insegnanti (progetto Astroscienze).
Ci si può collegare al pc di controllo del laboratorio via ethernet tramite
password col protocollo VNC (freeware disponibile sia per Linux che per
Windows). Il protocollo VNC, con password opportuna, permette anche di
controllare dal PC remoto sia l’acquisizione dei dati dalle camere CCD sia il
puntamento del telescopio e quindi di svolgere osservazioni astronomiche
“a distanza”.
Il controllo del telescopio con un hardware e software dedicato, rende
possibile un controllo totale della stazione da remoto via internet. é già
possibile l’apertura e chiusura del tetto tramite un programma ed una inter-
faccia hardware realizzati dal prof. Franco Meddi.
L’attività didattica principale del laboratorio è l’acquisizione di spettri
stellari sia con un Grism in fascio ottico convergente (bassa risoluzione) che
con lo spettrografo OMR-10C (media risoluzione), per introdurre gli studenti
alla acquisizione e successiva analisi di dati spettroscopici astronomici. 
Tut-
ti gli studenti del corso hanno la possibilità di puntare il telescopio e acqui-
sire alcuni spettri. 


Uso del web per l’educazione astronomica: la Rete di Eratostene


Tra le iniziative di maggior rilievo nel panorama nazionale, da segnalare la
Rete di Eratostene, di oltre 100 scuole promossa dal Ministero dell’Istru-
zione e attiva dalla II settimana dell’Astronomia del 2001. L’idea di utilizza-
re il metodo di Eratostene per misurare il meridiano terrestre, utilizzando
la velocità di comunicazione di Internet, è stata l’apripista di una interes-
sante sperimentazione didattica sull’astronomia in rete, che ha permesso
a docenti di tutta Italia di comunicare in tempo quasi reale, fissando ap-
puntamenti, scambiandosi informazioni, comunicando date e risultati delle
misurazioni.
Il sito della Rete di Eratostene nel corso di questi anni è stato un work
in progress che si è arricchito di proposte, schede didattiche, moduli di
calcolo on line, per attività didattiche in rete e non solo, cosicché i docenti
delle scuole interessate hanno potuto partecipare alle attività, scegliendo
autonomamente il grado di complessità con cui operare.
In generale l’utilizzo di internet per fini didattici ha avuto il merito di
abbattere le distanze geografiche, facendo sentire vicini studenti, docenti
e scuole di ogni parte d’Italia ed anche estere.
Per offrire una pluralità di strumenti che aiutino gli insegnanti nel loro
lavoro quotidiano, si è ritenuto importante affiancare a queste schede a
carattere molto operativo e con finalità didattiche immediatamente identifi-
cabili, i materiali pubblicati sul sito web della Rete di Eratostene e prodotti
prevalentemente in occasione delle settimane dell’Astronomia o raccolti
nel cd “Gli studenti fanno vedere le stelle” edito dal MPI nel 2002 (on line
sul sito del liceo “Russell” di Roma http://www.liceorussell.net/corbo/CD/
index.htm )

Media e astronomia: la serie di trasmissioni RAI Explora


ExploraScienceNow!
Nell’ottica dell’interdisciplinarità e della multimedialità si inseriscono le espe-
rienze e le opportunità didattiche più interessanti del panorama nazionale.
Tra queste, ExploraScienceNow!, una produzione Rai Educational realizza-
ta nell’ambito di un progetto in convenzione tra il Ministero dell’Istruzione
dell´Università e della Ricerca e la Rai Radio televisione italiana. Il program-
ma ha finalità ben precise.
Astronomia ieri e oggi - Osservatori, musei, nuove tecnologie e media 145

Obiettivi del programma:


• occasioni per migliorare la cultura scientifico-tecnologica degli studenti,
degli insegnanti e in generale dei cittadini,
• un esplicito supporto al lavoro dei docenti;
• un canale di comunicazione tra gli studenti e il mondo della ricerca a par-
tire proprio dai percorsi curriculari; informando sui progressi della ricerca,
dando voce e visibilità ai suoi protagonisti e coinvolgendo i giovani, offrendo
agli studenti un utile strumento per orientarsi nella scelta dell´università;
• creare un’offerta in funzione del life long learning per l’acquisizione di
competenze chiave in quest’area.
Il sito internet www.explora.rai.it amplia il raggio d’azione e di interatti-
vità dell’iniziativa, garantendo una finestra sempre aperta sul mondo della
scienza. In particolare, le pagine riservate alla didattica permettono di con-
sultare materiale di approfondimento sui temi affrontati nella trasmissione. I
contributi (testi, tabelle e audiovisivi) sono forniti dalle scuole, dal MIUR e da
altre fonti accreditate.
ExploraScienceNow! si rivolge, in particolare, a studenti e insegnanti
della scuola secondaria di primo e secondo grado. Il programma propone
stimoli e spunti di riflessione per chiarire ed approfondire - creando con-
testualmente motivazione allo studio - per agevolare un rinnovamento dei
curricoli scolastici in ambito scientifico e tecnologico e per incentivare le
lauree in discipline scientifiche. Si rivolge inoltre al pubblico televisivo inte-
ressato ai programmi di diffusione della cultura scientifica e tecnologica. Il
programma si rivolge sia a un pubblico italiano, sia agli italiani all’estero e
alle molte persone che comprendono la nostra lingua in Europa, nel bacino
del Mediterraneo e nel Medio Oriente, aree raggiunte dalla programmazione
di Rai Educational, diffusa dal satellite.
Riportiamo di seguito un elenco di alcuni moduli tematici disponibili
su ExploraScienceNow!

Astronomia
Informatica a scuola oggi
Matematica di base
Eccellenze
LIM
Clima
Energie
Mobilità
Geologia
Paleontologia
Scienze
Mondo mediterraneo
Alimentazione
Educazione sessuale
Laboratori di ricerca
L’attività
spaziale italiana
Enrico Saggese
L’attività spaziale italiana
Enrico Saggese
Presidente dell’asi (Agenzia Spaziale Italiana)

L’attività spaziale italiana ha radici profonde, tali che l’Italia può essere an-
noverata a ragione tra i paesi pionieri della conquista dello spazio. È questa
una inevitabile quanto fondamentale premessa per comprendere quanto sia
stato e sia importante per il nostro paese questo settore e quale mole di
attività dovrei qui descrivere per essere esaustivo del ruolo che il nostro
paese ha saputo costruirsi nel contesto internazionale. Per questo cercherò
di individuare dei temi da affrontare separatamente ma il cui insieme sappia,
mi auguro, fornire a voi che leggete, un quadro d’insieme che vi renda orgo-
gliosi di essere italiani.

Il nostro paese ha una leadership a livello mondiale nel settore dell’astro-


fisica, in particolare delle alte energie dell’universo. Le galassie, con le loro
pulsar e i loro buchi neri sono grandi acceleratori che mai l’uomo potrà
replicare sulla terra e che possono fornirci quelle risposte, ancora molte,
utili a comprendere l’universo e i suoi fenomeni. Su alcuni sono stati i nostri
scienziati ad alzare il velo di mistero che li avvolgeva, come i gamma ray
bursts, ma nostri strumenti, collocati su satelliti NASA o europei, oltre che
nazionali, operano per comprendere non solo come funziona, ma anche qua-
li sono i meccanismi dell’origine dell’universo, in un viaggio nel passato che
solo osservando il cosmo è possibile realizzare. Potrei citare molti satelliti e
altrettanti strumenti, ma finirei per fare una lunga e monotona lista. Uno stru-
mento però vorrei citarlo, non perché abbia già prodotto risultati, ma perché
li produrrà a cominciare dall’autunno del prossimo anno, quando sarà collo-
cato a bordo della Stazione spaziale internazionale alla ricerca della materia
oscura, che compone l’80% dell’universo e in particolare l’antimateria. AMS
(Alpha Magnetic Spectometer) è frutto di una grande collaborazione interna-
zionale in cui l’Italia svolge un ruolo importantissimo, e credo rappresenti la
Astronomia ieri e oggi - L’attività spaziale italiana 149

L’astronauta italiano Roberto Vittori

sintesi di quanto accennavo prima, che scienza e tecnologia sono due parti
della stessa cosa: la voglia di conoscenza che porta sapienza, e il sapere
produce evoluzione e beneficio per l’uomo.
Le tecnologie spaziali hanno, infatti, letteralmente trasformato la nostra
vita quotidiana nel corso degli ultimi decenni. Basta pensare alle teleco-
municazioni, dalla telefonia mobile alla televisione satellitare, oppure alla
meteorologia, che è arrivata a una grande accuratezza di previsioni proprio
grazie all’uso di satelliti. Ma gli esempi sono moltissimi. Le missioni spaziali
sono così complicate dal punto di vista tecnico che costringono i progettisti
a inventare soluzioni creative che poi si rivelano utili in molti altri campi. Basti
pensare alla miniaturizzazione dei componenti elettronici su cui si basano
tutte le moderne tecnologie informatiche, che è nata in ambito spaziale,
dove c’era la necessità di ridurre al massimo peso e dimensioni delle attrez-
zature senza rinunciare a potenza di calcolo. In futuro, sono forse le tecnolo-
gie di navigazione satellitare quelle che porteranno maggiori trasformazioni.
Il traffico aereo per esempio ne sarà rivoluzionato, il controllo via satellite de-
gli aerei eliminerà i buchi dell’attuale copertura radar, e consentirà persino
di utilizzare aerei senza pilota per il trasporto merci.

Il mio primo e più importante impegno, una volta nominato commissario


dell’Agenzia spaziale italiana, è stato il consiglio dell’Agenzia spaziale euro-
pea a livello ministeriale che si è svolto all’Aja in Olanda lo scorso novem-
bre. Un consiglio importante non solo perché molte le decisioni difficili da
prendere, soprattutto in un contesto economico non positivo come quello
creatosi a valle della profonda crisi economica che ha colpito il pianeta, ma
anche perché quelle decisioni ricadono per responsabilità nella loro realiz-
zazione sul nostro paese che ha assunto la presidenza triennale del council
ministeriale dell’ESA. È risaputo che gli accordi in seno all’ESA sono il frutto
di un negoziato complesso nel quale anche i paesi meno impegnati econo-
micamente hanno eguale peso nelle decisioni. Attribuire un ruolo leader a
uno Stato in un programma significa spesso concedere diplomaticamente
ruoli complementari ad altri, o ruoli rilevanti in altri programmi. Il succes-
so riportato dal vertice consiste nell’aver concesso a tutti i paesi membri
un certo grado di soddisfazione e per alcuni ruoli rilevanti nei programmi
dell’ESA. Per cui, se è vero che la Stazione spaziale ha come capofila la
Germania, è altresì vero che un programma importante e tutto nuovo come
EXOMARS finalizzato all’esplorazione robotica di Marte e dell’Universo, è
guidato dall’Italia. Se la Francia e la Germania hanno mantenuto un ruolo di
leader nei programmi Meteo-sat di terza generazione, è altrettanto vero che
si è data la possibilità a tutti e tre i paesi di distinguersi all’interno del GMES,
il programma relativo ai sistemi di osservazione di tipo radar della Terra,
del mare e dell’atmosfera, e in particolare l’Italia ha ottenuto la possibilità
di disporre dei dati in banda L, supplementari ai dati tutti italiani di COSMO
SkyMed. E infine la capacità e la correttezza del ministro Gelmini hanno fatto
in modo che si riuscisse a stemperare le tensioni e ad arrivare a un quadro
composito da 10 miliardi di euro di investimenti. Un fatto tutt’altro che scon-
tato alla vigilia, così come i risultati ottenuti.
Come ho detto l’Italia avrà un ruolo guida nell’esplorazione dello spazio,
attraverso il programma EXOMARS. È un progetto all’avanguardia nell’esplo-
razione robotica dei pianeti. Il contributo italiano è stato fondamentale per
l’avvio del programma. L’ASI ha deciso di contribuire con altri 31 milioni di
euro che si aggiungono ai 250 milioni già stanziati. Risorse che sono state
necessarie per raggiungere la soglia critica degli 850 milioni di euro. L’idea
è quella di portare un laboratorio mobile su Marte, di fare ricerche su cam-
pioni, di immettere i campioni raccolti all’interno dei sensori e di trasmettere
i dati a terra. L’Italia avrà il centro di controllo di questa missione. Controllerà
le traiettorie del laboratorio e i campioni da studiare. All’Altec di Torino c’è
già uno spazio di cui l’ASI è un importante azionista, con forti relazioni con i
centri di ricerca e la parte industriale della città.
Nell’ambito del programma GMES l’Italia ha ottenuto la disponibilità dei
dati del sistema che sono assolutamente complementari a quelli del sistema
di rilevamento nazionale COSMO SkyMed di osservazione della terra con
radar. I due progetti sono incentrati su caratteristiche di bande di frequenza
diverse che possono essere combinati insieme e che ci forniscono un siste-
ma di informazioni all’avanguardia nel mondo.
Questo per quanto riguarda l’Europa, ma il nostro paese ha molteplici
collaborazioni internazionali, da quelle di più vecchia data come Argentina
e Russia a quelle più recenti con Israele e Brasile o col Giappone con cui
stiamo sviluppando programmi in particolare nel settore dell’Osservazione
della Terra. Ovviamente il nostro principale interlocutore è l’agenzia spaziale
Astronomia ieri e oggi - L’attività spaziale italiana 151

Stazione Spaziale Internazionale

americana: appena recentemente abbiamo convenuto con la NASA l’oppor-


tunità di trasformare uno dei tre moduli che l’Italia ha fornito per la realizza-
zione della Stazione spaziale da elemento temporaneo che fa da spola tra
la Terra e lo spazio, in elemento stabile della stazione stessa. L’Italia diverrà
l’unico paese europeo ad avere un proprio modulo, concepito e realizzato
completamente nel nostro paese, come componente della ISS. Il modulo
europeo Columbus, anch’esso realizzato con un forte contributo italiano,
è frutto del contributo di diversi paesi europei. Ad esemplificazione per illu-
strare il nostro rapporto con la NASA sono il numero di opportunità di volo
per i nostri astronauti, che il primo astronauta europeo a mettere piede sulla
Stazione orbitante è stato un italiano, che nostri strumenti operano su Marte
sia a bordo di satelliti europei che americani, che con loro stiamo studiando
il sistema di Saturno, che molti strumenti italiani studiano le emissioni di
alte energie dell’universo su satelliti NASA, uno di questi dedicato a Fermi a
dimostrazione del ruolo del nostro paese.
L’Europa, come dicevo, ha confermato che la risposta alla crisi econo-
mica non può che essere investire nel futuro, nella ricerca spaziale o meno
che sia. Il dibattito sulla crisi, la necessità di far fronte a questo momento
di difficoltà ha spinto i paesi più avanzati ad impegnarsi in nuove strategie,
come la greentechnology come il G8 de l’Aquila ha sottolineato. Ma la gre-
entechnology non si autoproduce. Ha bisogno di investimenti, la ricerca ha
bisogno di investimenti. L’ottimizzazione delle risorse del pianeta, la sua
tutela, la gestione del cambiamento climatico, sono tutti aspetti che danno
all’umanità un’ipotesi di futuro migliore, ma questo non può esserci con uno
sforzo comune a livello mondiale che passi anche per un aumento delle ri-
sorse finanziarie. Ciò però non vuol dire non rendersi conto della situazione,
non comprendere che le risorse sono poche e devono bastare a tutto. Per
cui sono scelte complesse, dove è necessario aver ben presente le priorità.
Lo stesso presidente Obama si trova ora a dover prendere una importante
decisione a valle della relazione della commissione Augustine, molti degli
investimenti della passata amministrazione saranno resi vani forse se non
vi saranno integrazioni inizialmente non previste per un valore economico
di almeno tre miliardi di dollari. La decisione dell’amministrazione USA avrà
poi inevitabilmente una ricaduta sulle strategie politiche europee e quindi
italiane.
Vorrei ora concludere ricordando quali sono le prossime tappe dell’Agen-
zia Spaziale Italiana. Nel corso del prossimo anno verrà completata la co-
stellazione di satelliti COSMO-SkyMed per l’osservazione della Terra. Si
tratta del più grande programma spaziale mai realizzato dal nostro Paese,
un sistema di quattro satelliti radar in banda X che possono osservare la su-
perficie terrestre in ogni condizione meteo, tanto di notte quanto di giorno.
È un sistema che non ha eguali al mondo, e che ha già dimostrato la sua
importanza in occasione di eventi come il terremoto de L’Aquila, e prima
ancora quello in Cina o il ciclone in Birmania, quando le sue immagini hanno
consentito di stimare i danni e organizzare meglio i soccorsi. La messa in
orbita dei satelliti è iniziata nel 2007 e presto si completerà con il quarto
satellite. Nel frattempo stiamo già lavorando alla seconda generazione, cioè
ai satelliti ancora più potenti che dovranno sostituire quelli attuali a partire
circa dal 2015. Sempre in questo campo, stiamo lavorando alla creazio-
ne di un centro di eccellenza per l’interpretazione di immagini radar della
superficie terrestre con particolare priorità alla missione COSMO-SkyMed.
Questo centro sorgerà a Matera, dove l’ASI ha già da anni una base dedicata
all’osservazione della Terra. Curerà la formazione specialistica nel settore,
cooperando con Difesa, Università e Industria per lo sviluppo e la realizza-
zione di applicazioni di interesse comune. Un altro importante programma è
quello del lanciatore VEGA, un nuovo vettore che verrà utilizzato dall’Agenzia
spaziale europea per mettere in orbita satelliti di piccole e medie dimensio-
ni. È un progetto nato in Italia e di cui noi rimaniamo i principali finanziatori,
e alla fine del prossimo anno avverrà il primo lancio, dalla base di Kouoru in
Guyana Francese. Nel frattempo stiamo lavorando a due nuove missioni di
osservazione della terra, PRISMA e  MIOSAT, e il satellite di telecomunica-
zioni Athena-Fidus, che realizzeremo assieme al Ministero della Difesa. Tutte
e tre dovranno essere lanciate nel 2011. Sempre con la Difesa abbiamo si-
glato un accordo per la gestione e l’utilizzazione del nostro centro di Malindi
in Kenya, con l’obiettivo di rilanciare una base che ha visto gli albori dello
spazio italiano. Infine abbiamo iniziato a lavorare su un nuovo importante
progetto, che si chiamerà SIGMA. Sarà un nuovo satellite di telecomunica-
zioni nazionale (qualcosa che all’Italia ormai manca da decenni) che contia-
mo di realizzare con una innovativa forma di finanziamento, il Public private
Astronomia ieri e oggi - L’attività spaziale italiana 153

Pianeta Marte

partnerhsip, in cui collaborano settore pubblico e settore privato.


Molto del nostro vivere quotidiano deve alla conquista dello spazio, dalle
cose più banali, come i pannolini, a nuovi materiali, come il teflon o alcune
leghe di metallo, all’ecografia, piuttosto che la capacità di rigenerazione
dell’acqua, dell’aria o dei liquidi corporei, in una visione di conquista, ora e
ancora molto futuribile ma non impensabile, di altri pianeti del sistema sola-
re, primo fra tutti Marte. Molto della scienza e tecnologia che si è sviluppata
per conquistare lo spazio è ora utilizzata per servire l’umanità. A cominciare
dalle telecomunicazioni che hanno unito il globo terrestre, ai sistemi ottici
e radar che dapprima ci hanno permesso di scrutare il cosmo e ora ci
permettono di scrutare il nostro pianeta, comprendendolo meglio e quindi
permettendo all’umanità di preservarlo nell’utilizzo delle sue risorse, non già
più in maniera impropria e sconsiderata, ma in affinità e simbiosi.
Certo c’è ancora molto da capire, da scoprire. La Terra, che ancora
conosciamo poco, non è che un granello di sabbia dell’immensa spiaggia
che è l’universo. La materia oscura di cui è composto il 70% dell’universo ci
nasconde ancora i suoi misteri, ma passi in avanti sono stati fatti e molto ci
si attende dalle sonde e dai satelliti che gli scienziati di tutto il mondo, con-
giuntamente hanno realizzato. Il cosmo è ancora molto grande da esplorare,
ma l’uomo ha saputo costruire un proprio futuro ipotizzandosi altrove, non
solo nel proprio paese d’origine. Un futuro non prossimo, ci vorranno ancora
decenni, non già però fantascientifico ma ipotizzabile. E ogni tappa nella
conoscenza e nella conquista dello “spazio esterno” è molti passi avanti a
beneficio del genere umano sulla Terra.
Finito di stampare
nel mese di maggio 2011
con i tipi
graficheCMF - Foligno
per conto di
Quater edizioni - Foligno

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