Foligno 2011
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Immagine copertina: NASA images by Reto Stöckli, data from NASA and NOAA - http://earthobservatory.nasa.gov
In collaborazione con:
Introduzione
Prof. Giuseppe Marucci, ispettore tecnico Miur- Roma
“Attualità dell’astronomia e percorsi formativi” 5
Prof. Xiaochun Sun, docente di Storia della scienza, Chinese Academy of Science, Pechino
istituto di Storia di scienze della natura
“L’impatto del telescopio e delle scoperte di Galileo nell’astronomia cinese nei secoli XVII e XVIII” 59
Prof. Filippo Mignini, docente di Filosofia e direttore istituto Matteo Ricci, Università di Macerata
“La Cina di Matteo Ricci e l’astronomia tra Oriente e Occidente” 79
Prof. Aldo Altamore, docente di Fisica e Didattica dell’astronomia Università, Roma Tre
“Astronomia a scuola: prospettive per un insegnamento integrato delle scienze” 113
Premessa
A noi sembra ragionevole pensare che gli uomini si siano interessati al cielo
da sempre, e che il concetto stesso di storia sia nato con quella tensio-
ne intellettuale che é stata messa in moto quando qualcuno ha avvertita
l’esigenza di comprendere le dinamiche che venivano osservate nel mondo
naturale. Quando siamo passati dalla osservazione del firmamento a quella
della regolarità dei moti celesti é nato probabilmente lo stupore e da qui la
presa di coscienza del proprio essere e la consapevolezza che la condizione
umana é diversa da quella delle altre specie animali.
Certo, quando parliamo di storia dell’astronomia, il riferimento è più
concreto rispetto a questi temi generali. Tuttavia cercare di risalire ad una
data, ad un punto preciso dopo il quale si può considerare che siano nate
le scienze del cielo é un’altra cosa. Proprio perché pensiamo che l’istinto di
osservare il cielo è antico tanto quanto la comparsa del primo barlume di
consapevolezza nell’uomo preistorico, non possiamo neppure immaginare
che esista una traccia del momento in cui nasce l’astronomia, il momento,
cioè, nel quale é sorta l’esigenza di comprendere il motivo della regolarità
del cosmo attorno a noi.
Tutto sommato é una situazione concettualmente simile a quella nella
quale ci imbattiamo quando, alla fine di una conferenza sull’origine dell’uni-
verso, qualcuno chiede di conoscere “quando” é nato l’universo con il co-
rollario di cosa c’era “prima”. Con l’esperienza, abbiamo messo nel nostro
bagaglio una serie di risposte standard a domande come questa, per esem-
pio che il tempo non esiste “prima” dell’universo, ma la verità é che questo
momento di cesura fra prima e dopo semplicemente non esiste perché
la fisica dell’universo primitivo diventa intrinsecamente indeterminata. Allo
stesso modo la consapevolezza dell’uomo primitivo del proprio essere e
del mondo nel quale vive è un processo progressivo che non permette di
identificare alcun momento inziale.
Astronomia ieri e oggi - L’astronomia prima di Galileo 11
Le costellazioni
L’idea che esistano in cielo dei disegni che rappresentano le figure più dispa-
rate ci è talmente abituale che quando, alzando gli occhi verso il cielo, abbia-
mo difficoltà a identificare questi disegni, quasi ce ne facciamo una colpa e
pensiamo che è la nostra inesperienza che non ci permette di vederle.
Non é così. Per identificare le figure che vengono rappresentate nelle
costellazioni nel cielo, a parte le tre o quattro più visibili, ci vuole molta molta
fantasia. Il motivo per cui questi disegni nel cielo ci sono molto familiari non
é che sono ben evidenti in cielo, tutt’altro, ma è che sono antichissimi, molto
più antichi dei nomi latini e greci che essi portano. Ce lo dicono gli autori
antichi – Arato di Soli, per esempio, e Omero stesso che nomina l’Orsa e il
pastore Boote – che parlano delle costellazioni come se fossero ben note
ai loro lettori. Ma a chi é venuto in mente di intraprendere quel lavoro tanto
complicato di unire con linee immaginarie le stelle nel cielo e identificare
delle figure comprensibili ai più e perché?
Il motivo ce lo possiamo soltanto immaginare e ha sicuramente a che
fare con il fatto che il cielo che si osserva non solo cambia durante l’anno ma
cambia anche quando ci si sposta da un luogo all’altro (per osservare que-
sto secondo cambiamento bisogna spostarsi di alcune centinaia di chilome-
tri lungo un meridiano). Il cambiamento delle stelle nel cielo che osserva un
agricoltore è un fenomeno che gli torna sicuramente utile per riconoscere la
stagione per i raccolti e le semine, mentre quello che osserva un marinaio
gli è indispensabile per conoscere “dove” si trova. Sia per l’agricoltore che
per il marinaio, in ogni caso, è molto più facile e certamente più rassicurante
riconoscere la cintura del cacciatore dagli occhi celesti, Orione, seguito dal
suo fedele cane, Sirio, piuttosto che identificare un pugno di stelle allineate.
È anche più facile da ricordare che quelle cinque stelle che formano una W
nel cielo, di fatto rappresentano quella civetta della regina Cassiopea che
deve essere tenuta continuamente sotto stretto controllo da suo marito, il
re Cefeo che è disegnato da sei stelline lì vicine.
Che il motivo per inventare le costellazioni sia di questa natura ce lo con-
ferma il fatto che anche le civiltà più lontane fra di loro, come quella cinese,
quella indiana e perfino quella degli aborigeni sudafricani hanno immaginato
di vedere in cielo i disegni delle loro tradizioni, segno che le costellazioni
hanno a che fare con esigenze importanti della vita umana.
Assumiamo quindi che il motivo per inventare le costellazioni sia legato
alla agricoltura e alla navigazione e cerchiamo di rispondere alla domanda
fondamentale di chi ha inventato le costellazioni.
Noi nell’emisfero boreale vediamo che, a causa della rotazione terrestre,
il cielo compie una rotazione ogni 24 ore attorno al polo Nord celeste men-
tre gli abitanti dell’altro emisfero vedono il cielo che ruota attorno al polo
Sud celeste. Siccome la Terra compie anche una rivoluzione annuale attorno
al Sole (Scheda 1), un osservatore –poniamo– a una latitudine intermedia
dell’emisfero boreale, vedrà che ci sono stelle che restano nel cielo solo in
alcuni periodi e che altre restano in cielo tutte le notti dell’anno. Si può anche
immaginare che esistano stelle che restano sempre nascoste per questo
osservatore.
È da questa semplice osservazione che possiamo partire per rispondere
alla domanda che ci siamo posti. È evidente, infatti, che la porzione di cielo
che non osserviamo attorno al polo Sud dipende dalla nostra latitudine per
cui, se fossimo esattamente al polo Nord, non potremmo vedere neppure
una stella al di sotto dell’Equatore, mentre se ci trovassimo all’Equatore
vedremmo tutto il cielo che, ogni notte, sorge e tramonta. Questo concetto
era chiaro a un grande astronomo greco, Ipparco, il quale, confrontando nel
II secolo la posizione di alcune stelle con quella ricavata molto prima da un
altro astronomo greco, Eudosso, non riusciva a capacitarsi come quest’ulti-
mo potesse parlare di costellazioni che egli, pur vivendo negli stessi luoghi,
non vedeva e, al contrario, egli vedesse stelle brillanti che Eudosso, nel IV
secolo, non nominava. Da qui Ipparco arrivò all’unica spiegazione che gli
sembrava ragionevole, cioè che l’asse di rotazione della Terra si sposta con
un movimento che prende il nome di precessione degli equinozi. Ipparco
riuscì anche a calcolare che la velocità di questo spostamento era di circa
360° ogni 26.000 anni. Proviamo a riassumere: la zona di cielo che resta
nascosta alle osservazioni in una data epoca è un cerchio il quale si sposta
di circa 50 secondi d’arco ogni anno in modo tale da creare una forma curva
(in 26.000 anni il cerchio ritorna al punto iniziale), per cui dalla dimensione
dell’area senza costellazioni possiamo risalire alla latitudine del luogo dove
viveva il popolo che ha inventato le costellazioni ma, anche, dal centro del
cerchio dove mancano le costellazioni riusciamo a sapere quando quel po-
polo ha fatto questa invenzione. Il gioco si fa interessante e infatti molti
astronomi lo hanno giocato!
Per esempio, circa un secolo fa, un astronomo inglese, Andrew Clau-
de de la Cherois Crommelin, ha stabilito con discreta precisione che l’area
senza costellazioni é ampia circa 36° mentre un altro astronomo inglese,
Edward Walter Maunder, ha calcolato a ritroso la precessione degli equinozi
arrivando così alla conclusione che il popolo che ha disegnato per primo le
costellazioni viveva circa 36° a nord dell’equatore circa 4500 anni fa!
Ora: individuato il periodo della nascita delle costellazioni e la latitudine
dove vivevano gli inventori, rimane da individuare la paternità dell’invenzione.
Astronomia ieri e oggi - L’astronomia prima di Galileo 13
Costellazione di
Orione e sua rappre-
sentazione ad opera di
J. Hevelius
I Fenici?
I Fenici hanno due buoni motivi per entrare nel novero dei sospettati: in
promo luogo vivevano a 33°- 34° di latitudine, cioè più a nord degli egiziani,
e poi, essendo degli eccellenti navigatori avrebbero avuto un buon motivo
per rendere più facile l’osservazione del cielo al fine di orientarsi. Esistono
però motivi che ci inducono a non considerarli fra i sospettati più credibili.
In primo luogo la loro civiltà si sviluppa 1000 anni più tardi rispetto ai 4500
anni fa che la precessione degli equinozi sembra indicare. Certo non possia-
mo escludere che essi possano aver disegnato nella loro mente le immagini
del cielo ben prima che sviluppassero al massimo la loro civiltà e prima
che utilizzassero diffusamente la scrittura, ma in questo caso verrebbe a
mancare la motivazione per farlo perchè nel 2500 a.C. i fenici ancora non
Astronomia ieri e oggi - L’astronomia prima di Galileo 15
Ziggurat di Tallil
Chi resta?
Esaminiamo la civiltà degli Assiro-Babilonesi. Non c’è dubbio che come pe-
riodo storico ci siamo perché la civiltà babilonese fu dominante in medio
oriente per tutto il secondo e il primo millennio a.C. Il loro interesse per
l’astronomia è fuor di dubbio: utilizzavano infatti un calendario astronomico
molto avanzato basato sulle fasi della luna che, nel loro olimpo, era la dea
Ishtar. Moltissime sono le tavolette di creta, da loro utilizzate per scrivere,
nelle quali sono riportate mappe celesti e, in aggiunta, attualmente si ritiene
che la funzione più probabile delle zigurat, cioé di quelle torri che ancora
oggi si trovano in buon numero in quelle regioni, fosse quella di osservato-
ri astronomici utilizzati dai sacerdoti babilonesi. Non c’è dubbio infine che
questi popoli vivessero alla latitudine giusta, visto che l’attuale Bagdad si
trova a 34° Nord, per cui il principale indizio del quale disponiamo corri-
sponderebbe piuttosto bene. L’ultimo pezzo del puzzle che sembra andare
a posto è che il racconto del poema più antico del quale disponiamo, quello
di Arato del III secolo aC, che a sua volta si rifà a tradizioni molto precedenti,
sembra convergere, secondo lo studio dell’orientalista Robert Brown, verso
la conclusione che le costellazioni esistenti e che la zona di cielo priva di
costellazioni corrispandono alla configurazione del cielo che si osservava da
Babilonia attorno al 2084 a.C.
Abbiamo così identificato gli autori delle costellazioni nel cielo? Non è detto.
Quello che sappiamo con ragionevole certezza è dove e quando questi au-
1
A. E. Roy, 1983, l’Astronomia, n. 24
tori sono vissuti. Da questi due elementi siamo risaliti a tre possibili sospetti
(qualcuno aggiunge al gruppo la civiltà dei Minoici prima della sua distru-
zione ad opera della eruzione vulcanica del 1628 a.C. Siamo poi riusciti a
escludere un paio di possibili candidati con argomenti ragionevoli, mentre
un terzo resiste. Naturalmente non si tratta di una conclusione definitiva per-
ché, utilizzando il metodo scientifico, se emergesse anche una sola prova
contro la nostra ipotesi dovremmo rimetterci al lavoro e trovare un nuovo
indiziato che possa strappare agli Assiro Babilonesi il merito di permettere
a tante persone di uscire ogni mattina confortati dal loro oroscopo positivo
(ancorché generico quanto basta).
“Escluso l’impossibile, tutto ciò che resta, per quanto improbabile, è pur
sempre la verità” (Sherlock Holmes).
Il metodo
Quando si parla di astronomia bisogna avere sempre presente che i dati sui
quali possiamo contare sono pochi, i segnali deboli e spesso incerti. Questo
è vero soprattutto quando, come abbiamo visto nel caso delle costellazioni,
cerchiamo di ricostruire l’astronomia degli antichi. Un astronomo è un po’
come un archeologo che si imbatte in pochi reperti, spesso non connessi
immediatamente fra loro, e da questi deve ricostruire un quadro generale.
Anche quando si studiano epoche storiche più vicine, per esempio quelle
della astronomia dei Greci, ci si imbatte in difficoltà, per così dire, culturali.
I Greci antichi, infatti, generalmente non consideravano indispensabile fare
riferimento nei loro scritti ai modelli vigenti al momento: quando un astrono-
mo elaborava una nuova teoria, considerando superate quelle precedenti,
non si curava di descrivere le opinioni dei suoi predecessori. Il risultato di
questa indifferenza alla conservazione del “superato” e del “vecchio” é che
su molti argomenti ci è pervenuta una immagine molto parziale dei concetti
che avevano elaborato gli autori greci presocratici e di quanto avanzata
fosse la società greca anche dal punto di vista tecnologico2.
2
Per un esame complessivo dell’argomento, Lucio Russo, 1996, La rivoluzione dimenticata. Il
pensiero scientifico greco e la scienza moderna, ed. Feltrinelli, Milano.
Astronomia ieri e oggi - L’astronomia prima di Galileo 17
3
E. Lo Sardo, 2007, Il Cosmo degli Antichi, Donzelli ed.
Astronomia ieri e oggi - L’astronomia prima di Galileo 19
dove con D abbiamo indicato le distanze e con d i diametri della Luna e della
moneta.
Siccome si conoscono la distanza alla quale è necessario portare la
moneta per coprire la Luna e i diametri sia della moneta che della Luna, il
risultato è immediato. Questo metodo, tutto sommato, è un metodo basato
sull’eclisse della Luna da parte della moneta e Aristarco di Samo (circa 310-
230 a.C.), con un ragionamento basato sulla eclisse della Luna da parte
del Sole ottenne che la distanza della Luna dalla Terra è di circa 110 volte il
diametro della Luna stessa: un risultato di accuratezza sorprendente.
Sole
Luna
Terra
Il cielo aristotelico
Aristotele tratta della sua visione cosmologica nella sua opera Il cielo dove
riprende da Platone l’idea che il cosmo vicino alla Terra sia composto di quat-
tro elementi, terra, acqua, aria e fuoco. La Terra è posizionata al centro del
mondo e la materia della quale è costituita è un misto dei quattro elementi già
identificati da Platone. I corpi celesti, e tutto lo spazio che li separa dalla Terra,
sono costituiti da un quinto elemento, l’etere, che ha natura di incorruttibilità e
di perfezione. Le stelle rappresentano lo sfondo che racchiude l’universo.
L’etere, detto anche quintessenza, occupa tutto lo spazio esistente tra
i vari corpi e, poiché ad ogni elemento è associato un tipo di movimento, ai
corpi composti dell’elemento perfetto deve essere associato il movimento
4
E. Lo Sardo, 2007, Il Cosmo degli Antichi, Donzelli ed.
perfetto, cioè il movimento circolare che, come si sa, non ha un punto di
inizio né uno di fine. I pianeti e le stelle secondo Aristotele sono fissati su delle
sfere concentriche alla Terra le quali, ruotando, trascinano i pianeti che noi
osserviamo muoversi nel cielo. Le sfere sono costituite di cristallo purissimo,
per cui, essendo trasparenti, non possono essere viste dalla Terra. Vale la
pena di soffermarsi sull’artificio retorico insito nella proposizione nella quale
si afferma che i corpi celesti si muovono seguendo un percorso circolare.
In questo enunciato sembra che venga spiegato il motivo per cui i corpi ruo-
tano attorno alla Terra mentre la rotazione di fatto è il dato di partenza che
non trova, quindi, alcuna spiegazione nel ragionamento. Siccome, poi, i corpi
ruotano in virtù della loro natura perfetta, ne segue che la Terra deve trovarsi
al centro dell’Universo, così come appare dalle osservazioni (in effetti ci sareb-
bero anche altre osservazioni che non trovano spiegazione in questo modello
ma queste vengono probabilmente considerate alla stregua di dettagli che
non mettono in discussione il quadro generale). Infine, un cielo composto di
etere è per definizione privo di peso per cui vengono superate nel cosmo di
Aristotele le mitologie che richiedono la presenza di un Atlante che sostiene
il mondo.
La Terra, pur trovandosi nel centro dell’universo, è relegata nel mondo im-
perfetto che ha il suo confine all’interno dell’orbita della Luna. Questo mondo è
detto sublunare e, essendo largamente imperfetto, è dominato da movimenti
rettilinei e non circolari, come tutti noi sperimentiamo quotidianamente. La
differenza intrinseca fra il mondo sublunare e quello al di là della Luna contiene
il germe della inconoscibilità dell’Universo perché qualunque esperimento si
porti a termine sulla Terra, non potrà essere utile per capire il funzionamento
di un cosmo, sottoposto a regole diverse o, meglio, non sottoposto ad alcuna
regola.
I quattro elementi che si ritrovano sulla Terra si trovano disposti secondo
superfici sferiche che circondano la Terra. La successione delle sfere, de-
terminata dalla loro “pesantezza” è la seguente: al centro c’è l’elemento più
pesante, la terra, seguito all’esterno dalla sfera dell’acqua, da quella dell’aria
e da quella del fuoco. La distribuzione è verificabile direttamente partendo
dall’elemento “acqua”. Infatti facendo cadere l’elemento “terra” in una vaschet-
ta di acqua si osserva che la terra precipita in basso, segno che è l’elemento
più pesante dei due, mentre se si soffia dell’aria nell’acqua, si osserva che le
bollicine d’aria vanno verso l’alto, portando così a concludere che l’aria è più
leggera dell’acqua. Infine chiunque può seprimentare che l’elemento “fuoco” è
il più leggero di tutti perché tende a salire verso l’alto rispetto all’aria.
I movimenti che osserviamo nel mondo sublunare sono dovuti alla spinta
naturale che ogni elemento subisce per giungere alla propria sfera di compe-
tenza. Per i corpi compositi, come quasi tutti quelli che osserviamo, il movi-
mento avviene secondo la spinta dell’elemento dominante.
Astronomia ieri e oggi - L’astronomia prima di Galileo 25
Tolomeo
Il declino della civiltà greca
coincide con la nascita di
quella dei Romani, i quali però
non si concentrarono sui temi
speculativi e astratti dei quali
si erano occupati i pensato-
ri greci ma si dedicarono ai
temi giuridici per l’evidente
importanza del diritto nella
costruzione di uno stato soli-
do ed efficiente. Con l’avvento A. Cellarius, Scenographia systematis mundani ptole-
dell’impero romano, la civiltà maici, Amsterdam 1660
greca, perduto il potere politico ed economico, fatica a rinnovarsi attraverso
quegli scambi e quelle dinamiche politiche che l’avevano vista protagonista e
regredisce sino ad un immobilismo che durerà fino al II secolo dopo Cristo.
Questo spiega perché, dopo Aristotele, non osserviamo grandi innovazio-
ni nel campo della cosmologia ma non spiega il motivo per cui questo modello
di Universo venga accettato per tanti secoli.
Uno dei motivi è che la cosmologia aristotelica viene rielaborata da Clau-
dio Tolomeo, scienziato alessandrino del II d.C., il quale, basandosi sui modelli
di Eudosso (un astronomo contemporaneo di Aristotele, le cui opere erano
in gran parte andate perdute), arricchisce il sistema con una formulazione
matematica rigorosa e di grande valore. Nel prologo della sua opera più
importante, l’Almagesto, Tolomeo dichiara di applicare nelle sue indagini il
punto di vista del matematico e di essere convinto che utilizzando metodi
sperimentali, quindi fisici, la conoscenza umana si avvicini alla verità in misura
incomparabilmente inferiore. Ciononostante, quando due modelli gli appaiono
equipollenti nello spiegare un fenomeno osservato, e quando, sulla base di
applicazioni matematico-geometriche, sia ininfluente decidere quale di essi
convenga adottare, egli sceglie con convinzione quello che meglio si accorda
con il modello aristotelico e col senso comune. Grazie al grande impegno
nell’opera di sistematizzazione delle teorie degli astronomi che lo avevano
preceduto, e grazie ai contributi alla spiegazione dei moti degli astri, Tolomeo
è considerato l’artefice di quel sistema astronomico-cosmologico che da lui
prenderà il nome di “tolemaico”.
Sono diversi i problemi che il sistema aristotelico lascia aperti e che To-
lomeo affronta, alcune volte riprendendo le idee di Eudosso e proponendo in
altri casi soluzioni originali.
Il primo problema é il seguente: come fanno le sfere cristalline a ruotare
in maniera coordinata (ma non identica)? La risposta di Eudosso mostra la
complessità della questione. In primo luogo dobbiamo comprendere come
facciano i corpi celesti a muoversi: per le stelle fisse è facile immaginare che
esista una sfera che trascina tutte le stelle, ma per i pianeti la questione è più
complessa perché è necessario immaginare una sfera che spieghi il moto
diurno e almeno un’altra per il moto mensile. Queste semplici considerazioni
porterebbero a concludere che devono essere almeno 16 le sfere che ruo-
tano attorno alla Terra (2 per ognuno dei 7 pianeti e per le stelle fisse). La
risposta alla questione che stiamo esaminando potrebbe essere quindi che la
prima sfera, quella delle stelle fisse, si muove per un moto “naturale” impreci-
sato (nel senso che sono state avanzate ipotesi differenti sulla causa di questo
moto) e che le altre vengono trascinate dal moto della prima in quanto tutte le
sfere risultano collegate le une alle altre. Il punto è che i movimenti dei pianeti
sono differenti uno dall’altro, per cui é necessario immaginare un meccanismo
complesso che non solo trasmetta il movimento ma che eviti che il moto pecu-
liare delle sfere inferiori come quella della Luna, si ritrasmetta all’indietro su su
fino alle stelle fisse. Per evitare questo effetto, Eudosso introduce quindi delle
sfere controrotanti che siano in grado di annullare il movimento non voluto
all’indietro. Il numero delle sfere arriva così alla trentina.
Anche queste, tuttavia, non sono sufficienti a spiegare un movimento che
gli astronomi conoscono da secoli (già al tempo di Tolomeo) ma che in un
sistema geocentrico è difficile da schematizzare. Alcuni pianeti, infatti, sem-
brano cambiare direzione del loro moto durante l’anno il che, in un sistema
che si immagina costituito da movimenti e geometrie perfette é difficilmente
comprensibile. La seconda domanda alla quale dare risposta é quindi: come
fanno i pianeti a cambiare direzione del loro movimento? La risposta di To-
lomeo riprende l’ipotesi di Ipparco che aveva introdotto nuove sfere, quelle
degli epicicli (scheda 4). In conclusione, fra sfere rotanti, sfere controrotanti
e epicicli si arriva a un totale di 55 sfere, un sistema sicuramente complica-
to da comprendere ma che è anche bellissimo e rassicurante: prendendolo
alla lettera, si ha l’impressione di vivere all’interno di un grande orologio nel
quale ogni singolo movimento è assicurato da un meccanismo perfetto ap-
positamente costruito. Non fa meraviglia che questo modello, ideato da un
popolo laico come i Greci, sia stato adottato praticamente senza modifica-
zioni dall’occidente cristiano. In effetti fra gli studiosi è in piedi il dibattito
su cosa significasse per Tolomeo questo complesso meccanismo di sfere
rotanti. Secondo molti per l’astronomo alessandrino il sistema altro non è che
uno strumento matematico per calcolare i movimenti dei pianeti: le sfere di
cui abbiamo parlato non avrebbero per Tolomeo una esistenza fisica reale ma
sono semplicemente la maniera di visualizzare una procedura matematica che
non è ancora stata formalizzata. Scompaiono quindi in questa interpretazione
le critiche che a volte vengono avanzate al sistema tolemaico sulla contraddi-
zione di un deferente costituito da una sfera cristallina impenetrabile che però
viene periodicamente attraversata dal pianeta in movimento lungo l’epiciclo.
La contraddizione non esiste semplicemente perché il deferente non esiste.
Astronomia ieri e oggi - L’astronomia prima di Galileo 27
Resta un ultimo problema per il quale Tolomeo propone una soluzione origina-
le: come mai i pianeti a volte appaiono più vicini e a volte più lontani dalla Terra
e come mai sembrano muoversi di velocità differenti in periodi diversi?
La risposta a questo problema potrebbe essere trovata scegliendo degli
epicli opportuni ma si tratterebbe di una di quelle soluzioni ad hoc che gli
scienziati, sia quelli antichi che quelli moderni, vedono come il fumo negli
occhi perché sembrano risolvere il problema che ci si trova di fronte senza
che in effetti spieghino nulla.
Il filosofo Alessandrino sceglie una soluzione più elegante: se il moto
deve essere circolare perché il cerchio è la figura perfetta che si addice alla
materia eterea –ragiona Tolomeo– non è detto che che questo cerchio deb-
ba essere centrato sulla Terra, per cui propone un modello nel quale questa
é collocata in posizione decentrata rispetto alle orbite dei pianeti. Il risultato
che Tolomeo ottiene con questo modello (che, ricordiamo, è l’approssima-
zione migliore di una orbita ellittica che sia possibile fare mantenendo le
orbite circolari) è che i pianeti si trovano a volte più vicini e a volte più lontani
dalla Terra e inoltre, osservati dalla Terra, percorrono la loro orbita con ve-
locità angolari diverse. Questo introduce il concetto di equante (vedi scheda
5) cioè di un punto all’interno dell’orbita dei pianeti che non coincide con il
centro dell’orbita e che, rispetto a questo centro, è solitamente simmetri-
co alla posizione della Terra (non stupisca l’uso dell’avverbio “solitamente”
ma va tenuto presente che il sistema tolemaico è sopravvissuto per una
quindicina di secoli, durante i quali gli aggiustamenti e le interpretazioni del
sistema si sono succeduti in grande quantità).
Scheda 5: l’equante
Il problema che il concetto di equante si ripromette di risolvere è una con-
seguenza del fatto che le orbite dei pianeti attorno al Sole sono ellittiche
e che, in virtù delle leggi di Keplero, i pianeti percorrono le loro orbite a
velocità differente nei diversi punti dell’orbita.
L’equante è un punto all’interno dell’orbita del pianeta rispetto al quale
il movimento dell’epiciclo appare uniforme. È chiaro che un moto che
è uniforme rispetto a un punto risulta non uniforme rispetto a un altro,
per cui spostando opportunamente le distanze relative fra Terra e punto
dell’equante é possibile riprodurre le velocità (non uniformi) dei pianeti che
vengono osservate dalla Terra.
Il Medioevo
Alla fine dell’impero romano d’Occidente segue una decadenza profonda
della cultura occidentale. Le difficoltà della vita quotidiana portano ad abban-
donare le attività speculative della razionalità umana e a rivolgersi a modelli
religiosi e mistici che aiutino ad accettare l’idea della morte, una eventualità
continuamente presente in quell’epoca. Gli studi astronomici medievali sono
essenzialmente dei compendi a metà strada fra la descrizione del cosmo
e la relativa interpretazione favolistica, perdendo completamente il rigore
metodologico e razionale che aveva contraddistinto gli astronomi greci. Lo
studio dell’astronomia migra dalle accademie ai conventi, per cui le scienze
celesti vengono sempre più viste come ausiliari alle scienze dello spirito e
ai fondamenti delle Scritture. Si perde in occidente perfino la capacità di
leggere i classici in lingua greca per cui a poco a poco vengono dimenticati
i modelli cosmologici che abbiamo descritto. In un mondo nel quale la dif-
fusione della cultura scritta è affidata agli amanuensi che ricopiano opere a
loro volte copiate da un altro artigiano della penna, è necessaria che costoro
capiscano ciò che stanno copiando. Quando così non capita diventa inevita-
bile che nel nuovo testo vengano introdotti errori su errori che, moltiplicati in
ogni passaggio, rendono l’opera incomprensibile. Spesso, poi, la copia non
viene effettuata neppure da una copia dell’originale, bensì semplicemente
dagli appunti che uno studente ha preso durante una lezione.
Di questa natura sono le opere che circolano nel Medioevo e probabil-
mente oggigiorno avremmo una idea molto vaga della concezione astrono-
mica del mondo antico se non ci fossero stati gli studiosi arabi che furono in
Astronomia ieri e oggi - L’astronomia prima di Galileo 29
del Primo Mobile al quale viene attribuita l’utile caratteristica di essere latti-
ginosa e non trasparente, al contrario delle altre sfere, ma, poiché la Bibbia
non parla di questo problema egli, laicamente, conclude che ognuno é libero
di credere quello che vuole. Questo vale anche per la “forma” dell’Empireo,
cioè se sia convesso (come tutte le altre sfere) o concavo (che certamente
rende più stabile la posizione fisica delle anime beate...).
Tommaso si rende perfettamente conto che localizzare il Paradiso con
troppa precisione crea un problema del quale molti suoi epigoni nei secoli
successivi sembrano non rendersi conto. Se si afferma con eccessiva insi-
stenza che l’Empireo si trova al di là della sfera delle stelle fisse, sorge il
problema di comprendere come facciano le anime dei santi a raggiungerlo
attraversando una quantità di sfere cristalline.
Dettagli, dettagli…
Paolo Galluzzi
Docente di Storia della scienza Università di Firenze
Direttore istituto e museo di Storia della scienza di Firenze
Uno dei lavori più penetranti dell’intera storiografia galileiana, gli ormai
attempati Studi Galileiani di Alexander Koyré, pubblicati per la prima volta tra
il 1935 e il 1939, avevano invero proposto una lettura diversa della relazione
tra meccanica e cosmologia lungo l’intero arco della biografia intellettuale di
Galileo. Il grande storico della scienza intuì per primo che le innovative ricer-
che galileiane sul movimento avevano svolto una funzione essenziale nel suo
impegno per confermare la verità del sistema eliocentrico. Koyré mise infatti
in luce l’uso intelligente che Galileo fece della nuova concettualizzazione del
movimento (relatività, conservazione, composizione, inerzia circolare, ecc.)
per sostenere le ragioni di Copernico (1473-1543) e, soprattutto, per demo-
lire le obbiezioni (tutte fondate sull’incompatibilità dei moti della Terra con la
concezione aristotelica del movimento) che erano state sollevate contro il
sistema eliocentrico, accreditando l’idea dell’assurdità di tale concezione e
delle ridicole pretese dei suoi sostenitori. Di conseguenza, il sistema coper-
nicano poteva essere ammesso come ipotesi utile per semplificare i calcoli,
mentre andava risolutamente respinta la pretesa del suo autore di affermar-
ne la verità fisica. Lo straordinario contributo di Koyré alla comprensione
del progetto galileiano (fondare la riforma della cosmologia sulla radicale
trasformazione della concezione del movimento) dipendeva soprattutto dal-
la sua penetrante lettura del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
(Firenze 1632). Dato che la convergenza tra meccanica e cosmologia era
attestata da un’opera tarda, rimaneva possibile tuttavia circoscriverla alla
fase finale della sua esperienza intellettuale mantenendo la tradizionale in-
terpretazione di un uomo dal doppio volto: il geniale studioso del movimento
e il copernicano convinto che avrebbero convissuto in totale estraneità per
quasi tutta la vita. Lo stesso Galileo – seppur per ragioni di forza maggiore –
contribuì all’accreditamento di questa netta giustapposizione. La condanna
comminatagli dalla Chiesa nel 1633 mise infatti una violenta sordina alla
in base ai principi della fisica aristotelica, i moti attribuiti alla Terra da Co-
pernico avrebbero dovuto produrre conseguenze devastanti sulla superficie
del nostro pianeta. Dato che queste conseguenze non si verificavano, la
concezione eliocentrica era priva di fondamento.
La nuova prospettiva storiografica permette di attribuire più preciso si-
gnificato alle esplicite dichiarazioni di adesione al copernicanesimo espres-
se da Galileo fin dal 1597 nella lettera al suo vecchio maestro pisano Iacopo
Mazzoni (1548-1598) e, soprattutto, nella risposta inviata a Johannes Ke-
pler (1571-1630) per ringraziarlo dell’invio di una copia del suo Mysterium
Cosmographicum (Tubinga 1596). Galileo vi informava il collega tedesco
che l’ipotesi copernicana gli consentiva di fornire spiegazioni convincenti
di fenomeni naturali fino ad allora rimasti inesplicati. Lo scienziato pisano
faceva con ogni probabilità riferimento alle maree, che più avanti negli anni
(nella lettera al Cardinal Orsini del gennaio 1616, che circolò manoscritta, e
infine nella Giornata Quarta del Dialogo del 1632) avrebbe interpretato come
effetto della combinazione dei moti diurno e annuo della Terra.
L’insieme delle evidenze sul fortissimo collegamento, fin dagli esordi
delle ricerche di Galileo, tra meccanica e cosmologia aiuta a capire perché
egli avvertì per primo il bisogno di puntare il cannocchiale verso il cielo,
alla ricerca non solo di novità inaudite, ma anche di evidenze che offrissero
conferme probanti alle proprie convinzioni copernicane. Per Galileo guarda-
re il cielo attraverso le lenti del cannocchiale significava anzitutto verificare
il fondamento del suo tentativo di spiegare i moti dei corpi celesti con gli
stessi principi che governano il movimento dei corpi sulla superficie della
Terra. L’ipotesi di lavoro di Galileo si fondava infatti sul presupposto es-
senziale dell’omogeneità dell’universo. E imponeva di dimostrare l’assurdità
della netta separazione operata da Aristotele tra mondo elementare (quello
terrestre), sottoposto al cambiamento, e mondo celeste, regno dell’assoluta
perfezione, animato esclusivamente da moti a velocità costante lungo orbite
circolari. Le scoperte del volto irregolare della Luna, della presenza di mac-
chie sulla superficie del Sole e di satelliti che orbitano attorno a Giove contri-
buirono a rafforzare in Galileo la convinzione che i corpi celesti non fossero
fisicamente diversi dalla Terra, incrementando la sua fiducia nella possibilità
di estendere alla dinamica dei cieli i principi della nuova scienza matematica
del movimento dei corpi gravi sulla Terra che veniva elaborando.
Sarà questa l’operazione che Galileo tenterà nel Dialogo sopra i due
massimi sistemi del mondo, pur con i mascheramenti e le cautele impostegli
dalle minacciose ammonizioni ricevute dalle autorità ecclesiastiche a conclu-
sione del cosiddetto “primo processo” del 1616. Mette conto ricordare che,
se non si fosse scontrato con l’opposizione irremovibile dei censori eccle-
siastici, Galileo avrebbe assegnato al suo capolavoro un titolo diverso – Del
flusso e reflusso del mare – capace di esprimere assai più efficacemente il
reale obbiettivo perseguito: fondare la verità dell’ipotesi copernicana sulla
radicale riforma della concezione aristotelica del movimento. Nel Dialogo
Galileo non prospettava un nuovo sistema del mondo, limitandosi a ripropor-
re tal quale quello concepito da Copernico. Ma forniva strumenti concettuali
essenziali per mostrarne la ragionevolezza e sbarazzare il campo dalle ob-
biezioni che ne avevano fino ad allora impedito l’affermazione.
Per una di quelle singolari coincidenze che ricorrono spesso nella storia
dello sviluppo delle conoscenze umane, negli stessi mesi del 1609 nei quali
Galileo cominciava a scrutare il cielo con il cannocchiale, in Germania ve-
deva la luce l’opera capitale di un suo illustre collega, Johannes Kepler, col
quale i rapporti si erano interrotti dopo il breve scambio epistolare del 1597.
Kepler non era più il giovane matematico, sconosciuto ai più, che aveva in-
viato al collega di Padova il suo primo libro sperando di avviare una proficua
collaborazione in nome del comune orientamento copernicano. Subentrato
a Tycho Brahe nel prestigioso incarico di Matematico Imperiale, già autore
di opere matematiche e di ottica di grandissimo pregio, Kepler godeva nel
1609 di notevolissima reputazione anche come astronomo. Il titolo della sua
nuova pubblicazione ne esprimeva eloquentemente il programma innovati-
vo: Astronomia Nova, seu Physica Coelestis (Praga 1609). Era soprattutto
il sottotitolo a chiarire in cosa consistesse la novità: il mondo celeste era
indagato facendo ricorso a principi fisici e i moti planetari venivano spiegati
con le stesse leggi impiegate per dar conto del movimento dei corpi sulla
superficie terrestre. Definire la “nuova” astronomia come una “fisica dei cie-
li” rappresentava una svolta rivoluzionaria. Significava manifestare la piena
convinzione dell’omogeneità strutturale dell’universo, prendendo così ine-
quivocabilmente le distanze dalla contrapposizione netta tra Terra e mondo
celeste sostenuta dalla filosofia naturale tradizionale.
È stato detto giustamente che col libro di Kepler le forze fanno per la
prima volta il loro ingresso nell’astronomia. La rottura degli orbi solidi della
sfera celeste imposta dal sistema di Tycho Brahe – che lasciò in eredità
a Kepler l’immenso tesoro dei dati astronomici accumulati in venti anni di
ricerche con l’impiego di strumenti di osservazione e misura di precisione
inaudita e l’evidenza che egli fornì del percorso sopralunare delle comete,
obbligavano ad accettare l’ipotesi dei cieli fluidi. Venendo a mancare il so-
stegno degli orbi solidi, diventava necessario spiegare cosa costringesse
i pianeti a muoversi stabilmente lungo le rispettive orbite. Se Galileo aveva
spiegato la stabilità dei moti planetari con il principio dell’“inerzia circolare”
(della tendenza naturale cioè di tutti i corpi che si muovono in circolo con ve-
locità uniforme a mantenersi in tale stato), Kepler si propose di individuarne
la causa fisica. Come scriverà a Longomontano (1562-1642), che era stato
il principale assistente di Tycho, egli intendeva rompere definitivamente la
barriera che aveva fino ad allora separato la fisica dall’astronomia: “entram-
be le scienze sono così strettamente legate che nessuna delle due può
raggiungere la perfezione senza l’altra”.
Astronomia ieri e oggi - Da Galileo a Newton 47
applicato alla Terra non dà i risultati sperati: lo scarto con i dati osservativi
resta troppo elevato. Kepler si convince progressivamente che il pianeta
rosso non si muove lungo un’orbita circolare, ma incontra grandi difficoltà a
stabilirne la vera natura. Numerosi capitoli dell’Astronomia nova ci illustrano
i suoi tormenti alla ricerca di una quadratura tra teoria e dati, testimoniando
l’impressionante lavoro di calcolo al quale Keplero si assoggetta per rag-
giungerla. La profonda convinzione che l’armonia che governa l’universo sia
intrinsecamente matematica lo spinge a cercare una curva alternativa alla
circonferenza, ma anch’essa regolare. Finalmente i suoi sforzi sovrumani
vengono ripagati: le orbite dei pianeti sono ellittiche e il Sole ne occupa
uno dei due fuochi (la cosiddetta “prima legge”, anche se scoperta dopo la
“seconda”). Kepler verifica che la “legge delle aree” (la “prima legge”) resta
valida anche nel caso di orbite ellittiche. Il secondo fondamentale paradigma
dell’astronomia tradizionale – quello che assegnava ai moti celesti orbite
perfettamente circolari – accettato anche da Copernico e da Galileo, veniva
così demolito. L’entusiasmo di Kepler è alle stelle. Come scriverà nella dedi-
ca dell’Astronomia nova al suo patrono, l’imperatore Rodolfo II (1552-1612),
la dura battaglia ingaggiata con Marte si era conclusa con la resa senza
condizioni del bellicoso avversario:
perficie sulla quale si esercita, ciò spiega perché i corpi più grandi risultino
più pesanti.
Pubblicata per la prima volta a Parigi nel 1664 dopo la morte di Cartesio
(1650), la “favola” del Mondo rimase sconosciuta ai contemporanei. Ma
la sua singolare interpretazione della struttura dell’universo e delle leggi
del movimento che lo hanno generato e lo governano vennero divulgate,
con arricchimenti e precisazioni, nei Principia philosophiae, pubblicati ad
Amsterdam nel 1644. I Principia erano concepiti come un manuale di filoso-
fia naturale che, secondo le speranze dell’autore, avrebbe contribuito alla
diffusione delle sue idee nelle scuole sottraendole al monopolio dei Gesuiti.
A tal fine, aveva articolato la trattazione in fitte sequenze di brevi paragrafi,
evitando sistematicamente il ricorso alle dimostrazioni matematiche. Se le
aspettative di Cartesio sul successo dei Principia come manuale d’insegna-
mento andarono deluse, la sua fisica dei vortici – proprio a ragione della sua
radicale impostazione meccanicistica – esercitò un’influenza molto forte sui
ricercatori impegnati in tutta Europa a disegnare una filosofia della natura
interamente nuova nella quale l’interpretazione razionale della struttura e
delle dinamiche del cosmo rappresentava un capitolo fondamentale.
Gassendi (1592-1655) in Francia (che meglio di tutti comprese la novità
dell’alleanza galileiana tra meccanica e cosmologia), Huygens (1629-1695)
in Olanda, Hooke (1635-1702) in Inghilterra furono influenzati in varia misura
dalla fisica cartesiana. Numerosissimi altri geniali innovatori guardarono al
blocco di sapere organico (matematica, medicina, metafisica, logica, fisica
e religione) del sistema cartesiano come a un riferimento essenziale col
quale fare i conti.
Osteggiato dai Gesuiti (che Cartesio si era illuso a lungo di riuscire a
portare dalla sua parte), dalle gerarchie cattoliche (l’espulsione di Dio dal
mondo, la concezione dell’universo e dell’uomo come macchine, il sostan-
ziale atomismo, seppur senza il vuoto, e la negazione dei miracoli lo rende-
“qualità occulte” della filosofia naturale aristotelica che Cartesio aveva defi-
nitivamente bandito.
Così, per un paradosso della storia, colui che aveva elaborato un siste-
ma, capace di fornire una ricostruzione razionale trasparente della struttura
e del funzionamento dell’universo fondandosi sulla matematica e sull’esperi-
mento, appariva ai seguaci di sistemi – come quello cartesiano – struttural-
mente dipendenti da presupposti metafisici e fondati su ipotesi ardimentose,
come il minacwwcioso restauratore dell’antico modo di filosofare.
Se le polemiche tra cartesiani e newtoniani, tra meccanicisti risoluti e
sostenitori della “filosofia sperimentale” continuarono a svilupparsi vivacis-
sime per tutto il corso del Settecento, ormai la concezione del Dio perfetto
orologiaio e l’immagine dell’universo come una macchina si erano universal-
mente affermate nell’immaginario collettivo. Ne forniscono una prova elo-
quente la concezione, all’inizio del Settecento e la larga produzione in tutta
Europa per tutto il resto del secolo, di quelle raffinate e complessissime
rappresentazioni meccaniche della struttura e dei moti dell’universo, che
dal nome di Charles Boyle, conte di Orrery, promotore del primo esemplare
costruito nel 1722 da John Rowley, presero il nome di orreries: congegni di
suggestiva bellezza, utilizzati per divulgare anche tra i non addetti ai lavori la
nuova immagine dell’universo-macchina, frutto della straordinaria rivoluzione
intellettuale prodottasi in meno di un secolo.
1
Per un dettegliato resoconto della riforma del calendario Chongzhen, vedi Keizo Hashimoto,
Hsü Kuang—Ch’I and Astronomical Reform. Osaka:Kansai University Press, 1988.
2
Nathan Sivin. Copernicus in China. Ristampato in Science in Ancient China: Researches and
Reflections. Collected Studies Series. Aldershot, England: Variorum 1995.
3
Xi Zezong. La scoperta del satellite di Jupiter da Ge De 2000 anni prima di Galileo. Chinese
Astronomy and Astrophysics, 1981.2, pp.242-243.
apprensione. E al tempo stesso, era dato come assodato, prevedibile, dagli
ufficiali di corte come dagli astronomi che dal cielo giungessero dei segnali:
che qualche fenonemo straordinario potesse accadere. In questa ottica, i
cinesi accettarono le scoperte galileane asetticamente, senza interpretarle
come una sfida alla filosofia cinese tradizionale.
Le osservazioni telescopiche spinsero alcuni intellettuali cinesi a nuove
considerazioni sulle questioni cosmologiche, anche se solamente all’interno
della struttura cosmologica cinese tradizionale, essenzialmente pluralistica
ed eclettica. Ad esempio, Fang Yizhi (1611 - 1671) usando il tele-
scopio per osservare la galassia, si rifece al pensiero antico di Zhang Heng
(78 A.D. – 139 A.D.) secondo cui le stelle erano di essenza acquosa.
Altri, per alcuni fenomeni specifici si riallacciarono alla tradizione cinese nel
tentativo di “ravvedere l’origine cinese delle conoscenze occidentali”. Per
tutti, il telescopio era solo un aiuto all’osservazione ad occhio nudo. Non una
minaccia al dogma, al potere, al complesso di concezioni legittime in vigore.
E per questo motivo, la conoscenza occidentale era considerata soltanto un
progresso degli studi, la cui origine probabilmente poteva anche essere sta-
ta cinese. Questa dichiarazione potrebbe sembrare strana agli occhi di un
ricercatore moderno: ma ha permesso di superare la barriera psicologica,
e di accettare le conoscenze occidentali.
L’astronomia era una scienza che il governo riservava solo ed esclusiva-
mente ad un suo studio privato, ad un suo esclusivo utilizzo. I più importanti
telescopi erano stati portati in Cina, ma rimanevano chiusi nel magazzino
imperiale, o presentati ai nobili come oggetto di curiosità. Come in Europa,
tuttavia, il telescopio era utilizzato anche a scopi militari.
4
Xu Guangqi. Xu Guanqi ji (Collected Writings by Xu Guangqi). Edited by Wang Chongmin.
Shanghai: Guji Chubanshe, 1981, p.325.
5
Ibid., p.355.
proiettando l’immagine del sole tramite un telescopio, su un telo di seta, ciò
divenne molto facile. Questo metodo già era stato spiegato da Adam Schall
von Bell nel suo “Sul Telescopio” nel 1626. Utilizzando il telescopio per
osservare le eclissi solari, Xu Guangqi ottenne dati più precisi e il risultato
poteva essere verificato; quindi, non c’era dubbio che il metodo occidentale
fosse superiore.
Nel 1631, in una memoria riguardo l’imminente eclissi solare del 25
ottobre, Xu Guangqi spiegò all’imperatore il vantaggio di usare il telescopio
per osservare l’eclisse solare:
“Precedentemente, [a occhio nudo], erano visibili solo eclissi solari mag-
giori di un decimo di magnitudo … A causa della luce abbagliante del Sole,
solo le eclissi di 4 o 5 decimi di magnitudo potevano essere attendibili e
comparate con quelle previste. Di solito, la magnitudo osservata è inferiore
a quella calcolata. Se la magnitudo è minore di un decimo, l’eclisse solare
non si vede. Se la magnitudo è poco più di un decimo, l’eclisse solare si
vede comunque meno di quella di due decimi. Se la magnitudo osservata
è inferiore a quella reale, l’inizio dell’eclissi osservata può esser in ritardo
rispetto a quello reale.
Usando il telescopio in una stanza scura, possiamo vedere chiaramente
l’immagine del Sole. In questo modo, possiamo determinare la magnitudo
e il tempo d’inizio dell’eclisse. Ciò può esser visto da tutti i funzionari e gli
studiosi, senza equivoci.
Se osserviamo a occhio nudo anziché con il telescopio, la luce solare ac-
cecante potrebbe rendere le osservazioni non effettuabili realmente. Alcuni
potrebbero utilizzare una vasca d’acqua per fare le osservazioni. Ma, poiché
la superficie dell’acqua non è statica, soltanto le eclissi di almeno un decimo
di magnitudo possono esser osservate. Ciò equivaleva a circa tre quarti
d’ora.6 In quel giorno, Xu Guangqi ed i suoi assistenti “osservarono l’eclisse
solare nell’ufficio dell’Astronomia. Due telescopi erano stati installati, l’uno
sul tetto, l’altro all’interno. Tutti e due misurarono la magnitudo dell’eclisse,
1.5 fen. E la misurazione effettuata corrispose esattamente a quella della
previsione effettuata utilizzando il metodo occidentale”7 .
L’uso del telescopio migliorò sostanzialmente la precisione delle misure
delle eclissi solari. Il miglioramento delle osservazioni delle eclissi lunari non
fu altrettanto notevole di quello delle eclissi solari, anche perché le lunari
potevano essere osservate a occhio nudo senza alcun effetto abbagliante.
Testimonianze riferite alle eclissi solari della tarda Dinastia Ming dimostra-
no che la precisione delle osservazioni aumentò considerevolmente dopo
il 1610. Prima dell’uso del telescopio, la precisione delle osservazioni era
6
Ibid, pp. 392-393
7
Xu Guangqi et al. Xinfa suanshu, p. 26.
Astronomia ieri e oggi - L’impatto del telescopio e delle scoperte di Galileo nell’astronomia cinese 67
instabile. Gli errori orari erano in media 15 minuti ed a volte deviavano anche
di 47 minuti. Dopo il 1610, gli errori erano ridotti a 10 minuti8. Presumibil-
mente ciò era dovuto al risultato delle osservazioni telescopiche.
Con questi risultati, ottenuti grazie alle osservazioni telescopiche delle
eclissi solari, Xu Guangqi finalmente persuase l’imperatore ad optare per
l’impiego del metodo occidentale nella riforma del calendario.
Per Xu Guangi, il metodo occidentale non doveva limitarsi alla realizzazio-
ne del calendario. Lui aveva riconosciuto come la scienza occidentale fosse
basata su rigidi principi deduttivi. Non solo studiava l’apparire del fenomeno,
cosa fosse, ma anche la sua origine, la causa, il perché del fenomeno. Inoltre
Xu Guangi, da buon funzionario addetto alla formazione, era particolarmente
interessato alle innovazioni “didattiche”, ad un nuovo metodo di apprendi-
mento. E insisteva sul fatto che la riforma astronomica, la realizzazione di
un buon calendario, dovessero essere il primo passo per l’introduzione di
una nuova scienza, da applicare ai problemi pratici e utili. Elencò pertanto
dieci applicazioni del metodo occidentale, la cui adozione era indispensabile
per la riforma astronomica, che potevano essere utili alla vita di tutti i giorni:
ad iniziare dalle leggi dell’idraulica e della fisica meccanica, applicabile alla
costruzione di strade, ponti, progetti militari. Insomma, si può dire che le
osservazioni telescopiche delle eclissi avevano svolto un ruolo cruciale nel
persuadere l’imperatore ad approvare l’adozione del sistema occidentale, e
più in generale, del metodo scientifico nel suo complesso.
9
Thomas Kuhn. Copernican Revolution, (Rivoluzione copernicana) p. 220.
10
Fang Yizhi. Wuli xiao zhi Little Notes on Principles of the Phenomena (Brevi note ai principi
dei fenomeni), juan 2, p. 37.
sostegno delle quali le osservazioni telescopiche della galassia costituivano
una sorta di prova. Quindi, anche dopo l’introduzione del telescopio, non si
assiste a nessuna rottura o contraddizione con la cosmologia tradizionale,
ma soltanto ad un suo rafforzamento.
Il secondo tema da evidenziare, è riferito alle osservazioni della Luna e
delle macchie solari. La superficie della Luna era stata scoperta come co-
perta da blocchi, crateri, valli e montagne. Le osservazioni del Sole avevano
svelato le macchie scure sulla superficie. In Occidente, entrambe le que-
stioni avevano sollevato dubbi sulla distinzione vigente nel dogma cristiano
tra natura della sfera celeste e del mondo terreno. Una volta scoperto ed
appurato come il cielo non fosse perfetto ed immutabile, come era stato
assunto nella cosmologia aristotelica; una volta appurata l’esistenza delle
macchie solari, si entrava in aperto conflitto con l’autorità cattolica, strenuo
difensore della perfezione del mondo celeste. Il loro apparire e scomparire
poi entra in conflitto con la immutabilità del cielo11. Kuhn, p.221] Gli astrono-
mi gesuiti le spiegarono come ombre create dalle stelle nascoste vicine al
Sole. E questo, di nuovo, era stato accettato dai cinesi, che inoltre: a) non
avevano mai fatto distinzioni tra il campo celeste ed il campo terrestre; b)
riconoscevano come le teorie adottate per illustrare i fenomeni sulla Terra
fossero applicabili perfettamente ai fenomeni celesti; c) avevano sempre
seguito la teoria della correlazione e interazione tra Cielo e Terra. A tale pro-
posito poi va sottolineato come questa correlazione fosse talmente innata
nella cultura e nella scienza e nella logica cinese che, nell’osservare in pas-
sato le ombre sulla Luna, gli osservatori vi avevano scorto di volta in volta
un rospo, un albero o un coniglio. E ancora: già nel XII secolo a.C i cinesi
avevano osservato le macchie solari. Ed interpretate seguendo gli oracoli.
Le prime registrazioni attendibili delle macchie solari furono effettuate dal
28 a.C., e compaiono scritte nella Storia del Han (Han shu ). I cinesi
avevano classificato le macchie solari in categorie basate su grandezze e
forme. Quindi, ancora una volta, ci troviamo a ribadire che le scoperte fatte
con il telescopio non furono assolutamente nuove per i cinesi, e che furono
accettate volentieri.
Jie Xuan (1610 - 1702) fu uno degli studiosi cinesi che approfondì
con più entusiasmo le conoscenze occidentali dell’astronomia, mettendone
in pratica le relative teorie. Come fedele seguace della dinastia Ming, aveva
resistito fermamente alle regole di ManChu della dinastia Qing, ed aveva
rifiutato di seguire una carriera da ufficiale sotto il nuovo regime. Tuttavia,
aveva tanti contatti con gli studiosi che conoscevano l’astronomia occiden-
tale. Fang Yizhi faceva parte di questi. Si incontrarono, e discussero dei pro-
blemi astronomici. Probabilmente, Jie Xuan fu il primo cinese che disegnò
11
Thomas Kuhn. Copernican Revolution. p. 221.
Astronomia ieri e oggi - L’impatto del telescopio e delle scoperte di Galileo nell’astronomia cinese 71
12
L’essenza del pensiero cosmologico di Jie Xuan’s può essere trovato nel suo Xuan ji yi shu
(Testimonianze dell’antica arte dell’osservazione astronomica) pubblicato intorno al 1675.
Vedi Shi Yunli (2004), pp. 43-64.
13
Qutan Xida. Kaiyuan zhanjing Trattato astrologico del periodo Kaiyuan (713-741).), juan 23,
p. 172.
14
Ibid., juan 38, p. 203.
Astronomia ieri e oggi - L’impatto del telescopio e delle scoperte di Galileo nell’astronomia cinese 73
15
Nathan Sivin. “Wang Hsi-Shan”. In: Science in ancient China, V, p.1. Variorum, 1995.
Astronomia ieri e oggi - L’impatto del telescopio e delle scoperte di Galileo nell’astronomia cinese 75
16
Hsu Kuang-Tai. “Evidential Study on Fang Yizhi’s First Contact with Western Scientific know-
ledge at the Age of Nine.” Presentato alla 12a Conferenza Internazionale di Storia della scien-
za nell’Asia orientale. Baltimore, USA, 14-18 Luglio 2008.
c’erano studiosi che rifiutarono di adottare le norme impartite dal governo e
fecero lavori creativi sull’astronomia. Uno di questi era stato influenzato da
Wang Xishan (1628 -1682). Egli criticò gli astronomi, che si erano interes-
sati al calendario, senza acquisire dei principi da introdurre nelle loro teorie.
Solo Wang Xishan aveva fatto sforzi per uniformare tecniche matematiche e
principi cosmologici17. Ma questo era questo era l’obiettivo del governo im-
periale. Gli astronomi responsabili dell’ufficio dell’Astronomia, sia gesuiti sia
cinesi, non erano spinti o motivati ad adottare nuove teorie: ma interessati al
solo fatto che il problema del calendario potesse essere risolto.
Fino al 1660, il telescopio non svolse un ruolo importante nell’astrono-
mia cinese: non serviva molto, per aumentare la precisione del calendario.
Quindi gli astronomi cinesi non lo avevano trovato così utile. I telescopi più
importanti erano stati portati in Cina: ma non avevano avuto molta influenza
al di fuori della corte e del circolo di ufficiali di alto livello. Il telescopio aveva
aumentato la curiosità degli ufficiali e ingenerato alcune riflessioni significa-
tive negli imperatori; alcuni ufficiali di alto livello avevano scritto poesie sulle
osservazioni telescopiche, senza che tuttavia progredisse alcuna nuova ri-
cerca scientifica
17
Per uno studio critico degli studi astronomici di Wang Xishan, vedere Nathan Sivin. “Wang
Hsi-Shan”. In: Science in Ancient Cina, V, p.1. Variorum, 1995.
Astronomia ieri e oggi - L’impatto del telescopio e delle scoperte di Galileo nell’astronomia cinese 77
Bibliografia essenziale
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Xu Guanqi ji (Collected Writings by Xu Guangqi (1562-1533)). Edited by Wang
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Sivin, Nathan (1976). Wang Hsi-Shan. Reprint. Sivin (1995). Science in Ancient Chi-
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Xi, Zezong (1981). The discovery of Jupiter’s satellite by Ge De 2000 years before
Galileo. Chinese Astronomy and Astrophysics, No.2: 242-243.
La Cina di Matteo Ricci
e l’astronomia
tra Oriente e Occidente
Filippo Mignini
La Cina di Matteo Ricci
e l’astronomia tra Oriente e
Occidente
Filippo Mignini
Professore di Filosofia e direttore istituto Matteo Ricci, Università di Macerata
1
Rinvio alle più recenti biografie di Ricci in lingua italiana: F. Mignini, Matteo Ricci. Il chiosco
delle fenici, Il lavoro editoriale, Ancona 2004, 20092con la bibliografia essenziale annessa; e
M. Fontana, Matteo Ricci. Un gesuita alla corte dei Ming, Mondadori, Milano 2005. Per informa-
zioni bibliografiche più ampie rinvio alla bibliografia disponibile nel sito dell’ Istituto Matteo Ricci
di Macerata:www.istitutomatteoricci.com. Le opere storiche di maggiore riferimento di Ricci,
ossia Della Entrata della Compagnia di Giesù e Christianità nella Cina, Edizione realizzata sotto
la direzione di P. Corradini, Prefazione di F. Mignini, a cura di M. Del Gatto, Quodlibet, Macerata
2000 e Lettere (1580-1609), edizione realizzata sotto la direzione di Piero Corradini, a cura
di F. D’Arelli, Prefazione di F. Mignini, con un saggio di S. Bozzola, Quodlibet, Macerata 2001,
saranno indicate rispettivamente con le sigle E e L seguite dal numero della pagina.
Astronomia ieri e oggi - La Cina di Matteo Ricci e l’astronomia tra Oriente e Occidente 81
tunno del 1573 iniziò a frequentare il Collegio Romano, dove seguì i corsi
di retorica e di filosofia. All’ambito delle discipline filosofiche appartenevano
anche quelle matematiche, che abbracciavano non soltanto aritmetica e ge-
ometria, ma anche astronomia, geografia, cartografia, scienze della misu-
razione dello spazio e del tempo. Ricci frequentò in quegli anni l’accademia
del celebre matematico Cristoforo Clavio, amico e corrispondente di Galileo
e di Keplero. Da Clavio, che chiamerà sempre “il mio maestro”, egli apprese
le scienze e le tecniche che gli consentiranno, grazie anche alla prodigiosa
memoria e alla solida formazione umanistica, di imporsi all’attenzione dei
letterati cinesi2.
Nel maggio del 1577 lasciò Roma per il Portogallo, dove si imbarcò
nella primavera dell’anno successivo per l’India, giungendo a Goa il 13 set-
tembre 1578. Qui studiò teologia e insegnò latino e greco nei collegi di
Goa e di Cochin, dove fu ordinato sacerdote nel luglio del 1580. Terminato
il corso triennale di teologia, nell’estate del 1582 fu chiamato a Macao da
Alessandro Valignano, Visitatore della Compagnia in Asia orientale.
In quella città, porto strategico per le comunicazioni tra la Cina, il Giap-
pone, le Filippine e il Sud-Est asiatico, i gesuiti avevano costruito un collegio
e una chiesa. Nel 1577 Valignano vi era giunto in veste di Visitatore ed aveva
concepito un progetto nuovo di evangelizzazione del grande impero. Per
entrare in contatto con questo mondo chiuso e fortemente gerarchico, sa-
rebbe stato necessario anzitutto apprenderne la lingua ufficiale, detta “man-
2
Per la formazione complessiva ricevuta da Ricci nel Collegio romano rinvio a Mignini, Matteo
Ricci. Il chiosco delle fenici, cit., cap. 3; M. Fois, Il Collegio romano ai tempi degli studi del
p. Matteo Ricci, in Atti del convegno internazionale di studi ricciani (Macerata-Roma, 22-25
ottobre 1582), Macerata 1984, pp.203-228; e ora, per la formazione scientifica, U. Baldini, La
formazione di Matteo Ricci nelle scienze (1572-1577), in Matteo Ricci, Cartografia, a cura di F.
Mignini, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 2010 (in corso di stampa).
darina”, utilizzata nei tribunali e nella pubblica amministrazione. In secondo
luogo, sarebbe stato necessario studiare la cultura del Paese, in particolare
i testi canonici del confucianesimo, filosofia della classe dirigente della Cina.
Valignano comprese inoltre che non sarebbe stato in alcun modo possibile
avere accesso a un Paese convinto di non aver nulla da apprendere da
stranieri, restando estranei ai suoi costumi di vita, ossia senza farsi, per
quanto possibile, cinesi. Mise per iscritto queste direttive e chiamò dall’India
Michele Ruggeri, che aveva compiuto con Ricci il viaggio dall’Europa, era
di dieci anni più anziano ed anche più pratico di mondo, avendo svolto la
professione di avvocato in Napoli prima di entrare nell’Ordine3.
Ruggeri giunse a Macao verso la fine di luglio del 1579; si mise a stu-
diare la lingua mandarina e tentò ripetutamente di stabilirsi all’interno del
territorio cinese accompagnando i mercanti portoghesi alla fiera di Canton.
Sperimentate le enormi difficoltà di ogni genere che si opponevano alla mis-
sione, Ruggeri iniziò a chiedere al Visitatore l’aiuto del giovane Ricci, dotato
di grande memoria e di un metodo per coltivarla. Ma i superiori preferirono
che Ricci terminasse debitamente il corso di teologia. Giunto infine a Macao
il 7 agosto 1582, dopo un altro tentativo fallito di Ruggeri e F. Pasio di entra-
re in Cina, finalmente, nel settembre 1583, Ruggeri e Ricci furono ammessi
a risiedere nella città di Zhaoqing. Fu chiesto loro, che professavano di
essere religiosi, di adeguarsi ai costumi e all’abito dei monaci buddisti, tra i
quali venivano ammessi stranieri. Si rasarono barba e capelli e indossarono
l’abito grigio dei bonzi. Iniziava così quell’impresa della Cina che porterà Ric-
ci, diciotto anni più tardi, dopo straordinarie fatiche ed esperienze inaudite,
a essere chiamato a corte dall’imperatore Wanli per presentare i suoi doni
quale ambasciatore d’Europa.
Cinque anni dopo l’ingresso a Zhaoqing, e dopo alcuni tentativi falliti
di aprire nuove residenze più a nord, Ruggeri veniva inviato a Roma per
organizzare un’ambasciata del papa (regnava in quel tempo Sisto V) presso
l’imperatore di Cina. Ma la delegazione pontificia, sulla quale molto si conta-
va, non poté essere inviata nei tempi sperati e Ricci dovette aprirsi la strada
verso Pechino con le sue virtù umane, con la sua fede e le sue scienze.
Ricci rimase sei anni a Zhaoqing, dove il bonzo occidentale si era im-
posto all’attenzione dei letterati e dei mandarini della provincia con le sue
conoscenze matematiche, letterarie e filosofiche; specialmente per aver
disegnato e tradotto in lingua cinese, un anno dopo il suo arrivo, la carta
geografica universale, fino a quel momento ignota ai cinesi4. Un nuovo vice-
ré lo cacciò dalla città per impossessarsi della sua casa; ma Ricci riuscì a
3
Su Ruggeri si veda A. Gisondi, Michele Ruggeri, missionario in Cina e primo sinologo europeo
(Spinazzola 1543 – Salerno 1607), Jaca Book, Milano 1999.
4
La prima carta geografica disegnata da Ricci a Zhaoqing era intitolata: Carta geografica com-
pleta dei monti e dei mari (Yudi shan hai quan tu); Una seconda edizione, il doppio della prima
ma con lo stesso titolo, appare nel 1600; una terza edizione in sei pannelli a Pechino nel 1602:
Carta completa delle miriadi di paesi sulla terra (Kun yu wanguo quan tu); una quarta in otto
pannelli nel 1603: Mappa visuale misteriosa delle due forme (Liang yi xuan lan tu); una quinta
nel 1608, riproduzione dell’edizione del 1602 per l’imperatore Wanli; una sesta, in due emisferi,
nel 1609. Solo della terza e della quarta edizione sono pervenuti originali e copie successive.
Astronomia ieri e oggi - La Cina di Matteo Ricci e l’astronomia tra Oriente e Occidente 83
ottenere il permesso di potersi stabilire in una città più a nord, nella stessa
provincia.
Nel 1589 aprì a Shaozhou la seconda residenza. Qui comprese, passati
dodici anni dal suo ingresso in Cina, che doveva affidare alla stampa e ai
libri il suo messaggio civile e religioso. Nel corso del 1594 si mise a scuola
di composizione letteraria cinese per imparare a comporre libri in questa
lingua e ottenne da Valignano il permesso di presentarsi come un letterato
straniero, in tutto simile ai predicatori confuciani. Aveva intanto portato a
termine la traduzione latina dei Quattro libri, i classici confuciani, e una loro
parafrasi in latino a beneficio dei gesuiti che giungevano in Cina e di quanti
altri, all’esterno, volessero iniziare ad apprendere i capisaldi della cultura del
misterioso Paese. Intorno al 1593 aveva anche iniziato a comporre un nuo-
vo Catechismo, dopo quello pubblicato nel 1584 insieme a Ruggeri e che
verrà del tutto abbandonato, anche perché in esso gli autori si presentavano
come religiosi buddisti. Ricci si fece crescere di nuovo barba e capelli, vestì
l’abito di seta dei letterati confuciani e si conformò in tutto al loro status e
ai loro costumi.
Nel 1595, giunto a Nanchang, dove aprì la terza residenza, presentò la
sua prima opera in cinese: Dell’amicizia. Fu la prima di una serie di opere
fortunate che diffusero la fama di Xitai - che significa “maestro dell’estremo
Occidente”, come preferivano chiamarlo i cinesi -, in tutto l’impero. Con i suoi
orologi solari e meccanici, i suoi globi terrestri e celesti, le sfere armillari, gli
astrolabi, le clessidre, i prismi di cristallo, i quadri a olio, gli strumenti musicali,
stava seducendo la Cina. Nel 1596, dopo essersi sottoposto a prove pubbli-
che di memoria, tradusse in cinese una trattatello intitolato Mnemotecnica oc-
cidentale, sulla base di un suo precedente trattato in lingua italiana, composto
negli anni del Collegio romano5.
Giunto la prima volta a Pechino sul finire del 1598, durante l’invasione
giapponese della Corea e in un clima di alto allarme in Cina, preferì tornare
indietro. All’inizio del 1599 aprì la quarta residenza a Nanchino. Terminata la
guerra di Corea e superate alcune gravi vicissitudini, il 24 gennaio del 1601
entrava definitivamente a Pechino. L’imperatore Wanli, che da anni non si mo-
strava più in pubblico e non riceveva neppure i ministri, pur senza mai incon-
trarlo accolse lo straniero all’ombra della corte e lo mantenne, con quattro
suoi compagni, a spese dell’erario.
Nei nove anni che trascorse a Pechino, Ricci pubblicò le sue opere più
importanti, alcune delle quali con l’aiuto determinante di amici e letterati cine-
si. Nel 1602 compose con Li Zhizao il grande mappamondo in sei pannelli;
su incitamento di Feng Yingjin stampò Vero Significato del Signore del Cielo
nel 1603 e Venticinque sentenze nel 1605. Con Xu Guangqi tradusse e pub-
blicò nel 1607 i primi sei libri della Geometria di Euclide. L’anno successivo
Wanli vide per la prima volta la carta geografica universale, ne comprese
l’attendibilità e l’importanza e ne ordinò dodici esemplari in seta. Nello stesso
5
Questa notizia è offerta da Ricci stesso nella lettera inviata da Nanchang il 9 settembre 1597
al vecchio amico di collegio Lelio Passionei, per il quale aveva composto un piccolo trattato di
mnemotecnica che aveva portato con sé in Cina: L346-7.
Il planisfero disegnato da Matteo Ricci
6
De Christiana expeditione apud Sinas suscepta ab Societate Iesu. Ex P. Matthaei Ricij eiusdem
Societatis Commentarijs. Libri V […] Auctore P. Nicolao Trigautio belga ex eadem Societate.
Augusta Vind. Apud Ch. Mangium, MDCXV. L’opera ebbe molte edizioni in latino e diverse tradu-
zioni in lingua volgare, tra le quali una in italiano: Entrata nella China de’ Padri della Compagnia
del Gesù. Tolta da i Comnmentarij del P. Matteo Ricci di detta Compagnia, in Napoli per Lazzaro
Scoriggio, 1622.
7
Man mano che saliva all’interno della Cina Ricci si accorgeva che la descrizione del Catai data
nel Milione di Marco Polo corrispondeva perfettamente alla Cina. Iniziò allora a comunicare la
notizia ai confratelli di Goa e di Roma; tuttavia la certezza della coincidenza dei due Paesi,
creduti diversi, non si ebbe fino alla conclusione di un tormentato viaggio di esplorazione orga-
nizzato dai gesuiti d’India, che, risalendo fino alla Via della seta e proseguendo su di questa,
non condusse che a Pechino, dove Ricci già risiedeva e dove poté accogliere l’ultimo superstite
della spedizione, dal quale ebbe memorie orali e scritte del viaggio, serv3endosi delle quali
compose i capp. 12-14 del libro V della Entrata, pp. 510-35. Su questo punto si veda anche E
358 ed E 285.
Astronomia ieri e oggi - La Cina di Matteo Ricci e l’astronomia tra Oriente e Occidente 85
8
E 143-44.
9
Casanovas, Juan, Alle origini del missionariato scientifico nell’Asia orientale: Clavio e il Colle-
gio Romano, in Dall’Europa alla Cina: contributi per una storia dell’Astronomia, a cura di Isaia
Iannaccone e Adolfo Tamburello, Napoli, Università degli Studi “Federico II”- Istituto Universitario
Orientale, 1990, pp. 75-84.
10
L 353.
11
Il volume è oggi conservato nella Biblioteca Nazionale di Pechino.
al Calcolo delle misure, al Trattato sulle figure isoperimetre, alla Sfera del
Sacrobosco nella edizione e con il commento del maestro e allo stesso trat-
tato dell’ Astrolabio. Da ciò si può inferire che la scienza introdotta da Ricci
in Cina fosse quasi esclusivamente quella appresa alla scuola di Clavio.
Le incertezze, a cause delle poche notizie date da Ricci stesso sui pro-
pri studi e della scarsità dei documenti d’archivio, riguardano gli anni della
sua formazione nel Collegio Romano, le modalità e i maestri (eccettuato
il Clavio), i corsi frequentati e i testi studiati. Sulla base delle conoscenze
relative all’organizzazione degli studi nel Collegio romano al tempo di Ricci
e ai documenti relativi ai professori del corso triennale di filosofia, si può
ritenere verosimile la seguente ipotesi complessiva, ampiamente argomen-
tata da Ugo Baldini in un saggio in corso di pubblicazione12. Ricci iniziò
a frequentare il corso di filosofia nell’autunno 1574, studiando nel primo
anno la logica, nel secondo la fisica e nel terzo (fino alla primavera) la me-
tafisica sotto l’insegnamento di Antonio Maria Menù . Per l’insegnamento
ordinario della matematica Ricci dovrebbe aver seguito nel primo e nel
secondo anno le lezioni del conterraneo Bartolomeo Ricci o di C. Clavio,
nel terzo anno quelle di Ferdinando Capece. Ma poiché le conoscenze ma-
tematiche ed astronomiche possedute da Ricci non sono spiegabili con la
semplice frequentazione dei corsi ordinari e poiché tale frequentazione non
spiegherebbe neppure l’affermazione ricciana della particolare discepolanza
da Clavio, si deve supporre che Ricci avesse frequentato, oltre ai corsi ordi-
nari, anche l’Accademia matematica di Clavio, alla quale venivano ammessi
studenti particolarmente dotati su giudizio del maestro. In particolare, Ricci
potrebbe aver frequentato tale accademia sin dall’anno 1574-75, oppure,
quanto meno e certamente, negli anni 1575-76 e dall’ottobre 1576 fino
alla primavera 1677. Come osserva Ugo Baldini, l’insegnamento seguito da
Ricci in questi anni è contrassegnato da tre eventi: dalla pubblicazione del
commento di Clavio agli Elementi nel 1574; dalla costruzione, per iniziativa
di Clavio, di una sfera celeste nell’anno 1575, nella quale venivano utilizzate
misure tratte dallo studio del De revolutionibus di Copernico13; infine da un
corso accademico del maestro sulla theorica planetarum, del quale riman-
gono lezioni sul moto del Sole e parte di quelle sul moto della Luna.
Nei corsi pubblici e ordinari seguiti da Ricci nel triennio di filosofia, come
nelle lezioni avanzate tenute da Clavio nella sua accademia matematica,
Ricci apprese in astronomia il sistema aristotelico-tolemaico e le tecniche di
indagine e di misurazione più avanzate del tempo, aperte anche alle nuove
prospettive copernicane, non quanto al modello generale eliocentrico ma ai
nuovi calcoli relativi alle distanze e ai movimenti dei corpi celesti. Con questa
preparazione e con questa idea del mondo Ricci si troverà a confrontarsi
con l’astronomia dei cinesi.
12
U. Baldini, La formazione di Matteo Ricci nelle scienze (1572-1577), cit.
13
La sfera celeste è ora conservata nella sezione manoscritti e rari della Biblioteca Nazionale
di Roma; su di essa si veda U. Baldini e J. Casanovas, La sfera celeste di Cristoforo Clavio, in
Osservatorio astronomico di Capodimonte. Almanacco 1996, pp. 175-182.
Astronomia ieri e oggi - La Cina di Matteo Ricci e l’astronomia tra Oriente e Occidente 87
14
L 75-76.
15
L 282. È necessario qui osservare che i cinesi hanno registrato le eclissi solari e lunari sin da
tempi antichissimi ed alcuni loro astronomi hanno compreso le vere cause di questi fenomeni
celesti fin dal I secolo d.C., anche se le loro interpretazioni non ebbero larga diffusione. Osser-
Un passaggio importante, per intendere ciò che Ricci considerasse
propriamente astronomia, anche in relazione all’idea di astronomia propria
dei cinesi, si trova in una lettera del 12 maggio 1605 a J. Alvares. Ricci
spiega che l’attenzione portata dai cinesi sull’astronomia è giustificata dal
loro interesse a produrre calendari o efemeridi di ogni anno, a prevedere le
eclissi e a osservare i fenomeni celesti per pronosticare il futuro. A tal fine
l’imperatore sostenta a Pechino due collegi di eunuchi nello stesso palazzo
imperiale, altri due collegi fuori dal palazzo per un totale di oltre duecento
persone, più due altri collegi a Nanchino, capitale del sud16. Poiché essi non
sono dotati delle conoscenze necessarie, Ricci pensa che sarebbe cosa
estremamente utile inviare in Cina uno o due confratelli buoni astronomi e
con i libri necessari, per provvedere seriamente alle necessità dei cinesi. E a
tal proposito egli distingue l’astronomia dalla geometria, dalla gnomonica o
arte di costruire orologi e dalla scienza delle misurazioni mediante astrolabi,
nelle quali egli stesso si ritiene sufficientemente competente e dotato dei
libri necessari e utili. Così scrive: «Nel fine di questa voglio priegare molto
a V.[ostra] R.[everenza] una cosa, che molti anni sono chiesi, né mai mi fu
risposto, et è che una delle cose più utili che potrebbe de là venire per que-
sta corte, era alcun padre o anco fratello buono astrologo. E dico astrologo,
perché di queste altre cose di geometria, horiuoli e astrolabij ne so io tanto
e ne ho tanti libri che basta; ma loro non fanno tanto conto di questo, come
del corso e vero luogo de’ pianeti e del calcolo delle eclisse et in summa di
uno che possa fare efemeridi. […] Come io qua con questi mappamondi,
horiuoli, sphere e astrolabij et altre opre, che ho fatte e insegnate, venni a
guadagnar nome del maggior matematico che ha nel mondo, e se bene non
ho qua nessun libro di astrologia, con certe efemeridi e repertorij portughe-
si, alle volte predico le eclissi assai più puntuali che loro; e così quando dico
che non ho libri e non mi voglio mettere a emendare le loro regole, puochi
sono che me lo credano. Dico poi che, se qua venisse questo matematico
che dissi, potressimo voltare le nostre tavole in lettera sinica, il che farò
io assai facilmente, e pigliar l’assunto di emendare l’anno che ci darebbe
grande reputatione, aprirebbe più questa entrata nella Cina e staressimo più
fissa e liberamente. Desidero V[ostra] R.[everenza] torni a trattare questo
con N.[ostra] P.[aternità] come di cosa molto importante per la Cina, e di
qual si voglia natione che sia ce ne mandi qua uno o doi direttamente alla
Cina, anzi a Pechino, poiché in altra parte ci sarebbe di puoco agiuto. Et
adverta che porti seco i libri necessarij; né confidi in Goa, né in altre parti;
perché ne’ collegij della India non vi sono simili libri, e quei che vi sono non
gli danno ad altre case»17.
va M. Del Gatto: «Nel momento della permanenza di Ricci in Cina era in uso un metodo per le
predizioni dell’eclissi, le cui procedure erano già codificate in un trattato di epoca Yuan. Inoltre
Ricci non fa menzione,delle 19 eclissi solari e delle 46 lunari tutte regolarmente osservate e
registrate dagli astronomi cinesi», E 300.
16
L 407-08; cfr. E 30-1.
17
L 407-8.
Astronomia ieri e oggi - La Cina di Matteo Ricci e l’astronomia tra Oriente e Occidente 89
Come è evidente, Ricci si considera, pur nei suoi limiti, miglior astrono-
mo di quelli cinesi; ma è consapevole di non possedere gli strumenti, i libri
e le competenze necessarie per far compiere all’astronomia cinese il passo
necessario e per procedere compiutamente alla riforma del calendario cine-
se. È questo, infatti, insieme alla composizione o traduzione di effemeridi,
il fine principale al quale Ricci tende. Risulta anche evidente, dal testo, la
finalità pratica del lavoro che Ricci vuole compiere, ossia quella di acquisire
credito nei confronti della Cina e consolidare la propria posizione in essa.
Nella Entrata, composta negli ultimi due anni della sua vita, Ricci in-
forma sull’astronomia dei cinesi, confermando il giudizio sostanzialmente
negativo.
Non conoscono orologi a sabbia e meccanici, ma solo ad acqua, fuoco
e pietra, che tengono “molta imperfettione”. Degli orologi solari conoscono
soltanto l’equinoziale, ma non sanno calcolare i gradi per la loro posizio-
ne18. I cinesi eccellono nella scienza morale, ed oltre a questa hanno molte
conoscenze di astronomia e di altre scienze matematiche, “ma anco questo
molto confuso”19. Mentre sottolinea la grande competenza dei cinesi nella
osservazione delle stelle, calcolandone quattrocento in più degli astronomi
occidentali, osserva che essi “niente si curano di dar ragione delli Phenome-
ni o Apparentie, e solo procurano calculare al meglio che possono le eclipsi
e movimenti de’ pianeti con assai di errori”20. Ricci precisa inoltre che i cinesi
ebbero notizia della rotondità del cielo e che costruirono globi celesti; ma
pensavano che la terra fosse quadrata: «Percioché questa fu la prima volta
che si uditte in questa terra esser la terra ritonda, avendo loro per primo
principio e detto antico essere il Cielo rotondo e la terra quadrata»21.
Ricci non manca di sottolineare il nesso tra astronomia e applicazioni
18
E 23.
19
E 29.
20
E29-30.
21
E 299.
alla vita sociale e politica, in particolare alla coltivazione delle campagne.
Fondamentale era dunque nella civiltà cinese la promulgazione del calen-
dario, riservata all’imperatore e giustificata in tal senso la proibizione della
pratica dell’astronomia e della matematica al di fuori dei collegi imperiali e
delle persone espressamente deputate22.
Grande ammirazione Ricci manifesta per gli strumenti astronomici di
Nanchino, che suppone con ragione essere stati costruiti da astronomi arabi
tre secoli prima e per un altro luogo, essendo tarati su trentasei gradi, che
non corrispondono alla posizione di Nanchino, dove erano stati trasportati
all’inizio della dinastia Ming. A questo proposito infatti osserva: «Pare sta-
vano tutti posti per 36 gradi di polo, e può essere che questi fussero fatti
per altra terra, e dipoi posti in Nanchino da persone che puoco sapevano di
questa scientia»23.
Il giudizio complessivo che Ricci formula sull’astronomia dei cinesi, sulla
base delle conoscenze dirette che egli ne aveva nel momento in cui gli era
dato osservarla è contrassegnato da due elementi principali: dall’apprezza-
mento quasi meravigliato per il grande interesse dei cinesi per l’astronomia
e per il ruolo centrale che questa scienza svolgeva nella vita civile e sociale
della nazione; dai limiti teorici e dallo scarso fondamento scientifico di prati-
che astronomiche più rivolte alla conduzione della vita economica e sociale
che alla vera e propria conoscenza del cielo e dei suoi fenomeni24.
22
E 30: «L’autore di questa famiglia che adesso regna prohibitte che nessuno imparasse questa
scientia, se non i deputati, avendo paura che per questa via machini alcuno qualche ribellione».
Cfr. anche E 78: «E a quest’effetto ogn’anno si stampano due sorti di Calendarij per autorità
publica, fatti dai gli Astrologi del Re (il che autoriza più questa falsità) e si divolgano tanti, che
dessi si empiono le Case, ne’ quali di giorno in giorno si avisa quel che non è lecito fare e quel
che è lecito fare, et a qual hora, di tutte le cose occorrenti nell’anno».
23
E 305.
24
Su questo giudizio di sufficienza ricciano e sui suoi limiti cfr. F. D’Arelli, P. Matteo Ricci S. J.:
le “cose absurde” dell’astronomia cinese. Genesi, Università eredità ed influsso di un convin-
cimento tra i secoli XVI-XVII, in Dall’Europa alla Cina: contributi per una storia dell’Astronomia,
a cura di Isaia Iannaccone e Adolfo Tamburello, Napoli, degli studi “Federico II” - Istituto Uni-
versitario Orientale, 1990, pp. 85-123; Id., Il’ puoco fondamento’ dell’astronomia dei cinesi:
l’eredità di una communis opinio. In: Scienze tradizionali in Asia. Principi ed applicazioni, a cura
di Lionello Lanciotti e Beniamino Melasecchi, Perugia, Centro Studi ‘Enrico Fermi’ - Istituto
Italiano per il Medio ed Estremo Oriente, 1996, pp. 169-79.
Astronomia ieri e oggi - La Cina di Matteo Ricci e l’astronomia tra Oriente e Occidente 91
25
FR I, 163.
26
L 116. I riferimenti sono a C. Clavio, In Sphaeram Ioannis de Sacro Bosco commentarius,
Romae 1570 e a A. Piccolomini, De la sfera del mondo, Venezia 1540.
27
L 139-140.
28
Qu Taisu (1549-1611?) nacque a Changshu da una influente famiglia del Jiangsu. Nel 1589,
incuriosito dalla fama dei bonzi stranieri di Zhaoqing, andò a incontrare Ricci, nella speranza
di apprendere il segreto della produzione dell’argento. Si mise alla sua scuola nella secon-
da residenza di Shaozhou, rimanendovi per circa due anni. Studiò specialmente matematica,
astronomia e geografia, traducendo in cinese il primo libro della Geometria di Euclide.
29
E 78-79. Si tratta degli Euclidis elementorum libri XV, opera di Clavio pubblicata per la prima
volta nel 1574. La traduzione in cinese dei primi sei libri di Euclide, condotta da Ricci insieme
a Xu Guangqi, fu pubblicata nel 1607 con il titolo Jihe yuanben (Libro elementare di geometria);
la traduzione dei restanti libri è stata portata a termine solo nel 1857. Non è tuttavia con la
traduzione ricciana che i cinesi incontrano Euclide per la prima volta: è ipotizzabile, da risultati
conseguiti in campi come la topografia e l’astronomia, l’esistenza di una sua traduzione, per
tramite arabo, già a partire dal XIII secolo.
disse altro che cose tra noi facili e sapute da tutti, furno per questi letterati
le più alte, sottili e nove che mai udittero in questa materia e che aveva dato
che fare ai loro maggior letterati antichi, caduti in chiari errori per non avere
avute le scientie e le osservationi de’ nostri filosofi»30.
Grazie alla fama di astronomo che Ricci acquisisce soprattutto per i suoi
mappamondi, oltre che per gli strumenti di misurazione e rappresentazione
del cielo che costruiva continuamente, viene invitato dal ministro dei riti di
Nanchino Wang Zhongming a occuparsi della riforma del calendario cinese:
una impresa che Ricci considera prioritaria rispetto a tutta l’attività scienti-
fica che egli potrebbe dispiegare. Il primo tentativo di avviare tale riforma,
con un viaggio a Pechino al seguito del ministro nel 1598, fallisce per il
clima di sospetto nei confronti degli stranieri che aleggia nella capitale a
causa dell’invasione giapponese della Corea.
È negli anni di Pechino che Ricci dispiega il massimo impegno in campo
astronomico, specialmente grazie alla collaborazione del letterato e geogra-
fo Li Zhizao. Come l’altro grande amico Xu Guangqi collabora con Ricci alla
traduzione dei primi sei libri della Geometria di Euclide, Li Zhizao lavora alla
traduzione delle opere geografiche ed astronomiche. Con lui Ricci realizza
il grande mappamondo in sei pannelli del 1602, da cui deriva l’estensione
in otto pannelli del 1603. E nel 1607, mentre viene pubblicata la traduzio-
ne cinese della Geometria, esce anche la traduzione cinese dell’Astrolabio
di Clavio a cura di Li Zhizao. Di quest’opera, che apprezzava molto, Ricci
scrive: «Il letterato con che conversai cinque anni sono, detto Lingozuon,
che stampò il Mappamondo in forma molto grande di tre braccia di alto e
sei di lungo, et uditte molte materie di matematica, cominciò a stampare e
quest’anno stampò l’Astrolabio, che è un compendio di quello del p. Clavio
che io gli lessi. Di questo mando un volume in due tomi a V.[ostra] P.[aternità]
acciocché vegga almanco le figure così bene stampate, poiché non potrà
vedere la elegantia del suo stile, e il bene che egli dice delle nostre scientie;
et adesso è venuto a questo Pachino e vuol stampare l’Aritmetica pratica
del detto p. Clavio e De Horologijs, che già ha voltato in lingua sinica e ne
fa molti e molto belli per sue mani, et ha fatti anco alcuni Astrolabij assai
esatti»31.
Come risulta evidente da questo testo e come si è anticipato, è la scien-
za occidentale esposta e mediata da Clavio che Ricci introduce in Cina.
Lo sottolinea egli stesso con soddisfazione in una lettera al p. J. Alvares,
assistente del Generale: «Facciame V.[ostra] R.[everenza] carità di comuni-
30
E 451
31
L 491; cfr. anche L 459: «L’anno passato mi mandò stampato l’Astrolabio del p. Clavio, la pra-
tica, e il modo di farlo, e l’uso di esso. Non ne ho più che due o tre tomi; e così ne mando uno
solo al nostro p. Generale, che V. R. potrà vedere, e solo dalle figure di queste due opere Ella
scorgerà l’abilità di questa gente, e quanto frutto si può ritrarre da loro con le nostre scienze».
L’opera pubblicata a Roma nel 1593 con il titolo Christophori Clavii Bambergensis e Societate
Iesu Astrolabium, fu composta in cinese da Li Zhizao ed edita nel 1607 con il titolo Hungai
tongxian tushuo (Astrolabio e sfera con figure e commento). Nel testo non solo sono date
istruzioni sull’uso e la costruzione dello strumento, ma si illustrano alcuni principi fondamentali
dell’astronomia, come i gradi della sfera o gli equinozi.
Astronomia ieri e oggi - La Cina di Matteo Ricci e l’astronomia tra Oriente e Occidente 93
car tutto questo con il p. Clavio, e dicali che già molti e molti Cinesi sanno
il nome del p. Clavio, e che qualche cosa aumentò del suo nome un suo
discepolo, e che adesso risposi al Lingozuon [Li Zhizao] che una delle figu-
re che mi mandò voglio mandare al mio maestro il p. Clavio, che egli ben
conosce»32.
Conforme alla teoria e alla prassi dell’ordine, in particolare allo stesso
pensiero del Clavio, è l’utilizzazione ricciana della scienza, apprezzata e ri-
cercata in se stessa quale suprema espressione della perfezione umana,
ma anche, al tempo stesso, subordinata alla diffusione del vangelo e della
religione cristiana. Scrive Ricci in una lettera al p. Pasio del 15 febbraio
1609: «Laonde se gli potessimo insegnare le nostre scientie, non solo ha-
vrebbono a riuscire in esse huomini molto eminenti, ma anco per mezzo di
esse gli indurremmo facilmente alla nostra santa legge e mai si scordaranno
di un beneficio sì grande, del che anco habbiamo al presente manifesto
inditio»33.
32
L 407.
33
L 517.
do e la terra quadrata34; che stava nel Centro dell’universo e di tutte le parti
di sopra, e di sopra era habitata essendo gli uni Antipodi degli altri, cosa che
sino adesso non possono totalmente molti credere; || che l’ecclisse della
luna era fatta per interpositione della terra fra il sole e la luna con l’ombra
sua, avendo fin adesso i loro letterati finte mille chimere per dar ragione
di questa oscurità della luna, sino a dire che la luna, posta ex diametro di
rimpetto del sole, spaurita perdeva il lume, altri che nel mezzo del sole vi
era un buco vacuo, all’incontro del quale, posta la luna, non poteva esser
illuminata; che il sole era molto magior che la terra, e questo creddero più
facilmente, perché avevano detto certi letterati che lo volsero misurare con
instromenti, esser grande più di mille miglia; ma esservi stelle maggiori e
molto maggiori della terra, parve magior paradossa; che il cielo era cosa
solida e le stelle stavano fisse in esso e erano dieci globi l’uno sopra l’altro
con diversi movimenti, perché quello degli excentrici et epicicli non insegnò
se non di poi di molti anni ad alcuni più intelligenti; che l’altezze de’ poli erano
diverse secondo i varij climi e l’istesso de’ giorni e notti, nascere e ponere
del sole. Questa anco fu la prima volta che videro la descrittione universale
di tutta la terra in globo et in Mappa con le terre poste con distintione di
meridiani paralleli e gradi, con la linea equinoctiale, tropici e poli Artico et
antartico, con le sue cinque zone; delle quali cose, se bene avevano avuta
qualche notitia nel Cielo o globo Celeste , pure mai avevano visto queste
cose nella terra.
Videro anco Astrolabio con sue lamine, sfera con la terra nel mezzo, e
due diversità de’ poli, uno mobile e fisso, con che hebbero grande lume per
intendere il movimento de’ planeti a loro inintelligibile. Videro l’horiolo solare
in piano all’orizonte et anco in ogni muro che volessino, oltre altre sorti di
horologij; e, quel che più gli fece stupire in questa materia, gli segni celesti o
gli ventiquattro tempi degli anni, di che loro più usano, posti negli horiuoli, con
le sue parabole et hiperbole e linee rette, dalle quali l’ombra dello stilo non
discrepava né un punto il giorno che in esso stava scritto in loro lettera. Videro
anco quadranti et altri modi di mesurare le altezze de torri, profundità de pozzi
e de valli, e longhezze de’ viaggi con molta faciltà, con l’arte del contare con
penna, usando loro a contare con certi instromenti. Di tutte queste cose, a
loro tanto strane, rendeva il Padre raggione sì chiare e manifeste, che molti
non potevano negare esser tutto quanto diceva verità, e per questo in breve
si sparse la fama di queste cose per tutti i letterati della Cina; di che si può
34
Osserva a questo riguardo M. Del Gatto: «Ricci, a quanto pare, ritiene di essere stato il primo
ad avere introdotto il concetto della sfericità della terra in Cina. Egli fa riferimento ad una teoria,
quella del Gaitian, che la tradizione fa risalire almeno all’epoca Zhou, secondo la quale il cielo,
inteso come una calotta emisferica, sarebbe posto sopra una terra di forma quadrata; ma
mostra di ignorare completamente la teoria della sfera celeste della scuola Huntian, risalente
almeno al IV secolo a.C., che anzi secondo Zhang Heng, grande esponente di tale scuola del
I secolo d.C., risalirebbe a tempi molto più antichi: questa teoria descriveva una terra sferica
con antipodi e posta all’interno di un cielo anch’esso sferico o a forma di uovo, con il sole e le
stelle posti in uno spazio infinito, il che potrebbe anche spiegare l’esistenza in Cina, prima dei
gesuiti, di strumenti astronomici quali cerchi e sfere armillari. Questa teoria non era rimasta
certo isolata, anzi ai tempi di Ricci era quella più diffusa, tanto che ne rimangono numerose
tracce in trattati scientifici e anche in opere di letterati e poeti come Chu Yuan», E 299 .
Astronomia ieri e oggi - La Cina di Matteo Ricci e l’astronomia tra Oriente e Occidente 95
Alessandro Omizzolo
Astronomo, Specola Vaticana
Introduzione
L’Anno internazionale dell’astronomia, anniversario delle osservazioni gali-
leiane fatte a Padova, la città dove abito, è motivo sufficiente per dedicare
un po’ di attenzione, senza peraltro presumere di dover o poter dire tutto,
a tematiche che percorrono trasversalmente il sapere e il vivere umani.
Vista la mia duplice formazione, scientifica in un primo tempo e teologica in
seguito, cercherò di fornire alcuni elementi essenziali che possano essere
utili nell’insegnamento scolastico per affrontare le tematiche che riguardano
il rapporto scienza-fede.
Sebbene da molti anni il corretto rapporto tra le evidenze scientifiche e
il messaggio della Bibbia sia stato chiarito, negli ultimi tempi, a seguito del
riemergere negli Stati Uniti delle posizioni creazioniste e fondamentaliste
attraverso la proposizione del cosiddetto progetto intelligente (in bibliogra-
fia [1]-[3]) e anche della pubblicazione di un articolo del cardinale di Vienna
Christoph Schönborn apparso sul New York Times (New York Times del
7.7.2005), anche in Italia e con ampia risonanza nei media è stata fatta
molta confusione a tutti i livelli e sono state alimentate polemiche che non
hanno ragione di sussistere.
In questo saggio, partendo dall’ambito scientifico e attraversando quello
teologico cercherò di toccare temi che, oltre ad essere utili nella didattica
curriculare, possano in generale favorire un dialogo tra le diverse visioni
della realtà e possano aiutare ad evitare sterili ed infondate polemiche.
Astronomia ieri e oggi - Creazione ed evoluzione cosmica 99
Creazione ed evoluzione
Il modo con cui ci si accosta al tema della creazione determina in qualche
modo quello con cui poi si affronta il tema dell’evoluzione. La creazione,
infatti, è un tema “fondante” tutto il resto, comunque si intenda l’idea di
creazione.
E a sua volta l’idea di creazione ha a che fare con l’idea di Dio che si ha
o che non si ha o che si crede di non avere. Per questo penso che la prima
domanda alla quale dovremmo rispondere dovrebbe essere quella sulla im-
magine di Dio che ci portiamo dentro in modo più o meno consapevole.
In modo grossolano potremmo riferirci a due immagini abbastanza an-
titetiche di Dio:
il Dio orologiaio/meccanico/ordinatore
il Dio amante/liberante.
Il dato cosmologico
L’immagine del cosmo che emerge dall’investigazione scientifica è quella
di una struttura estremamente dinamica e varia, in perenne evoluzione. Non
per niente l’universo degli astrofisici è considerato il miglior laboratorio per
qualsiasi fisico che voglia cimentarsi con gli stati più estremi della materia.
Un universo che continua a porre sfide a chi lo studia e le sfide si collocano
proprio all’inizio laddove le condizioni sono state cruciali per tutto lo sviluppo
successivo. La storia temporale dell’universo, per quella parte di tempo che
ci è accessibile, inizia con uno stato di estrema concentrazione: sappiamo
che esistono un tempo e uno spazio, definiti come tempo e spazio di Planck
(rispettivamente 5.39x10-44 s e 10-33 cm) prima del quale e all’interno del
quale la fisica come noi la conosciamo non riesce ad andare. A questi livelli
la materia si trova in uno stato ovviamente indifferenziato. In seguito alla
violenta espansione, nota come big bang, ha inizio la storia dell’universo
come noi lo conosciamo.
Da questo inizio la storia può essere tratteggiata nel modo seguente (Fig. 1):
• 10-43 -10-35 s. Era della grande unificazione delle forze della Natura;
• 10-35-10-10 s. Era elettrodebole: disaccoppiamento della forza nucleare for-
te e inflazione;
• 10-10-10-3s. Era delle particelle: disaccoppiamento delle forze elettroma-
gnetica e nucleare debole;
• 10-3-180 s. Era della nucleosintesi (elettroni, protoni, neutroni, neutrini):
annichilazione tra materia e antimateria;
• 180 s – 300000 anni. Era dei nuclei: l’universo è un plasma di idrogeno
e di elio;
• 300000 anni. Si formano gli atomi e i fotoni sono liberi di muoversi gene-
rando la radiazione cosmica di fondo (vedi fig. 2);
• 300000-109 anni. Era degli atomi: si formano le prime stelle e le prime
galassie
• 109 anni-oggi. Era delle galassie: presenza ed evoluzione delle galassie e
Astronomia ieri e oggi - Creazione ed evoluzione cosmica 101
Fig. 3: Le fasi salienti della espansione cosmica. Si noti la formazione delle prime stelle,
a circa 400 milioni di anni dal Big Bang, e l’espansione accelerata in atto
da circa 5 miliardi di anni (Foto Nasa, 2008).
zione avviene secondo la scansione temporale dei sei giorni più il settimo
giorno consacrato al riposo. Culmine della creazione, che val dal grande al
piccolo come dimensione e dal piccolo al grande come contenuto di valore,
è l’uomo che è costituito signore del creato, responsabile e custode di esso.
Il palinsesto di questo racconto attinge abbondantemente alla cosmogonia e
alla cosmologia babilonese per le quali la creazione era frutto della lotta con-
tro il caos e dunque la creazione è una sorta di rimessa in ordine di quanto
c’è. A differenza di quella babilonese la creazione biblica avviene attraverso
la parola che è lo strumento principe della relazione: questo ci lascia già intu-
ire cosa sia la creazione per la Bibbia: una relazione tra creatore e creatura.
Relazione che si esprime al meglio nel riposo sabbatico, giorno riservato al
rapporto con Dio nel grande tempio che è il creato.
Nel secondo racconto della creazione, Gen 2, 5-25 dopo il cielo e la
terra, Dio crea subito l’uomo; ma un essere solitario di nuovo non cresce
perche non può coltivare la relazione e allora Dio crea gli animali ai quali il
primo uomo assegna il nome, cioè ne dichiara, nel nome, la natura intima,
ma non sono la compagnia adatta all’uomo che invece ha bisogno di un
essere alla pari per relazionarsi e allora Dio crea la donna.
La presenza di due racconti mette in luce il fatto che la riflessione sulla
creazione è stata fatta in ambienti diversi e in epoche diverse; gli esperti di
esegesi biblica ci dicono ad esempio che il secondo racconto è più antico
del primo e sono anche in grado di dirci che il primo racconto, quello più
recente, proviene da ambienti legati al culto quindi al mondo sacerdotale in
epoca tarda dopo l’esilio babilonese, mentre il secondo racconto, più antico,
proverrebbe da ambienti che si caratterizzano per il fatto di chiamare Dio
col nome di Jahwe.
Questo è un esempio di come (e non lo si ripeterà mai abbastanza) il
testo biblico voglia offrire una riflessione sul senso della realtà e non indica-
zioni scientifiche su di essa.
A riconoscere l’esistenza di una duplice fonte dei racconti della creazione
ci ha condotti lo studio delle forme letterarie della Bibbia. Studio sviluppatosi
alla fine del 1800 e che ha consentito di pervenire un po’ alla volta ad una
corretta lettura e interpretazione del testo biblico. Su questi nuovi metodi
esistono anche pronunciamenti ufficiali (Pio XII, Concilio Vaticano II, Pontificia
commissione biblica)1: la Bibbia non è un testo di scienza ma un testo reli-
gioso, che racconta l’esperienza di fede di un popolo (quello ebreo) e di una
persona (Gesù Cristo), popolo e persona che volevano capire il senso delle
cose e il perché della loro esistenza e non il come queste cose siano venute
all’esistenza; la risposta a queste domande l’hanno trovata nella rivelazione
di Dio creatore, rivelazione fatta di parole e di opere.
Un primo dato viene colto dagli autori della Bibbia: il creato è bello e
buono. Ce lo dice il ritornello che viene scandito alla fine di ogni giorno della
creazione quando si afferma che Dio avrebbe detto “e Dio vide che era cosa
buona”, dove il termine buona in ebraico ha il doppio significato di buono e
bello. Tra quanto è creato c’e anche l’uomo, del quale solo si dice che era
“cosa molto buona”, che dunque non è fuori dalla creazione ma ne segue le
stesse leggi: un essere, come tutti gli esseri, in divenire.
Il creato non è dato tutto all’inizio ma sperimenta la temporalità: un po’
alla volta, dietro all’immagine dei sette giorni della creazione, l’universo si
struttura secondo le sue diverse componenti che culminano nell’uomo. Dun-
que c’è una gradualità temporale e anche qualitativa che si evidenzia nel
fatto che l’uomo sarebbe l’unico essere capace di dialogo col creatore.
Tutti gli esseri creati sono in cammino, si evolvono verso una pienezza
del loro essere perché non è dato tutto all’inizio ma tutto va esperito, pro-
vato, tentato per poter raggiungere il meglio e il massimo di ciò che si può
essere. In questa visione il Dio creatore è quello che assicura, tutela, garan-
tisce questa possibilità di sviluppo, di crescita, di cambiamento.
1
Il papa Pio XII emanò una Enciclica, la Divino Afflante Spiritu, che fu di fondamentale impor-
tanza nel dare nuovo vigore ed entusiasmo agli studi biblici e soprattutto per farli aprire alla
accoglienza dei nuovi metodi esegetici. Per il Concilio Vaticano II il documento dedicato alla
Bibbia e alla rivelazione è la Dei Verbum; la Pontificia commissione biblica ha pubblicato nel
1993 un importantissimo documento il cui titolo “L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa”
si spiega da sé. Sul sito del Vaticano (www.vatican.va) è possibile reperire tutti i discorsi e gli
interventi dei pontefici e gli interventi delle congregazioni vaticane sui rapporti scienza e fede.
Per una informazione essenziale sulle forme letterarrie nella bibbia si veda Lohfink.
Astronomia ieri e oggi - Creazione ed evoluzione cosmica 105
2
Teilhard De Chardin, Notes sur les modes de l’action divine dans l’universe (1920), in Comment
Astronomia ieri e oggi - Creazione ed evoluzione cosmica 107
Il progetto intelligente
Se Dio offre una ricchezza di possibilità di scelta, quale strada prende l’evo-
luzione e perché quella e non un’altra? Le posizioni sono varie. C’è chi pensa
ad un percorso precostituito, pensato e progettato da Dio e chi invece pen-
sa che Dio conferisca alle creature la forza perché esse stesse si aprano la
strada attraverso le strutture spesso resistenti e ostili della Natura: è quella
je crois (Oevres 10, 1969); ‘La vision du passe’ (Oevres 3, 1957); Le fondements et le Fond de
l’idee d’evolution (1926) in ‘La vision du passe’ (Oevres 3, 1957) (Theilhard De Chardin, trad. it.
Di F. Ormea, Vallecchi, Firenze 1968); Sur la notion de transformation creatrice, in Comment je
crois (Oevres 10, 1969). Si veda anche Procacci.
3
Carlo Molari (in bibliografia [7]-[10]) si è occupato di queste tematiche con articoli apparsi in
vari numeri della rivista Rocca. Un articolo che riassume bene le sue idee, dal titolo “La cre-
azione non è finita: dialogo tra scienza e fede” è apparso nella rivista Vita Monastica, n. 237
(luglio-dicembre 2007) e ad esso rimandiamo per ulteriori dettagli.
che Darwin chiamava selezione naturale operata attraverso l’ereditarietà. In
questo caso l’azione creatrice accompagna sempre il processo evolutivo
nel senso che ne alimenta lo sviluppo senza determinare le forme che esso
assumerà.4
Accanto a questa posizione vi è quella di un movimento sorto negli USA
come ramo di un altro movimento di creazionismo estremo, che ammet-
te l’evoluzione ma questa sarebbe pilotata dall’esterno. Questo movimento
prende il nome di progetto intelligente e si presenta con una parvenza di
scientificità anzi afferma che la scienza dovrebbe essere in grado di trovare
evidenti tracce di tale progetto.
Ma il progetto fa acqua da diverse parti. Anzitutto i dati che la scienza
dovrebbe interpretare come dimostrazioni dell’esistenza di un progetto in
realtà trovano varie spiegazioni senza la necessità di ricorrere ad interven-
ti divini, cosa questa sempre estremamente pericolosa perché rischia di
ridicolizzare la stessa fede. Certamente il creato suscita domande, pone
problemi molti dei quali insoluti ma questo non è sufficiente per vedere in
questo una prova dell’esistenza di Dio e della sua azione nel creato. Si tratta
evidentemente ancora una volta di una incresciosa confusione di due piani
della realtà, l’uno attingibile attraverso la scienza e l’altro attraverso la fede.
Due piani che proprio per la loro diversità esigono metodi e approcci diversi
che è pericoloso scambiare e confondere tra di loro.
È ovvio che per chi crede nel progetto intelligente tutto è precostituito,
nel senso che Dio avrebbe già previsto tutto e dunque i gradi di libertà del-
la creazione in realtà sarebbero nulli, e tutti saremmo già inesorabilmente
segnati da un destino che annullerebbe di fatto la libertà di scelta di ogni
vivente.
Ancora una volta occorre chiarire che la scienza si appoggia sulla analisi
delle cause efficienti mentre le cause finali esulano dal metodo scientifico.
La potenza della scienza infatti sta proprio nell’essersi concentrata nello
studio delle cause efficienti, lasciando le cause finali alla filosofia, alla meta-
fisica e alla teologia. E questo non per disprezzo ma per coerenza di scelte
di campo.
4
Vedi nota 3.
Astronomia ieri e oggi - Creazione ed evoluzione cosmica 109
Un universo ricco
Se è importante sottolineare come la scienza si occupi di cause efficienti
(per capirsi la scienza considera solo effetti che seguono ad una causa e
non effetti che precedono le cause), va anche detto che la realtà non è solo
quella che cade sotto la lente di ingrandimento della scienza. Esiste infatti
tutta una fetta della realtà che esula, va oltre, non si lascia imbrigliare entro
i confini talora angusti della analisi scientifica.
Ed è una parte non trascurabile almeno per quella componente dell’uni-
verso che si chiama umanità e che gioca il suo vivere nell’arena delle re-
lazioni umane e delle soggettività. Gli ambiti affettivi, relazionali, estetici,
spirituali godono della stessa realtà di cui gode un atomo se non addirittura
di più, anche se per descriverli non ricorriamo a particolari teorie fisico-
matematiche.
Chi volesse proporre una teoria del tutto, ed esistono persone che pen-
sano ad una teoria del tutto, deve tener conto che non esiste una teoria
scientifica del tutto perché la realtà non è tutta scientifica.
John Barrow, nella sua opera monumentale sul principio antropico5 ma
anche in altre opere successive, lo dice chiaramente e credo che le sue
siano affermazioni credibili perché arrivano da una fonte al di sopra di ogni
sospetto. Egli afferma che non esiste teoria scientifica che sia in grado di
spiegare la bellezza di un notturno di Chopin, o il fascino di un dipinto, o
l’emozione suscitata da una poesia. La scienza non può nulla per spiegarle
eppure sono reali!
Forse sono affermazioni ovvie e scontate, ma ciò che vogliono sottoli-
neare è che ogni forma di esclusività del conoscere è un modo di falsificare
il reale.
Se conoscere vuol dire poter vivere meglio allora non basta la scienza
così come non basta la filosofia, la teologia, l’estetica, l’economia… Sono
tutte egualmente importanti e necessarie.
5
John D. Barrow si occupa di cosmologia teorica ma anche di tematiche interdisciplinari, so-
prattutto cercando di cogliere quei dati della scienza che pongono o possono porre domande
di carattere filosofico e metafisico. Gran parte delle sue opere su questi argomenti sono state
tradotte in italiano e sono facilmente reperibili (si vedano le indicazioni bibliografiche 11-13.
Per non litigare
I problemi tra scienza e teologia6 sorgono dunque quando ciascuna delle
discipline che ci servono per capire chi siamo, dove siamo, perché ci
siamo, presume di essere l’unica detentrice della chiave di lettura per
tutta la realtà. E il problema si chiama allora interazione dei saperi o asso-
lutizzazione di qualcuno di essi a scapito degli altri. Saperi diversi hanno
metodi diversi [14] che non sempre sono intercambiabili tra di loro, e que-
sta diversità non inficia a priori la bontà dei rispettivi risultati. Così come
non ha senso usare la metafisica per descrivere l’evoluzione stellare, allo
stesso modo sarebbe di nessuna utilità usare la meccanica quantistica
per spiegare l’innamoramento tra due persone e le scelte di vita che esso
comporta.
La storia ci dice che ogni volta che si sono create indebite intrusioni
del metodo di una disciplina nell’ambito di un’altra sono sorti problemi
assai gravi.
Un esempio per tutti sia il caso Galileo e la lettura scientifica del testo
biblico. A chi voleva far dire al testo ispirato ciò che esso non voleva dire,
ossia voleva ricavare dalla Bibbia il modello del cosmo, Galileo ricorda
che al testo biblico occorre chiedere il perché della creazione: è il perché
che poi determina le scelte di vita che, come affermava Galileo, possono
“condurre al cielo”. Personalmente credo che questo sia uno dei mag-
giori contributi che Galileo abbia dato all’umanità’ ossia il riconoscimento
dell’esistenza di piani diversi della realtà da affrontare con metodi diversi.
La condanna di Galileo aveva infatti la sua radice proprio nel fatto che un
laico si permetteva di insegnare ai teologi come si leggeva la Bibbia e
lo faceva proprio perché era credente. Egli credeva che il Dio che aveva
ispirato la Bibbia era lo stesso Dio della creazione, perciò creazione e
rivelazione non potevano essere in contrasto tra di loro, ma ogni apparen-
te contrasto doveva essere il segno di una incapacità umana di leggere
correttamente l’uno e l’altro dei due libri.
Sono passati quattro secoli da quando quell’errore grossolano è stato fatto
e oggi lo stesso errore rischia di essere ripetuto da entrambe le parti: una
scienza alcune volte arrogante e tronfia di se stessa, e una teologia pau-
rosa di sminuire il creatore se riconosce nel creato una potenza autonoma
che in realtà altro non è se non il segno di un amore che tale potenza ha
6
Occorre distinguere tra fede e teologia. La teologia è propriamente, nella cultura occidentale,
lo studio razionale del dato rivelato, studio condotto attraverso gli strumenti della filosofia e
delle scienze umane e in tal senso, come tutte le scienze cha nascono dall’uomo, è scienza
non assoluta ma perfettibile. La fede invece non rientra nel campo delle scienze ma delle scelte
e delle decisioni umane che vengono prese quando si tratta di una relazione. Dunque prima si
dà la relazione tra uomo e Dio, poi la riflessione razionale sul contenuto e sul significato di tale
rapporto e questa riflessione la chiamiamo teologia.
Astronomia ieri e oggi - Creazione ed evoluzione cosmica 111
immesso nella creature. Il dialogo nasce laddove c’è una sincera e serena
ricerca della verità, verità che per sua natura non è possesso esclusivo di
nessuno bensì è un mosaico che necessita di infiniti tasselli per offrirsi alla
contemplazione e alla continua ricerca della sua completezza.
Il telescopio rifrattore Zeiss da 50cm di diametro, sul quale è montato anche un telescopio
solare (il tubo dorato in basso a sinistra)
La sede della Specola Vaticana presso il palazzo papale di Castel Gandolfo. Sono visibili le due
cupole del telescopio rifrattore Zeiss e del doppio astrografo Zeiss.
Bibliografia essenziale
[1] H. Allen Orr 2005, “Intelligent design, il creazionismo evolutivo”, Le Scienze, n. 446
[2] G. V. Coyne 2006, “Science Does Not Need God. Or Does It? A Catholic Scienti-
st Looks at Evolution”, testo in http://www.catholic.org/national/national_story.
php?id=18504&page=1
[3] P. Greco 2001, “Diabolico Darwin”, Rocca, Pro Civitate Christiana Assisi, n. 4,
p. 39.
[4] L.S. Lerner 2000, “Good and bad Science in US schools”, Nature n. 407, 287,
[5] G. Lohfink 1981, “Ora capisco la Bibbia. Studio sulle forme letterarie della Bib-
bia”, ed. EDB.
[6] S. Procacci 2009, “Creazione continua, principio unitivo e responsabilità umana
secondo Teilhard De Chardin”, in Poietica. Rassegna critica di filosofia e di scien-
ze umane, anno XIX, n. 21.
[7] C. Molari 2004, “L’azione di Dio in un contesto evolutivo” Rocca, Pro civitate
Christiana, Assisi, n. 16, p. 52
[8] C. Molari 2006, “Il caso ed il progetto intelligente”, Rocca, Pro civitate Christiana
Assisi, n. 20, p. 54
[9] C. Molari 2004, “Creazione ed evoluzione un po di confusione”, Rocca, Pro civita-
te Christiana Assisi, n. 11, p. 57
[10] C. Molari 2007, Vita Monastica n. 237, testo in www.biosferanoosfera.it/scritti/
MOLARI%20SITO.pdf
[11] J. D. Barrow 1991, “Il mondo dentro il mondo”, Adelphi
[12] J. D. Barrow 1992, “Teorie del tutto”, Adelphi
[13] J. D. Barrow, F. J. Tipler 2002, “Il principio antropico”, Adelphi
[14] M. Mayer e M. Vicentini 1996, “Conoscenza Comune e Conoscenza Scientifica”,
in Didattica della Fisica, a cura di M. Vicentini e M. Mayer, La Nuova Italia, p. 25.
Astronomia a scuola
Prospettive per un insegnamento
integrato delle scienze
Aldo Altamore
Astronomia a scuola
Prospettive per un insegnamento integrato delle scienze
Aldo Altamore
Docente di Fisica e Didattica dell’Astronomia
Università degli Studi Roma Tre
Introduzione
L’astronomia fin dall’antichità ha avuto un profondo impatto sull’intelletto e la
cultura degli uomini nei più diversi contesti sociali ed è stata determinante
per lo sviluppo delle civiltà. Con alterne vicende nel corso di migliaia di
anni l’umanità ha accumulato conoscenze ed osservazioni astronomiche:
non a caso, l’inizio della modernità che ha portato alla presente civiltà del-
la conoscenza e all’immenso sviluppo tecnologico attuale ha mosso i suoi
primi passi dalla rivoluzione astronomica copernicana, dalle osservazioni al
telescopio di Galileo e dalle teorie di Keplero e di Newton.
Negli ultimi decenni l’astronomia ha attraversato una fase di grande svi-
luppo che ha portato ad una visione dell’universo impensabile solo pochi
decenni fa.
Un secolo fa avevamo una conoscenza molto parziale della nostra ga-
lassia, la Via Lattea, che la maggior parte degli astronomi allora ancora
identificava con l’universo intero, mentre ancora ci si interrogava sulla natura
delle cosiddette nebulose a spirale poi rivelatesi essere galassie simili alla
nostra. Anche la conoscenza sulla struttura e l’origine del sistema solare era
molto limitata e non si aveva modo di verificare l’esistenza di pianeti intorno
ad altre stelle. Il cielo veniva studiato solo attraverso i telescopi ottici e la
fotografia astronomica era ai suoi primi passi.
Oggi, sappiamo che l’universo ha un’età di circa 13,7 miliardi di anni,
che è popolato da centinaia di miliardi di galassie, e ci interroghiamo su
nuovi affascinanti aspetti come la materia e l’energia oscure. Abbiamo sco-
perto quasi 400 pianeti attorno ad altre stelle della nostra galassia [1] e gra-
zie allo sviluppo dell’astronautica e ai progressi della tecnologia possiamo
osservare il cosmo in tutte le frequenze, dalle onde radio ai raggi gamma
Astronomia ieri e oggi - Astronomia a scuola 115
Evidenza della presenza di materia oscura nell’ammasso di galassie 1E 0657-56. Immagine otte-
nuta dalla sovrapposizione delle osservazioni dei telescopi spaziali Hubble, Magellano e Chandra.
La distribuzione della massa della materia oscura, in blu, è dedotta dall’effetto “lente gravitazio-
nale”, in rosa il gas intergalattico osservato nei raggi X da Chandra.
al telescopio di Galileo è stato proclamato anno internazionale dell’astrono-
mia (International Year of Astronomy (IYA2009). Una celebrazione universale
caratterizzata da una grande attenzione per l’educazione scientifica e che
intende promuovere, specialmente tra i giovani, l’interesse per la scienza
per mezzo di innumerevoli iniziative organizzate su scala internazionale, na-
zionale, e locale [2].
In questo contributo cercherò di illustrare il ruolo che l’astronomia può
svolgere nella scuola ai fini della trasmissione dei saperi scientifici, sia
nell’ambito dell’educazione formale che in quello non formale. Nel contesto
cercherò anche di indicare alcuni strumenti minimi che potranno essere utili
ai docenti nella pratica didattica quotidiana.
La galassia M 51 dai disegni di Angelo Secchi (Le Stelle 1877) e osservata dal
telescopio spaziale Hubble.
I disegni di Galileo delle fasi di Venere; b) Immagini della superficie di Venere ottenute nelle fre-
quenze radar dalla sonda Magellano (NASA). Sull’orizzonte il vulcano Gula, alto 3000 m, al centro
il cratere Cunitz il cui diametro supera i 48 km.
Didattica non formale al Museo del Bali (Foto: Michela Bamonte e Livia Giacomini)
Astronomia e scienze
È l’attività chiave del progetto. Nell’anno scolastico 2008-09 l’iniziativa ha
coinvolto circa 2500 studenti della scuola secondaria superiore.
La proposta offre occasioni di approfondimento interdisciplinare delle
scienze attraverso strumenti e stimoli basati sull’astronomia e nello stesso
tempo cerca di sperimentare nuove forme di collaborazione didattica tra la
scuola e il mondo della ricerca scientifica. L’attività consiste in due interventi
tenuti prevalentemente da giovani astrofisici delle tre università romane. Gli
interventi della durata di circa due ore sono strutturati in una lezione dialogata
seguita da una semplice attività pratica, possibilmente del tipo hands-on. Si
cerca di sollecitare nei ragazzi la curiosità con lo scopo di favorire il pas-
saggio da un apprendimento passivo di domande e di risposte in cui tutto
è risolto ad un coinvolgimento personale che permetta la costruzione di
opinioni motivate.
I temi trattati riguardano problematiche astronomiche strettamente con-
nesse con tutte le scienze naturali. I docenti della scuola possono liberamen-
te scegliere due tra i seguenti titoli:
- Il Sole e la sua influenza sull’ambiente interplanetario e terrestre
- La geologia del pianeta Terra e degli altri pianeti del sistema solare
- Il vulcanismo nel sistema solare
- Origine ed evoluzione della vita e la ricerca della vita extraterrestre
- Nascita ed evoluzione delle stelle
- La nostra galassia nell’Universo
- Astronomia antica e moderna
Le costellazioni nella cultura africana (South Africa astronomical Observatory, Starlore 1998 )
I telescopi didattici
Gli sviluppi tecnologici più recenti, in particolare quelli dell’informatica e nel
campo dei rivelatori di radiazione (in particolare le camere CCD) permettono
oggi di compiere con piccoli telescopi osservazioni e misure astronomiche
che solo qualche anno fa erano appannaggio di telescopi professionali. Que-
sto offre alla didattica dell’astronomia e della fisica nuove interessanti oppor-
tunità. A titolo di esempio in figura sono mostrati alcuni spettri ottenuti con
un piccolo telescopio didattico, uno Schimdt Cassegrain, ∅20 cm, f/10.
Questo tipo di strumentazione ha già permesso a molte scuole di dotarsi
Il Very large telescope dell’ESO (VLT) , situato sul Cerro Paranal (2600 m) nel deserto cileno di
Atacama, è il più grande telescopio ottico del mondo. È costituito da quattro strumenti principali
i cui specchi hanno il diametro di 8,2 m, e da quattro strumenti ausialiari da 1,8 m. I telescopi
possono anche lavorare insieme in modalità interferometrica; questo permette di ottenere un
potere risolutivo dell’ordine del millesimo di secondo d’arco.
di laboratori di astrofisica che rappresentano un ottimo esempio di integra-
zione didattica tra l’insegnamento delle scienze e quello di fisica, come per
esempio l’osservatorio realizzato dal liceo Parini di Milano [28].
Un altro aspetto interessante è quello dei telescopi a controllo remoto,
che permettono alle scuole di acquisire dati in tempo reale attraverso la
strumentazione che viene messa a loro disposizione e che può essere con-
trollata direttamente dal docente o dagli studenti attraverso la connessione
internet; tra questi ricordiamo il telescopio Tacor del dipartimento di Fisica
dell’Università La Sapienza di Roma [29] e il Virtual telescope [30].
Planetari
Come è noto, una risorsa didattica molto importante è quella dei planetari.
Oltre ai grandi planetari presenti nelle maggiori città italiane, che possono
ospitare centinaia di spettatori, esistono, anche in provincia, decine di altri
piccoli planetari, gestiti da istituti scolastici, science center o dalle asso-
ciazioni amatoriali afferenti all’Unione astrofili italiani [31]; per un elenco si
consulti: www.astrofilibresciani.it/Planetari/Elenco_Planetari.htm
Astronomia ieri e oggi - Astronomia a scuola 129
vega (A0V)
H Ha
b
DENEB (A21)
SOLE (G2V)
Na Ha
ANTARES (M1I)
Fe Na
Serie di spettri stellari acquisiti dal telescopio didattico del dipartimento di Fisica E. Amaldi
dell’Università Roma Tre. A titolo orientativo sono identificate alcune righe di assorbimento. (Cor-
tesia Enrico Bernieri).
Conclusioni
Come abbiamo visto l’astronomia può svolgere un ruolo chiave ai fini di un
insegnamento/apprendimento significativo delle scienze fisiche e naturali.
Dal monitoraggio delle esperienze educative non formali di carattere
astronomico che finora sono state attuate nella scuola secondaria emergo-
no apprezzamento ed interesse da parte degli studenti, degli insegnanti e
degli scienziati coinvolti.
È quindi auspicabile che il tipo di approccio proposto, basato sulla stret-
ta collaborazione tra scuola e mondo della ricerca, possa essere replicato
in altri contesti e per scuole di diverso ordine. Inoltre, l’astronomia per il
fascino che esercita sulla generalità delle persone è un canale privilegiato
di comunicazione della scienza e si può configurare come un efficace stru-
mento anche per l’apprendimento permanente (Lifelong learning) che, come
auspicato dalle indicazioni dell’Unione europea [32], dovrà assumere una
sempre maggiore rilevanza.
Per quanto riguarda poi la cornice generale dell’integrazione multidisci-
plinare, un elemento portante di unificazione è certamente rappresentato
dalla tematica dell’evoluzione chimica, fisica, geologica, biologica ed antro-
pologica del cosmo, dal Big Bang alla presente civiltà globale.
Come è noto, questo quadro evolutivo è il frutto dell’investigazione scien-
tifica multidisciplinare degli ultimi duecento anni; tuttavia la consapevolezza
dell’Evoluzione non è ancora stata interiorizzata a pieno dalla generalità del-
le persone, anche da quelle che hanno un’istruzione superiore. Pertanto
è culturalmente importante sviluppare itinerari, che, a partire dalla scuola,
favoriscano la maturazione di questa consapevolezza.
Astronomia ieri e oggi - Astronomia a scuola 131
Bibliografia essenziale
1. Per l’astronomia e le scienze della terra non esiste a scuola una radicata
tradizione didattica: bisogna inventarsi strategie, contenuti, modalità di
lavoro
2. astronomia e scienze della terra, nella maggior parte dei casi, non esi-
stono come discipline, anzi si caratterizzano per la loro trasversalità e
possono interessare più ambiti disciplinari: questo è sembrato essere per
tutti i partecipanti un punto di forza.
3. Il laboratorio per l’astronomia e le scienze della terra parte essenzial-
mente dall’osservazione diretta dei fenomeni e non permette sempre una
riproduzione in laboratorio degli stessi.
Occorre non allontanarsi dagli obiettivi del piano ISS:
• Situazione laboratoriale
• Gioco ed esplorazione attiva
• Prospettiva verticale
• Lavoro didattico culturalmente creativo
• Insegnante come mediatore attivo
• Sceneggiatura emblematica di azione didattica validata in classe
• Sceneggiatura emblematica di cooperazione professionale
Astronomia ieri e oggi - Osservatori, musei, nuove tecnologie e media 141
Radiotelescopio
Remote lab
• Il progetto “Esperimenti in remoto” ha inizio nell’anno 2000 con un pro-
gramma “insegnamento di concetti di base delle scienze mediante azione
e monitoraggio remoto di applicazioni reali nel settore produttivo” per conti-
nuare parallelamente nell’anno 2002 con un programma simile ma rivolto ad
alunni della scuola superiore “Sistema di esperimenti remoti di fisica, chimica
e biologia per l’insegnamento nella scuola secondaria superiore” che ha por-
tato alla realizzazione di sistemi per esperimenti remoti.
• L’obiettivo principale del programma è stato di creare una piattaforma che
permette l’applicazione della tecnica dell’information technology all’educazio-
ne, permettendo parallelamente di generare soluzioni nell’automazione dei
processi reali utilizzati attraverso internet da qualsiasi parte del mondo, per
ottenere così un effettivo trasferimento al settore pubblico.
Gli esperimenti remoti nascono in virtù della situazione in cui versa la
didattica delle materie scientifiche, e la mancanza di risorse per l’implemen-
tazione di laboratori adeguati che permettano di accompagnare la teoria con
esperimenti pratici e reali.
A vantaggio di questa situazione va il fatto che l’uso dei sistemi multime-
diali è attualmente ben conosciuto. Questi sistemi operano con programmi
che favoriscono la comunicazione e l’interazione di diversi utenti. L’insegna-
mento e l’educazione non sono che un particolare ambito, per cui le loro
potenzialità sono enormi.
La necessità di un’educazione più efficace nei campi della scienza e della
tecnologia, e i vantaggi che le nuove tecnologie creano ogni giorno, danno
un’ idea dei motivi per i quali sperimentare con un laboratorio on line in forma
remota, risulta attraente e comodo: porta un grande guadagno di tempo de-
stinato alla sperimentazione e opportunità illimitate di interazione con l’espe-
rimento stesso.
Gli esperimenti remoti prevedono una serie di apparecchi ad alta tecnolo-
gia, contenuti e integrati in un unico sito virtuale, via internet, che permette la
conduzione e la supervisione degli stessi con accesso in tempo reale. Si può
attivare un processo da qualsiasi posto che abbia una connessione internet,
per cui la portata e l’impatto di questo progetto è non solo regionale e nazio-
nale ma mondiale. Mediante queste apparecchiature è possibile effettuare il
trattamento e l’analisi dei dati nelle diverse aree delle scienze come chimica,
fisica e biologia. Senza ostacoli, il sistema può essere applicato ad altre aree
della conoscenza come un qualsiasi campo produttivo che richiede il monito-
raggio ed il controllo automatico.
è importante notare che tutti i dati acquisiti dal sistema sono dati reali,
soggetti alle stesse cause di errore che ci sarebbero in un esperimento in
presenza in laboratorio; in nessun momento si lavora con dati simulati, poiché
l’hardware e il software permettono la supervisione di variabili proprie delle
apparecchiature o del processo e il controllo via internet attraverso una inter-
faccia remota caricata su un navigatore convenzionale.
Astronomia ieri e oggi - Osservatori, musei, nuove tecnologie e media 143
Materiale di sostegno
Il sito web degli esperimenti remoti comprende anche tutto il materiale didat-
tico necessario per realizzare con successo ciascuno degli esperimenti:
• Guida teorico sperimentale: la guida contiene una spiegazione chiara di
ciascuno dei concetti relativi all’uso dell’esperimento, oltre a esempi ed
esercizi sull’argomento.
• Istruzioni per l’uso: dato che l’uso del laboratorio per gli esperimenti remoti
richiede l’uso di un sito web; si dà agli alunni una guida per l’uso del sistema
•Guida concettuale: questo documento permette al docente di disporre
di una guida di supporto che contiene tutti i concetti teorici approfonditi
dell’esperimento.
Astronomia
Informatica a scuola oggi
Matematica di base
Eccellenze
LIM
Clima
Energie
Mobilità
Geologia
Paleontologia
Scienze
Mondo mediterraneo
Alimentazione
Educazione sessuale
Laboratori di ricerca
L’attività
spaziale italiana
Enrico Saggese
L’attività spaziale italiana
Enrico Saggese
Presidente dell’asi (Agenzia Spaziale Italiana)
L’attività spaziale italiana ha radici profonde, tali che l’Italia può essere an-
noverata a ragione tra i paesi pionieri della conquista dello spazio. È questa
una inevitabile quanto fondamentale premessa per comprendere quanto sia
stato e sia importante per il nostro paese questo settore e quale mole di
attività dovrei qui descrivere per essere esaustivo del ruolo che il nostro
paese ha saputo costruirsi nel contesto internazionale. Per questo cercherò
di individuare dei temi da affrontare separatamente ma il cui insieme sappia,
mi auguro, fornire a voi che leggete, un quadro d’insieme che vi renda orgo-
gliosi di essere italiani.
sintesi di quanto accennavo prima, che scienza e tecnologia sono due parti
della stessa cosa: la voglia di conoscenza che porta sapienza, e il sapere
produce evoluzione e beneficio per l’uomo.
Le tecnologie spaziali hanno, infatti, letteralmente trasformato la nostra
vita quotidiana nel corso degli ultimi decenni. Basta pensare alle teleco-
municazioni, dalla telefonia mobile alla televisione satellitare, oppure alla
meteorologia, che è arrivata a una grande accuratezza di previsioni proprio
grazie all’uso di satelliti. Ma gli esempi sono moltissimi. Le missioni spaziali
sono così complicate dal punto di vista tecnico che costringono i progettisti
a inventare soluzioni creative che poi si rivelano utili in molti altri campi. Basti
pensare alla miniaturizzazione dei componenti elettronici su cui si basano
tutte le moderne tecnologie informatiche, che è nata in ambito spaziale,
dove c’era la necessità di ridurre al massimo peso e dimensioni delle attrez-
zature senza rinunciare a potenza di calcolo. In futuro, sono forse le tecnolo-
gie di navigazione satellitare quelle che porteranno maggiori trasformazioni.
Il traffico aereo per esempio ne sarà rivoluzionato, il controllo via satellite de-
gli aerei eliminerà i buchi dell’attuale copertura radar, e consentirà persino
di utilizzare aerei senza pilota per il trasporto merci.
Pianeta Marte