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Documento 3011
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Gustavo Giovannoni
Concetti generali
Definizione di monumento
I vecchi nuclei centrali di città come Roma, Genova, Bologna, il quartiere S. Pellegrino di
Viterbo, le piccole città di S. Gemignano, di Caserta vecchia, di Volterra, di Pienza, sono
tutto un monumento collettivo, anche colà dove non v'è nulla di particolarmente
importante e grandioso. Piazze come quella Farnese in Roma, della Signoria a Firenze,
del Plebiscito a Napoli, del Capitano a Padova, del Duomo a Trento, del Campo a Siena,
non soltanto sono monumento urbanistico per loro stesse, ma rappresentano nella loro
forma planimetrica e nel loro schema tridimensionale, l'ambiente per la visione
prospettica e per l'apprezzamento dell'opera architettonica principale.
Questi concetti sono ufficialmente espressi nella Legge fondamentale sulle Belle Arti del
1909, seguita dalla recente Legge del 1939. Ivi si parla di tutela di cose d'importante
interesse storico ed artistico accomunando opere immobili ed oggetti mobili, si
stabiliscono norme per la notifica ai proprietari, e si decreta che la tutela della loro
conservazione e l'approvazione di eventuali lavori di trasformazione spetti alle
Soprintendenze ai monumenti, cioè agli organi regionali che lo Stato ha istituito all'uopo
e che dipendono dalla Direzione generale delle Belle Arti nel Ministero della Pubblica
Istruzione. Analoga tutela ed analoga approvazione riguardano le opere che stanno
intorno agli edifici contemplati dalla Legge e ne interessano la vista e la prospettiva, cioè
più in generale, le condizioni di ambiente((1) Vedi all'ultimo capitolo di questo volume1).
Mentre dunque lo studio diretto ed il restauro di vario ordine dei monumenti richiede
nell'architetto una preparazione in cui si uniscono cognizioni storiche ed archeologiche
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con quelle tecniche ed artistiche, questa nuova concezione che può dirsi urbanistica
richiede una sensibilità nei riguardi dell'ambiente, che confina con quella della tradizione
nazionale e locale.
Particolarmente questa attività è di valore attuale nel momento presente, in cui, dopo le
rovine prodotte dalla guerra, occorre salvare i nostri monumenti, e tutta una nuova era di
lavoro si apre intorno ad essi; ed anche talvolta, si può trarre inesattamente dalle
distruzioni elementi nuovi di conoscenza e di apprezzamento.
Parte I
Il restauro deve collegarsi con la storia analitica dei singoli monumenti; la quale, se si
riannoda alle cognizioni generali della storia dell'architettura, ne è non soltanto un
complemento in maturità di preparazione culturale e costruttiva, ma anche
un'applicazione a casi spesso complessi e multipli, che una trattazione sintetica rende
necessariamente unitari e semplici.
Non v'è infatti forse monumento che risponda ad unità di concetto e di attuazione, senza
alterazioni, e senza sovrapposizioni di varie fasi. Queste vicende occorre quindi, per
quanto è possibile, conoscere quando ci si accinge ad un restauro; e viceversa il
restauro, con la osservazione diretta, offre una preziosa occasione, che non deve
lasciarsi disperdere, per lo studio del monumento e per la cognizione di queste sue
vicende costruttive ed artistiche.
Solo quando questo lavoro di storia analitica sarà su vasta scala compiuto, il che
richiederà spesso la collaborazione, a grado uguale, di architetti, archeologi, storici
dell'Arte (quando non sia possibile riunire queste varie competenze in una sola persona),
si potrà ricomporre la storia dell'architettura, la quale in molti punti ancora presenta
lacune, incertezze, dati convenzionali. Basti citare comeesempi il Pantheon, che è
ancora discusso tra Augusto e Adriano, il Battistero di Firenze e S. Maria della
Roccelletta di Squillace, la cui data ancora oscilla tra il V ed il XII secolo, ed i monumenti
della Persia, dell'Armenia, dell'Asia minore, che ancora non sappiamo se siano
precursori delle chiese occidentali del Medio Evo o ne dipendano, ecc.
Questa storia analitica dei monumenti deve avere il suo metodo, il quale deve
rispondere ai seguenti principi: risalire alle fonti, lasciando per un momento da parte le
cognizioni convenzionali e domandando la ragione di ogni affermazione di date e di
autori; affrontare tutti i mezzi d'indagine per ricostruire il processo formativo, acquistando
una relativa sicurezza solo quando da diverse parti convergono ad un unico risultato.
Tali mezzi d'indagine possono così dividersi: Documentazione, che può essere diretta
ed indiretta; Studio del monumento, che riguarda la ricerca intrinseca dell'organismo e
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delle varie sue fasi, ed i raffronti stilistici, i quali possono essere di ordine costruttivo ed
artistico.
1. Documentazione
I documenti diretti sono attinenti alla vita stessa del monumento e sono fatti per
tramandarne le vicende.
I più tipici sono gli epigrafici, incisi solennemente sul monumento stesso. Talvolta sono
un vero collaudo esposto al pubblico, come nell'Eretteo di Atene, in cui partitamene
vengono riportate tutte le spese occorse, o come nel tempo di Ercole a Cori e
nell'Acropoli di Ferentino, in cui si parla dell'approvazione dei Duumviri; talvolta
ricordano il donatore o colui a cui l'opera è dedicata, come nel Pantheon, negli archi
trionfali della Roma antica e nelle varie opere monumentali della papale; ovvero sono
quasi una firma degli autori, come nelle opere dei Cosmati, nelle indicazioni del Pontelli
ad Ostia, di Cola dell'Amatrice ad Ascoli, dell'Ammanati, del Guidetti, di Domenico
Fontana a Roma; o stabiliscono la data dell'opera, come nelle facciate di molte chiese
romane ed in particolare di quella del Gesù.
Può sembrare che il carattere pubblico di questi documenti li renda di una sicurezza
assoluta; ma non è sempre così. L'iscrizione augustea del fregio del Pantheon contrasta,
con una contraddizione cha mal sappiamo spiegarci, coi dati stilistici che assegnano ad
Adriano il monumento attuale, succeduto a quello fatto costruire da Agrippa; quella della
colonna Traiana che parla dei grandi lavori compiuti nella valle, è ancora controversa; le
date indicate sui prospetti lasciano incertezza se si tratti, nella lunga durata di un'opera,
del principio o della fine; le epigrafi si S. Flaviano di Montefiascone e del palazzo
Sacchetti in Roma (indicante la casa di Antonio da Sangallo) hanno subito forse
trasposizioni da altri edifici.
Anche dunque per questi documenti epigrafici s'impone un severo controllo, basato sul
confronto con altri dati, per considerare certe notizie che ci recano e fondare su esse
ulteriori deduzioni.
Altre documentazioni dirette sono fornite per l'antichità romana dai bolli di mattone
impressi dalle fornaci sulla loro superficie e che, con un paziente lavoro di raccolta fatto
nel C.I.L., è possibile identificare; ovvero dalle medaglie o monete sepolte nelle
fondazioni, secondo un antico uso che va dall'antichità ai tempi moderni, dal Colosseo al
portico berniniano di S. Pietro. E' superfluo dire però che tale testimonianza si riferisce
alla prima intenzione degli amministratori o dell'architetto, ma non alla forma definitiva.
Vengono poi, a cominciare dal Medio Evo, documenti d'archivio, che si riferiscono alla
vita economica od alla vita storica. Per l'economica sono contratti, conti, lodi peritali, dati
catastali; e tra essi talvolta appare incidentalmente il nome dell'architetto: Arnolfo, Giotto,
Brunelleschi per S. Maria del Fiore di Firenze, Enrico di Gmünd e Jean Mignot pel
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duomo di Milano, Lorenzo Maitani per la facciata del duomo di Orvieto, Bramante per S.
Pietro e pel chiostro della Pace, Andrea Sansovino per la Navicella in Roma.
Quanto agli altri dati, essi sono varissimi, ma spesso son da considerare con sospetto
per le frequenti esagerazioni di cronisti interessati o pavidi e per le facili possibilità di
equivoci e di errori quando i documenti non sono contemporanei. Spesso è da diffidare
quando si vuol collegare un avvenimento costruttivo ad un fatto storico. Si parla ad
esempio con terrore della distruzione di Milano da parte di Federico Barbarossa, mentre
ormai è noto che in quel saccheggio tutte le chiese milanesi rimasero intatte.
Così pure le notizie possono riferirsi ad una fase precedente ad una ricostruzione totale
o parziale. Spesso nel Medio Evo si ripetevano le consacrazioni delle chiese. Le bolle di
fondazioni possono essere state anch'esse ripetute all'atto di una nuova costruzione, di
cui non esiste più traccia documentaria. Così ad esempio il Dartein è stato portato a
ritenere del IX secolo le chiese lombarde, quasi tutte del XI, ed il Corsero di S. Quintino
a dire del VII quelle di Lucca; e per molti decenni la Storia dell'Architettura ne è stata
fuorviata.
Documenti diretti relativi alla vita architettonica formativa sono i disegni ed i modelli –
forma definitiva del progetto – che ce ne sono rimasti; ma è difficile stabilire se essi sono
veri progetti attuati ovvero misurazioni e rilievi. Di questi documenti plastici o grafici sono
pieni i musei dell'Opera dei principali monumenti che hanno avuto vita lunga e
complessa: S. Maria del Fiore di Firenze, S. Pietro di Roma, S. Petronio di Bologna, ecc.
Abbiamo infine dal Rinascimento in poi le biografie di artisti, che rappresentano l'inizio
della critica storica sui monumenti, ed ecco il Ghiberti, il Vasari, il Baglione, il Baldinucci;
e possono dirsi documenti diretti finchè si tratta di contemporanei, indiretti quando le
notizie sono derivate; e lo stesso può dirsi delle cronache o delle illustrazioni
monografiche. Qui rientra in pieno il giudizio dell'uomo, delle sue prevenzioni, delle sue
simpatie; e di tali elementi psicologici converrà tener conto nel valutare l'attendibilità
delle notizie e dei dati.
Tra essi sono quelli che possono dirsi letterari, come le descrizioni di Ovidio del Palatino
e di Marziale del Foro romano; o cronache di carattere generale e lettere con notizie
varie, come nel Cinquecento gli Avvisi urbinati che furono un embrione di giornale, od i
rapporti degli oratori veneti; o gli esempi portati dagli scrittori a sostegno delle proprie
teorie simboliche, come in S. Paolino di Nola, S. Gregorio di Nyassa, S. Euterio, il
vescovo Durand; o descrizione di monumenti, come quelle numerosissime del S.
Sepolcro che hanno accompagnato le relazioni sui viaggi in Terra Santa, e quelle
dell'Abazia di Farfa contenute nelle «Consuetudines farfenses», o dati indiretti che
risultano dalla donazione di oggetti sacri nel «Liber pontificalis», o dalla designazione del
clero officiante nei cataloghi delle chiese, o da lasciti cospicui a monasteri.
Anche sono documenti indiretti quelli che si traggono da piante generali di città, o
iconografiche come nel periodo romano la «Forma Urbis Romae», o le tante
prospettiche del Cinquecento e del Seicento, con cui possiamo seguire passo passo,
quasi anno per anno, lo sviluppo delle città e dei loro elementi edilizi.
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E' questo il fondamentale studio diretto del monumento, che va associato ai raffronti
stilistici (di cui parleremo) per riportare queste fasi a tipi ben definiti, ed a disegni, per
dare alle ricomposizioni forma concreta, definitiva o provvisoria.
Sovratutto i risultati di tale indagine consentiranno deduzioni o induzioni sulla vita del
monumento; il che, come si è detto, è necessario prima di intraprendere un restauro, e
viceversa riceve dal restauro, coi dati finora nascosti che essa porta, coi pontaggi che
richiede e che permettono da vicino l'esplorazione delle zone alte, una possibilità di
determinazioni che non si presenterà più e che non deve essere dispersa.
Anche per questo occorre stabilire che sempre il lavoro debba essere accompagnato dal
«Giornale del restauro», che non solo controlli il lavoro, ma registri con notazioni, misure,
disegni tutto ciò che si trova e che interessa la storia del monumento, sia che questa
venga riassunta in una immediata relazione, sia che in avvenire formi oggetto di una
completa monografia.
Diamo degli esempi: In S. Lorenzo di Milano l'aver trovato tutto il grande edificio, con le
sue appendici, basato su di un'unica platea, costituita coi frammenti di pietra del
prossimo anfiteatro romano, fa indurre che tutto sia stato costruito di getto in un unico
ciclo costruttivo. Il trovare che alla muratura della chiesa si è addossata quella del S.
Aquilino rende certi che nel lavoro in elevazione essa è venuta prima dell'altra: forse
però, combinandosi col precedente dato, a poca distanza di tempo.
Altro esempio: nell'Arcodi Costantino in Roma l'indagine ha trovato che le pietre delle
chiavi degli archi entrano a sottoquadro nella muratura; il che è prova evidente che esse
fanno parte della costruzione originaria, la quale vi ha sovrapposto il superiore strato di
pietre, e non possono esservi state inserite a cassetta, come vorrebbe una teoria
recente, la quale, per spiegare la differenza di stile e di carattere delle sculture, ha
supposto dette chiavi essere aggiunte in un secondo periodo.
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3. Raffronti stilistici
Elemento essenziale nello studio di un monumento e delle sue parti è il riferimento per
tipo similare ad altre opere architettoniche note; e qui entriamo in pieno nella storia
dell'architettura e, più in generale in quella dell'arte. Ogni opera può considerarsi un
elemento di una evoluzione continua, nella quale è da inserire l'opera che è oggetto del
nostro studio.
In architettura questa evoluzione è triplice, come è triplice la sua essenza, la quale può
riportarsi ai tre titoli vitruviani della utilitas, della firmitas, della venustas, cioè alla
rispondenza allo scopo utile che è il fine, alla consistenza costruttiva, che è il mezzo di
attuazione, al carattere d'arte che è la forma di armonia e di bellezza.
Assai più complessi sono i temi della costruzione, che è non soltanto il mezzo, ma il
presupposto della creazione artistica. Di questi temi i principali riguardano l'organismo
stesso dell'edificio e le possibilità di attuarlo con i mezzi e le conoscenze del tempo, il
che ha costituito limitazioni alle esigenze di spazio e di forma. Così, ad esempio, nel
periodo egiziano per la quasi assoluta mancanza di legname non è stato possibile
coprire grandi ambienti che con ristretti appoggi intermedi; il tempio greco, con
l'adozione delle coperture a capriate ma non a volta, ha assunto una forma immutabile
se non nei minuti particolari; col periodo romano comincia l'era della volta, che
continuerà con varie vicende per tutto il Medio Evo, e reca una maggiore libertà plastica
agli edifici più rappresentativi; ma le difficoltà nel risolvere i problemi costruttivi, come
quelli della effettiva esecuzione della volta nella parte alta degli edifici, e più ancora della
resistenza dei piedritti alle spinte laterali, hanno dato al sistema un lento
perfezionamento progressivo, basato sull'esperienza degli architetti e degli artefici. Solo
nel tempo di Adriano la padronanza è completa e le applicazioni proseguono sempre più
grandiose e sapienti fino al IV secolo. Basta questo per escludere alla ronda del
Pantheon la data di Augusto, nella quale ancora non si sarebbe saputo costruire una
cupola così grande e salda.
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L'evoluzione del sistema di costruzione a volta riprende nell'XI secolo d. C. nelle chiese
di schema basilicale; e ricominciano i timidi e fortunosi tentativi, mossi dal desiderio di
nobiltà di aspetto e dalla ricerca di sicurezza contro gli incendi. La chiesa è bassa e
oscura, più per questa insufficienza dei costruttori che per una volontà di carattere
espressivo; poi, quando la nuova esperienza affina il loro tecnicismo, si consolida, si
rialza e s'illumina, in Italia fino a giungere alle proporzioni classiche delle sale antiche, e
non più; in Francia prima ed in Germania poi, si trasforma in quello stile che diciamo per
convenzione gotico, esagerando lo sviluppo verticale e la concentrazione delle azioni nei
punti nodali, adottando negli archi il sesto acuto che è quello che dà minor spinta sui
piedritti. Ed ecco quindi una progressione evolutiva continua di mezzi, di conoscenza, di
forme e soluzioni costruttive, nella quale è possibile collocare per graduazione un
monumento e stabilirne la data e la scuola.
A partire dal II secolo d. C. è frequente nelle volte l'adozione della pomice o delle scorie
vulcaniche, e più tardi di vasi, sempre per diminuire il peso e quindi la spinta; il che si
collega alle grandi soluzioni dell'organismo a volta.
I raffronti di carattere morfologico, che riguardano cioè la forma degli spazi, delle linee,
della superficie e la relativa decorazione, sono più complessi degli altri, come sempre
quando entra la fantasia d'arte, ma non tanto da non esser soggetti ad una logica
evoluzione. Nell'architettura dei periodi passati, la moda effimera e l'arbitro individuale
non sono ammissibili che in piccole espressioni, come nel linguaggio, e lo stile collettivo
col suo lento moto prevale su quello del singolo artista, guidando l'origine e lo sviluppo
delle forme.
Di queste varia la genesi; ma nei casi più comuni essa rappresenta la stilizzazione,
quasi la pietrificazione, di elementi decorativi effimeri. Così la colonna egizia, nata dal
fascio di canne e di fiori di loto, i Sykra indiani da cataste di legname, il tempio greco
dalla capanna, fino a parti ornamentali, come il capitello corinzio che ricorda un cespo di
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foglie d'acanto intorno ad un vaso, i festoni nei fregi dei templi romani, gli ornati delle
architetture gotiche imitati con senso realistico dalla flora e dalla fauna.
In un secondo tempo tali elementi acquistano un valore d'arte a sé, finché giungono le
norme raccolte e codificate dai trattati, a dare schemi, proporzioni, modelli, che ogni
artista segue interpretando, e soltanto in questo recando la sua equazione personale, il
fermento di forme nuove.
Questi esempi intendono non certo riassumere un mondo, ma mostrare che negli
elementi estetici dell'architettura esiste una mutazione evolutiva col tempo, che quindi
può, con la inserzione di cose ignote tra cose note affini, stabilire dati per la
determinazione delle opere architettoniche.
Anche è da notare che l'organizzazione medioevale dei lavori, per cui spesso mancava
una vera unità dovuta all'opera di un architetto, ha fatto sì che in uno stesso edificio
talvolta si svolgono contemporaneamente parti di un carattere stilistico, parte di un altro.
Così, ad esempio, nel chiostro di Monreale gli archi acuti, dovuti a costruttori locali
ancora ispirati all'arte araba, hanno dimensioni enormi, sporgenze dai piedritti,
decorazioni ad intarsi di marmi, mentre le colonnine su cui appoggiano, esili e gentili,
mostrano l'opera di intagliatori provenienti da tutte le regioni d'Italia, i quali hanno voluto
ciascuno imprimere il carattere della propria scuola. Il palazzo Vitelleschi di Tarquinia,
sorto verso la metà del secolo XV, è composto di due parti, una di stile durazzesco, di
un gotico meridionale tardo, l'altra di un tipico primo Rinascimento.
Questo dimostra quanto il mezzo dei raffronti stilistici debba essere adoperato con
grande prudenza ed assoggettato ad un severo controllo; e debba essere localizzato nel
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suo ambiente seguendo spesso cicli locali più che di evoluzione generica, e debba tener
conto di molteplici influenze esterne, ma anche della resistenza conservatrice della
tradizione.
4. Elementi accessori
Quanto si è detto per l'architettura vera e propria, vale anche per gli elementi accessori
di suppellettile o di decorazione, il cui contributo può essere prezioso per stabilire limiti di
tempo all'opera principale. Così se nella calotta di un'abside troviamo una decorazione
di pittura o di mosaico, ed argomenti documentari, od iconografici, od artistici ci
permettono di stabilirne la data, è evidente che questa costituisce un termine ante quem
perché il muro su cui la decorazione è posta non può che essere, sia pure di pochissimo
tempo, anteriore. Talvolta invece di elementi immobili per destinazione trattasi di opere
che possono esser mobili, ed allora la relazione può essere fallace, come se in S.
Clemente di Roma si volessero utilizzare per la datazione pannelli decorativi del V
secolo, appartenenti alla chiesa primitiva e portati in alto ed inquadrati nella chiusura
della schola cantorum del XII secolo.
Riassumendo dunque: i mezzi dello studio analitico dei monumenti sono molti e di
varissimo tipo, sicchè talvolta richieggono particolari competenze; ma quasi mai
ciascuno, preso di per sé, è definitivo e sicuro. Su nessuno può basarsi una
determinazione certa, che poi costituisca caposaldo per cognizioni relative allo stesso
monumento o ad altri, perché su dati ipotetici non è lecito fondare altre induzioni o altre
ipotesi. Soltanto unmetodo integrale che prenda le determinazioni venute da varie parti,
dirette ed indirette, di documentazioni e di studio del monumento, e le trovi concordi nei
risultati, può darci su questi una sicurezza e ritenerli acquisiti, non solo alla storia
particolare dell'opera di cui ci occupiamo, ma anche alla storia generale dell'architettura,
che è storia della civiltà di un popolo.
5. Disegni di restituzione
Parte essenziale per gli architetti di questo studio analitico è il disegno: sia quello con cui
si segue l'esplorazione, mediante osservazioni e misurazioni, nel giornale dello scavo, o
in quello del restauro, sia quello più ampio e regolare dei rilievi e delle restituzioni.
Spesso si chiamano anche questi disegni col nome di restauro dei monumenti, e
s'ingenera con questo una confusione d'idee che è bene chiarire. Altro è il restauro
costruttivo, di cui si parlerà nei seguenti capitoli, per la conservazione o la valorizzazione
di un monumento, altro è il disegno che fa parte dello studio e che concreta in forma
grafica i risultati della relazione o della monografia. In questo è permessa l'ipotesi, pure
ben distinta dai dati sicuri, ed è anzi elemento per cui si avanza la conoscenza; in quello
ogni concetto ipotetico non può essere tradotto in costruzione e va quindi escluso, ed
anche gli elementi aggiunti con giudizio sicuro debbono essere chiaramente designati.
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Nell'uno pel suo carattere astratto, non vi sono limiti di finanza o di altri vincoli pratici,
che invece sono essenziali nel secondo.
Sarà quindi opportuno chiamare quei disegni col nome di «Studi o Saggi di restituzione».
Secondo i casi, alcuni di questi disegni, possono essere non soppressi, ma riuniti agli
altri con opportune notazioni, ovvero maggiormente sviluppati. Così, ad esempio, si può
nello stesso disegno indicare il rilievo col graficismo completo, a tutto effetto, con
semplice segno continuo la ricomposizione sicura, con segno a tratto la ipotetica. Si può
invece segnalare con tratteggio le varie fasi della costruzione, ovvero scindere la
restituzione in tantidisegni diversi, quante le fasi che si sono intersecate e sovrapposte.
Si può infine, volendo dare alla restituzione d'insieme carattere generico, adoperare la
prospettiva per mostrare l'aspetto del monumento, quale si suppone che sia stato.
Se v'è tema in cui la immaginazione d'arte deve esser imbrigliata, è appunto questo in
cui si dà forma architettonica concreta al presunto aspetto originario. Il carattere
personale dell'ipotesi va nettamente distinto dai dati sicuramente acquisiti.
U. Monneret de Villard, Del metodo nello studio dell'Architettura medioevale in atti del
Collegio degli Ing. e Arch. di Milano, 1917-18
G. Giovannoni, Mete e metodi nella Storia dell'Architettura italiana in Atti del 1
Congresso naz. di Storia dell'Architettura, 1936
G. Bendinelli, Dottrina dell'Archeologia e della Storia dell'Arte, Milano, 1936.
Vedi altresì i trattati generali di Storia dell'Architettura, le monografie su monumenti
architettonici, ed articoli illustrativi sulla rivista «Palladio».
Parte II
I RESTAURI
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Il restauro dei monumenti architettonici di ogni tempo, qual è praticato dai popoli civili nel
periodo moderno, non solo si riannoda al concetto storico di salvare tali nobili
testimonianze delle passate civiltà, ben più schiette, eloquenti e durevoli di quelle basate
sui documenti spesso manchevoli e sulle cronache spesso partigiane, ma anche ha per
movente di conservare e porre in valore i segnacoli d'arte delle nostre città, interessanti
anche se mutili e completati dalla fantasia e dai ricordi, punti di riferimento di una
tradizione, senza la quale non si possono compiere che esperimenti effimeri. Per questo
i problemi del restauro si elevano in Italia al grado di una grande questione nazionale,
specialmente nel grave momento presente, e rappresentano un campo di attività, a cui i
nostri architetti non possono essere impreparati.
Nei secoli scorsi casi sporadici di restauri non sono infrequenti, pur alternati a distruzioni
e ricostruzioni complete. Teodorico ricostruisce in Roma il tempio di Saturno e ripara il
Colosseo; in Ravenna nel Cinquecento per rialzare il livello del pavimento di S.
Apollinare nuovo si ricostruiscono due colonnati della basilica; in Roma nel Pantheon
Lorenzo Bernini (il quale però intanto asportava il soffitto di bronzo del pronao per
trasformarlo nel baldacchino di S. Pietro) restaura alcune colonne all'esterno,
rifacendone i capitelli ed apponendovi lo stemma del papa Chigi, con applicazione che
precede i tempi moderni, del criterio di documentare la data del lavoro eseguito. (fig. 1).
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A Roma invece nelle grandi chiese il concetto del rinnovamento stilistico integrale è
stato applicato quasi senza eccezioni, forse appunto perché è mancato un periodo di
passaggio. S. Pietro è stato completamente ricostruito nel Cinquecento e della vecchia
basilica ci rimangono solo alcuni disegni di sommario rilievo; in S. Giovanni in Laterano il
Borromini ha imprigionato nei grandi pilastri due a due le colonne dei portici interni; in S.
Maria Maggiore lo schema basilicale del V secolo è rimasto, pur alterato dall'aggiunta
del transetto nel XII sec., dall'apertura di grandi archi ad interrompere la successione
longitudinale dei colonnati interni al principio del XVII; ma vi sono innestati elementi di
vario tempo che ne fanno un vero museo architettonico: le cappelle di Sisto V e di Paolo
V, la facciata posteriore del Rainaldi, quella anteriore del Fuga che si è con la sua
doppia loggia innestato a due corpi di fabbrica dei primi del Seicento; anche del Fuga il
grande altare centrale, che, imitando il baldacchino berniniano di S. Pietro, ha introdotto
il nuovo senso di proporzione, per cui le misure ed il carattere in rapporto armonico con
tutto l'edificio si sostituiscono al criterio del Medioevo, che, qualunque sia la chiesa,
grande o piccola, adottava la scala umana, cioè quella del celebrante, ad in tal modo
dava la sicura impressione dell'ampiezza.
In Milano nel duomo((1) Cfr. C. Borro, Il duomo di Milano, Milano, 1889; A. Silva, Fiorita
di bellezze inedite, ecc., Milano, s.d.1) il concetto della rispondenza al monumento è
stato quasi costantemente adottato nella costruzione lunghissima, ed appare nei
pinnacoli, nei finali decorativi, nella cupola costruita dall'Omodeo, nella grande guglia
centrale elevata da Francesco Croce alla metà del Settecento; ma entro l'inquadramento
delle linee architettoniche hanno gli artisti sviluppato liberamente il particolare
ornamentale, geometrico o scultorio, sicchè in tutta la parte superiore del duomo si
affollano i trafori, le targhe, le statue, i bassorilievi di arte del Rinascimento o del periodo
barocco che permettono di assegnare ad ogni elemento la data: esempio felicissimo, ma
forse inimitabile, di varietà nella unità, di libertà decorativa entro la severa imitazione
stilistica architettonica.
Per la facciata invece le due tendenze si sono alternate e ne hanno fatto un insieme
ibrido. Pellegrino Ribaldi, l'architetto di S. Carlo Borromeo, la immaginò tutta nello stile
della Controriforma, ed eseguì secondo il suo progetto le porte barocche; ma subito
dopo il Buzzi nei piloni si studiò di conformarsi al carattere dei fianchi, e più tardi il Pollak,
sotto Napoleone I, eseguì il freddo coronamento pseudo-gotico.
La facciata del duomo d'Orvieto presenta esempi non meno interessanti del duomo di
Milano. Il disegno del Maitani si sviluppa attraverso i secoli fino al Settecento, per l'opera
di una serie di artisti e di capi-maestri, tra cui troviamo l'Orcagna, Andrea Pisano, il
Federighi, e nel Cinquecento il Sanmicheli, a cui si deve la parte superiore della zona
centrale della facciata, Antonio da Sangallo che ha completato la guglia alta verso il
Vescovado, Ippolito Scalza autore delle guglie estreme; e questi artisti hanno lasciato
l'impronta del proprio tempo nei minuti particolari, nelle edicole, nelle cornici, nei mosaici
che s'innestano alla composizione del Maitani, seguita nel suo insieme. (vedi fig. 2).
Quasi tutti i monumenti d'Italia ci presentano, nella loro lunga vita, esempi delle due
tendenze, o della sovrapposizione spregiudicata, o rispetto, che quasi può dirsi
mimetismo. E questi procedimenti di continuazione ci interessano per due ragioni:
perché ci mostrano la complessa formazione, fatta di varie fasi, come in un palinsesto in
cui gli strati si sovrappongono, e con questo individuano i quesiti del restauro; e perché
ci espongono sperimentalmente i precedenti del restauro moderno.
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Alla fine del Settecento comincia, con la rinnovata coltura, il culto dei monumenti, e si
afferma la necessità del rispetto nella loro costruzione, nel loro stile, nel loro ambiente, e
quindi di restauriper conservarli e valorizzarli. La rivoluzione francese, lungi dal
distruggere questo grande patrimonio lasciato dai secoli, ha stabilito come principio il
concetto della conservazione. Un decreto della Convenzione nazionale dell'anno II della
Repubblica dice agli amministratori dei dipartimenti: «Vous n'êtes que les dépositaires
d'un bien dont la grande famille a le droit de vous demander compte. Les barbares et les
esclaves detestent les sciences et détruisent les monuments de l'art; les hommes libres
les aiment et les conservent» ((1) Cfr. Rucker, Les origines de la conservation des
monuments en France, Parigi, 1913. Per l'azione nel periodo romantico dell'Ottocento,
vedi V. Hugo, Litterature et philosophie. Guerre aux demolisseurs, Parigi, 1825.1)
Questo senso di rispetto, che è il substrato del restauro, si è volto ai monumenti di alcuni
periodi a detrimento di altri. Per molto tempo le cattedrali del Medio Evo si dissero
«opera dei barbari» o «manifestazione di arte malata e triste», o «imitazione di cupe
foreste della Germania ». Tutta l'arte barocca – ed il nome stesso dispregiativo lo dice –
fu considerata opera di bassa decadenza e di valore negativo. Il moderno criterio invece,
con l'introdurre il concetto storico ed artistico di considerare l'opera nel proprio ambiente,
ha superato queste divisioni, stabilendo che ogni monumento, o parte di monumento,
avente intenzione d'arte e di ricordo durevole debba rispettarsi qualunque sia il suo
tempo, ed estendendo, come si è detto, il concetto di monumento alle opere minori ed
all'ambiente.
Il primo periodo ufficiale dei restauri si è svolto in Roma sotto il governo napoleonico e
poi sotto quello di Pio VII, e ne son stati principali artefici il governatore De Tournon e gli
architetti romani Valadier, Camporesi e Stern. I monumenti romani d'interesse
archeologico ne sono stati quasi unico oggetto, ed il Foro romano con l'Arco di Tito, il
Colosseo, la basilica Ulpia ebbero lavori, spesso assai commendevoli, di restituzione e
di rinforzo ((1) Cfr. De Tournon, Etudes statistiques sur Rome, Paris, 1821.1).
Un altro interessante periodo si è svolto più tardi in Francia per i monumenti medioevali
e specialmente per le chiese gotiche, che sono veramente una gloria dell'architettura
francese; e l'ha mosso sia il nuovosentimento romantico, sia il risorgere del
nazionalismo, sia infine la preoccupazione costruttiva data dalle precarie condizioni delle
fragili opere ridotte ad un sottile scheletro costruttivo. Le due istituzioni degli edifici
diocesani e dei monumenti storici francesi, guidate dal Vitet, dal Merimée, dal Lenoir e
poi dal Viollet le Duc, fronteggiarono questa scadenza di stabilità ed inaugurarono una
vera era dei restauri, parte benefica, parte troppo spinta nelle sue espressioni di
complementi arbitrari e nelle sue alterazioni di ambiente ((2) Per la storia di questo
periodo vedi Lenoir, Architecture monastique, Paris, 1856; Viollet le Duc, Dictionnaire
raisonné dell'Architecure française, Paris, 1869; P. Leon, Les monuments historiques –
Conservation et réstauration ; Paris, 1914.2).
Il Lèon nel suo riassunto sulla storia dei restauri ha distinto in questo tempo due periodi,
uno empirico ed uno dottrinario; il quale ultimo è quello dominato dal Viollet le Duc e
dalla sua teoria.
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Un altro periodo che ci riguarda più da vicino, ma che non è felice per la debolezza
stilistica e pel cattivo gusto imperante, è quello promosso da Pio IX nelle chiese
medioevali di Roma. Lo subirono venerande basiliche, come S. Maria in Trastevere e S.
Lorenzo fuori le mura, che in parte perdettero il loro carattere e che ebbero distrutte
molte testimonianze delle loro complesse vicende storiche ed artistiche. Anche ne ebbe
danni la chiesa di S. Maria sopra Minerva che fu camuffata ed imbellettata in forma
pseudogotica, coi pilastri in finto marmo scuro, le volte dipinte di azzurro, i vetri colorati a
tinte vivaci; e non v'è che da augurare un nuovo restauro, o, se così può dirsi, un
disrestauro, che, togliendo tutte queste aggiunte di superficie, riporti la chiesa, l'unica
gotica di Roma, alla sua forma severa, a cui servì di modello S. Maria novella di Firenze.
Datano dal periodo francese della metà dell'Ottocento le teorie sul restauro e le
discussioni che le hanno accompagnate. Conviene ora riassumerle, considerando i vari
punti di vista da cui partono.
Il punto di vista degli archeologi e degli storici d'arte si esprime con la vecchia formula
del Didron: «consolidare, non restaurare». Ogni elemento della vita di un antico edificio,
essi dicono, rappresenta una pagina della sua storia costruttiva ed artistica, che non può
essere soppressa, né nascosta, né falsificata. La stessa compagine materiale non può
essere alterata, come avviene nelle sostituzioni, perché quando l'autenticità manca,
cessa ogni carattere di documento certo e di testimonianza verace e vanisce lo spirito
vivificatore delle memorie espresse dal monumento.
Ogni opera restaurata, essi aggiungono, è perduta per gli studi e spesso è perduta
anche per l'arte; perché noi non siamo in grado di risolvere i problemi delle raffinatezze
architettoniche e del modo con cui le varie fasi si sono sovrapposte; e l'esecuzione, per
quanto accurata, non può ritrovare, con i moderni procedimenti meccanici ed artificiosi, il
libero modo delle antiche maestranze. Non lo può specialmente negli edifici medioevali,
ove il sistema di organizzazione dei lavori ed il diffuso sentimento d'arte lasciavano negli
elementi singoli una iniziativa ai singoli artefici e quindi una vivace impronta individuale,
e nell'insieme una varietà di linee ed una irregolarità di misure che non è certo possibile
riprodurre. Un edificio restaurato sarà sempre una falsificazione fredda e morta al posto
di un organismo vivo e vibrante, anche se mutilo.
I sostenitori del restauro obiettano efficacemente che i monumenti non sono fatti soltanto
per gli studiosi, ma appartengono al pubblico, verso cui hanno una grande funzione
d'arte, a cui mancano se si lasciano come opere morte e come ruderi, solo per lo studio
di pochi eletti; anche fanno notare che un restauro ben organizzato ed eseguito non solo
non toglie documenti alla storia, ma altri ne aggiunge per le indagini a cui dà occasione.
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parte, non è da credere che in un paese, dove sono così numerosi i monumenti, si
trovino fondi per l'attuazione di nude opere tecniche, se non le accompagna una pratica
utilizzazione, una valorizzazione artistica.
Quanto alla possibilità di attuare forme stilistiche similari, i restauratorifanno notare che
dalla fine del Quattrocento in poi gli elementi architettonici, e talvolta anche i decorativi,
hanno perduto il carattere individuale ed irregolare per assumere forma geometrica e
simmetrica. L'artefice ordinariamente non è più un collaboratore ma un esecutore e la
sua opera può quindi esser riprodotta in serie con assoluta fedeltà.
Ammesso dunque il restauro, pur senza dimenticare le ragioni degli studiosi (che si
vedrà come possono essere in parte accolte), sono da considerare le varie teorie, con
l'esporne e farne la critica.
Teoria del Viollet le Duc. – Questa teoria, che ha tenuto il campo in tutto il periodo
suindicato dei restauri francesi, e che ancora spesso ha propaggini in nostalgiche
tendenze, può formularsi: Restaurare un monumento vuol dire riportarlo allo stato
primitivo ed alla unità stilistica togliendo le superfetazioni ed aggiungendo gli elementi
che occorrono per ristabilirlo in uno stato completo, «che può anche non essere esistito
in un dato monumento». Ogni edificio ed ogni parte di edificio debbono essere restaurati
nello stile che loro appartiene, non solo come apparenza ma anche come struttura. Nei
problemi nuovi che si presentano, nelle parti aggiunte che sono non di fedele ripristino
ma di continuazione nello sviluppo, occorre mettersi al posto del primo architetto e
supporre che cosa egli farebbe se avesse innanzi lo stesso problema. ((1) E. Viollet le
Duc, Dictionnaire raisonné ecc., Parigi, 1869, VIII.1)
E' facile vedere quanto questo criterio sia antiscientifico e quanto rechi necessariamente
falsificazioni ed arbitri. Esso suppone un edificio teorico che sia sorto tutto completo di
getto, ed un architetto unico che ne abbia dato il disegno; ed intende riportare l'opera a
questo piano primitivo, che spesso non è stato seguito od è stato trasformato nel corso
dei tempi. Non tiene conto delle tante opere d'arte, che possono essere di alto valore,
aggiunte in periodi posteriori, perché non si adattano al supremo principio della unità
stilistica. Presuppone orgogliosamente nell'architetto restauratore e negli esecutori la
facoltà di comprendere il monumento nelle sue vicende e nel suo stile, che non sentono
più. E se il restauratore riesce bene, crea dubbi e confusioni negli studiosi, che non
possono più distinguere quello che è autentico da quello che è nuovo; se riesce male,
cosa probabile, reca disarmonie insanabili nel carattere d'arte.
Pertanto il violletleduchismo ha fatto più male che bene ed è ora superato nei moderni
restauri; ma non è nella semicoscienza e nella semicoltura del popolo, che è ancora
attratto dalla pericolosa formula del ritorno al tipo antico. Può ancora essere adottato in
modesti restauri ed in piccoli elementi. Se, ad esempio, manca un tratto di una cornice o
il tamburo di una colonna che si ricompone, è naturale di fare il pezzo mancante simile
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Teoria modernista. – Più che una teoria regolarmente enunciata con precisi concetti, è
ancora una tendenza. Come nei periodi passati spesso si completavano i monumenti
francamente con lo stile del tempo e non con forme artificiosamente imitate dall'antico,
così sembra che debbiasi fare anche ora nelle aggiunte esterne od interne; ed in tal
modo si avrà una onesta designazione della data, una diretta partecipazione del nostro
periodo all'opera collettiva.
Due esempi sono in questo senso veramente istruttivi. L'uno è quello dei restauri
suindicati compiuti sotto Pio IX coi concetti modernisti di allora nelle chiese di Roma, i
quali non solo hanno alterato il carattere dei monumenti, ed hanno distrutto preziose
testimonianze d'arte del passato, ma hanno costituito l'unica pagina inarmonica e di
cattivo gusto nell'architettura di Roma.
L'altro esempio è quello del campanile di S. Marco in Venezia. Quando crollò nel 1903,
più per incuria degli uomini che per decrepitezza, si svolse una vivace campagna per
ricostruirlo nello stile del tempo; ma il popolo veneziano tenne fermo e lo volle «dov'era e
come era». Se invece i novatori avessero prevalso, lo avremmo ora nel morbido stile
liberty, ormai superato tanto che appena ne resta il ricordo; e la meravigliosa piazza
sarebbe rovinata e l'architettura del campanile apparirebbe non nuova, ma vecchissima.
Pertanto, mentre è necessario e giusto che lo stile del nostro periodo compaia, pur in
forme non avulse dalla tradizione, nei temi della comune edilizia, esso non può avere
ancora diritto di cittadinanza nei monumenti accanto alle espressioni d'arte del passato,
finchè non si sia dimostrato così stabile, e non di moda effimera, da rappresentare
veramente il nostro secolo, e non abbia acquistato tale duttilità di espressioni da recare
armonia ed unità, da divenire italiano riassorbendo il carattere esogeno, come appunto è
avvenuto al tempo dello stile gotico, quando l'architettura italiana ha assimilato
procedimenti costruttivi e forme decorative provenienti dall'estero, pur conservando il
sentimento informatore e rimanendo nella struttura, nelle proporzioni, nell'ornato, affine a
quella del periodo precedente, il romanico delle varie regioni d'Italia.
Può invece la nostra architettura moderna esser presente nelle forme puramente
costruttive senza intenzione d'arte, come pilastri e speroni, e negli schemi strutturali
dell'organismo, palesi o nascosti, che diano nuova stabilità ai monumenti: di che si
parlerà a proposito dei restauri di consolidamento.
Teoria intermedia ora vigente. – Tra i concetti delle teorie ora esposte e tra le
affermazioni (che sono giuste ma non debbono esser portate alle estreme conseguenze)
degli studiosi di archeologia e di storia dell'arte, si è fatta strada un'altra teoria sui
restauri che ora è universalmente accettata. In Italia l'ha per primo formulata il Boito ((1)
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C. Boito, Questioni pratiche di Belle Arti, Milano, 1903.1) e poi l'ha completata il
Giovannoni ((2) G. Giovannoni, Questioni di Architettura, Roma, 1929 (2ª edizione)2);
ed ora è, da vari decenni, il codice pei restauri eseguiti o controllati dalla Direzione delle
belle Arti e dalle sue Soprintendenze regionali.
Come tutte le leggi, questa ha bisogno dell'interpretazione caso per caso, specialmente
in quanto considera la valutazione del valore artistico e dei rapporti tra le parti del
monumento e di questo con le condizioni esteriori. Da qui tutta una casistica ed una
giurisprudenza, data dagli esempi vari e dalle decisioni del Consiglio superiore per le
Antichità e le Belle Arti, di cui si riferiranno i casi più tipici, riportandoli alle suddivisioni
nella trattazione sui restauri.
I principi ora riassunti sono stati più ampiamente illustrati dal detto Consiglio superiore
nel suo voto del dicembre 1931((2) Cfr. Bollettino d'Arte del Min. E. N., gennaio 1932.2)
che è stato detto la Carta del Restauro, e che qui si trascrive integralmente. Esso è stato
redatto dopo che la Conferenza internazionale di Atene del 1931 sul Restauro dei
monumenti ha definitivamente consacrato il lavoro, nel suo complesso felice e grandioso,
svolto in Italia dal principio del secolo in questo campo così vitale e vasto per la
importanza insigne del nostro patrimonio monumentale.
Gustavo Giovannoni
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