Esplora E-book
Categorie
Esplora Audiolibri
Categorie
Esplora Riviste
Categorie
Esplora Documenti
Categorie
FORMA ED EVENTO
Principi per una interpretazione
del mondo greco
Saggi Marsilio
Carlo Diano
Forma ed evento
Principi per una interpretazione
del mondo greco
Marsilio
© 1993 BY MARSILIO EDITORI® S.P.A. IN VENEZIA
ISBN 88-317-5590-0
7 Cristalli di storia
di Remo Bodei
33 FORMA ED EVENTO
di Remo Bodei
I.
7
REMO BODEI
1 Cfr., ad esempio, C. Diano, Forma ed evento, Vicenza 1967\ pp. 45-46 (d'ora in poi
indicato con la sigla FE); Linee per una fenomenologia dell'arte, Vicenza 1968, p. 11 (d'ora in
poi indicato con la sigla L). Solo che l'aggettivo «fenomenologico» non viene inteso in un
significato tecnico-filosofico (hegeliano o husserliano), quanto piuttosto come sinonimo o
affine di storico-descrittivo.
2 Si veda C. Diano, La poetica dei Feaci, in Saggezza e poetiche degli antichi, Venezia 1968
(d'ora in poi indicato con la sigla SP), p. 191 e si confronti questo inciso con l'affermazione
contenuta alcune righe prima, secondo cui, dopo Vico, la cosiddetta isterica «non può essere
se non fenomenologica. Ma può esserlo solo se la fenomenologia si libera dalle "parentesi" e,
ferma restando la realtà storica del fenomeno, l'analisi delle strutture venga estesa a tutte le
manifestazioni storiche dell'uomo».
8
CRISTALLI DI STORIA
9
REMO BODEI
II.
frammento dell'Ipsipile: «[ ... ]Perché se c'è l la tyche che bisogno degli dèi? l E se il potere è
lO
CRISTALLI DI STORIA
degli dèi, la tyche l non è più nulla» (cfr. C. Diano, Teodicea e poetica nella tragedia attica, in
SP, p. 303). Sia gli eventi dolorosi che quelli gioiosi sono in tal modo sottratti al controllo della
divinità. Per questo Anassagora non può accusare che la tyche della morte del proprio figlio,
episodio a cui Euripide allude nell'Akesti, 903 ss. (cfr. C. Diano, LA catarsi tragica, in SP,
p. 224).
7 Si veda, da ultimo, P. Berrettoni, Il dito rotto, in «MD. Materiali e discussioni per lo
studio dei testi classici», 22, 1989, pp. 23-36 e, per alcune precisazioni teoriche, M. Conche.
L'aléatoire, Paris 1990. La logica stoica dell'evento, focalizzata in parte da Émile Bréhier in LI
théorie des incorporels dans /'ancien stofcisme, Paris 1928, ma soprattuno da Vietar Goldsch-
midt in Le système stofcien et l'idée du temps, Paris 1969, è stata sviluppata e modernizzata
negli ultimi anni da Gilles Deleuze in La logique du sens, Paris 1968, tr-ad. it. La logiw del
senso, Milano 1975 (sull'evento dr., soprattutto, pp. 133 ss.).
11
REMO BODEI
B Cfr. Arist., Phys., n, 5, 196 b 10 ss.; De pari. an., 1, 645 a; Poi., 1, 5, 1254 a 31; De gen.
an., v, l, 778 b 3. Per l'accidentalità cfr. An. Pr., 1, 13; Phys., n, 5-6; De gen. an., I, 20, 727 b
29·30.
12
CRISTALLI DI STORIA
13
REMO BODEI
12 L, pp. 26-27 = H. Usener, G6tternamen. Versuch einer Lehre von der religi6sen
Begri/fsbildung [1895], Dritte unveriinderte Auflage, Frankfurt a.M., 1948, p. 280. Diano
precisa altrove: «Riprendendo alla luce di questo principio [per cui l'eroe si trova generica-
mente dinanzi al "divino"] la teoria dell'Usener, possiamo affermare che I'Augenb!ickgolt
(meglio il singolare che il plurale) e i Sondergiitter non rispondono a due stadi dello sviluppo
religioso, ma a due aspetti del medesimo fenomeno: solo nel rito e nella preghiera i1 deus certus
è tale, ma nell'istante in cui opera e si rivela come evento, esso è sempre numen ed è tutto
quanto vi è di "divino" nel mondo. Questo permette d'intendere per intero la religione roma-
na>) (fE, Appendice, p. 78). Più in generale, su questi punti, si veda R. Bodei, Hermann Usener
n.ella filosofia moderna. Tra Dilthey e Cassirer, in Aspetti di Hermann Usener filologo della re·
ltgione, a cura di A. Momigliano, Pisa 1982, pp. 23-42.
14
CRIS.TALLI DI STORIA
15
REMO BODEI
16
CRISTALLI DI STORIA
17
REMO BODEI
III.
lJ Cfr. L, 49 e, in altro contesto, C. Diano, Edipo figlio della Tyche, in SP, p. 136, dove il
riferimento è a «quello che Alois Riegl, con intuizione geniale e non ancora esaurita, chiamò
Kunstwollen, e che è quell'x indeducibile, in cui la struttura esistenziale dell'uomo e
l'atteggitlmento formativo dell'artista, in quanto tale, coincidono».
14 Cfr. S. Viani, Carlo Diano e le arti figurative, in Il segno della forma, cit., p. 243.
18
CRISTALLI DI STORIA
'' Cfr. Industria artistica tardoromana [1901], trad. i[., con Introduzione di C. Diano,
Firenze 1953, p. 23.
16 Canfora, Diano e il «Tramonto dell'Ocadente», cit., pp. 219-29.
17 Valéry vedrà proprio nell'arte (e nella danza in particolare) quest'equilibrio continua-
mente spezzato e continuamente ricomposto di «forma» ed «evento», di chiarezza logica e di
raffigurazione spazio-temporale perfetta del movimento individualizzato (cfr. P. Valéry,
L'anima e la danza, del 1923, nella traduzione italiana, curata da Enzo Paci e pubblicata a
Milano nel 1947, all'int<:;rno del volume Eupalinos, pp. 33-70). Solo che per Valéry, autore, tra
l'altro, del saggio Ispirazioni medite"anee, tale oscillare immobile è, inscindibilmente, greco e
mediterraneo. Lo si può constatare sin dalle prime strofe, di tersa bellezza - sintomaticamente
precedute da tre versi di Pindaro- di Le cimitière marin. Lo sfondo e il soggetto sono qui dati,
appunto, dal Mediterraneo, come appare nella sua forma inquieta dall'alto della collina di
Cète, città natale del poeta (e non si dimentichi, a tal proposito, l'intensa attività poetica svolta
dallo stesso Diano): <<Ce toit tranquille, où marchent des colombes, l Entre les pins palpite,
entre les tombes; l Midi le juste y compose des feux l La mer, la mer, toujours recommencée!
[ ... ] Zénon, Cruel Zénon, Zénon, d'Élée! l M'as tu percé de cette flèche ailée l Qui vibre, vole,
et qui ne vele pas! l Le son m'enfante et la flèche me tue! l Ah, le soleil ... Quelle ombre de
tortue l Pour l'lime, Achille immobile à grands pas! Il Non, non ... Debout! Dans l'ère
successive! l Brise:z, mon corps, cette forme pensive! l Buvez, mon sein, la naissance du vent! l
une fraìcheur, de la mer exhalée, l Me rend mon Sme ... O puissance salée! l Courons à l'onde
en rejaillir vivant!» (strofe 1; xxi-XXII).
19
REMO BODEI
18 Cfr. Diano, La poetica dei Feaci, cit., pp. 195-96: <<perché l'arte sia possibile è necessario
che, cedendo parte della sua specularità in cui si chiude», assorba la «polarità» dell'evento e
che, di conseguenza, «i due elementi si unifichino in un equilibrio che è insieme polare e
speculare. È quello che accade, ma è un equilibrio instabile, che non può venir realizzato se
non nell'attimo e si rende sensibile in quella vibrazione che è il segno a cui si riconosce la
presenza dell'arte [ ... ]. E ciò che per il senso è vibrazione, per l'anima è tensione tra realtà e
sogno. Perché il sogno è la forma quando non ha altra esistenza se non quella che le vien data
dall'esserci, da me, qui e ora». .
~~ Ibid., p. 192.
20
CRISTALLI DI STORIA
21
REMO BODEI
per primo notato Lessing nel Laocoonte) si ha nelle arti visive, ossia
eminentemente operanti nello spazio, in cui il colpo d'occhio
contrae la temporalità. All'estremo opposto si situa la musica, in cui
la temporalità dell'evento tende a sciogliere la forma. Al centro, si
direbbe, si colloca la poesia, in un movimento rammemorante-antici-
pante di <<Vibrazione» della forma immaginata e pensata che si
proietta nell'arco spazio-temporale degli eventi.
22 Da segnalare l'attribuzione della forma alla mascolinità, peraltro già presente, seppure
in altri termini, negli scritti di «zoologia» di Aristotele, e della tyche alla femminilità (quasi nel
senso della tradizione iconologica o di quella machiavellica secondo cui la Fortuna è
femmina?).
22
CRISTALLI DI STORIA
23
REMO BODEI
24
CRISTALLI DI STORIA
IV.
25
REMO BODEI
proclamato che <d'amico morrà per l'amico», cfr. ibid., p. 341 e C. Diano, La filosofia del
piacere e la società degli amici, in SP, pp. 271-88.
3° FE, p. 42. Come etdos o «cosa veduta» infatti essa non è vista se non da se medesima:
<<Perché l'occhio o l'intelletto che la vede (ed occhio o intelletto sono in questo la medesima
26
CRISTALLI DI STORIA
cosa) non è esso stesso se non in quanto la vede, e, nell'atto in cui la vede, come dice
Aristotele, "fa tutt'uno con essa" ed è in essa che vede se stesso (Met., XII, 1072 b 20). Ma è un
atto che non è nel tempo» (L, p. 30).
31 Epicuro, come si è appena accennato e come è noto, rappresenta un autore su cui Diano
ha erogato molte energie e da cui ha conseguito notevoli frutti tanto in campo filologico che
filosofico. Si vedano, soprattutto, oltre a varie edizioni di testi e ad altri contributi, gli studi
raccolti negli Scritti epicurei, Firenze 1974 e, su un diverso piano, La poetica di Epicuro, cit.,
pp. 71-117.
27
REMO BODEI
12 Cfr. FE, p. 41 e Edipo /t"glio della Tyche, cit., p. 132 (Diano parla qui solo di Edipo,
senza alcun confronto diretto con le condizioni esistenziali successive). Per altri notevoli punti
di i_ntersezione con queste tematiche si vedano articoli quali L'uomo e l'evento nella tragedia
attzc~ [1_965], o~a in SP, pp. 303-27 e La Tyche e tl problema dell'acddente [1967), ora in Studi e
saggt dz filosofia antica, Padova 1972, pp. 279-82.
28
CRISTALLI DI STORIA
n FE, p. 19. Appare ragionevole obiettare che, proprio allora, sono in piena fioritura nella
scuola alessandrina (oltre che la meccanica, l'ingegneria idraulica o la filologia) anche le
scienze formali, come la matematica, l'astronomia o la geografia astronomica.
29
REMO BODEI
30
CRISTALLI DI STORIA
31
FORMA ED EVENTO
Silvan;e uxori
La ricerca, della quale io presento, in forma estremamente
sommaria e in gran parte provvisoria, i primi risultati, è nata in
maniera del rutto occasionale da un problema tecnico di storia della
filosofia greca, il problema del sillogismo degli Stoici nei suoi
rapporti con quello di Aristotele. Quale significato io dia ai due
termini di forma e di evento, ed entro quali limiti li assuma, apparirà,
spero, dalla mia esposizione. Essa seguirà l'ordine in cui i problemi
mi si sono presentati, e comincerà dalla fine per risalire alle origini.
Se è vero, come voleva Aristotele, che in ogni indagine bisogna
sempre muovere da ciò che a noi è più vicino e però anche più noto,
la via che io mi sono trovato a seguire, fuori d'ogni presupposto di
dottrina e guidato nei miei primi passi dal caso, potrebbe avere
valore di metodo.
Quando si parla del sillogismo, si pensa al sillogismo d'Aristote-
le. L'esempio trito è quello di Pietro, e se volete un nome greco, dite
Corisco: che è uomo, e, perché è uomo, un giorno o l'altro
necessariamente morrà. Di dove questa necessità? Dalla essenza, in
cui Corisco ha la sua forma: una forma che in sé contiene i contrari,
e, come rutte le forme del nostro mondo sublunare, non ha realtà se
non nella successione degli individui che nell'ordine del tempo la
rivestono: e questi passano, come le foglie della similirudine d'O-
mero.
Ma quando morrà Corisco, e come morrà? Aristotele non lo sa e
non lo può dire. E non perché è uomo e non dio: neanche un dio lo
saprebbe. Nel suo universo non può saperlo nessuno; e per una
ragione assai semplice, ed è che l'ora e il modo della morte di
35
FORMA ED EVENTO
36
FORMA ED EVENTO
37
FORMA ED EVENTO
38
FORMA ED EVENTO
39
FORMA ED EVENTO
40
FORMA ED EVENTO
41
FORMA ED EVENTO
42
FORMA ED EVENTO
43
FOR.M:A ED EVENTO
44
FORMA ED EVENTO
45
FORMA ED EVENTO
46
FORMA ED EVENTO
47
FORMA ED EVENTO
48
FORMA ED EVENTO
49
FORMA ED EVENTO
50
FORMA ED EVENTO
l'uomo più ingenuo può vederla, tanto più chiara quanto più è
ingenuo; e chi la vede, la vede, come per una grazia, all'improvviso,
ll!;aC<pVl]ç, come dice Platone. La vede nella figura, gli sembra essa
stessa la figura, che, a un tratto, pare si stacchi dal soggetto che essa
delimita, riassorba in sé lo spazio, si ponga fuori del tempo. Gli
artisti sopra tutti la vedono, sono artisti in quanto la vedono, e,
quando l'hanno veduta, la trasportano dal soggetto vivo, che fino a
quell'ora ne aveva fatto un evento, in un soggetto inerte, una materia
qualunque, marmo, bronzo, tela, perché guardiamo ad essa sola.
Platone non la sa vedere che staccata, e la vede fuori del mondo,
fuori del cielo, in un altro cielo, dove non sono tempeste e non
balenano eventi. Ma non bisogna staccarla, perché, quando l'avete
staccata, o ritorna figura e domanda un'altra forma, o non è più né
figura né forma. Voglio dirvi la cosa in un altro modo. Una statua
greca, della fine del VI o della prima metà del v secolo, il kouros
attico di Monaco, ad esempio, o l'Apollo d'Olimpia, ha intorno a sé
un alone, come un'aureola luminosa, che crea una tensione nel limite
e in pari tempo lo chiude e fa della figura una cosa assoluta, l'atyÀT],
di cui Omero e Pindaro vedono circonfusi gli dèi. Quella è la forma,
ma non è cosa eterna, viery dall'interno, dal centro, e ritorna al
centro.
Questa aureola Aristotele la vede, ma finisce per separarla anche
lui, come Platone, dal suo soggetto: ne fa un soggetto senza figura, e
al soggetto che ha la figura, lascia, in luogo della forma, la specie.
<<Con questa carne e quest'ossa qui, Socrate, e con quest'altra,
Callia>>: e che Socrate e Callia siano ciascuno una forma e non una
materia più la specie, non lo vede. L'individuo resta perciò contin-
gente e, al pari di Edipo, è figlio della tyche. E, come gli individui
sono la storia, la storia è il regno della tyche. Dove non c'è tyche, non
c'è storia: nei cieli, il cui moto ha l'immobilità dell'identico; al di là
dei cieli, dove la forma è un'attività pura, il nudo e astratto intelletto
del motore non mosso; nell'intelletto dell'uomo, che, se è parados-
salmente più determinato di quello divino, perché, oltre che vedere
se stesso, vede le forme e riflette il mondo, non ha, se pure l'ha, altra
differenza che non sia di numero. Ed è nell'ozio contemplativo di
questo intelletto, !ungi ai tumulti della storia e alla fatica dell'azione,
che Aristotele, concludendo in maniera analoga a quella d'Epicuro,
invita l'uomo a rinchiudersi. L'intelletto è l'ultimo olimpo delle
forme, luminose sì ma esangui, perché separate dai corpi e non più
sostanze, come un tempo le aveva ancora viste Platone, forme che
non muovono l'eros e per cui non s'impegna la vita. Quando
51
FORMA ED EVENTO
52
FORMA ED EVENTO
La forma non separata dal suo soggetto: gli dèi e gli eroi
d'Omero, dell'Omero dell'Ilzade, gli dèi e gli eroi di Pindaro, gli dèi
e gli uomini di Fidia: <<perché una è la stirpe degli uomini e degli dèi,
e da una medesima madre è dato a entrambi il respiro>>.
Che questi dèi siano delle forme eterne, è stato detto più volte, e
lo avevano detto anche gli antichi, ed è stato anche detto che l'uomo,
dai Greci che veneravano quegli dèi, era concepito come idea. Ma il
significato di queste forme e il valore di questa idea sono rimasti
generalmente allo stato d'intuizioni e la loro logica è in gran parte da
costruire. Quel che s'è fatto finora- e l'opera classica, sotto questo
rispetto, son Gli dèi della Grecza di W. Fr. Otto - è inficiato da un
duplice difetto. Primo, dimenticando che gli dèi esistono solo nella
rappresentazione degli uomini, e che questa è di volta in volta
diversa, non solo a seconda delle età e dei soggetti, ma, nello stesso
soggetto, a seconda della situazione in cui egli si trova, si è costruita
una teologia delle singole figure divine, che lo storico rifiuta e dalla
quale il filosofo trae poca utilità. In secondo luogo, oltre la forma c'è
l'evento: ne è l'ombra non appena questa si muove, e nessuna
divinità è interamente una divinità della forma, neanche Apollo, in
cui se n'è vista l'espressione più alta: come dio che porta la morte e
risanatore, come dio della mantica, è dio dell'evento: e se della logica
della forma si hanno, almeno in parte, i principì, quella dell'evento è
ancora tutta da indagare. Ma - e questo è il punto ed è capitale -
forma ed evento vanno considerate come pure e semplici categorie, e
come categorie fenomenologiche e non antologiche - ché si farebbe
della metafisica a vuoto, - come categorie cioè da articolare solo
sulla base del fenomeno, e però sul terreno della storia, nella sfera
degli atteggiamenti e delle situazioni che in esse si riflettono. Sotto
questo aspetto, la storia degli dèi della Grecia coincide e s'identifica
con la storia della religiosità dei Greci, che è poi la storia di tutto lo
spirito greco: storia che va, di secolo in secolo, indagata e ricostruita
di sulle opere in cui quello spirito di volta in volta si espresse, perché
53
FORMA ED EVENTO
54
FORMA ED EVENTO
Eschilo della Terra, <<e dall'unica essenza>>, dea della vita e della
morte, signora o potnia dei monti e delle acque, delle fiere e delle
piante, oracolare e maga, tutelare e guerriera, le cui rappresentazio-
ni, dalla sfera umana, in cui ella ha la sua forma prima e più
significativa, a quella animale e vegetale e delle cose inanimate,
mutano col mutare delle idee che nelle sue metamorfosi ella
adombra, e delle sue sfere d'azione. Accanto, ma in posizione
subordinata, quale è richiesta dalla sua originaria androginia, ella ha
normalmente un paredro, anch'esso polimorfo e variamente simbo-
leggiato, soggetto al ciclo della nascita e della morte, e a volta a volta
figlio, fratello e amante. Ella stessa riunisce in sé i principì della
permanenza e della caducità nella duplice figura della madre e della
figlia, perpetuate in età storica nelle due dee di Eleusi. Intorno, in
figure ibride di dèmoni, è la folla delle forze che si sottraggono ai
grandi ritmi del mondo, e alle quali ella sovrasta.
Sotto lo sguardo dei Greci questo mondo fluido ed ambiguo di
concetti trasposti e di simboli si scinde e si fissa nella singolarità
univoca delle figure: i sensi traslati cadono, la molteplicità delle
rappresentazioni si fa molteplicità di sostanze. Per la prima volta le
cose escono dalla sfera magica dell'evento, s'elevano dalla dispersio-
ne e dall'instabilità degli accidenti all'unità immobile dell'ess"re,
riducono intera alla superficie visibile la loro essenza invisibile. E il
mondo delle forme che sorge, e con esse appare per la prima volta lo
spazio, separato dal tempo, nel cui flusso l'evento lo trascina e col
quale l'esperienza esistenziale e la mentalità primitiva lo confondo-
no, lo spazio come limite della forma che lo crea, e fuori della quale
esso è nulla, quello che noi conosciamo dall'arte greca e che sarà
definito da Aristotele, lo spazio <<in cui il mondo>>, come egli dice, <<è
quanto alle sue parti e non è quanto al tutto>>, laddove per gli Stoici è
esterno al mondo ed è definito dall'evento. La realtà è esorcizzata; la
trama delle relazioni simpatetiche, sulle quali opera il magico, si
rompe, i regni della natura si dividono, i movimenti e le forze
rientrano nei limiti delle grandezze: non più azioni a distanza, non
più metamorfosi: le potenze abbandonano la sfera delle cose visibili,
che s'apre al dominio dell'uomo, discendono nelle profondità della
terra, negli abissi del mare: dal ciclo delle epifanie dell'evento si
staccano gli dèi della forma.
Sono tutti antropomorfi, ma immuni da vecchiezza e da morte,
fermi in un'età senza tempo: l'aureola che chiude la figura dell'uomo
fatta sostanza e proiettata nell'eterno. Nella sfera dell'eterno s'inalza
la montagna ch'era stata della Potnia e dei suoi teriomorfi paredri;
55
FORMA ED EVENTO
56
FORMA ED EVENTO
57
FORMA ED EVENTO
nel riso il vertice opposto a quello che aveva fatto toccare nel pianto
all'eroe. La commedia: la rivoluzione dell'età del popolo.
58
FORMA ED EVENTO
59
FORMA ED EVENTO
60
FORMA ED EVENTO
61
cbe sonoswe all'evU~lO, così l'intelligeoza di Prometeo, figlio di
G.ia-Themis custode di tutù gli evoem:i., è imbelle e deve souoswe
~ forza. ADa fine si concilieranno, ma Zeus sarà superiore a
Prometeo, che nell'anello e nella corona di salice ponerà i segni
dell'antica pena. Perché Eschilo è una maratbonomacbo e, come
Achille, ha il cuore di leone, ed ha gli occhi di Achille, e al di sopra
ddla giustizia dell'evU~lO crede, come ci crede Pericle, come ci
crederà Tucidide, ~ giustizia ddla forma.
QuanlO la "'~tìs è necessaria ad Ulisse, tanlO è inutile ad Achille,
perché egli non agisce mai in vista dell'evento, e l'azione nasce in lui
non ~ riflessione, ma ~ passione: dall'ira, l'llllica delle
passioni che sia propria della forma, l'ira che Aristotele difende e gli
Stoici combattono. Se l'azione della forma è di forza, il suo principio
non può essere che una forza. Ma come questa forza non è la forza
selvaggia dell'evenro, ma quella cosciente di sé e in sé raccolta della
forma, così anche è dell'ira che la mtJOVe. Perciò la misura la trova da
se stessa: Achille, quando sta pet trarre la spada contro Agamenno-
ne, s'arresta: il Poeta fa intervenire Atena, ma Atena non è che 1'11retè
stessa d'Achille fatta dea. Una sola volta l'ira di Acbille straripa, ed è
contro Ettore; ma è stato remo nell'amore e l'amore è una delle
forze cosmogoniche dell'evento. Ed è qui che l'Ilùule trapassa
dall'epopea alla tragedia.
All'ira d'Achille fa riscontro la pazienza di Ulisse, JtOÀ.in:Aaç; così
come è :7tOÀU!'YJTlç;. Non c'è caso che s'adiri, ma non pet questo
rinunzia alla vendetta: anzi solo la sua è vaxletta, ticnç, nel seoso
mediterraneo della parola, meditata e fredda, spietata; mentre
Achille agisce nell'impeto e nel calore della passione, e alla fine si
lascia placare e piange con Priamo sul nulla che è l'uotno. E mentre
la vendetta d'Achille sottostà alle leggi della forma, ed è un duello,
un agone, ad anni pari, che egli affronta sapendo che, vittoria o
sconfitta, ci rimette la vita, quella d'Ulisse è tramata coll'inganno, un
inganno che è fornito da un agone; e non è un duello, è una strage,
ch'egli attua solo quando ha predisposto ogni cosa ed è sicuro, con
l'aiuto d'Atena, di trame salva la vita. E fatto anch'esso significativo,
Achille combatte «a lancia e spada., che sono le armi dell'11retè, ma
Ulisse i Proci li uccide con l'arco, l'arma dell'insidia e dell'ombra,
che non ha bisogno di 11retè, l'arma che colpisce rapida e invisibile
come l'evento, l'arma che i Greci lasciarono alloro ApoDo asiatico e
alla sua sorella Aneroide, nella loro qualità di capponatori di
monoo. ma tennero sempre a vile e coosiderarooo barbara. Dio è
presa con l'inganno e con l'arco, perché la sua disauzione è voluta
62
FORMA ED EVENTO
63
FORMA ED EVENTO
64
FORMA ED EVENTO
dèi, coi medesimi occhi, incomunicabili, gli occhi che tra i suoi
discepoli avrà solo Platone. _
Per la forma, come Achille, già prima di Socrate, erano mone
sulla scena le eroine di Euripide, il poeta sotto il cui sguardo la moira
s'era svuotata nella tyche, e che aveva visto nell'etere sparire gli dèi
della forma. Ma la forma era nel suo cuore, una forma che non aveva
altra sostanza se non quella della sua poesia, una parvenza. Per
questa parvenza muore Ifigenia, Ifigenia giovane, nell'età in cui si
crede alle parvenze. Alla giovinezza il poeta già grigio aveva dedicato
il suo canto più bello, alla giovinezza e alle Grazie, congiunte da
indissolubile nodo con le Muse, le Muse che siedono custodi dei
sepolcri, ed eternano nel canto, oltre il mare tempestoso degli eventi,
la gloria della forma, nella notte della morte, l'aureola luminosa della
forma.
Nella notte della mone, che è pure la notte da cui si genera la
vita. Esiodo la fa col fratello Erebo figlia di Caos, e da lei e da Erebo
fa nascere Etere e Giorno. Al posto del Caos Plotino metterà l'Uno,
da cui procede l'Intelletto, il mondo luminoso e trasparente delle
forme, e in terzo grado, l'Anima, il mondo tenebroso e ambiguo
degli eventi: l'Uno, che è al di là della forma e dell'evento, ineffabile,
senza figura, di cui si può dire solo che è, immobile e senza pensiero,
l'Essere che coincide col Nulla.
6.5
Lenera a Pietro de Francisci pubblicata in «Giornale critico della 6losofìa italiana», fase. m,
luglio-settembre 19,3, Firenze, Sansoni.
FORMA ED EVENTO*
a Pietro de Francisci
* A proposito del saggio con lo stesso titolo pubblicato in questo «Giornale», 1952, p. l.
69
APPENDICE
70
APPENDICE
Da quello che precede è chiaro che non sono i'hic et nunc che
localizzano e temporalizzano l'evento, ma è l'evento che temporaliz-
za il nunc e localizza l'hic. E l'hic è in conseguenza del nunc: perché
è come interruzione della linea indifferenziata e non avvertita della
durata - e cioè dell'esistenza come esistenza vissuta - che l'evento
emerge e s'impone, ed è per essa e in essa questa interruzione che
l'hic è avvertito e si svela. La distinzione che gli studiosi della
mentalità primitiva fanno tra lo spazio e il tempo, che da essi
vengono posti sul medesimo piano, è un errore. Nella mentalità
primitiva, come è provato dai miti e dai riti, spazio e tempo fanno
uno, ed è il tempo che è primario. Il mito ha sempre forma storica,
ed è nei tempi sacri rinnovati dal rito che i luoghi e gli oggetti sacri
sono sentiti per eccellenza augusti. Lo stesso vale per noi: nella
nostra vita vissuta i luoghi hanno tutti una data, e sono reali solo in
quanto quella data è attuale e si fa presente come evento. Solo per
questo <de cose>> possono essere sentite come eventi, e i nomi si
confondono coi verbi. Ma sul piano obbiettivo della coscienza il
rapporto si rovescia, perché solo lo spazio è rappresentabile.
L'evento è sempre nella relazione di due termini: l'uno è il
cuique come pura esistenzialità puntualizzata nell' hic et n une, l'altro
è la periferia spaziale-temporale da cui l' èvenit è sentito provenire, e
della quale l'hic et nunc costituisce il centro. Il primo termine è
finito, il secondo è infinito e come ubique et semper comprende
tutto lo spazio e tutto il tempo: è in esso che ha sede il «divino>>.
Questa relazione tra finito e infinito è sentita e non pensata, e solo
come relazione sentita è reale, perché l'evento non s'intende se non
nella sfera dell' esistenzialità, ed è al di qua di ogni pensiero
cosciente. La prima definizione che noi possediamo di questa
periferia fatta presente dall'evento e l'èbtELQOV 1tEQLÉXOV che
Anassimandro identificava col «divino>> e dal quale faceva «governa-
re il tutto>>.
Questo punto è della massima importanza. Vi sono eventi ed
eventi, e ciascuno ha la sua dimensione e la sua direzione, ma tutti
sono caratterizzati dall'avvertita e vissuta presenza dell' apeiron
periechon. Ciò è provato dall'esperienza, dalla fenomenologia della
religione e da due fra i più tipici sistemi dell'evento, lo stoicismo, che
ne esprime la massima chiusura, e l'esistenzialismo, in cui esso si
presenta nella forma più aperta. Nell'esperienza: ciascuno sa che
ogni evento, nell'atto in cui lo si vive, è, almeno per un istante, tutto
quanto v'è d'evento nel mondo, e la sensazione che lo accompagna è,
nell'ordine spaziale, quella dell'isolamento e del vuoto, e, nell'ordine
71
APPENDiCE
72
APPENDlCE
73
APPENDICE
74
APPENDICE
75
APPENDICE
76
APPENDICE
CARLO DIANO
Luglio 1952
12BB40B
77
<<Le Muse eternano nd canto, oltre il mare tempestoso degli eventi, la
gloria della forma, nella notte della morte, l'aureola luminosa della forma.
Nella notte della morte, che è pure la notte da cui si genera la vita. Esiodo
la fa col fratello Erebo figlia del Caos, e da lei e da Erebo fa nascere Etere e
Giorno. Al posto dd Caos Platino metterà l'Uno, da cui procede l'Intel-
letto, il mondo luminoso e trasparente delle forme e, in terzo grado,
l'Anima, il mondo tenebroso e ambiguo degli eventi: l'Uno, che è al di là
della forma e dell'evento, ineffabile, senza figura, di cui si può dire solo
ehe è, immobile e senza pensiero, l'Essere che coincide col Nulla>>.
Pubblicato per la prima volta nd 1952, questo breve saggio si pone come
un modello di letture e di analisi che si distingue per l'originalità del
tracciato e l'inusitata tensione teorica. Esempio eli straordinaria potenza
interpretativa, preziosa testimonianza di un clima e di una stagione
intellettuale di grande densità, ci consente, nella galassia della cultura
attuale, di riscoprire un classico.
Carlo Diano (1902-1974) è stato uno dei più insigni studiosi del mondo greco
antico. Allievo di Vittorio Rossi, NiCola Festa c Giovanni Gentile, a partire dal
1950 ha tenuto l'insegnamento di letteratura greca all'Università di Padova.
Filologo, letterato, filosofo, storico del pensiero antico, ha condensato la sua
multiforme attività in una serie di saggi brevi e densissimi, di cui Forma ed evento
rappresenta forse la summa più significativa.