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MEDIOEVO E UMANESIMO • 66

CONOR FAHY

SAGGI
DI BIBLIOGRAFIA TESTUALE

EDITRICE ANTENORE • PADOVA


MCMLXXXVIII

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MEDIOEVO E UMANESIMO

a cura di
Rino Avesani, Giuseppe Billanovich, Mirella Ferrari,
Giovanni Pozzi, Mariangela Regoliosi

66
CONOR FAHY

SAGGI
DI BIBLIOGRAFIA TESTUALE

EDITRICE ANTENORE • PADOVA


M C M LX X X V III
Tutti i diritti riservati
© COPYRIGHT BY EDITRICE ANTENORE • PADOVA

PRINTED IN ITALY
SOMMARIO

Premessa ix

CONTRIBUTI METODOLOGICI

i. Sguardo da un altro pianeta: bibliografia testuale ed edizio­


ne dei testi italiani del XVI secolo i
il Introduzione alla bibliografìa testuale ( tav. I-IV) 33
in. Edizione, impressione, emissione, stato 65
iv. Il concetto di ‘esemplare ideale’ 89
v. Una nuova tecnica per collazionare esemplari della stessa
edizione 105
vi. Nota non-fantascientifìca 113

STUDI BIBLIOGRAFICI

vii. Le due edizioni (napoletane) delle «Forcianae Quaestio-


nes » di Ortensio Landò (tav. V-VI1) 123
vili. Di un’edizione cinquecentesca dell’ « Am inta». Postilla bi­
bliografica 141
ix. Nota sulla stampa dell’ edizione aldina del 1505 degli « Aso-
lani » di Pietro Bembo 145
x. Correzioni ed errori avvenuti durante la tiratura secondo
uno stampatore del Cinquecento: contributo alla storia della
tecnica tipografica in Italia 155
xi. Le edizioni veneziane dei « Paradossi » di Ortensio Landò
(tav. VlII-XIt) 169
xii. Per la stampa dell’edizione definitiva dei « Promessi sposi »
(tav. XlII-XVf) 213
xiii. L. Ariosto, «Orlando Furioso», Ferrara, Francesco Rosso,
1532: profilo di un’ edizione 243

Indice dei termini tecnici 271


Indice dei nomi 273
INDICE DELLE TAVOLE

T av . I. La sala tipografica dell’Officina Plantiniana (ora Museo


Plantin-Moretus) di Anversa. I torchi allineati lungo le finestre
sono di tipo secentesco; a sinistra, le casse con i caratteri tipogra­
fici. Vedi p. 40.
T av . II. Un torchio a mano, incisione di Vittorio Zonca (1607).
La rappresentazione, interessante per i molti particolari ivi illu­
strati, ha due anormalità: 1) l’insieme di forma, timpano e fra­
schetta (EE) occupa soltanto la metà del carro (E), il che avrebbe
reso difficile il giusto funzionamento del meccanismo; 2) il pia­
no è della stessa grandezza della forma. Vedi p. 40.

T av . III. Incisione di Peter Scriverius (1628) basata su disegno


molto accurato di Pieter Saenredam. Il tiratore sta eseguendo
l’impressione di una forma, mentre il battitore prepara i mazzi
dell’inchiostro; a destra, la figura venerabile di un compositore.
Vedi p. 41.

T av . IV. Una tipografìa del Settecento illustrata nell , Encyclopédie


francese (1769). Nel torchio a sinistra, il tiratore fìssa sul timpano
un foglio bianco, mentre il battitore batte la forma con i mazzi
dell’inchiostro; in quello a destra, gli operai sono colti nello stes­
so momento del processo tipografico rappresentato nella T av .
III. Vedi p. 41.

T av . V. 1. Landò , Forcianae Quaestiones, 1535, p. 39, C4r. 2. Lan­


dò , Forcianae Quaestiones, 1536, c. n r, B3r. Vedi pp. 129 e 132.

T av . VI. Iniziale xilografica A . in 1. B. Latini, Tesoro (Venezia,


Sessa, 1533), Q5V. 2. Landò , Forcianae Quaestiones, 1536, C7V. 3.
P. A ron, Toscanello in musica (Venezia, Sessa, 1539), A4V. 4-5. Ini­
ziale xilografica Q in Landò , Forcianae Quaestiones, 1536, A 2 r e
A ron, Toscanello in musica, 15 3 9 ,14V. - 1, 3, 5 sono riprodotte per
cortesia dei Trustees della British Library -. Vedi p. 131.

T av . VII. Iniziali xilografiche Q, N, A. 1-3 in T olomeo, Geogra-


phicae enarrationis libri (Lione, M. e G. Trechsel, 1535). 4-6. Le
stesse iniziali in Landò , Forcianae Quaestiones, 1535 - 1, 2, 3 sono
riprodotte per cortesia dei Trustees della British Library - . Ve­
di p. 134.
INDICE DELLE TAVOLE VII

T av . V ili. Frontespizio dei Paradossi, 1544 c - per cortesia dei Tru-


stees della British Library Vedi pp. 188, 201 e 208. 194

T av . IX. 1. L’iniziale N in D. C avalca , Specchio della croce (Vene­


zia, V. Ruffìnello, 1545), c. A2r - per cortesia dei Trustees della
British Library -. 2. La stessa iniziale nei Paradossi, 1545 a, c. K8v.
Vedi p. 187. x94

T av . X. 1. L’iniziale L in G. A ndrés, Opera chiamata confusione


della setta machometana (Venezia, Bartolomeo detto l’Imperadore,
1545), c. A3V. 2. La stessa iniziale nei Paradossi, 1545b, c. L6v
- riprodotte per cortesia dei Trustees della British Library -.
Vedi pp. 187 e 207. 194

T av . XI. 1. L’iniziale P nella Confutazione de’ Paradossi, c. B5r.


2. La stessa iniziale in M.A. B iondo, Della pittura (Venezia, Bar­
tolomeo detto Plmperadore, 1549), c. A ir - riprodotta per corte­
sia dei Trustees della British Library -. Vedi p. 190. 195

T av . XII. Impresa tipografica, Confutazione de’ Paradossi, 1545, c.


Air. Vedi p. 188. T95

T av . XIII. Torchio Stanhope di dimensioni normali. Vedi p. 217. 218

T av . XIV. Grande torchio Stanhope (piano di 80 x 60 cm.) fab­


bricato a Parigi nel 1847, e ancora in uso ad Alcázar de San Juan
(Ciudad Real), Spagna. Vedi p. 217. 219

T av . XV. Bozza ricostruita della dispensa 21 (M ilano, Bibl. Naz.


Braidense, Manz. xxx. 17). Vedi p. 224. 226

T av . XVI. Collocazione delle pagine in una forma per la stampa


della dispensa 21 con l’imposizione a mezzo foglio. Vedi p. 225. 227
PREMESSA

I saggi riuniti in questo volume sono stati scritti seguendo due spinte
diverse ma affini, che sono rappresentate dalla bipartizione del mate­
riale ivi incluso. Una spinta, la prima in ordine cronologico, è stata
quella di mettere al servizio dei miei studi letterari e filologici le tec­
niche di analisi bibliografica che avevo attinto, fin dagli anni del mio
perfezionamento fra le cinquecentine italiane della biblioteca uni­
versitaria di Manchester, dal contatto con l’ambiente bibliotecario e
filologico inglese. I contributi che ne risultarono sono quelli raccolti
nella seconda sezione di questo volume. Ma allo stesso tempo mi so­
no reso conto che sarebbe stato utile fornire in italiano una discussio­
ne anche elementare dei legami che potevano, anzi dovevano, esiste­
re fra analisi bibliografica e critica testuale, secondo le direttive di
quell’area dell’attività filologica che in inglese si definisce con il ter­
mine «textual bibliography». È cosi che sono nati i saggi contenuti
nella prima sezione di questo volume, di cui due, il terzo e il sesto, so­
no pubblicati qui per la prima volta. Come ho sempre riconosciuto, le
tecniche dell’analisi bibliografica erano note e praticate da anni in
Italia da bibliotecari e bibliografi, ma, nonostante l’esempio di filolo­
gi insigni come Santorre Debenedetti e Michele Barbi, esse stentava­
no a penetrare nel mondo della filologia italiana. È per questo, non­
ché per la natura dei miei propri interessi, che mi sono indirizzato in
questi saggi (e m’indirizzo tuttora) piuttosto ai filologi che ai biblio­
tecari. Giova insistere - perché sono stato frainteso da alcuni - che
quest’atteggiamento intende esprimere, nei confronti dei biblioteca-
ri italiani, non una sfiducia nelle loro capacità di adeguarsi alle esigen­
ze della descrizione e della catalogazione scientifica, come se la bi­
bliografìa testuale non fosse pane per i loro denti, ma proprio l’oppo­
sto, cioè il convincimento che la categoria è da tempo in possesso de­
gli strumenti necessari per poter sfruttare tecniche e conoscenze
nuove, anche se ostacolata talvolta nella loro applicazione dalle im­
perfezioni delle strutture organizzative delle biblioteche italiane;
mentre poteva essere utile, pensavo, offrire a quegli studiosi che con­
dividevano il mio interesse nella critica testuale alcuni orientamenti
con cui navigare con qualche speranza di successo nel mare magnum
della descrizione e dell’analisi bibliografica.
Bisogna sottolineare, però, che il quadro della bibliografìa che si
X PREMESSA

delinea in queste pagine è doppiam ente parziale. In primo luogo, re­


stano esclusi dalla seconda sezione del libro, perché irrilevanti nei
confronti delle ricerche ivi descritte, alcune tecniche analitiche spes­
so usate nella bibliografìa testuale. Penso soprattutto alle indagini in­
tese a individuare il lavoro dei singoli compositori attraverso l’identi­
ficazione di grafìe caratteristiche, e a quelle che hanno per oggetto
l’analisi della carta. M entre non posso nascondere un certo scettici­
smo riguardo al valore dei risultati raggiunti dal prim o filone di ricer­
ca indicato sopra, scetticismo condiviso da uno degli studiosi più acu­
ti che lavorano attualm ente nel campo della bibliografìa testuale di
lingua inglese,1non c’è dubbio che il secondo filone, che vanta in Ita­
lia un lavoro precoce e eccezionale, Le filigrane dei paleotipi (1957) di
Roberto Ridolfì, è di prim aria im portanza ed è destinato ad un gran­
de sviluppo.
Più generalm ente, se accettiamo la proposta di Luigi Balsamo di
intendere il concetto di bibliografìa « nella sua sostanza di funzione
m ediatrice fra produzione e circolazione libraria »,2 è evidente che la
«bibliografìa tipografica», come egli chiam a gli studi di bibliografìa
testuale, non costituisce che un settore specializzato e lim itato
dell’attività bibliografica in generale. Anche n ell’ambito della biblio­
grafìa diacronica, a cui appartiene, l’ analisi del libro come oggetto
m ateriale non copre che una parte del campo, e ha bisogno di essere
integrata e com pletata da studi sui fattori culturali ed economici che
hanno determ inato la produzione di quel libro in quella forma a quel
momento e in quel luogo. E interessante notare come, fra i rappresen­
tanti più aperti della bibliografìa testuale di lingua inglese, com incia a
farsi strada oggi una reazione contro l’ esclusività di certi esponenti
della disciplina, che insistevano nel ridurre l’indagine bibliografica a
quei tipi di ricerca favoriti dalla bibliografìa testuale, e nel considera­
re di valore generale i procedim enti editoriali elaborati originaria­
m ente per l’ edizione critica di testi dram m atici inglesi della fine del
Cinquecento e dell’inizio del Seicento.3 In Italia, invece, la bibliogra­
fìa testuale ha la fortuna di incontrare un terreno già molto ben colti­
vato e preparato da più di un secolo di studi sulla storia culturale ed

1. Vedi D. F. M c K enzie, Stretching a Point: or, the Case of the Spaced-out Comps,
«Studies in Bibliography», xxxvii (1984), 106-21.
2. Vedi L. B alsamo , La bibliografia: storia di una tradizione, Firenze 1984, 7.
3. Bisogna ancora una volta fare il nome di D. F. McKenzie che, mentre scrivo
PREMESSA XI

economica del libro, e su questo terreno già molto fertile sono con­
vinto che essa presto e facilm ente attecchirà e darà buon frutto.

N el ripubblicare qui i saggi già apparsi in riviste italiane e inglesi m i


sono lim itato a correggere eventuali errori m ateriali ed a operare al­
cuni piccoli tagli, allo scopo di evitare ripetizioni fastidiose; inoltre,
nel primo saggio, Sguardo da un altro pianeta, ho elim inato alcuni para­
grafi indirizzati ai lettori inglesi, a cui esso fu originariam ente desti­
nato, e che sarebbero risultati fuori luogo in questa sede. A parte que­
sti ritocchi, i saggi sono ripubblicati inalterati; eventuali aggiorna­
m enti sono posposti ai singoli saggi, in forma di aggiunte. Le descri­
zioni bibliografiche incluse in alcuni saggi (nn. 7,8,9,11,13) sono tutte
ispirate alla prassi descrittiva della «textual bibliography» anglo-
americana, che trova la sua esposizione più rigorosa e comprensiva
nel volum e di Fredson Bowers, Principles o f Bibliographical Description
(1949; nuova emissione, 1962); ciononostante, esse differiscono l’una
dall’ altra per alcuni particolari minori, come ad esempio il trattam en­
to della 5 lunga. In un primo momento, avevo pensato di dover livel­
lare queste differenze, dovute a ragioni contingenti; m a poi m i è par­
so più utile lasciare inalterate queste descrizioni, nella convinzione
che in pratica giova una certa flessibilità nel grado di com pletezza che
si cerca di raggiungere nella descrizione bibliografica, fermo restan­
do che scopo della descrizione bibliografica è la capacità di categoriz­
zare in modo inequivocabile i fenom eni descritti, il che esige di solito
almeno la trascrizione sem i-diplom atica del frontespizio e del colo­
fone e la determ inazione della form ula collazionale.

E un grato dovere ringraziare vivam ente Giuseppe Billanovich,


che per prim o m ’invitò in Italia a parlare della bibliografìa testuale e,
dopo aver seguito con am ichevole interessamento i m iei studi, ha poi
voluto accogliere questo volum e nella prestigiosa collana « M edioe­
vo e U m anesim o». U n ringraziam ento affettuoso anche all’amico

queste parole, tiene alla British Library la serie inaugurale delle « Panizzi Lectu­
res », intitolate al grande esule italiano che fu direttore della biblioteca del Museo
Britannico nell’Ottocento; la serie, che ha per titolo « La bibliografìa e la sociolo­
gia del testo », aspira a strappare la bibliografìa testuale anglo-americana dal suo
isolazionismo e a ricollegarla alle grandi correnti europee di bibliografìa storica.
Precoce in questo campo fu l’appello dij. F eather , Cross-channel Currents:Histori­
cal Bibliography and fhistoire du livre’, « The Library », ser. 6, 11 (1980), 1-15.
XII PREMESSA

Giuseppe Frasso, che mi ha aiutato, con Pasquale Stoppelli, nella tra­


duzione del primo saggio e, con Costante Fossati, in quella del setti­
mo e del nono, e all’amico Luigi Balsamo, traduttore del quinto, tutti
originariamente apparsi in inglese. Per gli altri, tutti apparsi in italia­
no, ho un debito contratto tempo fa, e che cresce ogni anno, con gli
amici e colleghi Anna Laura e Giulio Lepschy, che con tatto pari sol­
tanto alla loro cortesia hanno voluto sorvegliare il mio italiano. Se,
malgrado i loro sforzi, esso rimane sempre un « balbo parlare », la col­
pa è di chi scrive, che non ha saputo approfittare appieno delle loro
lezioni e del loro esempio.
C o no r Fahy

Ipswich, Capo d’Anno 1986


I

SG U ARD O DA U N A LT R O PIANETA:
BIBLIO G RA FIA TESTU ALE ED EDIZIONE
DEI TESTI ITALIAN I DEL XVI SE C O L O 1

Secondo Fredson Bowers la bibliografìa testuale è un settore del­


la bibliografìa analitica, e concerne la forma interna, ossia i conte­
nuti, di un libro, considerati « non ... come simboli da tradurre
all’istante nella mente in concetti che esprimono dei significati»,
ma « come semplici segni d’inchiostro impressi sulla carta da pez­
zi di metallo sistematicamente scelti e ordinati da un operatore
umano, il compositore »? Questa definizione sottolinea il fatto
che bibliografìa testuale e critica del testo sono due discipline di­
stinte; che nel procedimento editoriale ognuna di esse occupa un
differente momento ed è governata da leggi e procedure sue pro­
prie, che non dovrebbe essere permesso confondere. E tuttavia la
bibliografia influenza, si potrebbe dire quasi vincola, l’attività del­
la critica del testo, come potrà facilmente convenire chiunque ab­
bia esperienza editoriale anche di testi trasmessi interamente da
testimoni manoscritti; questo ha condotto a ciò che si potrebbe
definire un’interpretazione meno rigorosa, più vulgata dell’e-

1. Pubblicato in « Italian Studies », xxxiv (1979), 71-92. Questo articolo è una


versione rivista ed annotata della Cecil Oldman Memorial Lecture in Biblio­
graphy and Textual Criticism per il 1976-7, tenuta all’Università di Leeds il 26 ot­
tobre 1976. Essa contiene un breve esame generale di un argomento vasto, con
inevitabili compressioni ed omissioni. Le note a piè di pagina comprendono rife­
rimenti a materiale importante pubblicato dopo la lettura di questa conferenza.
La conferenza fu preparata per un pubblico non specializzato sulla letteratura
italiana; a sua volta essa presuppone una conoscenza della bibliografia testuale e
dei suoi problemi, cosi come sono stati sviluppati dai critici testuali inglesi ed
esposti nei manuali di R.B. McKerrow e Philip Gaskell, citati nelle note, e in
quello di F. B owers, Principles of Bibliographical Description, New York 1962. Sono
grato all’Università di Leeds, ed in particolare al Dr. John Horden, direttore
dell’Institute o f Bibliography and Textual Criticism in the School o f English, per
l’opportunità concessami di sviluppare le mie opinioni ed esporle da una cosi il­
lustre tribuna.
2. F. B owers, Bibliography and Textual Criticism, Oxford 1964, 27.
2 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

spressione ‘bibliografìa testuale’, come « critica del testo applicata


a i ... problemi dei testi a stampa » : 3 definizione che ha la sua giu­
stificazione pratica, di uso quotidiano, nel fatto che in molti casi il
critico del testo avrà fatto egli stesso le indagini bibliografiche su
cui baserà il suo testo critico.
N ell’ambito in cui opero - l’edizione dei testi italiani del sedi­
cesimo secolo - queste distinzioni sono irrilevanti. Qui la biblio­
grafìa testuale, sia come branca della bibliografìa analitica sia co­
me settore della critica del testo, semplicemente non esiste. Per il­
lustrare quest’affermazione mi si permetta di citare l’unico riferi­
mento che riesco a trovare ai particolari problemi della trasmis­
sione dei testi a stampa nel più recente manuale italiano di critica
testuale, pubblicato in un’autorevole collana da una studiosa di
grande acume. Esso è contenuto in una nota, di cui la parte che ci
interessa legge nel modo seguente: « In generale, tutte le copie di
una stampa valgono come un unico testimone ».4 Nel citare que­
st’esempio di poca familiarità con i procedimenti della produzio­
ne dei libri all’epoca della stampa manuale e con le loro implica­
zioni sul piano della critica testuale non intendo screditare l’illu­
stre autrice del manuale in questione, e neppure la critica testuale
italiana in quanto tale, della quale siffatta poca familiarità è tipica.
Proprio come la critica testuale anglo-americana è stata dominata

3. P. G askell, A New Introduction to Bibliography, Oxford 1972, 336.


4. F. B rambilla A geno, L’edizione critica dei testi volgari, Padova 1975 (Medioe­
vo e Umanesimo, 22), 18, n. 7 [v. anche la seconda edizione riveduta e ampliata,
Padova 1984,20, n. 8]. Questa nota cita, come un’eccezione, l’opinione di uno stu­
dioso italiano che nel 1925 fece notare che le edizioni dei dialoghi italiani di Gior­
dano Bruno, stampate a Londra nel 1584 e 1585, contengono varianti d’autore, tra­
sformando in tal modo ogni esemplare sopravvivente in un testimone indipen­
dente; eppure essa trascura di ricordare che il primo di questi dialoghi, La cena de
le ceneri, fu pubblicato a cura di Giovanni Aquilecchia nel 1955 in una edizione cri­
tica che ha ampiamente documentato il ruolo delle correzioni d’autore nell’edi­
zione londinese del 1584. Ugualmente sintomatico di un certo disinteresse per gli
aspetti bibliografici della critica testuale è l’assenza di qualunque riferimento in
questa nota all’esempio più conosciuto di correzione d’autore a stampa nella let­
teratura italiana del Rinascimento: l’edizione definitiva dell’ Orlando furioso
dell’Ariosto, stampata da Francesco Rosso a Ferrara nel 1532, quantunque l’opera
dell’Ariosto, e questa edizione, ricorrano parecchie volte nel manuale in altri
contesti.
I • SGUARDO DA UN ALTRO PIANETA 3

e modellata dai problemi della definizione del testo di Shakespea­


re, cosi la critica testuale italiana ha affinato i suoi strumenti so­
prattutto in funzione dei problemi altrettanto ardui posti dal mi­
raggio di un testo critico della Divina Commedia. L’ampiezza della
prima diffusione del capolavoro dantesco (sopravvivono più di
600 manoscritti della Divina Commedia e più di cento sono del
quattordicesimo secolo, a non più di cent’anni dalla composizio­
ne dell’opera), l’assenza di qualsiasi materiale autografo, la pre­
senza invece nei più antichi testimoni sopravvissuti di una fìtta
contaminazione orizzontale, unite all’irrilevanza per la ricostru­
zione del testo (e ciò vale anche per gli altri due capolavori uni­
versali della letteratura italiana, i Rerum vulgariumfragmenta e il De­
cameron) della testimonianza delle prime stampe, che seguono di
almeno un secolo la composizione delle tre opere, sono fattori
che nel loro insieme spiegano le principali caratteristiche dell’at­
tuale teoria e pratica della critica testuale in Italia: un adattamento
straordinariamente sofisticato e rigoroso alle necessità della lette­
ratura volgare delle teorie e delle tecniche elaborate per l’edizio­
ne dei testi classici, e un disinteresse pressoché totale per i partico­
lari problemi che si pongono quando i testi sono trasmessi attra­
verso la stampa.5

5. Per una rigorosa esposizione della teoria critica italiana si veda D’A. S.
A valle, Prìncipi di crìtica testuale, Padova 1972 (Vulgares Eloquentes, 7). Effettiva­
mente, né il Canzoniere del Petrarca, né il Decameron presentano seri problemi
stemmatici per il critico testuale, dal momento che in entrambi i casi siamo abba­
stanza fortunati nel possedere testimoni aventi il valore di autografo (per una re­
cente discussione della prima edizione del Decameron, per lungo tempo stimata
testualmente importante, si veda V. B ranca-L. N adin, La stampa Deo Gratias’ del
Decameron’ e il suo carattere contaminato, « Studi sul Boccaccio », vm (1974), 1-77).
Quanto a Dante, può darsi che il recente testo critico della Divina Commedia, pro­
dotto da Giorgio Petrocchi sulla base degli antichi manoscritti precedenti la revi­
sione boccacciana del 1355 (La commedia secondo l’antica vulgata, 4 voli., Milano
1966-7), finirà per essere accettato come definitivo, permettendo in tal modo alla
riflessione dei critici testuali italiani di occuparsi più metodicamente dei proble­
mi della stampa. In questo contesto è a prima vista sorprendente, in considerazio­
ne della grande influenza esercitata sulla contemporanea critica testuale italiana
dall’insegnamento e dagli scritti di Giorgio Pasquali, che gli studiosi italiani non
abbiano mai svolto i suggerimenti impliciti in una nota della sua Storia della tradi­
zione e crìtica del testo, pubblicata per la prima volta nel 1934, nella quale egli richia-
4 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

Questo, dunque, è lo sfondo rispetto a cui si accampa la mia in­


dagine. M i porrò tre domande, a cui cercherò di dare una risposta.
Anzitutto, fino a che punto le scoperte della bibliografìa anglo-
americana possono essere applicate alla stampa italiana del sedice­
simo secolo; in altre parole, hanno esse una validità internaziona­
le? Poi, vi sono delle specifiche difficoltà a cui in Italia va incontro
chi fa ricerche di bibliografia testuale? Infine, le pratiche editoriali
anglo-americane possono e dovrebbero essere adottate nell’edi­
zione dei testi italiani del sedicesimo secolo? Sono queste, come ci
si renderà conto facilmente, delle domande tutte molto ampie, e
nel tempo a mia disposizione posso solo abbozzare delle risposte.
Ciò è dovuto in parte al fatto che, se mi è concesso di aggiungere
un’altra metafora a quella contenuta nel titolo di questa confe­
renza, siamo sul punto di intraprendere un viaggio per acque non
segnate. Disponiamo di uno scandaglio e ne faremo uso, ma temo
che ci saranno momenti in cui non saremo in grado di raggiunge­
re il fondo. Ho fiducia, comunque, che non perderemo la rotta e
che alla fine potremo arrampicarci insieme sulla coffa e lanciare
un timido ma sincero grido di « ohe, terra! ».

Con la prima delle tre domande siamo ancora in acque costiere


relativamente calme; le nostre carte sono affidabili, l’acqua è chia­
ra, gli scogli ben visibili. Se non ho dubbi che il determinare in­
duttivamente le pratiche della stampa italiana, anzi di quella con­
tinentale, del sedicesimo secolo dai risultati delle ricerche esperi­
te su quella inglese sia un’operazione valida, è perché la professio­
ne tipografica nel quindicesimo e nel sedicesimo secolo ha carat­
tere di internazionalità e di mobilità. La stampa fu inventata in

mava l’attenzione sulle varianti a stampa d’autore nelle edizioni definitive sia
dell’ Orlando furioso sia dei Promessi Sposi (1840-42). Il fatto è, comunque, che non
solo Pasquali ma anche gli studiosi responsabili della scoperta di questi casi di
correzioni d’autore, fatte durante la tiratura, rispettivamente Santorre Debene­
detti e Michele Barbi, considerarono tali elementi come anormali (cfr. L. A rio ­
sto , Orlando furioso, a cura di S. D ebenedetti, ih, Bari 1928, 426: « Non conosco
due esemplari del Furioso che siano identici: e non parlo degli errori di stampa e
delle varietà tipografiche! Ci troviamo innanzi ad uno dei casi più strani che siano
offerti dalla tradizione tipografica. La tiratura era vigilata foglio per foglio. »).
I • SGUARDO DA UN ALTRO PIANETA 5

Germania e furono i tedeschi che comunicarono l’invenzione


agli altri paesi e ne dominarono l’industria nel periodo degli incu­
naboli. In Italia, almeno venticinque delle quaranta tipografìe at­
tive nella Roma del quindicesimo secolo erano possedute da te­
deschi. Anche a Venezia molti dei primi stampatori furono tede­
schi, o almeno stranieri, e fu uno di questi, Niccolò Jenson, della
Champagne, che produsse la prima serie di caratteri tipografici
veramente soddisfacenti, un romano che, secondo Harry Carter,
rimane insuperato per gli in-quarto e gli in-folio.61 tedeschi intro­
dussero la stampa in Francia, in Spagna e forse anche nei Paesi
Bassi, e ovviamente l’influenza dell’Europa continentale fu pre­
minente agli inizi della storia della stampa inglese, con l’appren­
distato di Caxton a Colonia e il fatto che i suoi più importanti suc­
cessori, W inkyn de W orde, Richard Pynson e W illiam Fawkes,
furono tutti stranieri.7 Questa mobilità continua ad essere una ca­
ratteristica della stampa europea del sedicesimo secolo, anche se
ormai gli stampatori indigeni sono dovunque in maggioranza.
Cosi, lo stampatore dal nome italiano Lorenzo Torrentino, che
fondò una stamperia a Firenze nel 1547 su invito del duca Cosimo,
col diritto di chiamarsi stampatore ducale, era di fatto un olande­
se, come il suo collaboratore Arnoldo Arlenio.8A Lione il più im-

6. H. C arter, A View of Early Typography up to about 1600, Oxford 1969,


71-
7. Il predominio degli stampatori tedeschi nel periodo degli incunaboli è am­
piamente documentato in F. G eldner, Die Deutschen Inkunabeldrucker: ein Hand­
buch der Deutschen Buchdrucker des XV. Jahrhunderts nach Druckorten. Zweiter Band:
Die Fremden Sprachgebiete, Stuttgart 1970. Statistiche significative sono: «... in Spa­
nien war etwa jeder dritte, in Frankreich etwa jeder vierte, in Italien etwajeder
fünfte, in England jeder sechste und in den Niederlanden etwajeder zehnte In­
kunabeldrucker ein Deutscher... Als Erstdrucker erscheinen Deutsche in 25 ita­
lienischen, 11 französichen, 11 (?) spanischen und portugiesischen und 4 n ied e r­
ländischen Städten» (17). Per Roma si veda anche C. W . M aas , German Printers
and the German Community in Renaissance Rome, « The Library », ser. 5, xxxi (1976),
118-26. Per l’Inghilterra si veda H. S. B ennett, English Books and Readers 1475 to
1557, Cambridge 1952,30: « De W orde was a native o f W örth in Alsace; Pynson
and W . Faques were Normans; W . de Machlinia came from Mechlin in Bel­
gium; J. Notary was probably a Frenchman, and so on. ».
8. Il vero nome del Torrentino era Laurens Leenaertsz van der Beke, quello
dell’Arlenio Arnold van Eynthouts; le relazioni tra quest’ultimo e gli stampatori
6 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

portante stampatore della prima metà del sedicesimo secolo fu


Sebastian Greif, che mascherò parzialmente le origini tedesche
firmando i propri libri con il nome latinizzato di Sebastianus
Gryphius; altri tedeschi, come i Trechsel, stampavano in questo
periodo a Lione. D’altro canto, era francese Christophe Plantin,
che nel 1555 fondò ad Anversa una stamperia che sarebbe diventa­
ta una delle più importanti del sedicesimo secolo e che avrebbe
svolto la sua attività per trecento anni, la cui contabilità e altri do­
cumenti, ora conservati presso il museo Plantin-Moretus di An­
versa, costituiscono una fonte d’informazione straordinariamen­
te ricca e vitale per la stampa dell’Europa continentale del sedice­
simo secolo.9 Se è vero che la perfezione rapidamente conseguita
dai primi stampatori avrebbe fatto si che, per dirla con McKer-
row, « se il personale della stamperia cinquecentesca di John Day
avesse potuto ritornare al mondo nel 1850 ed essere collocato
nell’officina di qualche tipografo provinciale inglese di quell’epo­
ca, avrebbe trovato ben poco che non capisse a prima vista, e sa­
rebbe stato in grado di rilevarla e farla funzionare senza ulteriori
istruzioni », è altrettanto vero che se quello stesso gruppo di per­
sone fosse stato trasferito presso una tipografìa italiana del sedice­
simo secolo, come quella di Giolito a Venezia o di Torrentino a

di Basilea sono discusse nell’interessante articolo di B. R. J enny, Arlenius in Basel,


« Basler Zeitschrift fur Geschichte und Altertumskunde », lxiv (1964), 5-45.
9. Quanto sopra è soltanto una breve scelta di esempi significativi di un feno­
meno diffuso che toccò anche gli stampatori italiani: Jean Pullon, stampatore di
Lione, proveniva da Trino, nel Piemonte, un paese che diede i natali anche a Co-
min da Trino e alla famiglia Giolito, importanti stampatori veneziani del sedice­
simo secolo. In un recente articolo, The ‘New Academy’ of Aldus Manutius: a Renais­
sance Dream, « Bulletin o f thè John Rylands University Library o f Manchester »,
lviii (1975-6), 378-420, M.J.C. Lowry avanza l’affascinante e ben documentata
proposta che tra questi stampatori émigrés, almeno nell’intenzione, dovrebbe es­
sere incluso il grande Aldo Manuzio, che progettò più volte, durante la prima de­
cade del Cinquecento, di trapiantarsi con l’intera tipografia in Germania, per la­
vorare sotto il patronato imperiale. Ugualmente, o forse più importante per i no­
stri scopi, questa mobilità di maestri stampatori era accompagnata da una mobili­
tà di operai qualificati; si veda G askell, A New In tro d u c tio n 174; N. Z. D avis , A
Trade Union in Sixteenth-century France, «Economie History Review», ser. 2, xix
(1966), 51.
I • S GUARDO DA UN ALTRO PIANETA 7

Firenze, l’unico vero problema che avrebbe incontrato sarebbe


stato quello della lingua.10
Si deve ricordare, tuttavia, che vi sono sostanziali differenze
nelle condizioni dell’editoria in Inghilterra e in Italia in questo
periodo, differenze che sono state sempre riconosciute dagli stu­
diosi della stampa inglese.11 In Inghilterra la stampa era concen­
trata a Londra. Per meglio dire, alla fine del sedicesimo secolo
Londra esercitava un effettivo monopolio. In Italia, nello stesso
periodo, vi erano almeno cinque importanti centri di stampa: M i­
lano, Venezia, Firenze, Roma e Napoli.12 In più la stampa è docu­
mentata, talvolta con continuità, in almeno altre novanta località
nel corso del Cinquecento.13 Sebbene il bibliografo testuale sia

10. R. B. M c K errow , An Introduction to Bibliography for Literary Students, Ox­


ford 1928,7. Una temporanea difficoltà tecnica poteva essere prodotta dalle diffe­
renze, da nazione a nazione, nella disposizione dei caratteri nella cassa tipografi­
ca; si veda L. Febvre-H.J. M artin, L’apparition du livre, Paris 1958,83-5; G askell,
A New Introduction..., 34-5.
11. Si veda il denso riassunto in G askell, A New Introduction..., 171: « It must
be said at once, however, that the English book trade in the sixteenth and seven­
teenth centuries was in important ways unlike that o f the great book-producing
countries o f continental Europe. At the beginning o f the sixteenth century En­
gland was a small, backward, and unimportant appendage o f Christendom, whe­
re printing had arrived late and where it was deficient in technique and provin­
cial in content. The increasing importance o f England in Europe during the next
two hundred years was not accompanied by a corresponding advance in its book
trade, which remained small and backward, confined by tight political control
and by the restrictions o f a monopolistic trade gild. During the same two centu­
ries the book trades o f France, the Low Countries, Germany, and Italy, while dif­
fering in many respects from each other, were all organized on a much larger sca­
le than the English trade, were relatively free o f gild (if not o f political) control,
and operated a sizeable international market in which England took little part ex­
cept as an importer o f foreign books ».
12. Elencati in ordine geografico; in ordine di importanza li elencherei prov­
visoriamente cosi: Venezia, Firenze, Roma, Milano, Napoli.
13. Questa cifra è basata su un esame dello Short-title Catalogue of Books Printed
in Italy and of Italian Books Printed in Other Countriesfrom 1465 to 1600 now in the Bri­
tish Museum, London 1958. Il numero delle località dove la stampa effettivamente
era presente nel sedicesimo secolo è sicuramente superiore a cento. Tuttavia al­
cune di queste testimoniavano soltanto l’isolata attività di un unico stampatore
itinerante del tipo studiato da D.E. R hodes, Un tipografo ambulante e un nuovo luo­
go di stampa nel Cinquecento, in Contributi alla storia del libro italiano: miscellanea in
onore di Lamberto Donati, Firenze 1969 (Biblioteca di Bibliografìa italiana, 57), 265-
8 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

portato ad occuparsi soprattutto di stampe prodotte nei centri


maggiori, quelli minori non per questo possono essere ignorati.
L’edizione definitiva dell’ Orlando furioso dell’Ariosto, un testo
contenente più di 250.000 parole, fu stampato proprio in un cen­
tro minore, a Ferrara, nel 1532. Questa edizione, sia detto tra pa­
rentesi, è l’unica che contenga l’opera di un importante autore
italiano del sedicesimo secolo in cui è nota la presenza di corre­
zioni d’autore avvenute in corso di stampa.È indicativo della con­
dizione degli studi di bibliografìa testuale in Italia il fatto che, seb­
bene queste varianti fossero state descritte per la prima volta fin
dal 1928, nessuno abbia mai fatto qualcosa per completare le colla­
zioni allora cominciate.14 Nei centri maggiori vi era una continua
produzione di edizioni importanti di opere in versi e in prosa, di
invenzione e non, in latino, in italiano e in altre lingue moderne,
per un mercato internazionale. Forse non è irrilevante aggiunge­
re che in tutta questa produzione la letteratura drammatica, seb­
bene abbondante, è relativamente poco importante, e che tra i

74. G. Borsa, in un contributo giunto a mia conoscenza dopo questa conferenza,


Druckorte in Italien vorióoi, « GutenbergJahrbuch », 1976,311-14, elenca 151 locali­
tà dove la stampa in Italia è ricordata durante il quindicesimo e il sedicesimo se­
colo. Il Dr Rhodes mi informa che anche questa lista non è completa. In due suc­
cessivi contributi, Drucker in Italien vorióoi, « Gutenbergjahrbuch », 1977,166-9, e
Weiteres tiber Drucker in Italien vonóoi, « Gutenbergjahrbuch », 1978,156-7, Borsa
dà informazioni riguardo al numero di tipografi registrati per ogni località, alla
durata della loro attività e al tipo di opere prodotte. Quarantasei località registra­
no un solo tipografo per il periodo esaminato.
14. A ll’edizione 1532 dell’ Orlando furioso si è già fatto riferimento (note 4 e 5).
Il fatto che lo studioso responsabile della scoperta di queste varianti, Santorre De­
benedetti, non fosse ben informato bibliograficamente (egli non comprese il for­
mato dell’edizione, un quarto in otto, e omise di assegnare le varianti da lui sco­
perte alla loro appropriata unità bibliografica) aggiunge più che togliere merito a
questa scoperta: egli non stava cercando varianti interne, ed il fatto che, una volta
trovatele, egli valutò correttamente la loro natura ed importanza prova ancora
una volta il suo acume e la sua integrità di critico testuale. Debenedetti collazionò
(forse non completamente) undici esemplari dell’edizione del I532>tutti in bi­
blioteche italiane. Si conoscono ora altri tredici esemplari di questa edizione, per
la più parte situati fuori d’Italia, che devono essere ancora utilizzati per la costitu­
zione del testo. L’edizione critica più recente del Furioso (Bologna i960) non ag­
giunge nulla a questo riguardo. [V. infra, 245-70.]
I • S GUARDO DA UN ALTRO PIANETA 9

formati usati per stampare testi teatrali l’in-quarto è uno dei me­
no preferiti.15
Tutto questo induce naturalmente a una certa cautela nel far
uso dei risultati ottenuti da un’analisi della stampa inglese nel se­
dicesimo e diciassettesimo secolo. Devo confessare, tuttavia, che
negli ultim i anni la mia cautela è venuta diminuendo, grazie al
progressivo affinarsi degli studi bibliografici anglo-americani.
Vorrei segnalare, come particolarmente importanti dal mio pun­
to di vista, l’opera monumentale di Cbarlton Hinman sul primo
in-folio shakespeariano, che contiene ogni sorta di stimolanti in­
formazioni sulla produzione di un’edizione su larga scala, aspetto
cosi comune nella stampa italiana del sedicesimo secolo, e l’arti­
colo ormai classico di Donald McKenzie del 1969, Prìnters o f thè
mind, che critica proprio quella sorta di dogmatismo che potrebbe
rendere sospetta la bibliografìa anglo-americana a chi cerchi di
applicarne le scoperte ad altre aree.16 Questo affinamento degli
studi anglo-americani è stato accompagnato dalla crescita molto
incoraggiante di un interesse specializzato tra gli studiosi dell’Eu­
ropa continentale, particolarmente in Francia e nei Paesi Bassi,
verso la storia dei procedimenti della stampa e l’importanza che
essi hanno in relazione alla critica testuale; sfortunatamente que­
sto movimento non ha raggiunto ancora l’Italia.17 Gli studiosi in-

15. Si veda la mia recensione a L. G. C lubb, Italian Plays (1500-1700) in the Folger
Library: a Bibliography, Firenze 1968, in « The Library », ser. 5, xxv (1970), 255-6.
16. C h. H inman, The Printing and Proof-reading of the First Folio of Shakespeare, 2
voli., Oxford I9Ó3;D. F. M c K enzie, Printers of the Mind: Some Notes on Bibliographi­
cal Theories and Printing-house Practices, « Studies in Bibliography », xxn (1969), 1-75.
17. I limiti delle mie conoscenze spiegano l’assenza di qualunque riferimento
alla situazione in Germania ed in Spagna. Per quanto riguarda gli studi ispanici,
tuttavia, gli ispanisti britannici, seguendo l’esempio del defunto Edward M. W il­
son, stanno attualmente producendo lavori bibliografici di grande raffinatezza;
alcuni di essi sono citati nel recente articolo di D. W . C ruickshank, Some Aspects
of Spanish Book-production in the Golden Age, « The Library », ser. 5, xxxi (1976), 1-
19. Si veda anche, nel medesimo volume (166-7), la sua recensione a R. M. F lo­
res, The Compositors of the First and Second Madrid Editions of Don Quixote, Part I,
London 1975. Una recente ed importante pubblicazione tedesca è quella di M.
B oghardt, Analytische Druckforschung: ein Methodischer Beitrag zu Buchkunde und
Textkritik, Hamburg 1977, favorevolmente recensita da J.L. F lood, «The
Library », ser. 5, xxm (1978), 246-8.
IO S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

glesi possono andare orgogliosi di tali sviluppi, perché non v’è al­
cun dubbio che in parte essi sono stati ispirati dalla scuola biblio­
grafica anglo-americana, com’è dimostrato, ad esempio, dall’edi­
zione di Les regrets di Du Bellay curata da Michael Screech,
dell’University College di Londra, e dajohnjolliffe, che allora la­
vorava presso il British M useum .181 risultati conseguenti a questo
nuovo interesse stanno già fornendo una preziosa integrazione di
quanto si conosce dalle fonti anglo-americane, integrazione di
particolare interesse per lo studioso italiano, perché in Francia e
nei Paesi Bassi si danno condizioni più simili a quelle proprie
dell’Italia. In questa sede posso solo far riferimento a un singolo
contributo per ciascuna delle due aree. Per la Francia citerei il la­
voro più recente che è caduto sotto la mia attenzione, lo studio di
Annie Parent, Les métiers du livre a Paris au XVIe siede, Genève 1974,
che utilizza gli archivi legali di Parigi per fornire un resoconto
particolareggiato e documentato dell’industria della stampa nel
periodo 1535-60. Questo tipo di ricerca archivistica è della massi­
ma importanza in Francia e in Italia, dove non c’è nulla di simile
allo Stationers’ Register.19

18. J. Du B ellay, Les regrets et autres oeuvrespoétiques, suivis des Antiquitez de Rome,
plus un Songe ou Vision sur le mesme subject, texte établi par J. J olliffe, introduit et
commenté par M. A. S creech, Genève 1966 (Textes Littéraires Français). Il lavo­
ro bibliografico dello Jolliffe fu esposto in un breve ma affascinante contributo,
Further Notes on Du Bellay, « Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance », xxvm
(1966), 112-22.
19. Altri studi recenti sulla stampa francese del sedicesimo secolo sono: Impri­
meurs et libraires parisiens du XVIe siècle: ouvrage publié d’après les manuscrits de P. Re-
nouard, Paris 1964-; N. C atach , L’orthographefrançaise à l’époque de la Renaissance
(auteurs - imprimeurs - ateliers d’imprimerie), Genève 1968; Inventaire chronologique des
éditions parisiennes du XVIe siècle par B. Moreau... d’après les manuscrits de P. Renouard.
1: 1501-1510, Paris 1972; P. A quilon, Caen, Ve partie; Rouen, I ie partie, Baden-Baden
1972 (Répertoire bibliographique des livres imprimés en France au seizième siè­
cle, 8); il libro di D. Pallier, Recherches sur l’imprimerie à Paris pendant la ligue (1585-
1594), Genève 1975, venni a conoscerlo solo dopo questa conferenza. Di conside­
revole interesse generale sono gli studi della storica dell’ economia Natalie Z. Da­
vis sulla industria della stampa nel sedicesimo secolo a Lione, particolarmente
Strikes and Salvation at Lyons, « Archiv fiir Reformationsgeschichte », lvi (1965),
48-64, e A Trade Union..., 48-69. Il recente interesse in Francia per la stampa del
sedicesimo secolo deve essere in parte attribuito all’influenza del classico studio
di Febvre-M artin, L’apparition du livre, cit. Il francese è anche la sola lingua
I • SGUARDO DA UN ALTRO PIANETA II

Ugualmente basato su materiale documentario, che nella ri­


cerca bibliografica McKenzie ha dimostrato che costituisce un’al­
ternativa di maggior valore rispetto alle teorizzazioni di natura
induttiva, è il lavoro che desidero citare dai Paesi Bassi, a mio avvi­
so il più importante finora pubblicato sulla stampa europea del se­
dicesimo secolo, e che, come altri importanti contributi prove­
nienti da quell’area, ha il vantaggio di essere disponibile in lingua
inglese. M i riferisco allo studio in due volumi di Leon Voet sulla
tipografìa Plantin, The Golden Compasses.20 Il secondo volume si
occupa in larga misura delle attività della casa editrice durante la
vita del suo fondatore nel sedicesimo secolo, e utilizza appieno
per la prima volta i suoi archivi incomparabilmente ricchi deposi­
tati presso il Museo Plantin-Moretus di Anversa, di cui il Voet è
stato direttore.
Quest’ultimo lavoro costituisce una miniera di informazioni
per qualsiasi bibliografo, e vorrei prenderne brevemente in consi­
derazione due punti che mi sembrano di interesse generale. Dalle
Ordinanze cinquecentesche del Plantin risulta evidente che la pre­
scritta routine quotidiana della stamperia mirava, tra le altre cose,
ad eliminare la necessità della correzione della forma nel corso
della tiratura mediante la lettura regolare delle bozze preceden­
temente a questa fase. Questo conferma la mia opinione che le
correzioni durante la tiratura, sebbene si riscontrino spesso nella
stampa dell’Europa continentale del sedicesimo secolo e restino
un aspetto presente sempre e dovunque nella stampa manuale,

dell’Europa continentale che possieda un’introduzione alla bibliografìa testuale,


per opera di uno studioso australiano, W . K irsop, Bibliographie matérielle et critique
textuelle: vers une collaboration, Paris 1970 (ma si veda ora supra, n. 17, per il manuale
tedesco di M. Boghardt). Di considerevole interesse bibliografico, inoltre, è il la­
voro di R. Laufer, Introduction à la textologie: vérification, établissement, édition des tex­
tes, Paris 1972; si veda la recensione di D. S haw , « The Library », ser. 5, xxix (1974),
229-30.
20. L. V oet, The Golden Compasses: a History and Evaluation of the Printing and
Publishing Activities of the Officina Plantiniana at Antwerp, 2 voli., Amsterdam 1969-
72. Un precedente importante contributo proveniente dai Paesi Bassi è quello di
W . G. H ellinga, Copy and Print in the Netherlands: an Atlas of Historical Bibliogra­
phy, Amsterdam 1962.
12 SAGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

dovrebbero essere considerate (almeno nell’Europa continenta­


le) come qualcosa che è fuori dell’ordinario, che poteva accadere
solo quando i consueti procedimenti di stampa di un’impresa ti­
pografica economicamente solida e ben organizzata subivano un
intralcio per un motivo o per un altro.21
Il secondo punto riguarda la dibattuta questione dell’organiz­
zazione del lavoro dei compositori e il modo in cui questo era
coordinato a quello dei torcolieri. I documenti plantiniani mo­
strano che la quantità di lavoro giornaliero di un compositore cor­
rispondeva approssimativamente alla metà di quanto un torchio
poteva tirare in un giorno. Pertanto occorrevano due compositori

21. V oet, The Golden Compassés... n, 174-93; 320-1. Una traduzione inglese
della sezione relativa di queste Ordinanze fu pubblicata da L. e W . H ellinga, Ré­
gulations Relating to thè Planning and Organization of Work by thè Master Printer in thè
Ordinances of Christopher Plantin, « The Library », ser. 5, xxix (1974), 52-60. Un ri­
conoscimento interessante e divertente da parte di un tipografo cinquecentesco
della presenza in una delle sue edizioni sia di correzioni fatte durante la tiratura
sia di varianti accidentali dovute al lavoro d’inchiostrazione è pubblicato nel mio
articolo, Correzioni ed errori avvenuti durante la tiratura secondo uno stampatore del Cin­
quecento: contributo alla storia della tecnica tipografica in Italia, « Lettere italiane », xxvii
(i975)> 184-92 [infra, 155-68]. È chiaro che l’eccezionaiità delle correzioni a stampa
è relativa, e varia secondo le circostanze. La lettera di commiato delle Lettres (Pa­
ris 1586) di E. Pasquier, riprodotta da C atach , L ’orthographefrançaise..., 289, pre­
senta un quadro affascinante delle costrizioni alle quali il sistema di correzione
delle bozze era soggetto nei primi secoli della stampa: « or quel que soit mon liu-
re, ie le vous enuoieray soudain qu’il sera acheué d’imprimer. le m’asseure que
trouuerez plus de fautes en l’impression que ie ne voudrois. Car quel liure peut
on imprimer de nouueau qui n’y soit infiniement sujet? L’on enuoie à l’Impri­
meur ses copies les plus correctes que l’on peut. Qui passent premièrement par
les mains du Compositeur. Ce serait certes vn vray miracle, que sans faute il
peust assembler toutes les lettres: C’est pourquoy on luy baille pour controleur
vn homme qui prend le titre de Correcteur, auquel on presente la premiere
espreuue. Cestuy pour l’opinion qu’il a de sa suffisance, se donne quelquefois iu-
risdiction sur les conceptions de l’autheur, & en les voulant rapporter aux sien­
nes, les interuertit: & ores qu’il ne se dône ceste loy, si est-ce que son oeil se peut
escarter. Qui est la cause pour laquelle on a recours pour la secôde espreuue à
Pautheur; mais, ou du tout on ne le trouue point, ou si on le trouue c’ est au milieu
d’autres empeschements, pour lesquels il ne peut auoir Pesprit bien tendu à ceste
correction: Voire que quand il seroit en pleines vacations, il luy est fort aisé de
mesprendre, comme celuy qui relisant ce qu’on luy apporte, pèse le lire tout ainsi
qu’il l’auoit couché par escrit. Voilà pourquoy ie vous prie, ou excuser, ou su-
pleer les fautes de l’impression».
I • SGUARDO DA UN ALTRO PIANETA 13
per tenere un torchio continuamente in funzione. La maniera più
semplice di coordinare l’attività del compositore con il funziona­
mento del torchio era che due compositori lavorassero insieme
sullo stesso foglio, componendone ciascuno una forma. Se il com­
positore lavorava da solo, componendo in parte o interamente un
particolare testo, ciò comportava un’organizzazione abbastanza
elaborata del ciclo produttivo, cosa che nella stamperia Plantin,
un’impresa piuttosto grande, accadeva soltanto nei periodi di in­
tensa attività.22 Queste informazioni coincidono in misura note­
vole con le scoperte di Charlton Hinman, che sulla base di prove
induttive è arrivato a concludere che la maggior parte del primo
in-folio shakesperiano fu composta da due (e occasionalmente
tre) compositori che lavoravano contemporaneamente sullo stes­
so foglio rifornendo un unico torchio.23 In base alle prove ora di­
sponibili, devo ammettere piuttosto scarse, sembra ragionevole
supporre che un libro del sedicesimo secolo fosse composto sia
per forme sia serìatim, cioè una pagina dopo l’altra; per i libri pro­
dotti da piccole tipografìe, e per le opere in versi, dove un accura­
to calcolo dello spazio richiesto dal materiale da stampare è facile
da farsi, riterrei la composizione per forme l’ipotesi di lavoro più
probabile. Lascio ad altri il compito di conciliare il quadro cinque-

22. V oet, The Golden Compassés..., 11,303; 312-3. Gli H ellinga, Régulations...,
57-60, contestano questa interpretazione delle Ordinanze e di altri documenti
della tipografìa Plantin, ma la loro interpretazione è a sua volta confutata - e so­
stenuta quella di Voet - daj. G erritsen, Plantin’s 'Ordinances’, «The Library»,
ser. 5, xxx (1975), 134-6. In un altro documento francese del sedicesimo secolo ri­
prodotto da C atach , L’orthographef r a n ç a i s e 284, un autore lamenta che « il ne
s’est passé iour depuis le premier que i’ay mis cet oeuure sur la presse, qu’il ne
m’ait esté de besoin de fournir aux Imprimeurs vn cayer de copie, qui sont douze
pages d’escriture, ou bien (pour le mieux donner à entendre) trois fueilles de
grand papier replies de douze faces ou costez de minute escrite de ma main, con-
tenât chacune page plus de quarante lignes, & chacune ligne plus de douze sylla­
bes, pour fournir à deux compositeurs qui trauailloiët sur ce liure’. Può darsi, pe­
rò, che ciascuno dei due compositori lavorasse per un torchio diverso, perché
l’autore continua: ‘Et outre-plus ie laissois à dire qu’il ne s’est passé iour que ie
n’aye veu quatre espreuues, qui sont les corrections des fueilles que Ion impri­
me’ ».
23. Questo è particolarmente vero per le Storie e le Tragedie; si veda H inman,
The Printing and Proof-reading 1, 359-60; 361-2.
14 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

centesco con il fatto che nei primi documenti della Cambridge


University Press, della fine del Seicento, il comporre per forme,
come ha fatto notare Donald McKenzie, era raro, ad eccezione
delle ristampe che seguivano il loro modello pagina per pagina.24
Forse ha ragione Gaskell quando suggerisce che il comporre per
forme era una consuetudine della stampa più antica, che andò
scomparendo nel corso del Seicento.25
Riassumendo: i contributi recenti provenienti dall’Europa
continentale sono interessanti e importanti, e nel complesso han­
no convalidato e talvolta ampliato conoscenze e concetti della bi­
bliografìa analitica inglese. M a con gli aggiustamenti e le avver­
tenze che questi contributi suggeriscono, e con quelli che deriva­
no dagli sviluppi recenti degli stessi studi bibliografici anglo-ame­
ricani, mi sembra che l’intero patrimonio di conoscenze della bi­
bliografìa inglese e americana resti utilmente al servizio dello stu­
dioso italiano che desideri indagare i problemi della bibliografìa
del sedicesimo secolo in Italia.

Il che mi porta alla seconda domanda che mi ponevo: vi sono


delle specifiche difficoltà a cui va incontro in Italia chi fa ricerche
di bibliografìa testuale? Qui, temo, cominceremo ad entrare in
avverse condizioni atmosferiche: i venti soffiano con più forza, il
mare si fa grosso, nuvole tempestose oscurano il cielo. Neppure lo
scandaglio ci sarà d’aiuto, poiché, come si vedrà, non riuscirà a
toccare e misurare fondo alcuno.
La maniera più semplice per esprimere la natura delle difficoltà
che incontrerebbe un ipotetico studioso di bibliografìa italiana
del sedicesimo secolo è dichiarare che in questo campo non esiste
nemmeno uno dei più importanti strumenti di ricerca dei quali
avrebbe bisogno. Non c’è alcun catalogo short-title italiano del se­
dicesimo secolo; non c’è alcun catalogo short-title p er nessuno dei
cinque maggiori centri di stampa di questo periodo, e a dire il vero

24. D. F. M c K enzie, The Cambridge University Press 1696-1712: a Bibliographical


Study. Volume I: Organization and Policy o f the Cambridge University Press, Cambridge
1966, 113-16.
25. G askell, A New I n tr o d u c tio n 41-2.
I • S GUARDO DA UN ALTRO PIANETA 15
di alcun altro periodo.26 Abbiamo avuto per più di cento anni e
continuiamo ad avere studi su singole stamperie importanti: si
pensi al grande interesse mostrato dagli storici della letteratura,
come pure dai bibliofili, per le attività di Aldo Manuzio, una figu­
ra di grande importanza culturale oltre che di grande rilievo nella
storia della stampa. Il veicolo maggiormente preferito di questi
studi è stata la compilazione di annali di singoli tipografi, e negli
ultimi venti anni si è registrato un gradito ritorno a questa con­
suetudine, che ha privilegiato particolarmente i centri di Roma e
di Napoli. Tuttavia, come quelli del diciannovesimo secolo che li
hanno preceduti, questi moderni annali tendono a essere compi­
lazioni di singoli, basate sulle disponibilità delle biblioteche locali,
e prive spesso di importanti informazioni bibliografiche, come la
formula di collazione.27 In ogni caso, contribuiscono poco a con-

26. Un recente tentativo di colmare questa lacuna per il sedicesimo secolo è


stato fatto per Roma: F. A scarelli, Le cinquecentine romane: censimento delle edizioni
romane del XVI secolo possedute dalle biblioteche di Roma, Milano 1972. La limitazione
implicita nel sottotitolo è caratteristica, e si spiega col fatto che la maggior parte
della moderna ricerca bibliografica italiana è condotta da bibliotecari. Un’osser­
vazione analoga è fatta da W . K irsop, Bibliographie matérielle..., 9-10, a proposito
della situazione in Francia. Per centri minori, si veda D. E. R hodes, A Bibliography
of Mantua. 1: 1472-98; II: 1507-21; III: 1544-5$; W: 1547~$9, « La Bibliofilia», lvii
(1955), 173-87; LVIII (1956), 161-75; lix (1957), 23-34; M. B ersano B egey-G. D ondi,
Le cinquecentine piemontesi, 3 voli., Torino 1961-66.
27. Degli antichi annali ricordiamo, tra gli altri, i seguenti: A. M. B andini, De
Fiorentina Juntarum typographia, Lucca 1791; D. M oreni, Annali della tipografia fio­
rentina di L. Torrentino, impressore ducale, Firenze 18192; A. A. R enouard, Annales de
l’imprimerie des Aldes, Paris 18343; S. C asali, Annali della tipografia veneziana di Fran­
cesco Marcolini da Forlì, Forlì 1861; D. B ernoni, Dei Torresani, Biado e Ragazzoni, cele­
bri stampatori a Venezia e Roma nel XVe XVIsecolo, cogli elenchi annotati delle rispettive
edizioni, Milano 1890; S. B ongi, Annali di Gabriel Giolito de’ Ferrari, 2 vo li, Roma
1890-95, un’opera fortemente istruttiva, utile tanto per la storia letteraria, quanto
per la stampa veneziana della metà del Cinquecento. Molti di questi annali scritti
nel diciottesimo e diciannovesimo secolo sono ora disponibili in ristampe in fac­
simile. Dopo la Seconda Guerra la serie degli annali si apri con un contributo tra i
più completi: L. B alsamo, Giovann’Angelo Scinzenzeler, tipografo in Milano (1500-
1526), Firenze 1959. Per Roma abbiamo, tra gli altri, A.M . G iorgetti V ichi, An­
nali della Stamperia del Popolo Romano (1570-1598), Roma 1959; F. A scarelli, Annali
tipografici di Giacomo Mazzocchi, Firenze 1961; A. T into, Gli annali tipografici di Eu-
cario e Marcello Silber, 1501-1527, Firenze 1968. Opere su Venezia comprendono: P.
C amerini, Annali dei Giunti, voi. 1, Venezia, Parti 1 e 11, 2 voli., Firenze 1962-3; A.
IÓ S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

trobilanciare l’altro maggiore ostacolo che incontra la ricerca bi­


bliografica del sedicesimo secolo in Italia, il fatto cioè che nessuna
delle maggiori biblioteche italiane ha un catalogo a stampa delle
cinquecentine possedute. Ciò non sorprenderà gli utenti di que­
ste biblioteche, dal momento che nessuna biblioteca italiana im ­
portante, ad eccezione della Biblioteca Vaticana, ha disponibile
per la consultazione in loco un catalogo unificato, in qualsiasi for­
ma, dei propri libri a stampa.
In parte, naturalmente, è un problema di quantità. Sulla soprac­
coperta del secondo volume della nuova edizione dello Short-title
Catalogue inglese28 ci vien dato di leggere che le 26.000 entrate
presenti nella prima edizione saranno aumentate di altre 10.000
nella nuova, dandoci un insieme di 36.000 edizioni ed emissioni
sopravvissute tra tutte quelle stampate in Inghilterra tra il 1475 e il
1640. Nelle circostanze sopra abbozzate sarebbe diffìcile arrivare
a una stima della dimensione della produzione libraria nell’Italia
del sedicesimo secolo, se non fosse per l’esistenza dell ’Italian
Short-title Catalogue della British Library, dove viene elencato il
patrimonio di libri italiani del quindicesimo e sedicesimo secolo
posseduto dalla biblioteca.29 All’apparire di questo volume osser­
vai che, sebbene mirasse ad essere soltanto un’introduzione alla
collezione della British Library, esso conteneva più informazioni
sulla stampa italiana del sedicesimo secolo di qualsiasi altra opera
fino ad allora disponibile, una situazione che purtroppo non è

T into, Annali tipografici dei Tramezzino, Venezia e Roma 1966; D.E. R hodes, An­
nali tipografici di Lazzaro de’ Soardi, Firenze 1978. Le attività degli stampatori napo­
letani sono attualmente in corso di catalogazione grazie allo sforzo di una sola
persona, un ufficiale dell’esercito a riposo, il generale Pietro Manzi. Oltre al vo­
lume dedicato a G. Sultzbach (Firenze 1970), il generale Manzi ha finora pubbli­
cato, con il titolo collettivo di La tipografia napoletana nel Cinquecento, Firenze
1970-5, cinque volumi che catalogano la produzione di più di quindici stampatori
napoletani dell’epoca.
28. A Short-title Catalogue of Books Printed in England, Scotland, & Ireland and of
English Books Printed Abroad 1475-1640. First compiled by A .W . P ollard and
G. R. R edgrave: second edition, revised and enlarged, begun by W . A.J ackson &
F. S. Ferguson, completed by K.F. Pantzer. Volume 2: I-Z, London 1976.
29. Si veda supra, n. 13.
I * S GUARDO DA UN ALTRO PIANETA 17
meno vera oggi di quanto non lo fosse circa venti anni fa.30 L ’Ita-
lian Short-title Catalogne della British Library elenca circa 18.000
edizioni del sedicesimo secolo. Secondo uno dei suoi compilatori,
A. F. Johnson, questa collezione comprende circa un quarto della
produzione conosciuta.31 Ritengo questa stima probabilmente
eccessiva, ma sono ben lieto di accettarla per il fine che mi pro­
pongo, dal momento che rende cosi semplici i miei conti. Essa dà
un totale di 72.000 edizioni italiane conosciute del sedicesimo se­
colo, un numero di libri esattamente doppio di quelli che saranno
registrati nel nuovo Short-title Catalogne inglese per un arco di
tempo che è quasi due volte maggiore.
Queste cifre approssimative servono ad indicare la dimensione
del problema che si trovano a dover affrontare i catalogatori di li­
bri italiani del sedicesimo secolo. Questa gran quantità di materia­
le stampato ha dovuto inoltre scontare la conseguenza delle parti­
colari circostanze della storia italiana, che hanno imposto, invece
della sua concentrazione in un unico grande deposito, come in
Gran Bretagna e in Francia, la dispersione in non meno di sette bi­
blioteche nazionali, sei delle quali situate nei maggiori centri po­
litici dell’Italia preunitaria, più una gran quantità di altre bibliote­
che, universitarie e civiche, alcune di grande importanza, per non
parlare di quella che è la più grande e certamente la meglio orga­
nizzata di tutte quelle italiane, la Biblioteca Vaticana, che è ovvia­
mente una biblioteca privata. La dispersione degli sforzi che com­
porta questo fenomeno tipicamente italiano di disseminazione
regionale ha rappresentato un ostacolo che i bibliotecari hanno
trovato diffìcile superare. Nessuna delle biblioteche nazionali ha
un catalogo adeguato dei propri libri stampati. Se posso prendere
come esempio la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, che
possiede insieme con la Vaticana la collezione più numerosa e più
importante di cinquecentine in Italia, essa ha tre serie di cataloghi
per i libri a stampa. La più moderna contiene accessioni a partire

30. Si veda la mia recensione all'Italian Short-title Catalogue della British Libra­
ry, « The Modern Language Review », lv (i960), 122-3.
31. A. F. J ohnson, Italian Sixteenth-century Books, « The Library », ser. 5, xm
(1958), 161-74.
l8 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

dalla prima decade di questo secolo, ma naturalmente la maggior


parte dei libri del sedicesimo secolo posseduti dalla biblioteca vi
sono entrati prima di quella data, come parte o della sua diretta
antecedente, la Biblioteca Magliabechiana, cosi chiamata dal suo
fondatore Antonio Magliabechi (1633-1714), o della Biblioteca Pa­
latina, costituita nel diciannovesimo secolo dall’ultimo Granduca
di Toscana, che fu unita nel 1861 alla Magliabechiana per formare
la nuova Biblioteca Nazionale .321 libri appartenenti a ciascuna di
queste collezioni sono catalogati in imponenti volumi in-folio
manoscritti, del diciottesimo e del diciannovesimo secolo, la cui
grafìa è di lettura tutt’altro che facile, soprattutto per uno stranie­
ro, e dove le descrizioni dei libri sono spesso inadeguate e le collo­
cazioni qualche volta sbagliate. Dopo l’inondazione del 1966, che
causò seri danni alla biblioteca, la situazione è divenuta ancora più
diffìcile, dal momento che i lettori devono lavorare con xerocopie
di vecchi cataloghi manoscritti, danneggiati dall’alluvione, cosa
che rende la decifrazione delle voci ancora più difficoltosa di
quanto non fosse negli originali prima dell’alluvione.33
L’organo governativo responsabile dell’amministrazione delle
biblioteche nazionali e di altre biblioteche statali (già Direzione
generale delle Accademie e Biblioteche, ora Ministero per i Beni
culturali e ambientali - Ufficio centrale per i Beni librari), consa­
pevole dell’urgente necessità di cataloghi accurati ed esaurienti
dell’enorme patrimonio di libri stampati in Italia, cominciò alcuni
anni orsono la compilazione e la pubblicazione di un catalogo col­
lettivo dei libri stampati tra il 1500 e il 1957 presenti in quattro bi­
blioteche nazionali: Milano, Firenze, Roma e Napoli^ Tuttavia,
dopo il vi volume, che porta la data del 1970 e va poco oltre la metà
della lettera A, nient’altro è stato pubblicato.

32. Per la storia della biblioteca si veda D. Fa v a , La Biblioteca Nazionale Centra­


le di Firenze e le sue insigni raccolte, Milano 1939.
33. Dopo aver tenuto questa conferenza, ho rivisitato la Biblioteca Nazionale
Centrale di Firenze, ed ho trovato che le schede delle cinquecentine disseminate
nei tre cataloghi sono state riunite in un unico schedario che elenca in ordine al­
fabetico in base all’autore tutte le edizioni del sedicesimo secolo presenti nella
biblioteca: un passo innanzi molto gradito ed importante.
I • SGUARDO DA UN ALTRO PIANETA 19
Le numerose biblioteche civiche, che sono un aspetto cosi ca­
ratteristico e delizioso della scena libraria italiana (esse conduco­
no il ricercatore in più di un luogo affascinante e inconsueto), so­
no molto diverse per qualità. Come uno degli esempi migliori mi
si consenta di additare la Biblioteca Trivulziana di Milano, che
contiene la raccolta di una storica famiglia milanese, i Trivulzio,
ed è ora ospitata presso il Castello Sforzesco, nel centro della città.
Con un piccolo fondo di libri, una direzione di prim’ ordine e una
riconosciuta funzione di biblioteca di ricerca è stata in grado di
mettere ordine tra le sue cose, ed è una delle pochissime bibliote­
che italiane, tra grandi, medie e piccole, ad avere iniziato la pub­
blicazione di un catalogo dei propri libri del sedicesimo secolo.34
Altre, che svolgono nella collettività un ruolo che in parte corri­
sponde a quello di una biblioteca pubblica inglese, destinano le
loro risorse soprattutto a un pubblico di lettori non specializzati e
non sono in grado di dedicare un’attenzione reale ai loro libri an­
tichi. E nell’avere a che fare con tale sorta di biblioteche che il ri­
cercatore diviene chiaramente consapevole di un’altra grave li­
mitazione del mondo delle biblioteche italiane: il livello general­
mente basso di competenza, rispetto ai libri dell’epoca della stam­
pa manuale, che si riscontra per lo più tra il personale biblioteca­
rio, eccezion fatta di poche biblioteche grandi o specializzate.35

34. Le cinquecentine della Biblioteca Trivulziana. I: le edizioni milanesi. II: le edizioni


lombarde, a cura di G. B ologna, 2 voli., Milano 1965-66. Questi eccellenti volumi
registrano meno di un migliaio delle 6.000 cinquecentine della Trivulziana. Altri
cataloghi a me noti di cinquecentine appartenenti a biblioteche italiane sono: G.
Sapori, Le cinquecentine dell’Università di Milano, 2 voli., Milano 1969; Le cinquecenti­
ne della Biblioteca Provinciale Cappuccini in Reggio Emilia, Parma 1972; L. C hiodi, Le
cinquecentine della Biblioteca Civica A. Mai’ di Bergamo, Bergamo 1973; S. Pesante,
Catalogo delle cinquecentine della Biblioteca Civica di Trieste, Trieste 1974; R. Sa velli,
Catalogo delfondo Demetrio Canevari della Biblioteca Civica Berio di Genova, Firenze
1974; L. M oranti, Le cinquecentine della Biblioteca Universitaria di Urbino, 3 voli., Fi­
renze 1977. Non ho potuto prendere visione di un catalogo delle cinquecentine
della Biblioteca Universitaria di Pavia, recentemente pubblicato. Alcuni altri ca­
taloghi di collezioni minori sono elencati da L. B alsamo , Giovann’Angelo Scinzen-
zeler ..., 8, n. 3.
35. Adeguate informazioni bibliografiche sono state accessibili per anni ai bi-
bbotecari italiani grazie al libro di D. Fava, Manuale degli incunabuli, Milano 1953.2
20 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

Per un ricercatore è di solito un piacere lavorare su libri italiani


del sedicesimo secolo, ma è anche una spaventosa perdita di tem­
po. Se ha un quesito che non può essere soddisfatto dalle risorse di
una biblioteca inglese o americana o dalla Bibliothèque Nationa-
le di Parigi, niente potrà risparmiargli un’ispezione diretta delle
biblioteche italiane e dei loro fondi. Una volta ho passato quattro
mesi a viaggiare per il nord e il centro dell’Italia, localizzando e
individuando esemplari di varie edizioni delle opere di Ortensio
Landò. Fu un’esperienza indimenticabile, ma se avessi lavorato
su un argomento analogo di letteratura inglese, consultando lo
Short-title Catalogue inglese, avrei potuto svolgere lo stesso lavoro
in quattro ore. Evidentemente resta ancora molto lavoro di sche­
datura e di catalogazione da compiere, e la maggior parte di esso
può essere compiuto solo in Italia ad opera di studiosi e bibliote­
cari italiani, ai quali deve esser permesso di affrontare tale lavoro
nei modi e nei tempi in cui potranno, con incoraggiamenti e ap­
poggi da parte di noi stranieri. M i sembra tuttavia che vi è un set­
tore importante che può e dovrebbe essere affrontato a livello in­
ternazionale. Intendo la compilazione di cataloghi short-title. Il
primo desideratum è un catalogo short-title dei libri del sedicesimo
secolo impressi a Venezia, allora il centro dell’industria editoriale
italiana e la città che nel sedicesimo secolo produsse più edizioni
di qualunque altra città in Europa. Un tentativo in questa direzio­
ne fu esperito da Tullia Gasparrini Leporace, già direttrice della
Biblioteca Marciana di Venezia, ma fu limitato, more italico, alla di­
sponibilità delle biblioteche della regione; in più, il progetto sem­
bra essere stato accantonato dopo la morte della sua promotrice.
La diffusione europea, anzi intercontinentale, di libri italiani del
sedicesimo secolo rende indispensabile l’adozione di un punto di
vista internazionale per un compito di tale portata. L’organizza­
zione di un catalogo short-title esauriente delle cinquecentine ve­
neziane è qualcosa che mi piacerebbe moltissimo iniziare. Tale

Solo pochi, tuttavia, sono consapevoli che la medesima cura accordata alla descri­
zione degli incunaboli è richiesta nella descrizione dei libri stampati in periodi
successivi.
I • SGUARDO DA UN ALTRO PIANETA 21
progetto agirebbe da catalizzatore nello sviluppo generale dell’at­
tività bibliografica in Italia.

Ed eccomi alla terza domanda. Ora ci troviamo in acque più


calme: i venti sono caduti, il sole è comparso, i primi gabbiani an­
nunciano 1’aw icinarsi della terra. Vi avverto, tuttavia, che sto per
far oscillare la barca. In questa ultima sezione della mia conferen­
za desidero scuotere i vostri spiriti con una tesi provocatoria.
N ell’attuale pratica editoriale italiana il rispetto della grafìa antica
viene attuato in modo pressoché obbligatorio solo in presenza di
testimoni autografi o di altri testimoni aventi valore di autografo.
N egli altri casi i filologi modernizzano la grafìa secondo criteri
prudenti e attentamente meditati. Intendo sostenere che per
quanto riguarda i testi italiani del sedicesimo secolo essi operano
correttamente; che per edizioni basate su testimoni a stampa non
aventi valore di autografo il concetto inglese di old-spelling, e anzi
l’intera teoria del copy-text che sta alla sua base e che è l’asse por­
tante della moderna teoria editoriale dei testi in lingua inglese, è,
alla luce delle attuali conoscenze, inapplicabile o, più precisamen­
te, applicabile entro lim iti cosi ristretti che non può fornire la base
di una pratica editoriale. Le mie argomentazioni sono soprattutto
linguistiche, ed è interessante osservare con quanta chiarezza
W alter Greg, l’ideatore della teoria del copy-text, si rendesse conto
che la sua teoria era legata a ciò che egli definiva « le circostanze
storiche della lingua inglese ».36 Ebbene, le circostanze storiche
della lingua italiana puntano in una diversa direzione.
In primo luogo si dovrebbe notare che la grafìa italiana è, ed è
sempre stata, di natura essenzialmente fonetica. U na delle carat­
teristiche rimarchevoli degli antichi testi italiani, compresi quelli
di natura non letteraria, come i primi conti bancari della Firenze
duecentesca, è la particolare sensibilità degli scriventi alla necessi­
tà e alla possibilità di riprodurre sulla carta la natura dei suoni che

36. W . W . G reg, The Rationale of Copy-text, « Studies in Bibliography », hi


(1950-1), 29; questo saggio famoso è stato ristampato, con revisioni ed aggiunte di
scarso rilievo, nel volume postumo dei suoi Collected Papers, a cura di J. C. M ax ­
well, Oxford 1966, 374-91.
22 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

emettevano; sotto l’influenza di questa sensibilità riuscirono per­


sino ad evitare alcune delle ambiguità che sono tollerate nell’at­
tuale sistema ortografico italiano. Sopra questa base essenzial­
mente fonetica gli Italiani colti stesero fin dalle origini una patina
di latinismi grafici, parallela ai latinismi lessicali e stilistici della
lingua letteraria. Le grafìe latinizzanti raggiunsero la loro massi­
ma diffusione nell’età dell’Umanesimo e agli inizi del sedicesimo
secolo, ma già dalla metà di questo secolo cominciò il loro rapido
declino e scomparvero definitivamente nel corso del diciassette­
simo, salvo alcuni elementi residui mantenuti a fini puramente
diacritici.37 Questa tendenza etimologica costituisce la sola diffe­
renza tra la grafìa del Rinascimento e quella dell’italiano moder­
no; le sue caratteristiche sono ben note, e dal momento che la sua
presenza in singole opere può essere adeguatamente documenta­
ta in una nota del curatore, si può sostenere che non vi è alcuna
utilità nel riprodurla in una moderna edizione critica.
Dubito che un critico testuale inglese troverebbe questo ragio­
namento convincente e io stesso, pur riconoscendo ad esso un
qualche fondamento, non sarei soddisfatto appieno se la tesi che
sto cercando di sostenere si basasse soltanto sulla natura fonetica
della grafìa italiana. Le argomentazioni decisive sono da ricercare
altrove, su un terreno in cui linguistica e storia della stampa si in­
contrano.
L’Italia è sempre stata, e tuttora è, un paese la cui popolazione è
linguisticamente diversificata dall’uso persistente dei dialetti. È
soltanto in tempi molto recenti, dalla seconda guerra mondiale,
che la lingua nazionale ha esercitato una qualche pressione effet­
tiva sulle parlate locali, che, ancora ampiamente usate, non cono­
scono barriere sociali o di classe e sono spesso fonte di orgoglio
municipale. I dialetti italiani si dividono in tre principali gruppi

37. Non esiste una storia particolareggiata dell’ortografìa italiana, argomento


di una breve sezione in ciascuna delle suddivisioni cronologiche della fondamen­
tale Storia della lingua italiana di Bruno Migliorini, Firenze i960. Uno studio piu
dettagliato dell’ortografìa cinquecentesca è intrapreso dallo stesso Migliorini nel
suo articolo, Note sulla grafia italiana nel Rinascimento, « Studi di filologia italiana »,
xiii (1955), 259-96, ristampato nei suoi Saggi linguistici, Firenze 1957, 197-225.
I * S GUARDO DA UN ALTRO PIANETA 23
geografici: il settentrionale (la valle del Po e il suo bacino, com­
prese l’Emilia e la Romagna), il centrale (Toscana, Umbria, Mar­
che e alto Lazio) e il meridionale (il resto del paese). La lingua na­
zionale, ciò che noi intendiamo dicendo « italiano », è di origine
letteraria, e deriva da uno dei dialetti toscani, il fiorentino. La na­
tura profonda delle divisioni dialettali italiane si illustra forse me­
glio dicendo che, per alcuni fenomeni che distinguono le due
principali famiglie di lingue romanze, quella orientale e quella
occidentale - la lenizione delle occlusive intervocaliche, la sem­
plificazione delle consonanti doppie, la caduta delle vocali finali
atone - la linea divisoria è quella che congiunge le città di La Spe­
zia e Rimini, attraversando il centro dell’Italia in uno dei punti
più stretti della penisola. Cosi, vi sono degli elementi per cui il m i­
lanese e il bolognese sono più vicini al dialetto di Marsiglia che
non a quelli di Firenze, Roma o Napoli. A ll’interno dei dialetti
centrali e meridionali, che appartengono alla Romània orientale,
vi sono ulteriori rilevanti differenze. Il vocalismo del siciliano, ad
esempio, e quello di altri dialetti del mezzogiorno seguono uno
schema diverso da quello del resto della penisola, e in verità diver­
so da qualsiasi altra zona del mondo romanzo. Non v’è da meravi­
gliarsi, dunque, che italiani di regioni diverse, quando parlano in
dialetto, in misura considerevole non si capiscano. Alcuni anni fa
un linguista italiano tentò di calcolare la percentuale della popola­
zione che al tempo dell’unificazione, negli anni immediatamente
successivi al 1860, sarebbe stata in grado di parlare la lingua nazio­
nale. La cifra alla quale arrivò fu del 2,5 per cento.38 Questa scon­
certante conclusione è stata contestata, ma entro lim iti cosi stretti
che il dato essenziale rimane indiscutibile: nel 1860 nove italiani
su dieci non sapevano parlare l’italiano.
La vitalità dei dialetti italiani ha sempre influenzato il modo in
cui gli italiani colti hanno usato la lingua nazionale. Le differenze,
percepibili ancora oggi, erano ancora più rilevanti nel sedicesimo
secolo, quando degli italiani colti non toscani avrebbero potuto
non dire neppure una parola che non fosse del loro dialetto per

38. T. de M auro, Storia linguistica dell’Italia unita, Bari 1970,2 36-45.


24 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

mesi o per anni interi. Cosi l’italiano scritto dal Castiglione, l’au­
tore del Libro del Cortegiano, contiene alcune caratteristiche foneti­
che e morfologiche che derivano dal fatto che egli era mantova­
no, abituato a parlare un dialetto dell’Italia del nord. Questi tratti
differenziano immediatamente la sua lingua da quella del fioren­
tino Machiavelli, che scrisse in un italiano ricco di forme e locu­
zioni proprie del fiorentino parlato dei suoi tempi; e allo stesso
modo, sia la lingua del Machiavelli sia quella del Castiglione sono
facilmente distinguibili, tanto foneticamente quanto morfologi­
camente, da quella di Jacopo Sannazaro, l’autore d ell’Arcadia (un
altro best-seller europeo), che invece era napoletano.
Le difficoltà che gli scrittori di questa penisola, linguisticamen­
te differenziata ma culturalmente unitaria, hanno sempre speri­
mentato quando si accingevano a comporre in un idioma che po­
tesse essere compreso e accettato dagli uomini colti di qualunque
regione, si rispecchiano fin dall’inizio in un dibattito ininterrotto
sulla natura della lingua letteraria, il che equivale a dire sulle rela­
zioni della lingua letteraria con le varie forme delle parlate locali.
La rivoluzione determinata dalla stampa nell’ambito della comu­
nicazione fece della prima metà del sedicesimo secolo uno dei
momenti più vivaci di questo dibattito. Sia il Castiglione sia il M a­
chiavelli ebbero ed espressero opinioni decise e contrastanti sul­
l’argomento: il Castiglione nel libro i del Cortegiano, il Machiavelli
in un breve trattato ascrivibile probabilmente agli ultimi anni del­
la sua vita.39 Il punto di vista che alla fine trionfò, però, fu quello
del veneziano Pietro Bembo, cosi come egli lo aveva esposto nel­
le Prose della volgar lingua (1525). La norma che l’italiano scritto
avrebbe dovuto seguire era, secondo Bembo, il fiorentino, ma
non il fiorentino contemporaneo di scrittori quali Machiavelli e

39. Il Discorso 0 dialogo intorno alla lingua, che è stato oggetto di molta discussio­
ne tra gli studiosi negli anni recenti, fin da quando Cecil Grayson sostenne, nel
suo articolo Machiavelli and Dante, in Renaissance Studies in HonorofHans Baron, a
cura di A. M olho e J. A. T edeschi, Firenze 1971,363-84, che l’opera doveva esse­
re posteriore al 1524 e che probabilmente non era di Machiavelli. Ora la maggio­
ranza degli studiosi accetta la posticipazione della data, ma riafferma la paternità
di Machiavelli.
I • SGUARDO DA UN ALTRO PIANETA 2$

Guicciardini. Il suo modello era, umanisticamente, il fiorentino


dei grandi autori del passato, in particolare Petrarca per la poesia e
Boccaccio per la prosa. Bembo era un intellettuale tenuto in mol­
ta considerazione e le sue opinioni furono influenti: il ferrarese
Ariosto, preparando l’edizione definitiva dell’ Orlando furioso
(1532), introdusse alcuni cambiamenti nella lingua del suo poema
in conformità con le direttive bembesche. Ma, sebbene coll’avan­
zare del secolo un approccio più uniforme al lessico, alla gramma­
tica e alla grafìa divenisse progressivamente manifesto, le teorie
del Bembo piacquero più agli spiriti accademici che non a quelli
di ingegno creativamente originale. Autori anticonformisti come
l’Aretino derisero le prescrizioni bembesche; scrittori italiani del
nord e del sud dotati di temperamento indipendente, come Or­
tensio Landò e Giordano Bruno, ne rifiutarono i dettami e arric­
chirono la loro prosa di forme ed espressioni regionali, mentre
fiorentini come Vincenzio Borghini riaffermarono sottilmente la
loro superiorità facendo rilevare come soltanto essi potessero
comprendere appieno le finezze del fiorentino trecentesco.
N ella situazione linguistica cinquecentesca vi sono pertanto
due fattori rilevanti ai fini della pratica editoriale. In primo luogo
gli scrittori di questo periodo provenivano da regioni le cui parla­
te locali, nettamente diversificate, influenzavano il loro modo di
scrivere in lingua nazionale. In secondo luogo, un’opera teorica
sui problemi della lingua nazionale, che apparve nel primo tren­
tennio del secolo e guadagnò costantemente terreno, postulava
l’abolizione delle forme regionali e l’osservanza di un italiano
classico consacrato nei capolavori di due secoli prima. La situazio­
ne che io desidero puntualizzare diviene più chiara se materializ­
ziamo questi fattori nelle due figure che contribuiscono, o posso­
no contribuire, alla produzione di un libro: l’autore del testo, e il
curatore o altra persona che lo prepari per la stampa.40 E tempo

40. Il curatore di testi dotto gioca una parte importante nella storia della pro­
duzione libraria italiana del quindicesimo e sedicesimo secolo. Quando gli stam­
patori tedeschi vennero per la prima volta in Italia, gli umanisti li aiutarono a sce­
gliere i testi che avessero maggiore probabilità di successo nell’atmosfera vivace
26 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

anche di aggiungere a questi due personaggi dotti due figure um i­


li, ma non meno importanti, ugualmente soggette all’influenza
delle varietà linguistiche cui ho fatto riferimento: lo stampatore,
che è responsabile della prassi linguistica adottata nella sua offici­
na, e il compositore, che mette insieme i caratteri coi quali il testo
verrà stampato.
Quando paragoniamo la situazione linguistica italiana con la
distribuzione della stampa nella penisola, la prima cosa che colpi­
sce è il fatto che questi due elementi non combaciano. Il modello
linguistico prevalente ha il suo centro a sud della linea La Spezia-
Rimini, a Firenze, riflettendo in tal modo la realtà politica, econo­
mica e culturale dell’Italia medievale. La stampa, un bambino na­
to nella seconda metà del quindicesimo secolo e che muove i pri-

della cultura italiana. I curatori umanisti giocarono inoltre una parte rilevante nei
primi anni della stampa nella grande città universitaria di Bologna, dove il rap­
porto tra università e stampa, sebbene non formalizzato, ci fa ricordare l’analoga
situazione a Parigi. La consuetudine passò dal latino all’italiano, significativa­
mente nella persona di Pietro Bembo, che curò le famose edizioni in ottavo di
Petrarca e di Dante pubblicate da Aldo Manuzio rispettivamente nel 1501 e nel
1502. Verso la metà del Cinquecento ci fu un gruppo di autori che esplicarono
una intensa attività per gli stampatori veneziani in qualità di curatori e correttori
di bozze di edizioni in volgare. Per il quindicesimo secolo si veda M. M iglio,
Giovanni Andrea Bussi, in Dizionario biografico degli italiani, 15, Roma 1972, 565-72,
con relativa bibliografìa; C. F. B ühler, The University and thè Press in Fifteenth-cen-
tury Bologna, Bologna 1959; per il sedicesimo secolo C. D ionisotti, Pietro Bembo,
in Dizionario biografico degli italiani, 8, Roma 1966,133-51; B ongi, Annali di Gabriel
Giolito, passim; e infra, n. 43. Si deve notare che uno dei punti sui quali autori e cu­
ratori del Cinquecento potevano essere in disaccordo era l’ortografia. La gradua­
le uniformità imposta all’ortografìa rinascimentale secondo norme fonetiche,
piuttosto che etimologiche, patrocinata dal Bembo e associata al predominio di
scrittori e forme linguistiche toscane, era contrastata da alcuni scrittori del nord e
del sud d’Italia, in nome di una più antica e universale autorità: il latino. La com­
plessità delle forze operanti nella situazione linguistica dell’Italia rinascimentale
poteva produrre relazioni tra autore e curatore del tutto opposte a quelle che ho
delineato sopra: cosi, nell’edizione del 1611 di Delle commedie degl’Accademici Intro­
nati, stampata a Siena da Matteo Fiorimi, nel testo di una delle commedie, della
quale questa edizione è la princeps, « thè Editor has selectively modifìed (not sim-
ply regularized) spelling, pronouns, particles, and verb inflections, as well as
whole words, to conform with thè norms which Scipione Bargagli had promul-
gated as being pure sánese » (N. N ewbigin , T wo autographs of Belisario Bulgarini’s
‘Gli scambi’ in thè Marciana Library, Venice, « Bibliothèque d’Humanisme et Re­
naissance », xl [1978], 49-59).
I • SGUARDO DA UN ALTRO PIANETA 27
mi passi ai primi del sedicesimo, ha il suo luogo di maggior con­
centrazione a nord di quella linea, a Venezia, la sola unità politica
italiana che durante il Cinquecento conservi il ruolo di potenza
europea. M olti autori che vivevano a sud della linea La Spezia-Ri-
mini mandavano le loro opere al nord, a Venezia, per la stampa,
sperando di conseguire la massima diffusione nel passaggio attra­
verso questo canale internazionale. Cosicché autore, curatore e
stampatore potevano avere tre diverse origini geografiche ed
esprimere tre atteggiamenti linguistici diversi. In realtà, vi è un al­
tro fattore di confusione linguistica all’interno del mondo della
stampa di questa epoca. Io parlavo in precedenza della mobilità
internazionale dei tipografi nell’Europa continentale del XVI se­
colo. In Italia vi è anche un’emigrazione interna, cioè la rotazione
degli stampatori tra i vari stati italiani. Ad esempio, Aldo M anu­
zio, il famoso stampatore veneziano, proveniva dai dintorni di
Roma, mentre Antonio Biado, uno dei più importanti stampatori
romani della prima metà del sedicesimo secolo, era di Asolo, non
lontano da Venezia. Gabriele Giolito, che diresse la più importan­
te stamperia della metà del secolo a Venezia, era piemontese,
mentre in Piemonte, un’area di importanza limitata nella storia
della stampa, tre degli stampatori attivi nella seconda metà del se­
dicesimo secolo provenivano da Venezia o dal Veneto, cinque da
Milano o dal Milanese, due da Firenze.41
Sarebbe interessante, e potrebbe essere realizzabile, produrre
edizioni rispettose dell’antica grafìa, sul modello inglese, nel caso

41. M. D azzi, Aldo Manuzio e il dialogo veneziano di Erasmo, Venezia 1969,15, dà


la seguente lista di stampatori provenienti da altre località d’Italia che operavano
a Venezia nel 1500: « Vi lavorano i Biavi di Alessandria, Ottaviano Scoto da Mon­
za, Antonio Strada da Cremona, Lucantonio Giunta da Firenze, i Sessa da Mila­
no, Giovanni Giolito, i Ragazzoni da Asola ». Altre informazioni sui tipografi di
origine non veneziana possono essere reperite in P. F. G rendler, The Roman In­
quisition and thè Venetian Press, 1540-1605, Princeton (Newjersey) 1977,16-17. Non
ho dimenticato che una quinta eventuale variabile linguistica è fornita dalla pa­
tria del compositore. Sfortunatamente, siamo attualmente assai male informati
sullo staffdelle stamperie italiane del sedicesimo secolo; contributi quali quello di
G. D ondi, Apprendisti librai e operai tipografi in tre officine piemontesi del sec. XVI, in
Contributi alla storia del libro italiano: miscellanea in onore di Lamberto Donati, Firenze
1969 (Biblioteca di Bibliografia italiana, 57), 107-18, sono troppo rari.
28 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

di opere di fiorentini stampate a Firenze da uno stampatore fio­


rentino, o di opere di veneziani stampate a Venezia da uno stam­
patore veneziano, o di opere di autori milanesi stampate a Milano
da un milanese. M a questa osservazione serve soltanto a mettere
in evidenza le differenze tra il panorama inglese e quello italiano.
Il criterio editoriale che si fonda sul rispetto della grafìa antica e la
teoria del copy-text presuppone una situazione di ampia unità lin­
guistica. Per la maggioranza dei testi italiani del sedicesimo secolo
non si può supporre che una tale situazione esista. Per compren­
dere la mescolanza linguistica che si determina quando autore,
curatore e stampatore operano su differenti lunghezze d’onda, i
lettori pratici di studi inglesi dovrebbero provare a immaginare la
situazione che risulterebbe se il primo in-folio di Shakespeare
fosse stato curato dal re Giacomo I e stampato ad Edimburgo da
uno stampatore irlandese la cui lingua madre fosse stata il gaelico.
Una tale ipotesi rappresenta certamente una situazione limite,
ma la prassi editoriale italiana deve tenerne conto.42 Non escludo
che quando saremo adeguatamente informati circa l’influenza
delle teorie linguistiche e delle forme parlate locali sulla redazio­
ne e sulla stampa di testi italiani del sedicesimo secolo, potremo
scoprire una situazione non tanto diversa da quella che si verificò
nell’Inghilterra elisabettiana o di Giacomo I. M a attualmente ab­
biamo solo poche, frammentarie informazioni sulle attività dei
curatori, e assolutamente nessuna sulle abitudini linguistiche dei

42. Mi sono occupato alcuni anni fa di un testo, Institutione di tutta la vita de


l’huomo, scritto da un toscano, Alessandro Piccolomini, e stampato per la prima
volta a Venezia nel 1542 da uno stampatore di origine milanese. Pare che la pub­
blicazione fosse avvenuta senza l’autorizzazione dell’autore; in tal modo il testo
passò presumibilmente per le mani di un ignoto curatore, che forse lo corredò di
un quarto elemento linguistico di cui lo studioso moderno deve tenere conto. La
mia collega Laura Lepschy dello University College London mi informa che la
prima edizione dell’Itinerario del nobile padovano Gabriele Capodilista fu stam­
pata a Perugia intorno al 1475 da un tedesco, e contiene alcuni strani tratti lingui­
stici che sarebbe avventato attribuire all’autore. D’altro canto, come Carlo Dio-
nisotti ha fatto notare, Fortuna del Petrarca nel Quattrocento, « Italia medioevale e
umanistica», xvii (1974), 71, il commento ai Trionfi del Petrarca del senese Ber­
nardo Ilicino, stampato a Bologna nel 1475 da un bolognese, Annibaie Malpigli,
conserva le forme verbali senesi dell’originale.
I • S GUARDO DA UN ALTRO PIANETA 29
singoli stampatori e dei loro compositori.43 La prudenza impone,
fìntanto che non si conosca di più su questi fattori, di accostarci a
ogni caso cautamente, accettando come assunto generale che dif­
ferenze di carattere teorico o abitudini e preferenze linguistiche
particolari dell’autore, del curatore, dello stampatore e del com­
positore abbiano avuto una qualche ripercussione sugli aspetti
grafici, fonetici e morfologici del testo. In queste circostanze, ele­
vare il rigoroso metodo inglese, con la sua implicita unità lingui­
stica, a principio generale nell’edizione dei testi italiani sarebbe
una follia.

Se ora ci volgiamo indietro e guardiamo la via per la quale sia­


mo giunti a questo punto, possiamo osservare che, se nessuna
considerazione di principio impedisce l’applicazione della biblio­
grafìa testuale alla scena italiana - si tratterebbe anzi di « a con-

43. Le attività dei curatori di testi cinquecenteschi sono state studiate princi­
palmente in funzione del loro modo di procedere rispetto ai testi italiani dei se­
coli anteriori, particolarmente quelli del Boccaccio; i due curatori sui quali l’at­
tenzione si è concentrata sono Girolamo Ciancio (si veda G. B occaccio , Come­
dia delle ninfefiorentine (Ameto), edizione critica per cura di A. E. Q uaglio, Firenze
1963) e Tizzone Gaetano (per il quale si veda G. G hinassi, Correzioni editoriali di
un grammatico cinquecentesco, «Studi di filologia italiana», xix [1961], 33-93); sia il
Claricio sia il Gaetano erano attivi nell’industria della stampa veneziana nella se­
conda e terza decade del secolo. Analogamente I. B aldelli, Correzioni cinquecente­
sche ai versi di Lorenzo Spirito, « Studi di filologia italiana », ix (1951), 39-122, ristam­
pato nel suo Medioevo volgare da Montecassino all’Umbria, Bari 1971, 419-517, studia
un aggiornamento linguistico anonimo, in vista di una progettata edizione, di un
testo poetico umbro del quindicesimo secolo. Per i nostri scopi, tuttavia, il contri­
buto più importante e significativo è un altro studio di G. G hinassi, L’ultimo revi­
sore del ‘Cortegiano’, « Studi di filologia italiana », xxi (1963), 217-64, che descrive i
cambiamenti linguistici introdotti da Giovan Francesco Valerio, un sostenitore
delle teorie del Bembo, nel testo del Libro del Cortegiano, prima della sua pubblica­
zione a Venezia nel 1528. Senza questa ampia revisione, probabilmente sollecitata
sebbene non sorvegliata dall’autore, che era in Spagna, il testo del capolavoro del
Castiglione avrebbe presentato un aspetto linguistico molto più dialettale, simile
alla lingua delle sue lettere e manoscritti autografi. La necessità di un’ulteriore ri­
cerca sull’influenza linguistica di curatori e stampatori fu chiaramente avvertita
da B. M igliorini, Storia della lingua italiana, 376-8; l’influenza della stampa sulla
storia della lingua nel Cinquecento è un tema costante del suo capitolo su quel se­
colo, ibid., 307-428. Purtroppo, il suo invito ad un’ulteriore esplorazione di questi
fattori non è mai stato sistematicamente raccolto.
30 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

summation devoutly to be wished » - di fatto, numerosi ostacoli


di natura pratica si pongono d’intralcio. È necessario, in primo
luogo, disporre di elenchi di libri italiani del sedicesimo secolo,
che permettano al critico testuale di concentrarsi sul suo compito
editoriale, senza spendere energie nella raccolta del materiale sul
quale dovrà lavorare. Ciò comporta un’opera di catalogazione su
larga scala, che richiederà molti anni per essere completata. Inol­
tre il curatore di testi ha bisogno di conoscere molto di più di
quanto attualmente non conosca sulle circostanze in cui le stam­
pe che egli sta esaminando furono prodotte. Qui il panorama è al
momento forse ancora più scoraggiante. M entre vi è, e vi è stato
per molti anni, un considerevole interesse per gli aspetti econo­
mici e culturali della stampa italiana del sedicesimo secolo, gli
aspetti tecnici del lavoro tipografico sono stati in grande misura
ignorati. Inoltre, per il tipo di ricerca da svolgere in relazione a
quanto ho appena detto circa i condizionamenti linguistici che
subirebbero i testi cinquecenteschi nel momento della loro messa
in stampa, si stanno cominciando solo ora a muovere i primi passi.
Tuttavia sono ottimista. Il terreno è ricco, occorre solo lavorar­
lo perché dia frutti. Ho fiducia che sotto la spinta della crescita ge­
nerale d’interesse per la bibliografìa testuale riscontrabile ora
nell’Europa continentale, i prossimi dieci o venti anni vedranno
un continuo aumento d’attenzione da parte dei filologi italiani
per le questioni bibliografiche, e un graduale dissolversi del­
l’ignoranza che attualmente offusca la nostra comprensione delle
precise modalità in base alle quali la fiorente industria tipografica
italiana del Cinquecento influì sulla trasmissione dei testi. È mia
speranza che questa conferenza possa servire in qualche modo ad
accelerare il processo.
A g g iu n t a

N e i quasi dieci anni trascorsi dopo la stesura di queste pagine si è


manifestato in Italia un interesse nuovo per alcuni dei problemi
ivi accennati, per cui, mentre mi sembra ancora valido il panora­
ma ivi schizzato dell’applicazione, o meglio, della mancata appli­
cazione dell analisi bibliografica ai problemi della trasmissione
dei testi italiani del Cinquecento, vanno aggiornate alcune delle
informazioni date nelle note. L’iniziativa più ricca di possibilità
per il futuro è senza dubbio il Censimento delle edizioni italiane del
XVIsecolo, di cui si parla in un’ altra parte del presente volume (ve­
di Nota non-fantasdentifica, infra, 113-22). Il Censimento è significati­
vo non solo per il contributo ingente che recherà alla nostra cono­
scenza delle cinquecentine italiane e per il modo in cui faciliterà
la loro consultazione, ma anche come scuola di insegnamento per
i bibliotecari nell’analisi e nella descrizione del libro antico e nella
compilazione di schede bibliografiche in linguaggio di macchina.
Da segnalare in questo contesto l’utile manualetto di un membro
d ell’équipe che lavora al Censimento, L. Baldacchini, Il libro antico,
Roma 1982.
Gli studi moderni sul libro francese del Rinascimento (vedi n.
19) sono ora sintetizzati nel mirabile volume di H.J. Martin e R.
Chartier, Histoire de l'édition française. Tome I: Le livre conquérant: du
Moyen Âge au milieu du XVIIe siècle, Paris 1982. Sono apparsi anche il
secondo e il terzo volume dell’opera (1984 e 1985 rispettivamen­
te), che portano la storia del libro francese alla fine dell’Ottocen­
to.
Ad integrazione degli elenchi degli annali tipografici e dei cata­
loghi delle cinquecentine italiane che si trovano alle nn. 27 e 34, si
vedano L.Baldacchini-G. Contardi, Cataloghi, bibliografe, censimen­
ti di libri antichi, «Bollettino d’informazione AIB», xxm (1983),
Ï43- 48 ; Cataloghi a stampa di biblioteche utilizzati per il « Censimento »,
« Il corsivo: notiziario del censimento delle edizioni italiane del

* Inedito.
32 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

xvi secolo», in (die. 1983), 12-1$; L. Sereni, Arte tipografica del sea
XVI in Italia: bibliografia italiana (1800-1983), Roma 1984.
Sui dotti curatori (si vedano le nn. 40 e 43) molto materiale
nuovo riguardo al Quattrocento è stato messo in luce nei due vo­
lum i Scrittura biblioteche e stampa a Roma nel Quattrocento: aspetti e
problemi. Atti del seminario 1-2giugno 1979, Città del Vaticano 1980, e
Scrittura biblioteche e stampa a Roma nel Quattrocento. Atti del2° Semi­
nario 6-8 maggio 1982, Città del Vaticano 1983. Per il Cinquecento
importanti sono i due scritti di A. Quondam, «Mercanzia d’onore»/
«Mercanzia d’utile»:produzione libraria e lavoro intellettuale a Venezia
nel Cinquecento, in Libri, editori e pubblico nell’Europa moderna: guida
storica e critica, a cura di A. Petrucci, Bari 1977,51-104, e Nel giardino
del Marcolini: un editore veneziano tra Aretino e Doni, « Giornale stori­
co della letteratura italiana», c l v i i (1980), 75-116.
In fine, come indicazione della maggiore attenzione prestata al
fattore bibliografico dalla odierna critica letteraria italiana, si può
citare il lungo capitolo dello stesso Quondam, La letteratura in tipo­
grafia, in Letteratura italiana. Voi. IL Produzione e consumo, Torino
1983,555-686, che, fra l’altro, sperimenta, con passo sicuro e buoni
risultati, alcune delle vie di ricerca proposte nel presente contri­
buto e nella mia Introduzione alla bibliografia testuale (infra, 33-63).
Intanto, il procedimento di raffinamento e, nello stesso tempo,
di allargamento degli orizzonti entro la bibliografìa testuale an­
glo-americana continua a dare frutti notevoli: si vedano, ad esem­
pio, lo studio di P. W . M. Blaney, The Texts o f «KingLear» and their
Origins. Voi. I. Nicholas Oakes and thè First Quarto, Cambridge 1982
(accolto universalmente come un libro che, nelle parole della re­
censione apparsa in «T he Library», ser. 6, vi (1984), 89-93, «porta
l’analisi bibliografica a nuove altezze »), e il contributo stimolante
e affascinante di D. F. McKenzie, The Sociologi o f a Text: Orality, Li-
teracy and Print in Early New Zealand, «T he Library», ser. 6, vi
(1984), 333-65, che, partendo dalla «nuova bibliografìa» anglo-
americana, esamina da un punto di vista antropologico-sociologi-
co-bibliografìco un documento politico importante e ambiguo, il
Trattato di W aitangi (1840), base legale del potere inglese nella
Nuova Zelanda.
II

IN TRO D U Z IO N E
ALLA BIBLIO G RA FIA TE STU A LE*

L espressione ‘bibliografìa testuale’ è la traduzione letterale


dell’inglese ‘textual bibliography’, che riassume e descrive ciò che
di più valido e di più originale si contiene nella teoria e nella prassi
anglo-americana dell’edizione critica dei testi letterari in lingua
volgare.1Se la critica testuale italiana si è evoluta in gran parte sot­
to l’influsso di due spinte complementari, quella della filologia
classica e quella dei testi trasmessi attraverso testimoni mano­
scritti, la critica testuale dei paesi di lingua inglese si è separata in
questo secolo dalla strada maestra della filologia classica per av­
venturarsi su una via propria, indicatale dalla natura particolare
del problema critico dei testi del maggior autore inglese, W illiam
Shakespeare, le cui opere, come è noto, sono state trasmesse uni­
camente attraverso libri a stampa. L’interesse di studiosi di lingua
inglese per il modo in cui il procedimento tipografico può in­
fluenzare la trasmissione del testo si è sviluppato su un terreno già
preparato tecnicamente, perché fin dall’inizio di questo secolo
(l’atto di nascita della bibliografìa testuale può considerarsi la
pubblicazione nel 1914 di due articoli, uno di W . W . Greg e l’altro
di Ronald B. McKerrow, nello stesso volume delle Transactions
della Bibliographical Society of London) gli incunabolisti della
biblioteca del British Museum (ora laBritish Library), continuan­
do e perfezionando il lavoro classificatorio iniziato mezzo secolo
prima sotto la direzione del primo grande Keeper of Printed
Books, l’esule italiano Antonio Panizzi, avevano gettato le basi
della moderna scienza del libro, avviando la pubblicazione del
Catalogne o f Books Printed in thè XVth Century now in thè British Mu-

* Pubblicato in « La Bibliofilia», lxxxii (1980), 151-80.


1. A complemento del presente contributo, mi sia permesso di rimandare al
mio articolo The Viewfrom Another Pianeti Textual Bibliography and thè Editing of
Sixteenth-century Italian Texts, « Italian Studies », xxxiv (1979), 71-92, che tratta
questioni simili, ma con un’angolazione diversa. [Supra, 1-32.]
34 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

seum, che portò ad altezze prima insospettate di precisione e di


ricchezza di particolari l’analisi del libro antico come oggetto ma­
teriale.2 Ed è come applicazione particolare della bibliografia ana­
litica che bisogna considerare la bibliografìa testuale, secondo il
più acuto esponente attuale della critica testuale anglo-america­
na, lo studioso americano Fredson Bowers. Per lui, la bibliografìa
testuale si occupa del contenuto di un libro « non come simboli da
tradurre all’istante nella mente in concetti che esprimono dei si­
gnificati, ma come semplici segni d’inchiostro impressi sulla carta
da pezzi di metallo sistematicamente scelti e ordinati da un opera­
tore umano, il compositore ».3 Secondo questa definizione, la bi­
bliografìa testuale va tenuta distinta dalla critica testuale con cui è
nello stesso rapporto, per i libri a stampa, della paleografìa per le
opere manoscritte. Bisogna dire, però, che nell’uso comune que­
sta rigorosa distinzione viene spesso smussata, come si può vede­
re, ad esempio, nel manuale bibliografico inglese più recente,
compilato da Philip Gaskell, dove il concetto di « critica testuale »
è considerato come « tradizionalmente » applicato alla ricostru­
zione di testi trasmessi attraverso testimoni manoscritti, e la bi­
bliografìa testuale viene definita: « la critica testuale applicata ai
problemi analoghi ma non identici dell’edizione di testi stampa­
ti».4 L’estensione del concetto di bibliografìa testuale anche

2. W .W . G reg, What is Bibliography?, «Transactions o f the Bibliographical


Society», xii (1914), 39-53; R.B. M c K errow , Notes on Bibliographical Evidencefor
Literary Students and Editors of English Works ofthe Sixteenth and Seventeenth Centuries,
ibid., 211-318. Quest’ultimo saggio, sviluppato e ampliato, divenne poi il primo
manuale di bibliografìa testuale, An Introduction to Bibliographyfor Literary Students,
Oxford 1927, ancora utile per la classica semplicità e chiarezza dell’esposizione.
Del Catalogue of Books Printed in theXVth Century nowin the British Museum il primo
volume apparve nel 1908.
3. F. B owers, Bibliography and Textual Criticism, Oxford 1964,27. Il Bowers, già
ordinario di letteratura inglese all’Università della Virginia, è autore del magi­
strale Principles of Bibliographical Description, New York 1962, vera Bibbia della
scienza bibliografica. Molti suoi saggi sono stati recentemente raccolti nel volu­
me Essays in Bibliography, Text, and Editing, Charlottesville, Va., 1975.
4. P. G askell, A New Introduction to Bibliography, Oxford 1972,336. A dir il ve­
ro, la tendenza a limitare il concetto di « critica testuale » alla ricostruzione di testi
trasmessi da testimoni manoscritti sembra in pratica condivisa dalla migliore filo­
logia italiana; cosi, nel manuale di F. B rambilla A geno, L’edizione critica dei te-
II • INTRODUZIONE ALLA BI BLIOGRAFI A TESTUALE 35

all’operazione critica trova una giustificazione apparente, poi, in


due fattori: anzitutto, per il fatto che di solito chi fa l’operazione
critica della ricostruzione del testo avrà anteriormente effettuato
egli stesso le ricerche bibliografiche su cui la sua ricostruzione si
basa, cosicché per lui l’indagine bibliografica e la riflessione criti­
ca saranno state inestricabilmente intrecciate; in secondo luogo, e
questa è una considerazione di maggior peso, le condizioni parti­
colari della trasmissione a stampa comportano alcune conseguen­
ze sia teoriche sia pratiche per la critica testuale, come risulterà,
spero, dalle pagine che seguono. Nondimeno, per il curatore di
testi critici è importante tener presente la distinzione implicita
nella definizione del Bowers, in quanto l’attività bibliografica ha
le proprie leggi e le proprie tecniche, che non vanno confuse con
quelle, diverse, dell’attività critica.
In questo contributo vorrei presentare e illustrare, in modo
inevitabilmente sommario e incompleto, dato il poco spazio che
posso dedicare a un argomento cosi vasto e complesso, alcuni
punti importanti della bibliografìa testuale, a cui farò seguire
qualche considerazione sulle loro conseguenze metodologiche.
Prima di cominciare, però, devo fare alcuni avvertimenti prelim i­
nari.
La bibliografìa testuale, soprattutto nell’epoca classica della sua
formulazione fra le due guerre mondiali ad opera di studiosi in­
glesi quali Ronald B. McKerrow e W . W . Greg, si è concentrata
sul periodo della produzione manuale del libro stampato.5 Solo di

sti volgari, Padova 1975 (Medioevo e Umanesimo, 22), proprio all’inizio del capi­
tolo 11, intitolato « Che cos’è la critica del testo », si leggono le seguenti parole: « Il
testo di uno scrittore contemporaneo, diffuso mediante la stampa, è oggi pratica-
mente sicuro; e se troppi errori s’insinuano in un’edizione da strapazzo, è possi­
bile di solito all’autore aggiungere un errrata-corrige, o al lettore ricorrere ad
un’altra edizione, insomma eliminare le corruttele introdottesi nel testo. Le cose
stavano diversamente quando la diffusione di un testo era affidata a copisti...»
(n). [Queste parole sono state eliminate nella seconda edizione riveduta e am­
pliata del manuale, Padova 1984.]
5. Del McKerrow, professore all’Università di Oxford, sono importanti, oltre
alle opere citate alla n. 2, i Prolegomenafor thè Oxford Shakespeare: a Study in Editorial
Method, Oxford 1939. Il Greg, che era Fellow del Trinity College di Cambridge,
3Ó S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

recente, ad opera soprattutto di studiosi americani, sotto l’egida


del Center for Editions of American Authors (ora il Center for
Scholarly Editions), dietro cui si sente la presenza autorevole di
Fredson Bowers, si è fatto un serio tentativo di applicare i principi
ed i metodi della bibliografìa testuale anche ai problemi della tra­
smissione del testo attraverso la stampa meccanica.6 In questo
contributo io mi limiterò a considerare la produzione manuale
del libro a stampa; anzi, mi restringerò ancora di più, essendo la
mia esemplificazione tolta per la maggior parte dal Cinquecento,
il solo periodo riguardo a cui posso credere di avere una certa
competenza come studioso. Occorre tener presente, però, che la
produzione manuale del libro è durata a lungo. Il primo impiego
commerciale di un torchio meccanico risale alla notte fra il 28 e il
29 novembre del 1814, per la stampa del quotidiano londinese The
Times. L’uso della produzione meccanica, iniziato per la stampa
dei giornali, si estese solo lentamente a quella dei libri, La prima

curò molte edizioni di opere drammatiche secentesche e compilò la fondamen­


tale Bibliography of the English Printed Drama to the Restoration, 4 voli., London 1939-
59. I suoi saggi, taluni di notevole importanza metodologica, sono stati rac­
colti nel volume postumo Collected Papers, edited by J. C. M axwell, Oxford
1966.
6. Il Center for Editions o f American Authors, istituito dalla Modern Langua­
ge Association o f America nel 1963 e dal 1966 sovvenzionato dal governo, ha pub­
blicato uno Statement of Editorial Principles and Procedures (2s edizione, 1972), per cui
si può consultare la lunga discussione di G. T. T anselle, Greg’s Theory of Copy-text
and the Editing of American Literature, « Studies in Bibliography », xxvm (1975), 167-
229. Fredson Bowers ha dedicato recentemente ai problemi della trasmissione
testuale attraverso la stampa meccanica un gruppo di saggi (Old Wine in New Bott­
les: Problems of Machine Printing [1966]; Multiple Authority: New Problems and Con­
cepts of Copy-text [1972]; Remarks on Eclectic Texts [1973]), ora raccolti nel volume ci­
tato, Essays in Bibliography... ; a questi si può aggiungere il suo studio più recente,
Greg’s «Rationale of Copy-text» Revisited, « Studies in Bibliography », xxxi (1978),
90-161. Lo studioso italiano troverà forse la fenomenologia della trasmissione te­
stuale attraverso la stampa meccanica e la relativa riflessione critica del Bowers
più familiari che non quella della stampa manuale, con la teoria critica del « copy-
text » che ne era occasionata, quest’ultima esposta dal Greg nel suo saggio fonda-
mentale, The Rationale of Copy-text{1950), ora nei suoi Collected Papers, 374-91- A l­
cune riserve sulla opportunità di estendere il concetto di « copy-text » all’edizio­
ne di testi italiani del Cinquecento sono espresse nel mio articolo The Viewfrom
Another Planet..., 85-92. [Supra, 21-29.]
II • INTRODUZIONE ALLA BI BLIOGRAFI A TESTUALE 37

macchina stampatrice importata in Italia cominciò a funzionare a


Torino nell’officina di Giuseppe Pomba nel 1830, ma è una data
precoce; ancora nel 1850, a parte Torino, dove la concorrenza ave­
va consigliato anche ad altri tipografi di fornirsi delle nuove mac­
chine, l’industria tipografica italiana era essenzialmente un’attivi­
tà artigianale.7 Cosi, per ben quattro secoli, i libri si stamparono a
mano, e con procedimenti quasi inalterati, tale era la perfezione
dei m ezzi di produzione raggiunta nei primi decenni della storia
della tipografìa.8 Di conseguenza, ciò che dirò della tecnica tipo­
grafica cinquecentesca è generalmente valido anche per il Seicen­
to, per il Settecento e, con certe modifiche, per la prima metà
dell’Ottocento.9

7. Per il Pomba, vedi l’interessantissimo libro di L. F irpo, Vita di Giuseppe


Pomba da Torino: libraio tipografo editore, Torino 1975 (Strenna U tet 1976). Perla si­
tuazione generale in Italia, vedi F. R iva, Il libro italiano: saggio storico tecnico 1800-
1965, Milano 1966. E significativo che nella prima edizione di quello che è, a
quanto io sappia, il primo manuale italiano per tipografi, il Manuale di tipografia di
Giulio Pozzoli, del 1861, il libro s’indirizza ai « combinatori di caratteri », ai « tor­
colieri » e ai « legatori di libri ». Soltanto nella seconda edizione, del 1873, « mi­
gliorata ed accresciuta », si trovano nominati sul frontespizio anche i « macchini­
sti ».
8. F irpo, Vita di Giuseppe P o m b a 26-7: «... chi fosse entrato in una stampe­
ria verso la metà degli anni Venti del secolo scorso, avrebbe potuto credere di tro­
varsi ancora in un’officina del tardo ’400. Identico il metodo di composizione a
mano, allineando sul righello del compositoio i caratteri prelevati uno ad uno
dalle ‘casse’ divise negli scomparti tradizionali; identica l’inchiostratura a mano
mediante tamponi semisferici; identica l’impressione mediante torchi a leva, co­
struiti in legno, con pochi giunti metallici, e azionati a forza di braccia, che ancora
ricordavano il vetusto pressoio a vite per le vinacce impiegato da Gutenberg ».
Un’analoga osservazione era stata fatta dal M c K errow , An Introduction to Biblio-
graphy..., 7. [V. supra, 6-7].
9. Ai fini della bibliografia testuale, il cambiamento più importante nella tec­
nica tipografica durante il periodo della stampa manuale è dovuto al graduale au­
mento nella grossezza delle serie di caratteri tipografici, che permetteva ai tipo­
grafi di lasciare in piombo, prima o dopo la stampa, le forme già composte di un
libro, cosa che nel Cinquecento era praticamente sconosciuta. L’invenzione
all’inizio dell’Ottocento di un torchio metallico, quello Stanhope, capace di im­
primere un’intera forma con una sola tratta della mazza, invece di due, come in
passato, non sembra abbia cambiato molto: lo sforzo richiesto per operare il pe­
sante meccanismo annullava il vantaggio derivato dalla riduzione a metà del nu­
mero delle tratte di mazza; v. G askell, A New In tro d u ctio n 36-9,198-200; F ir­
po, Vita di Giuseppe P o m b a 27.
3« S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

Nel parlare della tecnica tipografica cinquecentesca, poi, occor­


rerà, nella scarsezza di ricerche su quest’aspetto della stampa ma­
nuale in Italia, estrapolare per la situazione italiana i risultati del
molto lavoro fatto per quasi un secolo da bibliografi e studiosi del­
la letteratura inglese sulla tecnica tipografica della stampa inglese
del Cinquecento e del Seicento. La validità dell’applicazione alla
situazione tipografica italiana dei risultati di ricerche condotte in
gran parte sulla stampa inglese è garantita da un fatto ben docu­
mentato: l’aspetto internazionale della diffusione e del consoli­
darsi della nuova tecnica nel Quattrocento e nella prima metà del
Cinquecento. Nel Quattrocento, la nuova invenzione fu portata
attraverso l’Europa da maestri e operai tedeschi.10 E anche i loro
discendenti, dalla prima alla terza generazione, amavano viaggia­
re. Cosi, il primo stampatore ducale fiorentino, Lorenzo Torren-
tino, che iniziò la sua attività nel 1547, era olandese, come lo era
anche il suo socio, Arnoldo Arlenio; in Francia, il più grande tipo­
grafo lionese della prima metà del Cinquecento, Sebastianus
Gryphius, era tedesco, mentre il fondatore della grande officina
tipografica plantiniana di Anversa, Christophe Plantin, era fran­
cese. Quanto all’Inghilterra, il prototipografo W illiam Caxton
aveva appreso l’arte all’estero, e i suoi successori immediati furo­
no tutti o francesi o tedeschi.11 Anche tenendo conto di certe in­
negabili differenze di proporzione fra la piccola, provinciale in­
dustria tipografica inglese di quei secoli, e le grandi imprese tipo­
grafiche di centri europei come Norimberga, Venezia, Parigi,
Anversa, dove già nel Quattrocento si conoscevano officine con
sei, otto, dodici, e perfino più di venti torchi, l’ipotesi di una so­
stanziale identità nella tecnica tipografica di tutti i paesi d’Europa
rimane valida, ed è confermata da quel poco che è stato finora
portato in luce riguardo alla tecnica tipografica italiana del C in­
quecento - e dico finora, perché indubbiamente molto del mate-

10. F. G eldner, Die Deutschen Inkunabeldrucker: ein Handbuch der Deutschen


Buchdrucker des XV. Jahrhunderts nach Druckorten. Zweiter Band: Die Fremden Sprach­
gebiete, Stuttgart 1970.
11. Per una discussione più estesa di questo fenomeno, v. il mio articolo The
Viewfiom Another Planet..., 73-5 [Supra, 4-7.]
II • INTRODUZIONE ALLA BI BLIOGRAFI A TESTUALE 39

riale relativo rimane da scoprire, e con ricerche non molto diffìci­


li, in fonti come le prefazioni, le lettere ai lettori, ed altro materia­
le simile inserito in molte edizioni del periodo da editori e stam­
patori, nonché in fonti archivistiche, soprattutto quelle degli ar­
chivi notarili.12
Va sottolineato, in fin e, che la bibliografìa testuale s’indirizza
piuttosto al filologo, allo studioso di letteratura, che non al biblio­
tecario o al bibliografo. Sarà il caso, forse, di capovolgere i termini
della definizione del Gaskell riportata sopra, e di qualificare la bi­
bliografìa testuale come « la ricerca bibliografica applicata ai pro­
blemi della critica testuale ». Il materiale che presenterò nelle pa­
gine seguenti sarà indubbiamente familiare, se non nel suo insie­
me, almeno nei singoli elementi, a quelli che si occupano del libro
antico italiano. Rimane però in gran parte sconosciuto ai curatori
di testi critici. È soprattutto con la speranza di iniziare un dialogo
in Italia fra critica del testo e scienza bibliografica che è stato com­
pilato il presente contributo.13

12. Il materiale archivistico italiano è stato in parte esplorato per la storia eco­
nomica, sociale e culturale del libro, aspetti della storia totale del libro italiano
che sono stati portati molto avanti da illustri studiosi del nostro secolo e di quello
precedente. Come esempio dell’utilizzazione, per la storia della tecnica tipogra­
fica, del tipo di materiale offerto dalle parole inserite dai tipografi nei loro libri,
mi sia permesso di rimandare ad una mia nota, Correzioni ed errori avvenuti durante
la tiratura secondo uno stampatore del Cinquecento: contributo alla storia della tecnica tipo­
grafica in Italia, « Lettere italiane », xxvii (1975), 184-92 [infra, 155-68]. Molti docu­
menti francesi di questo genere sono riprodotti in appendice all’interessantissi­
mo libro di N. C atach , L’orthographefrançaise à l’époque de la Renaissance (Auteurs -
Imprimeurs - Ateliers d’imprimerie), Genève 1968. Lo scarso interesse manifestato
dalla cultura italiana per gli aspetti tecnici del processo tipografico è di vecchia
data: in un elenco di 66 manuali per tipografi composti nei vari paesi d’Europa
prima del 1850, compilato da P. G askell, G. B arber e G. W arrilow , An Annota-
ted List ofPrinters’ Manuals to 1850, «Journal o f thè Printing Historical Society », iv
(1968), 11-32, non figura nessun’opera in lingua italiana.
13. È appunto da un tale dialogo che è nata la bibliografìa testuale anglo-ame­
ricana: testimone n’è il fatto che i piu grandi nomi della bibliografìa testuale di
lingua inglese sono tutti filologi di professione. La mancanza di un dialogo simile
nella cultura francese è stata notata da Wallace Kirsop, autore di un recente ma-
nualetto di bibliografìa testuale ad usum Francorum, Bibliographie matérielle et critique
textuelle: vers une collaboration, Paris 1970. Anche i paesi di lingua tedesca stanno
scoprendo la bibliografìa testuale; cfr. M. B oghardt, Analytische Druckforschung:
40 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

Fondamentale per la bibliografìa testuale è il procedimento ti­


pografico. Inizierò quindi questa introduzione con una breve de­
scrizione selettiva del processo e del ritmo di lavoro in un’officina
tipografica del Cinquecento e del Seicento, come essi sono stati
ricostruiti dalle ricerche più recenti. Naturalmente, nel descrive­
re in poche pagine un’operazione cosi complessa come quella
della stampa di un libro, soggetta a pressioni di vari tipi, economi­
che, culturali, umane, si è costretti a presentare un quadro ideale,
di come il lavoro tipografico dovrebbe svolgersi. Nei casi concre­
ti, che formeranno l’unico oggetto delle indagini degli studiosi,
bisognerà tener presente la possibilità di interruzioni e di modifi­
cazioni in ogni parte del processo tipografico, causate dalle esi­
genze del momento. M a è sempre dal quadro ideale che lo studio­
so deve partire, per poter ben misurare e capire il significato dei
vari particolari portati alla luce dalle sue ricerche.
In una sala tipografica del nostro periodo lavoravano due classi
di operai, i torcolieri e i compositori (Tav. i). È possibile far fun­
zionare un torchio a mano con un solo torcoliere: quello il cui la­
voro viene illustrato e parzialmente descritto da Vittorio Zonca
nel suo Novo teatro di Machine etEdifidi (1607) non ha come compa­
gno che un cane (Tav. n).14 M a è molto più facile e economico

ein Methodischer Beitrag zu Buchkunde und Textkritik, Hamburg 1977. In Italia, alcuni
dei procedimenti e dei postulati più importanti della bibliografìa testuale furono
genialmente anticipati circa cinquantanni fa da Santorre Debenedetti, nelle sue
ricerche sull’ Orlandofurioso (v. L. A riosto, Orlandofurioso, a cura di S. D ebene-
detti, ni, Bari 1928,397-426), e soprattutto da Michele Barbi e da Fausto Ghisal-
berti, nella costituzione del testo critico dei Promessi sposi (v. M. B arbi, Il testo dei
« Promessi sposi » (1934), ora in La nuovafilologia e l’edizione dei nostri scrittori da Dante
al Manzoni, Firenze 19732, 195-227; F. G hisalberti, Per l’edizione critica dei “Promessi
Sposi”, « Annali Manzoniani », 1 (1939), 241-82; A. M anzoni, Tutte le opere, a cura di
A. C hiari e F. G hisalberti, IL Tomo I.IPromessi sposi: testo critico della edizione defi­
nitiva del 1840, Milano 1954, 789-812). Ma, per vari motivi, questi bellissimi lavori
non provocarono nessuna discussione generale sulle loro implicazioni per la cri­
tica del testo.
14. V. Z onca, Novo teatro di Machine et Edificii, Padova 1607,64-7. Il cane è forse
un topos figurativo. Lo Zonca mette in risalto, fra l’altro, la mobilità del torchio
II * INTRODUZIONE ALLA BI BLIOGRAFI A TESTUALE 41

far funzionare un torchio con due operai, il « tiratore » e il « batti­


tore », come li chiama Tommaso Garzoni.15 Il battitore si occupa­
va unicamente del lavoro dell’inchiostratura, che veniva effettua­
ta dopo ogni singola impressione con tamponi semisferici chia­
mati « mazzi ».16 Tutte le altre operazioni erano eseguite dal tira­
tore. Era lui che attaccava al timpano la carta bianca destinata a ri­
cevere l’impressione, coprendola poi con la fraschetta per proteg­
gerne i margini dall’inchiostro; lui che girava il molinello per far
scorrere il carro, con forma, carta, timpano e fraschetta, sotto il
torchio propriamente detto; lui che tirava la mazza per far scen­
dere il piano (cioè, il blocco o lastra di legno o di metallo con cui la
pressione del torchio veniva trasmessa al materiale tipografico
sottostante) su timpano, carta e forma, operazione che doveva es­
sere fatta due volte per eseguire l’impressione dell’intera forma,
essendo il piano del torchio di legno troppo piccolo per coprire
più della metà della forma; era lui, in fine, che girava il molinello
nel senso opposto per far tornare indietro il carro, e, aperto il tim­
pano e la fraschetta, ne estraeva la carta ora impressa (T aw . ni e
iv). Nonostante che il tiratore e il battitore, a quanto pare, si scam­
biassero i loro compiti regolarmente durante la giornata, è chiaro
che il lavoro tipografico era sfiancante.17 Il grande tipografo cin­
quecentesco Christophe Plantin, nelle Ordinanze con cui regolò
- o forse tentò di regolare - il funzionamento della sua officina,
fissò il lavoro giornaliero di un torchio con due operai a 1.250 fo-

a mano, che può essere smantellato e portato da un luogo all’altro, come accadeva
infatti presso i tipografi ambulanti del Cinquecento.
15. T. G arzoni, La piazza universale di tutte le professioni del mondo, Venezia
15872, 835. La stessa terminologia, « puller » e « beater », era corrente nella tipogra­
fìa inglese del Seicento; v. J. M oxon, Mechanick Exercises on thè WholeArt ofPrinting
(1683-4), edited by H. D avis and H. C arter, London 19622, 292.
16. L’uso dei mazzi durò fino alla prima metà dell’Ottocento, quando fu rim­
piazzato, anche per la stampa manuale, da quello di cilindri ricoperti di una mate­
ria elastica.
17. Per lo scambio dell’ufficio di tiratore e di quello di battitore fra i due ope­
rai, v. M oxon, Mechanick Exercises..., 292. F irpo, Vita di Giuseppe Pomba..., 80, fa
notare che, a causa della polvere di piombo, il lavoro tipografico era non solo du­
ro, ma anche malsano.
T a v . I. La sala tipografica dell’Officina Plantiniana (ora Museo Plantin-Moretus) di Anversa. I torchi lungo le finestre sono di tipo
centesco; a sinistra, le casse con i caratteri tipografici. Vedi p. 40.
H . NV o v o t e a t r o
. torchio
PER STAMPAR. I UfeKI-«*v~

T a v . II. Incisione di Vittorio Zonca (1607). La rappresentazione ha due anormalità: 1) l’insie­


me di forma, timpano e fraschetta (EE) occupa soltanto la metà del carro (E); 2) il piano è della
stessa grandezza della forma. Vedi p. 40.
TYPOGRAPHIA HARLEMI PRJMVM INVENTA
Circi. (r/Lntiunu-14, 4.0

T av. III. Incisione di Peter Scriverius (1628) su disegno di Pieter Saenredam. Il tiratore sta eseguendo l’impressio
ne di una forma, mentre il battitore prepara i mazzi dell’inchiostro; a destra, la figura venerabile di un composito
re. Vedi p. 41.
T a v . IV. Una tipografìa del Settecento (dall’ Enciclopédie francese del 1769). Nel torchio a sinistra, il tiratore fissa sul timpano un foglio bianco,
mentre il battitore batte la forma con i mazzi dell’inchiostro; a destra, gli operai sono colti nello stesso momento del processo tipografico
rappresentato nella T av . III. Vedi p. 41.
42 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

gli.18 Per stampare un foglio occorrono due forme, una per ogni
facciata, e cosi il numero delle impressioni necessarie per rag­
giungere questa cifra era esattamente il doppio, 2.500 al giorno. In
una giornata di dodici ore ininterrotte di lavoro, questa cifra signi­
fica più di 200 impressioni all’ora, cioè circa quattro impressioni
ogni minuto, ossia un’impressione ogni quindici secondi. Natu­
ralmente, per la stampa di libri con elementi tipograficamente
complessi, come xilografìe, o inchiostro a due colori, che richie­
devano una cura speciale, il ritmo di produzione doveva essere
meno rapido. M a per il lavoro medio di un torchio in condizioni
normali, come quelle che si verificano nella stampa di un’opera
letteraria di formato normale (folio, quarto, ottavo, dodicesimo)
senza illustrazioni, tutte le indicazioni di cui disponiamo concor­
dano con le cifre contenute nelle Ordinanze plantiniane.19 Senza
dubbio quello dei tipografi era un lavoro duro, di ritmo serrato,
che durava di solito dalle cinque o sei di mattina alle sei o sette di
sera, se non piu tardi. A Lione, nel Cinquecento, secondo la testi­
monianza degli stessi operai, la giornata di lavoro durava, incredi­
bilmente, venti ore, dalle due di mattina alle dieci di sera.20
Mentre i torcolieri andavano avanti con il loro lavoro rumoro­
so, che richiedeva uno sforzo fìsico notevole, accanto a loro, silen-

18. L. V oet, The Golden Compasses: a History and Evaluation of the Printing and
Publishing Activities of the Officina Plantiniana at Antwerp in Two Volumes. Volume 2.
The Management of a Printing and Publishing House in Renaissance and Baroque, Am ­
sterdam 1972, 169, 325-6.
19. Secondo M oxon, Mechanick Exercises..., 344, la norma per un torchio con
due operai era 250 impressioni l’ora; per una discussione sommaria ma ben docu­
mentata dell’argomento, v. G askell, A New Introduction..., 139-41. La cifra è vali­
da per il Cinquecento e il Seicento, ma all’ inizio del periodo della stampa manua­
le, sembra che il ritmo di produzione fosse stato meno rapido (forse perché la
grandezza media delle edizioni prodotte nei primi cinquant’anni della stampa
era meno di mille esemplari), mentre alla fine, almeno in Italia, ci si lagnava che
un torchio producesse non più di 700 fogli in dieci ore di lavoro (Firpo, Vita di
Giuseppe Pomba..., 27), e il Pozzoli, nella terza edizione del suo Manuale (Milano
1882,331), parlando del torchio Stanhope, « il più forte di questi torchi [di ferro] e
di lodevole precisione », aggiunge: « Due operai coll’uso di questi torchi, possono
dare tutt’al più 1000 fogli per giorno stampati d’ambo le parti».
20 N. Z. D avis , A Trade Union in Sixteenth-Century France, « Economie History
Review », ser. 2, xix (1966), 53.
II • INTRODUZIONE ALLA BI BLIOGRAFI A TESTUALE 43

ziosi e sedentari, lavoravano i compositori. Ai fini della critica te­


stuale, la parte più importante del loro lavoro era l’attività da cui
prendevano il nome, la composizione, in altre parole, la prepara­
zione del materiale che poi veniva stampato dai torcolieri. La
composizione cominciava con la scelta, dai cassettini appositi, dei
caratteri tipografici necessari per riprodurre il testo dell’esempla­
re da cui si copiava, fosse questo un manoscritto o, nel caso di edi­
zioni dopo la prima, un libro a stampa, che tipografi di tutti i tempi
hanno preferito come esemplari a testi scritti a mano. I caratteri ti­
pografici venivano inseriti dal compositore nel dovuto ordine nel
suo compositoio, da dove, quando era pieno, egli li trasferiva al
vantaggio. Quando il compositore aveva raccolto nel vantaggio,
composto e ordinato, il materiale per una pagina del testo, lo lega­
va con uno spago, e lo metteva da parte, proseguendo il suo lavoro
sulla pagina seguente. Quando aveva composto cosi tutte le pagi­
ne di una determinata forma, il compositore poteva passare alla
seconda parte del suo lavoro, l’imposizione, cioè l’inserirsi di que­
ste pagine nel dovuto ordine in un telaio metallico (nel Cinque­
cento poteva essere anche di legno), fissandole dentro con viti o
con cunei di legno o di metallo affinché il tutto venisse a formare
un blocco dalla superfìcie piana e rigida che resistesse alla pressio­
ne del torchio senza lo spostamento dei caratteri tipografici. E
questo insieme di pagine di caratteri tipografici serrate in un te­
laio metallico che è detto forma. Terzo compito del compositore
era di effettuare in piombo le correzioni richieste dal correttore e
eventualmente dall’autore. Finalmente i compositori, dopo la
stampa, distribuivano i caratteri tipografici, cioè scomponevano le
forme già stampate e rimettevano i caratteri tipografici negli
scompartimenti della cassa. Data l’esiguità delle serie di caratteri
tipografici usate nei primi secoli della stampa, la distribuzione di
una forma di caratteri tipografici doveva avvenire poco dopo la
sua stampa, per permettere ai compositori di effettuare la compo­
sizione di nuove forme.21

21. La serie di caratteri tipografici usata nella stampa dell’ edizione infolio delle
opere di Shakespeare, pubblicata a Londra nel 1623, bastava per soltanto otto pa-
44 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

Non c’è dubbio che, con questa molteplicità di compiti,


l’estensione di testo che un compositore poteva preparare in una
giornata di lavoro era minore di quella che un torchio operato da
due uomini poteva stampare nello stesso periodo. Cosi, per non
lasciare inoperoso il torchio per una parte della giornata, bisogna­
va organizzare il lavoro di composizione in modo tale da perm et­
tere ad ogni torchio di valersi del lavoro di più di un compositore.
Il modo più semplice, almeno a prima vista, di ovviare alla diffe­
renza nel ritmo di lavoro fra compositore e torchio era di usare si­
multaneamente due compositori per ogni torchio. Per officine ti­
pografiche piccole, limitate a un solo torchio, questa era l’unica
soluzione, e il gruppo composto di due compositori, di cui uno
eventualmente apprendista, più due torcolieri, costituisce, con il
proto o il maestro stampatore (che poteva naturalmente fungere
da compositore o da torcoliere, se occorreva), la manodopera m i­
nima di un’officina tipografica capace di intraprendere un lavoro
serio. Per officine con più torchi, però, non bastava semplicemen­
te estendere il sistema usato in officine con un solo torchio, di due
compositori che lavoravano sempre e simultaneamente per lo
stesso torchio. In un’operazione complessa come quella di un’of­
ficina tipografica con più torchi, tale sistema non possedeva la
flessibilità necessaria per reagire efficacemente alla confusione
inerente ad ogni attività umana, a problemi, cioè, come quelli del­
la temporanea assenza di personale, o del subitaneo afflusso di la­
voro urgente. Accanto al sistema di due compositori che lavorano
insieme per un solo torchio, le nostre testimonianze indicano an­
che l’esistenza di un sistema più complesso, in cui il lavoro da fare
era distribuito fra i compositori giorno per giorno secondo le esi­
genze del momento, senza un rapporto continuo fra compositore
e torchio. Tale sistema era in vigore nella Cambridge University
Press alla fine del Seicento, e nella Société Typographique de

gine del testo, cioè quattro forme; v. C. H inman, The Printing and Proof-Reading of
the First Folio of Shakespeare, 2 voli., Oxford 1963,1, 73-4; G askell, A New Introduc­
tion ..., 53,116. Per una descrizione dettagliata del lavoro compositoriale, v. G as ­
kell, A New In tr o d u c tio n 43-9 (composizione); 53 (distribuzione); 78-109 (im­
posizione); 110-6 (correzione).
II • INTRODUZIONE ALLA BI BLIOGRAFI A TESTUALE 45

Neuchâtel verso il 1770, come è stato dimostrato da studi recenti


basati sulla testimonianza dei vecchi libri di conti di quelle tipo­
grafìe.22 Unica fonte paragonabile per il Cinquecento sono le Or­
dinanze di Christophe Plantin e gli archivi della sua officina. Se­
condo Leon Voet, nel 1555, all’inizio dell’attività dell’officina,
quando essa era ancora piccola, vigeva il primo sistema, con due
compositori che lavoravano simultaneamente per lo stesso tor­
chio; il secondo sistema, piu flessibile ma piu complesso, venne
dopo, con l’aumento nel lavoro dell’officina e nel numero dei
suoi torchi, e la conseguente necessità di introdurre una divisione
piu elaborata del lavoro giornaliero.23
Tutto questo ha ovviamente delle conseguenze importanti per
la critica testuale. Non importa quale sistema per l’organizzazio­
ne del lavoro compositoriale si fosse adottato nella stampa di un
testo letterario, è probabile che il testo sarebbe passato per le mani
di almeno due compositori. Il testo della grande edizione in folio
delle opere di Shakespeare, pubblicata a Londra nel 1623, che è
senza dubbio l’edizione piu studiata della storia della tipografìa
(uno studioso americano ne ha collazionato parola per parola ben
78 esemplari), fu composta da almeno cinque compositori.24 Ora
il rapporto di un compositore rispetto al testo che compone è si-

22. Vedi D. F. M c K enzie, The Cambridge University Press 1696-1712: a Bibliogra­


phical Study, 2 vo li, Cambridge 1966, passim-,]. R ychner, Running a Printing House
in Eighteenth-Century Switzerland: the Workshop of the Société Typographique de Neu­
châtel, « The Library », ser. 6,1 (1979), 1-24. Molte delle conclusioni del suo studio
sulla Cambridge University Press sono state riassunte dal McKenzie in un artico­
lo fondamentale, Printers of the Mind: Some Notes on Bibliographical Theories and Prin­
ting-House Practices, « Studies in Bibliography », xxii (1969), 1-75, in cui polemizza
contro la troppa fiducia, che non è altro che pigrizia mentale, di quelli che credo­
no ciecamente nella certezza « scientifica » dei risultati raggiunti dalla bibliogra­
fìa testuale.
23. V oet, The Golden Compasses_,11,312-3. L’interpretazione del Voet è con­
testata da L. e W . Hellinga, Regulations Relating to the Planning and Organization of
Work by the Master Printer in the Ordinances of Christopher Plantin, « The Library »,
ser. 5, xxix (1974), 52-60, e difesa da J. G erritsen, con nuovi particolari, in Plan-
tin’s Ordinances, « The Library », ser. 5, xxx (1975), 134-6. Per una discussione gene­
rale dell’organizzazione e della distribuzione del lavoro compositoriale v. G a s -
kell, A New Introduction ..., 40-3.
24. H inman, The Printing and Proof-Reading ..., 1, 12; 192-3.
46 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

mile a quello di un copista rispetto a un testo manoscritto. Ogni


compositore è soggetto agli stessi tipi di errore di trasmissione che
sono documentati per la tradizione manoscritta; essi vanno da er­
rori di aplografìa a interferenze linguistiche, per testi scritti nella
lingua materna del compositore. Inoltre, c’è un tipo di interferen­
za peculiare al lavoro tipografico, che deriva dalla necessità di giu­
stificare il margine destro della pagina. L’unico espediente racco­
mandato dal Moxon nel 1683 per ottenere la giustezza desiderata
era quello di variare il numero o lo spessore degli spazi bianchi fra
due o più parole nella riga.25 M a egli pensava soprattutto a testi
stampati in lingua inglese. Per quelli in lingua italiana ce n’era un
altro, molto comune nella stampa del Quattrocento e della prima
metà del Cinquecento, quello di introdurre - o di sciogliere - una
o più delle molte abbreviature che l’italiano medioevale e rinasci­
mentale aveva ereditato dal latino, e che erano in gran parte passa­
te dal manoscritto alla stampa. Oltre a queste due possibilità, però,
ce n’è una terza, forse disapprovata ma certo tollerata dai maestri
stampatori di tutti i paesi nel Quattrocento, nel Cinquecento e in
certi paesi anche più tardi, e cioè l’intervento sulla grafìa in deter­
minati ambiti, che variavano da lingua a lingua: per l’italiano i fe­
nomeni più spesso interessati erano lo scempiamento e la gem i­
nazione delle consonanti, e l’uso o l’eliminazione dell’elisione.26
Finora abbiamo considerato le operazioni dei torcolieri e dei
compositori come se fossero attività a se stanti, senza un fine pra­
tico. Se ora inseriamo queste attività in un processo produttivo, ne
viene fuori un’altra caratteristica del processo tipografico, che è
della più grande importanza per la bibliografìa testuale. Per uno
scrittore del Cinquecento o del Seicento che voleva far pubblica-

25. M oxon, Mechanick Exercises 207.


26. Chi scrive ha avuto occasione di notare la presenza di varianti di questo ti­
po in certe edizioni veneziane dei Paradossi di Ortensio Landò, le quali per altri
versi ristampano fedelmente un’edizione anteriore. Per l’intervento dei compo­
sitori inglesi sulla grafia v. M c K errow , An Introduction to B ib lio g ra p h y 10-11. La
presenza di questo fenomeno anche nella stampa spagnola del periodo è stata di­
mostrata da R. M. F lores, The Compositors of thè First and Second Madrid Editions of
Don Quixote Pari I, London 1975.
II • INTRODUZIONE ALLA BI BLIOGRAFI A TESTUALE 47

re il suo lavoro, per il mercante o per l’editore che accettava di fi­


nanziarne la pubblicazione, e per il maestro stampatore o il capo
di una officina tipografica che ne doveva calcolare il costo della
stampa in materiale e tempo, l’unità che stava alla base delle spe­
ranze e dei calcoli era naturalmente l’opera intera. M a una volta
iniziato il lavoro artigianale della stampa, l’opera perdeva la sua
identità e si scomponeva in una serie di unità indipendenti, costi­
tuite dai singoli fogli di stampa, ognuno dei quali aveva una sua
storia individuale. Solo nel magazzino, dopo l’asciugamento dei
fogli stampati (per facilitare l’impressione la carta era inumidita
prima della stampa), i fogli componenti un intero volume erano
riuniti in esemplari slegati.27 Questa scomposizione dell’opera in
fogli di stampa durante il processo tipografico era dovuta soprat­
tutto all’esiguità delle serie di caratteri tipografici nei primi secoli
della stampa manuale, a cui ho già accennato; ciò necessitava la di­
stribuzione dei caratteri tipografici subito dopo la stampa di una
forma, per permettere ai compositori di continuare il loro lavoro
sui fogli successivi. M a anche prescindendo dalla grossezza delle
serie di caratteri tipografici, la composizione e la stampa delle due
forme di un foglio di stampa costituisce un lavoro unitario, in cui
si esprimeva, almeno idealmente, il ritmo del lavoro giornaliero
di un’officina tipografica nel primo periodo della stampa manua­
le.28
Cosi, per effetto di questo ritmo, le due forme che insieme con­
tenevano il testo di un foglio avevano una vita molto breve, che si
poteva misurare in ore più che in giorni, ed era soltanto durante
questa breve esistenza che poteva avvenire una delle operazioni
più importanti per la critica testuale, la correzione delle bozze,

27. M oxon, Mechanick Exercises 311-20; G askell, A New Introduction


142-5.
28. Fino al Settecento, la stampa delle due forme di un foglio (stampa « in
bianca e volta ») era normalmente effettuata dagli stessi operai sullo stesso tor­
chio come operazione continua; fu soltanto negli ultimi 150 anni della stampa
manuale che la stampa delle due forme di un foglio venne ad essere considerata
come consistente di due operazioni indipendenti, da affidare a torchi diversi; v.
G askell, A New Introduction. . ., 131-3; R ychner, Running a Printing House in Eigh-
teenth-Century Switzerland..., 18-19.
48 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

che si effettuava, ovviamente, foglio per foglio: nel periodo di cui


ci occupiamo, solo in circostanze del tutto eccezionali un autore
aveva l’occasione di correggere in una sola operazione le bozze
dell’intera opera. Il procedimento per la correzione delle bozze è
descritto nelle Ordinanze di Christophe Plantin. Si tratta senza
dubbio di una descrizione ideale: il procedimento ivi dettagliato
poteva e ¡doveva essere spesso disturbato da fattori imprevisti o in­
controllabili; in particolare, far coincidere la stampa di un foglio
con una giornata di lavoro, come prescritto da Plantin, doveva ri­
sultare spesso impossibile o poco pratico. M a la testimonianza
delle Ordinanze piantim ene è corroborata, almeno nelle sue linee
generali, non solo dai manuali tipografici più antichi, a partire dai
Mechanick Exercises dijam es Moxon (1683-4), ma anche dagli archi­
vi della Cambridge University Press e da altre fonti.29 Sembra
quindi lecito considerare la descrizione plantiniana del processo
correttorio come rappresentativa dell’ideale verso cui tendevano
le migliori officine del periodo. Per capire come si svolgeva il pro­
cesso correttorio, bisogna ricordare che i compositori e i torcolie­
ri, benché lavorassero nella stessa officina uno accanto all’altro,
non lavoravano simultaneamente sullo stesso foglio: mentre i tor­
colieri stampavano le due forme già preparate dai compositori (il
giorno prima, nel sistema ideale plantiniano), questi ultimi stava­
no componendo le due forme da imprimere più tardi (il giorno
dopo, idealmente). N ell’orario dettagliato contenuto nelle Ordi­
nanze plantiniane, la forma che il giorno dopo doveva esser stam­
pata per prima, doveva essere pronta verso mezzogiorno, quando
i torcolieri avevano terminato la stampa della prima forma del fo-

29. M oxon , Mechanick Exercises..., 246-51; M c K enzie, Printers of thè Mind...,


42-9; M c K erro w , An Introduction to Bibliography..., 204-13; G askell , A New Intro­
duction ..., 110-16. È interessante notare che un’altra testimonianza del Cinque­
cento, quella del francese Louis Le Roy, nel suo De la vicissitude ou variété des choses
(1576), tradotta in italiano e pubblicata a Venezia nel 1585 col titolo La vicissitudine
0 mutabile varietà delle cose, propone una divisione cronologica della giornata di la­
voro non dissimile da quella contenuta nelle Ordinanze plantiniane. Per un’ulte­
riore testimonianza francese del Cinquecento, v. il documento riportato dalla
C atach , L ’orthographefrançaise..., 289, e citato nel mio contributo The Viewfrom
Another Planet..., 79, n. 20. [Supra, 12, n. 21.]
II • INTRODUZIONE ALLA BI BLIOGRAFI A TESTUALE 49

glio su cui lavoravano; nell’intervallo tra la stampa della prima e


della seconda forma di quel giorno, si tiravano le prime bozze del­
la forma appena composta. La sera, quando i tipografi avevano
terminato la stampa della loro seconda forma, si tiravano le secon­
de bozze della forma di cui a mezzogiorno si erano tirate le prime
bozze, e anche le prime bozze della forma che il giorno dopo do­
veva essere stampata nella seconda parte della giornata. Seconde
bozze di questa forma potevano essere tirate, se occorrevano, la
mattina o al mezzogiorno del giorno seguente.30 Cosi, non prima
delle sei o sette di sera, si avevano bozze dell’intero foglio da
stampare il giorno dopo. Le bozze dell’intero foglio erano portate
poi per la revisione al correttore e anche, se egli si trovava in città
e aveva chiesto di vederle, all’autore o al curatore dell’opera. Le
difficoltà nell’inserire il processo correttorio nel ritmo del lavoro
tipografico sono ovvie, e dai primi anni della stampa avevano por­
tato ad una situazione che si può definire caratteristica della stam­
pa manuale, costituita dalla presenza, non infrequente in edizioni
di tutto il periodo della stampa manuale, di varianti introdotte du­
rante la tiratura. Talune delle varianti interne che s’incontrano in
un libro antico hanno in verità un’origine meccanica, in quanto
introdotte accidentalmente dai torcolieri nel corso o in conse­
guenza del processo dell’inchiostratura.31 M a il gruppo più inte­
ressante e importante è costituito dalle varianti « consce », che na-

30. Nel nostro periodo, le bozze erano sempre quelle di un’intera forma: le
bozze in colonna sono un’invenzione del Settecento, e all’inizio erano limitate
alla stampa dei periodici; soltanto verso la seconda metà dell’Ottocento esse si
estesero alla stampa dei libri; v. G askell , A New Introduction..., 194. Non è raro il
caso di bozze del Quattrocento e del Cinquecento sopravvissute come fogli di
guardia o parte della legatura di libri più recenti; v. P. S impson , Proof-Reading in
thè Sixteenth Seventeenth andEighteenth Centuries, London 1935j W • H ellinga , Copy
and Print in thè Netherlands, Amsterdam 1962.
31. Ecco la spiegazione che di questo tipo di variante interna venne data dai ti­
pografi veneziani Giovanni Battista e Melchiorre Sessa il giovane, in un’edizione
del 1559: « ... alcuni [errori] ancora ne sono accaduti nel lavorarsi, che i mazzi
dell’inchiostro tiran fuori alle volte delle lettere. Percioché tosto che i lavoranti
se ne avveggono, le rassettano ai luoghi loro. Benché molte volte per la fretta le
mettono o riverse, o in luoghi ne’ quali non hanno a stare » (v. il mio Correzioni ed
errori avvenuti durante la tiratura ..., 189; infra, 161).
50 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

scevano quando le correzioni, o le ultime correzioni, del corretto­


re o dell’autore arrivavano in ritardo, mentre era già in corso la
stampa della forma. In tali circostanze, non si esitava a interrom­
pere la stampa per effettuare le correzioni indicate; ma, dato il co­
sto ingente della carta, che costituiva nei primi secoli della stampa
l’elemento maggiore delle spese di produzione,32 non si distrug­
gevano i fogli già stampati, e cosi, per forme corrette in questo
modo, il testo veniva ad esistere in due stati, uno prima e uno do­
po la correzione. A noi, questo procedimento, dovuto in ultima
analisi all’esiguità delle serie di caratteri tipografici, che rendeva
urgente la stampa di una forma, una volta imposta, può sembrare
strano, addirittura assurdo, ma non c’è dubbio che esso fu cono-
sciuto'e praticato nelle officine tipografiche di tutta l’Europa, per
tutto il periodo della stampa manuale.33

Già da quest’esposizione scarna e essenziale di alcuni aspetti


del processo tipografico sarà evidente che il modo in cui esso si
svolgeva durante il periodo della produzione manuale del libro
comporta certe conseguenze per lo studioso moderno desideroso
di ricostruire il testo critico di un’opera trasmessa con questa tec­
nica. Anzitutto, è chiaro che il testo contenuto in un’edizione di
quel periodo non è necessariamente ricuperabile nella sua inte-

32. V oet , The Golden Compasses..., 11,379-86. Altrove, il Voet osserva: « It will
be seen that paper accounted for an average o f 60-65 Per cent o f the cost o f produ­
cing a book, this percentage rising to 75 per cent for some large printings » (11,19).
33. Per l’Italia cinquecentesca, v. il mio Correzioni ed errori avvenuti durante la ti­
ratura ..., 189-90 [infra, 161-3]. Il fenomeno delle correzioni fatte durante la tiratu­
ra non spari con l’introduzione della stampa meccanica: nella terza edizione del
suo Manuale (1882) Giulio Pozzoli scrisse: « Bando poi al pessimo uso (pur troppo
comune in molte tipografìe) di porre alla stampa prima che la forma sia stata per­
fettamente corretta. Con questo falso sistema, il compositore logora la sua salute
ad un lavoro incomodo e fuori di regola, qual è quello di correggere al torchio o
alla macchina ... Egli si trova talvolta costretto a fare correzioni strambe per la
fretta, intanto che sul capo al torcoliere o al macchinista (a giornata o a fattura che
siano) scorrono le ore infruttuose. Ed è per cagione anche di tale falso sistema da
parte di molti editori e tipografi, che risultano in tante edizioni sconcezze non
punto compatibili» (in).
II • INTRODUZIONE ALLA BI BLIOGRAFI A TESTUALE 51

rezza da un singolo esemplare di quella edizione, neanche da un


esemplare apparentemente privilegiato, come ad esempio quello
pergamenaceo dell’edizione definitiva dell’ Orlando Furioso, ora
alla Pierpont Morgan Library di Nuova York, che contiene per il
foglio interno del quaderno A (A3, A4, A5, A6, corrispondenti alle
stanze 1,18 -11,14) la redazione non corretta dall’autore - e questo
nonostante il fatto che il volume fosse stato, secondo una nota
cinquecentesca scritta su un foglio di guardia, « donato già alla S.ra
Veronica Gambera dallo auttore istesso».34 Inerente al procedi­
mento tipografico della produzione manuale è la possibilità, che
lo studioso non può scartare, della presenza di varianti all’interno
di ogni edizione. La proporzione di edizioni di quel periodo con
varianti interne non è mai stata calcolata, e avrà variato secondo la
diversità dei fattori economici, culturali e politici che presiedeva­
no alla produzione del libro nei vari paesi europei. M a la presenza
del fenomeno anche su territorio italiano è certa: basta pensare ai
due insigni casi, uno all’inizio e uno alla fine del nostro periodo,
già portati alla luce dalla critica testuale italiana, l’edizione defini­
tiva del Furioso (1532) e quella dei Promessi sposi (1840-42). Santorre
Debenedetti, scopritore delle varianti interne del Furioso, aveva

34. Per quest’esemplare del Furioso, mi sia permesso di rimandare alla mia no­
ta, L’esemplaregià « Charlemont » dell’« Orlando Furioso » del 1532, « Lettere italiane »,
xiv (1962), 441-50. Pare che quando, nel magazzino, si provvedeva a riunire i fogli
asciugati in esemplari slegati, non si facesse nessun tentativo di separare fogli
stampati prima di un eventuale intervento correttorio avvenuto durante la tiratu­
ra da quelli stampati dopo; probabilmente un tale tentativo era giudicato irrealiz­
zabile. Per esemplari su pergamena la situazione era diversa. Nella stampa di
ogni singola forma, per non interrompere il lavoro dei torcolieri, bisognava stam­
pare gli esemplari pergamenacei tutti insieme, o prima o dopo la stampa di tutti
gli esemplari cartacei. E evidente che almeno per le due forme che costituivano il
foglio interno del quaderno A (il Furioso del 1532 è un in quarto organizzato in qua­
derni, con due fogli di stampa in ogni quaderno) gli esemplari pergamenacei fu­
rono stampati prima, e cosi sono portatori del testo scorretto: evidentemente il
desiderio di avere per quegli esemplari una stampa chiara e nitida, come si ottie­
ne quando la forma è fresca e pulita, pesava più di considerazioni di correttezza
testuale. Anche gli esemplari su pergamena della Hypnerotomachia Poliphili del
1499 furono stampati prima di quelli cartacei, come ha osservato G. M arder -
steig , Osservazioni tipografiche sul « Polifilo » nelle edizioni del 1499 e 1345, in Contribu­
ti alla storia del libro italiano: miscellanea in onore di Lamberto Donati, Firenze 1969 (Bi­
blioteca di bibliografia italiana, 57), 241-2.
52 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

parlato della loro presenza nel Furioso del 1532 come di « uno dei
casi più strani che siano offerti dalla tradizione tipografica ».35 M a
non è cosi; nella stampa del Furioso, come è stata ricostruita dalle
ricerche del Debenedetti, la sola anormalità è fornita dalla ecce­
zionale qualità letteraria del testo. Varianti interne sono state os­
servate in edizioni stampate in molte tipografìe italiane del Cin­
quecento, a cominciare da quella aldina.36
Ovviamente, il solo modo di verificare la presenza, o l’assenza,
di varianti interne in un’edizione del nostro periodo è di collazio­
narne interamente diversi esemplari. Quanti? La risposta a questa
domanda è tutt’altro che rassicurante. È stato calcolato che per
un’edizione di mille esemplari bisogna collazionarne almeno
trenta senza trovarvi neanche una variante interna, per ridurre a
una misura statisticamente irrilevante la possibilità della loro pre­
senza.37 Naturalmente, se si rivela la presenza di varianti interne,
la collazione dev’essere estesa a tutti gli esemplari superstiti, nella
speranza di ricuperare altre varianti. Ora, una collazione ripetuta
cosi è un lavoro lungo, e in certi casi può essere ragionevole non
procedere ad una collazione completa di questo tipo. M a chi
prende questa decisione deve rendersi conto di non aver esplora­
to tutte le vie a lui aperte per la costituzione del testo. In ogni caso,
le cifre dello Shaw, e soprattutto le tavole statistiche che accom­
pagnano il suo articolo, sono preziose come guida alla ricerca, e
come misura della natura del problema e della portata dei risultati
raggiunti.
Una trentina d’anni fa, per far fronte al lavoro ingente di colla-

35. A riosto, Orlando furioso, cura D ebenedetti, ih, 426.


36. Un elenco sommario è contenuto nella mia nota, Correzioni ed errori avve­
nuti durante la tiratura..., 190, n. 8 [infra, 163, n. 8]; alle edizioni ivi indicate, si deve
aggiungere la seconda edizione delle Vite vasariane, stampata dai Giunta di Fi­
renze nel 1568, su cui è da vedere la bella Premessa di Rosanna Bettarini a G. V asa ­
ri, Le vite de’più eccellenti pittori scultori e architettori nelle redazioni del 1550 e 1368; testo
a cura di R. B ettarini; commento secolare a cura di P. B arocchi, Voi. 1. Testo,
Firenze 1966, ix- xlviii.
37. D. Shaw , A Sampling Theoryfor Bibliographical Research, « The Library », ser.
5, xxvii (1972), 310-19. Il numero di esemplari da collazionare varia secondo la
grandezza dell’edizione, la proporzione di fogli eventualmente scorretti suppo­
sta per ogni foglio di stampa, e il grado di certezza desiderato.
II • INTRODUZIONE ALLA BI BLIOGRAFI A TESTUALE $3

zionare i 78 esemplari dell’edizione del 1623 di tutte le opere di


Shakespeare conservati alla Folger Shakespeare Library di W as­
hington, lo studioso americano Charlton Hinman ideò e fece co­
struire la « Hinman Collating Machine », apparecchio che utilizza
una serie di specchi e di fonti luminose per sovrapporre simulta­
neamente una sull’altra le immagini delle pagine di due esempla­
ri di un libro, facilitando e accelerando notevolmente il lavoro di
collazione. Un piccolo numero di queste macchine fu fabbricato
e venduto a enti pubblici e privati; cinque o sei se ne trovano in
Inghilterra, fra cui una allaBritish Library, un’altra allaBodleiana.
U na macchina più perfezionata, che proietta su uno schermo im ­
magini prese da due telecamere industriali, è in fase di progetta­
zione presso l’Institute of Bibliography and Textual Criticism
dell’Università di Leeds. Con una macchina di quest’ultimo tipo,
si potranno affrontare con facilità anche i più complessi problemi
di bibliografìa testuale.
Intanto, qualunque sia la natura dei problemi posti dalla tradi­
zione del testo, non può più bastare, a mio avviso, costituire uno
stemma o un testo critico sulla testimonianza di singoli esemplari
di edizioni diverse del periodo della produzione manuale - a me­
no che questi esemplari non siano gli unici superstiti, nel quale ca­
so essi hanno il valore per l’edizione che rappresentano di un co-
dex unicus. Anche quando sembra ragionevole rinunciare ad una
collazione completa, o comunque statisticamente rilevante, biso­
gna almeno collazionare quattro o cinque esemplari di quelle edi­
zioni che si ritengono, per un motivo o per un altro, primajarie im ­
portanti per il testo dell’opera; soltanto cosi si può presumere di
essersi formati una certa idea del processo produttivo che sta die­
tro ogni edizione e di essersi dati una base su cui calcolare la pro­
babilità di un intervento autoriale o redazionale durante la stam­
pa.38
M a qui si prospetta un altro problema. Gli studiosi di letteratu­
ra inglese possono consultare, per il periodo dal 1475 al 1700, elen-

38. Per molte edizioni del Cinquecento, il problema della collazione interna è
reso meno grave dallo scarso numero di esemplari superstiti.
54 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

chi a stampa di tutti i libri stampati nel Regno Unito, e di tutti i li­
bri in lingua inglese stampati all’estero, con l’ubicazione, per ogni
libro, se possibile, di dieci esemplari superstiti di pubblica consul­
tazione.39 Per lo studioso di letteratura italiana la situazione è ben
diversa. Come è stato recentemente osservato, ciò che caratteriz­
za il panorama della produzione di materiali bibliografici italiani
sono piuttosto « omissioni, assenze, latitanze ed altro », un inven­
tario, cioè, di « quello che non è stato ancora fatto più che di quello
che invece è stato sinora fatto».40 Non ci sono elenchi dei libri
stampati nei maggiori centri dell’industria tipografica italiana; ec­
cezion fatta per gli incunaboli, non ci sono nemmeno cataloghi a
stampa dei libri conservati nelle maggiori biblioteche italiane; an­
zi, poche di quelle biblioteche possiedono, anche in forma mano­
scritta, un catalogo adeguato (cioè unico e attendibile) dei loro li­
bri a stampa. Chi voglia identificare e consultare gli esemplari su­
perstiti di edizioni cinquecentesche dovrà, quindi, affrontare non
solo il lavoro, a volte arduo, di trovare da sé il materiale di cui ab­
bisogna, ma spesso anche quello di classificarlo, una volta trovato­
lo. Per fare ciò, occorre qualche nozione di bibliografìa analitica.
Come minimo indispensabile, lo studioso deve sapere come regi­
strare gli estremi di un’edizione del periodo della produzione
manuale, secondo il sistema ormai universalmente invalso per la
descrizione degli incunaboli, ed esteso a edizioni più tarde dai
fondatori della bibliografìa testuale.41 Fra questi estremi, quello
più importante per il curatore di testi critici è la formula collazio-

39. A. W . P ollard e G. R . R edgrave, A Short-title Catalogue of Books Printed in


England, Scotland, & Ireland and of English Books Printed Abroad, 1475-1640, L o n d o n
1926; D . W ing, Short-title Catalogue of Books Printed in England, Scotland, Ireland,
Wales, and British America and of English Books Printed in Other Countries 1641-1700,3
v o li., N e w Y o r k 1 9 4 5 -5 1 . D e l lib r o d i P o lla r d e R e d g r a v e u n a n u o v a e d iz io n e a c ­
c re s c iu ta è in c o rs o d i p u b b lic a z io n e .
40. A . Q uondam , « Mercanzia d’onore » / « mercanzia d’utile »:produzione libraria e
lavoro intellettuale a Venezia nel Cinquecento, in A . Petrucci (ed.), Libri, editori epub­
blico nell’Europa moderna: guida storica e critica, B a r i 1 9 7 7 , 53.
41. V e d i s o p r a ttu tto F. B owers, Principles of Bibliographical Description, N e w
Y o r k 1962. S i p u ò c o n s u lta r e a n c h e D . Fava , Manuale degli incunabuli, M ila n o
19532, n o n c h é i m a n u a li in g le s i, p iù v o lt e c ita ti, d e l M c K e r r o w e d e l G a s k e ll.
II * INTRODUZIONE ALLA BI BLIOGRAFI A TESTUALE $$

naie - l’indicazione del formato e delle segnature - che descrive


la struttura del libro e permette cosi allo studioso di identificare
con precisione le unità di lavoro che lo compongono. U tili gli so­
no anche l’elenco del contenuto del libro, accuratamente compi­
lato (non copiato da un eventuale indice contenuto nel libro stes­
so), e una nota precisa e dettagliata dei titoli correnti, che possono
fornire un prezioso aiuto nello stabilire il metodo di composizio­
ne e il numero dei torchi adoperati nella stampa del volume, e tal­
volta nel distinguere fra due edizioni molto simili.42

Un altro aspetto del problema sollevato per la critica testuale


dal procedimento tipografico è quello linguistico, a cui accennerò
brevemente. Si è già parlato della presenza in edizioni antiche di
grafìe introdotte dai compositori per giustificare il margine destro
della pagina. Nella stampa inglese del Cinquecento e del Seicento
sono state identificate altre varianti grafiche che non sembrano ri­
portabili ad altro che alle abitudini dei singoli compositori. Anzi, è
in larga misura sulla base di grafìe idiosincratiche che si è creduto
di poter accertare la presenza di diversi compositori nella stampa
dell’edizione shakesperiana del 1623. Un simile tentativo è stato
fatto anche per le due prime edizioni madrilene del Don Chisciot­
te.43 Nessuno ha mai intrapreso una simile analisi di un’edizione
italiana del Cinquecento (o di qualsiasi altro periodo), e cosi non
sappiamo se o fino a che punto i compositori italiani si siano senti­
ti liberi di intervenire sulla veste linguistica dei testi che compo­
nevano. M a la possibilità di interferenze compositoriali è solo una
parte, e forse la meno importante, del problema linguistico delle
edizioni italiane del Cinquecento. Altri elementi sono i seguenti:

42. Per un esempio di come la formula collazionale e la tavola del contenuto


possono risultare decisive nell’identificazione di nuove edizioni, rimando alla
mia nota, Di un’edizione cinquecentesca dell’« Aminta »:postilla bibliografica, « Lettere
italiane », xxiv (1972), 113-5 [infra, 141-44]. Per i titoli correnti, v. B owers, Principles
..., 186-92. [V. anche infra, 169-211, Le edizioni veneziane dei «Paradossi » di Ortensio
Landò],
43. Vedi F lores, The Compositors ..., passim.
56 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

1) mentre la lingua letteraria rimane, anche per ribelli lingui­


stici come il Bruno, essenzialmente toscana, quattro dei cinque
centri maggiori della industria tipografica italiana, compreso
quello di gran lunga predominante, Venezia, sono in territorio
non toscano;
2) caratteristico dell’editoria italiana, sia per testi latini, sia, con
e dopo il Bembo, per testi volgari, è il dotto curatore, che prepara
per la stampa le opere altrui. N el Cinquecento, nell’ambito della
letteratura in volgare, questo tipo di mediazione poteva interessa­
re non solo testi provenienti da altre epoche della letteratura na­
zionale, ma anche quelli scritti da autori contemporanei; il solo
caso finora studiato a fondo è quello della prima edizione del Libro
del Cortegiano del mantovano Castiglione, stampata a Venezia nel
1528 dopo un’ampia revisione linguistica ispirata alle teorie del
Bembo ed eseguita dal veneziano Giovan Francesco Valerio.44
N ella Venezia del Cinquecento quella del curatore era un’attività
importante, il cui aspetto linguistico certo non si può restringere
alla semplice e universale applicazione delle teorie bembiane - si
pensi alla posizione linguistica di un personaggio come Girolamo
Ruscelli, molto attivo nella editoria veneziana alla metà del seco­
lo ;45
3) la mobilità della manodopera tipografica, di cui si è già parla­
to come fenomeno internazionale, si ripeteva su scala nazionale.
Esemplari sono la coppia Aldo Manuzio romano, stampatore a
Venezia, e Antonio Biado asolano, stampatore a Roma. La mag­
gioranza degli stampatori cinquecenteschi che lavoravano a Ve­
nezia era oriunda di altre città.46

44. G. G h inassi , L’ultimo revisore del « Cortegiano », « Studi di filologia italiana »,


xxi (1963), 217-64.
45. Per i curatori della équipe giolitina, v. Q uondam , «Mercanzia d’onore» /
« mercanzia d’utile » ..., 94-8. Leonardo Fioravanti, nella prima edizione del suo
Specchio di scientia universale, pubblicato dal Valgrisi nel 1564, tesse l’elogio di
« Borgheruccio Borgherucci, huomo dottissimo nella lingua latina e toscana, et
accuratissimo riveditore, et correttore di gran parte de’ libri, che si stampano in
Venetia ». Presumibilmente il Borgherucci lavorava per il Valgrisi.
46. Il fenomeno fu sottolineato da Salvatore Bongi, nelle prime pagine del suo
magistrale lavoro su uno di questi « forestieri », Gabriele Giolito; v. Annali di Ga-
II • INTRODUZIONE ALLA BI BLIOGRAFI A TESTUALE 57

Quattro sono le persone - autore, curatore, compositore, tipo­


grafo - che in vari modi e in varia misura agivano, o potevano agi­
re, sulla veste linguistica di un’edizione cinquecentesca in lingua
volgare. Per sciogliere il groviglio dei rapporti fra processo tipo­
grafico e veste linguistica occorreranno molte ricerche - sull’atti­
vità di singoli curatori, sulla corrispondenza fra manoscritto anda­
to in tipografìa e veste linguistica della stampa, sulla lingua di ope­
re stampate in città linguisticamente differenti da quella dell’au­
tore, sul rapporto linguistico fra prima edizione e ristampa, sulla
veste linguistica di opere diverse uscite durante un periodo ri­
stretto da una particolare officina tipografica, sull’identità dei
compositori nelle varie officine tipografiche, e cosi via. La neces­
sità di ulteriori ricerche sul rapporto fra stampa e storia linguistica
del Cinquecento fu chiaramente indicata da Bruno M igliorini
nella sua Storia della lingua italiana; purtroppo il suo invito a colma­
re questa lacuna non è stato finora accolto.47 Può darsi che, una
volta eseguite le ricerche necessarie, la situazione si rivelerà carat­
terizzata da un’uniformità di criteri e di procedimenti in materia
linguistica da parte sia dei curatori sia dei lavoratori tipografici di
tutta l’Italia. M a nella situazione attuale nulla ci autorizza a sup­
porre una tale uniformità, la quale, anzi, a prima vista, sembrereb­
be contraria alla natura e alla storia del dibattito linguistico nel­
l’Italia cinquecentesca, nonché alle abitudini dei tipografi, quali
sono documentati altrove in quel periodo.

Per concludere questa breve introduzione alla « bibliografìa te­


stuale », vorrei accennare ad alcune conseguenze teoriche che si
possono trarre dai postulati di questa disciplina. Mentre già appa­
rirà chiaro, spero, a chi abbia letto queste pagine, che non si può
accettare senza grosse riserve la constatazione di Franca Ageno,

briel Giolito de’ Ferrari da Trino di Monferrato stampatore in Venezia descritti ed illustrati
da S. B ongi, 1, Roma 1890, v-vi; v. anche il mio contributo The Viewfrom Another
P l a n e t 90. [Supra, 27].
47. B. M igliorini , Storia della lingua italiana, Firenze 19613, 376-8.
$8 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

che « in generale, tutte le copie di una stampa valgono come un


unico testimone »,48 sarebbe esagerato sostenere la posizione op­
posta, secondo cui ogni singolo esemplare di un’edizione del pe­
riodo della produzione manuale costituirebbe un testimone indi-
pendente. La situazione mi sembra più flessibile, e insieme più
complessa. U n’edizione a stampa, anche se capostipite di tutta la
tradizione pervenutaci, non può essere se non copiata, presuppo­
ne, cioè, un testo anteriore, fatto pervenire in tipografìa sia in for­
ma di manoscritto (o oggigiorno di dattiloscritto), sia , se si tratta
di un’edizione posteriore alla prima, di fogli stampati.49 U n’edi­
zione a stampa, quindi, sarà anzitutto ricevitrice di un testo già
esistente. M a dove precisamente si trova questo testo trasmesso,
se gli esemplari di un’edizione possono variare fra di loro, nella
maggiore o minore fedeltà all’originale? Il solo modo soddisfa­
cente di rispondere a questa domanda è, a mio avviso, di ricorrere
al concetto di «esemplare ideale», usato dai bibliografi anglo-
americani nell’analisi e nella descrizione di edizioni a stampa. Un
« esemplare ideale », secondo la definizione volutamente tautolo­
gica di Fredson Bowers, « è un libro completo in ogni suo foglio,
come è alla fine uscito dall’officina tipografica, in una condizione
perfetta, in quello stato completo considerato dal tipografo come
l’ultimo stato, quello più perfetto, del libro ».50 Per edizioni senza
varianti interne, 1’ « esemplare ideale » coinciderà con ogni singolo
esemplare di quelle edizioni; ma in edizioni dove varianti interne
sono presenti, 1’ « esemplare ideale » può essere una pura astrazio­
ne, in quanto un tal esemplare, con ogni foglio di stampa nello sta­
to corretto, e nessuno in quello scorretto, può non essere mai esi­
stito; spesso, trattandosi di edizioni cinquecentesche, 1’ « esempla­
re ideale » non coinciderà con nessuno dei pochi esemplari su-

48. A geno , L’edizione critica ..., 18, n. 7 [v. anche la seconda ediz. riveduta e
ampliata, Padova 1984, 20, n. 8].
49. Parlo della situazione tipica: il caso di un’opera •simultaneamente ideata e
composta tipograficamente dalla stessa persona sarà raro, ma non da escludere,
essendo il compositore-autore un fenomeno non sconosciuto alla storia della let­
teratura; si pensi a Benjamin Franklin, a Mark Twain e a William Morris.
50. B o w ers , Principles 113.
II • INTRODUZIONE ALLA BI BLIOGRAFI A TESTUALE 59

perstiti. Nondimeno, è soltanto dall’ « esemplare ideale» di una


edizione, cioè dall’insieme dei fogli di stampa del libro, ognuno
nella forma più corretta, che si può ricostruire nella sua integrità il
testo contenuto in quella edizione.51 Come si vede, il concetto di
« esemplare ideale » non è altro che l’espressione in sede teorica di
uno degli aspetti fondamentali del lavoro tipografico, l’effettiva
indipendenza come unità di lavoro di ogni singolo foglio di stam­
pa.
M a oltre la sua funzione di ricevitrice di un testo già esistente,
l’edizione a stampa può avere anche quella di trasmettitrice del
testo a testimonianze più tarde. Ora, di solito, chi nel Cinquecen­
to (e anche in altri secoli) faceva stampare un’edizione nuova sul­
la base di un’edizione anteriore, ne prendeva un esemplare qual­
siasi, senza curarsi, anzi, nella maggioranza dei casi, senza neppu­
re rendersi conto, della sua possibile incompletezza testuale, e su
questo esemplare, scelto a caso, fondava la nuova edizione. Sol­
tanto nel caso di edizioni dove 1’« esemplare ideale » coincideva
con ogni singolo esemplare il testo trasmesso cosi ad edizioni più
tarde era quello integrale. In altri casi, esso era una forma più o
meno deteriore del testo contenuto nell’edizione trasmettitrice, a
meno che un eventuale curatore, che poteva essere anche l’auto­
re stesso, non avesse tentato di sanare i difetti dell’esemplare scel­

si. Il concetto di « esemplare ideale », che è fondamentale, non soltanto per la


recensio, ma anche per la costituzione del testo di opere trasmesse per mezzo di
edizioni a stampa, è chiaramente esposto da Chiari e Ghisalberti nella Nota alla
loro edizione manzoniana: « Come s’è detto, nella realtà, di esemplari perfetti
[dell’edizione dei Promessi sposi del 1840] non ne esistono; ma non mancano fortu­
natamente i mezzi positivi e le prove obiettive per potere, con un po’ di pazienza,
e fin dove è possibile farlo, costituire quell’esemplare più fedele alla espressa vo­
lontà del Manzoni, che esiste potenzialmente per il critico, perché, sia pur smem­
brati o commisti a errori, sussistono gli elementi genuini per ricostruirlo. Il crite­
rio nuovo per arrivare allo scopo, posto dal Barbi e dal Ghisalberti a fondamento
della loro edizione del 1942, fu dunque quello di paragonare non già volume con
volume, ma foglio con foglio, e di ciascun foglio stabilire, con minuto raffronto, i
tipi diversi, e quale sia quello che fu tirato per ultimo, e costituir poi idealmente
un esemplare coi fogli che rappresentano l’ultima volontà dell’autore » (M anzo ­
ni, Tutte le opere, II, 1, 794-5). [V. ora il mio contributo II concetto di «esemplare
ideale», infra, 89-103].
60 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

to, eliminando le lezioni difettose, e costruendo cosi, in altri ter­


mini, un suo «esemplare ideale» (di altri eventuali interventi
dell’autore nel corso della trasmissione parlerò più tardi).
N ella trasmissione testuale, quindi, un’edizione a stampa, con­
siderata come ricevitrice di un testo, viene rappresentata dal suo
« esemplare ideale », mentre nella sua qualità di trasmettitrice di
un testo, essa è rappresentata tipicamente da un esemplare singo­
lo, che può non coincidere con 1’ « esemplare ideale ». Questo du­
plice significato del concetto « edizione » nella trasmissione te­
stuale introduce un elemento di inadeguatezza e di imprecisione
nella rappresentazione stemmatica convenzionale dei rapporti
testuali. Ad esempio, lo stemma

B C

se applicato alla trasmissione manoscritta, indica che i due codici


B e C sono stati entrambi esemplati su A, da cui si differiscono sol­
tanto per errori di trasmissione. Nella prassi editoriale corrente, B
e C sono classificati come codices descripti, e eliminati dalla recensio.
M a se applichiamo lo stesso stemma alla trasmissione a stampa, la
situazione è identica a quella per la trasmissione manoscritta sol­
tanto se B e C sono stati esemplati sull’ « esemplare ideale » di A.
Se no, saranno derivati da forme più o meno deteriori, e probabil­
mente diverse, del testo contenuto in A. Inoltre, si può dare il caso
in cui 1’ « esemplare ideale » di A, e quindi il testo ivi contenuto,
non è ricuperabile nella sua integrità dagli esemplari superstiti di
quella edizione. In tal caso, esiste la possibilità di poter continuare
e forse completare la ricostruzione del testo dell’ « esemplare
ideale » di A con l’aiuto di B e di C, che potrebbero conservare,
trasmessi da esemplari di A ora perduti, le lezioni di fogli corretti
mancanti in tutti gli esemplari di A pervenutici. In tali circostan­
ze, l’esemplare ideale di A viene a somigliare un po’ a un archeti­
po, da ricostruire in base alle testimonianze nQn solo degli esem­
plari superstiti di A, ma anche del testo trasmesso da A a B e a C.
II • INTRODUZIONE ALLA BI BLIOGRAFI A TESTUALE 6l

Forse ci vuole un nuovo tipo di rappresentazione stemmatica, che


ci permetta di distinguere fra 1’ « esemplare ideale », che è il vero
testimone, e i suoi rappresentanti spesso imperfetti, che sono i
singoli esemplari di un’edizione, da cui viene normalmente effet­
tuato il lavoro di trasmissione.
Un altro aspetto interessante della trasmissione a stampa è la
diversa valutazione che in essa si ha delle varianti cosiddette indif­
ferenti. N ella critica testuale di tipo tradizionale, la distinzione
fondamentale fra errori significativi e varianti indifferenti è stata
elaborata in funzione della classificazione di testimonianze ap­
partenenti a rami diversi della trasmissione: presuppone, cioè,
una tradizione bipartita, con la conseguente necessità di dover ri­
costruire uno o più archetipi o subarchetipi perduti. Ora, nella
trasmissione a stampa una tradizione bipartita facente capo a un
archetipo perduto è abbastanza rara, per due motivi:
1) i tipografi di tutti i tempi hanno preferito lavorare su un testo
in forma già stampata. Cosi, ad esempio, la seconda edizione auto­
rizzata dell’ Orlando furioso, quella del 1521, era basata su un esem­
plare, mandato in tipografìa, della prima edizione, e anche l’edi­
zione definitiva del 1532, malgrado i numerosi cambiamenti e ag­
giunte al testo, fu composta su un esemplare di quella del 1521.
Anche per l’edizione definitiva dei Promessi sposi, il materiale
mandato in tipografìa dall’autore consisteva di un esemplare fitta­
mente postillato della ventisettana, tuttora conservato alla Brai-
dense;
2) grazie al moltiplicarsi di esemplari caratteristico del processo
tipografico, siamo di solito in possesso di ogni anello della catena
trasmissionale.
In conseguenza, nello stemma tipico per la trasmissione a
stampa le testimonianze si dispongono più o meno su una linea
ininterrotta, anche se essa può separarsi in due o più rami. In una
situazione di questo tipo, gli errori significativi o sono comuni a
tutta la tradizione, e cosi in pratica non significano niente, o indi­
viduano soltanto ramificazioni laterali, subordinate alla linea
maestra, vicoli ciechi della tradizione. Si può obiettare che in que­
sto caso tutte le testimonianze posteriori alla prima sono descriptae.
62 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

A parte le osservazioni già fatte sul modo in cui edizioni descriptae


possono servire nella ricostruzione dell’ « esemplare ideale » delle
testimonianze da cui dipendono, c’è un altro ordine di considera­
zioni che tende a rivalutare, ai fini della costituzione del testo, le
testimonianze che la critica testuale vigente classifica come de­
scriptae. N ella trasmissione a stampa esiste in molti casi la possibili­
tà di interventi o revisioni dell’autore affidate ad edizioni poste­
riori alla prima, edizioni che saranno state composte, come quelle
definitive del Furioso e dei Promessi sposi, su una copia postillata di
un’edizione precedente, e cosi avranno, rispetto a tale edizione,
per altri versi, una parentela che, stando all’evidenza degli errori
significativi, può sembrare di stretta dipendenza. Ovviamente, se
gli interventi dell’autore sono tanto macroscopici e soprattutto
tanto ben documentati quanto quelli dell’Ariosto e del Manzoni,
l’editore non esita. Sceglie come base del suo testo critico l’edi­
zione riveduta dall’autore. M a in sede teorica è istruttivo conside­
rare il caso in cui gli interventi dell’autore in edizioni posteriori
alla prima non siano né macroscopici né suffragati da prove ester­
ne. È ovvio che qui il riconoscimento di questi interventi, affidato
com’è al giudizio dell’editore moderno, deve per forza basarsi e-
sclusivamente sulla valutazione delle lezioni indifferenti, che
vengono ad assumere cosi un ruolo importante e talvolta decisivo
nella costituzione del testo.
Con tutto questo non voglio in nessun modo infirmare i proce­
dimenti ormai universalmente accreditati della critica testuale. E
sempre da li che giova cominciare; ma in molti casi, nella trasmis­
sione a stampa, la ricerca di errori significativi non approda a nul­
la, mentre la storia intima, se non della genesi, almeno dello svi­
luppo del testo è da cercare fra la massa anonima delle lezioni in­
differenti.52

52. Dopo la stesura di questo articolo, sono apparsi due nuovi contributi rela­
tivi al materiale qui trattato. Nel primo, Printers by theRules, « The Library », ser. 6,
11 (1980), 129-55, 1° studioso belga J.-F. Gilmont, prendendo in considerazione
non solo le Ordinanze plantiniane, ma anche provvedimenti ufficiali francesi,
svizzeri e tedeschi della seconda metà del Cinquecento, ha concluso che in quel
periodo il sistema di due o più compositori che lavoravano insieme per un solo
II • INTRODUZIONE ALLA BI BLIOGRAFI A TESTUALE 63

torchio era quello comunemente adottato; l’altro sistema, in cui il lavoro era di­
stribuito fra i singoli compositori giorno per giorno, fu, a suo avviso, una geniale
invenzione del Plantin, non testimoniata altrove nel Cinquecento. Il secondo
contributo, The Concept of «Ideal Copy », « Studies in Bibliography », xxxm (1980),
18-53, dello studioso americano G. T. Tanselle, approfondisce il concetto di
« esemplare ideale » in funzione della bibliografia descrittiva. È da notare che
l’uso di questo concetto da parte del bibliografo nella descrizione di un’edizione
differisce da quello proposto nel mio articolo per il filologo, in quanto per il bi­
bliografo 1’ « esemplare ideale » non può mai essere una pura astrazione, ma è,
nelle parole del Tanselle, « un concetto storico applicabile agli esemplari effetti­
vamente usciti da un’officina tipografica ». [V. ora il mio contributo II concetto di
« esemplare ideale», infra, 89-103].
Ill

EDIZIONE, IM PRESSIO N E, EM ISSIO N E, ST A T O *

C h i prende in mano un libro per leggerlo, oppure per catalogar­


lo, è naturalmente portato a considerarlo come un’unità da stu­
diare ed apprezzare nel suo insieme, un insieme che era probabil­
mente la meta a cui pensava l’autore quando scrisse l’opera ivi ri­
prodotta, e certamente quella dell’editore o del tipografo quando
fecero stampare il libro. M a se il nostro lettore o il nostro bibliote­
cario possiede, com’è da sperare, una certa cultura bibliografica,
saprà che dal punto di vista del procedimento tipografico l’ogget­
to materiale che egli tiene in mano consiste in realtà di una serie
di unità più piccole, costituite dai fogli di stampa che lo compon­
gono, per la produzione di ognuno dei quali uno o più composito­
ri hanno dovuto preparare due forme, cioè quei gruppi di caratte­
ri tipografici o di immagini fotografiche che, debitamente ordina­
ti, provvedono a stampare un foglio su una delle due facciate. For-
me, fogli e libro costituiscono la fenomenologia della stampa, che
bisogna analizzare o almeno tener a mente ogniqualvolta si vuol
ricostruire la storia di un prodotto specifico dell’attività tipografi­
ca.1

* Inedito.
i. Bisogna tener a mente che nei primi vent’anni della stampa il procedimen­
to tipografico era diverso da quello descritto nei manuali tipografici. Dal 1455 al
1475 circa il materiale tipografico mandato sotto la vite per ricevere l’impressione
era della stessa grandezza del piano, non due volte piu grande, come per il resto
del periodo della stampa manuale; composizione e stampa procedevano pagina
per pagina o, nel caso di libri in quarto, in gruppi di due pagine. Manca tuttora
uno studio complessivo del fenomeno, per cui si rimanda a A. S chmidt , Untersu­
chungen über die Buchdruckertechnik des 15. Jahrhunderts, « Centralblatt für Biblio­
thekswesen », xiv (1897), 14-27; 57-65; 153-75; L. H ellinga , Notes on the Order of
Setting a Fifteenth-Century Book, « Quaerendo », iv (1974), 64-69; M. P ollar , The
Daily Performance of a Printing Press in 1476: Evidencefrom a Hebrew Incunable, « Gu­
tenberg Jahrbuch », 1974, 66-76; S. C orsten , Das Setzen beim Druck in Formen,
« Gutenberg Jahrbuch », 1984,128-32; e due studi di P. N eedham , Fragments of an
Unrecorded Edition of the First Alost Press, « Quaerendo », xn (1982), 6-21, e Division of
Copy in the Gutenberg Bible, « Papers o f the Bibliographical Society o f America »,
lxxix (1985), 411-26. Anche nel torchio a mano fatto di metallo, introdotto all’ini-
66 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

M a la stampa è una manifestazione precoce della produzione


di massa caratteristica dell’organizzazione industriale del lavoro,
e le forme, i fogli e il libro che lo studioso si accinge ad analizzare e
descrivere nell’esemplare che egli tiene fra le mani avranno fatto
parte, salvo in rarissimi casi del tutto eccezionali, di un procedi­
mento produttivo che avrà dato vita anche a n altre forme, fogli e
libri simili, che, nella mente di chi li avrà stampati, avranno costi­
tuito un gruppo unitario (o quasi). Fare la storia di uno o più
esemplari di un libro, e anche dell’ « esemplare ideale » di un libro,
significa, tra l’altro, stabilire i rapporti esistenti fra gli oggetti spe­
cifici presi in esame e il gruppo a cui appartengono.2
Questo contributo ha come scopo di presentare e di definire
succintamente alcuni concetti di cui avrà bisogno lo studioso per
affrontare efficacemente un’indagine di tal genere. Questi con­
cetti sono espressi dai termini edizione', impressione, emissione, stato. I
primi tre concetti sono applicabili ai fogli riuniti insieme nel mo­
do deciso dall’ editore o dal tipografo per formare un volume inte­
ro: si parla della prima edizione o della seconda impressione o del­
la nuova emissione di un libro, non di un foglio o di una forma.
Viceversa il concetto di stato si applica alle unità più piccole che
sottostanno al libro intero, cioè, al foglio e alla forma.3 Se si parla

zio dell’Ottocento, piano e forma erano della stessa grandezza: vedi infra, 216-8.
Colgo l’occasione per esprimere la mia viva gratitudine all’amico Paul Need-
ham, che ha gentilmente voluto leggere il presente contributo; le sue preziose
osservazioni mi sono state di grande aiuto. Naturalmente, la responsabilità per
quanto qui espresso rimane unicamente di chi scrive.
2. Per 1’ « esemplare ideale » vedi II concetto di «esemplare ideale», infra, 89-103.
3. Mentre il foglio è parte integrale del libro e, piegato nel modo richiesto dal
formato, viene a formare un certo numero di carte, che dalla metà del Cinquecen­
to in poi sono solitamente numerate in pagine, laforma è propriamente un oggetto
fisico di vita transitoria fatto, e disfatto, in tipografìa. Ma per comodità la parola
forma viene adoperata per designare anche quelle pagine del foglio che hanno in
comune la loro origine come pagine della stessa forma, e che diffìcilmente posso­
no essere designate con altro termine, perché non consecutive (ad esempio, in un
libro in ottavo le due forme usate per stampare le due facciate del foglio, secondo
l’imposizione normale, stampano rispettivamente le pagine 1,4,5, 8,9,12,13,16 e
2,3,6, 7, io, 11,14,15 del foglio in questione). Un’altra spinta ad usare la parolafor­
ma per designare una parte del libro viene dal fatto che è di solito soltanto attra­
verso lo studio degli esemplari superstiti del libro in questione che si viene a rico-
I l i • EDIZIONE, IMPRESSIONE, EMISSIONE, STATO 67

talvolta degli stati di un’emissione, di un’impressione o di un’edi­


zione, è perché in quell’emissione, in quell’impressione o in
quell’edizione si vuol attirare l’attenzione su un unico elemento
variabile, costituito dai due stati di una forma, o di un foglio, o tal­
volta di un gruppo di fogli.
I termini edizione, impressione, emissione, stato, sono disposti in una
gerarchia in cui edizione è il concetto più esteso, che abbraccia tutti
gli altri. Il concetto di stato è ovviamente quello di minor estensio­
ne, se lo si applica, come abbiamo detto, non al libro intero, ma al­
le differenze esistenti fra diversi esemplari cagionate dalla pre­
senza di varianti dentro la forma tipografica. Forme o fogli con
due o più stati si possono trovare in tutte e tre le categorie di libro
indicate dai termini edizione, impressione, emissione. Si possono avere
diverse emissioni della stessa edizione o della stessa impressione, ma
non viceversa. Similmente, si possono avere diverse impressioni
della stessa edizione, ma non viceversa. N ella discussione che se­
gue, esporrò brevemente il significato che proporrei di attribuire
a questi quattro termini, cominciando con edizione, e accompa­
gnando la discussione con un’esemplificazione funzionale.4

struire induttivamente la consistenza delle varie forme usate per la sua stam­
pa.
4. La descrizione classica dei concetti di edizione, impressione, emissione, stato, è
quella di F. B o w ers , Principles of BibliographicalDescription, New York 1962,37-113;
379-426, con larga esemplificazione. La divisione bipartita della presentazione
del Bowers riflette la differenza nella problematica della descrizione bibliografi­
ca per i libri prodotti prima e per quelli prodotti dopo la meccanizzazione della
stampa, differenza che rimarrà per forza smussata nelle poche pagine che seguo­
no. Per i concetti di emissione e di stato la discussione del Bowers è stata portata
avanti da G. T. T anselle , The Bibliographical Concepts of « Issue » and « State », « Pa-
pers of thè Bibliographical Society o f America », lxix (1975), 17-66. Le mie pagi­
ne devono molto a questi due contributi fondamentali. L’unica discussione ita­
liana di questi concetti, per quanto ne so, è quella di L. B aldacch in i , Il libro antico,
Roma 1982,76-79, da cui dissento per alcuni aspetti delle definizioni di emissione
e di stato (questa parola manca, per dire la verità, nell’esposizione del Baldacchi­
ni, essendo rimpiazzata da quella di variante). Le implicazioni della disposizione
gerarchica dei quattro termini sono elaborate con chiarezza dal T anselle , The
Bibliographical Concepts... cit., 28, n. 14 (la traduzione è mia): « Nella gerarchia edi­
zione-impressione-emissione-stato si può dire che ogni categoria include quella sotto­
stante: il totale degli esemplari dei vari stati di un’emissione dev’essere uguale al
totale degli esemplari di quell’emissione, e il totale degli esemplari del-
68 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

Prima di iniziare quest’esposizione, però, vorrei chiarire che


nelle pagine seguenti si tenta di stabilire una terminologia scienti­
fica precisa e inequivocabile solo per quanto riguarda l’uso degli
studiosi. I primi due termini proposti, edizione e impressione, sono
largamente usati nel commercio librario, e hanno al loro attivo in
quel contesto una lunga storia, durante la quale ciascuno ha di
volta in volta assunto il significato che qui si vuol dare unicamen­
te all’altro. Chi scrive non intende minimamente di suggerire che
si debba limitare o vietare l’uso di queste parole (o di altre, come
ristampa e tiratura, che non rientrano nella terminologia scientifica
qui proposta)5 in significati diversi o meno rigorosi fuori del cer­
chio ristretto della discussione erudita; egli vuol soltanto insistere
sull’opportunità di usare, fra studiosi che lavorano nello stesso

le varie emissioni di un’impressione dev’essere pari al totale degli esemplari di


quell’impressione, e cosi via. Ma naturalmente il procedimento logico della clas­
sificazione dei singoli esemplari di un’edizione muove dal basso verso l’alto. E di
solito abbastanza fàcile distinguere fra due edizioni diverse; ma lo studioso può
accorgersi che due esemplari della stessa edizione differiscono l’uno dall’altro
senza poter dire se rappresentino due emissioni, o due impressioni, di quella edi­
zione. Con l’ispezione di altri esemplari e la scoperta di nuove differenze, egli
può essere in grado di fare delle distinzioni piu sottili. Si comincia col notare de­
gli stati (cioè, delle varianti), poi ci si accorge che questi stati possono essere rag­
gruppati in diverse emissioni, poi si riconosce che quelle emissioni fanno parte di
impressioni diverse. In altri termini, tutte le emissioni sono stati, ma non tutti gli
stati costituiscono delle emissioni; ogni impressione è un’emissione, ma non tut­
te le emissioni equivalgono a impressioni diverse; tutte le edizioni sono impres­
sioni, ma non ogni impressione è un’edizione. Cosi in una data circostanza il ter­
mine inferiore può essere irrilevante: se un’impressione contiene un’unica emis­
sione, la categoria di emissione perde significato; se esiste un’unica impressione di
un’edizione, la categoria di impressione diviene superflua; se non c’è più di uno
stato in una determinata emissione, la categoria di stato è inutile. Ne consegue
che si può suddividere un’edizione immediatamente in emissioni o in stati, e si
può suddividere un’impressione immediatamente in stati. E prudente non pro­
cedere dal termine inferiore a quello superiore senza prove convincenti: in altri
termini, non si deve parlare di impressione se le varianti indicano soltanto un’ emis­
sione, e non si deve parlare di nuova impressione o di nuova emissione se le ricerche
dello studioso rivelano soltanto stati diversi ».
5. Per ristampa, vedi infra, p. 70, n. 9. Quanto a tiratura, è soltanto il suo uso co­
me sinonimo di edizione, o di impressione, o di emissione che si vuol sconsigliare qui;
nelle accezioni di: stampa di un’edizione 0 di un’impressione, e di: numero degli esempla­
ri stampati 0 progettati per un’edizione 0 per un’impressione, la parola rimane sempre
utile nella discussione scientifica.
I l i • EDIZIONE, IMPRESSIONE, EMISSIONE, STATO 69

campo, una serie di termini di significato riconosciuto e preciso


per descrivere i fenomeni ivi osservati, allo scopo di evitare frain­
tendimenti. Se i significati che si proporranno per i quattro term i­
ni saranno accuratamente e esaurientemente definiti, tutti gli og­
getti variamente o in vari periodi designati come edizioni, o im ­
pressioni, o ristampe, o tirature, saranno riportabili ad una delle
prime tre categorie qui proposte. Quanto alla scelta dei termini,
mi sono lasciato influenzare dai modelli inglese (edition, impression,
issue, state) e francese ( édition, impression, émission, état), che si posso­
no facilmente seguire senza far violenza alla base latina della lin­
gua italiana, con tutto profitto della comprensione interlinguisti­
ca, assai importante in discipline come l’analisi bibliografica e la
filologia, che non conoscono, e non hanno mai conosciuto, fron­
tiere nazionali.6

U ri edizione p u ò essere definita come tutti gli esemplari di un libro


prodotti dall uso sostanzialmente della stessa composizione tipografica, op­
pure, come ha suggerito il Tanselle, per riferirsi anche ai mezzi
produttivi nuovi, che non adoperano caratteri tipografici, tutti
quegli esemplari che risultano sostanzialmente dallo stesso atto di mettere
insieme le lettere necessarie per stampare un libro.7Entrambe le defini­
zioni sono qualificate dall’avverbio « sostanzialmente » per tener
conto delle variazioni che potrebbero risultare dalla presenza en­
tro l’edizione di diverse impressioni, di diverse emissioni, o di di­
versi stati.8 Il criterio per distinguere fra diverse edizioni della
stessa opera è esclusivamente tipografico. Una nuova edizione è
creata quando viene ricomposta la maggioranza delle forme tipo-

6. La stessa terminologia - edición, impresión, emisión, estado - prevale ormai an­


che in spagnolo: vedi J. M oll, Problemas bibliográficos del libro del Siglo de Oro, « Bo­
letín de la Real Academia Española», lix (1979), 49-107; e il Fachterminologisches
Glossar in K. u. R. Reichenberger, Bibliographisches Handbuch der Calderon-For-
schung, in, Kassel 1981, 697-708.
7. Vedi T anselle, The Bibliographical Concepts. . . cit., 18. In questa definizione
la parola « lettere » corrisponde a quella di « letterform » nel testo del Tanselle.
8. La stessa osservazione è in B aldacchini, Il libro antico cit., 77.
70 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

grafiche, o viene messa insieme la maggioranza delle lettere ne­


cessarie per la stampa di un libro, anche se non viene introdotto
alcun cambiamento né nel testo né nella mise-en-page tipografica
(una situazione che, per dire la verità, raramente si verifica, m al­
grado le intenzioni, per l’imperfezione delle opere umane).9 Vi­
ceversa, diversi stati della stessa edizione possono testimoniare
varianti testuali importanti, come, ad esempio, nel caso della Cena
de le ceneri bruniana, illustrato nel 1950 in un saggio esemplare di
Giovanni Aquilecchia.10 Nel concetto di edizione non sono in
questione neanche considerazioni di quantità o di durata. U n’edi­
zione può essere composta di un unico esemplare oppure di m i­
gliaia di esemplari, e può essere stata prodotta in una sola giornata
di lavoro, oppure nel corso di molti anni. Altri aspetti e lim iti del
concetto di edizione verranno meglio chiariti nel corso dell’esa­
me che segue dei concetti di impressione, di emissione, e di stato.

Un’ impressione può essere definita come tutti gli esemplari di


un’edizione stampati in una volta. Secondo questa definizione ogni
edizione ha per forza almeno una impressione. È da notare che
per la maggior parte del periodo della stampa manuale l’esiguità
delle serie dei caratteri tipografici, che necessitava la distribuzio­
ne di ogni forma subito dopo la sua stampa, per poter riutilizzare i
caratteri tipografici nelle forme successive, ha evitato che si potes­
se produrre normalmente più d’una impressione dalla stessa

9. Questo tipo di edizione è spesso chiamato ristampa, per distinguerlo da


un’edizione «nuova», con cambiamenti testuali o interventi critici. Non nego
che la designazione di ristampa possa essere utile per il filologo; ma saper discer­
nere se il libro che gli si presenta, o che egli vuol presentare ad altri, come ristam­
pa sia da categorizzare come edizione, o impressione, o nuova emissione lo aiute­
rà ancora meglio a valutare con precisione il suo apporto alla costituzione del te­
sto.
10. Vedi G. A quilecchia , La lezione definitiva della « Cena de le Ceneri » di Gior­
dano Bruno, « Atti della Accademia Nazionale dei Lincei », Memorie, Classe di
Scienze morali, storiche e filologiche, s. vm, in (1950), 207-43; a cui bisogna ag­
giungere R. T isson i , Sulla redazione definitiva della « Cena de le ceneri», « Giornale
storico della letteratura italiana », cxxxvi (1959), 558-63.
I l i • EDIZIONE, IMPRESSIONE, EMISSIONE, STATO 71

composizione tipografica. Se, dopo la prima impressione, l’autore


0 l’editore voleva stampare nuovi esemplari dell’opera in que­
stione, bisognava ricomporre tutte le forme tipografiche, il che
voleva dire dar vita ad una nuova edizione dell’opera. In altri ter­
mini, per la maggior parte del periodo della stampa manuale i
concetti di edizione e di impressione vengono a coincidere.11M a
la situazione cambia, anzi, in un certo senso si capovolge, con l’in­
troduzione della stereotipia, che coincise grosso modo con la
meccanizzazione della stampa verso la metà dell’Ottocento, ed
essa è rimasta sostanzialmente immutata fino al giorno d’oggi,
con l’uso dell’ «offset», cioè della fotolitografìa. Mentre rimane
sempre vero che un’edizione moderna può avere una sola im ­
pressione, i sistemi della stereotipia e della fotolitografìa, che dan­
no, con la prima, una serie di forme della composizione tipografi­
ca originaria con cui si possono fabbricare lastre metalliche da
usare per la stampa di altri esemplari, e permettono, con la secon­
da, di conservare su film e poi di riutilizzare la composizione tipo­
grafica o fotografica originaria, offrono la possibilità, largamente
sfruttata dall’editoria americana, inglese, francese e tedesca
nell’Ottocento e da quella di tutti i paesi in questo secolo, di fare
più impressioni della stessa edizione, un procedimento pili eco­
nomico di una nuova edizione, con la necessità che quest’ultima
comporta di una nuova composizione dell’intero testo. La prima
edizione del noto romanzo di W . M. Thackeray, Vanity Fair, che

11. Per alcune eccezioni inglesi, provenienti per la maggior parte dal Sette­
cento, vedi P. G askell, A New Introduction to Bibliography, Oxford 1972,116-17. Un
caso estremamente interessante, benché isolato, del reimpiego dei tipi nel Quat­
trocento per la produzione di nuove impressioni è stato illustrato recentemente
da Paul Needham in un contributo brillante, Johann Gutenberg and thè Catholicon
Press, « Papers o f thè Bibliographical Society o f America », lxxvi (1982), 395-456;
analizzando alcune singolarità dell’edizione del Catholicon stampata a Magonza
nel 1460, il Needham ha potuto dimostrare che il libro, insieme a una Summa de
articulisj,idei di Tommaso d’Aquino e un Dialogus rationis et conscientiae di Matteo di
Cracovia, fu stampato, quasi certamente, dal Gutenberg, non con caratteri mobi­
li, ma con gruppi di caratteri fusi insieme per formare blocchi della grandezza di
due righe, i quali vennero messi da parte e poi riutilizzati da altri dopo la morte
del Gutenberg per stampare una nuova impressione (nel caso del Catholicon, due
nuove impressioni) di queste opere.
72 S AGGI DI BI BLI OGRAFI A TESTUALE

apparve per la prima volta a puntate dal i gennaio 1847 al 1 luglio


1848, consta di sei impressioni fatte stampare dal 1847 al 1864; alcu­
ne puntate ebbero una settima e anche un’ottava impressione in
quel periodo.12 Similmente, molte delle cosiddette edizioni di
opere moderne non sono altro, secondo le definizioni qui propo­
ste, che nuove impressioni della stessa edizione, perché basate
sulla riproduzione fotografica di una composizione tipografica
originaria, oppure sulla fotocomposizione originaria conservata
su film in tipografìa o nella casa editrice. Lo stesso si può dire per
le ristampe anastatiche di opere di altri secoli; essendo basate su
riproduzioni litografiche o fotografiche delle pagine dell’edizio­
ne originaria, esse devono la loro vita alla composizione tipografi­
ca originaria, e cosi fanno parte della stessa edizione, di cui costi­
tuiscono una nuova impressione, anche se stampata a un interval­
lo di secoli dall’edizione originaria.13
È in questa zona che la terminologia qui proposta differisce di
più da quella comunemente in uso per ragioni di comodo o di
pubblicità nel commercio librario. M a per lo studioso, e soprat­
tutto per il filologo, è utile, e può essere importante, saper distin­
guere fra quelle testimonianze che sono il risultato dello stesso at­
to compositoriale e quelle che risultano da atti compositoriali di­
versi; fermo restando il principio che anche fra testimonianze
prodotte dallo stesso atto compositoriale si possono trovare va­
rianti talvolta importanti, dovute alle circostanze di cui trattere­
mo fra poco, e ad altre di cui parleremo a proposito dei concetti di
emissione e di stato, rimane vero che l’occasione più comune di

12. Vedi P. L. S hillingsburg, The Printing, Proof-reading and Publishing of Thac­


keray’s « Vanity Fair»: the First Edition, « Studies in Bibliography», xxxiv (1981),
118-45. Essendo una puntata un’unità discreta quanto al processo produttivo e an­
che alla pubblicazione, si può parlare delle varie impressioni anche di una punta­
ta.
13. Quest’ultima osservazione va applicata con un po’ di buon senso. Fermo
restando che la categoria di impressione è quella in cui bisogna situare le riprodu­
zioni anastatiche, sarebbe assurdo includere in un catalogo di incunaboli anche
una descrizione particolareggiata delle eventuali riproduzioni anastatiche mo­
derne dei volumi catalogati, col pretesto di voler dare un quadro completo delle
edizioni in questione.
I l i • EDIZIONE, IMPRESSIONE, EMISSIONE, STATO 73

variazione non autorizzata nella trasmissione dei testi a stampa la


si ha con l’intervento fra il testo e la sua manifestazione fìsica di
un nuovo agente umano o di un nuovo gruppo di agenti umani,
nella persona di uno o più compositori.
Quanto a varianti al livello dell’impressione, mentre ogni im ­
pressione riproduce per forza la sostanza dell’edizione di cui fa
parte, sia con la stereotipia sia con l’offset esiste la possibilità, spes­
so sfruttata da autori e da editori, di introdurre varianti nel testo
dell’edizione in questione. Lastre stereotipiche possono essere al­
terate con l’uso di caratteri tipografici saldati al metallo; per l’off­
set la correzione è ancora più facile, e può essere effettuata nella
riproduzione fotografica o nel film che serve da base per le lastre
sensibilizzate.14 Per tornare alla prima edizione di Vanity Fair, lo
Shillingsburg ha individuato non solo varianti effettuate durante
la tiratura della prima impressione (l’unica stampata con l’uso di
caratteri tipografici), ma anche varianti introdotte nelle lastre ste­
reotipiche per la seconda e per la terza impressione. Molte delle
varianti sono attribuibili all’autore, il cui interesse per la sorte e
per la condizione della prima edizione del suo capolavoro, secon­
do lo Shillingsburg, era stato «continuo».15
Abbiamo visto che nel periodo della stampa manuale il concet­
to di impressione viene solitamente a coincidere con quello di
edizione, e perciò è raramente usato nella descrizione dei libri di
quel periodo. M a per un’edizione moderna con più impressioni,
il secondo concetto rivendica tutta la sua importanza, anzi si può
dire che prevalga sul primo. Ciò risulta dal fatto, sottolineato dal
Tanselle, che un’edizione con più impressioni è in un certo senso
un’astrazione, non essendo essa altro che la somma delle sue im ­
pressioni, da non identificare con nessuna delle singole impres­
sioni, neanche con la prima. N ella descrizione di una tale edizio-

14. I problemi, a volte raccapriccianti, creati per il curatore di un’ edizione cri­
tica stampata con le tecniche moderne della fotocomposizione e della fotolito­
grafìa, che hanno reso molto fluido il concetto di bozze di stampa, sono esposti in
una nota di S. W . Reid, Definitive Editions and Photocomposition, « Papers o f thè Bi-
bliographical Society of America», lxxii (1978), 321-26.
15. Vedi S hillingsburg , The Printing ... cit., 123-25.
74 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

ne, tutti gli atti produttivi concreti ivi ricordati hanno dato vita a
diverse impressioni dell’edizione, e soltanto esse hanno una sto­
ria vera e propria. La situazione è soltanto apparentemente diver­
sa per le edizioni con un’unica impressione: anche per loro la sto­
ria dell’edizione è teoricamente la storia delle sue impressioni,
ma nell’assenza di impressioni posteriori alla prima, la distinzione
fra edizione e impressione diviene oziosa, e viene giustamente
abbandonata.16
Prima di passare oltre è opportuno dare notizia della recente
proposta dello studioso americano James L. W . W est III di inseri­
re nella nostra gerarchia fra edizione e impressione un nuovo ter­
mine, lastrazione («plating»), da definire come tutti gli esemplari di
un’edizione stampati dalla stessa serie di lastre stereotipiche o sensibilizza­
te.17 L’utilità del nuovo termine deriva dal fatto che per alcune
edizioni esistono più serie di lastre; questo fenomeno si nota ad
esempio per libri in lingua inglese fatti pubblicare simultanea­
mente, o quasi, in Inghilterra e negli Stati Uniti. Mandare oltre
oceano una serie completa di lastre è spesso sembrato, per una
pubblicazione di alta tiratura, una procedura meno costosa delle
due alternative, quella di mandare nell’altro paese numerosi
esemplari già stampati, oppure quella di fare una nuova edizione
inglese o americana vera e propria, con una nuova composizione.
Il termine, a mio avviso, merita di essere accettato, ma dubito che
abbia una grande pertinenza per la situazione italiana.

U n’ emissione può essere definita come tutti gli esemplari di un’edi­


zione o di un’impressione offerti al pubblico in una volta per la vendita.18

16. Nella discussione scientifica di problemi bibliografici si serve talvolta del


termine impressione anche in un significato più generale, quello di stampa, atto di
imprimere.
17. VediJ.L.W. W est iii, TheBibliographical Concepì of «Plating», « Studies in
Bibliography », xxxvi (1983), 252-66.
18. Qui e altrove nella discussione del concetto di emissione, e anche di quello
di stato, uso la parola « edizione » nel senso di « edizione avente un’unica impres­
sione ». A rigore l’emissione è un fenomeno che si verifica soltanto dentro l’im-
I l i • EDIZIONE, IMPRESSIONE, EMISSIONE, STATO 75

Ogni edizione e ogni impressione deve per forza avere almeno


una emissione; in tutti i secoli della stampa, molte edizioni e mol­
te impressioni non ne hanno avuto più di una. La decisione di fare
al pubblico una nuova offerta di un’edizione o di un’impressione
conduce alla necessità di differenziare la nuova emissione dagli
esemplari della prima emissione già venduti; cosi, in un’edizione
o in un’impressione con più di una emissione, le emissioni posteriori
alla prima possono essere definite come tutti quegli esemplari di
un’edizione o di un’impressione che costituiscono un gruppo distinto entro
quell’edizione, esplicitamente differenziato da altri gruppi di esemplari del­
la stessa edizione o della stessa impressione per la presenza di una o più va­
rianti aventi lo scopo di identificare il gruppo come un’unità discretaP
Il caso classico della nuova emissione di un’edizione o di
un’impressione è quello in cui i fogli invenduti sono ripresentati
al pubblico con un nuovo frontespizio e talvolta anche nuovi pre­
liminari e altro materiale nuovo, senza di solito un riconoscimen­
to esplicito che si tratti in realtà dell’edizione o dell’impressione
originaria. Cosi, per scegliere un esempio fra mille - poiché il fe­
nomeno è molto comune in tutti i secoli della stampa - nel 1559 il
Giolito pubblicò una nuova emissione, con nuovo frontespizio e
altro materiale preliminare, della propria edizione del Dialogo
dell’onore di G.B. Possevini apparsa l’anno prima.20 Una nuova

pressione. Per comodità la definizione di emissione qui data mette l’accento


sull’offerta del libro sul mercato. Non sarebbe diffìcile adattarla al caso di libri non
venali, per cui un’emissione sarebbe tutti gli esemplari di un’edizione 0 di un’impressione
destinati ad un determinato gruppo di persone. In questa sezione riprendo e sviluppo
più ampiamente la discussione del concetto di emissione già inclusa nel mio con­
tributo Correzioni ed errori avvenuti durante la tiratura secondo uno stampatore del Cin­
quecento: contributo alla storia della tecnica tipografica in Italia, infra, 155-68, soprattutto
ì 55-6.
19. Questa seconda definizione segue da vicino quella data dal T anselle, The
Bibliographical Concepts..., 65. Nelle intenzioni dell’editore, la prima emissione di
un’edizione o di un’impressione comprende di solito tutti gli esemplari stampati
in quell’edizione o in quell’impressione; è soltanto con la creazione di emissioni
posteriori che la prima emissione viene limitata agli esemplari già venduti
dell’edizione o dell’impressione in questione.
20. Vedi S. B ongi, Annali di Gabriele Giolito de’ Ferrari da Trino di Monferrato
stampatore in Venezia, 11, Roma 1895,56; 81. Il Bongi, però, erroneamente classifica
l’emissione del 1559 come semplice variante dell’ edizione del 1558, con nuova data.
j 6 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

emissione può essere offerta al pubblico anni dopo la pubblica­


zione dell’edizione originaria, come è successo per l’edizione
della Geografia di Francesco Berlinghieri stampata a Firenze da
Niccolò Tedesco nel periodo 1480-82, e ripristinata da Bernardo
Giunta verso il 1520 con nuovo titolo e colofone. Delle 74 copie di
quest’edizione di cui ha notizia lo studioso che ne ha descritto la
storia, 54 sono della nuova emissione del 1520. Più tardi, nel 1565,
troviamo in un’istanza di Filippo e Jacopo Giunta, nipoti di Ber­
nardo, una descrizione succinta di quest’abitudine: « Q uell’eser-
citio usa in tutti i luoghi dove si stampa, ogni tanti anni, secondo
l’occorrente, rifare i primi fogli e mutare l’anno ».21 Alcuni esem­
pi secenteschi dell’abitudine sono riportati in un contributo re­
cente di Franca Petrucci Nardelli.22 Diverse emissioni della stessa
edizione possono essere pubblicate anche in luoghi diversi. Qual­
cosa del genere sembra essere successo alla prima edizione del ri­
facimento bernesco dell’ Orlando innamorato. Secondo la studiosa
americana Elissa Barbara W eaver, le cosiddette edizioni del 1541 e
del 1542, pubblicate rispettivamente a Venezia dagli eredi di Luca
Antonio Giunta e a Milano da Andrea Calvo, sono in realtà due
emissioni della stessa edizione, che differiscono soltanto per tre
fogli diversi all’inizio del lungo volume, e due alla fine. La pater­
nità di quest’edizione rimane per ora incerta, insieme alle circo­
stanze che avevano determinato il trasferimento di parte dei fogli
da una città all’altra.23 Che quest’espediente sia ancora vivo
nell’editoria moderna è dimostrato in modo esemplare dalla sto­
ria tipografica di quella Bibbia della bibliografìa testuale che sono
i Principles o f Bibliographical Description di Fredson Bowers. I Princi-

21. Per la Geografia del Berlinghieri vedi P. V eneziani, Vicende tipografiche defla
« Geografia » di Francesco Berlinghieri, « La Bibliofilia », lxxxiv (1982), 195-208, da cui
riprendo anche la citazione dell’istanza di Filippo e Jacopo Giunta.
22. Vedi F. P etrucci N ardelli, Torchi,famiglie, libri nella Roma del Seicento, « La
Bibliofilia », lxxxvi (1984), 159-72, soprattutto 164-67. Un accenno a quest’abitu­
dine si trova anche in F. B arberi, Ilfrontespizio nel libro italiano del Quattrocento e del
Cinquecento, Milano 1969, 82-83.
23. Vedi E.B. W eaver , The Spurious Text of Francesco Berni’s «Rifacimento» of
Matteo Maria Boiardo’s « Orlando Innamorato », « Modern Philology », lxxv (1977-
78), m-31.
I l i • EDIZIONE, IMPRESSIONE, EMISSIONE, STATO 77

ples furono pubblicati dalla Princeton University Press nel 1949;


una nuova emissione dell’ edizione fu fatta a Nuova York dalla ca­
sa editrice Russell & Russell Ine. nel 1962, con fogli invenduti
dell’emissione originaria e frontespizio nuovo.
Una volta avvertito dell’esistenza e della natura della categoria
di emissione, lo studioso può di solito distinguere facilmente fra
nuova emissione e nuova edizione. La scienza filologica si basa su
un fatto ben noto della psicologia e della fisiologia umana: l’im­
possibilità per un agente umano di copiare esattamente un testo
di una certa estensione. Se lo studioso si trova davanti ad un libro
in cui la composizione tipografica della maggioranza dei fogli si
rivela ad una disamina attenta identica a quella di una determina­
ta edizione o impressione con frontespizio diverso, egli può esse­
re sicuro di avere a che fare con due emissioni della stessa edizio­
ne o della stessa impressione.24 Può essere più diffìcile distinguere
fra le categorie di emissione e di stato. Qui giova insistere sul fat­
to, sottolineato dal Bowers nel corso della sua trattazione della ca­
tegoria di emissione, che in linea di massima non si può avere
nuova emissione senza nuovo frontespizio. Il nuovo frontespizio
è il modo canonico con cui l’editore attira l’attenzione del pubbli­
co sull’iniziativa che egli sta prendendo per stimolare lo smercio
del libro; senza questo segnale, non c’è motivo per credere che la
vendita della prima emissione - vendita che può essere stata pro­
tratta per anni e lustri e anche, nei casi limiti, per secoli25 - non sia

24. Naturalmente gli esemplari della stessa emissione possono differire fra lo­
ro per la presenza di varianti interne. Può esser difficile distinguere fra varianti
occorse durante la tiratura e quelle che rivelano invece la presenza di una nuova
composizione tipografica e cosi di una nuova edizione; ciò per l’abitudine che
avevano i tipografi del periodo della stampa manuale di fornire nuove edizioni
che seguono un’ edizione anteriore pagina per pagina e anche talvolta riga per ri­
ga. In linea di massima, varianti nell’uso di abbreviazioni e nella divisione delle
parole, e in certi casi anche nell’uso delle maiuscole all’inizio della parola, quan­
do non sono accompagnate da cambiamenti testuali o nell’interpunzione, pre­
suppongono una composizione tipografica diversa.
25. Esempi della vendita di emissioni settecentesche protratta per più di mez­
zo secolo sono registrati nell’ Histoire de l’éditionfrançaise. Tome IL Le livre triomphant
1660-1830, Paris 1984,29. Si dice che ancora all’inizio di questo secolo si potevano
comprare esemplari slegati di alcune pubblicazioni della Typographia Medicea
78 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

stata continua, fino alla vendita o all’invio al macero dell’ultimo


esemplare. Le altre varianti, per quanto numerose, che si possono
trovare negli esemplari di un’edizione o di un’impressione non
creano di per sé una o più emissioni, perché non sono accompa­
gnate dall’indicazione esplicita dell’intenzione dell’editore di
formare uno o più gruppi di esemplari dentro l’emissione origi­
naria e di presentare quel gruppo o quei gruppi al pubblico per la
vendita come unità discrete; anzi, per la maggior parte la presenza
di queste varianti è taciuta, se non addirittura nascosta, ai lettori.26
Finora abbiamo parlato soltanto di emissioni successive. M a si pos­
sono avere anche emissioni simultanee. Qui siamo su un terreno più
diffìcile, e anche un po’ controverso. Si può pubblicare la stessa
edizione o la stessa impressione simultaneamente con note tipo­

provenienti dalla fine del Cinquecento. Saranno stati gli ultimi superstiti dei piu
di 6000 esemplari slegati di sette edizioni cinquecentesche della Typographia
Medicea che ancora nel 1770 si conservavano in una stanza del Palazzo Vecchio
di Firenze, e che agli inizi dell’Ottocento furono venduti a un libraio fiorentino
« a vilissimo prezzo » (vedi G.E. Saltini, Della stamperìa orientale medicea e di Gio-
van Battista Raimondi: memoria compilata sui documenti dell’Archivio centrale di Stato,
« Giornale storico degli archivi toscani », iv (1860), 257-308). Ma si tratta qui del
commercio antiquario, non di quello librario. Un esempio della vendita com­
merciale di un’emissione protratta per un secolo e mezzo è quello deli’ Appendix
ad editionem Novi Testamenti graeci di Cari Gottfried W oide, pubblicata a Oxford
nel 1799 e ancora in vendita presso la Oxford University Press nel 1932 (vedij. W .
C arter, Binding Variants in English Publishing 1820-1900, London 1932,40-41; il sig.
J. K. Cordy, della Oxford University Press, m’informa gentilmente che VAppen­
dix rimase in vendita fino all’ottobre 1953).
26. È qui che dissento maggiormente dal B aldacchini, Il libro antico cit., 78,
che non sottolinea l’importanza del nuovo frontespizio nella creazione di una
nuova emissione, e include in quella categoria casi di sostituzione e dell’uso di un
supporto diverso che, a mio avviso, indicano al massimo soltanto uno stato diver­
so, come risulterà chiaro, spero, dalle pagine seguenti. Una certa difficoltà può
esistere nella determinazione della categoria di emissione nel caso di molti incu­
naboli, che mancano di un frontespizio (vedi B arberi, Ilfrontespizio... cit., 55-58);
in tale circostanza, divengono determinanti altre prove delle intenzioni dell’edi­
tore, come il colofone o la lettera dedicatoria. Bisogna aggiungere che anche un
catalogo famoso e autorevole come il Catalogne ofBooks Printed in theXVth Century
now in theBritish Museum adopera il concetto di emissione con una certa impreci­
sione, qualificando come nuove emissioni casi di sostituzione e altri tipi di varia­
zione che, secondo le definizioni qui proposte, rientrano indubbiamente nella
categoria di stato.
I l i • EDIZIONE, IMPRESSIONE, EMISSIONE, STATO 79

grafiche diverse, oppure in più di un luogo; e si può pubblicare la


stessa edizione o la stessa impressione simultaneamente in diversi
formati, o su supporto diverso. Se si creano cosi diverse emissioni,
esse saranno governate dalla definizione che abbiamo già dato di
emissioni posteriori alla prima. Per emissioni simultanee è ancora
più opportuno insistere sulla necessità di un frontespizio diverso.
Cosi, dell’edizione definitiva dell’ Orlando furioso, stampata a Fer­
rara da Francesco Rosso nel 1532, esiste un’unica emissione, ben­
ché fra i ventiquattro esemplari superstiti ne abbiamo quattro
pergamenacei, e fra i venti esemplari cartacei uno stampato su
carta più grande degli altri, come aveva già notato il Debenedetti
nel 1928. Questi tre tipi di esemplari, su pergamena, su carta gran­
de, e su carta normale, non costituiscono altrettante emissioni,
perché possiedono lo stesso frontespizio e mancano di qualsiasi
altra indicazione, nella forma di varianti proprie a ciascun tipo,
che il responsabile dell’edizione, sia egli stato il tipografo o, come
credo, l’autore stesso, li abbia voluto offrire al pubblico come uni­
tà discrete. Anzi, è chiaro che gli esemplari su pergamena erano
progettati come doni ai protettori e agli amici potenti dell’autore,
ed è probabile, come aveva già suggerito il Debenedetti, che
l’esemplare su carta grande fosse semplicemente destinato all’uso
personale dell’autore.27 Sarebbe stato diverso se l’imposizione ti­
pografica originaria fosse stata riordinata per adattarla a un forma­
to diverso. In quel caso si sarebbe avuta senza dubbio un’altra
emissione della stessa edizione, cioè della stessa composizione ti­
pografica, ma in un formato diverso, e con un frontespizio diver­
so.
I casi più diffìcili sono quelli in cui l’unica differenza che si noti
fra i vari esemplari di una impressione è l’aver un frontespizio con
nota tipografica diversa. Qui rimane sempre valido il principio
che un nuovo frontespizio, cioè un frontespizio che risulta da
una composizione tipografica diversa, e che è stato perciò sosti­
tuito a quello originario, è di solito prova di una nuova emissione

27. Sul Furioso del 1532 vedi il mio contributo L. A r i o s t o , « Orlando furioso »,
Ferrara, Francesco Rosso, 1532: profilo di una edizione, infra, 245-70.
8o S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

del libro, perché dimostra l’intenzione del nuovo proprietario o


del co-proprietario dell’impressione di fare di quell’impressione
o di parte di quell’impressione una nuova o una diversa offerta al
pubblico.28 M a come considerare i casi - e essi sono numerosi nel
Cinquecento, e anche in altri secoli - in cui le diversità nel fronte­
spizio risultano non da una nuova composizione tipografica, ma
da cambiamenti introdotti durante la tiratura di un’unica compo­
sizione tipografica? Il Bowers nega il titolo di emissione non solo
a quei casi in cui la differenza comprende soltanto la data di pub­
blicazione, ma anche a quelli in cui essa coinvolge il nome del­
l’editore.29 Sono d’accordo per quanto riguarda la data di pubbli­
cazione: esemplari con date diverse sul frontespizio che risultano
da un cambiamento fatto durante la tiratura non appartengono
necessariamente a emissioni diverse, perché non basta questa sola
differenza ad assicurarci dell’intento dell’editore di offrire per la
vendita soltanto una parte determinata dell’edizione in ciascuno
degli anni per cui esiste un frontespizio diverso. La sua intenzione
sarebbe stata piuttosto quella di fornire ai suoi compratori prima il
frontespizio con la data anteriore e poi, quando esso fosse stato
esaurito, quello con la data posteriore, anche se il calcolo della ra­
pidità dello smercio, che sottostava alla scelta del momento in cui
introdurre la nuova data nella stampa della forma con il frontespi­
zio, si fosse rivelato in realtà sbagliato.30

28. Cosi, rappresentano probabilmente due emissioni della stessa edizione le


« due edizioni contemporanee » del trattato Della proportione et proportionalità di
Silvio Belli, pubblicate a Venezia nel 1573 da Francesco Patrizi e da Francesco de’
Franceschi, che « differiscono solo per il frontespizio e per i caratteri della dedica
ad Alessandro Farnese », secondo L. A rtese, Francesco Patrizi e la cultura delle inse­
gne, « Atti e memorie dell’Accademia Toscana di scienze e lettere La Colomba­
ria », 50 (1985), 186, n. 13. Ma vedi infra, 87, per il caso di un nuovo frontespizio che,
benché dovuto ad una composizione tipografica diversa, non indica la presenza
di un’altra emissione.
29. Vedi B owers, Principles... cit., 49-56.
30. In altre parole, la data diversa crea soltanto diversi stati del frontespizio.
Nel mio contributo, Le edizioni veneziane dei «Paradossi » di O. Landò, infra, 169-211,
ho illustrato brevemente il fenomeno, come esso appare nelle pagine degli Anna­
li giolitini del Bongi, citando il caso esemplare delle due copie del Petrarca con
l’espositione d’Alessandro Vellutello del 1558 conservate alla British Library, di cui
I l i • EDIZIONE, IMPRESSIONE, EMISSIONE, STATO 8l

M a devo confessare di dissentire dal Bowers nel caso di varianti


introdotte durante la tiratura nella designazione dell’editore. Egli
si oppone decisamente all’inclusione nella categoria di emissione
di libri del periodo della stampa manuale con quest’unico tipo di
variante, affermando che essi erano finanziati dai due editori in­
sieme, o da un gruppo di editori, e erano venduti insieme come se
tutti gli esemplari fossero appartenuti indifferentemente a tutti i
membri del gruppo. Questa può essere stata la situazione nel
commercio librario inglese del Seicento, a cui pare che il Bowers
abbia pensato principalmente nel formulare questo giudizio, ma
dubito che valga come regola generale per l’industria tipografica
europea. A mio avviso un’edizione divisa per la vendita fra due
editori o fra due librai della stessa città, che hanno ripartito le spe­
se di produzione e hanno messo, anche per mezzo di una variante
introdotta durante la tiratura, ciascuno il suo nome su una parte
dell’edizione, può essere considerata, fino a prova contraria, divi­
sa in due entità discrete e presentate come tali al pubblico, in altri
termini, come due emissioni della stessa edizione.31E come nega­
re la categoria di emissione a un caso che, salvo errore, non viene
considerato dal Bowers, ma che si verifica talvolta nell’industria
tipografica europea, cioè, quello di un’edizione divisa fra due edi­
tori provenienti da due città diverse? N egli esempi ottocenteschi
segnalati da Marino Berengo (il Marco Visconti del 1834 e l ’ Ulrico e
Lida del 1837, entrambi di Tommaso Grossi, e La bella Celeste degli
Spadari del 1830, di G.B. Bazzoni, tutti e tre stampati e pubblicati a
Milano, ma con una parte della tiratura venduta anche a Torino
da Carlo Schieppati), lo studioso non dice se i cambiamenti nel
frontespizio introdotti per lo Schieppati risultino da una nuova
composizione tipografica, oppure da varianti introdotte durante
la tiratura, ma anche nel secondo caso, è chiaro che la vendita di
una parte dell’edizione a distanza di un centinaio di chilometri
dal suo luogo di origine, e per di più nella capitale di un paese di-

una ha il frontespizio del 1558 e il colofone del 1560 (altra variante introdotta du­
rante la tiratura), e l’altra il frontespizio del 1560 e il colofone del 1558.
31. Su questo punto anche il T anselle, The bibliographical concepts... cit., 51-53,
avanza dei dubbi sulla posizione del Bowers.
82 S A GG I DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

verso, comporta la divisione dell’edizione per la vendita in due


parti discrete e la presentazione al pubblico di ciascuna parte co­
me entità a sé stante, cioè, un’emissione milanese e un’emissione
torinese dell’edizione.32

Uno stato può essere definito come una forma tipografica con una
determinata composizione tipografica, e anche, e più normalmente,
come tutti ifogli stampati da una forma tipografica in uno stato determi­
nato. Una forma tipografica deve avere per forza almeno uno sta­
to. È possibile, anzi probabile, che una forma tipografica, subito
dopo la sua imposizione e prima dell’inizio della stampa, abbia
avuto almeno uno stato che differisce dal primo stato documenta­
to dai fogli stampati sopravvissuti; questo stato o quegli stati
avranno contenuto errori compositoriali corretti in tipografìa. M a
nella stragrande maggioranza dei casi, essendo andate perdute le
bozze di stampa, quello stato o quegli stati che avranno preceduto
l’inizio della stampa rimangono fuori della storia, e quindi non ci
interessano. Stati posteriori al primo sono creati soprattutto dal
desiderio del tipografo, dell’editore, del curatore o dell’autore di
eliminare errori rimasti dopo la correzione delle bozze; ma essi
possono nascere da altri motivi, come il desiderio dell’autore di

32. Vedi M. B erengo, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione, Tori­
no 1980, 291. Per il Berengo si tratta di « edizioni simultanee », ma con la solita
precisione egli spiega che in tutti e tre i casi il materiale è stato stampato a Milano
e mandato a Torino per la vendita; esso deriva, quindi, da un’ unica composizione
tipografica e, secondo le definizioni qui proposte, fa parte di un’unica edizione.
Nel caso analogo, ma non identico, di un’impressione moderna che passa da una
casa editrice ad un’altra e da una città a un’altra dello stesso paese il Bowers am­
mette la possibilità della creazione di una nuova emissione, purché essa sia forni­
ta di un suo frontespizio. I casi frequenti di pubblicazione simultanea, o quasi,
della stessa edizione negli Stati Uniti e in Inghilterra creano di solito nuove la-
strazioni o nuove impressioni, perché basate sulla stessa composizione tipografi­
ca, ma per comodità di riferimento il Bowers suggerisce l’uso per queste lastra-
zioni o impressioni transatlantiche del termine edizione sussidiaria o sub-edizione
(« subsidiary edition » o « sub-edition »), uso che egli estende anche a nuove im­
pressioni provenienti da case editrici diverse dello stesso paese (vedi B owers,
Principles... cit., 387-93).
I l i • EDIZIONE, IMPRESSIONE, EMISSIONE, STATO 83

migliorare il suo testo, oppure la paura dell’editore o dell’autore


di offendere o di trasgredire le norme o le leggi vigenti circa la
stampa. In tutti quei casi il nuovo stato o i nuovi stati saranno pro­
dotti fermando la tiratura e introducendo dei cambiamenti nella
composizione tipografica. Inoltre, si possono avere stati creati
all’insaputa dei tipografi, quando, ad esempio, un carattere tipo­
grafico, spostato e poi caduto a terra in conseguenza dell’azione
dei mazzi durante l’inchiostratura della forma, è rimpiazzato er­
roneamente.33 Occorre precisare che il nuovo stato di una forma
abbraccia tutti i cambiamenti introdotti entro quella forma in una
volta. Nel Furioso del 1532, lo stato corretto della forma esterna del
foglio C esterno contiene 23 varianti rispetto allo stato scorretto,
mentre quello della forma interna del foglio F interno si differen­
zia dallo stato scorretto per la presenza di una sola variante.34 In
altri termini, mentre la presenza di una o più varianti è determi­
nante per la categoria di nuovo stato, il concetto di stato non è
identico a quello di variante.35
Come abbiamo detto, la spinta più forte alla creazione di nuovi
stati è il desiderio di correggere, o di correggere ulteriormente, il
testo a stampa inoltrata. Le correzioni fatte durante la tiratura
sono un fenomeno abbastanza frequente nei primi centocin-
quant’anni della stampa, e sono tutt’altro che sconosciute nei se­
coli successivi, anche dopo la meccanizzazione della stampa.36

33. Vedi il mio contributo Correzioni ed errori... cit., infra, 139-52.


34. Il Furioso del 1532 è un quarto in otto: ogni fascicolo consta di otto carte e
contiene due fogli, un foglio esterno con le carte 1,2, 7 e 8, e uno interno, con le
carte 3,4,5,6. Si chiama « esterna » la forma che contiene la prima e l’ultima pagi­
na del foglio (e.g. i r e 8v per il foglio esterno dei fascicoli del Furioso, 3r e 6v per
quello interno), «interna» l’altra forma.
35. È sotto quest’ultimo termine che vengono etichettate nel manuale di L.
B aldacchini, Il libro antico cit., 78-79, tutte le differenze da esemplare a esempla­
re di un’edizione al di sotto del livello di emissione. Ovviamente, la denomina­
zione non è sbagliata, in quanto queste differenze costituiscono effettivamente
altrettante varianti; ma per il bibliografo, e ancora di più per il filologo, è essen­
ziale il concetto di stato, che permette di stabilire dei rapporti validi fra le varianti
interne, e spesso aiuta a risolvere problemi ecdotici, soprattutto nei casi in cui
uno stato corretto comprende più varianti.
36. Vedi il mio contributo Introduzione alla bibliografia testuale, supra, 50, n. 33.
84 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

Per identificare gli stati di una forma, non c’è altro metodo che la
collazione multipla, lavoro sempre laborioso, anche con l’uso del­
le fotocopie trasparenti. Bisogna tener a mente che una forma ti­
pografica può essere corretta più di una volta nel corso della stam­
pa, creando cosi più stati successivi. Per tornare ancora una volta
al Furioso del 1532, edizione curata con attenzione minuziosa
dall’autore stesso, fra le 124 forme che compongono il volume
una decina fu corretta almeno due volte. Nei primi centocin-
quant’anni della stampa, non è infrequente anche la correzione a
penna di errori occorsi nella stampa; la tecnica veniva usata con
una certa frequenza da Aldo Manuzio e dai suoi successori.37 Qui,
anche nei casi in cui la correzione si trova in tutti gli esemplari su­
perstiti, si tratta di un intervento sul foglio stampato, non sulla
forma tipografica, la quale in molti casi sarà stata già distribuita al
momento dell’intervento; non si tratta dunque della creazione di
un nuovo stato. Comunque, purché lo studioso si sia convinto at­
traverso la collazione multipla che la correzione a penna si sia ori­
ginata in tipografìa, egli le può dare lo stesso valore di una corre­
zione in piombo e quindi in certi casi di un nuovo stato.
Il concetto di stato è applicato anche a cambiamenti che inte­
ressano, o possono interessare, un’intera forma, o anche parec­
chie forme intere alla volta, senza però creare le condizioni ne­
cessarie per la nascita di una nuova emissione o di una nuova im ­
pressione. Un caso di questo tipo è la sostituzione di una o più pa­
gine, o anche di un intero foglio o di più fogli all’interno di un li­
bro, decisa durante il corso della stampa, o a stampa ultimata.38 Se
la sostituzione è di un foglio intero, o di più fogli, ed è pienamente
riuscita, essa può non aver lasciato traccia, e quindi rimanere sco­
nosciuta alla storia. M a a volte una tale sostituzione, anche se ha
portato all’eliminazione di tutti i fogli non approvati, si lascia in-

37. Vedi C. F. B ùhler, Peti Corrections in thè First Edition of Paolo Manuzio’s « An-
tiquitatum Romanarum liber de legibus », « Italia medioevale e umanistica », v (1962),
165-70, e gli altri suoi contributi citati alla n. 1 di quell’articolo.
38. La sostituzione del frontespizio, da solo o come parte di un’unità più gran­
de (foglietti congiunti, mezzo foglio, foglio intero) porta solitamente alla crea­
zione di una nuova emissione, come abbiamo già detto. Ma vedi infra, 87.
I l i • EDIZIONE, IMPRESSIONE, EMISSIONE, STATO 85

dovinare ad un esame attento per alcune diversità nella stampa ri­


spetto al resto del volume - una carta o uno specchio di stampa di­
versi, oppure l’uso di un’altra serie di caratteri. La sostituzione di
singole pagine è di solito più facile da individuare, per la necessità
di incollare la nuova pagina alla carta circostante. Inoltre, almeno
nel periodo della stampa manuale, per la noncuranza degli edito­
ri, o per le difficoltà materiali di rintracciare in magazzino tutti gli
esemplari delle pagine o del foglio da sopprimere, oppure per il
fatto che la sostituzione era stata decisa dopo che lo smercio del
volume era già cominciato, la presenza del fenomeno della sosti­
tuzione viene spesso denunciata in modo inequivocabile dalla so­
pravvivenza in alcuni esemplari del volume, talvolta in molti, del
materiale destinato ad essere soppresso. Tale è il caso del foglio A
interno del Furioso del 1532; negli esemplari sopravvissuti di questa
edizione, il materiale da sopprimere (= cancellandum), stranamen­
te, è molto più comune del materiale nuovo (= cancellans), essendo
presente in ventuno dei ventiquattro esemplari. Scopo di questa
sostituzione era il miglioramento testuale.39 In un altro caso,
quello della prima edizione veneziana dei Paradossi di Ortensio
Landò, stampata da Bernardino Bindoni nel 1544, la sostituzione
interessa soltanto due foglietti congiunti (le cc. E2 e E7); fra i
quindici esemplari esaminati, dieci contengono il cancellans, cin­
que il cancellandum-, in questa edizione la sostituzione aveva per
scopo la soppressione di materiale pericoloso.40
La sostituzione di una parte di un foglio, o di un foglio intero,
comporta una nuova composizione tipografica delle pagine in
questione, il che può far nascere dei dubbi circa la categoria a cui
assegnare gli esemplari di un libro con tali pagine sostituite. Se la
sostituzione interessa il frontespizio del libro, esiste la possibilità
che si tratti di una nuova emissione dell’impressione in questione,
come abbiamo già detto. In altri casi, la questione di una nuova
emissione non può essere nemmeno posta. Ma, si può chiedere, la
presenza di pagine ricomposte non ci autorizza a parlare di una

39. Vedi L. A r i o s t o , « Orlandofurioso »... cit., infra, 245-70, soprattutto 264-6.


40. Per questa edizione vedi Le edizioni veneziane... cit., infra, 169-211.
86 S AGGI DI BI BLI OGRAFI A TESTUALE

nuova edizione? In risposta si deve dire questo: che spetta al giu­


dizio dello studioso decidere a quale punto la quantità di materia­
le ricomposto giustifica l’identificazione di una nuova edizione,
tenendo a mente la definizione già data di edizione (« tutti gli
esemplari prodotti dall’uso sostanzialmente della stessa composi­
zione tipografica»). Il Gaskell propone la ricomposizione di più
della metà delle forme come « regola empirica » per indicare la
possibilità di una nuova edizione; altrimenti si tratterà di un nuo­
vo stato dell’edizione, o tutt’al più di una nuova emissione.41 La
presenza di una o due pagine, o anche di uno o due fogli sostituiti
in un libro di lunghezza normale non basta a creare una nuova
edizione. Cosi, di solito, quando lo studioso ha identificato la pre­
senza di una sostituzione nell’esemplare che sta esaminando, egli
si trova di fronte non ad una nuova edizione del libro, né ad una
sua nuova emissione - a meno che la sostituzione non interessi il
frontespizio (e anche in questo caso, come vedremo fra poco, non
si tratta sempre di nuova emissione) - ma semplicemente ad un
nuovo stato dell’edizione, caratterizzato dalla ricomposizione
delle pagine o dei fogli in questione.
Un caso analogo di ricomposizione di materiale tipografico che
crea soltanto un nuovo stato è quello di un aumento nella tiratura
deciso dopo che una parte del libro è stato stampato, e le relative
forme tipografiche distribuite. Secondo E. Casamassima, questo
fenomeno si verifica nella prima edizione della Divina Commedia,
stampata a Foligno nel 1472; negli esemplari superstiti di questo
libro si vedono due composizioni tipografiche dei primi due fasci­
coli, che comprendono dieci fogli, cioè venti forme.42 La ricom­
posizione tipografica allo scopo di aumentare la tiratura può esse->
re differenziata dalla sostituzione per la mancanza di varianti si­
gnificative fra le due versioni del testo; o meglio, poiché di solito
lo studioso di bibliografìa analitica deve lavorare induttivamente,
l’assenza di varianti significative fra due composizioni tipografì-

41. Vedi G askell, A New Introduction... cit., 313.


42. Vedi E. C asamassima , La prima edizione della «Divina Commedia ». Foligno
1472, Milano 1972. Il fenomeno è abbastanza frequente nei libri stampati nel pri­
mo mezzo secolo della stampa.
I l i • EDIZIONE, IMPRESSIONE, EMISSIONE, STATO 87

che della stessa forma, dello stesso foglio, o dello stesso gruppo di
fogli di un’impressione dimostra che la ricomposizione era dovu­
ta al desiderio di aumentare la tiratura, non a quello di sostituire la
prima versione con un’altra. Ciò può essere vero anche laddove la
ricomposizione interessa il foglio che contiene il frontespizio;
cosi, ad esempio, il fatto che il frontespizio dei Paradossi di Orten­
sio Landò, nell’edizione del 1563, insieme con il resto del primo
foglio, esiste in due composizioni tipografiche diverse, incluso un
nuovo frontespizio, non ci autorizza a parlare di una sostituzione
né di una nuova emissione dell’edizione, poiché tutte le notizie
contenute nel frontespizio sono uguali nelle due versioni - anche
le due marche tipografiche sono ben note da altre edizioni
dell’editore, Andrea Arrivabene - e il testo contenuto in questo
fascicolo ha soltanto varianti insignificanti. Abbiamo qui, dunque,
un caso in cui la presenza di un nuovo frontespizio non segnala
l’esistenza di un’altra emissione dell’edizione in questione, ma
soltanto di un altro stato, caratterizzato dalla ricomposizione del
foglio con il frontespizio.43

Nelle pagine precedenti ho tentato di illustrare chiaramente e


con un’esemplificazione essenziale i quattro concetti fondamen­
tali della classificazione bibliografica. Non m’illudo di aver tratta­
to definitivamente i temi proposti; anzi, ho concepito il mio con­
tributo piuttosto come un’introduzione a questa materia diffìcile,
un trattamento aperto, capace, o meglio bisognoso, di precisazio­
ni ulteriori, soprattutto per quanto riguarda i concetti di emissio­
ne e di stato. Invito i lettori a partecipare a questo lavoro di raffi­
namento con le loro esperienze di bibliografi; soltanto con uno

43. Per i Paradossi del 1563 vedi Le edizioni veneziane... cit., infra, 169-211. La de­
cisione di aumentare la tiratura di un libro interessa naturajmente i primi fogli ad
essere stampati, ma bisogna tener a mente che in molti libri di ogni periodo i pre­
liminari, incluso il frontespizio, venivano stampati dopo il resto del volume, abi­
tudine che nei libri del periodo della stampa manuale spesso lascia una chiara
traccia nella fascicolazione o nelle segnature del volume.
88 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

sforzo combinato possiamo sperare di mettere insieme un’esem­


plificazione italiana esauriente, tale da poter rimpiazzare per gli
studiosi italiani l’esemplificazione straniera che predomina, per
ragioni ovvie, nei manuali bibliografici attuali. Facendo cosi, cree­
remo le condizioni necessarie, non tanto per la traduzione di que­
sti manuali, ma per una cosa molto più utile, il loro ripensamento
e eventualmente la loro riscrittura in chiave italiana.
IV

IL C O N C E T T O DI ‘ESEMPLARE IDEALE’ *

Il concetto di esemplare ideale (in inglese: ideal copy) è stato formu­


lato per la prima volta da Fredson Bowers, prima, brevemente, in
un suo saggio del 1947, poi, più ampiamente, nel suo manuale or­
mai classico, Principles o f Bibliographical Descrìption, la cui prima edi­
zione apparve due anni dopo.1M a se quello del Bowers è il primo
tentativo di esplicare pienamente questo concetto base della de­
scrizione bibliografica, il concetto stesso era già implicito nei la­
vori anteriori dei fondatori della «textual bibliography », Ronald
B. McKerrow, autore del primo manuale della nuova disciplina,
An Introduction to Bibliography for Literary Students (1927), e W alter
W . Greg, autore della grande Bibliography o f thè English Printed
Drama to thè Restoration (i939-59)> e di alcuni saggi metodologici
fondamentali.2Essi sapevano bene che la differenza essenziale fra
il catalogo di una collezione o di una biblioteca e una bibliografìa
descrittiva, quale appunto quella del Greg testé citata (oppure ciò
che dovrebbero essere, ma purtroppo spesso non sono, gli Annali
di un tipografo o di un editore), risiede nel fatto che mentre il pri­
mo non va oltre la descrizione, anche in forma abbreviata, dei sin­
goli esemplari conservati nella collezione o nella biblioteca in
questione, la seconda dev’essere basata, per ogni edizione ivi con­
tenuta, sull’ispezione di più esemplari, cosi da poterne fornire
una descrizione che tenga conto della fenomenologia della pro­
duzione tipografica, con tutte le possibilità ivi presenti di varia­
zioni interne. Toccò al Bowers, con la sua lucidità di pensiero e
chiarezza di esposizione, di formulare le esigenze sentite dai suoi

Pubblicato in Trasmissione dei testi a stampa nel periodo moderno. I Seminario In­
ternazionale, Roma, 23-26 marzo (sdì.giugno) 1983, a cura di G. C rapulli, Roma 1985,
49-60.
1. Vedi F. B o w ers , Criteriafor Classifying Hand-Printed Books as Issues and States,
« Papers o f the Bibliographical Society o f America », xli (1947), 271-92; F. B o ­
w ers , Prindples of Bibliographical Description, Princeton 1949.
2. I saggi del Greg sono raccolti nel volume postumo Collected Papers, edited
b y J .C . M axwell, Oxford 1966.
90 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

predecessori e di dare ad esse una precisa fisionomia, col concetto


di esemplare ideale, a cui dedicò una decina di pagine dei Principles
(pp. 113-123).3
Queste pagine cominciano con la constatazione che: « La for­
mula collazionale e la descrizione base di un’edizione dovrebbe­
ro essere quelle di un esemplare idealmente perfetto dell’emis­
sione originale ».4M i permetto di fare alcune osservazioni su que­
sta definizione dell’esemplare ideale e sulla discussione che la se­
gue nelle pagine dei Principles.
La prima cosa da notare è il fatto che per il Bowers il concetto di
esemplare ideale si inserisce al livello del primo termine nella ge­
rarchia edizione, impressione, emissione, statole he descrive la fenome­
nologia dei prodotti del processo tipografico. Non solo la descri­
zione dell’esemplare ideale deve tener conto di eventuali varianti
nelle singole forme, ma essa deve basarsi, per edizioni di cui vi
erano state più emissioni, su quella che era stata la prima in ordine
cronologico. Com’egli precisa più tardi, le eventuali altre emis­
sioni di un’edizione, con le loro varianti, verranno ricordate nelle
note, come varianti della prima emissione.
U n altro aspetto della discussione del Bowers, di importanza
speciale per il presente contributo, è la sua insistenza sul fatto che
il concetto di un ‘esemplare idealmente perfetto’ non riguarda af­
fatto la qualità del testo trasmesso - la presenza o assenza di errori
testuali, di refusi tipografici, di forme scorrette, ecc. - ma si appli­
ca unicamente alle componenti materiali del libro come oggetto
fìsico. Qui troviamo un chiaro riconoscimento, anche se non pie-

3. Qui e altrove cito dalla nuova emissione dei Principles che usci nel 1962, ad1
opera di Russell & Russell Ine., di Nuova York.
4. « The collational formula and thè basic description o f an edition should be
that o f an ideally perfect copy of thè originai issue » (Principles, 113). La parola issue,
che traduco con emissione (e vedo con piacere che emissione è stato adottato in que­
sto senso anche dal personale dell’Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle
Biblioteche Italiane e per le Informazioni Bibliografiche, per il Censimento delle
edizioni italiane delXVIsecolo; v. il notiziario del Censimento, intitolato II corsivo, n. 2,
maggio 1983,15), indica l’atto di presentare o di ripresentare un’edizione al pub­
blico per la vendita, e anche, come qui, l’insieme di esemplari offerti al pubblico
con tale atto. [V. anche Edizione, impressione, emissione, stato, supra, 65-88.]
IV • IL CONCETTO DI ‘ESEMPLARE IDEALE’ 91
namente sviluppato, che l’esemplare ideale della descrizione bi­
bliografica non s’identifica necessariamente con la percezione
che ha il filologo di un’edizione, o di una sua emissione, come
trasmettitrice di un testo. M a su ciò dovremo tornare più tardi.
U n’ultima osservazione - e forse la più importante - sulla di­
scussione del concetto di esemplare ideale nelle pagine dei Princi­
ples. Nelle espressioni ‘esemplare ideale’, ‘esemplare idealmente
perfetto’, si nasconde una certa ambiguità, che il Bowers, malgra­
do i suoi sforzi, non è riuscito a dissipare. L’ambiguità può essere
espressa cosi: l’esemplare ideale corrisponde o no a un fatto stori­
co? La sua discussione oscilla fra i due poli della storicità e del­
l’idealità. Chiaramente tendente verso la storicità è la definizione
che se ne dà nel secondo paragrafo della sezione dei Principles de­
dicata all’argomento: «U n esemplare ideale è un libro completo
in ogni suo foglio, come è alla fine uscito dall’officina tipografica,
in una condizione perfetta, in quello stato completo considerato
dal tipografo come l’ultimo stato, quello più perfetto, del libro ».5
Qui l’accento cade sull’esemplare ideale come prodotto reale, ve­
ramente uscito da un’officina tipografica. La storicità dell’esem­
plare ideale viene ancora più chiaramente asserita nella nota ap­
posta alla definizione riportata sopra:
N ella descrizione di un esemplare ideale nulla è inventato; ma i dati
che risultano dall’ispezione di più esemplari vengono analizzati in base
alla storia della stampa dell’ edizione, in quanto questa storia possa essere
accertata, per scoprire la forma più perfetta del libro effettivamente pro­
dotta dallo stampatore nel corso di una singola emissione.6
Qui il Bowers insiste non solo che i dati di cui è composta la de­
scrizione dell’esemplare ideale devono essere passati sotto gli oc-

5. «[...] an ideal copy is a book which is complete in all its leaves as it ultimate­
ly left the printer’s shop in perfect condition and in the complete state that he
considered to represent the final and most perfect state o f the book » (Principles,
113)-
6. « Nothing is invented in the description o f an ideal copy. Instead, all the
evidence to be gained from the examination o f numbers o f copies is analyzed on
the basis o f the printing history o f the edition, so far as it can be determined, in or­
der to discover what was the actual most perfect form o f the book achieved by
the printer within an issue » (Principles, 113, n. 48).
92 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

chi del bibliografo, ma anche che egli deve limitarsi a descrivere


ciò che era stato «effettivamente prodotto dallo stampatore».
Personalmente, sono dell’opinione che queste espressioni rap­
presentino il vero pensiero del Bowers, ma bisogna ammettere
che altrove vengono un po’ smussate le linee della sua esposizio­
ne. Cosa succede, ad esempio, nei casi in cui sopravvive un unico
esemplare di un’edizione, o almeno troppo pochi per ciò che il
Bowers chiama «u n ’ispezione definitiva» - una situazione, que­
sta, che s’incontra spesso nella storia della stampa manuale, so­
prattutto, ma non soltanto, nei primi due secoli della stampa? In
tali casi, scrive il Bowers, « quando è assolutamente necessario, un
esemplare ideale può anche essere una ricostruzione puramente
ipotetica »? Fin qui, forse, nulla da obiettare: tutto il lavoro biblio­
grafico, almeno in quanto procede per via di induzione, impie­
gando il materiale fornito dai singoli esemplari di un libro per ri­
creare il processo tipografico che li aveva prodotti, può dirsi una
ricostruzione puramente ipotetica. Ma, forse senza avvedersene,
il Bowers oltrepassa i limiti della storicità di questo lavoro di rico­
struzione quando, tentando un’altra definizione della natura del­
l’esemplare ideale, aggiunge: «L ’esemplare ideale descritto bi­
bliograficamente dovrebbe contenere ciò che nelle intenzioni
dell’editore era la forma definitivamente riveduta del libro ».8È il
fatto di aver trovato luogo per le intenzioni di quelli che avevano
prodotto l’edizione di cui sta costruendo l’esemplare ideale che
toglie la discussione del Bowers dal riparo della storicità e la fa
muovere nella direzione dell’astrazione metastorica. Perché, co­
me è ovvio, le intenzioni dei responsabili di un’edizione possono
non aver trovato pieno adempimento non solo in nessuno degli
esemplari superstiti, ma anche in nessuno degli esemplari usciti
dai torchi.
L’accenno alle intenzioni degli editori di un libro come ele­
mento costitutivo nella ricostruzione dell’esemplare ideale ha

7. « W hen absolutely necessary, an ideal copy may even be apurely hypothe-


tical reconstruction » (Principies, 117).
8. «[...] thè ideal copy described bibliographically should contain what was
in tended to be thè completely revised form o f thè book » (Principies, 117).
IV • IL CONCETTO DI ‘ESEMPLARE IDEALE’ 93
generato una certa confusione nella mente sia degli oppositori sia
dei fautori della ‘nuova bibliografìa’ anglo-americana, e ha final­
mente provocato un intervento esauriente e chiarificatore di G.
Thomas Tanselle, che ha sviluppato le idee delBowers, giungen­
do a una definizione in parte nuova del concetto di esemplare
ideale, e contribuendo a chiarire anche il modo in cui questo con­
cetto può essere usato nel campo della critica testuale. L’inter­
vento di cui vorrei ora parlare, The Concepì o f (Ideal Copy’, apparve
nel 1980 negli « Studies in Bibliography », la rivista della Società
bibliografica dell’Università della Virginia, diretta da molti anni
da Fredson Bowers.9
Il contributo si articola in tre sezioni, di cui la terza si occupa
del rapporto fra il concetto di esemplare ideale e la catalogazione
dei libri nelle biblioteche, un aspetto della questione che non ci
interessa qui. E all’inizio di questa terza sezione, però, che il Tan­
selle dà la sua nuova definizione dell’esemplare ideale, quale ri­
sulta dalla discussione precedente, e questa definizione la dovre­
mo citare e commentare a suo luogo. Prima, però, gioverà riper­
correre le fasi della discussione attraverso la quale il Tanselle è
giunto alle sue conclusioni. Questa discussione prende come base
le pagine dei Principles di cui abbiamo già parlato. M a il contributo
del Tanselle è molto più di una mera « nota a piè di pagina », come
egli modestamente lo definisce, e il rispetto che egli dimostra in
ogni suo accenno al pensiero del Bowers non può nascondere il
fatto che la sua definizione dell’esemplare ideale è superiore a
quella del Bowers, e merita di rimpiazzarla nella teoria e nella
pratica di ogni studioso della bibliografìa testuale. Il Tanselle ini­
zia la sua discussione in medias res, con una considerazione di ciò
che abbiamo sottolineato come fonte dell’ambiguità inerente alla

9. G. T. T anselle, The Concept of «Ideal Copy», «Studies in Bibliography»,


xxxin (1980), 18-53 (che d’ora innanzi cito come Tanselle). Il Tanselle, già ordina­
rio di studi inglesi all’Università dello Wisconsin, ed ora vicepresidente della
Fondazione Guggenheim, è il più attivo e il più incisivo fra quegli studiosi di lin­
gua inglese che sviluppano l’eredità del Bowers, cercando di adattarla alle nuove
scoperte e alle nuove esigenze della ‘textual bibliography’. Un volume dei suoi
saggi, intitolato Selected Studies in Bibliography, fu pubblicato nel 1979.
94 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

discussione del concetto di esemplare ideale nei Principles del Bo-


wers, il posto, cioè, che conviene dare alle intenzioni dell’editore
o del tipografo (o magari dell’autore) nella ricostruzione di quel­
l’esemplare. Fin dall’inizio, il Tanselle insiste che la descrizione
dell’esemplare ideale è una ricostruzione storica, basata indutti­
vamente sul materiale offerto dagli esemplari sopravvissuti. Se
questo materiale ci presenta una parte o alcune parti del libro in
più di uno stato, il bibliografo deve per forza ponderare, fra l’altro,
la questione delle intenzioni del tipografo o dell’editore nel sosti­
tuire uno di questi stati all’altro; ma, egli continua, «quando ciò
che si produsse era un unico stato, la questione delle intenzioni
dei produttori non si pone, anche se alcuni particolari di quello
stato non coincidevano con le intenzioni dello stampatore ».10 II
Tanselle non considera esplicitamente il problema posto dalla si­
tuazione in cui le intenzioni dei produttori di un libro (di sostitui­
re, ad esempio, un foglietto stampato male o scorrettamente con
un quartino stampato dopo tutto il resto del libro) ci sono note da
una fonte indipendente, quale una lettera del tipografo, ma non
sono rappresentate in alcuno degli esemplari superstiti; ma la ri­
sposta che egli ci avrebbe dato è implicita nell’esame che fa di un
altro caso complesso, quello in cui una lettera di dedica, ovvia­
mente destinata nelle intenzioni del tipografo ad essere inclusa
fra i preliminari di un libro, si trova in tutti gli esemplari superstiti
alla fine, come parte integrale dell’ultimo quaderno. Di questo
caso il Tanselle non propone una soluzione univoca, ammetten­
do la possibilità in certe circostanze di ricollocare la lettera fra i
preliminari nella descrizione dell’esemplare ideale, ma il tenore
della sua discussione è tutto nella direzione del massimo rispetto
per il documento, in questo caso la presenza della lettera alla fine
del libro, che comporta la sua inclusione in questo posto nella de­
scrizione dell’esemplare ideale. « La descrizione standard di un li­
bro », scrive Tanselle (ed e significativo il suo tentativo di soppri-

10. «[...] but when only a single form was produced, the question o f inten­
tion does not come up, even though some o f the features o f that form are not in
fact what the printer intended» (Tanselle, 26).
IV • IL CONCETTO DI ‘ESEMPLARE IDEALE’ 95

mere l’aggettivo ‘ideale’, fonte, secondo lui, di confusione e di


fraintendimenti), « è una generalizzazione storica, che si solleva
sopra le peculiarità di singoli esemplari, e resiste alla tentazione di
mettere ciò che dovrebbe essere avvenuto al posto di ciò che ef­
fettivamente avvenne »-11 II margine di incertezza che rimane ri­
guardo all’inclusione delle intenzioni del tipografo tra i fattori co­
stitutivi dell’esemplare ideale deriva dal fatto che spesso non pos­
siamo essere sicuri di quali effettivamente fossero quelle inten­
zioni, perché scarseggia la nostra documentazione. In tale caso,
possiamo essere sicuri solo del modo in cui le intenzioni del tipo­
grafo furono realizzate in quella parte del suo prodotto di cui ab­
biamo notizia, e dobbiamo interpretare il significato di questo fat­
to per 1 intera edizione alla luce delle probabilità storiche. M a
questa situazione, come giustamente osserva il Tanselle, è comu­
ne a tutti i campi del lavoro storico, e permette allo studioso di dar
prova della sua scienza e del suo giudizio. Ciò che importa è di ri­
conoscere che le intenzioni dei produttori di un libro sono deter­
minanti per la ricostruzione dell’esemplare ideale solo nella m i­
sura in cui quelle intenzioni furono realizzate.
Fin qui la discussione del Tanselle può essere intesa come una
chiarificazione dei concetti espressi un po’ ambiguamente nei
Prìnciples del Bowers. Dove il Tanselle fa un passo in avanti, e mo­
stra tutta la sua originalità, è nell’esame che fa di ciò che deve es­
sere compreso nella descrizione di un esemplare ideale. Secondo
lui, è un errore concepire la descrizione dell’esemplare ideale co­
me quella di un unico esemplare, con la necessità di scegliere fra
due o più alternative, nei casi in cui gli esemplari superstiti pre­
sentano delle varianti.« Lo scopo storico della descrizione », egli
scrive, « è conseguito in pieno se si registra - per i particolari pre­
senti in due stati - prima il primo stato, poi il secondo [...]. Il pun­
to importante è di riconoscere che la descrizione standard, o
esemplare ideale, di un’emissione deve accogliere le varianti che

11. « A standard description o f a book is a historical generalization, rising abo­


ve the idiosyncrasies o f individual copies but resisting the temptation to substitu­
te what should have been for what was » (Tanselle, 33).
96 S A GG I DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

si possono identificare come stati diversi ».12. Altrove, riconosce


che anche la formulazione delBowers accoglieva queste varianti,
ma come materiale da consegnare agli appunti, non come parte
integrale della descrizione, che anche per il Bowers era, in ultima
analisi, quella di un singolo esemplare. Nel pensiero del Tanselle
l’esemplare ideale deve rappresentare in breve la storia della pro­
duzione del libro; ed è per questo motivo che egli cerca (senza
grande successo, a mio avviso) un’altra definizione del concetto:
si noti l’espressione ‘descrizione standard’ nel brano citato sopra,
che anch’essa non riesce ad esprimere in pieno la natura comples­
sa della descrizione che il Tanselle si propone di istituire. Un altro
punto di divergenza fra il Tanselle e il Bowers si trova nel fatto
che il Tanselle considera la sua descrizione standard come quella
di un’emissione, non di un’edizione. «Emissioni diverse», egli
scrive, «saranno rappresentate da esemplari ideali diversi».13
Quest’insistenza sull’inserimento del concetto di esemplare
ideale al livello dell’emissione di un’edizione è la conseguenza
dell’idea rigorosamente storica che il Tanselle se ne fa. Se esso
rappresenta la storia della produzione di un libro, un esemplare
ideale deve essere costruito per ogni forma di quel libro che si
possa considerare un’offerta fatta consciamente al pubblico dai
suoi produttori. I diversi stati dei vari fogli di una emissione non
hanno diritto ad una descrizione indipendente, ma vanno soltan­
to a contribuire a quella dell’esemplare ideale di quella emissione,
appunto perché deliberatamente nascosti dai produttori del libro
dentro l’anonimità di un’unità più grande, oppure, nel caso di va­
rianti inconsciamente prodotte durante il processo tipografico,
addirittura sconosciute agli stessi produttori.
Tutta questa discussione confluisce nella nuova definizione

12. «[...] the historical purpose o f the description is best served by reporting
- for any given feature that exists in two states - the first state first, followed by
the second... the important point to recognize is that the standard description, or
ideal copy, o f an issue must allow for the variations identified as states » (Tanselle,
29-30).
13. «A different issue will be represented by a different ideal copy [...]»
(Tanselle, 30).
IV * IL CONCETTO DI ‘ESEMPLARE IDEALE’ 97

dell’esemplare ideale data dal Tanselle all’inizio della terza sezio­


ne del suo contributo:
L esemplare standard 0 ideale, che è l’oggetto di una descrizione biblio­
grafica, è una ricostruzione storica della forma o delle form e14 degli
esemplari di un’impressione o di un’emissione come venivano offerte al
pubblico dai loro produttori. Una tale ricostruzione abbraccia tutti gli
stati di un’impressione o di un’emissione, tanto quelli ottenuti di propo­
sito quanto quelli dovuti al caso; ma esclude quelle modifiche introdotte
nei singoli esemplari una volta che sono usciti dalle mani del tipografo o
dell’editore.15
Il posto dato in questa definizione all’impressione, insieme con
l’emissione, si spiega tenendo presente che la definizione del
Tanselle è intesa come valida per ogni periodo della stampa.
Mentre per edizioni del Seicento e del Settecento, e ancora piu
per quelle del Quattrocento e del Cinquecento, il caso di diverse
impressioni della stessa edizione, ottenute col reimpiego delle
stesse forme, è rarissimo, per la seconda metà dell’Ottocento e
per questo secolo, con la stereotipia, con l’elettrotipia, e con il
processo più moderno dell’offset, tali reimpressioni delle forme
originali sono normali, e una teoria comprensiva dell’esemplare
ideale deve tener conto di questa nuova situazione. Naturalmen­
te, se la prima emissione di un’edizione è anche l’unica, e non ci
sono state reimpressioni delle forme originali (e questa è la situa­
zione della stragrande maggioranza delle edizioni dal Quattro-
cento all inizio dell’Ottocento), emissione, impressione e edizio­
ne coincidono, con un unico e identico esemplare ideale. M a gio­
va in sede teorica distinguere questi tre concetti, per saper proce-

14. Il Tanselle usa questo sostantivo qui in senso astratto, che in inglese si di­
stingue anche graficamente (‘form’) dal sostantivo concreto (‘forme’), con cui si
descrivono le pagine tipografiche serrate per la stampa in un telaio. In italiano,
per entrambi i significati si usa la stessa grafìa.
15. « The standard or ‘ideal’ copy, which is the subject o f a bibliographical de­
scription, is a historical reconstruction o f the form or forms o f the copies o f an
impression or issue as they were released to the public by their producer. Such a
reconstruction thus encompasses all states o f an impression or issue, whether
they result from design or from accident; and it excludes alterations that have oc­
curred in individual copies after the time when those copies ceased to be under
the control o f the printer or publisher» (Tanselle, 46).
98 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

dere nel modo giusto nei casi diffìcili, e la definizione del Tansel-
le aiuta molto a chiarire le idee a questo riguardo.
Tanselle si è contentato di proporre le sue idee in forma teori­
ca, senza fornire un esempio di come in pratica si sarebbe proce­
duto alla descrizione di un esemplare ideale secondo il suo meto­
do. Fortunatamente, possiamo supplire a questa mancanza con
una descrizione veramente esauriente della formula collazionale
di un esemplare ideale che troviamo, se mi posso esprimere cosi,
in famiglia, perché appare in un articolo di Giovanni Crapulli, or­
ganizzatore del presente Seminario. L’articolo in questione, che
tratta della prima edizione delle Meditationes de prima philosophia di
Cartesio, stampata a Parigi nel 1641, è stato pubblicato nel 1979:
esso quindi precede di un anno la pubblicazione del saggio del
Tanselle. Ciononostante, il nostro collega, nell’affrontare il pro­
blema della descrizione dell’esemplare ideale di questa edizione,
è giunto ad una posizione che mi sembra sostanzialmente identi­
ca a quella del Tanselle. La formula collazionale data dal prof.
Crapulli per l’esemplare ideale di questa edizione16 è:
8° a8(± i)è4(-4)A8(± 5)B8(± 3.6,4 4i>)C8-I8K8(2r)L8-N80 8(i 3 4V-6 8 ± 2.7)
P8(6t/-7r)Q8R8S8(ir 4v-jr 8v)T8V8(± 3)X8-2l82K8(ir)2L8(2r 6r)2M82N8(ir
3r 4v~5r éf-7r)2O82P8(-4.5 iv-2r 3V yv-8r)
I numeri fra parentesi tonde preceduti dal segno dell’addizione
e da quello della sottrazione indicano cancellantia, mentre quelli
preceduti dal solo segno della sottrazione (cfr. la seconda segnatu­
ra, é, e l’ultima, 2P) indicano foglietti sottratti dalla segnatura do­
po la stampa perché usati per la stampa di cancellantia (nel caso di é,
per la stampa del cancellans a B4, e nel caso di 2P, per il cancellans dei
foglietti congiunti O2.7).17 Fin qui la formula segue le norme per
la formula collazionale esposte dal Bowers e dal Gaskell.18Dove il
prof. Crapulli dimostra l’originalità del suo trattamento è nell’a-

16. Vedi G. C rapulli, La prima edizione delle « Meditationes deprima philosophia »


di Descartes e il suo ‘esemplare ideale’, « Studia Cartesiana », 1 (1979), 37-9°-
17. Ma il caso di è è ancora piu complesso, perché essa fa parte di un foglio che
contiene anche i cancellantia per A5 e per B3.6; v. C rapulli, op. cit., 54.
18. Vedi B o w ers , Principles..., 196-254; P. G askell , A New Introduction to Bi-
bliography, Oxford 1972, 328-32.
IV • IL CONCETTO DI ‘ESEMPLARE IDEALE’ 99
ver riportato, in forma di numeri in corsivo, anche i foglietti con
testi revisionati, cioè foglietti non cancellati, ma dove si trova ne­
gli esemplari superstiti più di uno stato del testo. In questo modo
la sua descrizione si accosta notevolmente alle proposte del Tan-
selle.
Concludo con alcune considerazioni sui rapporti fra il concetto
di esemplare ideale e la critica testuale. Nel presentare la sua nuo­
va definizione dell’esemplare ideale, il Tanselle osserva: « In par­
ticolare, questo modo di affrontare il problema si distingue dal
concetto normale di un esemplare ideale, al singolare, in quanto
propone che lo standard da descrivere non è un’unica forma pri­
vilegiata ma una serie di alternative che abbraccia tutti gli stati di
ogni foglio di stampa ».19 Con queste parole il Tanselle ha sottoli­
neato la vera novità del suo pensiero, che mentre da un lato com­
plica e rende più diffìcile e laboriosa la costruzione dell’esempla­
re ideale, dall’altro illum ina e chiarisce i rapporti che intercorro­
no fra descrizione bibliografica e critica del testo. Questi rapporti
costituiscono l’argomento della seconda sezione del suo saggio.
Siccome la differenza fra diversi stati di un foglio risiede spesso
unicamente nel testo ivi contenuto, che può essere stato oggetto
di un processo di revisione durante la tiratura, oppure deturpato
da errori meccanici occasionati dal lavoro di inchiostratura, o da
altri incidenti occorsi durante la tiratura, ne segue che l’esemplare
ideale deve per forza tener conto anche di considerazioni testuali,
e non può essere descritto senza la collazione integrale degli
esemplari presi in considerazione. Da parte sua, il filologo non
può procedere allo studio della trasmissione del testo di un’opera
stampata senza aver stabilito la storia della produzione delle varie
edizioni che testimoniano quella trasmissione, senza aver defini­
to, in altri termini, il loro esemplare ideale. Essendo l’intento di
Tanselle soprattutto quello di combattere la falsa idea che nella
definizione dell’esemplare ideale il bibliografo non ha bisogno di

19. « In particular, this approach departs from thè usuai concept o f an ideal co­
py (in thè singular) by suggesting that thè standard to be described is not a single
preferred form but a range o f alternatives that encompasses all thè States o f each
sheet as they were issued » (Tanselle, 47).
100 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

occuparsi di considerazioni testuali, egli non dedica molta atten­


zione ai problemi strettamente filologici, ma nelle sue pagine si
può trovare un’osservazione che ci aiuta a capire il modo in cui le
operazioni del filologo differiscono da quelle del bibliografo.
« Mentre l’oggetto dell’attenzione del bibliografo è una cosa ma­
teriale », scrive il Tanselle, « quello a cui mira il lavoro del filologo
è un’astrazione ».20 In altri termini, il filologo, una volta stabilita,
nei lim iti del possibile, la storia della produzione del lib ro , e defi­
nito cosi il suo esemplare ideale, deve portare la sua attenzione al
testo ivi contenuto; ora, mentre l’esemplare ideale registra tutti
gli stati di una emissione indifferentemente, anche quelli causati
dall’introduzione di varianti inconsce dovute ad errori meccanici,
e non si occupa minimamente della presenza di refusi ed altri er­
rori testuali nei fogli esistenti in un unico stato, il filologo deve
operare una scelta fra i vari stati dell’emissione, basata unicamen­
te su criteri di proprietà testuale, sottoponendo poi i risultati di
questa scelta ad un controllo contenutistico e linguistico, da cui
può risultare una serie di emendamenti testuali. Il testo che risul­
terà dal suo lavoro, se contiene emendamenti, naturalmente non
coinciderà con quello ricavabile dall’esemplare ideale; ma anche
se il filologo non si trova costretto a cambiare il testo dell’esem­
plare ideale in questo modo, il suo angolo visuale lascia che s’insi­
nui nella considerazione dell’esemplare ideale un elemento sov­
versivo, la cui presenza spiega, almeno in parte, la confusione che
è esistita, e che permane ancora, in molti trattamenti del concetto
di esemplare ideale. Quest’elemento sovversivo è costituito dal­
l’importanza primaria che assume per il filologo la questione del­
le intenzioni dell’autore o del tipografo. Anzi, tutti gli sforzi del
filologo sono concentrati nel tentativo di ricostruire il testo nella
forma in cui l’autore o il tipografo avevano avuto intenzione di
produrlo,e dove queste intenzioni non erano state realizzate ap­
pieno, il filologo deve provare a supplire egli stesso alle mancanze

20. «[...] the subject o f the bibliographer’ s attention is a physical object,


whereas the focus o f the critical editor’s attention is an abstraction» (Tanselle,
25).
IV • IL CONCETTO DI ‘ESEMPLARE IDEALE’ IOI

dell’edizione in questione.21Anche dove è possibile identificare il


testo prodotto da questo lavoro critico con quello portato da sin­
goli fogli di un’edizione, il filologo non si preoccupa minima­
mente se l’esemplare che egli va ‘idealmente’ costruendo foglio
per foglio risulti, quanto al testo, un’astrazione mai esistita in real­
tà, e cosi non identificabile con l’esemplare ideale del Bowers e
del Tanselle. In ultima analisi, ciò che il filologo persegue fra le
pieghe dell’esemplare ideale non è un altro esemplare, ancora più
ideale, è un testo, nuova pantera la quale, come il volgare illustre
di Dante, manda dappertutto il suo odore eppure non è in nessun
luogo. Forse sarebbe utile distinguere chiaramente fra l’esemplare
ideale di un’edizione o di una sua emissione, da definire sempre e
solo secondo le regole del Tanselle, e il testo ideale di quella edi­
zione o di quella emissione, ricavabile nella sua totalità solo
dall’esemplare ideale, ma con criteri e procedimenti propri.
Con l’affermarsi internazionale, lento ma irresistibile, della
‘nuova bibliografìa’ anglo-americana, è inevitabile che il concetto
di esemplare ideale venga ristretto a quel significato di ricostru­
zione storica a cui l’ha destinato il pensiero del Bowers e del Tan­
selle, anche se è vero, e generalmente riconosciuto, che come
espressione essa non sia fra le più felici. Spero che le poche consi­
derazioni che ho dedicato all’argomento possano servire a gettare
un po’ di luce in quest’angolo importante, ma spesso ancora oscu­
ro, della descrizione bibliografica.

21. Nel corso di amichevoli discussioni avute con alcuni partecipanti dopo la
lettura della mia comunicazione, soprattutto con Nina Catach e Roger Laufer,
che ringrazio sentitamente per il loro interesse, mi sono reso conto che questa
constatazione è stata intesa come rivendicazione dell’eclettismo editoriale. Tale
non era certo la mia intenzione nello scrivere queste parole, che mirano piuttosto
ad individuare il modo in cui un editore cerca di capire con precisione ciò che è
stato trasmesso attraverso i vari anelli della catena trasmissionale. Si tratta, in altri
termini, di un’operazione ancora a livello di ‘recensio’. Ho già espresso altrove
(The Viewfrom Another Planet: Textual Bibliography and the Editing ofSixteenth-Cen­
tury Italian Texts, « Italian Studies », xxxiv [1979], 71-92; v. supra, 1-32) il mio dissen­
so dalla teoria editoriale anglo-americana del ‘copy-text’, che si giustifica sulla
base di una situazione linguistica totalmente diversa da quella italiana.
A ggiunta

N ei due anni trascorsi dopo la stesura di questa comunicazione


ho avuto alcuni dubbi sulla validità, o meglio sulla praticabilità,
delle proposte del Tanselle riguardo alla definizione e alla descri­
zione dell’« esemplare ideale ». I m iei dubbi possono essere rias­
sunti cosi:

i. M entre in linea di principio mi sembra valida l’affermazione


del Tanselle che 1’ « esemplare ideale » di un’edizione comprende
tutti gli stati riscontrati in quell’edizione, nell’assenza di una for­
mula abbreviata per registrare questi stati, simile a quella usata
per la collazione, la pubblicazione di una descrizione bibliografi­
ca con tutti gli stati di un’edizione può esorbitare dai lim iti del
buon senso. Quest’obbiezione mi si è presentata con molta forza
nel corso del lavoro che ho intrapreso recentemente sull’edizione
definitiva dell’ Orlando furioso, stampata a Ferrara nel 1532 da Fran­
cesco Rosso. Quest’edizione contiene molte varianti fatte duran­
te la tiratura, distribuite in maniera regolare in tutte le parti del
volume. Il numero complessivo delle varianti è più di 250; esse in­
teressano quasi 90 forme tipografiche, di cui una decina sono state
corrette due volte (vedi L. ARIOSTO, « Orlando furioso », Ferrara,
Francesco Rosso, 1532:profilo di una edizione, infra, 245-70). Abbiamo
cosi quasi 200 stati. La registrazione di un numero cosi alto di stati,
con le loro varianti, risulterebbe illeggibile. Il sistema ideato da
Giovanni Crapulli per indicare entro la formula collazionale le
pagine interessate dal gioco delle varianti registra l’ubicazione
degli stati diversi, ma non la loro natura, che è di uguale importan­
za per la descrizione bibliografica. In pratica, chi vuol pubblicare
una descrizione bibliografica che non sia quella di un solo esem­
plare deve, a mio avviso, chiarire a se stesso lo scopo della sua pub­
blicazione prima di decidere quanto del materiale raccolto (che
deve sempre essere comprensivo di tutte le varianti riscontrabili
nell’edizione o nell’impressione in questione) sarà opportuno in-
* Inedito.
IV • IL CONCETTO DI ‘ESEMPLARE IDEALE’ 103

eludere nella sua descrizione: a volte la decisione giusta sarebbe


quella di rimandare ad altra sede la documentazione completa de­
gli stati diversi dell’edizione o dell’impressione sotto discussione.

2. Discutibile mi sembra ora anche un’altra affermazione del


Tanselle, quella che vede 1’ « esemplare ideale» come quello di
una emissione piuttosto che di un’impressione. In un’impressio­
ne con più emissioni, ogni emissione contiene stati propri rispetto
alle altre emissioni, ma essi sono spesso meno numerosi degli stati
propri all’intera impressione; inoltre, negli esemplari presi in esa­
me, stati propri all’intera impressione (creati, ad esempio, da in­
terventi correttori durante la tiratura) potrebbero essere testimo­
niati soltanto in esemplari appartenenti ad un’unica emissione. Se
la nostra descrizione di un’impressione con più emissioni è fram­
mentata in descrizioni dell’ « esemplare ideale » di ogni emissione,
a parte la ripetizione fastidiosa di materiale per gli stati che si ri­
scontrano in due o più emissioni, c’è anche il pericolo di relegare
nella descrizione di una singola emissione stati che appartengono
in realtà all’intera impressione, a meno che non si distingua, nella
descrizione dell’ « esemplare ideale » di un’emissione, fra gli stati
propri a quell’emissione e quelli comuni all’impressione. M a si
potrebbe raggiungere lo stesso scopo in modo più economico de­
scrivendo ordinatamente gli stati dell’intera impressione, distin­
guendo di volta in volta fra quelli che sono propri ad un’unica
emissione, e quelli che sono comuni a più emissioni o a tutte le
emissioni. È un procedimento simile a quello che aveva suggerito
il Bowers, ed equivale a considerare 1’ « esemplare ideale » come
quello dell’impressione, con l’unica differenza che non privilegia,
come aveva fatto il Bowers, la prima emissione rispetto a quelle
posteriori, ma le considera come di uguale valore per la definizio­
ne dell’ « esemplare ideale» dell’impressione.

Nello stendere questa « Aggiunta » non ho potuto consultare il


recente articolo di M. C o c h e t t i , La «copia ideale»:un concetto chia­
ve della bibliografia analitica, « Il Bibliotecario », n (1984), 13-21.
V

U N A N U O V A T E C N IC A PER CO LLA ZIO N A RE


ESEM PLARI DELLA STESSA EDIZIONE*

U n a delle difficoltà che la critica testuale incontra quando deve


occuparsi di testi trasmessi a stampa è la necessità di eseguire la
collazione di numerosi esemplari della stessa edizione, dovendosi
ricercare tutte le possibili testimonianze relative al testo in essa
contenuto. La collazione viene eseguita normalmente affiancan­
do all’esemplare da collazionare la copia di controllo, consistente
in una riproduzione fotografica o fototipica di un esemplare della
stessa edizione scelto come riferimento, e confrontando poi i testi
parola per parola - una procedura questa che spesso diventa faticosa
e soprattutto molto lunga. Alcuni decenni fa uno studioso ameri­
cano, Charlton Hinman, di fronte alla prospettiva di collazionare
i 78 esemplari della prima edizione in folio delle opere di Shake­
speare, conservati nella Folger Shakespeare Library di W ashing­
ton, progettò la Hinman Collating Machine: un grosso e ingom­
brante apparecchio che, grazie alla combinazione di luci e spec­
chi, poteva proiettare su uno schermo centrale le immagini so­
vrapposte della stessa pagina di due esemplari situati sul lato op­
posto dell’apparecchio. Questo sistema si rivelò più veloce e risul­
tò anche molto più accurato della normale collazione eseguita col
confronto fra due volumi affiancati: l’apparecchio, infatti, mette­
va in evidenza con grande facilità la maggior parte delle varianti
di stampa e altresì i casi di caratteri scambiati. Accanto a questi
vantaggi si registravano però degli inconvenienti di non poco pe­
so, comuni del resto al Lindstrom Comparator, l’apparecchio che
venne dopo: eccessivo ingombro, affaticamento degli occhi cau­
sato dalla rapida successione delle immagini luminose, necessità
di aver sottomano nella stessa sede almeno due esemplari del­
l’edizione che si voleva collazionare. Circa mezza dozzina di que­
sti apparecchi entrarono in biblioteche inglesi, ma nessuno, per
quanto ne so, arrivò in Italia.
* Pubblicato in « La Bibliofilia » , l x x x v ii (1985), 65-68.
IOÓ S A GG I DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

Recentemente Giles Barber, direttore della biblioteca della


Taylor Institution (Università di Oxford), ha proposta all’atten­
zione degli studiosi una procedura molto più semplice e pratica:
l’uso di fotocopie trasparenti. Questa soluzione offre al critico te­
stuale la possibilità di portare con sé agevolmente la copia di con­
trollo di cui ha bisogno per effettuare la collazione di esemplari
esistenti in biblioteche speciali sparse nel mondo: in tal modo la
collazione può essere eseguita con la semplice sovrapposizione
della fotocopia sull’esemplare da collazionare anziché confronta­
re, alla maniera tradizionale, due libri affiancati; ciò consente di
ottenere nello stesso tempo i vantaggi che erano propri della Hin-
man Collating Machine. Fotocopie trasparenti sono disponibili
da tempo e vengono spesso usate con la lavagna luminosa. Colle­
ghi dei settori scientifici del Birkbeck College mi dicono che essi
di solito correggono i questionari a scelta multipla proprio sovrap­
ponendo dei trasparenti, un impiego del tutto analogo a quello
ora proposto per il lavoro di collazione di testi a stampa. È Giles
Barber, comunque, il primo ad aver attuato l’impiego delle foto­
copie trasparenti per il lavoro di edizione critica dei testi. Anche
l’applicazione che ho fatto io di questa tecnica, di cui darò qui il
resoconto, deriva interamente dalla sua esperienza.
L’attrezzatura indispensabile consiste in una fotocopiatrice a
secco di buona qualità, cui va aggiunta la collaborazione della bi­
blioteca e/o di un laboratorio fotografico. Giles Barber, per pre­
parare i trasparenti della prima edizione autorizzata del Candido
di Voltaire (1759) e di un altro testo francese del secolo XVIII, si
servi di una copiatrice Sharp SF 771. Non è diffìcile procurarsi pel­
licole trasparenti speciali adatte alla lavagna luminosa, ma Giles
Barber trovò che la sua fotocopiatrice dava risultati ottimali con
l’impiego di fogli di plastica trasparente (melinex) dello spessore
di 125 micron, tagliati in formato adeguato al caso particolare, al fi­
ne di conseguire un sensibile risparmio. Con l’uso di questo ma­
teriale, egli scrive, l’intero procedimento fino alla sovrapposizio­
ne costa all’incirca per ogni pagina 12-15 pence [equivalenti a circa
300/350 lire italiane, n.d.r.].
Le mie fotocopie trasparenti riguardano una delle più note edi-
V • UNA NUOVA TECNICA PER LA COLLAZIONE 107

zioni italiane del secolo XVI: l ’ Orlando furioso del 1532. Questo
grosso volume in quarto di circa 500 pagine è un pezzo da colle­
zione, del quale si conoscono soltanto 24 copie superstiti, la mag­
gior parte delle quali strettamente compresse in pregevoli legatu­
re del Settecento e Ottocento decorate in oro. Quando pensai per
la prima volta di usare fotocopie trasparenti per lavorare attorno
al Furioso del 1532, mi domandai se avrei mai trovato una biblioteca
in grado - e disposta a consentire - di fotocopiare un libro di sif­
fatte dimensioni, età e rarità; ma non avevo tenuto conto dell’in­
traprendenza e dell’abilità tecnica dei bibliotecari della John Ry-
lands University Library di Manchester.1 Essi infatti, valutando
l’importanza dell’aiuto che la fotocopia trasparente poteva dare
agli studiosi, accolsero la mia richiesta producendo dapprima al­
cuni trasparenti che mi consentirono di provarne l’uso su uno de­
gli esemplari dell’edizione presenti allaBritish Library, e in segui­
to provvedendomi di una splendida completa riproduzione
dell’esemplare del Furioso del 1532 posseduto dalla John Rylands
U.L. (proveniente dalla Biblioteca Spenceriana).
I trasparenti fornitimi dalla biblioteca di Manchester furono
ottenuti con una fotocopiatrice a secco U-BÌX.33ORE. Ogni tra­
sparente è di formato A-4 e comprende le due pagine di testo af­
fiancate che si presentano a libro aperto. In totale si fecero poco
meno di 250 fotocopie, che vennero a costare, spese postali com­
prese, circa 85 sterline [equivalenti a circa 200.000 lire italiane,
n.d.r;]. La biblioteca non ritenne opportuno sperimentare l’uso
della plastica già usata dal Barber per evitare rischi di riparazioni
ad un’apparecchiatura assai costosa. Le fotocopie trasparenti mi
furono fornite con interfogli di carta bianca; questo perché, a det­
ta dei fornitori, in assenza di interfogli l’immagine dei trasparenti
nel giro di qualche mese comincerebbe a deperire e a cancellarsi

1. Desidero ringraziare in particolare David W . Riley, FLA, Keeper o f Prin-


ted Books, e il dott. Clive Field, Audio Visual Librarian, per la cortesia e l’aiuto
prestatomi. Sono grato altresì alla British Academy che mi ha concesso una gene­
rosa borsa di studio per le spese della fotocopiatura e del viaggio in Italia in rap­
porto al mio lavoro sul Furioso del 1532. La versione inglese del presente resoconto
è apparsa in «Bulletin o f thè Society for Italian Studies», x v i i (1984), 20-24.
io8 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

per lo strofinio. Uno dei fornitori, Julian Roche Associates, ag­


giunge che ai fini di una lunga conservazione in archivio l’unica
protezione adeguata è offerta da buste isolanti ottenute con trat­
tamento speciale (del costo di sterline 25.20 al centinaio, più i v a ).
L’interfogliatura, ovviamente, raddoppia il peso e l’ingombro
dell’insieme; tuttavia non è risultato troppo scomodo per me por­
tare in viaggio in Italia i trasparenti interfogliati in una grossa bor­
sa. I trasparenti presentano un inevitabile attrito statico, che però
non mi ha procurato inconvenienti seri. Piuttosto apparve neces­
sario, per facilitare il lavoro, dividere a metà ogni trasparente: è
consigliabile inoltre, quando si debba lavorare su volumi con le­
gatura molto stretta, tagliare ulteriormente la fotocopia nel mar­
gine interno, lavoro piuttosto lungo e noioso.
I trasparenti, com’è normale per le fotocopie, differiscono nel
formato rispetto all’originale di circa l’i-2% ;2 questo fatto non
consente di ottenere, neppure nelle migliori circostanze, che la
fotocopia e il testo sottostante combacino in maniera perfetta su
tutta la pagina. Altri fattori quali: distorsioni occasionali sui bordi
dei trasparenti, causate dalla difficoltà di aderenza completa del
volume posto sul piano della fotocopiatrice; oppure l’irregolarità
della superfìcie della pagina - sia della copia di controllo come
dell’esemplare da collazionare - dovuta all’età e allo spessore del
volume; o anche un non uniforme grado di restringimento della
carta attraverso i secoli, hanno prodotto difficoltà nel far comba­
ciare perfettamente le due parti, cosicché in molte pagine mi è ri­
sultato impossibile mettere a registro più di una ‘stanza’ per volta
(ci sono dieci stanze per pagina nel Furioso del 1532, suddivise su
due colonne).
Comunque una collazione completa richiede la lettura del te­
sto completo parola per parola, e tale livello di distorsione, che
probabilmente sarebbe più basso in un volume di minor spessore
o di formato più piccolo (quello del Furioso misura, esclusi i titoli

2. Nei miei trasparenti questa differenza è per difetto, mentre sulle fotocopia­
trici Rank Xerox, a quanto mi informa Rory Gilbert, essa risulta in eccesso del-
1’ 1- 2 % .
V • UNA NUOVA TECNICA PER LA COLLAZIONE 109

correnti e le segnature, all’incirca 183 x 139 mm), non ha conse­


guenze sensibili sul lavoro di collazione. Nel caso dell’unica sosti­
tuzione rilevata in questo volume, che riguarda un intero foglio,
la nuova composizione tipografica salta all’occhio immediata­
mente. Di uguale immediata evidenza e di agevole individuazio­
ne, come ha sottolineato Giles Barber, risultano le modifiche nel­
la disposizione di decorazioni o di altri particolari tipografici, qua­
li i titoli correnti. Varianti che hanno richiesto la sostituzione di
numerose lettere, oppure l’aggiunta o la rimozione di caratteri
entro un’intera linea, sono parimenti facili da individuare. Molto
più insidioso, invece, il caso in cui la correzione riguardi singole
lettere: in questa edizione le bozze furono curate con eccezionale
attenzione se l’Ariosto, o il suo correttore, furono pronti a ferma­
re il torchio per modificare soave in suave\ siffatto tipo di varianti
minime e altre relative ad aspetti materiali, quali i segni di inter­
punzione che si trovano al termine di una linea, possono sfuggire
con facilità all’attenzione del collazionatore. Per ridurre al mini­
mo questo ultimo rischio, i trasparenti debbono essere spostati
leggermente sulla pagina - operazione questa di frequente neces­
saria per mettere a registro le varie parti della pagina. In tal modo
l’elemento di distorsione dei trasparenti finisce col procurare, in
pratica, un vantaggio piuttosto che un inconveniente.
Con l’impiego di questi trasparenti ho potuto collazionare par­
zialmente tre esemplari del Furioso del 1532 e interamente un
quarto esemplare. La collazione eseguita in sovrapposizione è
molto meno affaticante, e assai più facile per gli occhi, di quella
fatta per confronto di esemplari affiancati. Guardando alla mia
esperienza, però, non posso dire che questa nuova tecnica della
collazione sia molto più accurata di quella tradizionale: sull’e­
semplare che ho collazionato interamente (è quello posseduto
dalla Marciana che, in base a testimonianze a mio parere non del
tutto convincenti, si ritiene sia appartenuto a Pietro Aretino),3 mi

3. Si dice anche che il suo fantasma abiti ancora l’appartamento veneziano nel
quale ho alloggiato io, ma, a parte un incomprensibile bisbiglio, egli non ha cerca­
to di comunicare con me durante il mio soggiorno.
no SAGGI DI BIBLIOGRAFIA TESTUALE

sono sfuggite cinque delle 125 varianti esistenti, quattro delle qua­
li raggruppate insieme verso la fine del volume. Non ho motivi
per modificare la mia convinzione, formatasi in seguito al lavoro
di collazione tradizionale su due copie affiancate, che una colla­
zione per risultare definitiva deve essere ripetuta tre volte. D’al­
tra parte la nuova tecnica, secondo quanto ho potuto sperimenta­
re, è otto volte più rapida del metodo tradizionale. Un migliora­
mento di siffatta entità finisce col portare un vantaggio di ordine
qualitativo oltre che quantitativo: riuscire a collazionare la quarta
parte del milione di parole che sono nel Furioso in una settimana,
anziché in due mesi, rende concretamente possibili progetti che
diversamente non potrebbero essere presi in seria considerazio­
ne.
Fino a quando le tecniche computerizzate di collazione attual­
mente in corso di sviluppo non diventeranno largamente accessi­
bili - e dubito che'per gli italianisti ciò possa avvenire prima del
2000, a causa dei ritardi organizzativi che affliggono il sistema bi­
bliotecario italiano - i trasparenti di Giles Barber costituiscono un
notevole passo avanti, perché semplificano decisamente i proble­
mi della collazione multipla.
A g g iu n t a

D opo aver steso questa nota, ho appreso che l’amico Gino Bel-
loni, dell’Università di Venezia, aveva pensato parecchio tempo
fa alla possibilità di usare le fotocopie trasparenti per la collazione
multipla di esemplari della stessa edizione. Purtroppo, le aveva
provate in un caso (la prima edizione del Canzoniere petra rchesco,
stampata a Venezia da Vindelino da Spira nel 1470) dove bisogna­
va confrontare esemplari cartacei ed esemplari pergamenacei.
Ora, per la diversità dei tempi con cui durante i secoli si restringo­
no carta e pergamena, è diffìcile che una fotocopia trasparente di
un esemplare cartaceo possa servire per la collazione di esemplari
pergamenacei della stessa edizione, e viceversa (una limitazione
delle fotocopie trasparenti che avevo notato anch’io lavorando
sul Furioso del 1532). Cosi, scoraggiato dalle sue esperienze, ilB el-
loni aveva modestamente taciuto della nuova tecnica.
M a è ormai chiaro che, quanto alla precedenza nell’uso delle
fotocopie trasparenti per la collazione multipla, l’onore spetta agli
olandesi. Secondo quanto comunicato alla Direzione di « The Li­
brary» dallo studioso olandese H.D .L. Vervliet, dell’Università
di Amsterdam, la tecnica fu usata in Olanda già negli anni Settan­
ta, e una descrizione (in olandese) fu pubblicata in H. F. H o f m a n
et al., Uit bibliotheektuin en informatieveld, Utrecht 1978,209-18 (vedi
«T h e Library», ser. 6, v i i [1985], 301).

* Inedito.
VI

N O T A N O N -F A N T A SC IE N T IFIC A *

L a ricerca bibliografica, come la si presenta in questo volume, sia,


nella prima parte, sotto alcuni aspetti metodologici, sia, nella se­
conda parte, come una tecnica investigativa alle prese con proble­
mi pratici, è un lavoro essenzialmente manuale. Lo si può fare in
gruppi, ma di solito è un lavoro solitario; fatto in gruppi oppure da
soli, è sempre un lavoro lungo, e spesso noioso. Il materiale grez­
zo sono i libri stessi, che raramente lo studioso può consultare e
esaminare a suo agio e quando vuole; di solito egli li deve andare a
cercare in biblioteca, magari in un’altra città, oppure in un altro
paese. Sussidio fondamentale, quindi, sono i cataloghi, che gli per­
mettono di organizzare e di indirizzare i suoi sforzi nel modo più
efficace. Gli strumenti utilizzati nel suo lavoro sono quelli che fa­
cilitano l’operazione dell’ispezione oculare e ne conservano i ri­
sultati: la lente di ingrandimento, gli attrezzi per misurare la gran­
dezza delle pagine e dei tipi, la riproduzione fotografica, la mac­
china da scrivere. Poco importa se questi ultimi due mezzi sono
stati migliorati recentemente, con le fotocopie, anche quelle tra­
sparenti, di cui si parla altrove in questo volume, e con il wordpro-
cessor (non parlo della « Hinman Collating Machine », che non è
mai entrata a far parte delle possibilità di lavoro degli studiosi ita­
liani, ed è del resto un mezzo estremamente scomodo). I miglio­
ramenti apportati con questi attrezzi nuovi accelerano sensibil­
mente il lavoro bibliografico, ma non ne cambiano la natura.
Quanto alla catalogazione e alla descrizione bibliografica, i primi
ottantanni di questo secolo possono essere chiamati l’età della
macchina da scrivere, le cui capacità, o meglio, i cui lim iti hanno
dettato non solo la forma del materiale schedato nei cataloghi del­
le biblioteche, ma anche la natura di quello riportato dai biblio­
grafi (si ricordi che era appunto con riferimento alla tastiera della
macchina da scrivere che il Bowers giustificava la trascrizione

* Inedito.
114 SAGGI DI BIBLIOGRAFIA TESTUALE

della « s » lunga in una descrizione bibliografica, a differenza delle


combinazioni di due lettere, che presentavano problemi pratici
insuperabili).1
In questa nota annuncio la morte di un’era e la nascita di un’al­
tra. Sta per tramontare l’età della macchina da scrivere, anche nel
campo del lavoro bibliografico; l’epoca che seguirà sarà sotto il se­
gno di un attrezzo infinitamente più potente, quel dolcissimo,
possente dominatore della nostra profonda mente, quel terribile,
ma caro dono del cielo, l’elaboratore elettronico. N ella forma del
microcomputer, l’elaboratore è già fra noi come parte del word-
processor, senza aver cambiato niente di essenziale nel nostro la­
voro. M a questo è soltanto perché non abbiamo imparato ad usare
(o meglio, non abbiamo finora potuto usare) che una parte del po­
tenziale del « micro », quella minore e meno rivoluzionaria che
gli permette di funzionare come una segretaria intelligente che
corregge i nostri errori senza mai farne uno essa stessa. Quando
potremo servirci del nostro « micro » anche per collegarci diretta-
mente a un grande elaboratore o a sistemi per la conversione,
l’elaborazione e la trasmissione delle immagini, potremo comin­
ciare a sfruttare davvero le enormi capacità di questo nuovo stru­
mento per la ricerca bibliografica.
L’utilizzazione dell’elaboratore sarà determinante in entrambi
i campi di lavoro che interessano il ricercatore bibliografico, cioè
la catalogazione e l’analisi bibliografica. La preparazione di infor­
mazioni bibliografiche in linguaggio di macchina permette la
conservazione di cataloghi di ogni tipo su elaboratore, con un du­
plice vantaggio per lo studioso. Inanzitutto, essa facilita enorme­
mente l’identificazione degli esemplari dei libri che egli vuol stu­
diare. Per i libri arrivati in biblioteca dopo l’inizio della cataloga­
zione in linguaggio di macchina, è facile, e costa poco, preparare
un catalogo in forma di « microfiche », che può essere frequente­
mente aggiornato e distribuito oppure offerto in vendita agli inte­
ressati. M ettere insieme cataloghi di gruppi di biblioteche acco-

i. Vedi F. B o w e rs , Principles of Bibliographical Description, New York 1962,159-


60.
VI • NOTA NON-FANTASCIENTIFICA II5

múñate dalla posizione geografica o da scopi istituzionali è altret­


tanto facile. M a si può preparare per la registrazione anche il ma­
teriale già in biblioteca al momento di addottare la catalogazione
su elaboratore per le accessioni. Scopo di quest’attività non è tan­
to la catalogazione, perché di solito il materiale in questione è già
stato catalogato, anche se in un catalogo stampato, quanto l’inseri­
mento del materiale in una base-dati.2E qui tocchiamo il secondo
e maggiore benefìcio per gli studiosi del catalogo su elaboratore,
la sua flessibilità, la sua capacità di rispondere quasi istantanea-
mente a numerosi quesiti sul materiale incorporato nella base­
dati, di scegliere e di accomunare dati sparsi. I lim iti sono soltanto
quelli del relativo programma, ma da una base-dati bibliografica
uno può aspettare di avere in un batter d’occhio risposte a do­
mande sull’ubicazione degli esemplari, sugli autori, sui titoli, su­
gli editori, sui tipografi, sui librai, sui luoghi di stampa, sulle date,
sul formato, forse anche sui tipi, separatamente o in combinazioni
(p. es. quali sono i libri che recano nel titolo la parola « comedia/
commedia»? Quali sono i libri in ottavo pubblicati da Melchior
Sessa nell’anno 1534, e qual’è la loro ubicazione?).
Per avere esempi del pieno funzionamento di questi usi biblio­
grafici dell’elaboratore, bisogna per ora andare fuori d’Italia. Leg­
go in una « notizia » inserita dal solerte editore in un fascicolo re­
cente di « La Bibliofilia » che « presso il Cataloging Distribution
Service, Library of Congress, W ashington D.C. 20541, sono di­
sponibili in pubblicazioni mensili (in « microfìche » con riduzio­
ne 48 x ) i cataloghi generali dei libri (abbonamento annuale per
l’estero $ 375.00) e, separatamente, il catalogo generale dei libri
statunitensi (abbonamento annuale $ 235.00) che comprendono
anche 4 indici cumulativi annuali: dei nomi, dei titoli, dei soggetti
e delle serie ».3 Qui vediamo illustrati i vantaggi derivanti dalla ca­
talogazione su elaboratore delle accessioni: il prezzo relativa­
mente basso del catalogo su « microfìche », in confronto a quello

2. Naturalmente i dati relativi a libri già catalogati possono essere aggiunti op­
portunamente anche al catalogo computerizzato delle accessioni.
3. A. O lsch ki , « La Bibliofilia », 87 (1985), 91.
n6 SAGGI DI BIBLIOGRAFIA TESTUALE

stampato (bisogna tener a mente che il catalogo è integrale, cioè,


non soltanto elenca le nuove accessioni, ma le aggiunge al catalo­
go precedente, cosicché ogni aggiornamento è anche una « ri-edi­
zione » dell’intero catalogo registrato su elaboratore); l’aggiorna­
mento frequente e regolare; la produzione di indici. In Italia,
l’equivalente del catalogo della Library of Congress è la «Biblio­
grafìa nazionale italiana», che si pubblica in fascicoli mensili e/o
annuali, sia in forma stampata, sia su nastro. Ciò che manca, però,
è la pubblicazione su « microfìche », la forma di pubblicazione più
comoda per l’utente. La scarsa disponibilità di microlettori nel si­
stema bibliotecario italiano incide anche sulla produzione in Ita­
lia di cataloghi collettivi delle accessioni di biblioteche affini: ip o ­
chi lavori di questo tipo che si sono prodotti, o che si stanno pro­
ducendo, in linguaggio di macchina (ad esempio, il « Catalogo
collettivo di periodici » (Archivio i s r d s / c n r ), e il catalogo collet­
tivo delle biblioteche universitarie del Lazio - progetto c o b b u l )
sono o saranno accessibili soltanto ad un ristretto gruppo di uten­
ti, per la maggior parte bibliotecari: il loro uso generale richiede­
rebbe una provvisione di microlettori molto più generosa di quel­
la attualmente effettuata nelle biblioteche universitarie e in quel­
le che svolgono una funzione di centro di ricerche. Chi scrive ha

zione, servendosi da alcuni anni dell’ «U nion Catalogue» delle


dieci biblioteche principali dell’Università di Londra, pubblicato
su « microfìche » e aggiornato regolarmente, anche se non con la
frequenza del catalogo della Library of Congress; per materie fa­
coltative, com’è, nel sistema universitario britannico, l’italiano, il
cui modesto patrimonio librario è distribuito irregolarmente fra
cinque o sei biblioteche londinesi, quest’elenco è davvero prezio­
so.
La « Bibliografìa nazionale italiana » (a n n a m a r c ) è anche pre­
sente in forma di base-dati sulla banca-dati della Corte di Cassa­
zione, che è accessibile al pubblico non sola a Roma, ma anche, al­
meno teoricamente, in più di duemila altre località sul territorio
nazionale. Ciò che manca per ora in Italia, però, è una banca-dati
esplicitamente ed esclusivamente bibliografica. Per illustrare
VI • NOTA NON-FANTASCIENTIFICA II7

l’importanza che può avere una banca-dati bibliografica per gli


studi non solo bibliografici ma anche più generalmente umani,
mi sia permesso di descrivere brevemente quella della British Li­
brary di Londra, denominata bl ai s e (British Library Automated
Information Service). Il bl a i s e offre all’utente una scelta di basi­
dati a cui collegarsi, tutte regolarmente e frequentemente aggior­
nate. Ne scelgo tre, per indicare l’utilità di questo nuovo stru­
mento. La prima è la «British National Bibliography» (I’ u k -
m a r c ), l’elenco ufficiale di tutti i libri pubblicati correntemente

in Gran Bretagna (cioè, l’equivalente inglese dell’ a n n a m a r c ).4


La seconda è I’ e s t c (Eighteenth Century Short Title Catalogue),
un catalogo di tutti i libri pubblicati in Gran Bretagna nel Sette­
cento, e di tutti i libri pubblicati in lingua inglese in altri paesi in
tale secolo (il catalogo comprende, quindi, anche libri pubblicati
in America). L ’ e s t c è il primo della serie dei « Short Title Catalo-
gues » della British Library ad essere programmato fin dall’inizio
in linguaggio di macchina, e benché soltanto un archivio « sempli­
ce », come lo descrive modestamente il suo ideatore, Robin C. Al-
ston, è in grado di rispondere a domande multiple, come quelle
indicate sopra. Attualmente, la base-dati e s t c comprende soltan­
to i titoli conservati alla British Library, ma la raccolta del resto del
materiale è già avviata (per l’America è in gran parte terminata), e
l’allargamento della base-dati fino ad includere tutta la produzio­
ne settecentesca in lingua inglese è già in corso e verrà portato a
termine in poco tempo.5 Di maggiore interesse per gli italianisti è

4. Il blaise offre anche il lcmarc , che equivale in pratica al catalogo della Li­
brary o f Congress di cui sopra.
5. L ’ estc pubblica un bollettino, « Factotum », che appare due volte all’anno,
ed è distribuito gratis a biblioteche che collaborano nella compilazione del cata­
logo, ed a persone competenti che ne richiedono l’abbonamento. Oltre a notizie
sui progressi del catalogo, il bollettino contiene anche contributi su materiale
portato alla luce dal lavoro di censimento necessario per la compilazione del ca­
talogo. Il bollettino pubblica anche una serie di « Occasionai Papers »; particolar­
mente utili sono i seguenti, entrambi di Robin C. Alston, direttore dell’ESTc:
Searching ESTC Online: a Brief Guide (Occasionai Paper 1), September 1982, e The
First Phase: an Introduction to thè Catalogue of thè British Library Collectionsfor ESTC
(Occasionai Paper 4), November 1983. Dello stesso Alston si può consultare an­
che The Grammar of Research: Some Implications o f Machine-Readable Bibliography,
ii8 SAGGI DI BIBLIOGRAFIA TESTUALE

la terza base-dati del bl a i s e a cui vorrei accennare. Si tratta


dell’iSTC (incunabula Short Title Catalogue), concepito e diretto
anch’esso dal personale della British Library, che consiste di una
base-dati di tutti gli incunaboli di cui si ha notizia; i particolari so­
no presi da repertori già esistenti, come Goff, il Catalogue ofBooks
Printed in theXVth Century now in thè British Museum, I’ i gi , rielabo­
rati in linguaggio di macchina, sul modello dell’ESTC. Dato il nu­
mero ristretto di titoli, in confronto con un progetto come I’ e s t c ,
anche I’ i s t c sarà portato a termine in poco tempo.6 Per chi ha
l’uso di un elaboratore (basta un « micro » provvisto di schermo) e
si è abbonato al b l a i s e , il collegamento si effettua nel modo più
semplice, con il telefono; chi non è in grado di accedere personal­
mente alle basi-dati del b l ai s e può chiedere una ricerca a prezzi
modesti.7
L’equivalente italiano dell’ESTC è il Censimento delle edizioni ita­
liane delXVIsecolo, un « Short-Title Catalogue » in ordine alfabeti­
co di autori, che dal 1981 si sta compilando, con la collaborazione
di quasi mille biblioteche e con l’aiuto di un elaboratore, presso il
Laboratorio per la Bibliografìa Retrospettiva dell’Istituto Centra­
le per il Catalogo Unico delle Biblioteche Italiane e per le Infor­
mazioni Bibliografiche. Data la poca preparazione del sistema bi­
bliotecario italiano per l’uso di materiale prodotto su elaboratore,
e la mancanza di una banca-dati bibliografica italiana su cui inseri-

« The British Library Journal », 11 (1985), 113-22. Colgo l’occasione per ringraziare
Robin Alston del suo prezioso aiuto nella stesura di questa nota.
6. Vedi L. H ellinga , Machine-readable catalogue of Incunabula - ISTC, « The Li­
brary », ser. 6, iv (1982), 367. Già a quella data il catalogo registrava 17,000 edizioni.
Goff = F. R. G off, Incunabula in American Libraries: a Third Census of Fifteenth-Cen­
tury Books Recorded in North American Collections, New Y ork 1973;IGI = Indicegenera­
le degli incunaboli delle biblioteche d’Italia, Roma 1943-81, 6 voli.
7. Per una tale ricerca bisogna indirizzarsi al Computer Search Service, Rea­
ding Room, Reference Division, The British Library, Great Russell Street, Lon­
don W C iB 3DG.Il prezzo per una ricerca « in linea » comincia da poche sterline.
Per informazioni particolareggiate sul blaise e sulle sue basi-dati, nonché sulle
modalità di collegamento, occorre rivolgersi al Marketing Office, The British Li­
brary, Bibliographic Services Division, 2 Sheraton Street, London W iV 4BH.
L’abbonamento al blaise è di 45 sterline all’anno; il costo dell’uso che ne fa un
abbonato è calcolato sulla base di 27 sterline all’ora (prezzi validi per il 1985).
VI • NOTA NON-FANTASCIENTIFICA II9

re la base-dati che risulterà, anzi, che già esiste, come conseguen­


za del lavoro di compilazione del Censimento, la sua pubblicazione
si prevede unicamente in volumi.8 Il Censimento delle cinquecentine
è un’iniziativa estremamente importante, sia per i nuovi dati bi­
bliografici che sono stati e che saranno portati alla luce dal lavoro
di preparazione e dalla pubblicazione dell’opera, sia per la meto­
dologia usata. Spero che non sarà considerato impertinente se chi
scrive, studioso straniero, esorta i colleghi italiani, bibliotecari e fi­
lologi, a favorire entusiasticamente la coraggiosa iniziativa del
Censimento e ad appoggiarla per tutto il corso del lungo periodo
ancora necessario per menarla a buon porto. Come tutti i lavori
umani, il Censimento avrà i suoi difetti, le sue omissioni, i suoi erro­
ri. M a meglio un Censimento delle cinquecentine imperfetto che l’at­
tuale vuoto nella documentazione della produzione tipografica
di un secolo cosi importante com’è il Cinquecento nella storia
culturale italiana ed europea. Niente di più semplice che correg­
gere gli errori di un catalogo registrato su elaboratore; e poi, con
le « microfiches », niente di più facile di una nuova « edizione » del
catalogo, con correzioni e aggiunte.
Se passiamo ora alla descrizione e all’analisi bibliografica, pos­
siamo prevedere alcuni usi estremamente importanti dell’elabo­
ratore in questi campi; ma dovremo aspettare ancora alcuni anni
prima di vedere un influsso molto esteso di questi usi sulla prassi
degli studiosi. Gli usi dell’elaboratore perla descrizione e l’analisi
bibliografica sono connessi con la capacità di cui si può ora dotarlo
di « leggere » un testo stampato. La scansione ottica trasferisce le
immagini delle lettere stampate in forma digitale; in questa forma
esse possono essere utilizzate dall’elaboratore. Una versione ele­
mentare di questa tecnica è in uso da tempo nei grandi negozi per
controllare l’immagazzinamento e la vendita dei prodotti; in al­
cune biblioteche all’avanguardia essa viene applicata anche alla

8. Quando il lettore vedrà queste parole, sarà già apparso un volume provvi­
sorio con la lettera A. Per il Censimento, vedi C. L eoncini -R. M. S ervello , Libri
antichi e catalogazione: metodologie e esperienze. Atti del Seminario di Roma, 23-25 settem­
bre 1981, Roma 1984. Anche il Censimento pubblica di volta in volta un suo bolletti­
no, « Il corsivo ».
120 SAGGI DI BIBLIOGRAFIA TESTUALE

distribuzione dei libri. M a piu significativa per il lavoro bibliogra­


fico è una forma avanzata della scansione ottica, la conversione e
l’elaborazione delle immagini («im age conversion»; «im age
processing »). Sviluppate soprattutto per le necessità dell’esplora­
zione spaziale, e già in uso, o in procinto di essere usato, in alcuni
luoghi per la stampa dei giornali, queste tecniche cominciano ad
essere applicate all’uso bibliografico in alcuni centri degli Stati
Uniti. Alla Smithsonian Institution di W ashington si avvia al
compimento la realizzazione di un sistema per la conversione
delle immagini inteso a registrare e a preservare in forma digitale
l’immagine di un’intera pagina di uno stampato, o di un mano­
scritto. Tale immagine può essere poi ricuperata e esposta su uno
schermo, oppure stampata; essa può essere anche trasmessa in
forma digitale ad altre sedi. Il sistema si serve di apparecchiature
già esistenti (e. g. il « micro » i b m a t ), e il costo sarà relativamente
modesto, certamente non oltre le capacità di una biblioteca o di
un museo di media grandezza.9 U n tale sistema renderebbe su­
perflua la trascrizione a mano del frontespizio di un libro e dei
particolari dei tipi usati, e faciliterebbe il confronto con altri
esemplari; esso faciliterebbe anche l’inclusione nella descrizione
bibliografica di elementi pertinenti alla mise-en-page di un libro, e
risponderebbe cosi ad esigenze nuove che si fanno sentire soprat­
tutto nella bibliografìa testuale francese e inglese.10 M a esso ha
delle possibilità importanti anche per la collazione. La collazione
di due testi con l’uso di un elaboratore è una conquista abbastanza
vecchia, degli anni Sessanta.11 M a a quel tempo c’era un ostacolo
di ordine pratico all’uso generale dell’elaboratore per la critica te­
stuale: la necessità di comporre i testi da collazionare su una ta-

9. Vedi R. A lston , The Smithsonian Project: Image Capture and Retrieval, « Libra­
ry Conservation News », ix (ott. 1985), 6-7.
10. Vedi, ad esempio, i due contributi di R. L aufer , L’espace visuel du livre an­
cien, in Histoire de l’édition française. I. Le livre conquérant: du Moyen Age au milieu du
XVIIe siècle, Paris 1982,479-97, e Les espaces du livre, in Histoire de l’éditionfrançaise. II.
Le livre triomphant 1660-1830, Paris 1984, 128-39.
11. Vedi, ad esempio, H. L ove, The Computer and Literary Editing, in R. A. W i-
s b e y (ed.), The Computer in Literary and Linguistic Research: Papersfrom a Cambridge

Symposium, Cambridge 1971, 47-56.


VI • NOTA NON-FANTA SCIENTI FICA 121
stiera, lavoro spesso lungo e costoso. Con la scansione ottica, que­
sto lavoro noioso è stato eliminato. Inoltre, con il sistema della
conversione delle immagini, si può sperare di poter andare oltre il
confronto puramente testuale di due testimoni, ormai reso facile
dalla scansione ottica normale, ed effettuare sull’elaboratore an­
che il confronto visuale fra due documenti, cioè, nel nostro caso,
fra due composizioni tipografiche, oppure fra due stati della stessa
composizione tipografica. In altri termini, con questo sistema si
potrebbe non solo collazionare due testimoni, ma anche control­
lare le differenze minime fra due edizioni, o fra due esemplari
della stessa edizione. Che si tratti di una meta pienamente rag­
giungibile è stato dimostrato un paio di anni fa da due studiosi
della New Mexico che, indipendentemente dai colleghi della
Smithsonian Institution, hanno perfezionato un sistema per l’ela­
borazione delle immagini progettato specificamente per la colla­
zione di due esemplari della stessa edizione. U n’ «immagine
composita » della pagina o del brano da collazionare, tratta da due
esemplari, viene esposta su uno schermo con le parti identiche
colorite in nero, come sulle pagine di un libro, e le eventuali diffe­
renze colorite in rosso o in azzurro, secondo l’esemplare. Il siste­
ma ha tutti i vantaggi della « Hinman Collating Machine », o delle
fotocopie trasparenti, con in più un « occhio » molto più acuto di
quello umano, e la possibilità di lavorare con fotocopie di qualsiasi
dimensione oltre che con gli esemplari stessi, nonché quella fles­
sibilità per la conservazione e per la trasmissione delle immagini
che gli deriva dalla loro conversione in forma digitale.12
L’elaboratore sta per diventare, dunque, l’ancella della biblio-

12. Vedi P. R. S terneberg -J. M. B rayer , Composite Imaging: a New Technique in


Bibliographic Research, « Papers o f the Bibliographical Society o f America », l x x v i i
(1983), 431-45. Il contributo è illustrato con tavole a colori. A questi nuovi usi
dell’elaboratore per la ricerca bibliografica si aggiungeranno tecniche sempre
più raffinate per l’analisi e la descrizione degli elementi materiali di un libro: ve­
di, ad esempio, per la carta , D. L. V ander M eulen, The Identification of Paper
without Watermarks: the Example of Pope’s «Dunciad », « Studies in Bibliography »,
xxxvii (1984), 58-81, e per l’inchiostro, R. N. S ch w ab et al., Cyclotron Analysis of the
Ink in the 42-Line Bible, « Papers o f the Bibliographical Society o f America »,
l x x v i i (1983), 285-315. Quest’ultima tecnica stabilisce il profilo chimico del mate­

riale analizzato, e può essere applicata anche alla carta.


122 SAGGI DI BIBLIOGRAFIA TESTUALE

grafìa. Le nuove possibilità che il catalogo su elaboratore offre al


ricercatore apriranno nuovi orizzonti per la ricerca sulla storia ti­
pografica, e quindi sulla storia culturale in generale, permetten­
dogli di trovare le risposte a domande finora troppo diffìcili, e poi
di formulare domande del tutto nuove. Nel campo dell’analisi bi­
bliografica la rapidità, la precisione e la completezza con cui si po­
tranno fare la descrizione di un libro e la collazione del suo testo
porteranno a un ripensamento dei canoni descrittivi associati con
il nome del Bowers e con la scuola anglo-americana, e ancora le­
gati all’età della macchina da scrivere, e probabilmente a una loro
rielaborazione per adeguarli al nuovo mondo dell’elaboratore e
alle nuove esigenze degli studiosi.
Quanto alla catalogazione su elaboratore, la nuova era, già in
piena fioritura in alcuni paesi, stenta a raggiungere l’Italia. Le pre­
visioni dei compilatori del Censimento delle cinquecentine per la rea­
lizzazione del loro progetto entro dieci anni sono, a mio avviso,
ottimistiche; questo progetto, poi, avrà il suo pieno effetto sul
mondo erudito italiano solo quando sarà inserito in una banca­
dati bibliografica, che per ora non esiste su territorio italiano. A
parte per gli incunaboli (grazie al progetto dell’isTc), non esisto­
no simili iniziative per i libri italiani di altri secoli, benché scopo
ultimo del Laboratorio per la Bibliografìa Retrospettiva sia la ca­
talogazione del patrimonio librario italiano di tutti i secoli. Do­
vremo quindi aspettare il secolo ventunesimo prima di vedere in
Italia l’influsso benefico sulla ricerca bibliografica del catalogo su
elaboratore. L’uso generale negli studi bibliografici dei sistemi
per la conversione e l’elaborazione delle immagini è ancora lon­
tano, anche nei paesi più avanzati in questo settore: al giorno
d’oggi le tecniche usate sono poco conosciute dai bibliografi e di
diffìcile accesso.
E per questo che il mio annuncio dell’inizio di un’età nuova è
soprattutto per gli orecchi dei giovani. Gli studiosi della mia gene­
razione continueranno a coltivare il loro giardino con il lavoro
delle proprie mani, vedendo la pallida luce dell’alba cedere il pas­
so al chiarore dell’aurora, ma certi di non poter sopravvivere a go­
dere il pieno lume del giorno. Per questo - come per tanti altri
motivi infinitamente più importanti - invidieranno i giovani.
VII

LE DUE EDIZIONI ‘N APO LETAN E’


DELLE «F O R C IA N A E Q UAESTIO N ES »
DI O RTEN SIO LAN D Ò *

S ia Richard Copley Christie sia W alter Llewellyn Bullock, le cui


collezioni di libri a stampa del sedicesimo secolo, ora alla Man­
chester University Library, forniscono una cosi ricca fonte di ma­
teriale di prima mano per lavorare sul Cinquecento italiano, eb­
bero uno speciale interesse per Ortensio Landò.1 L’interesse di
Christie fu probabilmente di origine religiosa, motivato dal lega­
me tra Landò e Etienne Dolet, che divennero amici a Lione
nell’autunno del 1534, e fu corroborato dai deboli ma indubbi le­
gami che vincolavano Landò alla causa protestante, allora e per
tutto il corso della sua vita. L’interesse di Bullock fu stimolato
piuttosto dalla figura di poligrafo del Landò, contemporaneo
dell’Aretino e del Doni, collaboratore di famosi stampatori come
Sebastiano Griffìo di Lione e Gabriele G iolitodi Venezia. M al­
grado, o forse a causa di questa diversità di interesse, Christie e
Bullock misero insieme ciò che ora è la più ricca collezione di edi­
zioni del Landò di qualsiasi altra biblioteca. Dato che chi scrive ha
avuto il piacere di lavorare per parecchi anni sotto la guida di
Kathleen Speight, letteralmente circondato dai libri di Bullock,
sembra questa una occasione particolarmente adatta per tentare
di risolvere uno dei molti problemi bibliografici connessi con le
opere di Landò. L’occasione è - sempre per chi scrive - ancora più
gradita in quanto gli offre pure l’opportunità di riconoscere l’aiu­
to ricevuto dal bibliotecario della Manchester University Library,
Dr. F. W . Ratcliffe, e dal suo predecessore, il compianto Dr. Mo­
ses Tyson, nel lavoro intrapreso su Landò in anni recenti.

* Pubblicato in Collected Essays on Italian Language and Literature Presented to


Kathleen Speight, edited by G. A quilecchia , S. N. C ristea , S. R alphs , Manche­
ster 1971, 123-42.
1. Si veda il Catalogne of thè Christie Collection, Manchester 1915. Non c’è alcun
catalogo pubblicato della collezione Bullock.
124 SAGGI DI BIBLIOGRAFIA TESTUALE

Le due più antiche edizioni delle Forcianae Quaestiones sono le


seguenti:
I. FORCIA/NAE QVAESTIONES,/ in quibus uaria Italorum inge/nia
explicantur, mul=/taq3 alia scitu non/ indigna./Autore Philalethe Poly-
topiensi Ciue./ MAVRITII SCAEVAE CARMEN./ Quos hominum mores
uarios, quas deniq; mentes/Diuerso proferì Itala terra solo/ Quis ue uiris animus;
mulierum &strennua uirtus/ Pulchrè hoc exili codice lector habes./ NEAPOLI
EXCVDEBAT MAR/TINVS DE RAGVSIA. AN=/NO M.D. XXXV./
Col. [D 7r]: NEAPOLI EX OFFICINA/ MARTINI DE RA=/GVSIA. AN-
NO/1535./
8vo. A-D8 . Pp. [2], 3-61, [3].
A ir. Frontespizio.
Aiv. Bianco
A 2 r. FORCIA/NARVM QVAESTIO=/num libri. 11. ad Franciscum
Tur=/chium Patricium Lucensem :/ A u to re Philalethe Po=/lytopiensi
ciue./QVANTA ME BENE=/uolentia prosequatur Vincen=/tius Bonuisius...
[C ir] Sicq;/ in teda discessimus, tanta elati laeticia, utferèdesipere/uideremur./
C ir. 1+ FORCIA/NARVM QVAESTIO=/NVM LIBER II./ NON POSSEM
VER=/bis consequi quanta nos iucun=/ditate illa festina narratio affe/cerit...
[Dsv] Vale &meo no/mine domesti/cos oès/ salu/ta./ (*)/
D6r. ANTIOCHVS LOVIN=/TVS FRANCISCO/TVRCHIO/S.P.D./AV-
DIO FRANCISCE/ te mihi grauiter succensere ... [Dyr] Vale &me/ tui studio-
sissimum/ ama./
D7V, D8r, D8v. Bianchi
29 linee (B8r, C8r = 30 linee), 120 (126) x 67 mm; corsivo, 20 linee = 82.5 mm; tre
iniziali silografìche, Q (A2r), N (Cir), A (D6r), appartenenti, a quanto pare, allo
stesso alfabeto figurato, 28 x 28 mm.

Copie;2Bergamo, Biblioteca Civica, Antesala F.4. retro. 13 (2); Cambrid­


ge, Clare College Library, S.8.5; Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale,
3.L.6.519; Forlì, Biblioteca ‘A. Saffi’ ; Lucca, Biblioteca Governativa,
H.xxx.A.20; Manchester, John Rylands University Library, 4965.2; altro
esempi., Christie 9.C.18; Miinchen, Bayerische Staatsbibliothek,
A.Gr.a.666; Napoli, Biblioteca Nazionale, Mise, xxxm , A.33; Oxford, St.
John’s College Library, Ss.7.16; Paris, Bibliothèque Nationale, X.20079
(3); Pavia, Biblioteca Universitaria, 5.B.32; Roma, Biblioteca Angelica,
+.6.57; Roma, Biblioteca Nazionale, Mise. A.256.21; Città del Vaticano,
Biblioteca Vaticana, Barberini Y.xn.107.

2. Questo elenco non pretende di essere completo. La collocazione dei volu­


mi è data quando conosciuta.
VII • «FORCIANAE QUAESTIONES » 125
2. & FORCIA éb /NAE QVAESTIONES, IN/ quibus uaria Italorum inge­
nia expli/cantur, multaq; alia scitu/ non indigna./ Autore Philalethe Po-
lytopiensi Ciue./ MAVRITII SCAEVAE CARMEN./ Quos hominum mores
varios, quas deniq; mentes/ Diuerso proferì Itala terra solo,/ Quis ve viris animus,
mulierum &strennua virtus,/ Pulchre hoc exili codice lector habes./ NEAPOLI
EXCVDEBAT MAR/TINVS DE RAGVSIA. AN=/NO. M.D.XXXVI./
Col. [C 8r]: NEAPOLI EX OFFICINA/MARTINI DE RA/GVSIA. ANNO/
1536./

8V0. A-C8. Ff. [2], 3-24.


A ir. Frontespizio.
Aiv. Bianco.
A2r. & FORCIA /NARVM QVAESTIONVM LIBRI.II. AD/Franciscum
Turchium Patricium Lucensem, Auto/re Philalethe Polytopiensi due./ QVAN­
TA ME BENEV0 =/lentia prosequatur Vincentius Böui/sius ... [Bsv] Sicq; in
tecta discessi=/mus, tanta elati laeticia, vt fere desipere videremur./
B5 v. «fr FORCIA * /NARVM QVAESTIONVM LIBER.II./NON POSSEM
Verhis consequi quan=/ta nos incunditate illafestina narratio affé/ cerit ... [C7r]
Vale et meo nomie domesticos oès saluta./
C7V. ANTIOCHVS/LOVINTVS FRANCISCO TVR/CHIO S.P.D./ AV-
DIO Francisce te mihigrauiter succense/re... [C8r] Vale &me tui studio=/sissi-
mum ama./
31 linee (C2r = 30 linee, C6r, C 7r = 32 linee), 122 (129) x 77 mm; corsivo, 20 linee =
79 mm; tre iniziali silografiche, Q (A2r), N (Bsv), A ( C 7 V ) , ognuna delle quali
pare appartenere a un differente alfabeto e non assomiglia a quelle dell’edizione
1535; Q - 34 x 34 mm; N = 27 x 26 mm; A = 25 x 23 mm.

Copie:3 Bergamo, Biblioteca Civica, Sala I.logg.H.2.17; Cambridge


(Mass.), Harvard University Library; Firenze, Biblioteca Nazionale
Centrale, 3.L.6.519; London, British Library, 8405^.41; Manchester, John
Rylands University Library, Bullock 343424; altro esempi., Christie
9.C.19; Modena, Biblioteca Estense, A.16.B.7; München, Bayerische
Staatsbibliothek, H.Lit.P.295 m; New Haven, Connecticut, Yale U ni­
versity Library; New York, Columbia University Library; Paris, Biblio-
thèque Nationale, ^7399(4); Parma, Biblioteca Palatina, B*.VI.2328;
Philadelphia, University of Pennsylvania Library; Pisa, Biblioteca U ni­
versitaria, Misc.437.3; Città del Vaticano, Biblioteca Vaticana, Ferraioli
V.7Ó23.int.n; altro esempi., Rossiana 6190; Treviso, Biblioteca Comuna-

3. Si veda la n. 2. Sono riconoscente al Professor Paul F. Grendler per avermi


fornito precise segnalazioni di esemplari delle biblioteche nord-americane.
12 6 SAGGI DI BIBLIOGRAFIA TESTUALE

le, 2365/2; Venezia, Biblioteca Marciana, Mise. 1387.5; Washington,


D.C., Folger Shakespeare Library.
Come dimostrato da questo elenco di copie superstiti, entram­
be le edizioni sono ben conosciute. L’edizione del 1536 fu citata
dal Tiraboschi e da Cristoforo Poggiali;4 l’edizione del 1535 fu ri­
portata per la prima volta, per quanto mi risulta, nel Catalogo delle
opere di Messer Ortensio Landò pubblicato da Salvatore Bongi nella
sua edizione delle Novelle del Landò.5

Recentemente, nel corso di un lavoro in progress su un’edizione


di alcune opere del Landò, ho avuto occasione di esaminare atten­
tamente queste due edizioni, e mi sono convinto che esistono
chiari motivi per dubitare dell’autenticità delle loro note tipogra­
fiche, soprattutto per quanto riguarda il luogo di stampa. Questi
motivi possono essere esposti come segue.
1. Una delle difficoltà nell’accettare l’origine napoletana di
queste edizioni sta nella presenza del seguente passo nel Libro 1
dell’opera:
Olim splendidissime vestiebant Mediolanenses: sedpostquam Caro-
lus Caesar in eam urbem tetram et monstruosam Bestiam immisit, ita
consumpti et exhausti sunt, ut vestimentorum splendorem omnium ma­
xime oderint, et quemadmodum ante illa durissima Antoniana tempora
nihil aliud fere cogitabant quam de mutandis vestibus, nunc alia cogi-
tant, ac mente versant. Non potuit tamen illa Leviana rabies tantum per­
dere, neque illa inexhausta depredandi libidine tantum expilare, quin a
re familiari adhuc belle parati sient, atque ita vestiant quemadmodum
decere existimant. Et certe nisi illa Antonii Levae studia egregios quos-
dam immitatores invenissent, meo quidem iudicio, nulli cederent.6

Questi commenti franchi ed espliciti sono diretti contro uno


dei principali rappresentanti dell’Impero in Italia, Antonio de
Leyva, nominato Capitano generale degli eserciti della lega italica

4. G. T irabosch i , Storia della letteratura italiana, vii , Milano 1822-6, 1185; C.


P o ggiali , Memorie per la storia letteraria di Piacenza, 1, Piacenza 1789, 188.
5. Novelle di M. Ortensio Landò, Lucca 1851, xxxm.
6. Forcianae Quaestiones, 1535,15-16, A8r-v. Il passo è ripetuto nell’edizione 1536
(c. 7 r, A 7 r).
VII • «FORCIANAE QUAESTIONES » 127
nel 1533, con quartiere generale a Milano, e creato Luogotenente
generale di Milano alla morte dell’ultimo duca sforzesco France­
sco II, all’inizio del novembre 1535, quando la città di Milano rico­
nobbe Carlo V come suo sovrano.7E diffìcile credere che essi fos­
sero apertamente pubblicati nel medesimo anno 1535, in una edi­
zione che porta la data topica « Napoli », l’altra maggiore città im ­
periale d’Italia.
2. Nelle ultime pagine delle Forcianae Quaestiones c’è un reso­
conto di alcune delle circostanze che condussero alla pubblicazio­
ne dell’opera. L’autore ci informa che poco dopo aver completato
il testo, gli fu necessario visitare Napoli. Una volta giuntovi scopri
che qualcun altro, uno studiosus iuvenis, noiialtrim enti identificato,
aveva steso un resoconto delle discussioni tenute a Forci, che for­
niscono la materia all’opera del Landò. Venendo a sapere che il
giovane era sollecitato a pubblicare il suo lavoro, Landò tentò di
entrare in possesso del manoscritto. Non riuscendo a conseguire
questo scopo con mezzi leciti, ricorse a quelli illeciti: lo rubò. In
seguito mandò il testo di questo giovane, insieme con il proprio
lavoro, a Francesco Turchi, dedicatario delle Forcianae Quaestiones,
residente apparentemente a Lione. Turchi era contrario alla pub­
blicazione di qualunque opera che recasse il suo nome; pertanto
Landò lo consigliò di cancellare ogni traccia di esso, se la pubblica­
zione fosse avvenuta nella sua città. Per parte sua, Landò si impe­
gnò ‘omni [sua] opera, cura, gratia et diligentia’ a fare in modo che
le Forcianae Quaestiones non fossero mai pubblicate.8 In che modo
allora, si potrebbe a buon diritto domandare, l’opera con la dedica
al Turchi vide la luce? La risposta è fornita dalla lettera che appare
alla fine del testo, indirizzata al Turchi da Antiochus Lovintus. In
questa lettera Lovintus accetta la responsabilità della pubblicazio­
ne, sapendo che è cosa contraria ai desideri del Turchi, scusandosi
col pretesto del grande interesse dell’opera, e col fatto che già cir­
colava manoscritta, ‘plusquam in trecenta exemplaria’.9 Sia il Lo-

7. F. C habod , Milano contesa e Milano spagnuola, in L’epoca di Carlo V (1535-


1559), Storia di Milano, ix, Milano 1961, 3-9.
8. Forcianae Quaestiones, 1535, 57-58, D5r-v.
9. Forcianae Quaestiones, 1535, 59-60, D6r-v.
12 8 SAGGI DI BIBLIOGRAFIA TESTUALE

vintus una persona reale o meno, non c’ è dubbio che la lettera sia
stata scritta dall’autore delle Forcianae Quaestiones; analoghe lette­
re fittizie compaiono alla fine di altre opere pseudonime del Lan­
dò.10
Questo resoconto del tutto grottesco degli avvenimenti che
stanno intorno alla pubblicazione delle Forcianae Quaestiones deve
ovviamente essere preso con un pizzico di sale, e dal momento
che il viaggio del Landò a Napoli è parte integrante del racconto, i
sospetti facilmente si estendono alla indicazione del luogo di
stampa delle due edizioni. Questi sospetti sono accresciuti da ciò
che sappiamo della biografìa del Landò in quel periodo. Se è vero,
come afferma la testimonianza di Johann Albrecht von W idm an-
stetter, che intorno al 1530 Landò era eremita agostiniano nel mo­
nastero di S. Giovanni a Carbonara a Napoli,11 sembra strano che
dopo aver lasciato l’ordine egli sia ritornato in una città dove era
conosciuto come monaco rinnegato e li abbia preparato la pubbli­
cazione di un’opera, in particolare un’opera che descrive avveni­
menti che accadono a Lucca ed è dedicata ad un mercante lucche­
se residente a Lione.
3. Ulteriori motivi per dubitare dell’autenticità delle note tipo­
grafiche riguardanti il luogo di stampa sono forniti da alcuni
aspetti tipografici delle due edizioni. Sono impiegati due separati
e distinti corpi di carattere corsivo, cosa per se stessa piuttosto sor­
prendente per uno stampatore napoletano di questo periodo, par­
ticolarmente per uno che a malapena può essere definito una fi­
gura di qualche importanza nella storia della stampa, dal momen­
to che, oltre le due edizioni delle Forcianae quaestiones, nessun’altra
sua edizione è ricordata. Mentre il carattere corsivo dell’edizione

10. I Paradossi del Landò (1543) e il suo Commentario delle cose d’Italia (1548) ter­
minano con lettere rispettivamente di Paolo Mascranico e Niccolò Morra, en­
trambe ovviamente scritte dall’autore. Il Catalogo detti inventori dette cose, anch’esso
del Landò, e pubblicato nel medesimo volume del Commentario, termina con una
Brieve apologia di M. Ortensio Landò per l’autore del presente catalogo, che adempie alla
medesima funzione delle lettere.
11. La testimonianza di Von Widmanstetter è discussa nel mio articolo Per la
vita di Ortensio Landò, « Giornale storico della letteratura italiana », c x l i i (1965),
243-58.
VII • «FORCIANAE QUAESTIONES » 129
del 1536 è fìtto e inelegante (Tav. V 2), quello dell’edizione del
1535 è di alta qualità (Tav. V i).12 Le tre iniziali silografìche
dell’edizione del 1533 appartengono chiaramente ad un unico al­
fabeto figurato, e sono del tutto diverse stilisticamenteTdalle tre
iniziali eterogenee trovate nell’edizione del 1536. Altri corpi di
carattere corsivo ricordati per Napoli sono quelli usati da Cateri­
na M ayr nel 1520 e dallo Sultzbach negli anni ’30, ma sono diversi
da quelli impiegati nelle due edizioni delle Forcianae Quaestiones.13
Nessun altro stampatore napoletano dell’epoca sembra avere
avuto un corpo di carattere corsivo. In verità, Martinus de Ragu-
sia è un mistero nella stampa napoletana del sedicesimo secolo;
esce dal nulla con i suoi due corpi di carattere corsivo ed una evi­
dente abilità tipografica, e scompare nella dimenticanza con la
stessa rapidità con la quale era apparso.
Sebbene queste tre considerazioni non costituiscano, sia singo­
larmente sia complessivamente, prove conclusive della falsità del
luogo di stampa, esse sembrano avere un peso sufficiente per giu­
stificare indagini su altri possibili luoghi di origine delle due edi­
zioni.

Sospettare che un libro abbia note tipografiche false è una cosa,


dimostrare che fu stampato in qualche altro luogo è cosa comple­
tamente diversa. In assenza di prove documentarie, che per ovvi
motivi sono raramente disponibili in questi casi, si deve lavorare
unicamente sugli elementi offerti dai libri stessi. Nel caso delle
due edizioni delle Forcianae Quaestiones le tre iniziali silografìche
sembravano offrire gli elementi più utili a confortare il sospetto,

12. Le illustrazioni sono state riprodotte rispettando il più fedelmente possi­


bile le loro effettive dimensioni.
13. Per i caratteri corsivi della Mayr e di Sultzbach, si veda L. B alsam o -A. T in -
to , Origini del corsivo nella tipografia italiana del Cinquecento, Milano 1967,119-120;
149. Il carattere corsivo di Sultzbach è un precoce esempio di quelli ispirati ai di­
segni di Ludovico degli Arrighi, ed è spaziato piuttosto ampiamente (20 righe =
107 mm). Il carattere corsivo della Mayr, usato anche da Marcello Silber a Roma,
è più vicino per dimensione (20 righe = 85 mm) e stile ai caratteri delle Forcianae
Quaestiones, particolarmente a quelli dell’edizione 1535, ma ha una caratteristica
coda sulla sbarra della « e », assente in questi ultimi.
130 SAGGI DI BIBLIOGRAFIA TESTUALE

dal momento che, in questo periodo, l’alfabeto silografìco era an­


cora prodotto individualmente. L’identificazione mediante il so­
lo carattere, sebbene spesso indispensabile in assenza di altre in­
formazioni, è un esercizio altamente tecnico e spesso di esito in­
certo. Nel nostro caso, intorno alla metà del decennio 1530-1540, il
carattere corsivo era molto usato in Italia, Svizzera e Francia, e
molti corpi erano in effetti identici.
U n suggerimento circa il punto da dove poteva essere redditi­
zio iniziare l’indagine venne dalla collazione del testo delle due
edizioni. Tra le varianti c’era la seguente serie di lezioni, che
comprendevano commenti ostili ai Veneziani:

1535 1536
Noctu autem [Veneti] dum scor- Noctu autem dum scortantur, ac
tantur, ac potant, Hispanicis pal- potant, Hispanicis palliolis utun­
liolis utuntur. Si non habeant, dant tur. Ferrarienses ac Mantuani nihil
omnem operam ut aliunde, quo iure, tam diligenter curant... (f. 7r, Ayr)
quoque iniuria corradant, cogunturque
interdum peregrini suos deserere. Fer-
rarienses ac Mantuani nihil tam
diligenter cu ran t... (p. 16, A8v)
Fingunt condonare Veneti, sed si Fingunt condonare Veneti, obli-
aliquando nanciscantur ulciscendi lo- viscuntur iniuriarum Mutinenses,
cum, nulli crudelius ulciscuntur. Obli- ac Regienses ... (f. 8v, A8v)
viscuntur iniuriarum Mutinenses,
ac Regienses ... (p. 20, B2v)
Sunt Veneti omnium libidinosis­ Sunt Veneti omnium libidinosis­
simi, sine delectu amant, sunt e- simi, sine delectu amant, sunt e-
tiam in amore nulla constantia ... tiam in amore nulla constantia ...
ubi potiti fuerint, statim despici- ubi potiti fuerint, statim despici-
unt, eandem non saepe adeunt, si unt, eandem non saepe adeunt.
se facilem non praebeat de inferendo Cognovi Ferrarienses amoribus
vi cogitant. Cognovi Ferrarienses deditissimos ... (f. 91, B ir)
amoribus deditissimos ... (p. 21,
B3r)
Student piacere Mediolanenses Student piacere Mediolanenses
oppiparis conviviis ... coreis Man­ oppiparis conviviis... coreis Man­
tuani, Perusini minis ac blasphe- tuani, Perusini minis ac blasphe-
miis, Veneti illa sua ridicula mag- miis, Veneti illa sua magnifìcentia
t 1' • '■
{ • ; q tM É ft tIB. il. . 0
tofcremière cupk aggredir. Hocerat animi mei con
fili^pràntmmdic^enmejfcfixmri^fanBwitecr
religione uiris inférma dónde ofondere nuUmfuìf*
fi onquimtamexceUetitemprofifionan, inqmfbmk
nemmexctUwrintyHosfimultosbabetiifanBitite'tn*
f^^bdm crfaam ike. Asteabasrnnit mmentori
GtùU^qu*Gottonmtemporibus Rome ckruU,deinde
tuda qum mbeHmi»dnpro(Arifiiefitglorufup
pUcioafjé^efi^fhemóJmutlocctfírunt Paularlo
nica^fiÜa^ffm^mduée rmUàresjtc mirabili finOi
me mftffttt. Poffumetiamfi uebmmultas utrguneuUiA
adducere^qua mmfolumreUgbfijfiime uixerintjed in*
trepide crucidtm nudtos prò Cbrifligloria promoum=
da pertulerintjiit Auftribcram^mtolkm, Arufhfidrrt
AntonutntyAgnctem, quartondumdecimumtertium<m

<IYASY+ ‘ H I/ I. Il
commmommrm vrbim firn ipfi defofieret.
¡Sud enim rMndnem jadt.tgo de m primm dietim quxpri,
tmm in menttm veneriti^ rmim pmfùs mttonem habetts m m
tiquitnti^mjpUndoris, mt mriwrtm.Occurrmt primm C<t* ,
Im infim t m peregrinos offieiofu (fi fit etm iisjùciendi Iteri jpes
dift*)<dioqMÌ quèttum pojfunt vitant, dut donant qm fpermint
(7 odermt-Amnt pengrimm Ueopolintnifi quippim b d ett
in fi eyàmitm exoeUemtl,u<tnfis verò.wnfolum m antfid »
Mennturtifafi m m offidigenere <mpleButurt(mtentq*t ne qitid
fi incarnitoli pttidtur.Floremini ftmt offidofi yX^rexst enfili*
mdHtttuf mm&dm vHm rejpc&4nttSi diutnu apud iHosfùt
ris,&filfas xsf fortunar rnnes aperimt.Senenfis non minore co
tcntione ptoextemcrtm damane mmnt qttàm piotris xy fòds
Smtverbis offidofiVtneti, Aftcnfis mhil tm fidum tquofibi ex
m dhm baminm beneuéentvtm condlient.Similifìmt ingenia
VeraUtnfis, asrmnt fimd depromeretidd bo/pitum beneuo t*
T a v . V. i. L ando , Forcianae Quaestiones, 153$, p. 39, C4r.
2. L ando , Forcianae
Quaestiones, 1536, c. n r, B31:. Vedi pp. 129 e 132.
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VII * «FORCIANAE QUAESTIONES » I3I
nificentia et insana iactantia, Bo- [et] iactantia, Bononienses donis
nonienses donis ... (p. 24, B4v) ... (f. ior, B2r)
Senenses non minore contentione Senenses non minore contentione
pro externorum dignitate certant pro externorum dignitate certant
quam pro aris et focis. Sunt verbis quam pro aris et focis. Sunt verbis
tantum officiosi Veneti, re ipsa nihil officiosi Veneti, Astenses nihil
prorsus. Astenses nihil non faciunt non faciu n t... (f. n r, B3r)
... (p. 26, B5 v)

Anche senza aver stabilito le relazioni tra i testi delle due edi­
zioni, queste varianti indicavano che valeva la pena di cercare le
silografie del 1536 nelle edizioni veneziane, dal momento che una
ovvia spiegazione delle varianti medesime era che brani conside­
rati offensivi per i veneziani o per il loro governo fossero stati eli­
minati nell’edizione del 1536 da un editore veneziano. Grazie al
prezioso ‘Index of Printers and Publishers’ alla fine àeWltalian
Short-title Catalogue della British Library, un’indagine che altri­
menti sarebbe stato troppo laborioso intraprendere si concluse
presto con successo. Tra i volumi pubblicati da uno dei primi ti­
pografi esaminati, Melchiorre Sessa, che stampò e pubblicò nel
1534 un’edizione del Cicero relegatus et Cicero revocatus del Landò,
trovai la silografia della A iniziale impiegata nelle Forcianae Quae-
stiones del 1536 in una edizione del 1533 del Tesoro di Brunetto Lati­
ni, ed anche in una edizione in-folio del 1539 del Toscanello in musi­
ca, di Pietro Aron (Tav. vi 1-3). Non c’era alcun dubbio che fosse il
medesimo legno, caratterizzato da una piccola incrinatura sopra
la cima della lettera, da un’altra rottura nella traversa della A, e da
una terza frattura alla sommità del lato sinistro. Inoltre nel Tosca­
nello del 1539 c’era la Q caratteristica e brutta che appare nelle For­
cianae Quaestiones del 1536 (Tav. vi 4-5). Queste prove lasciano po­
chi dubbi riguardo all’origine veneziana delle Forcianae Quaestio­
nes del 1536. La vendita o la trasmissione di legni e caratteri da uno
stampatore all’altro, o la loro circolazione a prestito tra gli stampa­
tori della medesima città, particolarmente tra quelli legati da rap­
porti d’affari, era tutt’altro che insolita. M a qui, se le Forcianae
Quaestiones del 1536 sono realmente stampate da Martinus de Ra-
gusia, avremmo un caso nel quale uno stampatore prestò o ven-
132 SAGGI DI BIBLIOGRAFIA TESTUALE

dette un paio di legni ad un collega, che li portò in un’altra parte


d’Italia, stampò un libro, e poi, al suo ritorno, li restituì o rivendet­
te al loro originario possessore. Tutto ciò non è impossibile, ma,
come ha detto Carlo Dionisotti, « il possibile è per definizione
materia di romanzo, non di storia. Compito dello storico è di sce­
verare dal possibile il probabile e dimostrarlo tale ».14 La spiega­
zione più convincente delle prove addotte è che l’opera sia stata
stampata a Venezia. Sessa era capo di una delle più grandi aziende
dell’epoca; la sua stamperia non era in grado di sbrigare l’intera
mole degli affari, ed egli ricorreva in modo considerevole ad altri
stampatori, come Giovanni Antonio Nicolini da Sabbio e Bernar­
dino Bindoni. Tuttavia, sia il Brunetto Latini del 1533 che il Tosca-
nello del 1539 furono non solo pubblicati ma anche stampati dal
Sessa: da ciò si può dedurre che le Forcianae Quaestiones del 1536 fu­
rono effettivamente stampate nella sua stamperia. Questa con­
clusione viene confermata dalla osservazione dei caratteri usati
(Tav. v 2). Sebbene sia diffìcile raggiungere la certezza in simile
materia, non c’è alcun dubbio che il carattere corsivo delle Forcia­
nae Quaestiones del 1536 corrisponda alla descrizione del corsivo di
Sessa data da Luigi Balsamo:
... il corsivo usato in edizioni di M archio S essa... degli anni 1531-36 ... è
scadente e irregolare nel disegno, ha lettere n on ben allineate o caduche
... V i è usata com e iniziale la v; la z corta ha il tratto superiore legger­
m ente m osso; la x presenta ingrossate le estrem ità delle aste. Si notano
ancora la d e l’ a zoppicanti, ed in oltre l’ h con l’ ansa che si restringe in
basso più sensibilm ente che nei disegni precedenti. I particolari più ca­
ratteristici risultano: le num erose legature (com presi in e un, la doppia
1), e soprattutto i gruppi ra e re, frequenti, in cui la vocale rien tra sotto il
braccio della r.15

14. C . D ionisotti , A p p u n t i s u a n tic h i testi, « Italia medioevale e umanistica »,


vii (1 9 6 4 ), 95-
15. B alsam o -T into , O rìg in i d e l c o r s i v o n i. La misura di venti righe data dal
Balsamo (81 mm) è leggermente più grande di quella delle F o r c ia n a e Q u a e s tio n e s
del 1536 (79 mm). Tuttavia, come il Balsamo giustamente rileva ( O rig in i d el
c o r siv o ..., 41, n. 31), le alterazioni causate dalle condizioni atmosferiche che han­
no per secoli influito sulla carta dei libri sui quali le misurazioni sono state con­
dotte ci autorizzano a trascurare piccole discrepanze di tal sorta.
VII • «FORCIANAE QUAESTIONES » 133

Dunque il carattere e le iniziali silografìche provengono entram­


bi dalla medesima fonte, la stamperia di Melchiorre Sessa.
La felice conclusione di queste indagini sulla stampa delle For-
cianae Quaestiones del 1536 naturalmente agi come sprone per af­
frontare il problema dell’edizione del 1535. Se la soluzione qui fu
conquistata più lentamente, chi scrive deve incolpare soltanto la
propria ottusità, dal momento che erano rintracciabili indicazioni
tanto nel resoconto della pubblicazione dato dal Landò nel testo,
quanto nella storia dell’edizione del 1536, descritta sopra. Le os­
servazioni di alcuni amici sull’aspetto tipografico ed iconografico
dell’edizione del 153516 suggerirono che il suo luogo di origine si
trovasse probabilmente fuori d’Italia, e fu in questa direzione che
si avviarono le indagini. Si sapeva che negli anni ’30 Landò aveva
avuto legami con Lione, dove nel 1534 era stata pubblicata un’ altra
edizione del suo Cicero relegatus et Cicero revocatus, ma ritenendo
una coincidenza forse troppo voluta il supporre che le due edizio­
ni ‘napoletane’ delle Forcianae Quaestiones fossero state stampate in
città già collegate con la stampa del Cicero del Landò, il lavoro si
indirizzò dapprima verso Basilea, un altro importante centro ti­
pografico con il quale Landò aveva qualche rapporto. La scelta di
Basilea fu in parte motivata anche dall’esistenza di un ‘Index of
Printers and Publishers’ nel German Short-title Catalogne della Bri-
tish Library, strumento prezioso, senza il quale, come è stato det­
to, questo tipo di ricerca esige una cosi grande quantità di tempo
da risultare anti-economico: emerse però che Basilea non era il
luogo di origine dell’alfabeto figurato usato nelle Forcianae Quae­
stiones del 1535. Divenne chiaro che, se la ricerca doveva prosegui­
re, bisognava esaminare con attenzione la produzione degli stam­
patori di Lione. In assenza di un ‘Index of Printers and Publi­
shers’ nel French Short-title Catalogne della British Library, questo
compito si dimostrò un’impresa enorme, fmtanto che il Dott. J.
Jolliffe, del Department of Printed Books della British Library,
gentilmente mise a mia disposizione le sezioni del suo personale

16. Chi scrive è molto grato a Dennis E. Rhodes e al compianto Roberto


Weiss per il loro aiuto in questa materia.
134 SAGGI DI BIBLIOGRAFIA TESTUALE

indice relativo agli stampatori ed editori dei libri francesi quattro-


e cinquecenteschi appartenenti alla British Library. Grazie a que­
sto inestimabile aiuto, il successo fu presto raggiunto. Le iniziali
silografìche delle Fordanae Quaestiones del 1535 furono trovate non
nelle edizioni dell’amico del Landò, Sebastiano Griffìo, stampa­
tore ed editore del Cicero di Lione del 1534, ma in quelle dei fratelli
M elchior e Gaspard Trechsel, appartenenti ad una famiglia di ori­
gine tedesca, il cui padre, Jean, e il patrigno, Jean Klein, erano stati
stampatori a Lione sin dal 1488. Le iniziali ricorrono in parecchie
delle edizioni stampate dai fratelli Trechsel tra il 1530 e il 1539; in
particolare, è dato trovarle numerose volte in un bel Tolomeo
stampato nel 1535 (Tav. vii 1-6),17 Questo volume contiene inoltre
la maggior parte delle altre lettere del medesimo alfabeto silogra-
fìco.
La scoperta delle iniziali silografìche delle Fordanae Quaestiones
del 1535 nei libri di uno stampatore di Lione pone fine ovviamente
all’esistenza di Martinus de Ragusia. Nel caso dell’edizione del
1535, riesce a stento credibile che uno stampatore abbia preso a
prestito una serie cosi frequentemente usata quale l’alfabeto figu­
rato dei Trechsel, sia andato a Napoli per stamparvi le Fordanae
Quaestiones del 1535 e sia poi tornato a Lione per restituire quella
medesima serie ai Trechsel. M a anche supponendo che ciò sia
possibile, se non si vuole revocare in dubbio l’esistenza di M arti­
nus, si deve allora credere che egli si sia affrettato subito alla volta
di Venezia, abbia preso a prestito i legni e i caratteri di Sessa, e di
nuovo sia ripartito per Napoli, per stamparvi l’edizione del 1536.
Insomma, Martinus de Ragusia è persona fittizia. Entrambe le
edizioni ‘napoletane’ delle Fordanae Quaestiones hanno false da-

17. Per i Trechsel e Jean Klein si veda H. B audrier , B ib lio g r a p h ie ly o n n a ise , sé­
rie xii, Lyon-Paris 1921, 230-306. Altri volumi dei Trechsel alla British Library
contenenti le iniziali silografìche in questione sono:J. Rainerius, O r a tio , 1532 (N:
A2r), S. Champier, C a m p u s E l y s i u s G a llia e , 1533 (Q: H2r), e P e ria rc h o n , 1533 (A:
Aa3r), C. Hegendorff, D ia le c tic a e le g a lis libri, 1534 (Q: l7r), Senofonte, D e C y ri m i­
n o n s e x p e d itio n e , 1536 (A: A2r; Q: D iv, Fir, Hiv, Ó8r), S. Champier, D e m o n a rc h ia
a c trip lici im p erio , 1537 (A: A3r), L e s sim u la c h r e s e t h isto rié e s f a c e s d e la m o rt, 1538 (Q:
Hi r). Nel T o lo m e o del 1535, la N appare quattro volte, la Q tredici volte, la A venti­
cinque volte.
VII • «FORCIANAE QUAESTIONES » I35

te topiche: l’edizione del 1535 fu stampata a Lione, quella del 1536


a Venezia.
In assenza di uno studio particolareggiato sui corpi del corsivo
in uso a Lione, non è possibile identificare con certezza il proprie­
tario del carattere corsivo usato nell’edizione del 1535; la questio­
ne è resa più delicata dal fatto che i corpi di carattere usati negli
anni ’30 da Griffìo e dai Trechsel sono quasi identici. Per ora tutto
quel che si può dire è che il carattere usato nelle Forcianae Quae-
stiones del 1535 è strettamente connesso tanto col corsivo del Grif­
fìo, quanto con quello dei Trechsel, ma che non è dato trovare in
nessuno dei due uno dei suoi tratti caratteristici, la legatura « go »,
con la parte più bassa della g nettamente inclinata a destra.

Il fatto che nessuna delle due più antiche edizioni delle Forcia­
nae Quaestiones sia stata stampata a Napoli ha alcune implicazioni
per la biografìa tormentata ed incerta del Landò. In primo luogo
cade l’ipotesi di una visita a Napoli nel 1535 che alcuni critici han­
no postulato come necessaria per dar ragione delle due edizioni;
in secondo luogo diviene verosimile che il primo soggiorno del
Landò a Lione durò più a lungo di quanto chi scrive suggeriva in
un precedente contributo.18 N ella ricostruzione della biografìa
del Landò spesso ci si riduce, per la penuria di fatti, ad ammuc­
chiare ipotesi su ipotesi. Vediamo appunto quali nuove ipotesi
possono ricavarsi dalle nuove prove. Sebbene il passo su Antonio
de Leyva citato più sopra possa riferirsi al periodo precedente la
morte di Francesco II, esso diventa certamente più opportuno
qualora lo si consideri scritto dopo quell’avvenimento, quando
Antonio, da Capitano generale della lega italica, era divenuto reg­
gente dello stato. Questa situazione sembrerebbe giustificare
meglio frasi come ‘postquam Carolus Caesar in eam urbem te-
tram et monstruosam Bestiam immisit’, e i riferimenti a ‘illa du­
rissima Antoniana tempora’ e ‘illa Leviana rabies’. Se questa ipo­
tesi è corretta, la data di pubblicazione si pone dopo il 2 novembre
1535. Si deve tenere a mente che la consuetudine di Lione di usare

18. Per la vita di Ortensio L a n d ò 251-255.


136 SAGGI DI BIBLIOGRAFIA TESTUALE

la datazione ‘ab incarnatione’ permetterebbe all’opera di essere


pubblicata fino al 24 marzo 1536 (stile moderno) e tuttavia recare
l’anno 1535. Possiamo forse collegare la probabile pubblicazione
delle Forcianae Quaestiones del 1535 - fine di quell’anno medesimo
o primi del 1536 - con la lettera di Sebastiano Griffìo a Giovanni
Angelo Oddone, datata 2 febbraio 1535-6, dalla quale apprendia­
mo che Lando era stato in Svizzera, e forse in Germania, a partire
da prima della metà del novembre 1535 fino a non molto tempo
avanti la scrittura della lettera stessa. Questo fatto suggerirebbe
che la pubblicazione avvenne all’inizio del 1536, dopo il ritorno
del Lando da tale viaggio, sempre che, naturalmente, 1’ ‘Horten-
sius’ cui allude Griffìo sia realmente Ortensio Lando.19
Lo scioglimento di parte del mistero delle Forcianae Quaestiones
ci pone di fronte ad altri nuovi problemi. Perché fu necessario for­
nire le Forcianae Quaestiones del 1535 di un luogo di stampa falso?
Non è domanda cui sia facile rispondere. Dopotutto il Cicero rele-
gatus et Cicero revocatus del Lando era stato apertamente pubblicato
dal Griffìo l’anno precedente, e i principali argomenti discussi
nelle Forcianae Quaestiones (le maniere e i costumi d’Italia, l’ugua­
glianza o la superiorità delle donne sugli uomini) non erano più
polemici del contributo poco ortodosso del Lando al dibattito sul
ciceronianesimo. La spiegazione più probabile della falsa impres­
sione è forse da ricercarsi nell’atmosfera di evangelismo che per­
vade il resoconto del Lando a proposito delle condizioni religiose
di Lucca. Tuttavia nemmeno questa spiegazione è completamen­
te convincente, dal momento che le più esplicite affermazioni
evangeliche ricorrono nelle ultime pagine dell’opera, in un passo
che contiene anche la relazione del viaggio dell’autore a Napoli, e
ci sono motivi per credere che l’intero passo sia stato aggiunto al
testo dopo che si era deciso di falsificare le note tipografiche
dell’edizione.20 Se questa falsificazione era davvero dovuta al

19. Per il testo della lettera si veda B audrier, B ib lio g ra p h iesèrie vm, Lyon-
Paris 1910,32-33. La possibilità che lo stile di datazione usato in questa lettera pos­
sa essere ‘ab incarnatione’ fu trascurata da chi scrive quando studiò la visita del
Landò a Lione nel contributo citato alla n. 11.
20. Questa affermazione è basata sulla presenza nel volume di due contra-
VII • « F OR CI A NA E QUAESTIONES » 137

contenuto dell’opera, è più verosimile che essa sia stata fatta su


istanza dello stampatore che del Landò, una persona di passaggio
a Lione, soddisfatto dell’anonimato o dello pseudonimo sotto il
quale continuò a nascondere la sua identità fino agli ultimissimi
anni della sua vita: ma che il Landò fosse almeno complice della
decisione è mostrato dal suo grottesco racconto della pubblicazio­
ne dell’opera. Si è tentati di credere che, di chiunque sia stata la
decisione di pubblicare con data topica falsa l’opera, la scelta di Na­
poli sia stata del Landò: proprio l’improbabilità che la sua opera
venisse pubblicata a Napoli a quel tempo l’avrebbe spinto, auspice
il suo senso paradossale del comico, a quella scelta contraddittoria.
Ugualmente diffìcile da risolvere è il caso dell’edizione del
1536. Perché la falsificazione delle note tipografiche fu ripetuta?
Una possibile spiegazione sarebbe il considerare l’edizione del
1536 una edizione pirata;21 ma quel tipo di pirateria - ristampa di

stanti riferimenti alla composizione dell’opera. Il primo di essi ricorre nella con­
clusione delle discussioni riportate nel Libro 11, che, come quelle del Libro 1, han­
no avuto luogo a Ford. Rivolgendosi al dedicatario dell’opera, Landò scrive:
‘Dum haec ad te scribebam, torquebar inclementius’, - un riferimento ad un at­
tacco di febbre di cui soffri a Forci dopo le discussioni - ‘alioqui fuissem fortasse
paulo diligentior ... Perscripsimus autem istaec, ut tu quoque gaudium hoc no­
strum gauderes, atque me tui amantissimum, qui nullum locum praetermitto tui
exhilarandi, intelligeres . . . ’ (Forcianae Quaestiones, 1535, p. 53, D3r). Il testo poi
prosegue raccontando dettagliatamente che Landò ed alcuni altri ritornarono a
Lucca e, in seguito, dopo aver sostato in città ed aver discusso di religione, si di­
ressero verso Milano, passando per Firenze e Bologna. È a questo punto che ri­
corre il secondo riferimento: ‘Ego vero, cum primum in urbem’ (i.e. Milano) ‘ve­
ni, atque domi meae omnia ut vellem esse cognovi, coepi literis quantum memo­
ria suppeteret Forciana gesta consignare’ (ibid., 57, D5 r). Abbiamo poi il resocon­
to del Landò sulla sua visita a Napoli e sugli avvenimenti che stanno intorno alla
pubblicazione. La contraddizione tra i due passi suggerisce che Landò dapprima
intendesse portare l’opera a compimento poco dopo la conclusione del resocon­
to delle discussioni tenute a Forci, nel punto dove ricorre il primo riferimento,
ma più tardi aggiunse tutto ciò che segue a quel punto.
21. Che il testo dell’edizione del 1536 dipende da quello dell’edizione del 1535
può essere subito dimostrato. Nell’edizione del 1535 la lettera di Antiochus Lo-
vintus a Francesco Turchi comincia cosi: ‘Audio Francisce te mihi graviter suc­
cedere atque infortunium minari, propterea quod Forcianas quaestio tuo nomini
dedicatas excudendas dederim’ (59, D6r). La lezione quaestio, per quaestiones, ri­
corre alla fine di una riga ed è chiaramente un errore compositoriale. Questo er­
rore è ripetuto a metà riga nell’edizione del 1536 (c. 23v, C7V).
138 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

un’opera popolare, e mantenimento delle note tipografiche ori­


ginali, tranne la data, per far credere la ristampa autorizzata - non
era affatto comune nell’Italia del sedicesimo secolo. Poiché non
esistevano leggi che tutelassero la proprietà letteraria, un editore,
se si imbatteva in un’opera che pensava avrebbe avuto successo,
semplicemente stampava un’edizione sotto il suo nome, attento
soltanto a non urtare la suscettibilità del suo governo, o a non vio­
lare un privilegio locale. Se il Sessa, o chiunque altro, veramente
credeva che le Forcianae Quaestiones del 1535 erano state stampate a
Napoli, è diffìcile capire perché, pubblicandone un’edizione a
Venezia, non vi apponesse il suo nome (come aveva fatto nel 1534
per il Cicero relegatus del Landò). Sembra più probabile che l’edito­
re delle Forcianae Quaestiones del 1536 mantenesse la nota topica di
Napoli perché sapeva o pensava che fosse falsa; a questa conclu­
sione poteva esser giunto per più di una via, e sulla base delle pro­
ve attualmente disponibili è diffìcile dire quale sia stata la più pro­
babile. Forse uno o più esemplari dell’edizione del 1535 erano ca­
duti sotto la sua attenzione in una partita di libri proveniente d’ol­
tre Italia, e/o aveva riconosciuto la maniera degli stampatori di
Lione, e/o conosceva a sufficienza la situazione della stampa a
Napoli per rendersi conto dell’improbabilità della pubblicazione
li di un’opera siffatta. In questi casi, la decisione di mantenere la
falsa data sarebbe stata esclusivamente sua, determinata forse dal­
la prudente considerazione che se l’edizione del 1535 giustificava
un luogo di stampa falso tanto valeva agire con prudenza anche
con quella del 1536. D’altro canto, l’editore dell’edizione del 1536
avrebbe potuto ripetere la falsa data topica perché cosi gli era stato
richiesto; una tale richiesta sarebbe potuta venire soltanto da una
o l’altra delle parti coinvolte nell’edizione del 1535, vale a dire
dall’editore o dal Landò. Una ragione possibile poteva essere il
desiderio di sostenere l’invenzione della data topica falsa e
dell’esistenza di Martinus de Ragusia; sfortunatamente non co­
nosciamo per ora gran che intorno alle relazioni tra stampatori
veneziani e lionesi. Per quanto riguarda Landò, non si conoscono
collegamenti tra lui e il Sessa, al di là di quelli creati dal Cicero del
1534 e dalle Forcianae Quaestiones del 1536; più tardi, quando Landò
VII * « F OR CI A NA E QUAESTIONES » 139

fece di Venezia la sua base per alcuni anni (ca. 1545-ca. 1554), pare
si sia servito ed abbia lavorato per altri stampatori ed editori - An­
drea Arrivabene, Bernardino Bindoni, Giolito, Bartolomeo Cesa­
no.
Per il momento, dunque, sembra che la falsificazione delle date
topiche in queste edizioni delle Forcianae Quaestiones debba rima­
nere in un certo senso misteriosa.22

22. Mentre correggevo le bozze di questo articolo sono stato informato da


Natalie Z. Davis, dell’Università di Toronto, che ella ha scoperto un legame,
consistente in un grosso prestito, tra i fratelli Trechsel e il protestante Etienne de
La Forge. Il prestito, versato dal La Forge a Melchior nel 1533, non era ancora
estinto nel 1542. Sia che il prestito fosse una semplice operazione d’affari, sia che
celasse un interesse per la letteratura protestante da parte dei Trechsel, la con­
danna al rogo del La Forge nel 1535, come risultato dell’Affaire desPlacards, è pro­
babile che per parecchio tempo rendesse i Trechsel prudenti nell’avviare rela­
zioni con scrittori di opinioni non ortodosse (il che può avere una qualche atti­
nenza con la falsa nota topica delle Forcianae Quaestiones del 1535).
Vili
DI U N ’EDIZIONE C IN Q U E C E N TE SC A
DELL’ « A M IN T A »
POSTILLA BI BLI OGRAFI CA

In un recente contributo, l’illustre critico tassesco Bortolo T.


Sozzi ha dato notizie dell’esistenza di due serie di esemplari del­
l’edizione dell’Aminta pubblicata nel 1581 a Ferrara da Vittorio
Baldini.1 La seconda serie, di cui il Sozzi aveva esaminato una co­
pia in possesso dell’antiquario Chiesa di Milano, segnalando re si­
stenza di un’altra nella Palatina di Parma (segnatura: B.B.xi-
25770), si differenzia dagli esemplari finora conosciuti per la pre­
senza di un gruppo di varianti, ampiamente illustrato dal Sozzi
nel suo contributo, tali da costituire una nuova testimonianza per
il testo della pastorale - testimonianza che, benché non modifichi
le linee generali della storia del testo, già tracciata dal Sozzi nella
sua bella edizione,2 costituisce tuttavia, come egli scrive, « un te­
stimone di non trascurabile importanza, tutto sommato: anzi di
notevole interesse ».3 In questa postilla non voglio che aggiungere
una precisazione di natura bibliografica a ciò che ha scritto il Soz­
zi. N ella descrizione che egli ci ha dato della sua scoperta, il suo
interesse è andato soprattutto all’apporto che essa poteva avere
per il testo dell’opera, mentre non ha dedicato che alcune parole
all’aspetto strettamente bibliografico dei nuovi esemplari. Inol­
tre, dalle sue parole («d i B i», cioè dell’edizione baldiniana del
1581, « esistono in realtà due serie di esem plari... con numerose
varianti non decisive, in verità, agli effetti della costituzione del
testo, ma comunque non trascurabili, sia in sé, sia come ennesimo
caso di edizioni apparentemente identiche ma in realtà interna-

* Pubblicato in « Lettere italiane », xxiv (1972), 113-15.


1. Cfr. B. T. Sozzi, Di un’edizione cinquecentesca dell’« Aminta », « Studi tassiani »,
x viii (1968), 37-43
2. Vedi T. T asso , Aminta, edizione critica a cura di B.T. Sozzi, Padova 1957.
3. Cfr. Sozzi, Di un’edizione cinquecentesca ecc., cit., 43.
142 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

mente differenziate » )4 il lettore rimane incerto se si tratti di due


edizioni dello stesso anno ma bibliograficamente indipendenti
(come ci si trova in ogni periodo della stampa; per il ’500 basti il
rinvio alle due edizioni del 1536 del Dialogo ...nel quale la Nanna...
insegna a la Pippa, illustrate da Giovanni Aquilecchia nella sua re­
cente edizione delle Sei giornate aretine sche),5 oppure di una sola
edizione con varianti interne (anche questo un fenomeno tutt’al­
tro che raro, specialmente prima della meccanizzazione del pro­
cesso tipografico - e qui il rimando quasi obbligatorio per il ’500 è
all’edizione definitiva dell’ Orlando furioso, stampata a Ferrara nel
1532 da Francesco Rosso).6 Dagli estremi che seguono risulta che
qui ci troviamo di fronte alla prima possibilità (mi servo delle sigle
già proposte e adoperate dal Sozzi):
Bix = AMINTA / FAVOLA /Boschereccia, / DEL SIG. TORQVATO / TAS­
SO. / Corretta, &accresciuta. / [Impresa] / IN FERRARA, / Per Vittorio Bal-
dinj. 1581. /
Col., F2v : [Impresa, diversa da quella sul frontespizio] / IN FERRARA, /
Per Vittorio Baldinj. / M D LXXXI. /
8vo. A-E8F2. Pp. [5], 6-7, [1], 9-83, [1].
A ir Frontespizio
A iv Bianco
A2r VITTORIO BALDINI / A ’ LETTORI. / ... [A2v] Della mia Stampe
ria, il / primo di Febraro. 1581. /
A 3r PROLOGO. /
A4V Bianco
A sr ATTO PRIMO / SCENA PRIMA. /
B8r ATTO SECONDO / SCENA PRIMA. /
C8v ATTO TERZO / SCENA PRIMA. /
D6r ATTO QVARTO / SCENA PRIMA. /
E4V ATTO QVINTO / SCENA PRIMA. /
E7V AMORE FVGGITIVO. /
F2v Colofone

4- H 37.
5. Vedi P. A retino, Sei giornate, a cura di G. A quilecchia, Bari 1969, 410-411.
Anche per il Ragionamento della Nanna e della Antonia l’Aquilecchia descrive due
edizioni molto simili fra di loro, e probabilmente dello stesso anno.
6. Cfr. L. A riosto, Orlando furioso, a cura di S. D ebenedetti, Bari 1928, in,
406-426.
v ili • un ’ edizione cinquecentesca dell ’ « a m i n t a » 143
E se m p la r i e sa m in a ti : Bergamo, Bibl. Civica Tassiana C.3.54; Bologna,
Bibl. Comunale dell’Archiginnasio, 8 Letterat. ital., Componim. teatra­
li, Caps. D. 3. No. 4; John Rylands University Library, Manchester, Bul-
lock 344443-

B iy = AMINTA / FAVOLA / BOSCHERECCIA / DEL SIG. TORQVATO


TASSO. / A C C R E SC F V T A , E T / R I C O R R E T T A / [Impresa, simile a B ix] /
I N F E R R A R A , / P e r V ittorio B a ld in i. CIOIO LXXXI /

Col., F3V: [Impresa, simile a B ix] / IN FERRARA, / Per Vittorio Baldini. /


M.D.LXXXI. /
8vo. A4B-E8F4. Pp. [8], 17-85, [3] [= 80].
A ir Frontespizio
A iv Bianco
A2r LO STAMPATORE / A ’ LETTORI. / ... [A2v] Della mia Stamperia,
il pri-/mo di Febraro. 1581
Interlocutori. / [Segue l’elenco delle d r a m a tisp e r s o n a e ]
A3V PROLOGO. /
B ir ATTO PRIMO / SCENA PRIMA. /
C 4r ATTO SECONDO / SCENA PRIMA. /
D4V ATTO TERZO. / SCENA PRIMA. /
E2r ATTO QVARTO / SCENA PRIMA. /
E8v ATTO QVINTO. / SCENA PRIMA. /
F3V Colofone
F4r-v Bianchi

E se m p la r i e sa m in a ti : Londra, British Library, 241. d. 47; Milano, Bibl. Am­


brosiana, S.P.M.I.102.

Già dalla formula collazionale (cioè, dall’indicazione del formato


e delle segnature) risulta che si tratti di due edizioni diverse, e
questa conclusione è ribadita dall’elenco sommario del contenu­
to, che dimostra come la composizione tipografica di ogni foglio
di stampa è stata completamente rifatta per la seconda edizione.
L’impiego nelle due edizioni degli stessi tipi e delle stesse xilogra­
fìe 7 esclude la possibilità di una contraffazione: siamo senza dub-

7. In ambedue le edizioni sono adoperate le stesse tre serie di caratteri tipo­


grafici, una tonda (20 righe = 85 mm.) per la lettera dello stampatore ai lettori, e
due corsive (20 righe = 72 mm.; 20 righe = 84 mm.) per il testo della pastorale, ben­
ché la disposizione dei due corsivi sia diversa nelle due edizioni (in Bixla pili pic­
cola è usata per stampare la maggior parte del testo del coro «O bella età de
144 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

bio di fronte a due edizioni genuinamente baldiniane. Sarà stato


l’avvento di nuovo materiale, nonché il successo che la pastorale
tassesca aveva incontrato tra il pubblico in quell’anno 1581 a per­
suadere il Baldini a far stampare il dramma due volte nello stesso
anno.
Sulla base di un esame delle varianti di B iy il Sozzi è giunto alla
conclusione che il testo di Biy è posteriore a Bix, e cosi va inserito
fra Bix e l’edizione pubblicata dal Baldini l’anno seguente (B2).
N ella struttura delle due edizioni non c’è niente di decisivo per
determinare la loro successione cronologica, cosicché la conclu­
sione del Sozzi, basata sull’esame di elementi testuali, va accettata
anche per l’ordine cronologico delle due edizioni. La sola cosa de­
gna di commento è il fatto che in Biy l’impaginazione incomincia
col foglio B, la cui prima pagina è numerata erroneamente 17, co­
me se davanti ci fosse un intero foglio di stampa, non un mezzo
foglio. Ciò fa pensare che il foglio B fosse stato stampato prima del
mezzo foglio A: del resto, sarebbe stato più comodo per il tipogra­
fo stampare A insieme con l’altro mezzo foglio F, dopo la stampa
dei fogli B-E. È un procedimento che si riscontra abbastanza spes­
so in libri a stampa: la stampa comincia con il testo, e il materiale
che dopo la rilegatura lo precederà nel libro (frontespizio, intro­
duzione, lettera ai lettori, ecc.) viene stampato dopo. Per dire la
verità, il procedimento è più comune in edizioni originali, in cui
al momento di iniziare la stampa il materiale preliminare può non
essere ancora tutto pronto, che non in una ristampa come Biy, la
quale non contiene novità nel materiale preliminare. M a la sua
presenza in Biy certamente non ci dà motivi sufficienti per dubita­
re della priorità di Bix; può essere dovuta ad altre circostanze - la
speranza, ad esempio, di rimediare all’inconveniente, in Bix, di
quell’ultima segnatura F di due sole carte, insieme con l’incertez­
za circa l’esatta quantità di spazio che avrebbe occupato il nuovo
materiale.

l’oro», in Biy invece solo per il prologo). In Bi* c’è anche un tondo piu piccolo (20
righe = 72 mm.) usato per il prologo. Come risulta dalle descrizioni già date delle
due edizioni, le imprese xilografiche sono le stesse in entrambe.
IX

N O T A SU LLA ST A M PA DELL’EDIZIONE A LD IN A
DEL 15 0 5 DEGLI « A SO L A N I» DI PIETRO BE M BO *

In un recente articolo, C ed i H. Clough ha fornito un importante


contributo per la conoscenza della storia della prima edizione del
dialogo sull’amore di Pietro Bembo, Gli Asolarli, che fu stampato
da Aldo Manuzio, e reca la data marzo 1505.1Una delle ragioni per
le quali i collezionisti hanno sempre apprezzato questo volume è
la presenza di una lettera dedicatoria indirizzata dall’autore a Lu­
crezia Borgia, il cui terzo marito, Alfonso d’Este, era divenuto du­
ca di Ferrara nel gennaio del 1505, solo alcune settimane prima
della pubblicazione degli Asolarli Al fascino presente nel nome di
questa ben nota e molto chiacchierata bellezza rinascimentale si
aggiunse il richiamo di un’amicizia romantica creatasi tra Lucre­
zia e il Bembo durante la permanenza di quest’ultimo nel ducato
di Ferrara nel 1503.2 Quale tributo più commovente, quando le
circostanze resero troppo pericoloso il proseguimento della loro
relazione, che il dedicare, da parte del Bembo, alla sua bionda si­
gnora un dialogo sull’amore, nel quale i vantaggi di una relazione
libera da desideri carnali erano innalzati al di sopra di quelli fon­
dati sull’attrazione fìsica? Tuttavia i collezionisti si resero presto
conto che soltanto alcuni esemplari contenevano questa lettera
dedicatoria; in altri, le due pagine in questione erano bianche. Re-
nouard, nei suoi Annales de l’imprimerie des Aldes, supponeva che ci
dovessero essere state due emissioni dell’edizione, una con la let­
tera e una senza. Supponeva che la lettera fosse stata soppressa per

* Pubblicato in « The Library », ser. 5, xxvii (1972), 136-42.


1. C. H. C lough, Pietro Bembo’s ‘Gli Asolarti’ of 1505, « Modern Language No­
tes », lxxxiv (1969), 16-45. Una descrizione dell’edizione è data nell’Appendice,
basata essenzialmente su un esame dei cinque esemplari della British Library.
Un’ altra edizione del 1505, datata 14 luglio, fu pubblicata dallo stampatore fioren­
tino Filippo Giunta.
2. M. B ellonci, The Life and Times of Lucrezia Borgia, London 1953,208-40; C.
D ionisotti, Pietro Bembo, in Dizionario biografico degli italiani, 8, Roma 1966,133-51.
I4 6 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

ragioni politiche, e che Aldo avesse ristampato il foglio in questio­


ne tralasciando questo elemento.3
Il dr. Clough dimostra in modo conclusivo che queste ipotesi
circa la stampa degli Asolarti aldini del 1505 sono errate. Egli ha
compilato una lista, con l’attuale collocazione, di 69 esemplari
dell’edizione, e su questo saldo fondamento numerico ha potuto
disporre alcuni dati in un ordine molto convincente e persuasivo.
In primo luogo 48 dei 69 esemplari hanno la lettera dedicatoria,
cosa che dimostra quanto Renouard sbagliasse nel supporre che
gli esemplari con la lettera fossero « beaucoup plus rares » di quelli
senza. M a più importante è il fatto che non c’è alcuna traccia di ri­
composizione dei caratteri per nessuna parte del primo fascicolo,
o per nessuna altra parte dell’opera; quanto al frontespizio, gli al­
lineamenti inesatti dei caratteri dimostrano con certezza che i
frontespizi di tutti gli esemplari, sia quelli con la lettera sia quelli
senza, furono stampati con la medesima composizione tipografi­
ca.4 Dal momento che la lettera dedicatoria comincia sul verso del
frontespizio, si elim ina anche la possibilità che la presenza o as­
senza della lettera sia dovuta a una sostituzione. Tracce di una se­
conda emissione sono di fatto completamente assenti. Il Dr.
Clough ha perfettamente ragione quando respinge la spiegazione
di Renouard come insoddisfacente e considera la questione da un
nuovo punto di vista.
Questa nuova prospettiva lo conduce ad una conclusione esat­
tamente opposta a quella del Renouard: non solo ci fu una sola
emissione, e non due, ma all’interno di quell’unica emissione il
primo stato del fascicolo in questione fu quello senza la lettera.
Posso dichiarare fin da ora che sono completamente d’accordo
con questa conclusione. Tuttavia la disamina del Clough in m eri­
to alla documentazione bibliografica talvolta lascia un poco a de­
siderare, e mi sembra che valga la pena di considerare di nuovo

3. A. A. R enouard, Annales de l’imprimerìe des Aldes, Paris 18343, 48-9.


4. Clough, tavola 1. Il fatto può essere confermato da chiunque abbia la cura di
esaminare gli esemplari della British Library, tre dei quali contengono la lettera
dedicatoria e due ne sono privi.
IX • GLI « ASOLANI » ALDINI DEL I 5 0 5 147

questa documentazione, in modo da definire più chiaramente


quali siano i confini entro i quali lo studioso del Bembo deve agire
riguardo a questa materia. E chiaro che, anche quando non sono
d’accordo col Clough, gli sono debitore per la ricchezza di infor­
mazioni da lui raccolte.
Il primo punto da chiarire è il formato dell’edizione. Come Re-
nouard si rese conto, e la descrizione data in appendice lo confer­
ma, l’edizione aldina del 1505 degli Asolarti è un quarto in otto, e il
fascicolo «a » , che comprende la lettera dedicatoria, consiste di
due fogli, uno contenente ai, a2, a7 e a8, l’altro le quattro carte in­
terne.5 Dal momento che la lettera dedicatoria, là dove ricorre,
occupa aiv e a2r, soltanto il primo foglio del fascicolo « a » è perti­
nente alla presente discussione. In verità, una sola forma è coin­
volta, dato che entrambe le pagine appartengono alla forma inter­
na del foglio. La pagina bianca a a2v si deve supporre che sia insi­
gnificante per i nostri scopi, dato che, a quanto pare, l’intenzione
di Aldo è stata di cominciare il testo di ciascun libro degli Asolarti
sul recto della carta (ad es. il testo del libro 1termina con eir, ma il
libro 11 comincia a e2r, lasciando eiv bianco).
Il problema bibliografico che si presenta al ricercatore è di spie­
gare il meglio possibile il processo per il quale, degli esemplari so­
pravviventi di questa edizione circa due su tre hanno la lettera de­
dicatoria a aiv e a2r, mentre uno su tre ha queste pagine bianche.
Essendo stata eliminata, per mancanza di prove, la possibilità di
una nuova emissione, ecco che rimangono due altre ipotesi da
considerare: l’emissione simultanea, o due stati diversi della stessa
emissione.
Per emissione simultanea intendo la possibilità che Aldo abbia
ordinato alcune copie del foglio esterno del fascicolo « a » senza la
lettera dedicatoria in aiv e a2r, con l’intenzione di mettere in ven-

5. Non sembra che il Clough abbia compreso questo aspetto della struttura
del volume: si vedano le pp. 44-5 del suo articolo, dove troviamo uno schema, la
cui intestazione legge: ‘Probable imposition o f type-pages for thè quarto sheets
o f thè first gathering o f Bembo’ s Gli Asolarti (Venice, 1505)’, ma che di fatto spiega
la disposizione delle pagine stampate (vale a dire: l’immagine speculare della di­
sposizione dei caratteri impaginati) per le due forme di un foglio in ottavo.
148 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

dita l’edizione contemporaneamente in due forme. Certamente


questa ipotesi fornisce la spiegazione più semplice e chiara della
situazione, ma non mi sento di accettarla. L’obiezione è più psico­
logica che bibliografica: non posso credere che Aldo, con il suo
senso altamente sviluppato per la veste tipografica di un libro, ab­
bia deliberatamente messo in vendita un libro cosi sgraziato come
quello rappresentato dagli Asolani del 1505 senza dedica, dove la
prima pagina ha soltanto un rigo di caratteri, e le successive tre pa­
gine neppure quello. Questa obiezione si rafforza di più quando
si considerino le amichevoli relazioni tra Aldo e il Bembo, e l’im ­
portanza per il Bembo di questa edizione, la sua prima opera pub­
blicata in volgare.6 Per mantenere l’ipotesi di una emissione si­
multanea sarebbe necessario produrre una ragione assai cogente a
sostegno del desiderio di Aldo di pubblicare l’edizione in questa
forma sgraziata. Una ragione siffatta non è mai stata prodotta, ed
io non sono in grado di suggerirne una; pertanto, col dr. Clough,
concludo che ciò che ci si presenta nell’edizione aldina del 1505
degli Asolani sono due stati diversi della stessa emissione.
La prima questione che sorge riguarda la sequenza di tali stati.
Né io, né il Clough abbiamo scoperto alcuna altra variante inter­
na nel foglio che ci interessa del fascicolo « a », pertanto non c’è al­
cuna prova bibliografica sulla quale fare affidamento. Il Clough
ritiene che lo stato con la lettera sia il secondo stato del foglio,
cioè, quello corretto. Le sue osservazioni, a questo punto, manca-

6. La relazione tra Aldo e il Bembo risale almeno al 1495, quando Aldo pubbli­
cò la grammatica greca di Costantino Lascaris, che il Bembo ed un amico aveva­
no riportato dalla Sicilia, in manoscritto. Nel 1496 Aldo pubblicò la prima opera
del Bembo, un breve dialogo latino, De Aetna, il primo libro stampato nel super­
bo carattere aldino romano di sedici punti, disegnato e fuso da Francesco Griffo.
Bembo probabilmente ebbe molta influenza sulla successiva decisione di Aldo di
includere la letteratura in volgare tra i suoi titoli, ed egli stesso curò le storiche
edizioni di Petrarca e Dante, pubblicate da Aldo nel suo nuovo carattere corsivo
(anch’esso disegnato dal Griffo) e nel maneggevole formato in ottavo, rispettiva­
mente nel 1501 e 1502: cfr. G. M ardersteig, Aldo Manuzio e i caratteri di Francesco
Griffo da Bologna, in Studi di bibliografia e di storia in onore di T. De Marinis, ni, Verona
1964,105-47; D ionisotti, Pietro Bembo..., 134-7; Idem, Gli umanisti e il volgarefra
Quattro e Cinquecento, Firenze 1968, 1-14.
IX • GLI « ASOLANI » ALDINI DEL I 5 O5 149

no di precisione bibliografica, dal momento che la sua alternativa


sembra quella di combinare l’emissione simultanea con la sop­
pressione della lettera.7 M a la sua osservazione, fatta in un conte­
sto diverso, che tutte le edizioni successive degli Asolarti prima del
1530, compresa l’edizione aldina del 1515, contengono la lettera dedi­
catoria, dimostra con certezza, al di là di ogni ragionevole dubbio,
che lo stato del foglio esterno « a » con la lettera è la forma definiti­
va di quel foglio. Stando cosi le cose, è diffìcile considerarlo come
altro che il secondo stato, cioè, quello corretto. Se cosi non fosse, si
sarebbe di nuovo costretti a supporre una ragione cogente ma
sconosciuta che avrebbe indotto Aldo a permettere che alcuni
esemplari dell’edizione fossero pubblicati senza che ci fosse quasi
nulla sulle loro prime quattro pagine. Ed è ancor meno giustifica­
ta questa ipotesi nel caso di due stati diversi, che in quello della
emissione simultanea, perché in questo caso si può soltanto sup­
porre che il motivo dell’agire di Aldo fosse connesso con il conte­
nuto della lettera dedicatoria, come a dire che la lettera dedicato­
ria doveva essere soppressa. Senza dubbio, se le cose stavano cosi,
Aldo avrebbe semplicemente ristampato l’intero foglio esterno di
« a», cancellando in tal modo tutte le tracce della lettera. La con­
clusione del dr. Clough deve essere accettata, tanto più in quanto
può essere sostenuta da una prova bibliografica, da lui riportata in
altro contesto. Questa prova è. la presenza nell’ errata di una corre­
zione che si riferisce al testo della lettera dedicatoria. La carta con
Verrata (ni) contiene correzioni per la maggior parte dei fascicoli

7. « O la soppressione fu fatta su richiesta dell’ autore per qualche scopo preci­


so, o la lettera di dedica fu aggiunta in ritardo dall’autore, dopo che alcuni fogli
erano già stati stampati senza di essa.
Si può immaginare perché Bembo possa aver voluto alcuni esemplari della
prima stampa degli Asolarti senza una lettera di dedica stampata... Bem bo... ave­
va adulato parecchie donne sottolineando la parte che esse avevano avuto nel far
progredire la composizione degli Asolarti. Per queste donne può darsi che abbia
voluto scrivere una dedica personale, e sopprimere la dedica a Lucrezia Borgia in
quanto stampata. Tuttavia non si conosce alcun esemplare degli Asolarti con tale
lettera di offerta, ed è improbabile che almeno un centinaio di esemplari su di un
totale di forse quattrocento siano stati considerati necessari a tale scopo, e il nu­
mero degli esemplari sopravviventi indica una proporzione di tal fatta» (24-5).
I$0 S AGGI DI BI BLI OGRAFI A TESTUALE

dell’opera, compresi gli ultim i tre: essa, ovviamente, fu stampata


per ultima. Evidentemente, al termine del loro lavoro intorno
all’opera, gli stampatori considerarono il foglio esterno « a » con la
lettera come lo stato definitivo di quel foglio.
Se lo stato con la lettera è lo stato corretto del foglio esterno
« a», resta ancora il problema posto dalla presenza di un numero
relativamente grande di esemplari con il foglio esterno « a» nello
stato scorretto. Qui al Clough interessa principalmente indicare
le possibili spiegazioni storiche; ciò che io mi propongo di fare è
esporre invece la situazione bibliografica. Ci sono tre possibili
spiegazioni per i due stati del foglio esterno «a » :
1) composizione e stampa cominciarono nel modo normale col
foglio esterno e quello interno del fascicolo « a », il primo nel suo
stato non corretto; il testo della lettera dedicatoria arrivò quando
la forma interna del foglio esterno era già sotto il torchio, e ne sa­
rebbe derivato un arresto dei procedimenti di stampa per una cor­
rezione di grossa entità;
2) la composizione fu eseguita nell’ordine normale, ma le due
forme del foglio esterno « a », o forse soltanto la forma interna di
quel foglio, furono lasciate in piombo senza essere usate. Ad un
certo punto, durante il corso della stampa, il materiale lasciato in
piombo fu messo sotto il torchio, e si verificò una serie di fatti si­
m ili a quelli riportati nella seconda parte di 1);
3) entrambe le forme del foglio esterno « a » furono messe sotto
il torchio in modo regolare, mentre la forma interna era nello sta­
to scorretto; più tardi, durante la stampa del volume, quando il te­
sto della lettera dedicatoria era pronto, i fogli del foglio esterno
« a » furono fatti ripassare sotto il torchio, e la lettera dedicatoria fu
stampata.
Si deve ammettere che nessuna di queste spiegazioni è intera­
mente soddisfacente. La prima è certamente attraente nella sua
semplicità, ma non è in grado di dar conto delle pagine bianche
aiv e a2r. Ci può essere soltanto una spiegazione per un primo sta­
to del foglio esterno « a » con queste pagine bianche, ed è che Aldo
stesse aspettando una lettera dedicatoria. Se non poteva aspettarla
IX • GLI « ASOLANI » ALDINI DEL I 5 0 5 I5 I

piu a lungo, e se il testo arrivò quando la forma in questione era


sotto il torchio, perché non adottò l’espediente di farla ripassare
sotto il torchio? La domanda, a mio avviso, non ha risposta. La me­
desima obiezione si applica, forse con maggior forza, alla seconda
spiegazione, che differisce dalla prima soltanto per avere in più la
caratteristica del materiale lasciato in piombo.8 Se l’unico motivo
di lasciare in piombo la forma interna o le due forme del foglio
esterno « a » era quello di aspettare la lettera dedicatoria, sembra
ancor più diffìcile capire perché la stampa avrebbe dovuto comin­
ciare prima che il testo della lettera fosse disponibile, o perché, se
cosi fu, non si sarebbe preferito far ripassare la forma sotto il tor­
chio quando la lettera arrivò.
A questo punto dovrei accennare al fatto che il dr. Clough sem­
bra far intendere un’altra possibilità, vale a dire che la stampa del
foglio esterno « a » fu fermata ad un certo punto, fino a che arrivò
il testo della lettera dedicatoria.9 Tale possibilità sarebbe incom­
patibile con le nostre attuali ipotesi circa i procedimenti di una
stamperia del periodo,10 e in ogni caso non risponde alle obiezioni

8. Effettivamente, o che il foglio esterno « a » nel suo complesso, o che soltan­


to la sua forma interna, rimanessero in piombo, l’ammontare dei caratteri impie­
gati sarebbe stato relativamente piccolo, dato che aiv, a2r e a2v erano bianchi, e
air quasi interamente bianco.
9. « Si può congetturare che, o perché Lucrezia ritardò troppo a lungo, o per­
ché lo stampatore o l’autore erano troppo impazienti, alcuni fogli del primo fa­
scicolo fossero stampati senza la lettera di dedica... Una volta che la lettera di de­
dica fosse stata consegnata allo stampatore e l’autentica versione del primo fasci­
colo fosse stata tirata sul rimanente dei fogli necessari, i fogli degli altri fascicoli
del testo sarebbero stati stampati, se non lo erano già stati prima» (p. 30).
10. In questo caso l’ipotesi è che, una volta iniziata la stampa di una forma, essa
sarebbe continuata, salvo che per correzioni durante la tiratura, fino a che tutto il
complesso dei fogli fosse stato impresso. Può sembrare avventato, dopo McKen­
zie, discutere intorno ad ipotesi correnti, ma che non possono essere sostenute da
prove documentarie (sebbene questa particolare ipotesi sia molto sostenuta dal
buon senso, da ciò che Moxon dice circa la tiratura, Mechanick Exercises, ed. H. D a ­
vis and H. C arter, London 19622, 292-9, e dalla prova addottata da McKenzie
stesso, The Cambridge University Press 1696-1712: a Bibliographical Study, 1, Cambrid­
ge 1966,125-6: a Cambridge i fogli erano normalmente stampati in bianca e volta
dai medesimi stampatori nel giro di alcuni giorni). Pur riconoscendo la superiori­
tà della deduzione sulla induzione come fonte di verità storica, e apprezzando le
proprietà salutari della doccia fredda data dal McKenzie ai bibliografi troppo si-
152 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

già sollevate nei confronti delle spiegazioni date ai punti i) e 2), in


relazione alle carte bianche di aiv e a2r, e penso che debba essere
respinta.
La più probabile spiegazione della sopravvivenza dei due stati
di aiv e a2r, come sarà chiaro dalla precedente disamina, sembra a
mio giudizio risiedere nell’ipotesi che il foglio esterno « a» fosse
ripassato sotto il torchio.11Nient’ altro può adeguatamente spiega­
re l’elemento essenziale del problema, il fatto cioè che Aldo co­
minciò la stampa della forma in questione lasciando bianchi aiv e
a2r. Inoltre, tale spiegazione ci consente di considerare la soprav­
vivenza dello stato non corretto come dovuto ad inavvertenza,
mentre le altre spiegazioni esigono che Aldo consapevolmente
permettesse che la stampa del foglio esterno “a” procedesse in
modo tale che un consistente numero di esemplari avesse quella
sgraziata successione di tre pagine bianche tra il frontespizio e la
pagina stampata più vicina. La proposta di una riesecuzione al tor­
chio, tuttavia, non spiega tutto: dobbiamo ancora dare ragione
della sopravvivenza di esemplari con le pagine bianche in aiv e
a2r, e poiché possiamo fare ciò soltanto mediante un’altra ipotesi,
non provata e non provabile, questa spiegazione è insoddisfacen-

curi di sé, io credo che ci sia uno spazio profìcuo per l’induzione nella ricerca bi­
bliografica, tenejido sempre fermo che il bibliografo deve ricordare la natura
provvisoria delle sue conclusioni. Forse sarebbe utile che smettessimo di pensare
alla bibliografìa come ad una scienza, e giungessimo a considerarla più come una
branca della storia.
11. Su questo punto, il Clough scrive (p. 30): « Una volta che il foglio senza la
lettera di dedica era stato stampato, inserirvi la lettera di dedica omessa sarebbe
stato particolarmente complicato, e probabilmente impossibile. Nel tentativo,
sbavature e allineamenti inesatti con ogni probabilità sarebbero risultati, con la
completa rovina del foglio ». Non posso acconsentire che ci sia qualcosa di im­
possibile, o anche di complicato, riguardo al ripassare per il torchio gli esemplari
già tirati del foglio esterno « a » per imprimervi la lettera dedicatoria. Non mi
sembra che il rischio di allineamento imperfetto sia maggiore di quando il foglio
venga stampato per la prima volta. Non posso comprendere il riferimento alle
sbavature (a meno che il Clough non stesse pensando in termini dell’impressione
a mano del testo della lettera, cosa che sarebbe davvero una goffa procedura).
Esempi del procedimento di far ripassare sotto il torchio materiale già parzial­
mente stampato sono forniti da F. B owers, Prìnciples of Bibliographical Description,
New York 1962, 84-6.
IX • GLI « A S O L A N I » ALDINI DEL I 5 0 5 153
te. L’ipotesi è che, quando l’insieme dei fogli esterni “a” fu ripas­
sato sotto il torchio (non possiamo sapere quando avvenne, tran­
ne che ebbe luogo prima della stampa della carta con Venata), al­
cuni fogli fossero mancanti, forse perché erano già stati portati al­
trove per la lega- tura.
Il 13 aprile 1505 il Bembo scrisse ajacobo Sannazaro accludendo
una copia degli Asolarli}2La data del colofone, marzo 1505, convie­
ne bene con questo gesto di amicizia e di rispetto, e possiamo ra­
gionevolmente supporre che il fascicolo « m » fosse composto in
marzo; il 17 marzo Aldo si rivolse alle autorità per i relativi privile­
gi dell’edizione.13. Non è possibile essere cosi sicuri riguardo alla
data di inizio della stampa. In una lettera a Lucrezia del 22 settem­
bre 1504 Bembo descriveva i suoi Asolarti come pronti per la stam­
pa, ma riferimenti in una lettera successiva (8 ottobre), indirizzata
a Lucrezia, ci inducono a supporre che egli non avesse ancora
mandato il manoscritto agli stampatori.14Il riferimento a Lucrezia
come duchessa di Ferrara nella lettera dedicatoria dimostra, come
Renouard capi, che la lettera fu stampata dopo la morte del suoce­
ro, il duca Ercole I, avvenuta il 25 gennaio 1505. Quanto al motivo
per il quale, consegnando il manoscritto ai tipografi, Bembo non
avesse preparato la lettera dedicatoria, Carlo Dionisotti, con la sua
consueta penetrazione di storico, fornisce una convincente spie­
gazione psicologica: «Non è chiaro perché di questa edizione si
abbiano esemplari contenenti la dedicatoria a Lucrezia, nel frat­
tempo diventata duchessa di Ferrara, e altri senza; ma è probabile
che la duplicità non fosse estranea alle incertezze e difficoltà di un
amore impossibile, che nella lontananza, da una parte e dall’altra,
lentamente ma inevitabilmente si spegneva».15

12. C lough, 43.


13. C lough, 18, n. 5, citando R. Fulin, Due suppliche di Aldo Manuzio, « Archi­
vio Veneto », 1 (1871), 159-60.
14. C lough, 42-3.
15. D ionisotti, Pietro B e m b o 137.
APPENDICE

GLIASOLANI DI MESSER / PIETRO BEMBO. /


Col.,m8r: Impresi in Venetia nelle Caje d’Aldo Romano nel an=/no. MDV.
del meje di Marzo; Con la concezione / della Illujtrijjima Signorìa nojtra; che
per.x./anni ne luoghi al Venetiano Domino jotto=/pojti nej$uno altrogli po§a
imprì/mere, o impresi uendere, / Jotto le pene, che / in lei Ji con/tengo=
/no. /. /
4°: a-i8 K8 1-m8 n2. Manca l’impaginazione.
air: Frontespizio, aiv: A MADONNA LVCRETIA ESTEN=/SE BOR­
GIA DVCHESSA ILLV=/STRISSIMA DI FERRARA. / PIETRO BEMBO.
[Lettera dedicatoria, datata (a2r) ‘In Venetia. il di primo d’Agosto.
M.DIIII.’]. aav: Bianco. a3r: DE GLIASOLANI DI M. / PIETRO BEMBO,
/PRIMO LIBRO, [finisce a eirj. eiv: Bianco. e2r: DE GLIASOLANI DI
M. / PIETRO BEMBO. / SECONDO LIBRO, [finisce a Kiv]. K2r: DE
GLIASOLANI DI .M. / PIETRO BEMBO. / TERZO ET VLTIMO / LI­
BRO. [finisce a m8r; segue il colofone]. m8v: [Impresa: ancora aldina],
nir: Errori fatti nel jtampare. [L’errata termina a niv]. 112: Bianco.
variante: aiv, a2r bianchi. Costituisce il primo stato di queste pagine.
Mancano i titoli correnti. Richiami alle pp. iv, 2v, 3v, 4v, 8v dei fasci­
coli a-m, tranne a2v, eiv, m8v.
36 11. [c2r = 37 IL] 141 (147) x 73 mm.; corsivo, 20 11 = 79 mm.
N ota: n2 è mancante nella grande maggioranza degli esemplari,
comprese tutte le cinque copie della British Library. Lo si trova
nell’esemplare della Bodleiana, Mortara 877 (Clough, 21 n. 16).
N ota: Dopo che il presente contributo era stato dato alle stampe,
il Dr. Clough ha pubblicato una successiva nota sugli Asolani aldini
del 1505 ( The Printings of thè First Edition of Pietro Bembo’s ‘Gli Asolani’,
«Modern Language Notes», l x x x v i i [1972], 134-9), nella quale, inter
alia, rettifica l’errore relativo al formato del volume, e segnala altri n
esemplari (7 con la dedica, 2 senza, e 2 che iniziano a f. a3r), scoperti
dopo la pubblicazione del suo primo articolo.
X

C O RR EZIO N I ED E RRO RI AVV EN U TI D U RA N TE


LA T IR A T U R A SECO N D O U N O STA M PA TO RE
DEL C IN Q U E C E N T O : C O N T R IB U T O ALLA
ST O R IA DELLA T E C N IC A T IPO G R A FIC A
IN ITA LIA *

È un fatto ben noto che molte edizioni appartenenti al periodo


della produzione manuale del libro (dagli inizi della stampa fino
alla prima metà dell’Ottocento) contengono differenze fra una
copia e un’altra nei segni stampati. Queste differenze possono es­
sere riportate a due categorie fondamentali, che rispecchiano due
situazioni diverse:
1) differenze causate dall’azione conscia o inconscia dei tipo­
grafi durante la stampa dei singoli fogli di stampa. Se consce, que­
ste varianti interne avranno il compito di migliorare il testo
dell’opera, correggendo errori dovuti al compositore o allo stam­
patore, o introducendo materiale non mandato originariamente
in tipografìa dall’autore o dal curatore dell’opera. Si avrà cosi uno
o più fogli di stampa, in cui il testo esiste in due (e talvolta in più di
due) stati successivi;
2) differenze, riguardanti tipicamente il frontespizio, ma tal­
volta anche la soppressione, l’aggiunta o lo scambio di una parte
non grande del materiale, soprattutto quello preliminare (dedica,
indici, ecc.), volute dai responsabili dell’edizione in funzione del­
la sua vendita. Il caso classico è quello di un editore che dopo un
periodo di anni ripresenta all’attenzione del pubblico tramite un
nuovo frontespizio i fogli di un’edizione non fortunata restati fra
le sue mani. Ovviamente, in un tal caso sarebbe impreciso, biblio­
graficamente e testualmente, parlare di una nuova edizione
dell’opera: i fogli sono quelli stampati originariamente, anche se

* P u b b lic a to in « L e tte r e ita lia n e », x x v ii (1975)» i 84~92 -


I5 6 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

diverso è il momento e l’atto dell’ offerta al pubblico. Avremo cosi


non una nuova edizione, ma una nuova emissione della stessa edi­
zione. Si possono avere anche casi di emissione simultanea, quando,
ad esempio, gli esemplari di un’unica edizione sono divisi per la
vendita fra l’editore e lo stampatore, oppure fra due o più editori,
ognuno dei quali vi prepone il proprio frontespizio.1
Si devono soprattutto alla cosiddetta « nuova bibliografìa » an­
glo-americana Pidentificazione e la classificazione di queste due
categorie di varianti, con tutta la casistica, anche molto sottile, che
aiuta a distinguere le varie sotto-classi e i casi-limite dei concetti
di stato, emissione ed edizione.2 M a per chi lavora nel campo del­
la bibliografìa europea i manuali inglesi di bibliografìa analitica
hanno il difetto di offrire del fenomeno delle varianti interne, co­
me di altri fenomeni, una documentazione quasi totalmente na­
zionale. Non che dalla pratica dei tipografi inglesi del Seicento e
del Settecento, quale è descritta in questi manuali, non si possano
con ogni probabilità dedurre, almeno nelle loro grandi linee, le
abitudini dell’industria tipografica italiana del periodo della pro­
duzione manuale: il carattere internazionale dell’arte tipografica,
dovuto al naturale predominio di operai tedeschi nei primi de­
cenni della stampa, e la perfezione subito raggiunta dei mezzi di
produzione, garantiscono una certa uniformità per tutta l’Europa.
M a allo studioso del libro italiano occorre una conferma della
presenza in territorio italiano dei fenomeni cosi minuziosamente
e ripetutamente descritti dai bibliografi inglesi e americani. Ora,
questa conferma la si può già in parte trovare in notizie sparse qua

1. Con emissione traduco la parola inglese « issue », già da anni accettata in que­
sto senso nella terminologia bibliografica inglese. La traduzione mi è stata sugge­
rita da Richard Sayce, che in un bell’articolo (L’édition des «Essais» de Montaigne de
1595, « Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance », xxxvi [1974], 115-141) ha di­
mostrato e documentato in modo esemplare la presenza in un’unica edizione pa­
rigina del 1595 di quasi tutti i tipi di varianti e di emissioni conosciuti alla biblio­
grafìa analitica.
2. Cfr. soprattutto F. B owers, Principles of Bibliographical Description, New
York 1962,37-113. Utili anche R. B. M c K errow , An Introduction to Bibliographyfor
Literary Students, Oxford 19282; P. G askell, A New Introduction to Bibliography, Ox­
ford 1972. [V. anche Edizione, impressione, emissione, stato, supra, 65-88.]
X • CORREZIONI ED ERRORI 157

e là nelle riviste specializzate italiane e in edizioni critiche moder­


ne di testi italiani basati su testimonianze a stampa. In attesa del
momento, che certamente non è ancora giunto, in cui si possa
procedere ad una sistemazione di questo materiale allo scopo di
presentare una storia documentata della tecnica tipografica del li­
bro italiano fino all’inizio della produzione meccanica, si offre qui
un piccolo documento costituito da una nota ai lettori inserita in
una sua edizione da un editore/stampatore italiano del Cinque­
cento; questa nota informa in una maniera esplicita e insieme non
priva di interesse umano sulla presenza nella tipografìa italiana
cinquecentesca dei procedimenti che conducono all esistenza di
varianti interne del primo tipo descritto sopra.
La nota si trova verso la fine della prima edizione di un libro di
Girolamo Ruscelli, il Del modo di comporre, stampato a Venezia per
conto proprio dai fratelli Giovanni Battista e Melchiorre Sessa (il
giovane) nel 1559. Gli estremi sono i seguenti:
DEL MODO DI COMPORRE / I N V E R S I N E L L A L IN G V A / ITALIANA,
TRATTATO DI GIROLAMO RVSCELLI, / Nuouamente mandato in Lu­
ce. / NEL OVATE VA COMPRESO VN /pieno & ordinammo Rimario, con la
dichiara-/tione, con le regole, et col giudicio per Saper / conueneuolmente ujare ò
Schifar le noci / nell’eSSer loro, cosi nelle profe / come nei uerSi. / [Fregio] / C O N
P R IV IL E G IO . / [Impresa] / I N V E N E T IA A P P R E S S O G IO .B A T T IST A / E T
M E L C H I O R S E S S A F R A T E L L I. /
Col., 3C8r: IN V en etia, a p p r e so G io .B a ttista , / & M e lc h io r S ejja fra telli. /
MDLIX. /
8vo. a-n8 A-3C8. Pp. [39], I-CLXX, 1-796, [2]. Caratteri corsivi e tondi,
air Frontespizio
aiv Bianco
a2r AL MOLTO MAGNI-/HCO, E T M O L T O E C CJ5L-/LENTE SIGNORE,
/ IL SIG . O D O A R D O / G O M E Z , / GIROLAMO RVSCELLI. /... [a7v] In V e­
netia, I l d i ¡e t t i m o / d i S ette m b re. M .D .L V III. /

a8r A ’ I LETTORI. / GIROLAMO RVSCELLI. /


C3v Bianco
C4r TRATTATO / D I G IR O L A M O R V S C E L L I, / DEL MODO DI COM ­
PORRE / I N V E R S I N E L L A L IN G V A / ITALIANA. /
A ir IL RIMARIO DI / TVTTE LE VOCI DELLA / LINGVA ITALIANA,
158 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

NVOVA-/MENTE RACCOLTO ET / ORDINATO DA / GIROLAMO RV-


SCELLI. /
2Q3V VOCABOLARIO DI TVTTE / LE PAROLE CONTENVTE / NEL­
L’OPERA, BISOGNOSE / di dichiaratione, ò di giudicio. /
3A4V NON Jì effendo potuto fare, che in si grojjo li-/bro ... [segue un
elenco di errori]
3A7V A ’ GLI STVDIOSI [lettera dell’autore, seguita da aggiunte al Rima­
rio]
3C8r R egistro e colofone
3C 8v Bianco

Girolamo Ruscelli di Viterbo, l’autore delle due opere conte­


nute nel libro, è una figura che ha una certa importanza, o almeno
che occupa un certo spazio, nella storia dell’editoria veneziana fra
il 1550 e il 1566, data della sua morte, ma manca uno studio delle
sue opere ed edizioni di autori italiani che ci permetta di perveni­
re ad un giudizio obbiettivo sulle sue qualità, che sono state fatte
oggetto da una parte di auto-elogi vanagloriosi e dall’altra di accu­
se severe lanciate contro di lui da nemici come Girolamo Muzio
e Vincenzio Borghini. Della sua vita prima del 1550 non sappiamo
quasi niente; ignoriamo completamente i particolari della sua
educazione e della sua formazione culturale.3 N ella lunghissima
lettera ai lettori premessa al Del modo di comporre (cc. a8r-c3r) egli
traccia un profilo della sua attività di curatore delle opere altrui e
di divulgatore delle loro idee, e propone la formazione di una va­
sta compagnia di editori veneziani per la ristampa dei classici gre­
ci, latini e italiani. La proposta, significativa non solo per la storia
della stampa ma anche per quella della cultura, merita di essere ri­
presentata ai lettori m oderni:4

3. Il poco che sappiamo è riassunto da F. Flamini, Il Cinquecento, Milano s.d.


(Storia letteraria d’Italia), 411-412. Per il Borghini si veda V. B orghini, Ruscelleide
ovvero Dante difeso dalle accuse di G. Ruscelli; note raccolte da C. A rlìa, Città di Ca­
stello 1898-99 (Collezione di opuscoli danteschi inediti o rari diretta da G. L. Pas­
serini, 57-60); quest’opera fu in gran parte provocata dal Del modo di comporre-, cfr.
anche V. B orghini, Scritti inediti 0 rari sulla lingua, a cura di J. R. W oodhouse, Bo­
logna 1971 (Collezione di opere inedite o rare pubblicate dalla Commissione per
i testi di lingua, 132), passim.
4. La lettera è già stata portata all’ attenzione degli studiosi da A. S alza , Studi su
X • CORREZIONI ED ERRORI 159

[c2 r] Potrebbe ancor’ essere, che peraventura oltre a tutti i sopranomina­


ti librari5 si aggiungessero gli onorati M. Gabriel Giolito, M. Tomasso e
Giovan M aria Giunti, gli Scotti, gli Asoli, et altri miei amicissimi, e che
insieme tutti facessero una onoratissima compagnia, come già sono stati
altre volte in pensiero. Et essendo essi persone, che hanno forze, che
hanno i maneggi in corso, e che tengono mano in tutte le librarie d’ Ita­
lia, e in moltissime ancor fuor d’Italia, si mettessero unitamente a voler
ridurre in colmo di perfettione questo importantissimo maneggio delle
stampe in Venetia; e con disporsi di haver belle carte, con bellissimi ca­
ratteri, e forme di lettere, che si veggono già in tanta eccellenza miglio­
rati, bellissime figure, ove convenissero, e sopratutto nello stampare, e
nel correggere tener’ottimo ordine, fuor di quello che nel vero si è fatto
fin qui, si mettessero a far ristampar tutti i libri volgari che sono già stati
stampati altre volte, cioè i buoni, riducendoli a perfettione in tutte quel­
le cose, che si convenissero, e facendovi annotationi, e dichiarationi, o
avvertimenti per tutto, ove bisognassero. [c2v] Et cosi ancora facessero
ristampare in bellissimi sesti, secondo che convenissero, tutti i libri
d’umanità latini e grechi, tutti quei di filosofìa, tutti quelli di medicina,
di matematiche, e ogn’altra sorte di quei libri buoni, che s’adoprano nel­
le scuole, negli studij, e nelle case dai dotti, o dagli studiosi, e da ogn’altro
che ne compri e se ne diletti; facendo ancora in essi oltre alla perfetta
correttione, et oltre alla bellezza delle carte, delle lettere, e d’ogn’altra
cosa, tutto quello di dichiarationi, e di avvertimenti, che i soggetti et i
luoghi in quelle opere sapessero ricercar dalle mani, e dagli intelletti di
persone, che sapesser farlo, che è la più utile e la più cara cosa, che gli stu­
diosi e quei che leggono possano havere in un libro. Onde si potesse an­
cora sperare, che tutti i dotti et eccellenti di questa età si risveglierebbo-
no, et accenderebbono tanto più a scrivere, et a mandar fuori i bei parti
de’ loro ingegni, che già si trovasser fatti, vedendo tenersi tanta cura in
fargli uscir cosi correttamente, e cosi ornati.
Tipograficamente il Del modo di comporre del 1559 è un libro lun­
go (62 fogli di stampa) e diffìcile, soprattutto il Rimario (49 fogli),
dove in molte pagine s’impiegano caratteri tipografici provenien­
ti da due fonti diverse, e talvolta anche da tre, con larghi spazi vuo­
ti. Si capisce come la stampa del volume abbia potuto essere pro-

Ludovico Ariosto, Città di Castello 1914, 245-258. Nel trascriverla ho sciolto le ab­
breviazioni, trascritto u consonantico con v, e sono intervenuto talvolta nella in­
terpunzione, e nell’uso delle maiuscole e degli accenti.
5. Melchiorre Sessa, Vincenzo Valgrisi, Giordano Ziletti, Luigi Valvassore,
Andrea Arrivabene, Lodovico Avanzi, nominati alla c. b2v.
IÓO S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

tratta per vari mesi, come sembra dimostrare la data del 7 settem­
bre 1558 alla fine della lettera dedicatoria (forse per il dubbio che
la stampa non si sarebbe terminata entro l’anno il frontespizio,
che appartiene allo stesso foglio di stampa della lettera dedicato­
ria, non porta data). Quasi alla fine del volume (cc. 3A4v-7r) c’è
un «Errata-Corrige », e non sorprende il fatto che esso contiene
ben 170 errori (presumibilmente le aggiunte al Rimano stampate
dopo, alle cc. 3A7V-3C7V, sono arrivate in tipografìa quando lo
stampatore aveva già creduto d’aver terminato la stampa del li­
bro: nella lettera agli studiosi che accompagna le aggiunte, il Ru­
scelli descrive come egli e i suoi amici venivano notando nei fogli
del Rimario appena stampati le parole omesse nel testo).6 Di fron­
te a questo lungo elenco di errori, lo stampatore sente il bisogno
di offrire ai lettori qualche parola di spiegazione, e lo fa con la nota
a cui abbiamo già accennato. Essa è in due parti, di cui una precede
e l’altra segue l’elenco degli errori:7
[3A4V] Non si essendo potuto fare, che in si grosso libro, e con tante
sorti di lettere, e cosi interrotto, le stampe, che pur troppo vi son facili et

6. Anche questa dichiarazione del Ruscelli ha un certo interesse per la storia


della stampa: «Ma perché questo ritrovar tutte le voci è cosa, che non può molto
sicuramente promettersi di potersi far pienamente per molto studio che vi si
metta, io desideroso di far sempre cosa grata agli studiosi, mentre il detto mio Ri­
mario s’è venuto stampando, me ne son venuto facendo di giorno in giorno dar tre
fogli per ogni sorte. L’uno de’ quali ho tenuto di continuo sopra la mia tavola, fa­
cendoli di di in di cucire insieme ... L’altro de’ detti fogli, che ogni dì si venivano
stampando, ho dato a un mio giovane,... Et il terzo io ho mandato di volta in vol­
ta ad un mio amico studiosissimo, et di molto vivace ingegno ...» (3A7v-8r). Si
vede che i fogli di stampa venivano stampati col ritmo di uno per giorno, il che
corrisponde perfettamente a ciò che sappiamo della situazione in altri paesi, nei
Paesi Bassi, ad esempio, dove le Ordinanze di Cristoforo Plantin (1564), quasi con­
temporanee con la nostra edizione, prescrissero in modo rigoroso l’orario del la­
voro giornaliero (L. e W . H ellinga, Regulations Relating to thè Planning and Orga-
nization of Work by thè Master Printer in thè Ordinances of Christopher Plantin, « The
Library », 5 ser., xxix (1974), 52-60). Si badi che il ritmo di un foglio per giorno è
quello del lavoro tipografico, e non necessariamente della stampa di un determi­
nato libro, la quale poteva essere interrotta per vari motivi (sulhproduzione simul­
tanea di più libri, poi, si veda il saggio per vari rispetti fondamentale di D. F. Mc-
K enzie, Printers of thè Mind: Some Notes on Bibliographical Theories and Printing-house
Practices, « Studies in Bibliography », xxii (1969), 1-75, soprattutto 14-20).
7. Nel riprodurre questa nota seguo i criteri di trascrizione già esposti per la
lettera del Ruscelli ai lettori.
X • CORREZIONI ED ERRORI IÓI

atte, non habbiano fatto qualche errore, ancor che in effetto la maggior
parte di essi si potrebbono conoscere da ciascuno per se stesso, tuttavia
per non dar causa al S. Ruscelli di far contra noi poveri stampatori qual­
che invettiva, come suol far bene spesso in fine de’ libri, e vuole che noi
stessi gli prestiamo le mani per darci de’ pugni, facendoci a noi medesmi
stampar parole contra di noi, io ho procurato di notarli qui nel fine quasi
tutti, accioché chi n’ha bisogno possa valersene a conoscerli, et anco a
corregerseli nel libro con la penna a volontà sua.
[Segue l’elenco degli errori]
[3A7r] Se alcuni altri pur ve ne sono, come qualche puntatura manifesta­
mente falsa, o qualche punto, o coma, o interrogativo, che mancasse, o
qualche lettera rivolta, o altra si fatta cosa, si rimette al giudicio del pru­
dente Lettore, alqual’ anco si poteva rimetter la maggior parte di tutti
questi che si son posti, se l’asprezza del Sig. Ruscelli non ci havesse spa­
ventati. Ricordando, che questi errori notati non sono però corsi in tutti
gli stampati, ma in alcuni pochi de’ primi fogli, che noi li venimo tuttavia
rivedendo, et acconciando, et alcuni ancora ne sono accaduti nel lavorar­
si, che i mazzi dell’inchiostro tiran fuori alle volte delle lettere. Percio-
ché tosto che i lavoranti se ne avveggono, le rassettano ai luoghi loro.
Benché molte volte per la fretta le mettono o riverse, o in luoghi ne’ qua­
li non hanno a stare. Il che però è facil cosa a conoscersi da ciascheduno.
E evidentemente alla paura provocata dal terribile Sig. Ruscelli
che dobbiamo l’elenco degli errori e conseguentemente l’esi­
stenza delle notizie sulle varianti interne fornite nella seconda
parte della nota. Queste notizie riguardano tanto le varianti con­
sciamente introdotte nei fogli quanto quelle inconsce. Al primo
gruppo, le varianti consce, si riferiscono le parole: «... questi erro­
ri notati non sono però corsi in tutti gli stampati, ma in alcuni po­
chi de’ primi fogli, che noi li venimo tuttavia rivedendo, et accon­
ciando ... ». A prima vista, la frase sembra rimandare ad errori oc­
corsi solo nelle prime carte-del libro. M a non c’è dubbio che
quest’interpretazione sia da.scartare: gli errori registrati nel­
l’elenco dello stampatore non sono limitati alle prime carte, ma
sono sparsi in maniera regolare per tutta la lunghezza del libro,
dal foglio di stampa segnato « d » a quello segnato « ZZ », il che eli­
mina anche la possibilità che con le parole « alcuni pochi de’ primi
fogli » lo stampatore abbia voluto alludere, non alle prime carte,
ma ai primi fogli di stampa del libro. Cosa voleva egli dire allora
IÓ2 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

con queste parole? Per capire il loro senso, occorre soprattutto te­
ner a mente che per uno stampatore del Cinquecento l’unità di
lavoro non era mai, o quasi mai, costituita da quel gruppo di esem­
plari di ogni singolo foglio di stampa che, piegati e legati insieme,
compongono ciò che si chiama un libro. L’unità fondamentale a
cui andavano i suoi pensieri e le sue cure era il singolo foglio di
stampa, risultato dei procedimenti base della stampa manuale, la
composizione, l’impostazione e la stampa delle due forme di ca­
ratteri tipografici utilizzate nel coprire di segni impressi le due
facciate di un pezzo di carta; i processi si ripetevano per ogni fo­
glio di stampa, e costituivano, con la distribuzione dei caratteri ti­
pografici dopo la stampa, il ritmo giornaliero del lavoro tipografi­
co. Cosi, quando il nostro stampatore parla di errori che « non so­
no però corsi in tutti gli stampati, ma in alcuni pochi de’ primi fo­
gli », non pensa al libro intero, ma solo al singolo foglio di stampa,
e intende dire che gli errori non si trovano in tutti i « fogli » (cioè,
pezzi di carta) « stampati » durante la tiratura di un determinato
foglio di stampa, ma solo nei primi a passare sotto il torchio. A cor­
reggere questi errori sono subito intervenuti gli stampatori (« noi
li venimo tuttavia rivedendo, et acconciando »), che avranno agito
nel solo modo possibile, fermando la tiratura e correggendo le
forme. Gli esemplari del foglio di stampa tirati dopo questa corre­
zione non avranno portato, naturalmente, gli errori notati nei pri­
mi fogli e corretti sulla forma, e avranno costituito cosi un nuovo
stato di detta forma.
Nello stato attuale delle nostre conoscenze, non è possibile di­
re fino a che punto il procedimento della correzione durante la ti­
ratura (in inglese «press correction») sia da considerare anorma­
le. Da una parte, varianti interne di questo tipo s’incontrano spes­
so nei libri prodotti durante il periodo della produzione manuale.
Il fenomeno è documentatissimo per libri inglesi del Cinque, Sei
e Settecento; se la documentazione è molto più esigua per il libro
italiano, ciò è dovuto in larga misura all’interesse relativamente
scarso dimostrato dagli studiosi del libro italiano per la tecnica ti­
pografica. M a che il fenomeno sia esistito in Italia è fuori dubbio:
basta pensare all’edizione definitiva dell’ Orlando furioso, stampato
X * CORREZIONI ED ERRORI 163
a Ferrara nel 1532 da Francesco Rosso, dove si trovano molte va­
rianti interne dovute all’autore.8 D’altra parte, è ugualmente
chiaro che anche nei primi secoli della stampa si tentava di elim i­
nare gli errori attraverso prove o bozze di stampa prima dell’ini­
zio della tiratura di ogni foglio: le Ordinanze di Cristoforo Plantin
sono esplicite in questo senso.9 Probabilmente quello delle corre­
zioni fatte durante la tiratura era un espediente a cui si ricorreva
per motivi che, nella prospettiva dell’attività di un’officina tipo­
grafica ben organizzata ed economicamente fruttuosa, si potreb­
bero definire eccezionali: il fatto che l’autore, anche se presente
in città, non era sempre disponibile, o disposto, a rivedere le boz­
ze nei momenti (nelle Ordinanze del Plantin sono identificati co­
me molto presto di mattina e nella tarda sera) più idonei al ritmo
del lavoro giornaliero dei tipografi; le pressioni esterne (religiose,
politiche, economiche, sociali); la fretta dei tipografi, occasionata
da chi sa quali e quanti motivi economici e personali, anche bana­
li; la loro negligenza o imperfetta padronanza del mestiere.
Molto più semplice e normale è il secondo tipo di varianti in­
terne di cui parlano i fratelli Sessa, cioè le varianti dovute al movi-

8. Le varianti furono scoperte e descritte, sebbene senza piena comprensione


dei procedimenti tecnici che le avevano create, da Santorre Debenedetti, nella
sua fondamentale edizione dell’ Orlandofurioso pubblicata a Bari nel 1928 (in, 406-
426). Elenco qui alcuni altri casi a me noti di varianti interne di questo stesso tipo
correttorio in libri italiani del Cinquecento (avverto che le spiegazioni date dagli
studiosi citati mi sembrano talvolta bibliograficamente imprecise) : P. B embo, Gli
Asolani, Venezia, Aldo Manuzio 1505 (un caso speciale; cfr. C. H. C lough, P. B . ’s
Gli Asolani of 1505, «Modern Language Notes», lxxxiv (1969), 16-45; lxxxvii
(1972), 134-139; C. Fahy, A Note on thè Printing of thè 1505 Aldine Edition ofP.B.’s Aso­
lani, « The Library », 5 ser., xxvii (1972), 136-42 [supra, 145-54]); A. Fulvio, Antiqua­
ria Urbis, Roma, Mazzocchi 1513 (R. W eiss, A. F. antiquario romano, « Annali della
Scuola Normale Superiore di Pisa. Lettere, storia e filosofìa », ser. 2, xxvm (1959),
20, n. 4); O. Landò, Paradossi, Venezia, Arrivabene 1544 (mi sia permesso di ri­
mandare a un mio prossimo contributo sulle edizioni veneziane dei Paradossi)
[infra, 169-211]; G.B. G elli, La Circe, Firenze, Torrentino 1549 (ediz. crit. curata da
R. T issoni in G elli, Dialoghi, Bari 1967, 382); R. P ole, De concilio, Roma, Paolo
Manuzio 1562 (C. F. B ùhler, P. M. and his First Roman Printings, « Papers o f thè Bi-
bliographical Society o f America », xlvi [1952], 209-214); T. T asso , Discorsi delpoe­
ma eroico, Napoli, Sfigliola 1594 (ediz. crit. curata da L. Poma, Bari 1964, 290).
L’elenco potrebbe essere facilmente esteso.
9. L. e W . H ellinga, Regulations ... cit., passim.
IÓ4 S A GG I DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

mento dei tipi durante l’applicazione dell’inchiostro. Questo ve­


niva applicato alla forma dopo ogni singola impressione da uno
dei due operai addetti al torchio. Egli si serviva di due tamponi,
fatti di pezzi di stoffa attaccati a manici di legno e riempiti di lana
o di altro materiale in modo da rassomigliare a piccoli palloni non
pienamente gonfiati; rifornendoli di tempo in tempo d’inchio­
stro da una tavola accanto al torchio, l’operaio premeva questi
« mazzi », per usare la parola dei Sessa, sui tipi contenuti nella for­
ma.10La pressione ripetuta dei tamponi umidi poteva staccare dal­
la forma quei caratteri che per un motivo o un altro non vi erano
bene ancorati, con i risultati (spazi vuoti, lettere rovesciate o spo­
state) cosi chiaramente individuati dai Sessa («... i mazzi dell’in­
chiostro tiran fuori alle volte delle lettere. Percioché tosto che i la­
voranti se ne avveggono le rassettano ai luoghi loro. Benché mol­
te volte per la fretta le mettono o riverse, o in luoghi ne’ quali non
hanno a stare»). E importante notare che per lo studioso moder­
no, che deve procedere induttivamente dalla variante al procedi­
mento tipografico che l’ha causato, è spesso impossibile distin­
guere fra varianti inconsce, che sono per lo più errori, e varianti
consce, che sono sempre correzioni, o tentativi di correzione, an­
che se talvolta arbitrarie o sbagliate. Cosi, in una forma con
un’unica variante del tipo vnole/vuole, la prima lezione può essere
errore compositoriale corretto dai tipografi (in tal caso vnole rap­
presenterebbe il primo stato della forma), oppure errore dovuto
alla ricollocazione a rovescio di un carattere tipografico caduto
durante l’azione dell’inchiostrare (in quel caso vnole sarebbe il se­
condo stato della forma). Il grado di certezza aumenta in propor­
zione al numero di varianti di questo tipo che caratterizza gli stati
di una forma. Se il loro numero è al di sopra di due o tre, e le va­
rianti sono distribuite in varie parti della forma, si può essere quasi
certi, data la frequenza dell’inchiostrazione, che si tratta di varian­
ti consce. Allo stesso modo, una sola variante di un tipo che non

io. G askell, A New Introduction ... 125-131, basato soprattutto su J. M oxon,


Mechanick Exercises on the Whole Art o f Printing (1683-84), edited by H. D avis and H.
C arter, London 19622.
X • CORREZIONI ED ERRORI 165
può essere dovuto all’azione dell’inchiostrare (ad esempio vuole/
volle), garantisce che anche le altre varianti dello stesso stato sono
consce. Queste distinzioni possono avere un certo peso non solo
per la bibliografìa analitica, ma anche per la critica testuale.11
Tornando al Del modo di comporre, l’ispezione di due esemplari
del volume (Londra, British Library, 12942^.46; Oxford, Bodleian
Library, Holkham £ 160) ha dato un risultato inaspettato: nei due
esemplari, fra i 170 errori elencati nell’ «Errata-Corrige» soltanto
sei (gli stessi sei in ambedue) sono stati eliminati nel testo.12M en­
tre i sei errori eliminati garantiscono che lo stampatore sia effetti­
vamente intervenuto, come aveva detto, durante la tiratura, l’alta
proporzione di errori rimasti inalterati nei due esemplari non può
non far nascere il sospetto che i suoi interventi siano stati molto
meno frequenti di quel che egli aveva lasciato supporre al lettore
- e al terribile autore. Questo sospetto trova conferma nella natu­
ra di alcune correzioni proposte:

Errata Corrige
p. 201, 15 che in uolta che di uolta in uolta
p. 484, 7-8 non solam ente lettuario, non solamente lettuario, ma an­
parendo cor LAttuario, parendo
p. 551, 17 hauesse com e alterata hauesse in questo come alterata

Ora, in una linea già piena di caratteri tipografici, come sono le tre
linee sopra indicate, le correzioni proposte sarebbero state impos­
sibili senza uno spostamento di tipi che avrebbe coinvolto non so­

11. Per l’applicazione della distinzione fra varianti consce (« interventi corret­
tori ») e inconsce (« accidenti meccanici del processo tipografico ») si veda P.
A retino, Sei giornate, a cura di G. A quilecchia, Bari 1969, 414, n. 1. Il fatto però
che appartengono allo stesso stato di un’unica forma (F interna) due delle tre va­
rianti interne della prima edizione del Dialogo aretinesco, indicate nella nota cita­
ta e giudicate dall’Aquilecchia varianti inconsce, rende più probabile, a mio avvi­
so, l’ipotesi di un intervento di tipo correttorio per questa forma.
12. Gli errori, con le relative correzioni, sono i seguenti: p. xeni, 2 esserli / esser­
le; 6 li tornasse / le tornasse, 30 bellezza / bassezza; p. xcmi, 21fossi /fosse, p. cui, 23 lon-
ghi / lunghi; p. cxxn, 5 molti d’esse / molte d’esse. Inoltre, è probabile che le lezioni
aggettiuo (p. 134,19) e puntella (p. 140,5) siano correzioni per cui i rimandi nell’ « Er­
rata-Corrige » sono sbagliati (p. 134, vers. ult. aggetiuo / aggettiuo; p. 141,2 puntenella
/ puntella).
166 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

lo i caratteri dell’intera linea, ma anche quelli delle linee conti­


gue. Ciò sarebbe stato uno sforzo abbastanza grande, sproporzio­
nato all’impegno con cui di solito stampatori come i Sessa affron­
tavano libri commerciali come il Del modo di comporre. A mio avvi­
so, i Sessa non hanno mai avuto l’intento di fare le tre correzioni
elencate sopra; inoltre, mi sembra probabile che non abbiano ef­
fettuato la maggioranza delle altre correzioni che figurano
nell’ «Errata-Corrige», e che lo scopo delle loro asserzioni nella
nota che accompagna 1’ «Errata-Corrige» fosse soprattutto d’in­
gannare i lettori, e specialmente il Ruscelli, riguardo il loro zelo.
Soltanto l’ispezione di altri esemplari dell’edizione potrà stabilire
se questo sospetto sia ben fondato.
A ggiunta

N e l suo importante contributo, « La letteratura in tipografìa », in


Letteratura italiana. Voi IL Produzione e consumo, Torino 1983, 555-
686, che sintetizza con mano sicura il lavoro già fatto sui rapporti
fra letteratura e stampa nel Cinquecento, e prospetta altre vie di
ricerca in questo campo, Amedeo Quondam riporta (664-65) un
brano estremamente interessante di un altro lavoro del Ruscelli, i
Fiori delle rime de>poeti illustri (Venezia 1558), in cui l’autore non so­
lo precede i Sessa nel descrivere il fenomeno delle varianti inter­
ne « consce », ma mette in risalto anche il problema linguistico
che deriva dall’interferenza fra le parlate dei compositori e dei
correttori, che sono per la maggior parte « lombardi », e la lingua
dei testi volgari, che è tendenzialmente « toscana ». Dato lo stretto
rapporto fra questo brano e la nota dei Sessa riportata sopra, e an­
che perché il Quondam ha omesso dalla sua trascrizione una frase
che ha il suo interesse per il procedimento tipografico, do qui il te­
sto integrale del brano in questione (i criteri di trascrizione sono
quelli seguiti per la nota dei Sessa):

G. R uscelli, Ifiori delle rime de’ poeti illustri, Venetia 1558, c. zPyr-v1
Questo vitio di metter sempre SI, in vece di Ci, è proprio della lingua
lombarda, e di tutti questi paesi d’attorno. Onde perché i lavoranti delle
stamperie sono la più parte di questi tali, quando lavorano (che essi dico­
no comporre) se ben l’autore ha scritto bene, e toscanamente, essi pren­
dendo, o tutto o mezo, il verso a memoria, se lo ricordano secondo che
loro lo detta la nativa e continuata favella loro, e non come una volta sola
l’habbiano veduto cosi incorso nello scritto dell’ autore. Et poi quei che
correggono, o sono di quei medesimi ancor’ essi, e non lo hanno e non lo
conoscono per errore, o è come impossibile, che possano in una volta so­
la vedere, e corregger tutti gli errori, che in gran copia ne sono spesso
nelle stampe, che si danno a correggere, essendo questo pessimo uso fra
gli stampatori di qui, che una sola volta danno a corregger la stampa.

* Inedito.
1. Il Quondam erroneamente dà l’indicazione: « pp. 605-6 », che vale per la c.
2C>7r-v. Il foglio 2P non è paginato.
i68 S A GG I DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

Nella qual sola volta, o, come è detto, è impossibile a potere in cosi folta
selva ritrovare e rassettare ogni cosa, o quando ancora si correggan tutti
nella carta, è poi ventura che i lavoranti cosi tutti gli acconcino nelle let­
tere di piombo, cioè in quelle che poi fanno il lavoro, e massimamente,
che le più volte si truovano tanto sotto del tempo, che per non far patire
il torcolo, e perdere il lavoro ordinario della giornata, sono sforzati a usar
gran fretta nel correggere, e convien poi far Poratione di quel buon me­
dico, che traendosi le ricette a caso della tasca, diceva a colui a chi la dava
per qualche infermo: « Iddio te la mandi buona! » Senza che un altra vir­
tù è in molti de gli stampatori, che mandano a correggere il foglio, il qual
s’ha da tirare, e fra tanto essi tirano e lavorano, e quando poi viene il fo­
glio indietro corretto dal correttore, o dall’autor proprio, si truova re­
starsi da tirarne alcuni pochi fogli, e quei pochi si correggono. Il che tutto
nasce perché in effetto i poveri lavoranti cosi dalle casse con le lettere,
come al torcolo hanno troppo lavoro ordinario da fare il giorno, che ogni
minimo perdimento di tempo, o ogni minimo sconcio, di molti che nelle
stampe ne caggiono di continuo, è cagione di molto danno loro.
XI

LE EDIZIONI VENEZIANE DEI «P A R A D O SS I»


DI O RTEN SIO LAN D O *

Il 2 agosto 1544 gli Esecutori contro la bestemmia, magistratura vene­


ziana incaricata di vigilare sulla moralità in alcuni suoi aspetti
pubblici e, dal 1543, anche sull’osservanza delle leggi riguardanti
la stampa, emisero la loro sentenza nel processo contro alcuni
membri dell’industria tipografica veneziana per la stampa abusiva
(cioè, fatta senza la debita licenza) dei Paradossi di Ortensio Lan­
dò. La sentenza è conservata nel Notatorio degli Esecutori (mentre
sono andati perduti i documenti riguardanti il processo), e costi­
tuisce una testimonianza singolare dei rapporti tra governo e
stampa a Venezia alla metà del Cinquecento, prima del Concilio
di Trento. Di questo documento un breve riassunto, non privo di
errori, fu pubblicato da G. Pesenti una trentina di anni fa,1 ma la
sua importanza ne giustifica ora la ripubblicazione integrale:
Die 2. augusti 1544.
Li eccellentissimi Signori m. Bernardo Soranzo & Andrea Bragadino di-
gnissimi Executorj sopra la biastema, non essendo della opinione loro il
clarissimo m. Francesco Longo suo terzo collega, visto il processo for­
mato contra Andrea dal Pozzo & Pasqualin dal San Sebastiano ouero dal
ponte da loglio librari & altri nominati in quello, per il quale apertamen­
te consta essi librari contra la forma delle lezze dello Illustrissimo consi­
glio di .x. et senza licentia delli excellentissimi Signori capi di quello
hauer fatto stampare nouamente in questa città alcunj librj in lingua uol-
gare uenuti da Lione di Franza intitolati le Paradoxe, hanno terminato &
per la presente examinatione terminano che tutti li libri sopraditti si del­
la stampa sopraditta fatta in questa città come di quella fatta a Lione tolti
per l’ offìtio di sue signorie alli preditti librarj & alli infrascritti siano & se
intendino esser persi, et che essi libri siano mandati alli excellentissimi
Signori capi del sopraditto Illustrissimo consiglio accioché le eccel-

* Pubblicato in « Studi di filologia italiana », xl (1982), 155-91.


1. G. Pesenti, L ib r i c e n su ra ti a V e n e z ia n e i se c o li X V I - X V I I , «La Bibliofilia»,
Lviii (1956), 15-30. Un accenno al documento si trova anche in P. F. G rendler,
T h e R o m a n In q u isitio n a n d th è V e n e tia n P r e s s 1 5 4 0 -1 6 0 5 , Princeton 1977, 80.
170 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

lentie sue facino di essi quanto li parerà, hauendo opinione li sopraditti


clarissimi Soranzo & Bragadino di douer punire la inobedientia di simili
transgressori solamente & non esser cognitori della qualità delle opere
stampate. Bernardin Bindon stampador ueramente che per hauer stam­
pate le opere sopraditte senza licentia come è ditto di sopra pagare debbi
ducati diese, reseruandoli però ragione & actione contra dicti Andrea &
Pasqualino librarj che gli hanno fatto stampare le opere preditte, se alcu­
na el ne pretende [c. 42r] hauere contra di loro. Julio Danza uenditor di
libri et carta presso la chiesa di San Jacomo di Rialto che per hauere te­
nute nella botega sua in publico & uendute senza licentia de Ili sopraditti
excellentissimi Signori Capi ditte Paradoxe della stampa uenuta da Lio­
ne pagare debbi ducati cinque. Assoluendo & liberando Antonio di
Viuianj quondam Piero toscano nominato in esso processo. Dissentendo
dalla opinione delli preditti clarissimi Soranzo & Bragadino il clarissimo
m. Francesco Longo suo terzo collega in questa parte solamente, cioè
che in luogo di rimandare le Paradoxe preditte alli sopraditti excellentis­
simi Signori Capi vuole che esse Paradoxe siano brusate per la sua mala
qualità, essendo maxime state repudiate da ditti excellentissimi Signori
capi per relatione del quondam Secretano Cornino, come nel processo
appare per propria confessione delli sopraditti Andrea & Pasqualin li­
brarj, & cosi comandorono douer esser annotato.
Die 28 dictj mensis.
Lecta fuit die suprascripta sententia haec excellentissimis dominis capi-
tibus Illustrissimi consilij decem et de mandato suarum rationum [?]
fuerunt portati in officio suo libri Paradoxarum suprascriptis librarijs
ablatae [sic].
Die 5 septembris 1544.
Intimata fuit suprascripta sententia suprascriptis condemnatis per me
secretarium in officio coram clarissimis dominis Bernardo Superando &
Andrea Bragadino dignissimis Executoribus.2

Se, come pare, il nome di Pasqualino da San Sebastiano ci è per­


venuto unicamente per essersi trovato in questo documento, il
collega nell’impresa di far pubblicare abusivamente i Paradossi

2. Archivio di Stato di Venezia, Esecutori contro la Bestemmia. Notatorio, 56, voi. 1,


c. 41V. Ho sciolto le abbreviazioni, introdotto gli accenti e le maiuscole secondo
l’uso moderno; inoltre, sono intervenuto parcamente nell’interpunzione, per
agevolare la comprensione del documento. Vorrei esprimere la mia gratitudine a
Christopher Cairns, Laura Lepschy e Martin Lowry per il loro aiuto nella lettura
del documento.
XI • EDIZIONI VENEZIANE DEI « P A R A D O S S I » I7I

landiani è ben altrimenti noto, perché Andrea dal Pozzo non è al­
tro che l’editore e tipografo Andrea Arrivabene, figlio del tipo­
grafo Giorgio Arrivabene di Mantova, attivo dal 1534 al 1569, se­
condo i dati dell’ Italian Short-Title Catalogue della British Library,
la cui bottega era « al segno del pozzo », nelle Mercerie. Le simpa­
tie protestanti dell’Arrivabene sono state investigate recente­
mente da Paul F. Grendler, con risultati in larga misura positivi,
anche se l’Arrivabene ebbe sempre l’avvedutezza di non trasgre­
dire, o di non trasgredire troppo apertamente, il codice di com­
portamento tollerato dalle autorità veneziane in materia religio­
sa, e mori tranquillamente nel suo letto nel 1570.3 La storia delle
edizioni veneziane dei Paradossi, quale la si traccerà in queste pa­
gine, dimostra il largo margine di libertà lasciato a un abile opera­
tore come l’Arrivabene dalla legislazione veneziana della metà
del Cinquecento sulla stampa, e dal modo trascurato in cui essa
veniva applicata. Lo stampatore dell’edizione abusiva dei Parados­
si processato dagli Esecutori contro la bestemmia, Bernardino Bindo-
ni, è anche lui ben conosciuto alla storia della tipografìa venezia­
na. Membro di una numerosa famiglia milanese di tipografi stabi­
lita a Venezia agli inizi del Cinquecento, Bernardino era attivo
come stampatore negli anni trenta e quaranta del Cinquecento.
La sua produzione non è stata finora elencata e esplorata, ma che
egli, come l’Arrivabene, non fosse alieno dal trattare materiale re­
ligioso favorevole alla Riforma è dimostrato dal fatto più clamo­
roso della sua attività di tipografo, la stampa nel 1543 della prima
edizione del Beneficio di Cristo.4

3. G rendler, T h e R o m a n In q u isitio n . . . , 105-12; vedi anche A. D el C ol, L u c io


« Rivista di storia
P a o lo R o s e llo e la v ita relig io sa v e n e z ia n a v erso la m e tà d e l se c o lo X V I ,
della Chiesa in Italia », xxxii (1978), 422-59. S. Seidel M enchi, L e t r a d u z io n i ita lia ­
n e di L u t e r o n e lla p r im a m e tà d e l C in q u e c e n to , « Rinascimento », ser. 2, xvii (1977), 31-
108, soprattutto 81-86,88 n. 2, ha dimostrato che l’Arrivabene era l’editore di una
traduzione italiana della V o r re d e a u f f d i e E p i s t e l S . P a u li a n d i e R ò m e r di Lutero, fatta
pubblicare nel 1545 sotto il nome del cardinale Federico Fregoso, con i tipi di Co-
min da Trino. In mancanza di un censimento completo dell’attività editoriale e
tipografica dell’Arrivabene, le conclusioni del Grendler, e le osservazioni conte­
nute nel presente contributo, sono necessariamente provvisorie.
4. Per il B e n e fìc io d i C risto del 1543, di cui l’unico esemplare sopravvissuto si
172 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

Il documento del 2 agosto 1544 attribuisce la responsabilità


maggiore per la stampa dei Paradossi agli editori, senza dubbio
perché, dal punto di vista legale, toccava a loro, piuttosto che allo
stampatore, di chiederne la licenza; ma che il Bindoni avesse
stampato i Paradossi ignorando che l’edizione fosse abusiva mi
sembra da escludere, a cagione delle particolarità del suo lavoro
che discuteremo sotto. Le azioni degli editori e dello stampatore
sono rese ancor più sorprendenti da un’altra notizia contenuta
nel documento: dall’ultima parte della sentenza, che contiene il
parere discorde del terzo Esecutore, Francesco Longo, risulta che
il libro era stato condannato dai Capi del Consiglio dei Dieci, con­
danna conosciuta ai due editori, forse perché formulata in risposta
ad una loro richiesta di autorizzazione. Stupisce in queste circo­
stanze la sentenza relativamente mite imposta agli editori, anche
se la si possa interpretare come estesa, almeno intenzionalmente,
all’intera edizione.
Rivolgendo la nostra attenzione ai documenti tipografici, cioè
ai singoli esemplari dei Paradossi landiani con la data di Venezia,
1544, la prima osservazione che occorre fare è questa: se l’intento
degli Esecutori fosse stato quello di far confiscare l’intera edizione
stampata dal Bindoni per conto dell’Arrivabene e del suo collega,
esso era lamentevolmente fallito, perché chi scrive, con uno spo­
glio esteso, ma certo non completo, delle biblioteche europee e
americane, ha potuto identificare e esaminare 42 esemplari dei
Paradossi con la data di Venezia, 1544, tutti stampati con iniziali xi­
lografiche e con tipi facilmente identificabili come quelli usati da
Bernardino Bindoni in altri libri stampati intorno al 1544.5Un esa­
me attento di questi esemplari ha poi rivelato una situazione

conserva alla biblioteca del St. John’s College, Cambridge, vedi B enedetto d a
M antova, I l b en eficio di C risto , con le v e rsio n i d el se c o lo X V I , d o c u m e n ti e te stim o n ia n z e ,
a cura di S. C aponetto, Firenze-Chicago 1972, (« Corpus Reformatorum Italico-
rum»), 469-71, 504. Da un altro documento riportato dal Pesenti, L ib r i
c e n s u r a t i . . . , 18, risulta che nel 1551 Bernardino (a quel momento latitante) e suo fi­
glio Giovanni Antonio furono banditi da Venezia per dieci e per cinque anni ri­
spettivamente, per la stampa di una lettera contenente calunnie contro due frati.
5. Molte delle iniziali xilografiche usate nei P a r a d o ss i si ritrovano, ad esempio,
nel volume delle P re d ic h e so p r a a lq u a n ti sa lm i e so p r a A g g e o del Savonarola stampato
XI • EDIZIONI VENEZIANE DEI « P A R A D O S S I » I7 3

complessa, che getta una luce ulteriore sui motivi e sulle azioni
dell’Arrivabene, che d’ora innanzi nominerò da solo, senza il mi­
sterioso collega Pasqualino. Questi 42 esemplari si dispongono
non in un’unica edizione, come sarebbe da supporre leggendo il
documento del 2 agosto 1544, bensì in tre edizioni diverse, tutte
somigliantisi in modo tale che due devono essere considerate ri­
stampe che seguono il loro modello pagina per pagina e quasi pa­
rola per parola; anzi, è evidente l’intento dello stampatore di ren­
dere le due ristampe il più possibile indistinguibili dal modello.
Per chi voglia conoscere gli estremi delle tre edizioni, rimando
all’appendice di questo contributo, dove si troverà una descrizio­
ne non solo delle edizioni del 1544, ma anche delle altre edizioni
veneziane dei Paradossi, nonché della Confutazione de’ Paradossi, al­
tra opera landiana, apparsa anonimamente nel 1545. L’esistenza di
tre edizioni quasi identiche, tutte della stessa data, insieme col fat­
to, documentato nell’appendice, che si trovano anche esemplari
« misti » dei Paradossi del 1544, composti di fogli provenienti da più
di una delle edizioni di quella data, ha richiesto una descrizione
più dettagliata di quella solitamente fornita per edizioni cinque­
centesche. La validità della nostra ipotesi di tre edizioni diverse è
dimostrata anzitutto dai dati statistici: dei 42 esemplari già men­
zionati, 15 appartengono a 1544a, 15 a 1544!), e 8 a 1544c, mentre i
quattro esemplari « misti » sono tutti diversi fra di loro. Che gli
esemplari rappresentanti i tre raggruppamenti maggiori costitui­
scano effettivamente edizioni diverse può essere dimostrato con­
siderandone alcuni aspetti, come l’impaginazione confusa, ma in
maniera diversa, in ogni edizione, e meglio ancora, la serie dei ti­
toli correnti, anch’essa diversa in ogni edizione, in modo tale che
essa può fornire la base di una regola empirica per distinguere fra
di loro facilmente senza ombra di dubbio tutte le segnature delle
tre edizioni, come è spiegato nella nota aggiunta alla descrizione
degli esemplari «m isti».6

dal Bindoni nel 1544, e nel Libro primo delle littere di Antonio de Guevara, stampato
nel 1545.
6. Vedi infra, 203-4. La diversità delle tre edizioni salta subito agli occhi di chi
le confronta materialmente. L’unica biblioteca che possiede tutte e tre le edizioni
174 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

Quanto alla successione cronologica delle tre edizioni, quella


proposta nell’appendice è dettata soprattutto da considerazioni
testuali, che saranno esposte a suo tempo in sede di edizione criti­
ca. Con i soli argomenti bibliografici tale successione non può es­
sere dimostrata in modo conclusivo, ma le seguenti considerazio­
ni sono offerte a parziale sostegno del risultato della recensio te­
stuale:
1) quando si ha una serie di ristampe che seguono fedelmente
l’impaginazione di un’altra edizione, si assiste di solito a un pro­
cesso di decadimento non solo testuale, ma anche bibliografico.
Nel nostro caso, questo processo può essere visto soprattutto
nell’uso dei tipi tondi per il testo dei Paradossi. In I544a la stessa se­
rie di caratteri tipografici serve per tutto il testo; in i544b un’altra
serie di caratteri tondi è introdotta per la stampa delle segnature
N e O, mentre in 1544C i due tondi s’alternano da segnatura a se­
gnatura, e talvolta da pagina a pagina della stessa segnatura, indi­
cando un maggior senso di urgenza nella stampa dell’intera edi­
zione, con l’uso simultaneo di due casse e di due compositori, o di
due gruppi di compositori;
2) oltre agli 8 esemplari di 1 544C già accennati, ce ne sono due
altri che portano sul frontespizio la data del 1545, invece del 1544-
Si tratta, come è spiegato nell’appendice, non di una nuova emis­
sione di 1544C, fatta nell’anno seguente, ma di una variante intro­
dotta durante la stampa del frontespizio di 1544C. 7 Tale pratica è
ampiamente documentata negli Annali di Gabriel Giolito di Salva­
tore Bongi, parcamente negli anni quaranta (abbiamo esempi so­
lo per gli anni 1 5 4 1 , 1 5 4 2 e 1 54 7 ) , ma con frequenza sempre cre­
scente nei due decenni successivi. Può servire come tipico il Pe-

del 1544 è la Nazionale Centrale di Firenze, che ha due esemplari per ciascuna
edizione.
7. Per la distinzione fra variante interna e nuova emissione, vedi il mio contri­
buto, C o r r e z io n i ed errori a v v e n u ti d u r a n te la tira tu r a se c o n d o u n o s ta m p a to r e d el C in q u e ­
c e n to : c o n trib u to a lla sto r ia d e lla tecn ica tip o gra fica in I ta lia , « Lettere Italiane », xxvn
(1975), 184-92 [su p ra , 155-68], e soprattutto F. B owers, P rin c ip le s o f B ib lio g r a p h ic a l
D e sc r ip tio n , New York 19622, 40-41, 49-56, 77-79- [V. ora anche E d iz io n e , im p r e ssio ­
ne, e m issio n e , sta to , su p r a , 65-88.]
XI • EDIZIONI VENEZIANE DEI « P A R A D O S S I » 175
trarca con l’espositione d}Alessandro Vellutello del 1558. Di quest’edi­
zione il Bongi scrisse: « Se ne trovano copie nelle quali, durante la
tiratura, è stata mutata la data dell’ anno nel frontespizio ed in fine,
ponendovi il 1560. Ma siccome i legatori non badarono poi a que­
ste variazioni quando misero insieme i volumi, cosi ne consegue
che talvolta le date dei frontespizi non confrontano con quelle fi­
nali».8 L’osservazione del Bongi è puntualmente confermata dai
due esemplari di quest’edizione conservati allaBritish Library, di
cui uno (segnatura : 82 i 1) porta sul frontespizio la data del 1558 e
nel colofone quella del 1560, mentre l’altro (segnatura: 11427 e 6) ha
la data del 1560 sul frontespizio e quella del 1558 nel colofone.9
Servendomi delle ricche collezioni della British Library, ho potu­
to controllare i dati forniti dal Bongi nel caso di sette edizioni, dal
1551 al 1558, conservate li in doppi esemplari con date diverse. Per
due di queste edizioni, la descrizione del Bongi è risultata erro­
nea, in quanto l’intero frontespizio, insieme con il materiale pre­
liminare, o una parte di esso, è stato ristampato nell’anno successi­
vo, creando cosi due esempi classici della nuova emissione di
un’edizione, con nuovo frontespizio e nuovi preliminari.10 M a
negli altri cinque casi è stata pienamente confermata la spiegazio­
ne del Bongi. Gli esemplari con la data dell’anno successivo non
hanno un nuovo frontespizio, e la nuova data è semplicemente
una variante interna dell’edizione, introdotta durante la stampa
della forma contenente il frontespizio.11 Quanto ai Paradossi del

8. S. B ongi, Annali di Gabriel Giolito de’ Ferrari da Trino di Monferrato stampatore


in Venezia, 11, Roma 189$, 58.
9. Nel catalogo della British Library i due esemplari sono registrati come ap­
partenenti a due edizioni diverse.
10. I due volumi sono M.T. C icero, Il dialogo dell’Oratore, 1554, 1555 e 1556
(Bongi, Annali..., 1, Roma 1890,426-27,481; i due esemplari della British Library
sono del 1555 e del 1556) e G.B. P ossevini, Dialogo dell’Honore, 1558 e 1559 (Bongi,
Annali..., 11, 56, 81).
11. In un passo del suo magistrale lavoro (Annali..., 11, 262) il Bongi descrive
lo scopo di questo procedimento (e anche della nuova emissione di un’edizione
con frontespizio nuovo): « Si incontrano colla data del 1567 esemplari di alcuni li­
bri stampati nell’anno antecedente, ed anche nel 1565, poiché alcune edizioni si
vollero far comparire come recenti con tal moltiplicità di date, per il corso d’un
triennio ».
176 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

1544, la presenza di questo particolare in una della serie di tre edi­


zioni volutamente identiche, stampate nello stesso anno dallo
stesso stampatore, la indica come probabilmente l’ultima della se­
rie.

L’esistenza di tre edizioni dei Paradossi stampate a Venezia nel­


lo stesso anno è una prova della grande popolarità dell’opera. Evi­
dentemente, facendo stampare la prima edizione, l’Arrivabene
aveva sottovalutato il fascino del libro per i lettori di quel periodo.
Di questo fascino la prima testimonianza è costituita da una lunga
lettera di Anton Francesco Doni scritta da Venezia e pubblicata
con la data del 18 aprile 1544 nella prima edizione delle sue lettere,
stampata a Venezia da Girolamo Scotto il mese dopo.12 La lettera,
indirizzata ad Alessandro Giovio, nipote del famoso storico Pao­
lo, acquista il suo pieno significato solo se messa in rapporto con la
storia delle edizioni veneziane dei Paradossi del 1544*Nella lettera
il Doni parla con molto entusiasmo delle piacevoli qualità dei Pa­
radossi, di cui sottolinea l’aspetto di scherzo, di contro a taluni « ne­
mici » dell’autore, che lo tacciano di « disonestà »; poi, nella secon­
da parte della lettera, che è stata trascurata dagli studiosi del Lan­
do, ma che, a mio avviso, è intimamente collegata a ciò che prece­
de, egli passa a un encomio delle autorità veneziane, che permet­
tono la libera discussione di « cose ragionevoli, non tassando né
República né fede », ed a un’aspra critica di quelli che ignorante-
mente biasimano le opere altrui. M a in tutta la lettera, dell’opera
landiana il Doni non fa mai il nome, lasciando al lettore avveduto
il compito di identificare l’opera di cui si tratta per mezzo di alcu­
ni indizi, del resto assai trasparenti.13 L’aver taciuto il titolo del li-

12. C. R icottini M arsili-L ibelli, A n t o n F ra n c e sc o D o n i, sc r itto r e e sta m p a to r e ,


Firenze i960 (« Biblioteca Bibliografica Italica », 21), 20-24. La lettera dedicatoria
dell’ autore, indirizzata a Ludovico Domenichi, è del 9 maggio 1544- L ultima let­
tera della raccolta è datata il 13 maggio 15 4 4 . La licenza di stampare l’opera fu con­
cessa al Doni il 21 aprile 15 4 4 ; vedi Archivio di Stato di Venezia, C a p i d el C o n sig lio
d ei D ie c i, N o ta to r io , 13, c. i2Óv.
13. Trascrivo qui la lettera, omettendo alcune frasi non essenziali:
« Quest’opera, S. mio, m’ha gustato tanto et di tal maniera m’è piaciuta (o, l’è in­
geniosa, o, l’è mirabile!) che subito m’imaginai di mandarvene una copia. S’io co-
XI • EDIZIONI VENEZIANE DEI « P A R A D O S S I » 17 7

bro è da mettere in rapporto con un altro aspetto curioso della let­


tera: il fatto che nella forma in cui venne presentata al pubblico
nell’edizione del 1544, e in tutte le edizioni posteriori delle Lettere
doniane, la lettera è chiaramente acefala. A parte il fatto che l’ini-

noscessi quel chiarissimo intelletto, io piglierei tanta letitia d’esserli amico, quan­
to gli havranno invidia i suoi nemici. La S.V. la legga, che ella troverà di molte
belle inventioni; un rabuffamento al Boccaccio [cfr. Paradosso xxvii : « Che
l’opere del Boccaccio non sieno degne d’esser lette, ispetialmente le Dieci Giorna­
te »], un dar atraverso alle soppiattonerie d’Aristotile [cfr. Paradosso xxvm: « Che
l’opere quali al presente habbiamo sotto nome di Aristotele, non sieno di Aristo­
tele », e Paradosso xxix: « Che Aristotele fusse non solo un ignorante, ma anche
lo più malvagio huomo di quella età »], et molte altre acutezze d’ingegno con tan­
ta gratia del mondo. Ecci molti che non pigliano se non le parole, et vi si perdono
sopra; col dire : ‘la non è honesta’ ; et non considerano, che l’auttore s’ha messo la
giornea della spensieraggine per dar da ridere alla brigata; né altro penso che sia
stato il suo studio, che mostrare la via da cacciare il sonno la state, et mandar via il
cimurro della testa a’ taffani, che son cosi fastidiosi quando è l’agosto. A me la mi
par molto piacevole. O, quel esser meglio trovarsi ignorante che letterato [ cfr.
Paradosso ni: « Meglio è d’esser ignorante, che dotto »], mi quadra, et lo confer­
mo per conoscer molti, che son da qual cosa, i quali strologano più a sfamarsi, che
non hanno lambiccato il cervello ne’ testi, nelle glose et fra’ dottori, et i manigol­
di sguazzano. Et se hora la lingua del’ignoranza sotterra pochi fogli scritti, la boc­
ca della verità potrebbe partorire assai volumi stampati (...). Benedetti siano i
Magnifici Signori Vinitiani, che almanco tu puoi dire quel che ti piace delle cose
ragionevoli non tassando né Republica né fede, che nessuno non ti flagella, et le
legioni de’ susurroni non ti calpestano il nome. Farebbono il meglio tali sfaccen­
dati seguire tranquillamente quegli studi, che son giusti, senza salire sulla giran­
dola d’un million di pensieri molesti, dove infelicemente tutto il giorno s’anno­
tano, et attendere solo a lasciar qualche lume di loro virtuoso et buono, che si to­
sto il tempo non cancellasse, senza andare armeggiando: ‘E’ vuol dire la tal cosa et
la quale’. Io mi rido di certi ser saccenti, che voglion difendere una penna da un
canto o da un altro; et non hanno tanto caldo che sudino. Et mi fo beffe di certi sa­
vi, che la pigliono per i principi a spada tratta; i quali noi fan per altro se non per­
ché la plebe gli sberetti sotto l’ombra d’un non so che et sotto coperta d’una ca­
sacca di cottone: nell’ultimo e’ si pascon di fummo. E mi farebbon dar del capo
nel muro (s’io non mi facessi male) una caterva d’alocchi biasimatori de’ capricci
honorevoli d’altrui. Io non m’aveggo che son troppo lungo per aventura et trop­
po ardito. Perdonimi V.S. per gratia sua del haver fatto il savio, havendomi tra­
sportato la penna et la volontà fuor di proposito et più assai che non si conveniva,
pregando il costume gentile della mansuetudine di V.S. a sopportare l’alterezza
dell’insolentia mia. Le ricordo solo che mi comandi et nella maniera che io le son
servidore et nel modo che merita esser servito, pur che io sia buono a satisfare in
parte alla virtù, alla cortesia et alla realità grande di V.S., che la bassezza mia l’in­
china et le bascia la mano. Alli xvm d’Aprile mdxliiii. Di Vinegia. Il Doni. » (A.F.
D oni, Lettere, Vinegia, appresso Girolamo Scotto, 1544, iiór-ii7r).
I78 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

zio è troppo brusco per rappresentare la forma in cui la lettera po­


tè essere stata mandata al destinatario (si confrontino le frasi ceri­
moniose con cui essa termina), l’uso di aggettivi dimostrativi nel­
le prime due frasi della lettera per denotare il libro e il suo autore
(« Qwesi’opera»; « quel chiarissimo intelletto») presuppone una
parte anteriore del testo in cui quei due oggetti erano stati identi­
ficati. La collocazione della piena identificazione di quegli oggetti
fuori del testo stampato, in una parte soppressa per la pubblicazio­
ne (o mai scritta, se la forma epistolare adoperata dal Doni è una
finzione letteraria), presuppone in questa identificazione un ele­
mento pericoloso, o nocivo; mentre infatti per l’identità dell’au­
tore, taciuta in tutte le edizioni dei Paradossi, questa strategia non
dà luogo a nessuna sorpresa, per il titolo del libro, sempre presen­
te nelle edizioni dell’opera, non la si capisce se non supponendo
da parte del Doni una conoscenza dell’aspetto clandestino, illega­
le, dei Paradossi veneziani del 1544. Alla luce di questa constatazio­
ne, la sua lettera può essere interpretata come una presa di posi­
zione, indiretta ma efficace, a favore dei responsabili di quelle edi­
zioni, che ne sottolineava tre elementi: libro piacevole e onesto,
autorità veneziane intelligentemente tolleranti, critici maligni e
ignoranti, che in un certo senso potevano servire di scusa all’Arri-
vabene per la sua azione di far stampare i Paradossi senza licenza.
Dalla lettera del Doni si può concludere che esemplari vene­
ziani dei Paradossi erano già disponibili nel periodo aprile-maggio
1544.14 Della condanna dei Paradossi da parte dei Capi del Consi­
glio dei Dieci sappiamo soltanto che essa era avvenuta prima del
20 luglio 1544, data della morte di Bartolomeo Cornino, segretario
del Consiglio dei Dieci, il «quondam Secretano Cornino» del do-

14. La natura letteraria della raccolta del Doni, come di altre raccolte epistolo-
grafìche del periodo, induce a un po’ di cautela nell’ accettare come veridica la da­
ta della lettera; più prudente sarebbe considerare come vero te r m in u s a n t e q u e m la
data dell’ultima lettera della raccolta, cioè il 13 maggio. Sull’epistolografìa del se­
colo vedi ora G. Fragnito, P e r lo s tu d io d e ll’ e p isto lo g ra fia v o lg a re d e l C in q u e c e n to : le
le tte re di L u d o v ic o B e c c a d e lli, « Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance », xliii
(1981), 61-87; A. Q uondam (ed.), L e « c a r te m e ssa g g ie r e » ; retorica e m o d e lli di c o m u n ic a ­
z i o n e e p isto la r e : p e r u n in d ice d ei libri di le tte re d e l C in q u e c e n to , Roma 1981.
XI • EDIZIONI VENEZIANE DEI « P A R A D O S S I » I79

cumento.15 Ignoriamo, quindi, se la stampa dell’edizione fosse


stata iniziata prima o dopo di quella condanna - prima, forse, data
la relativa mitezza della sentenza. Calcolando una giornata di la­
voro per la stampa di ogni foglio, sulla base delle Ordinanze di
Christophe Plantin, possiamo dire che ci sarebbero voluti al mas­
simo fra quindici e venti giorni per la stampa della prima edizione,
forse un po’ meno per le altre due.16 Cosi, anche se la stampa della
serie di edizioni veneziane dei Paradossi non fosse cominciata che
nell’aprile del 1 5 4 4 , essa poteva essere terminata ad una data sensi­
bilmente anteriore alla sentenza del 2 agosto. M a a questo riguar­
do possiamo fare un’ulteriore precisazione cronologica di note­
vole interesse, grazie a due singolari aspetti di 1544C. Questi aspet­
ti, su cui abbiamo già attirato l’attenzione, sono l’uso di due serie
di caratteri tipografici, anche all’interno di singole forme, e l’esi­
stenza di esemplari con la data dell’anno seguente; essi indicano
rispettivamente, come abbiamo già detto, un elemento di urgen­
za nella stampa dell’edizione, e l’intento di agevolare lo spaccio di
esemplari dell’edizione l’anno dopo. Queste peculiarità, prese se­
paratamente, non hanno nessun valore cronologico: l’urgenza
nella stampa dell’edizione avrebbe potuto essere cagionata da
possibili conseguenze della natura clandestina dell’edizione,
mentre la presenza di esemplari con la data dell’anno seguente
non ha di per sé nessun’implicazione per la data di pubblicazione,
come è dimostrato dalla storia di alcune edizioni giolitine.17 Prese
insieme, però, esse indicano la probabilità che l’edizione fosse sta­
ta stampata verso la fine dell’anno, e quindi dopo la sentenza del 2
agosto. Questo perché lo scopo a cui si mirava con l’uso simulta-

15. Per il Cornino vedi E.A. C icogna, D e l l e in sc r iz io n i v e n e z ia n e , 1, Venezia


1824,138.
16. Per le O r d i n a n z e plantiniane e per il ritmo di lavoro in un’officina tipogra­
fica cinquecentesca, mi sia permesso di rimandare al mio contributo, I n t r o d u z i o n e
a lla b ib lio g ra fia te stu a le , « La Bibliofilia », lxxxii (1980), 151-80, soprattutto 160-69
[su p ra , 40-50]. Intendo i « mille volumi di varii paradossi » stampati nel 1544, se­
condo il brano della C o n f u t a z i o n e d e ’ P a r a d o s s i citato in fra , 188, come un’espressio­
ne generica per indicare un gran numero di esemplari.
17. Ad esempio, i D ia lo g h i p ia c e v o li del Franco, con esemplari datati 1541 e 1542,
furono pubblicati nell’agosto del 1541 (Bongi, A n n a l i . . . , 1, 29, 47).
l 80 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

neo di due casse e forse anche di due torchi, cioè di concludere il


più presto possibile il lavoro della stampa, per poter disfarsi subito
del materiale incriminante, sarebbe stato frustrato dalla stampa di
esemplari con la data dell’anno seguente, a meno che quel nuovo
anno non stesse per cominciare fra poco. Sembra, quindi, che no­
nostante la condanna del libro da parte delle autorità veneziane,
nonostante il processo da esse intentato contro gli editori e lo
stampatore, questi ultimi abbiano continuato a stampare i Para­
dossi del Landò per tutto l’anno, facendo del loro meglio per far
credere che gli esemplari stampati dopo l’intervento delle autori­
tà appartenevano non ad una nuova edizione, ma a quella origina­
ria, stampata prima di quell’intervento.
Torneremo fra poco all’Arrivabene ed ai suoi legami con le
edizioni veneziane dei Paradossi stampate dopo il 1544. Ora sarà
opportuno rivolgere la nostra attenzione per un momento all’au­
tore dei Paradossi. Non può essere un puro caso che nel periodo in
cui gli esemplari della prima edizione veneziana del suo lavoro
cominciavano ad arrivare in mano a lettori appassionati e entusia­
stici come il Doni, il Landò si trovasse a Venezia. La sua presenza
è documentata dalla lettera dedicatoria del trattatello Della vera
tranquillità dell’animo di Isabella Sforza, lavoro la cui paternità è
stata di recente interamente assegnata al Landò.18 La lettera, fir­
mata dal Landò con il suo nomignolo, «il Tranquillo», è datata:
«Di Vinegia, alli x. di Maggio, del x l i i i i ».19. Come al solito, benché
possiamo rintracciare in modo generale i movimenti del Landò in

18. C. G inzburg-A. P rosperi, Giochi di pazienza: un seminario sul «Beneficio di


Cristo », Torino 1975,163-64,208-9. Senza entrare qui in una discussione dettaglia­
ta della questione, mi limiterò a dire che condivido in larga misura la tesi esposta
dal Prosperi in questo volume. Il testo del trattato contiene alcuni stilemi indub­
biamente da attribuire alla penna di m. Ortensio. Non credo, però, che il Landò
avrebbe osato attribuire alla Sforza un’opera religiosa senza il suo permesso (il
caso delle Lettere di Lucrezia Gonzaga del 1552 è totalmente diverso, per il genere
dell’opera e dei rapporti del Landò con la Gonzaga); propendo per una specie di
collaborazione, o almeno di intesa, fra il Landò e la Sforza circa il materiale da in­
cludere nel piccolo trattato.
19. Della vera tranquillità dell’animo. Opera utilissima, et nuovamente composta dalla
Illustrissima Signora la Signora Isabella Sforza, Vinegia, figliuoli di Aldo, 1544, c. 4v.
XI • EDIZIONI VENEZIANE DEI « P A R A D O S S I » 181
quell’anno e nell’anno precedente, grazie soprattutto al materiale
da lui stesso fornito, ci mancano dati precisi per fissare il periodo e
la durata del suo soggiorno a Venezia nella prima metà del 1544.
N ella stessa lettera dedicatoria del trattato Della vera tranquillità
dettammo egli dice di aver incontrato la Sforza e letto il suo tratta­
to in manoscritto nel corso di una visita a Piacenza. Questa visita
dev’essere stata di data recente, perché, sempre secondo la lettera
dedicatoria del trattato, essa ebbe luogo dopo il ritorno del Landò
« dall’ultime parti di Piccardia». Ora, il Landò era stato in Piccar-
dia, seguendo la corte francese, nella seconda metà del 1543.20 Pri­
ma di tornare in Italia, però, egli aveva visitato Lione, una visita ta­
ciuta nella lettera dedicatoria, ed ivi aveva fatto pubblicare la pri­
ma edizione dei Paradossi. Due dovevano essere stati i motivi che
lo indussero a scegliere Lione per quella edizione. In primo luo­
go, Lione era la città di cui a quella data egli conosceva meglio
l’industria tipografica, grazie all’esperienza fatta qualche anno
prima, quando aveva lavorato per Sebastianus Gryphius. In quel
periodo, egli aveva affidato allo stesso Gryphius la prima edizione
del suo dialogo ciceroniano Cicero relegatus et Cicero revocatus (1534)
e poi, l’anno dopo, aveva procurato, per i tipi dei fratelli Trechsel,
la prima edizione del suo secondo lavoro, le Fordanae quaestiones,
apparsa con il falso luogo di stampa di Napoli. Di queste due ope­
re erano state pubblicate anche edizioni veneziane, rispettiva­
mente nel 1534 e nel 1536, entrambe stampate da Melchiorre Ses­
sa; ma niente ci autorizza a considerare queste edizioni veneziane

La licenza per il « libro intitolato della vera tranquilità dell’ animo composto dalla
S.ra Isabella Sforza » fu concessa il 24 maggio 1544; vedi Archivio di Stato di Vene­
zia, C a p i d e l C o n sig lio d ei D ie c i. N o ta to r io , 13, c. I32r.
20. Nell’autunno del 1543 ebbe luogo una delle interminabili serie di scontri
tra forze francesi e imperiali sulla frontiera nord-orientale della Francia, per cui
vedi E. Lavisse , H is to ir e d e F r a n c e . . . V, D e u x i è m e p a r t i e : L a lu t te c o n tre la m a is o n
d ’A u tr ic h e ; L a F r a n c e s o u s H e n r i I I (1 5 1 9 -1 5 5 9 ), par H. Lemonnier, Paris 1911,112. Gli
spostamenti della corte francese fra i primi di agosto e il 21 novembre, da La Fère-
sur-Oise in Piccardia a Sainte-Menehould nelle Ardenne, possono essere seguiti
nelle pagine del C a ta lo g u e d e s A c t e s d e F r a n ç o is I, T o m e I V , 7 m a i 1 5 5 9 - 5 0 d écem ­
bre 1 5 4 5 , Paris 1890. Purtroppo dei movimenti del Landò non si sa niente di pre­
ciso.
182 saggi di bibliografia testuale

altro che le solite ristampe abusive, fatte senza il permesso e forse


anche senza la conoscenza dell’autore.21 Quando nel 1543 il Lan­
dò si preparò ad affrontare per la prima volta la stampa di un’ope­
ra in volgare, aveva un altro motivo per scegliere la città francese:
proprio in quell’anno, come ci attesta la lettera latina che egli in­
dirizzò in maggio al riformatore svizzero Joachim von W att (Va-
dianus), egli aveva dovuto lasciare l’Italia per evitare una miste­
riosa persecuzione minacciatagli dalle autorità religiose per alcu­
ne sue traduzioni, non ancora identificate, di opere di Lutero.22 A
Lione poteva trovare un’atmosfera religiosa congeniale, e un’in­
dustria tipografica molto legata all’Italia, che poteva contribuire a
diffondere la sua opera anche in territorio italiano; inoltre, nella
grande colonia italiana di Lione egli poteva sperare di trovare un
connazionale a cui affidare la stampa della sua opera - e in questo
intento egli riuscì, incaricando della stampa dei suoi Paradossi un
certo Giovanni Pullone da Trino nel Monferrato (luogo d’origi­
ne di tipografi famosi, come Comin da Trino e la famiglia dei
Gioliti), i quali Paradossi sono la prima sua edizione finora cono­
sciuta, e l’unica in lingua italiana (a parte una seconda edizione
dei medesimi, pubblicata insieme con il collega Jacques de Millis
nel 1550).23
Si può osservare, fra parentesi, che la scelta di Lione come luo­
go di stampa della prima edizione dei Paradossi non solo rifletteva
gli orizzonti internazionali della produzione anteriore del Landò,
ma giovò anche alla sua prima opera in volgare, dandole una dif-

21. Per il soggiorno del Landò a Lione, e per la stampa delle due opere latine,
mi sia permesso di rimandare ad alcuni miei scritti: P e r la v ita di O r te n sio L a n d ò ,
GSLI, cxLii (1965), 243-58; T h e T w o « N e a p o l i t a n » E d i t i o n s o f O r te n sio L a n d ò ’s « F o r -
c ia n a e Q u a e s ti o n e s », in C o lle c te d E s s a y s o n Ita lia n L a n g u a g e a n d L ite r a tu r e p r e s e n te d to
K a th l e e n S p e ig h t, Manchester 1971,124-42 [su p ra , 123-39]; e T h e C o m p o sitio n o f O r ­
te n sio L a n d ò ’s D ia lo g u e « C icero r e le g a tu s e t C icero re v o c a tu s », « Italian Studies », xxx
(i975), 30-41-
22. Vedi il mio contributo L a n d ia n a . I. O r te n sio L a n d ò a n d th e D ia lo g u e « D e s i d e ­
r a E r a s m i f u n u s » (1 5 4 0 ). IL L a n d ò ’s L e t t e r to V a d ia n u s (1 5 4 3 ), IMU, xix (1976), 325-87.
23. Nella B ib lio g r a p h ie ly o n n a ise del Baudrier manca una sezione dedicata al
Pullone; le mie informazioni sulla sua attività sono basate sullo studio sia degli in­
dici del lavoro del Baudrier, sia delle cinquecentine francesi della British Library.
XI • EDIZIONI VENEZIANE DEI « P A R A D O S S I » 183

fusione europea mai raggiunta dalle opere seguenti. Non si sa se


dare credito o no all’asserzione contenuta nella dedicatoria del se­
condo libro dei Paradossi, secondo cui prima della pubblicazione
del libro alcuni Paradossi erano stati tradotti in francese da M auri­
ce Scève, i cui legami di qualche anno prima con il Landò sono di­
mostrati dai distici latini forniti dallo scrittore lionese per il fron­
tespizio delle Forcianae quaestiones24 M a una traduzione francese
di venticinque Paradossi, eseguita da Charles Estienne e pubbli­
cata dal traduttore a Parigi dieci anni più tardi, nel 1553, godette di
uno straordinario successo, con due altre edizioni nello stesso an­
no, quattro nel 1554, e parecchie altre prima del 1600. La pubblica­
zione di questa fortunata traduzione francese dei Paradossi era
stata preceduta da quella di una traduzione spagnola, apparsa nel
1552, mentre verso la fine del secolo l’opera del Landò, nella sua
veste francese, attraversò la Manica, e alcuni Paradossi furono tra­
dotti dal francese e stampati a Londra nel 1593 in una versione in­
glese, essa stessa ristampata nel 1602.25
Tornando alla prima edizione del testo originale, vediamo che
essa porta la data del 1543, ma tenendo conto dell’abitudine lione­
se in vigore fino al 1566 di usare per la datazione lo stile della Pas­
qua, la stampa poteva essere avvenuta - e infatti, come vedremo,
probabilmente avvenne - durante i primi tre mesi del 1544 (stile
moderno). La sentenza del 2 agosto 1544 dà tutta la responsabilità
per le edizioni veneziane del 1544 agli editori, asserendo (giusta­
mente, come ci conferma la collazione del testo) che l’Arrivabene

24. «... havendo finalmente ritrovato in Lione un poco di quiete, et veggendo


molti giovani della natione Italiana disiderosi di leggere, et anche di trascrivere li
P a r a d o ss i che già in Piacenza vi promisi, deliberai rivedergli, et poi lasciargli in pu-
blico uscire: tanto più che havendone già traportati alcuni in lingua Francese l’in­
gegnoso messer Mauritio Seva, poteva facilmente temere che prima Francese
che Italiano parlassero» (P a r a d o ss i , 1543, c. Gyr). La notizia di una versione fran e-
se dei P a r a d o ss i approntata prima della stampa della prima edizione è ribadita dal
Landò nella C o n f u t a z i o n e d e ’ P a r a d o s s i ; vedi il brano di quest’opera riportato in fra ,
188. Per le F o r c ia n a e q u a e stio n e s vedi il mio scritto T h e T w o « N e a p o li ta n » E d i -
t i o n s . . . , 124-26. [S u p r a , 124-5].
25. Per le traduzioni dei P a r a d o ss i vedi l’elenco delle edizioni di opere landia-
ne in P.F. G rendler, C ritic s o f th è I ta lia n W o rld (1 5 3 0 -1 5 6 0 ): A n t o n F ra n c e sc o D o n i,
N ic o lò F r a n c o a n d O r te n sio L a n d ò , Madison-London 1969, 222-39.
184 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

aveva fatto eseguire la sua edizione dei Paradossi su quella lionese,


di cui aveva in bottega alcuni esemplari. Sembra probabile, però,
che il Landò, dopo la sua sosta a Piacenza, fosse giunto a Venezia
in quel torno di tempo con l’intento tanto di sistemare la stampa
di un’edizione italiana dei suoi Paradossi, quanto di far pubblicare
il trattato sforziano, o pseudo-sforziano. Nonostante che quest’i­
potesi non trovi alcuna corroborazione decisiva nella storia ester­
na o interna delle edizioni veneziane del 1544, ci sono alcuni
aspetti suggestivi di quelle edizioni che ci incoraggiano a nutrire
la speranza di trovare un giorno una prova decisiva della collabo-
razione del Landò alla loro stampa. Forse l’indizio più persuasivo
della presenza dell’autore durante la stampa di I544a è da vedere
in una variante che contraddistingue le edizioni veneziane del
1544 (e anche quelle dell’anno seguente) da tutto il resto della tra­
dizione. La variante si trova nel Paradosso xxm : « Che meglio sia
nascere di gente humile, che di chiara et illustre», e consta della
soppressione di un’osservazione, del resto non molto offensiva,
sul conto dei veneziani:
dindi partito, viddi fra pochi giorni nella città di Vinegia un infinito nu­
mero de Magnifici, et non vi viddi mai pur un atto generoso et magnifi­
co: ma forse fu per mia sciagura, o che non meritasse de vederlo (Parados­
si, 1543, cc. K6v-7r).
Ciò che fa pensare ad un intervento dell’autore è il fatto che nelle
edizioni veneziane del 1544 quest’osservazione non è stata sem­
plicemente eliminata, come avvenne nell’edizione veneziana
delle Forcianaequaestion.es per alcune espressioni giudicate offensi­
ve alla dignità della Serenissima,26 ma è stata sostituita dal seguen­
te brano:
O miseri noi mortali, dovunque io vado, veggo gli huomini tanto cupidi
di questa gloriosa ambitione, che non è luoco, non città, non castella, non
villa, che non l’habbia per amica et famigliare (Paradossi, I544a, c. K2r).

Sennonché, il brano è di uguale lunghezza, o quasi, di quello sop­


presso; e questo fatto ci ammonisce a non escludere la possibilità

26. The Two «Neapolitan» Editions..., 131-32. [Supra, 130-1].


XI • EDIZIONI VENEZIANE DEI « P A R A D O S S I » 185

di una sostituzione decisa e fatta eseguire in tipografìa, quando si


erano già calcolate e forse anche impostate le pagine del foglio K;
tanto più che il brano aggiunto, benché conforme allo stile landia-
no, contiene solo generalità.
Più confusa e contraddittoria è la testimonianza dell’altra va­
riante macroscopica delle edizioni veneziane del 1544 nei riguardi
del resto della tradizione. Si tratta di alcune righe verso la fine del
Paradosso VII: «Esser miglior l’imbriachezza, che la sobrietà»,
sull’importanza del vino nella storia e nei riti della Chiesa. Nel te­
sto originale, queste righe parlano dei papi Niccolò V e Paolo II,
che « erano trovati spesso spesso da’ lor famigliari imbriachi », e di
Giulio II, « gloria di tutta Liguria », che « sovente imbriacavasi,
donde poi l’ardir pigliava contra le forze francesche », e citano, co­
me prova « di quanta nobiltà et eccellenzia sia Tesser imbriaco »,
le parole del salmo 77: Resurrexit dominus tanquam potens, tanquam
crapulatus a vino.27 In cinque dei quindici esemplari di 1544a presi
in esame, appare un testo che riproduce fedelmente quello della
prima edizione, mentre negli altri dieci esemplari la pagina è stata
ristampata, sopprimendo non solo gli accenni ai papi ubriachi, ma
anche la citazione del salmo 77.28 Si tratta ovviamente di una sop­
pressione introdotta per ragioni di prudenza durante la stampa.
M a stranamente, in 1544b troviamo la versione originale di questo
brano, mentre in 1544c, il cui testo in altri luoghi segue 1544b,
compare la versione più breve e meno pericolosa di questo brano.
La noncuranza dell’officina bindoniana nello stampare 1544b col
testo già laboriosamente soppresso in molti esemplari di 1544a fa
pensare che la prudenza che aveva cagionato la soppressione nella
prima edizione veneziana fosse stata quella dell’autore, assente
per la stampa di 1544b; ma se era stato cosi, come spiegare il ritor­
no in 1544c ad una lezione che non si trovava nel modello? Tanto
più che nella seconda m età del 1544 il Lando non si trovava più a

27. 1543, cc. E4r-v. Il Landò citava a memoria il testo della Vulgata:
P a r a d o ss i,
La Vulgata
E t e x c ita tu s e st ta n q u a m d o r m ie n s d o m in u s: ta n q u a m p o t e n s c r a p u la tu s a vin o.
è l’unica versione ad usare qui la parola c ra p u la tu s.
28. Per una descrizione di come venne effettuata la sostituzione, vedi in fra ,
198-9.
i86 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

Venezia, avendo varcato le Alpi di nuovo, per cercare la sua fortu­


na in Germania, nella casa di Johann Jacob Fugger in Augusta.29
Tutto sommato, l’ipotesi di una partecipazione del Landò alla
stampa della prima edizione veneziana dei Paradossi, benché ten­
tante, rimane ancora senza prove sicure.

Finora abbiamo parlato delle tre edizioni veneziane dei Para­


dossi stampate nel 1 5 4 4 con i tipi di Bernardino Bindoni. Ma, come
abbiamo accennato, e come si può verificare consultando l’ap­
pendice di questo articolo, ci sono anche due altre edizioni stam­
pate a Venezia l’anno dopo (e non parlo qui degli esemplari di
1544C con la data dell’anno seguente). Si tratta di due edizioni
nuove, completamente diverse dalle tre edizioni quasi identiche
del 1 5 4 4 e, per di più, nettamente distinte fra di loro, essendo I 5 4 5 a
stampata con caratteri tondi, e I545b con caratteri corsivi. Le edi­
zioni del 1545, come quelle del 1 54 4 , non contengono il nome del­
lo stampatore o dell’editore, e questa volta non abbiamo la fortu­
na di possedere una testimonianza documentaria per aiutarci a
smascherare l’identità dei responsabili delle nuove edizioni.
Nondimeno, attraverso l’analisi del materiale tipografico, soprat­
tutto delle iniziali xilografiche, possiamo stabilire senza ombra di
dubbio il nome degli stampatori. Le eleganti iniziali xilografiche
di i545a (come per le edizioni dell’anno precedente, la successio­
ne cronologica implicita nella mia classificazione è basata su con­
siderazioni testuali) colpiscono subito perché constano di lettere
in nero su sfondo bianco, caratteristica non comune in iniziali ve­
neziane della metà del Cinquecento, dove le lettere sono solita­
mente in bianco su sfondo variamente ombreggiato. Le diverse
serie rappresentate dalle tredici iniziali di questo tipo usate in
i545a si trovano ripetutamente in edizioni stampate a Venezia fra
il 1 5 4 2 e il 1 5 4 6 da Venturino Ruffìnello, ad esempio in un Plutar­
co del 1543, in un’edizione dello Specchio della croce di Domenico
Cavalca del 1545, e soprattutto in un grande Orazio del 1 5 4 6 ;

29. Vedi il mio contributo, Un trattato di Vincenzo Maggi sulle donne e un’opera
sconosciuta di Ortensio Landò, GSLI, cxxxvm (1961), 254-72, soprattutto 262-64.
XI • EDIZIONI VENEZIANE DEI « P A R A D O S S I » 187

nell’opera del Cavalca appaiono anche gli stessi tipi adoperati per
stampare 1545a (Tav. ix 1-2).30 Il Ruffìnello è indubbiamente lo
stampatore di 1545a. Meno individualità ha il materiale tipografi­
co usato nella stampa di 1545b, la cui identificazione è stata più la­
boriosa. M a anche qui, con l’aiuto di iniziali xilografiche ben rico­
noscibili a cagione di fratture all’orlo del legno, si è potuto identi­
ficare il materiale come quello usato nello stesso anno in alcune
edizioni stampate da Bartolomeo da Lodrone, detto l’Imperado-
re, la cui bottega, come c’informa la sottoscrizione di una sua edi­
zione di Apuleio nella traduzione del Boiardo, apparsa nel 1544,
era « sulla piazza di S. Marco appresso la chiesa di S. Basso » (Tav. x
1-2).31
Fra i dodici o tredici stampatori usati apertamente dall’Arriva-
bene di volta in volta nella sua funzione di editore (egli possede­
va, ma forse soltanto nella seconda metà della sua attività a Vene­
zia, anche un’officina tipografica) non figura il nome di Ruffìnel­
lo, e cosi non c’è niente che consenta di collegare 1545a con l’Arri-
vabene. M a con Bartolomeo detto l’Imperadore le cose sono di­
verse. Anzitutto, egli aveva già lavorato per l’Arrivabene, stam­
pando nel 1544 un’edizione della traduzione italiana di Cristoforo
Landino delle Rerum gestarum Francisci Sfortiae Commentarii di Gio­
vanni Simonetta.32 Oltre a questo legame esplicito, ce n’è un al-

30. Vedi P lutarco, I m o tti e le s e n t e n t ie n o ta b ili d e p re n c ip i, Vinegia, V. Roffinel-


lo, 1543, c. G3V; D. C avalca , L ib r o c h ia m a to sp ecch io d i croce, Vinegia, V. Roffìnello,
1545, cc. A2r, A41:; Q. H oratius F laccus, O m n i a p o e m a t a , Venetiis, apud V. Roffì-
nellum, 1546, p a s s i m . Sono grato alla immancabile cortesia dell’amico Dennis E.
Rhodes della British Library per l’identificazione del Ruffìnello come stampato­
re di I545a. Sul Ruffìnello, che nel 1544 apri bottega anche a Mantova, trasferen­
dosi li stabilmente nel 1546, vedi, dello stesso R hodes, A B ib lio g r a p h y o f M a n tu a .
II I., « La Bibliofilia », lviii (1956), 167-75, soprattutto 168. L’iniziale D, con la figu­
ra di un topo, di cui parla il Rhodes, si trova anche in I545a, c. I5V.
31. Vedi L. A p u le g io tra d o tto in v o lg a re d a l co n te M a t t e o M a r i a B o ia r d o h i s t o r i a t o . . . ,
In Vinegia al segno dell’Imperadore, 1544, c. O3V. Stando alle notizie fornite
d a ì ì ’ I t a lia n S h o r t -t i t le C a ta lo g n e della British Library, l’attività di Bartolomeo, con
o senza l’aiuto di « Francesco (Venetiano) suo genero », si svolse dal 1542 al 1556.
La British Library possiede tre edizioni firmate dal solo Francesco, datate 1557,
1558 e 1559.
32. Vedi H is to r ie d i G io v a n n i S im o n e t t a d e lle m e m o r a b ili e t m a g n a n im e im p r e se f a t t e
d a llo in v ittissim o F ra n c e sc o S fo r z a D u c a d i M i l a n o n e lla Ita lia , tra d o tta in lin g u a th o sc a n a
i88 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

tro, estremamente suggestivo, finora nascosto sotto l’anonimia di


un’edizione senza data e senza nome di editore o di stampatore,
ma stampata daBartolomeo e pubblicata dall’Arrivabene nel 1545.
Si tratta dell’unica edizione di un’opera anonima, ma scritta dal
Landò, la Confutazione de’ Paradossi, in cui l’autore ironicamente
attacca i Paradossi per i supposti errori e le esagerazioni contenute
nel libro.33 La datazione del libro, e quindi, con ogni probabilità,
dell’edizione, è resa possibile dalla presenza nella prima pagina
del testo di un orgoglioso resoconto del successo europeo dei Pa­
radossi :
Furono l’anno passato stampati nella città di Vinegia et di Lione, non
senza gran piacer de’ curiosi, m ille volumi di varii paradossi, li quali, per
Italia a briglia sciolta (come si dice) correndo, di strane bugie la riempi­
rono: ma che dico io per Italia, il che sarebbe agevole da sofferire, peggio
è che hanno del loro mortai veneno amorbata tutta la Francia, anzi tutta
l’Europa (colpa di chi li ridusse nella lingua francese, in poco appresso
nella latina li tradusse) ( Confutazione, c. 3r-v).
L’unico modo di interpretare le parole « l’anno passato » in questo
contesto è come riferentisi all’anno 1 5 4 4 , in cui si può collocare
non solo la stampa delle edizioni veneziane di quella data, ma an­
che, come abbiamo suggerito, quella dell’edizione lionese del
1543, secondo l’abitudine lionese di usare la datazione della Pas­
qua. U n sicuro terminuspost quem, come ho avuto occasione di no­
tare anni fa, è offerto dalla nomina a cardinale di Ottone Truch-
sess, il « Cardinal d’Augusta» della c. 8r, avvenuta il 1 9 dicembre
1 5 4 4 . 34 La responsabilità dell’Arrivabene per l’edizione è dimo­
strata dallapresenza sul frontespizio della stessa impresa, un albero
colpito da un fulmine, usata per le edizioni clandestine dei Para­
dossi pubblicate l’anno prima (T aw . vm e xn). Per la maggioranza
delle sue edizioni, l’Arrivabene era solito usare una serie di im ­
prese che contenevano la raffigurazione di un pozzo, serie che al­
ludeva, ovviamente, al nome della sua bottega, ma che, nello stes­

sa Cristoforo Landino Fiorentino..., In Vinegia, al segno dii pozzo, 1544; colofone, c.


3E41:: In Vinegia per Bartolomeo detto l’Imperador, & Francesco suo genero. 1544.
33. Per i particolari dell’edizione vedi infra, 208-9.
34. Vedi il mio scritto, Il trattato di Vincenzo Maggi..., 263, n. 1.
XI • EDIZIONI VENEZIANE DEI « P A R A D O S S I » 189

so tempo, per mezzo di altri elementi, esprimeva il suo impegno


per la divulgazione della parola evangelica (due delle imprese, ad
esempio, rappresentavano l’incontro di Cristo con la Samaritana,
accompagnata con l’iscrizione: Chi berrà di questa acqua, non havrà
sete in eterno, oppure: O voi tutti che havete sete venite a Vacque).35
L’impresa usata per i Paradossi e per la Confutazione non appartie­
ne a questa serie, concepita, almeno in parte, come un annuncio
pubblicitario, atto a rivelare, con i soli elem enti figurativi, senza
l’aggiunta delle parole « al segno del pozzo », l’identità e l’impe­
gno dell’editore. In mancanza sia degli annali tipografici dell’Ar-
rivabene, sia di un repertorio di imprese tipografiche italiane del
Cinquecento, è diffìcile ricostruire la storia dell’impresa dell’al­
bero colpito dal fulmine, ma che essa fosse stata usata dall’Arriva-
bene prima della stampa dei Paradossi ci è attestato da quell’eccel­
lente conoscitore delle cinquecentine italiane che era W . Li. Bul-
lock, il quale possedeva nella sua ricca biblioteca, ora conservata
presso la John Rylands University Library di Manchester, un
esemplare dell’opera di Alessandro Piccolomini, Delle stelle fisse,
pubblicata dall’Arrivabene a Venezia «al segno del pozzo» nel
1540, con quest’impresa.36 Se non fosse per questa testimonianza
del Bullock, si sarebbe tentati di pensare che l’impresa fosse stata
escogitata giusto per l’edizione clandestina dei Paradossi, con un
intento opposto a quello che solitamente si propongono le impre­
se tipografiche, per nascondere, cioè, piuttosto che per annuncia­
re, l’identità dell’editore - un’ipotesi incoraggiata dall’apparente
, simbolismo del suo uso nelle edizioni clandestine dei Paradossi,

35. Due imprese dell’Arrivabene sono descritte in fra , 209-n. Una delle impre­
se raffiguranti Cristo con la Samaritana è riprodotta in Seidel M enchi, L e tra d u ­
z i o n i ita lia n e di L u t e r o . . . , Tav. iv, fra pp. 72 e 73.
36. W.Ll. B ullock, T h e ‘L o s t ’ « M is c e lla n e a e q u a e stio n e s » o f O r te n sio L a n d ò , « Ita-
lian Studies », 11 (1938), 50, n. 7. L’amico T. Gwynfor Griffìth mi ha gentilmente
informato che l’edizione di cui parla il Bullock è infatti la seconda parte di un vo­
lume che contiene anche un’altra opera del Piccolomini, D e l l a sfe ra d e l m o n d o .
L’impresa dell’albero colpito da un fulmine appare anche sul frontespizio
dell’intero volume. Alla fine del volume c’è il seguente colofone: « In Venetia
per Giouanantonio & Dominico fratelli de Volpini da Castelgiufredo, Ad instan­
tia di Andrea Ariuabene, Tien per insegna il Pozzo. Del mese di Aprile m.d .xl . ».
190 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

opera inaspettatamente condannata dalle autorità veneziane.37


Usandola non per la prima volta nelle sue edizioni dei Paradossi,
PArrivabene non poté pretendere di nascondere la sua partecipa­
zione a quelle edizioni, ma certo poté pensare di renderla meno
palese. Riadoperandola poi nella sua edizione della Confutazione
de}Paradossi Panno dopo, PArrivabene ovviamente volle collegare
questa nuova pubblicazione con le edizioni dell’anno preceden­
te, presentandola come una sorta di ammenda per la pubblicazio­
ne illegale dei Paradossi da lui procurata.
Ora, il fatto che, nel far stampare la Confutazione, l’Arrivabene
si servi non di Bernardino Bindoni, ma di Bartolomeo detto l’Im-
peradore (Tav. xi i e 2) ha il suo significato. Essendo stati associati
nella pubblicazione della Confutazione, avvenuta, a quanto pare,
nella seconda metà del 1545 (perché il Lando, tornando dalla Ger­
mania, pare sia andato a Brescia e poi a Piacenza, prima di tornare
a Venezia),38 è probabile che editore e stampatore avessero lavo­
rato insieme, o stessero per lavorare insieme, se la pubblicazione
della Confutazione aveva preceduto quella di 1545b, anche su
un’edizione dei Paradossi. Perché la Confutazione è soltanto super­
ficialmente un’ammenda; in realtà, essa è un’abiura ironica, essa
stessa paradossale, una riaffermazione del carattere insieme
scherzoso e sovversivo dei Paradossi, in altri termini, un tentativo
non di confutare ma di rilanciare i Paradossi come libro degno
dell’attenzione dei lettori avveduti.39

37. Se, come pare, l’albero è un alloro, tradizionalmente impervio ai colpi di


fulmine, l’impresa simboleggerebbe l’incolumità di una buona coscienza, che re­
siste imperterrita ai colpi di fortuna. Quest’interpretazione è suffragata dal senso
dell’iscrizione inserita nell’orlo dell’impresa, che consiste dei seguenti versi: S o t ­
to la f é d e l d e l a l a e r chiaro, te m p o n o n m i p a r e a da f a r rip a ro. Il secondo verso è petrar­
chesco (C a n z o n i e r e , in 5).
38. Vedi il mio scritto, U n tra tta to di V in c e n z o M a g g i . . . , 263-266.
39. Letta in questa chiave, la C o n f u t a z i o n e si rivela un libro audace, in cui l’au­
tore non esita a prendere in giro le autorità veneziane (velatamente, s’intende)
per il fallimento del tentativo di proibire la pubblicazione dei P a r a d o s s i ; vedi
l’esortazione alla fine della prima O r a z io n e , indirizzata a certi « Signori » non be­
ne identificati (gli E s e c u to r i c o n tro la b e s te m m ia ?): «... poscia che ottimamente con­
siderate le haverete, adoperatevi meco, per estirparle dalle humane menti, et non
vogliate per alcun tempo soffrir, che si pestilentiosi libri vadano a lor beneplacito
XI • EDIZIONI VENEZIANE DEI « P A R A D O S S I » 191

Per completare il quadro delle edizioni veneziane dei Paradossi


dobbiamo fare un salto di quasi vent’anni, al 1563. N ell’intervallo
si può pensare che la situazione dell’editoria veneziana rispetto
alla stampa di materiale o di autori sospetti fosse molto cambiata.
Il controllo assai saltuario esercitato sulla stampa dagli Esecutori
contro la bestemmia ai tempi della pubblicazione delle prime edizio­
ni veneziane dei Paradossi era stato rinforzato dalle attività della
nuova magistratura dei Tre savii sopra eresia, creata nel 1547- Nel
1562, poi, la repubblica aveva rinforzato il sistema della censura,
che stava da molti anni sotto il controllo dei Riformatori dello
Studio di Padova. Intanto, erano stati pubblicati a Venezia i primi
tre indici di libri proibiti, il Catalogo dellacasiano del 1549, il Catha-
logus del 1554/1555, e Vindice di Paolo IV, del 1559. N egli ultimi due
troviamo il nome del Landò, larvatamente in quello del 1554/1555
(«Hortensius Tranquillus»), apertamente nell’altro («Horten-
sius Tranquillus, alias Hieremias, alias Landus»).40 Anche tenen­
do conto del fatto che questi tre indici avevano avuto per vari mo­
tivi una vita breve, ed erano stati ritirati o scartati subito dopo la
loro pubblicazione, sorprende il fatto che in quel clima i Paradossi
landiani potessero trovare a Venezia nel 1563 una ristampa com­
pleta (perfino con il testo integrale della fine del Paradosso v i i , eli­
minato durante la stampa di i544a perché giudicato troppo peri­
coloso), dato che l’identità dell’autore era proclamata abbastanza
chiaramente due volte nel corso del libro, una volta nell’iscrizio­
ne alla fine del secondo libro: « SVISNETROH TABEDVL », che,
letto a rovescio, dà: « LVDEBAT HORTENSIVS », e un’altra volta
nella lettera di commiato, scritta da (o forse attribuita a) Paolo
Mascranico: « L’autore della presente opera il qual fu M.O.L.M.

per le mani degli huomini. Questo è, Signori, l’ufficio vostro: questo a voi s’ap­
partiene: questo da voi richieggono tutti i buoni » (C o n f u t a z i o n e , c. I2r).
40. Per la censura dei libri a Venezia e la storia degli indici dal 1549 al 1559 vedi
G rendler , T h e R o m a n I n q u i s i t i o n . . ., 63-127,151-54; per il testo del C a t h a lo g u s del
1554/1555 e dell’ In d ic e del 1559 vedi F.H. R eusch, D i e In d ic e s lib ro ru m p r o h ib ito r u m
d e s s e c h z e h n te n J a h r h u n d e r t s g e s a m m e lt u n d h e ra u sg e g e b e n , Tübingen 1886. Geremia
era stato il nome religioso del Landò come membro dell’ordine agostiniano; vedi
P e r la v ita di O r te n sio L a n d ò 243-51.
192 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

[cioè, «m . Ortensio Landò milanese»] detto per sopranome il


Tranq.» ( Paradossi, 1543, c. 0 8 r); inoltre, essa era stata dichiarata
apertamente nelle cinque edizioni, tutte veneziane, della Libraria
del Doni apparse fra il 1550 e il 1557.41La nostra sorpresa cresce no­
tevolmente nel vedere che il responsabile dell’edizione del 1563 è
lo stesso Arrivabene, che questa volta non esita a mettere sul fron­
tespizio l’impresa del pozzo e il proprio nome.42 Né serve a far di­
minuire la nostra meraviglia la constatazione che con ogni proba­
bilità l’edizione aveva potuto evitare la censura prevista nei rego­
lamenti del 1562 perché ristampa di un’opera già pubblicata a Ve­
nezia, e non prima edizione di un’opera nuova.43 Se pensiamo al­
le circostanze in cui era stata pubblicata diciannove anni prima la
prima edizione veneziana dei Paradossi, stupisce che l’Arrivabene
abbia potuto impunemente riconoscere pubblicamente la sua re­
sponsabilità per l’edizione del 1563. Dobbiamo concludere che
l’illegalità di quella prima stampa dei Paradossi, la condanna del li­
bro da parte delle autorità, la sentenza emessa contro l’Arrivabe­
ne e altri, e la presenza del nome dell’autore dei Paradossi nell’/w-
dice paolino, nel sottogruppo riservato, sotto ogni lettera, per que­
gli autori « quorum libri et scripta omnia prohibentur », non con­
tava molto nella Venezia del 1563. Anche dopo gli studi cosi infor-

41. Le opere del Landò incluse nella L ib r a ria , che nell’ultima edizione curata
dall’autore, quella del 1557, raggiunsero il numero di dodici, compresi i P a r a d o ss i e
la C o n f u t a z i o n e , erano raccolte sotto il lemma di « Hortensio Landò », che s’inizia­
va con la seguente nota: « La stampa, che è arte onorata e di somma fama, talvolta
è stata cagione di fare inalberare molti uomini che son morti credendo vivere, e
molti che son vivi veggon la morte de’ loro scritti per più cagioni. Prima la molta
comodità de’ libri e gran quantità, che ci hanno oggi mai fatta una selva inestrica­
bile sugli occhi dell’ intelletto; poi la pania del diletto che altri ha di leggere infini­
te cose e sempre nuove, è stata cagione che molti uccellacci v’hanno invescate
l’ale, si che la fama loro, che in altra guisa avrebbe volato al cielo dell’immortalità
con l’ali della gloria, è rimasa tarpata dalli artigli della ignoranza e da l’unghie del
vituperio. Però chi vuole fuggire l’uno e l’altro inconveniente, cioè che voglia fa­
re opere degne o legger cose buone, pigli le composizioni vulgari d’Ortensio »
(A.F. D oni, L a L ib r a ria , a cura di V. B ramanti, Milano 1972, 127-28).
42. Per una descrizione dell’edizione del 1563 vedi in fra , 209-11.
43. Vedi la mia recensione al libro del Grendler, T h e « I n d e x lib ro ru m p r o h ib i t o -
ru m » a n d th è V e n e tia n P rin tin g I n d u s tr y in th è S i x t e e n t h C e n tu r y , « Italian Studies »,
xxxv (1980), 52-61.
XI • EDIZIONI VENEZIANE DEI « P A R A D O S S I » 193
mativi del Grendler, sembra che ci sia ancora qualcosa che ci sfug­
ge nei rapporti fra editoria e autorità laiche e religiose a Venezia
nei primi anni della Controriforma.44 È probabile che la migliore
via per fare dei progressi in questo campo sia quella, non molto al­
la moda fra i cultori di storia intellettuale, della ricerca bibliogra­
fica. Soltanto dopo la cernita ‘verticale’ di tutta l’attività dell’Arri-
vabene, quella editoriale insieme a quella propriamente tipografi­
ca, accompagnata con un’esplorazione ‘orizzontale’ della produ­
zione tipografica veneziana degli anni sessanta, basate su ricerche
precise e esaurienti condotte in biblioteche italiane e straniere
(non si può sottolineare abbastanza che in questo campo - ed è il

44. Un’altra opera landiana, il C o m m e n ta r io d e lle cose d ’Ita lia , pubblicata per la
prima volta a Venezia nel 1548, ebbe un’ultima edizione veneziana nel 1569, ad
opera di Giovanni Bariletto. Cinque anni prima era stato promulgato a Venezia
V in d ic e tridentino, il primo indice, secondo il Grendler, ad essere accettato e ap­
plicato con rigore; esso conteneva le stesse indicazioni sul Landò dell’ In d ic e paoli-
no del 1559. Sul frontespizio del C o m m e n ta r io non compare il nome dell’autore,
ma la sua identità è rivelata, in una maniera simile a quella adoperata nei P a ra d o ssi,
nella lettera di commiato, questa volta scritta da, o attribuita a, Nicolò Morra, che
comincia: « Godi Lettore il presente C o m m e n ta r io , nato dal constantissimo cervel­
lo di M. O. L. detto per la sua naturai mansuetudine il Tranq. », e nell’iscrizione
alla rovescia alla fine del C a ta lo g o d e ll’in v e n to ri d e lle cose ch e s i m a n g ia n o e t d e lle b ev a n ­
d e c’h o g g id i s ’u sa n o , stampato con il C o m m e n ta r io in tutte le edizioni dell’opera,
compresa quella del 1569: « SVISNETROH, SVDNAL, ROTVA TSE », che ci comu­
nica antidromicamente il messaggio: « EST AVTOR, LANDVS, HORTENSIVS ». È
diffìcile capire come questo messaggio abbia potuto sfuggire all’attenzione degli
Inquisitori; ma anche ammettendo che, come Omero, avevano il diritto di son­
necchiare di tanto in tanto, non avevano potuto chiudere gli occhi alla B r ie v e a p o ­
lo gia di M . O r te n sio L a n d ò , p e r l ’a u to r e d e l p r e s e n te C a th a lo g o , con cui termina il volu­
me. Ventun anni prima, nel 1548, al momento di licenziare C o m m e n ta r io e C a ta lo ­
g o , i Riformatori dello Studio di Padova avevano informato i Capi del Consiglio
dei Dieci che l’autore delle due opere era « hortensio Landò da piacenza » (il do­
cumento è riportato nel mio contributo, P e r la v ita di O r te n sio L a n d ò . . . , 256). È
forse opportuno ricordare che nell’indice tridentino la prima classe, in cui è posto
il nome del Landò, viene cosi definita: « In prima non tam libri, quam librorum
scriptores continentur, qui aut haeretici aut nota haeresis suspecti fuerunt. Ho-
rum enim catalogum fieri oportuit, ut omnes intelligant, eorum scripta, non edita
solum, sed edenda etiam, prohibita esse » (Reusch, D i e In d ic e s lib ro ru m p r o h ib i t o -
r u m . . . , 246). Colgo l’occasione per correggere un errore in cui ero incorso nel
mio contributo P e r la v ita d i O r te n sio L a n d ò . . . , 244, n. 2, dove avevo erroneamente
scritto che il nome del Landò non appare nell ’ In d ic e dementino del 1596. Infatti
lo si trova li nella stessa classe e forma in cui era apparso n e \ V In d ic e tridentino del
1564.
194 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

prezzo che bisogna pagare per il grande prestigio della cultura ri­
nascimentale italiana - non bastano orizzonti nazionali) si può
sperare di gettare più luce sul posto occupato dall’Arrivabene nel
mondo intellettuale e religioso del suo tempo.
Intanto, l’attaccamento quasi ventennale dell’Arrivabene al ca­
polavoro del Landò, testimoniato dalle edizioni del 1 5 4 4 e del 1 5 6 3
e dovuto, si può sospettare, a considerazioni tanto economiche
quanto ideologiche, ci permette di avanzare l’ipotesi, solo parzial­
mente suffragata da prove concrete, del suo coinvolgimento an­
che nelle edizioni del 1545. Secondo quest’ipotesi le azioni
dell’Arrivabene possono essere riassunte cosi: nel 1 5 4 4 , una volta
fatti stampare i Paradossi con i tipi del Bindoni, l’Arrivabene li ave­
va fatti ristampare due volte, la seconda volta dopo l’emissione
della sentenza del 2 agosto, chiedendo al Bindoni di imitare molto
strettamente in queste ristampe la sua prima edizione, nell’inten­
to di poter far passare esemplari di queste ristampe come apparte­
nenti alla prima edizione bindoniana, e quindi stampate prima del
processo e della sentenza (la logica di questo ragionamento ci por­
terebbe a considerare anche la prima ristampa come fatta dopo il
processo). N el 1545, poi, venuti a mancare esemplari delle edizio­
ni del 1 5 4 4 , come anche di 15 4 4 C con la data del 1545, e mantenen­
dosi viva la richiesta del pubblico per il libro, l’Arrivabene pensò
di farlo ristampare di nuovo. M a non poteva continuare a far ri­
produrre la prima edizione veneziana, perché con il passar del
tempo la scusa dell’appartenenza a quella edizione di esemplari
trovati in bottega sarebbe diventata sempre meno convincente;
né tanto meno egli poteva usare nelle nuove edizioni l’impresa
dell’albero colpito da un fulmine, che ormai, per le autorità vene­
ziane, era rivelatrice dell’identità dell’editore quanto una delle
sue imprese raffiguranti un pozzo. Cosi, giudicando pericoloso
l’impiego ancora una volta dei tipi di Bernardino Bindoni (o forse
non essendo riuscito a persuadere questi a continuare la sua colla­
borazione), l’Arrivabene si rivolse a due altri stampatori; prima a
Venturino Ruffìnello, che aveva il vantaggio di non aver mai
avanti lavorato per lui (forse ebbe un certo peso nella scelta anche
il fatto che il Ruffìnello aveva recentemente aperto un’officina a
w p A r m a s s i *
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Delcornuti parere, Nouella/
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IN VINEGIA M. D. XLItir. JJh

T a v . V ili. Frontespizio dei Paradossi, 1544C. Vedi pp. 188, 201 e 208.
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LA SECONDA ORATIQNE
ietta Confutatione de Earadofsu
C ON F V T A T I ON E
D E L L I B R O
D E PARADO SSI
NVO VAMENTE COMPOS TA,
et in tre orationi
diflinta*

T a v . XII. Impresa tipografica, Confutazione de’ Paradossi, 1545, c. Air. Vedi p. 188.
XI • EDIZIONI VENEZIANE DEI « P A R A D O S S I » 195
M antova, e stava p er trasferirsi p erm an en tem en te in q u ella città),
poi a B artolom eo detto l’ Im peradore, provando sim u ltan eam en ­
te a te n er desto l’ in teresse d el pubblico p er il libro con la stam pa
d ella Confutazione de’ Paradossi ad opera dello stesso stam patore.
Se quest’ ipotesi coglie n el vero, dovrem o concludere che tutte
le ed izio n i v en ezian e d ei Paradossi del Lando erano state p ub b li­
cate dallo stesso editore, che aveva saputo m eglio di ogni altro, n e ­
gli anni fra il 1540 e il 1570, sfruttare le in certezz e d ell’ am m in istra­
zione v en ez ian a rispetto alle esigen ze spesso contrastanti del
com m ercio librario e d ella C ontroriform a.45

45. Nel 1594 e di nuovo nel 1602 furono pubblicate, a Bergamo e a Vicenza ri­
spettivamente, con il permesso delle autorità religiose, due edizioni espurgate
dei Paradossi, la prima con diciassette Paradossi, scelti dai due libri, e la seconda
con quindici dei diciassette Paradossi contenuti nell’edizione del 1594 (vedi
G rendler, Critics of the Italian World..., 233-34, con alcune inesattezze rispetto al
contenuto delle due edizioni).
A P P E N D IC E 1

i. V i = i 544a

Frontespizio
** PARADOSSI *+ / CIOÈ, SENTENTIE FVORI / Del com un parere,
N ouella- / m ente uenute in luce. / O PRA N ON MEN D O T T A CHE /
piaceuole, & in due parti Jeparata. / [Impresa (81,5 x 71 m m ): dentro
un bordo ovale, albero colpito da un fulm ine, sotto un cielo stellato;
nel bordo: SO TTO LA FE DEL CIEL AL AER CH IARO. TEMPO NON
MI PAREA D A FAR RIPARO] / [a sinistra dell’impresa, parallelam en­
te al margine] OMNI TEMPORE DILIGIT, / [a destra dell’impresa,
parallelam ente al margine] QVI A M IC VS / EST. PRO. XVII. / IN VI-
NEGIA. M D XLIIII. /

La lunghezza delle prim e sei e dell’ultima riga è: 1) 84 mm (con i fregi), 11)


70 mm, in ) 57 mm, iv) 41,5 mm, v) 69 mm, v i) 57 mm, v ii ) 67 mm.

Collazione
8°. A-D 8 E8 (± E 2.7) F-N 8 O4 (k2-4 L3 per L4). Cc (2) 3-18 1120-2215
24-29 22 3124 25 34 27 36-44 37 46-55 46 57-80 82 82-101103 103-106 (2).
In alcuni esemplari la c. 73 è numerata 65, numero della prima carta della
segnatura precedente, erroneamente trasferito dal compositore insieme con
il titolo corrente alla form a esterna della segnatura seguente, e poi corretto
durante la tiratura.

Contenuto
A ir Frontespizio A iv Bianco A2r Lettera dedicatoria: « ALL’IL-

1. Le convenzioni utilizzate nelle trascrizioni contenute nelle sezioni F r o n te ­


sp iz io , T ito lo corren te, R ic h ia m i, sono quelle codificate nel libro di F. B o w e r s , P r in c i-
p l e s o f B ib lio g r a p h ic a l D e sc r ip tio n , New York 1962. In particolare, avverto: 1) che
nella sezione F r o n t e s p i z io non sono state riprodotte le legature, né indicata la rela­
tiva grandezza delle maiuscole, o l’uso sporadico di maiuscole corsive ornate; 2)
che nella sezione T ito lo corren te, le formule del tipo H-N7r indicano la ricorrenza
di un fenomeno alla stessa pagina di una sequenza di segnature. Nella sezione T i­
p i sono indicati il numero delle righe in una pagina completa, la misura dello
specchio di stampa (fra parentesi la misura compresi titolo corrente e segnature,
o richiamo), e la misura di venti righe. Gli esemplari segnati con un asterisco sono
stati esaminati attraverso riproduzioni fotografiche o xerografiche.
XI • EDIZIONI VENEZIANE DEI « P A R A D O S S I » I97

LVSTRISSI-/mo S igno re, il S. C h ris to fo ro M ad ru c c io V . / di T r. &


a m m in istra to re di Pr. », an o n im a A 3 r T e sto d e l p rim o lib ro , c o n te ­
n e n te q u atto rd ici Paradossi, o g n u n o d ei quali in co m in cia c o n u n ’ in i­
ziale xilo g rafica; te rm in a a G 2 v : « IL FINE DEL PRIMO LI­
BRO ». G 3 r L e tte ra d ed icatoria: «A L M O LTO ILLV-/STRE ET RE­
VERENDO Sl/gnore, il S. C o la M a ria C a raccio / lo V . di C . & ajjistente
di Jua Jan tita»., an o n im a G 4 r T e sto d el seco n d o lib ro , c o n te n e n te
sedici Paradossi, o g n u n o d ei qu ali in co m in cia c o n u n ’in iziale x ilo g ra ­
fica; te rm in a a O z r : « IL FINE DE PARADOSSI. / SVISNETROH T A -
BEDVL». O 2V L e tte ra di co m m iato : «PA VLO M ASCRA=/nico alli
c o rte ji L e tto ri» . C>3r «L A T A V O L A DE PARAD O SSI.»; te rm in a a
0 4 r: « Il fin e de la ta v o la » . O 4V B ian co.

Titolo corrente
[verso] ** IL PRIMO (SECONDO) LIBRO t e / [recto] ** DE PAR A­
DOSSI te

Varianti:
** T A V O L A t e O 3V 0 4 r
[manca il titolo] A ir-3 r C 4r D sr D yr G3r G4r O2V C>3r O4V
[mancano i fregi] A3V A4r A5V A 6r A7V A8r
PARADOSSI. A 5 r B 4 r B 6 r B 7 r C 2 r C 7 r C 8 r D2 r D8 r E2 r E5 r E8 r
F2r F5r F8r G sr G6r H 6r H -N 7r 0 2 r
PARADOSSI, A 7r A8r B 8r C 6r D 6r E6r F6r G-N8r
[fregio a sinistra invertito] E-G7r H -N sr O ir
[fregio a sinistra invertito e capovolto] E-G8v H -L6v L7r M 6v
M 7r N 6v N 7r O iv 0 2 r
SECONDO [invece di PRIMO] G iv G2v

1) Nella variante aE -G yr eoe. il fregio a sinistra appartiene ad una serie


più grande degli altri (6 x 3,8 mm, contro 6 x 3 mm).
2) Nello stato « breve » di E2 e E7 (per cui si rimanda alla nota finale) le
varianti sono:
PARADOSSI. E2r Eyr
[fregio a sinistra invertito; fregio a destra capovolto] Eyr
[fregio a destra invertito e capovolto] E7V

I fregi a Eyr sono del tipo più grande descritto nella nota 1).
198 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

Richiami
A8v ciò B8v tanto C8v le m olte D8v stata E8v (per F8 v M eglio G8v
liare H8v io di I8v m ille K8v gior L8v gnifìcano M8 v ti non N8 v (co­
me

Tipi
Lettere dedicatorie e lettera di com miato: corsivo, 29 IL, 122 x 73
m m (A2r), 20 IL = 84 mm
Testo: tondo, 29 IL, 122 (131) x 73 mm (A4r), 20 IL = 84 mm (= tondo
l)

30 IL: G iv -G 2 v ; vedi anche la nota finale.

Iniziali xilografiche
21 xilografìe, appartenenti a diversi alfabeti di diversa grandezza,
alcune usate varie volte, per un totale complessivo di 34 iniziali.

Esemplari esaminati
Bologna, B. Univ., A V Y V 2 23; Firenze, B. Marucel., 10 0 vm 65; Firenze,
B. Naz. Centr., 12 B B 5 1 6 ; altro esempi., 12 9 578; Manchester, Joh n Rylands
Univ. Lib., Christie 9 c 33; *New Haven, Conn., Yale Univ. Lib., Beinecke
Hd 28 360; Padova, B. Univ., 90 c 249; Parma, B. Pah, Sai I xvn 37707; *Phila-
delphia, Pennsylvania Univ. Lib., IC5 L2347; Reggio Emilia, B. Mun., 16 H
1207; Roma, B. Ang., 00 8 48; *Toronto, Univ. Lib., B io 3130; Trento, B.
Com., 230 i 20; Venezia, B. Marc., 69 D 133; Verona, B. Civ., 116/1.

Nota
1) I foglietti congiunti E2 e E7 si presentano in due form e diverse. Una,
conservata in dieci dei quindici esemplari esaminati, contiene a E2r una ver­
sione più breve e meno controversa della fine del Paradosso v i i : « Esser mi­
glior 1’imbriachezza, che la sobrietà ». Indizi di natura tipografica - una pic­
cola differenza nella misura usata dal compositore (72 mm invece di 73 mm);
il fatto che E2v è di solo 28 righe, di contro alle 29 righe di una pagina norm a­
le; la disposizione delle varianti nei titoli correnti - inducono a ritenere che
la form a « breve » di E2 e E7 sia posteriore a quella « lunga », conservata negli
altri cinque esemplari. La sostituzione, decisa presumibilmente per ragioni
di ordine testuale, venne effettuata ristampando il quartino E2/E7 e inseren­
dolo nella segnatura E, probabilmente quando una parte dell’ edizione aveva
già lasciato l’officina tipografica. Ristampando il quartino, si colse l’ occasio­
ne di rimediare a un errore di composizione per cui l’ultima riga dell’ origi-
XI • EDIZIONI VENEZIANE DEI « P A R A D O S S I » 199

nario E2v era stata ripetuta all’inizio di E3r. Cosi, nella form a « breve », E2v
consta di solo 28 righe. La form a « breve » di E2 e E7 è stata essa stessa sottopo­
sta a un processo correttorio durante la tiratura, di cui sono rimaste le traccie
in alcune varianti interne.
2) Il materiale tipografico usato per stampare questa edizione appartiene a
Bernardino Bindoni.

2. V 2 = I544b

Frontespizio
[com e 1544 a]

La lunghezza delle prim e sei e dell’ultima riga è: 1) 75 mm (con i fregi), 11)


62 mm, in) 55 mm, iv) 41,5 mm, v) 59 mm, vi) 51 mm, v i i ) 58 mm.

Collazione
8°. A -N 8 O 4. C c (2) 3 -20 2 0 22 22 2 4 -6 9 80 7 1 8 2 73-80 9 1-10 6 9 7 -10 11 0 3
103 104 100 104 (2) [= 108].

Contenuto
Com e I544a, tranne per la fine delprim o libro, a G2v, dove non si tro­
vano le parole: « IL FINE DEL PRIMO LIBRO ».

Titolo corrente
[com e 1544 a]

Varianti:
TAVOLA 0 3 v-4r
[manca il titolo] A ir-2 r A3r 0 2 v -3 r O4V
[mancano i fregi] N ir - 0 2 r
PARADOSSI. N ir - 0 2 r
LIBRO. N iv-8v
[fregio a sinistra invertito e capovolto] B7V B8v C7V C8v D7V
D8v E7V E8v
[fregio a destra invertito e capovolto] A -M 7r A -M 8r
[fregio a sinistra invertito; fregio a destra capovolto] A sr A 6r
E6r F-M 5r F-M 6r
200 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

[fregi capovolti] B5r B 6r C5r C 6r D$r D 6r E5r


SECONDO [invece di PRIMO] G iv G2v

I fregi a A -M sr e A -M 6 r sono del tipo più grande riscontrato a Eyr di


1544a (q. v.).

Richiami
[come 1544 a, tran n e] A 8 v ciò

Tipi
Lettere dedicatorie e lettera di com miato: corsivo, 2 9 IL, 122
(129) x 73 mm, della stessa m isura m a diverso da quello usato in 15 4 4 a
Testo: A-M , come 15 4 4 a (= tondo 1)
N-O, un altro tondo (= tondo 11), della stessa m isura di 1, ma
con piccole diversità in alcune lettere (ad esempio, in 1 la parte infe­
riore d el^ minuscolo è inclinata a destra, m entre in 11 è perpendicola­
re)
30 IL: G ìv-2v.

Iniziali xilografiche
C o m e 15 4 4 a, m a q u attro d e lle 21 x ilo g ra fìe (una Q , d u e S, u n a C ) sono
diverse.

Esemplari esaminati
Bologna, B. Com. Archigin., Landoni 1873; Cambridge, Univ. Lib., Bute
8722; ‘ Cambridge, Mass., Harvard Univ. Lib., Ital. 7650145*; ‘ Chicago, Univ.
Lib., Rare Book Room; Firenze, B. Naz. Centr., 3 L 6 490; altro esempi., 12
BB 5 15 ; Manchester, Joh n Rylands Univ. Lib., Bullock 343440; altro esempi.,
Christie 9 c 32: Padova, B. Semin., DD 3 x; Parigi, B. Nat., Z 17971; Pisa, B.
Univ., H m 1126; Venezia, B. Marc., 218 C 177 (1); Venezia, B. Correr, 11510;
Vicenza, B. Civ. Bert., B 1 2 2; ‘ Urbana, 111., Illinois Univ. Lib., x 853 L23 Op
1544.

Nota
Il materiale tipografico usato per stampare questa edizione appartiene a
Bernardino Bindoni.
XI • EDIZIONI VENEZIANE DEI « P A R A D O S S I » 201

3. V 3 = I544C

Frontespizio
[come 1544a, con le seguenti differenze: 1) nella prim a riga, i fregi pri­
m a e dopo la parola PARADOSSI sono invertiti e capovolti rispetto a
1544a; 2) nella seconda riga, niente virgola dopo CIOÈ; 3) a sinistra
dell’impresa, le parole parallele al m argine sono congiunte insiem e,
cosí: OMNITEMPOREDILIGIT; 4) a destra dell’impresa, niente pun­
to dopo EST; 5) l’ultim a riga è: IN VINEGIA M.D.XLIIII.]

1) La lunghezza delle sei prime e dell’ ultima riga è: 1) 67 mm (con i fre­


gi), 11) 63 mm, ni) 56 mm, iv) 39 mm, v) 61,5 mm, vi) 52 mm, vii ) 56 mm.
2) Per esemplari con la data del 1545 al frontespizio, vedi la nota finale.
3) La riproduzione di questo frontespizio si trova alla Tav. vm.

Collazione
8°. A-N 8 O4 (k per K). Cc (3) 4-2819 30-50 (1) 52-69 80 7182 73-80 91-93
64 95 95-106 97-104 100 101 (2) [= 108].

La numerazione delle carte appartenenti alla form a interna di L era origi­


nariamente 9 2,6 4 ,9 6 ,9 8 (e cosi si presenta nell’ esemplare vaticano); per una
correzione sbagliata fatta durante la tiratura, il 6 di 64 si propagò agli altri fo­
glietti.

Contenuto
come I544b

Titolo corrente
[verso] IL PRIMO (SECONDO) LIBRO / [recto] DE PARADOSSI

Varianti:
TAVOLA C>3v-4r
[manca il titolo] A ir-2 r A3r G3r G4r Ü 2v-3r O4V
[manca IL] A6v
SECONDO [invece di PRIMO] G iv G2V
LIBRO. N3V N4V
IL PRIMO LIBRO [per DE PARADOSSI] D2r
[DE omesso] C 8r F6r
202 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

PARADOSSI. B y r E 6 r E y r I 6 r K s r M 5 r N 3 r N 6 r
PARAD O SSO I G 7 r
PARAOSSI L 4 r

Dagli esemplari esaminati risulta che le seguenti correzioni furono effet­


tuate nei titoli correnti durante la tiratura: B 6 r IL PRIMO LIBRO > DE PARA­
DOSSI; l2 r PARADOSIS > PARADOSSI; I3V LL > IL; I5V SEGONDO > SE­
CONDO.

Richiami
[come 1544 b]

In cinque degli esemplari esaminati il richiamo a C8v è: le m o

Tipi
Lettere dedicatorie e lettera di com miato: come 1544b
Testo: come 1544b, m a i due tondi sono distribuiti secondo la se­
guente tabella:
tondo I tondo II
A B
Cir-3r C3v-4 r
C4v-5r C5v-6r
C6v-8r
D E
Fir-2v F3r
F3v-4 r F4V
F5r-6r F6v
F7r-8v
G H
I K
L M
Nir Niv-2r
N2V-3V N4r
N4v-5r N5V
N6r-8v O
28 IL: E 2 v F7V; 30 IL: G i v -2 v

Iniziali xilografiche
24 xilografìe, di cui 18 già apparse in 1544a o in 1544b, alcune usate
diverse volte, per un totale complessivo di 34 iniziali.
XI • EDIZIONI VENEZIANE DEI « P A R A D O S S I » 203

Esemplari esaminati
Bologna, B. Com. Archigin., 8 D vi 53; Cambridge, Univ. Lib., P 6 402 [sei.
e]; *Chapel Hill, N.C., N orth Carolina Univ. Lib., RBR T857 L; Firenze, B.
Naz. Centr., 60 8 60; altro esem pi, M 40 2; Parigi, B. Nat., Z 17972; Piacenza,
B. Com., R xii 47; Roma, B. Vat., Ferraioli v 1939; Treviso, B. Com., 2331; V e­
nezia, B. Marc., 70 C 193.

Nota
1) La collazione di quattro esemplari di 1544 c (Cambridge, Chapel Hill,
Parigi, Roma) ha rivelato la presenza di correzioni eseguite durante la tiratu­
ra in sette dei quattordici fogli. In sei fogli (B, D, E, I, L, M) le correzioni inte­
ressano una sola forma, quella interna in B, D, E, I, L, quella esterna in M,
mentre in H le correzioni si estendono a ambedue le forme. La form a interna
di I, poi, è stata corretta due volte, la prim a volta per correggere alcuni refusi
tipografici, la seconda volta unicamente per eliminare tre errori nei titoli
correnti (q. v.).
2) Due degli esemplari elencati sopra, quello di Firenze, B. Naz. Centr.,
60 8 60, e quello veneziano, portano sul frontespizio la data « m . d . x l v » . Si
tratta di una variante introdotta durante la tiratura (lo prova il fatto che la
lunghezza delle sei prim e righe del frontespizio nell’esemplare veneziano è
inalterata rispetto agli altri esemplari di 15440).
3) Il materiale tipografico usato per stampare questa edizione appartiene a
Bernardino Bindoni.

4. E s e mp l a r i mi s t i c o n l a d a t a de l 1544

I seguenti esem plari sono composti di fogli provenienti da due del­


le edizioni veneziane del 1544. Com e si vede, il fenomeno interessa
com plessivam ente tutte e tre le edizioni stampate a V enezia in
quell’anno:

1) Bergam o, B. Civ., Sala 11 logg H 3 39


I544a 1544 b
A-C D-O

2) Cam bridge, Em m anuel C ollege Lib., 323 7 94


i544b 15 4 4 c
A-E F
G-O
204 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

3) Londra, Brit. Lib., 847 a 28


1544 c i544a
A B-D
E F-K
L-N O

4) M anchester, John Rylands U niv. Lib., Bullock 344544.


1544 b 1544 c
A -G H
1-0

Le seguenti indicazioni orientative sono offerte a chi voglia conoscere a


quale edizione (o edizioni) appartenga un esemplare dei Paradossi del 1544
non elencato in questo contributo:
a) Per le segnature A-M , la discriminazione può essere fatta esaminando
il titolo corrente alla p. 6 r di ogni segnatura (sr per A). Se il titolo corrente è
accompagnato da fregi le cui punte sono voltate in senso antiorario, la segna­
tura appartiene a 1544 a; se le punte dei fregi sono voltate in senso orario, la se­
gnatura appartiene a I544b; se non ci sono fregi a quella pagina, la segnatura
appartiene a 1544c.
b) Nelle segnature N e O, soltanto 1544 a ha fregi nei titoli correnti; la pos­
sibilità di distinguere fra 1544 b e 1544 c è offerta dalla presenza, nel titolo cor­
rente del recto di ogni carta di I544b, da N ir a 0 2 r , di un punto dopo laparo-
la PARADOSSI, particolarità che si trova in 1544c soltanto a N 3r e N6r.

5. V4 = 1545 a

Frontespizio
PARADOSSI / CIOÈ, SENTENTIE / FVORI DEL C O M V N / Parere:
N ouellam ente / venute in luce. / OPERA N O N MEN D O T T A / Che
piaceuole: & in due / parti Jeparata. / [Fregio] / [Impresa (24 x 24
mm): astronomo con sfera arm illare, sotto un cielo stellato] / [linea] /
IN VENETIA. M D XLV. /

Collazione
8° . A-L8. Cc (2) 3-85 (3).

Contenuto
A i r Frontespizio A i v Bianco A2 r Lettera dedicatoria: « A LL’ ILLV-
XI • EDIZIONI VENEZIANE DEI « P A R A D O S S I » 205

STRISSIMO / Signore: il S. Christoforo M adruccio V. / di Tr. & am ­


m inistratore di Pr. », anonim a A3 r Testo del prim o libro, contenen­
te quattordici Paradossi, ognuno dei quali incom incia con un’iniziale
xilografica F2r Lettera dedicatoria: «AL MOLTO ILLV-/STRE ET
REVERENDO Sl/gnore: il S. C ola M aria Caraccio/lo V. di C. & ajji-
stente di / Jua Jantita. », anonim a F3r Testo del secondo libro, conte­
nente sedici Paradossi, ognuno dei quali incom incia con un’iniziale
xilografica; term ina a L5 v: « IL FINE DE PARADOSSI. / SVISNETROH
TABEDVL. » L6r Lettera di com miato: « PAVLO MASCRA-/nico alli
Cortesi Lettori ». L yr « TAVOLA DE / PARADOSSI. » term ina a L7V:
« Il fine della Tauola. » L8r Bianco L8v Bianco.

Titolo corrente
[verso] IL PRIMO (SECONDO) LIBRO |[recto] DE PARADOSSI.

Varianti:
[manca il titolo] A ir-3 r L6r Lyr-8v
.DE H 2r
PARADOSSI B3r

A E5V c’è una variante interna (LIBRO/LBRO).

Richiami
A8 v lo cheB 8v re le C8 v za qual D8 v che per E8 v glior F8v grandezze
G8v fusse H8v conuer = I8v nutolo K8v e paruto

Tipi
Lettera dedicatoria del prim o libro e Tavola dei Paradossi: tondo,
30 IL, 123 x 71 m m (A2 v), 20 11. = 82 mm.
Testo del prim o e del secondo libro: tondo, 34 IL, 126 (133) x 71 mm
(B3r), 20 IL = 74 m m (A3r-8v = 33 IL, 122 (129) x 68 mm).
Lettera dedicatoria del secondo libro e lettera di com miato: corsi­
vo, 20 IL = 82 mm.

Iniziali xilografiche
14 xilografìe, tredici con lettere in nero su sfondo bianco, apparte­
nenti a diversi alfabeti, alcune usate varie volte, per un totale com­
plessivo di 34 iniziali.
206 SAGGI DI BIBLIOGRAFIA TESTUALE

Esemplari esaminati
Bergamo, B. Civ., Salone Cass 3 G 128; Parma, B. Pai., Pai. 12213; Roma, B.
Vat., Capponi vi 59; *San Marino, Cai., Henry E. Huntington Lib., ENV
370306; Venezia, B. Marc., 63 c 205 (impf.: mancano E5r-8v); ‘ W ashington,
DC, Folger Shakespeare Lib.

Nota
1) O ltre la variante nel titolo corrente già ricordato, c’ è una variante inter­
na nella form a interna di C.
2) Il materiale tipografico usato per stampare questa edizione appartiene a
Venturino Ruffìnello; il proprietario dell’impresa usata nel frontespizio non
è stato identificato.

6. V5 = 1545b

Frontespizio
PARADOSSI / CIOÈ SENTENTIE / FVORI DEL C O M V N / parere:
Nouellamente / uenute in luce. / OPERA N ON MEN D O T =/ta che
piaceuole: &in due /parti ¡eparata. / [Fregio] / IN VENETIA M.D. XLV. /

Collazione
8°. A-L8. Cc (1) 2-88.

In alcuni esemplari K3 è segnato K2.

Contenuto
A ir Frontespizio A iv Bianco Azr Lettera dedicatoria: «A L L ’IL-
LVSTRISSIMO SIGNORE / il S. ChristoforoMadruccio V. di Tr. /ammini­
stra tore di Pr. », anonima A3 r Testo del primo libro, contenente quat­
tordici Paradossi, ognuno dei quali incomincia con un’iniziale xilo­
grafica F2 v Lettera dedicatoria: « AL M O LT O ILLVSTRE ET REVE/
rendo Signore: il S. Cola Maria Caracciolo V. / di C. &assistente di Jua
Santità. », anonima F3V Testo del secondo libro, contenente sedici
Paradossi, ognuno dei quali incomincia con un’iniziale xilografica;
termina a L6r: «IL FINE DE PARADOSSI. / SVISNETROH
TABEDVL. » L6v Lettera di commiato: « PAVLO M ASCR AN ICO /
alli cortesi Lettori. » L7V « T A V O L A DE PARADOSSI. » L8r-v Bianco.
XI • EDIZIONI VENEZIANE DEI « PA R AD O S S I» 207

Titolo corrente
[verso] IL PRIMO (SECONDO) LIBRO |[recto] DE PARADOSSI.

Varianti:
[manca il titolo] Air-3r F2V-3V L6v L7V-8V

Richiami
A8v fanno B8v que C8v ri per D8v l’Isola E8v tanto F8v mediocre­
mente G8v Meglio H8v so chiaro 18v stumati K8v ciò

Tipi
Corsivo, 30 IL, A-B = 123 (130) x 67 mm (A4r); C-L = 123 (130) x 72
mm (C2r), 20 11. =82 mm (corsivo di Froben 80 [1520]; vedi A. T into,
Il corsivo nella tipografia del ’500, Milano 1972, 47-50, e Tav. x 2).

Iniziali xilografiche
12 xilografìe, appartenenti a diversi alfabeti, alcune usate varie vol­
te, per un totale complessivo di 32 iniziali.

1) Per C (Hi r) è stata usata la xilografìa rappresentante G (l7r), con l’asta e


la sbarretta cancellate.
2) Per la mancanza di iniziali in alcuni esemplari nella segnatura B, vedi la
nota finale.

Esemplari esaminati
Bergamo, B. Civ., Salone Cass 3 1 1 1 33; Cambridge, T rinity Coll. Lib.,
Butler 24; *Durham, N. Carolina, Duke Univ. Lib., T r R 858 49; Firenze, B.
Marucel., 7 H 4 72; Firenze, B. Rie., Mise. 302 4; Londra, Brit. Lib., 1081 g 15;
Manchester, Joh n Rylands Univ. Lib., Christie 9 c 34; Mantova, B. Com.,
A rm 20 a io; M ilano, B. Ambr., S N H 1123 (1); ‘ N ew York, N.Y., Columbia
Univ. Lib., B 851 L234; Oxford, Taylor Institute, A rch I a 27; Parigi, B. Maz.,
45460; Pavia, B. Univ., 6 9 1 30; altro esempi., 123 A 3; Piacenza, B. Com., N xn
16; Roma, B. Ang., RR 28; altro esempi., xx 2152; Roma, B. Naz. Cen., 69 8 G
5; Treviso, B. Com., v 17 L 24; Vicenza, B. Civ. Bert., B 4 2 14 ; ‘ W ashington,
D.C., Lib. o f Congress.

Nota
1) In 6 dei 21 esemplari esaminati, invece delle iniziali xilografiche a B iv
(Q )e B 4 r( T ) ,c ’ è uno spazio vuoto, contenente una piccola lettera di guida.
208 SAGGI DI BIBLIOGRAFIA TESTUALE

Pare che, quando si cominciava la stampa della form a (quella interna di B,


contenente sia B i v sia B4r), le due xilografìe non fossero disponibili. Quan­
do poi, durante la stampa, si fermò il torchio per introdurre le due xilografìe,
gli spazi lasciati vuoti nella form a dovettero risultare troppo stretti, per cui si
procedette ad una serie di piccoli ritocchi al testo contenuto nelle righe di ca­
ratteri tipografici contigue alle xilografìe, ritocchi tutti intesi a guadagnare
spazio (cfr. non> no, d’essere> d’esser, brutto> bruto, credo uenesieno> credo nesie-
no, ecc.).
2) Il materiale tipografico usato per stampare questa edizione appartiene a
Bartolomeo detto l’ Imperadore.

7. CONFUTAZION E DE’ PARADOSSI

Frontespizio
CONFVTATION E / DEL LIBRO / DE PARADOSSI / NVOVAMENTE
CO M PO STA, / et in tre orationi / distinta. / [Impresa: albero colpito da
un fulmine; vedi 1544 a] /
La xilografìa usata per l’impresa può essere identificata con quella usata
per le tre edizioni dei Paradossi del 1544 per una serie di fratture all’orlo (vedi
T aw . v i l i e x i i ).

Collazione
8°. A-C8. Cc (1) 2-24.

Contenuto
Air Frontespizio Aiv: « LA T A V O L A DE I PARADOSSI, / che in queste
tre Orationi ji confutano.» Azv Lettera dedicatoria: «All'eccellente Si­
gnora mia la S. D. Hippolita / Gonzaga, Contesa della Mirandola. », anoni­
ma A3 r: « TRE O RATION I NELLE / quali Ji confuta il libro de Parados­
si.» B s r: «L A SECONDA ORATIONE / della Confutatione de Para-
dojsi. » C3V: « LA TERZA ORATIONE / della Confutatione de Parados­
si. » C8v Bianco.

Titolo corrente
[vèrso] CONFVTATION E |[recto] DE PARADOSSI.

Varianti:
[manca il titolo] Air-3r Bsr C8v
XI • EDIZIONI VENEZIANE DEI « PA R AD O S S I» 209

PARADSSI. A8r Bir


CONFVT. DE PARAD. B4V

Richiami
A8v io ue B8v decreti

Tipi
Corsivo, 29 IL, 122 (130) x 71 mm (A4r); 20 11. = 84 mm
1) 30 IL: C5r-7v.
2) I tipi sono sim ili a quelli usati per la stampa di 1545 b, ma il corpo
pare leggerm ente più grande.

Iniziali xilografiche
5 xilografìe, di cui tre, E (C3V), N (A3r), P (B5r), appartengono allo
stesso alfabeto figurato (27 x 23 mm).

Esemplari esaminati
Bergamo, B. Civ., Salone Cass 3 H 4 80; Bologna, B. Com. Archigin., 8 EE v
25; Bologna, B. Univ., A V Y V 2 23; Cambridge, Emmanuel Coll. Lib., 323 7
94; Ferrara, B. Com. Ariost., L 3 7 2; Firenze, B. Naz. Centr., M 1083 3; Lon­
dra, Brit. Lib., 245 d 5; altro esempi. 1081 g 29; Manchester, Joh n Rylands
Univ. Lib., Bullock 343440; altro esempi., Christie 9 c 34; altro esempi., Chri-
stie 9 c 36; Milano, B. Ambr., S iVH 1 66; M ilano, B. Naz. Braid., & & vm 72/2;
M ilano, B. Triv., M 611; Modena, B. Est., 6 2 6 9 ; Monaco di Baviera, Bayeri-
sche Staatsbibl., Ital 92/2; Parigi, B. Nat., Z 17973; Piacenza, B. Com., C 4 I 9;
altro esempi., N xn 16; Roma, B. Ang., 0035; Treviso, B. Com., 2336; Venezia,
B. Marc., 66 C 204; Venezia, B. Q uerini Stampalia, I g 1461.

Nota
1) 17 dei 23 esemplari elencati sopra sono legati con esemplari di un’edi­
zione veneziana dei Paradossi, uno con un esemplare di I544a, uno con un
esemplare di 1544b, uno con un esemplare « misto » del 1544, due con esem­
plari di 1545b, e dodici con esemplari dell’edizione del 1563 descritta sotto.
2) L’alfabeto figurato di iniziali xilografiche, e probabilmente anche il re­
sto del materiale tipografico usato per stampare questo libro, appartiene a
Bartolomeo detto l’Imperadore, stampatore di 1545b.

8. V6 = 1563
Frontespizio
Paradojsi / CIOÈ SENTENTIE FVORI / DEL C O M M V N PARERE /
210 SAGGI DI BIBLIOGRAFIA TESTUALE

nouellamente venute in luce. / OPERA N O N M E N DOTTA, CHE /


piaceuole, &in doeparti jeparata. /CON L’INDICE DELLE COSE DEGNE
/ di memoria, di nuouo aiunto. / [Impresa (81 x 63 mm): dentro un
bordo di fronde e di putti, una figura maschile, alata, barbuta, che
guarda dentro un pozzo, a cui accenna con la mano sinistra, mentre
nella destra tiene un recipiente. Nella parte superiore dell’impresa,
su un rotolo: PRIA CHE LE LABBRA BAGNERAI LA FRONTE] / In
Venetia, appresso Andrea Arriuabene. M D LXIII. /

Per esemplari con un frontespizio diverso, vedi la nota finale.

Colofone
(L 7 v ) IN VENETIA MDLXIII. /

Collazione
8°. A-L8. Cc (1) 2-86 (2).

In alcuni esemplari I3 è erroneam ente segnata K3.

Contenuto
Air Frontespizio AivBianco A21 Lettera dedicatoria: « ALL’ILLV-
STRISSIMO / SIGNORE, IL S. CH RISTOFORO / M A D R V C C IO V. DI
TR. / & amministratore di Pr. », anonima A3r Testo del primo libro,
contenente quattordici Paradossi; termina a Fi v: « IL FINE DEL PRI­
M O LIBRO. » F2r Lettera dedicatoria: « AL M O LTO ILLVSTRE / &
Reuerendo Signore, il S. Cola / Maria Caracciolo V. di C. / & ajsi-
stente di Jua /Jantità. », anonima F3r Testo del secondo libro, conte­
nente sedici Paradossi; termina a L5V: «IL FINE D E PARADOS­
SI.» L6r Lettera di commiato: «PA VLO M ASC R AN IC O / ALLI
CORTESI / LETTORI.» L y r «L A T A V O L A / DE’ PAR AD O S­
SI.» L7V Colofone L8r-v Bianchi.

Tipi
Corsivo, 30 IL, 124 (131) x 74 mm (A4r), 20 11. = 82 mm.

Esemplari esaminati
Bergamo, B. Civ., Salone Cass 3 H 4 80; Bologna, B. Com. Archigin., 8 EE
V 25; Londra, Brit. Lib., 245 d 5; altro esempi., 1081 g 29; Manchester, John Ry-
XI • EDIZIONI VENEZIANE DEI « P A R A D O S S I » 211
lands Univ. Lib., Bullock 343425; altro esempi., Christie 9 c 36; Milano, B.
Ambr., S N H I 66; M ilano, B. Naz. Braid., & & vm 72; M ilano, B. Triv., M
611/2; Parigi, B. Nat., Rés Z 3576; Piacenza, B. Com., C 4 1 9; altro esempi., E1
xii 55; Venezia, B. Marc., 66 C 204; Venezia, B. Q uerini Stampalia, I g 1461.

Nota
1) Due degli esemplari esaminati, quello dell’Ambrosiana di M ilano e
quello di Parigi, hanno il frontespizio seguente: PARADOSSI, CIOÈ / SEN-
TENTIE FVORI DEL / COMMVN PARERE / NOVELLAMENTE VENVTE /
IN LUCE. / OPERA NON MEN DOTTA, CHE / PIACEVOLE, ET IN DOE /
PARTI SEPARATA. CON / l’Indice delle coje degne di / memoria, di nuouo
aiunto. / [Impresa (44 x 44 mm): Cristo con la Samaritana al fonte; ai tre lati
dell’impresa: CHI BERRÀ DI QVESTA / ACQVA, NON HAVERÀ / SETE IN
ETERNO.] / IN VENETIA, / Appresso Andrea Arriuabene. / M D LXIII. /
Nelle altre pagine (A2v, A3r, A4V, Asr, A 6v, A 7r, A8v) che, insieme con il
frontespizio (=Air), compongono la form a esterna della segnatura A, questi
esemplari offrono anche una serie nutrita di varianti interne.
2) Di questa edizione abbiamo dato una descrizione meno dettagliata di
quella fornita per le edizioni anteriori.
XII

PER LA STA M PA DELL’EDIZIONE D EFIN ITIVA


DEI «P R O M E SSI S P O S I»*

P e r lo studioso della letteratura italiana l’edizione definitiva dei


Promessi sposi, stampata dalla ditta milanese di Guglielmini e Re-
daelli, e pubblicata in un lasso di tempo che va dal novembre del
1840 al gennaio del 1843, con prolungamenti, per certi fogli difet­
tosi, che si protrassero fino all’autunno del 1845, segna soprattutto,
in confronto con la prima edizione del 1827, l’assetto definitivo
del linguaggio narrativo manzoniano, «quella incomparabile
somma di invenzioni lessicali sintattiche metaforiche», come
scrive Sapegno, « che è, nei Promessi sposi, forse la novità più im ­
portante e più ricca di svolgimenti e di promesse nella storia lette­
raria italiana dopo il Trecento».1
Per il filologo, l’edizione interessa anche per un altro verso:
perché essa offre, nella storia complessa della sua genesi, un caso
quanto mai interessante del lavoro incessante di lim a che accom­
pagna e caratterizza l’attività creativa del genio. Per la metodolo­
gia del lavoro filologico, inoltre, questo caso è estremamente si­
gnificativo, in quanto i Promessi sposi del 1840-1842 costituiscono
uno dei due casi esemplari nella storia della letteratura italiana -
1 altro è 1 edizione definitiva dell’ Orlandofurioso —in cui questo la­
voro di lima ha lasciato le sue tracce non solo in aggiunte e anno­
tazioni manoscritte, ma anche in varianti stampate all’interno
della stessa edizione definitiva. Se nel caso dell’ Orlando furioso
queste tracce si possono individuare appieno soltanto dopo il la­
voro estenuante di una collazione completa di tutti gli esemplari
superstiti - lavoro incominciato da Santorre Debenedetti per
l’edizione laterziana del 1928, ma mai portato a termine - , per i
Promessi sposi abbiamo la fortuna di possedere una quantità note­
vole di bozze di stampa con correzioni autografe, le quali, se uti-

* Pubblicato in « Aevum », lvi (1982), 377-94.


1. N. Sapegno, Compendio di storici della letteratura italiana, in, Firenze i960,221.
2 14 SAGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

lizzate insieme con l’esemplare postillato della ventisettana man­


dato in tipografìa da Manzoni, tuttora conservato in Brera, ci per­
mettono di seguire la formazione del testo definitivo del roman­
zo con una facilità e con una pienezza cento volte superiori a
quelle che si avrebbero col lavoro ingrato di una collazione inter­
na di esemplari completi. Aggiungendo a questo materiale pre­
zioso e abbondante, la cui sopravvivenza costituisce un caso ecce­
zionale nella storia della stampa non solo italiana ma anche euro­
pea, i pochi ma importanti documenti legali e finanziari relativi
all’edizione definitiva conservati a Milano, e facendo tesoro dei
numerosi accenni all’edizione sparsi nell’epistolario manzonia­
no, gli studiosi del romanziere, a partire da M ichele Barbi, sono
riusciti a rifare con sufficiente dovizia di particolari la storia
dell’edizione e a porre su base solida il testo critico dell’opera.2
Nel presente contributo mi propongo uno scopo limitato:
quello di investigare, coll’aiuto di questo materiale eccezional­
mente ricco, l’aspetto tecnico della stampa dell’edizione. Con
questa ricerca, spero non solo di poter aggiungere qualcosa alla
nostra conoscenza della storia editoriale di un capolavoro della
letteratura italiana, ma anche di gettare un po’ di luce sulla storia
della tipografìa italiana in un secolo ricco di cambiamenti e di svi­
luppi tecnologici. Infatti, il procedimento tipografico, che dall’in­
venzione della stampa all’inizio dell’Ottocento aveva conosciuto

2. Il lavoro testuale, iniziato da Michele Barbi nel 1934 con l’articolo II testo dei
«Promessi Sposi », negli « Annali della R. Scuola Normale Superiore di Pisa » (ora
in M. B arbi, La nuova filologia e l’edizione dei nostri scrittori da Dante al Manzoni, Fi­
renze 19732, 195-227), e continuato da lui e da Fausto Ghisalberti nelle pagine del­
la rivista « Annali manzoniani », soprattutto nel contributo del Ghisalberti (Per
l’edizione critica dei «Promessi Sposi», «Annali manzoniani», 1 [1939], 241-282), fu
portato a termine prima con la pubblicazione nel 1942 ad opera del Barbi e del
Ghisalberti del solo testo critico, e poi coll’ edizione mondadoriana, apparsa nel
1954 a cura di Alberto Chiari e del Ghisalberti, del testo delle tre redazioni del ro­
manzo, con apparato di varianti e nota filologica (Tutte le opere di A. Manzoni, a cu­
ra di A. C hiari-F. G hisalberti, ii, IPromessi Sposi. Tomo I, Testo definitivo del 1840.
Tomo II, Testo della prima edizione 1825-1827. Tomo III, Fermo e Lucia, Milano 1954).
La storia esterna dell’edizione, con la pubblicazione dei documenti legali e finan­
ziari e di molte lettere di e a Manzoni relative all’edizione, è stata tracciata da M.
Parenti, Manzoni editore: storia di una celebre impresa manzoniana illustrata su docu­
menti inediti 0 poco noti, Bergamo 1945.
XII • l ’ e d i z i o n e definitiva dei « promessi spo si» 215
un unica innovazione significativa, quella che portò, verso il 1475,
al raddoppiamento della lunghezza del carro,3 fu sconvolto nella
prima metà dell Ottocento da una serie di invenzioni rivoluzio­
narie che cambiarono completamente i mezzi di produzione.
Quelle più importanti furono la meccanizzazione dell’operazio­
ne della stampa e del lavoro compositoriale, iniziata rispettiva­
mente nel secondo e nel terzo decennio del secolo, e il perfezio­
namento della stereotipia, avvenuto nello stesso periodo.4 M a an-

3* una testimonianza italiana del 1476, che accenna alla necessità di far
stampare il materiale tipografico contenuto nel carro ingrandito con due tratti
della sbarra, e non uno, v. A. R osenthal, SomeRemarks on “thè Daily Performance of
a Printing Press in 1476”, « Gutenberg-Jahrbuch », 1979,39-50. Si attende con molto
interesse la pubblicazione dei risultati delle ricerche condotte da Lotte Hellinga,
della British Library, sul luogo e sulla data dell’innovazione.
4* Cfr. P. G askell, A New Introduction to Bibliography, Oxford 1972, 201-205;
25I_253; 274- La meccanizzazione della stampa interessò all’inizio soprattutto la
stampa di giornali e di riviste. In Inghilterra, luogo di nascita del torchio meccani­
co, soltanto dopo il 1830 si cominciò ad usarlo anche per la stampa dei libri. La sto­
ria dell’introduzione e dell’uso in Italia della stampa meccanica e delle altre in­
novazioni ottocentesche nel processo tipografico è ancora largamente da fare;
ma è già chiaro che l’acquisto nel 1830 fatto da Giuseppe Pomba di Torino di un
torchio meccanico da usare anche (forse soprattutto) per la stampa dei libri è se­
gno di un apprezzamento estremamente precoce delle possibilità della nuova in­
venzione (cfr. L. Firpo, Vita di Giuseppe Pomba da Torino: libraio tipografo editore,
Torino 1975 - Strenna Utet 1976). Nel Tomo x i i della Nuova enciclopedia popolare,
pubblicata dal Pomba nel 1848, alla voce Tipografia, si tessono le lodi della nuova
macchina: « Un grande perfezionamento introdottovi da varii anni nell’arte tipo­
grafica, sono 1 torchi mecanici... La machina mossa da due uomini che girano un
manubrio, o da una machma a vapore, fa tutte le operazioni da sé, e stende anche
1 inchiostro sui caratteri. Ne viene che la stampa si fa con grande economia e con
una sollecitudine, senza la quale non si potrebbero stampare io, 15 e fino a 20 mila
copie al giorno di alcuni fogli periodici. Prima di tale scoperta era d’uopo molti­
plicare le forme, laddove invece oggidì due forme sono sufficienti, e la tiratura è
da sei a otto volte più rapida. - Egli è vero che queste machine non diedero ancora
stampe molto esatte; il registro della ritirazione non vi si fa molto bene, quindi è che
non si può valersene per le belle edizioni, né pei libri di matematiche i quali ab­
bondano di segni e di impaginature delicate; ma i torchii mecanici riescono utilis­
simi per la maggior parte dei libri, massime per quelli che publicansi in gran nu­
mero e pei quali occorre sollecitudine » (p. 217). A Firenze, negli anni Cinquanta,
secondo Gaspero Barbera, i torchi meccanici non erano creduti buoni per la
stampa dei libri: « In Firenze non si conoscevano torchi a macchina, che avessero
riputazione di essere buoni arnesi, al più si credevano atti a stampare giornali,
non già opere; l’impressione veniva arrabbiata e il registro non corri-
216 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

che prima dell’invenzione della stampa meccanica, la stampa ma­


nuale aveva anch’essa subito delle modifiche. La spinta era quella
stessa che aveva condotto alla meccanizzazione della stampa: il
desiderio di aumentare il ritmo di produzione. Già nel Settecento
si era assistito alla graduale eliminazione di una delle limitazioni
piu cospicue del processo produttivo tradizionale della stampa
manuale: la piccolezza delle serie di caratteri tipografici, che nel
Cinquecento non permetteva di solito la composizione simulta­
nea di più di quattro forme. Verso la fine del Settecento, nell’offi­
cina tipografica della Société Typographique de Neuchâtel, il cui
archivio, pervenutoci quasi intatto, è stato fatto oggetto recente­
mente di ricerche approfondite, nei sei giorni dal 19 al 24 aprile
1779 i numerosi compositori che lavoravano simultaneamente su
un volume della prima edizione in quarto dell ’Encyclopédie fran­
cese composero 29 forme del libro, che furono stampate simulta­
neamente nella stessa settimana e nelle due seguenti su sette tor­
chi, ad una tiratura di 6000 esemplari, un ritmo di produzione che
sarebbe stato inconcepibile un secolo prima, e che, come ha osser­
vato lo studioso americano che ne ha illustrato la storia, richiede­
va, fra l’altro, non solo un’organizzazione molto attenta ma anche
un’ingente serie di caratteri tipografici.5 Il problema di procura-

spondeva per niente » (G. B arbèra, Memorie di un editore, Firenze 19302, 126-127).
Il Barbera ricorda che la tipografìa Le Monnier, per cui lavorò dal 1841 al 1854,
« aveva sei torchi a mano, e piu tardi, verso il 1850, accrebbe il materiale di un tor­
chio a macchina » (ibid., 52). A Milano negli anni Cinquanta c’erano già sei torchi
meccanici, ma non so da chi né quando fu introdotta nella città lombarda la nuo­
va invenzione. La stereotipia, come scrisse il tipografo milanese Giulio Pozzoli,
« è quel processo che ormai tutti conoscono, destinato a moltiplicare le impres­
sioni col mezzo di piastre fuse, solide, rappresentanti in un sol pezzo la faccia del­
le pagine state composte con caratteri mobili » (G. Pozzoli, N u o v o manuale di ti­
pografia, Milano 1882,365). L’uso della stereotipia dev’essersi diffuso in Italia poco
prima, perché nella prima edizione del suo libro il Pozzoli l’aveva detto « proces­
so non estraneo alla tipografìa, ma da pochi conosciuto e molto meno praticato »
(G. P ozzoli, Manuale di tipografia, Milano 1861, 331).
5. Cfr. R. D arnton, The Business of Enlightenment: a Publishing History of thè
« Encyclopédie » 1775-1800, Cambridge (Mass.) 1979,177-245, soprattutto p. 240, fìg.
3. Uno studio generale delle attività della Société Typographique de Neuchâtel
per gli anni 1769-1773 è in corso di preparazione, ad opera di Jacques Rychner.
Del Rychner, intanto, si possono consultare À l’ombre des Lumières: coup d’oeil sur la
XII • l ’ e d i z i o n e definitiva dei « promessi spo si» 217
re un aumento nel ritmo di produzione poteva essere attaccato
anche da un altro lato, quello della grandezza del materiale tipo­
grafico fatto passare sotto il torchio. M a malgrado i vari tentativi
fatti per aumentare la grandezza del torchio di legno, i lim iti im ­
posti dal materiale di cui era fabbricato si erano dimostrati invali­
cabili: dal Cinquecento all’Ottocento le dimensioni medie del
piano del torchio di legno rimanevano di 47 per 30 cm., e quelle
dello specchio di stampa del foglio d’edizione di 60 per 47 cm.6
La soluzione del problema doveva aspettare la nuova tecnolo­
gia della rivoluzione industriale. Nel 1800, un ingegnere dilettan­
te inglese, Carlo Mahon, visconte Stanhope, ideò e fece costruire
un torchio fatto di ghisa, destinato a diffondersi per tutta l’Europa
e ad essere largamente usato per più di un secolo, accanto ai nuovi
torchi meccanici. Il torchio Stanhope era stato concepito in rispo­
sta ad una esigenza sentita per la prima volta nel lontano 1475 con
il raddoppiamento nella grandezza del carro: come costruire un
torchio con un piano tanto grande da poter stampare il materiale
contenuto nel carro ingrandito con un unico tratto della mazza.
M a la robustezza dei nuovi torchi metallici consentiva un’altra
innovazione che si rivelava ancora più importante per la storia
della stampa, l’ingrandimento dell’intero torchio, compresi carro
e piano. Già alla fine del primo ventennio dell’ Ottocento si aveva­
no torchi Stanhope di varie dimensioni, da quelli della stessa gran­
dezza del torchio tradizionale a quelli capaci di stampare un’area
che misurava 98 per 58 cm., circa quattro volte più grande (T aw .
x i i i e xiv).7 L’aumento nel ritmo di produzione che accompa-

main-d’oeuvre de quelques imprimeries du XVIIIe siècle, « Revue française ¿ ’Histoire


du livre », xlvi (1977), 611-642; e Running a Printing House in Eighteenth-Century
Switzerland: the Workshop of the Société Typographique de Neuchâtel, « The Library »,
ser. 6, i (1979), 1-24.
6. Per una discussione dettagliata vedi P. G askell, A New Introduction..., cit.,
121-123.
7. Cfr. ibid., 196-200; J. M oran, Printing Presses: History and Developmentfrom the
Fifteenth Century to Modern Times, London 1973, 49-57. Accanto al torchio Stanho­
pe si diffusero anche altri tipi di torchio metallico, soprattutto il bellissimo Co­
lumbian, ideato da un americano, George Clymer, ma costruito e diffuso soltanto
in Europa. Mentre lo Stanhope funzionava con il sistema tradizionale della vite, il
2 l8 SAGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

gnava l’ingrandimento del torchio fu subito apprezzato dai pro­


prietari di giornali e riviste: a Londra, prima dell’installazione del
primo torchio meccanico nelle officine del giornale «T he T i­
mes », nel novembre del 1814, il giornale era stampato su un « bat­
taglione » di torchi Stanhope.8Senza dubbio il grande incremento
nella produzione libraria che ebbe luogo dappertutto nell’Europa
occidentale nella prima metà dell’Ottocento ha come sfondo l’in­
venzione tanto del torchio metallico quanto di quello meccanico.
Il primo accenno al torchio Stanhope da parte di un italiano che io
sia finora riuscito a trovare è negativo. N el suo bellissimo libro su
Giuseppe Pomba, Luigi Firpo fa notare che rimase inascoltata la
proposta fatta nel 1820 da un ignoto stampatore di introdurre i tor­
chi Stanhope nel regno sardo.9 M a nel tomo XII della Nuova enci­
clopedia popolare, pubblicata a Torino dal Pomba nel 1848, alla voce
Tipografia, si spiega che « la necessità di non descrivere che le ma­
chine di somma utilità ci obbliga a limitarci a descrivere i torchi alla
Stanhope e quelli mecanici; quelli che si adoperavano un tempo
nelle stamperie, essendo oggi quasi generalmente abbandonati,
non meritano che se ne p a rli...» (p. 216). Sembra, quindi, che a
Torino, e probabilmente anche in altre città italiane industrial­
mente e culturalmente aggiornate, come Milano, Venezia, Firen­
ze, gli anni fra 1820 e 1840 avessero visto l’arrivo del torchio metal­
lico.10 Ciononostante, il primo uso documentato a me conosciuto
di un torchio Stanhope in Italia è per la stampa dell’edizione defi­
nitiva dei Premessi sposi, a cui è ormai tempo di rivolgere la nostra
attenzione.

Columbian agiva secondo il principio della trave a fulcro. Anch’esso si vendeva


in varie dimensioni.
8. Cfr. J. M o r a n , Printing Presses..., cit., 54.
9. L. F irpo, Vita di Giuseppe Pomba..., cit., 27.
10. Secondo J. M o r a n , Printing Presses..., cit., 53, i torchi Stanhope furono fab­
bricati in Italia durante l’Ottocento dalle ditte G.B. Paravia di Torino e
Dell’Orio di Monza. Nelle pagine iniziali del romanzo Illusions perdues di Balzac,
che in gioventù aveva lavorato in tipografìa, si descrive l’aspetto di una tipografìa
provinciale francese del 1831: vi si usavano ancora i vecchi torchi di legno, a diffe­
renza delle officine parigine, a quell’ epoca tutte già provviste, secondo Balzac, di
presses de Stanhope.
T av . XIII. Torchio Stanhope di dimensioni normali. Vedi p. 217.
T av . XIV. Grande torchio Stanhope (piano di 80 X 60 cm.) fabbricato a Parigi nel 1847, e ancora in uso ad Alcázar de San Juan
(Ciudad Real), Spagna. Vedi p. 217.
XII • l ’ e d i z i o n e definitiva dei « promessi spo si» 219
U n accenno ai torchi Stanhope si trova già nel sesto articolo del
contratto fra Manzoni e i tipografi Vincenzo Guglielmini e Giu­
seppe Redaelli, steso da Tommaso Grossi e firmato dalle due parti
il 13 giugno 1840:
Gli editori terranno a disposizione dell’ autore tutti i torchj alla Stan-
hop che saranno necessarj pel regolare andamento di questa edizione, e
si obbligano di far in modo che non abbia mai ad essere ritardata la pub­
blicazione dei fascicoli da farsi di quindici in quindici giorni, sottopo­
nendosi al risarcimento di tutti i danni che derivassero dall’inadempi­
mento per parte loro a tale obbligazione.11
L’accenno esplicito al tipo di torchio da usare nella stampa
dell’edizione è da mettere in rapporto con uno degli aspetti più
importanti dell’edizione definitiva dei Promessi sposi, quello di es­
sere un’edizione illustrata, caratteristica voluta dall’autore, come
egli spiega in una lettera del dicembre 1839 al cugino Giacomo
Beccaria, come espediente per difendersi dalla pirateria.12 Infatti,
uno dei molti vantaggi dei torchi Stanhope era di trasmettere la
forza motrice alla vite non direttamente, come nel vecchio tor­
chio di legno, ma attraverso una serie di leve articolate, un sistema
che aumentava non solo la potenza del torchio ma anche la deli­
catezza del tocco, rendendo i torchi Stanhope particolarmente
adatti alla stampa di xilografìe, l’arte delle quali, non a caso, co­
nobbe nell’Ottocento una splendida rifioritura. Fra i motivi che

11. Il contratto è riprodotto in M. Parenti, Manzoni editore..., cit., 121-123. La


mia trascrizione ha alcune varianti rispetto a quella del Parenti (p.es. per « risarci­
mento » Parenti legge « rifacimento »). La prima pagina del contratto è ormai cosi
sbiadita da poter essere letta soltanto con l’aiuto di una lampada a raggi ultra-vio­
letti.
12. « Della prima edizione posso credere che siano state fatte quaranta edizio­
ni, delle quali una da me, di mille esemplari; le altre posso credere che abbian
sommato a 59000; il che vuol dire ch’io non ho avuto che la sessantesima parte dei
compratori... Ora è cosa chiara che, facendo una edizion semplice, io mi pongo
di nuovo nella stessa condizione. Colla edizione a vignette, invece, io mi costitui­
sco difatto unico venditore, per tutto il tempo che la distribuzione dura... ; giac­
ché il contraffattore non può dar fuori quinternetti cosi nudi d’ogni ornato, e
contraffare i miei sarebbe non una speculazione, ma una pazzia...» (Tutte le opere
di Alessandro Manzoni, a cura di A. C hiari-F. G hisalberti, vii, Lettere, a cura di C.
A rieti, Milano 1970, Tomo II, 118-119).
220 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

avranno indotto Manzoni a scegliere come suoi stampatori la dit­


ta relativamente nuova di Guglielmini e Redaelli sarà stato il loro
interesse per la stampa di edizioni illustrate, di cui è testimone
un’istanza inedita dell’agosto 1839, in cui chiedono il permesso di
aprire uno stabilimento litografico unitamente con la loro tipo­
grafìa.13 M a oltre agli accenni ai torchi Stanhope contenuti nel
contratto con Manzoni e in altri documenti relativi all’edizione
dei Promessi sposi, su cui torneremo fra poco, non sappiamo molto
delle attrezzature possedute dalla ditta Guglielmini e Redaelli.
Da un documento dell’Archivio e Museo del Risorgimento ri­
portato da Alessandro Visconti nel suo libro sulla tipografìa Piro­
la, sembra che negli anni Quaranta, a parte la monopolistica
Stamperia Imperiale Regia, con più di 30 torchi, la ditta Gugliel­
mini e Redaelli e la sua erede, la ditta Guglielmini, possedevano
l’officina tipografica più grande di Milano, con una decina di tor­
chi.14 La loro posizione di superiorità rispetto ad altre tipografìe
« private » in quel decennio è confermata dalle varie notizie ri­
spetto alla loro produzione portate alla luce recentemente nel li­
bro importante di Marino Berengo sul commercio librario a M i­
lano nella prima metà dell’Ottocento.15 La loro ascesa doveva es­
sere stata assai rapida, perché all’inizio della loro attività, quando
alla fine del 1836 avevano comprato la tipografìa di Claudio M i­
chele Destefanis, non avevano che due torchi.16Purtroppo nessu­
na di queste fonti precisa il tipo di torchio posseduto.

13. Cfr. Appendice 1. Vorrei esprimere la mia gratitudine al prof. Marino Be­
rengo, che gentilmente mi ha fornito l’indicazione dei documenti riguardanti la
ditta Guglielmini e Redaelli conservati all’Archivio di Stato di Milano.
14. A. V isconti, Una stamperìa milanese (sec. XVIII - sec. XX), Milano 1928,124-
126.
15. M. B erengo, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione, Torino
1980. Il Berengo racconta che nel dicembre del 1842, subito dopo la stampa dei
Promessi sposi, la ditta stampò tre opuscoli devoti spagnoli per l’America latina,
due a tiratura di 12000 esemplari e il terzo a 24000.
16. Archivio di Stato, Milano. Commercio, P.M., busta 349, supplica di Vincen­
zo Guglielmini e Giuseppe Redaelli per la patente di Claudio Michele Destefa­
nis: «... oltre allo Stabilimento con due Torchi ed un copioso assortimento di
Carratteri (sic), i [ricorrenti si trovano forniti dei mezzi sufficienti che occorrere
potessero per l’andamento dell’azienda medesima».
XII • l ’ e d i z i o n e DEFINITIVA DEI « P RO ME S SI S P O S I » 221

Tornando all edizione definitiva dei Promessi sposi, tre sono le


caratteristiche su cui, e sul reciproco rapporto delle quali, bisogna
soffermarsi: la pubblicazione a dispense, la tiratura, e il formato.
La spiegazione più chiara della maniera di pubblicazione si trova
nel Manifesto di Guglielmini e Redaelli apparso nel luglio del 1840
per sollecitare sottoscrizioni alla nuova edizione:
L’edizione sarà eseguita dalla tipografìa Guglielmini e Redaelli, e si
pubblicherà per dispense di pagine 8 con circa quattro incisioni, al prez­
zo di centesimi 40 italiani.
Ogni quindici giorni si pubblicherà un fascicolo di due dispense. Il
primo uscirà, al più tardi, in novembre dell’anno corrente: gli altri segui­
ranno senza interruzione.17

La pubblicazione a dispense, a cui era collegato di solito, come


nel nostro caso, 1 invito al pubblico ad associarsi all’impresa a un
prezzo speciale, era un abitudine diffusa nell’editoria europea da
molto tempo. Essa offriva a chi finanziava la pubblicazione del li­
bro (nel nostro caso, 1 autore stesso) la possibilità di ricuperare
una parte delle spese di produzione durante il corso della
stampa.18 Un altro vantaggio, quello di poter assicurare uno smer­
cio adeguato prima di iniziare la stampa di un libro, era incauta­
mente tralasciato dall autore troppo fiducioso dei Promessi sposi. Il
contratto del 13 giugno 1840 fa menzione due volte, nell’articolo 8
(b) e nell’articolo n , di una tiratura di 5000 esemplari, ma lascian­
do aperta la possibilità di una tiratura maggiore. Infatti, come ri­
sulta dai conti della tipografìa, fin dall’inizio della stampa la tiratu­
ra fu di 10000 esemplari. La decisione di raddoppiare la mole
dell edizione, presa soltanto dopo la stesura del contratto e proba­
bilmente cagionata dal costo ingente delle incisioni, risultò disa-

17. M. Parenti, Manzoni editore..., cit., 126.


18. Numerosi casi di questo tipo di pubblicazione sono ricordati da M. B eren-
go , Intellettuali e librai..., cit., 103-109. In Inghilterra, il sistema della pubblicazio­
ne a dispense era già comune nel Settecento; cfr. R. L. Patten , Charles Dickens and
his Publishers, Oxford 1978, 46-54.1 romanzi di Dickens, però, a partire dai Pick-
wick Papers (1836-1837), furono pubblicati secondo un sistema diverso, quello del­
la pubblicazione seriale, in cui le singole parti erano discrete anche contenutisti­
camente.
222 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

strosa per Manzoni. Le sottoscrizioni raggiunsero la cifra straor­


dinariamente alta di 4600, ma non bastava: alla fine della stampa
rimasero invenduti più di 5000 esemplari, con un passivo piutto­
sto pesante.19
In quanto al formato, chi prende in mano un esemplare
dell’edizione definitiva dei Promessi sposi, specialmente se ha già
qualche familiarità con i prodotti della stampa manuale anteriori
all’Ottocento, non avrà dubbi in materia: si tratta di un libro in
quarto. Lo dimostra la presenza di segnature ogni otto pagine, nu­
merate da 1 a 108. Lo confermano le dimensioni del libro, appros­
simativamente di 27 per 18 cm., con uno specchio di stampa per
ogni pagina di 19.7 per 12.5 cm. Ogni segnatura, quindi, corrispon­
de a una dispensa, e le otto pagine della segnatura costituiscono, a
quanto pare, l’unità fondamentale del processo produttivo. Siamo
ormai in grado di ricostruire il ritmo di produzione del libro. In
complesso, possiamo dire che questo segui il programma del Ma­
nifesto: « Ogni quindici giorni si pubblicherà un fascicolo di due
dispense », perché, secondo gli annunci apparsi nella Bibliografia
italiana, le prime due dispense (= segnature) apparvero nel no­
vembre del 1840, e le due ultime, quelle centosettesima e centot-
tesima, furono pubblicate esattamente due anni, o 104 settimane,
più tardi, nel novembre del 1842. Il fatto che entro questi termini,
sempre secondo la. Bibliografia italiana, la pubblicazione delle altre
dispense segui un ritmo piuttosto irregolare non infirma la con­
clusione generale: la stampa dell’edizione deve aver raggiunto,
per due anni ininterrotti, il ritmo medio di 10000 esemplari di una
dispensa (= segnatura) ogni settimana.20 Si tratta di una cifra note­
vole, irraggiungibile con un solo torchio manuale di dimensioni
tradizionali, la cui capacità era convenzionalmente fissata a 2500
impressioni al giorno, cioè 1250 fogli stampati su entrambe le fac­
ciate; per un libro illustrato, come l’edizione definitiva dei Pro-

19. F. G hisalberti, Per l’edizione..., cit., 250, nota 2. Le incisioni erano costate
a Manzoni la somma di L. 91497, mentre i profitti dovuti all’autore nel 1843 per la
vendita dell’edizione, secondo i calcoli del Guglielmini, erano di L. 46374 (ihid.,
nota 4).
20. Cfr. M. Parenti, Manzoni editore..., cit., 48.
XII • l ’ e d i z i o n e definitiva dei « promessi spo si» 223
messi sposi , il ritmo di produzione doveva essere sensibilmente
minore.21 Per la stampa di quest’edizione, dobbiamo presupporre
l’uso di tecniche o di attrezzature diverse da quelle tradizionali,
più consone all’industrializzazione dell’attività tipografica che
avvenne durante il corso dell’Ottocento in Italia. M a quali tecni­
che, o quali attrezzature?
Per caso, fra le bozze di stampa dei Promessi sposi conservate a
Brera, ce n’è una che ci permette di dare una risposta a queste do­
mande. Si tratta di una delle pochissime bozze sciolte (segnatura:
Manz. xxx. 17); è impaginata, come la stragrande maggioranza
delle bozze dei Promessi sposi, e stampata su una sola facciata della
carta, secondo il sistema tradizionale. Essa ci presenta le otto pagi­
ne della segnatura (= dispensa) 21, numerate da 161 a 168. Nella sua
forma attuale, la bozza consiste di due lunghe striscie, ognuna
contenente quattro pagine, una accanto all’altra: una striscia con­
tiene le pagine 162, 167 168, 161, l’altra le pagine 164, [165], 166,
163.22 A prima vista, non si capisce da quale processo tipografico
possono risultare queste strisce; ma a guardare bene, si vede che
entrambe le strisce hanno un orlo irregolare, creato, a quanto pa­
re, da uno strappo, e che i due orli combaciano perfettamente.

21. Per il ritmo di produzione tradizionale, mi sia permesso di rimandare al


mio contributo Introduzione alla bibliografìa testuale, « LaBibliofìlia » , l x x x i i (1980),
160-162. [Supra, 41-42]. In quanto alle edizioni illustrate, il Pozzoli (Nuovo manuale
di tipografia..., cit., 332-333). scrive che « coi torchi di ghisa e colle esigenze della
moderna stampa, riuscirà impossibile produrre perfettamente sulla carta caratte­
ri e illustrazioni di qualche considerazione, se non si proceda con un metodo più
preciso e sicuro per la loro riuscita ». Poi spiega come il torcoliere deve preparare
il torchio per la stampa di ogni forma, e aggiunge: « Questa operazione » [la pre­
parazione del torchio] « è talvolta il lavoro di una intera giornata ». Non è inop­
portuno citare qui il terzo articolo del contratto fra Manzoni e i suoi tipografi:
« Secondo l’uso comune si concede ai tipografi un foglio di scarto per ogni cento
foglj, ma siccome per questa edizione si richiede una straordinaria perfezione, e
s’incontrerà una difficoltà maggiore anche per l’esatta collocazione delle vignet­
te, si accordano due foglj ogni cento...» (M. Parenti, Manzoni editore..., cit.,
121). Un grande tipografo moderno, forse il più grande, Giovanni Mardersteig,
quando stampava su un torchio a mano le sue belle edizioni illustrate, si conten­
tava di un ritmo di produzione di soltanto 300 impressioni al giorno, cioè 150 fo-
gB-
22. La p. 165, essendo la prima pagina del cap. ix, non è numerata, ma contiene
in testa alla pagina un’incisione decorativa con il motivo di un uccello da preda.
224 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

Cosi, mettendo insieme le due strisce, si può ricomporre la bozza


nella forma originaria (Tav. xv).
Di questa bozza cosi ricomposta si notano due elementi signifi­
cativi: le sue dimensioni, che sono di 76 per 56 cm., e il fatto che le
otto pagine della segnatura sono tutte stampate sulla stessa faccia­
ta del foglio, mentre nel volume le pagine a numeri pari si trovano
stampate sul verso di quelle a numeri dispari. Un torchio delle di­
mensioni necessarie per produrre uno stampato della grandezza
della bozza della segnatura 21, se usato per la stampa di tutta l’edi­
zione, avrebbe non solo raddoppiato il ritmo di produzione, ri­
spetto al torchio di dimensioni normali, ma anche ridotto a metà il
numero delle forme, e quindi il lavoro di preparazione. La spiega­
zione della disposizione delle otto pagine consecutive sulla stessa
forma, mentre negli esemplari del volume quattro si trovano su
una parte della carta e quattro sull’altra, è facile da trovare: si tratta
di un tipo di imposizione, chiamato imposizione a mezzofoglio, vec­
chio quasi quanto la stampa. Succede spesso che il materiale da
stampare in un libro non si divide precisamente nelle unità costi­
tuite dai fogli di edizione, e quindi lo stampatore viene a trovarsi
verso la fine del suo lavoro con materiale sufficiente per non più
di un mezzo foglio (ad esempio, se il libro è in ottavo, gli rimane il
materiale per non più di otto pagine, invece di sedici). Molto pre­
sto nella storia della stampa ci si accorse che invece di imporre
questo materiale nelle due forme nel modo normale (pp. 1,4,5,8,
9,12,13,16, per la forma esterna di un libro in ottavo, pp. 2,3,6,7,
io, 11,14,15, per quella interna), con spazi bianchi per le pagine da
9 a 16, era più semplice e più veloce imporre le otto pagine da 1 a 8
in un’unica forma in un ordine speciale, tale da stampare due co­
pie di queste otto pagine su un solo foglio di edizione voltato nel
modo normale. In pratica quest’ordine speciale consiste nel collo­
care le pagine nelle due metà della forma come se queste due me­
tà costituissero le due forme di un’imposizione in quarto.23 Cosi,

23. I vari tipi di imposizione sono illustrati da P. G askell, A New


I n tro d u c tio n cit., 87-107; cfr. anche G. P ozzoli, N uovo manuale di tipografia
cit., 301-324, soprattutto 307.
XII • l ’ e d i z i o n e definitiva dei « promessi sposi» 225
per tornare alla nostra segnatura, se si collocano in una metà della
forma le pagine 161,164,165,168, e nell’altra metà le pagine 162,
163,166,167 (Tav. xvi), come si sarebbe fatto in due forme separa­
te per 1 imposizione in quarto delle stesse pagine per la stampa su
un torchio e con carta di dimensioni tradizionali, si avrà una metà
del foglio che al suo primo passaggio sotto il torchio riceve su una
facciata 1 impressione delle pagine 161,164,165, e 168, e al secondo
passaggio, dopo essere stata voltata, quella delle pagine 162,163,
166, e 167 sull’altra facciata, mentre l’altra metà del foglio riceverà
prima l’impressione delle pagine 162,163,166, e 167, e poi quella
delle pagine 161,164,165, e 168. Stampando un foglio intero su una
sola facciata, si avrà una bozza come quella che stiamo esaminan­
do, con una copia delle otto pagine della segnatura; stampandolo
anche sull altra facciata e tagliando il foglio in due parallelamente
al suo lato più corto, si avranno due copie delle stesse otto pagine,
distribuite ambedue sulle due facciate della carta.
Questa bozza ci offre la spia per capire come fu stampata tutta
l’edizione. Ma prima di poter far accettare l’ipotesi dell’uso di un
torchio grande, bisogna sgombrare il terreno di alcune obbiezio­
ni. Anzitutto, per spiegare questa bozza, testimone assolutamen­
te isolato, è necessario postulare un grande torchio e l’imposizio­
ne a mezzo foglio? Non sarebbe stato possibile produrla in un al­
tro modo, premendo la forma con un rullo, ad esempio, o usando
in qualche modo due forme di dimensioni normali, come è stato
su§§efho in un caso simile da Chiari e Ghisalberti, che credevano
tutta 1 edizione stampata su torchi di dimensioni normali, e non si
erano resi conto, a quanto pare, della natura curiosa della bozza
della segnatura 21?24 La risposta a queste domande dev’essere re­
cisamente negativa. Non è ignota la tecnica di stampare bozze per
mezzo di un rullo, ma quando sono prodotte cosi, le bozze hanno
sempre un aspetto rozzo e smussato. Per dire il vero, alcune boz-

24. Il loro suggerimento è stato fatto per spiegare la presenza di bozze stam­
pate da un sol verso conservate come pagine separate; cfr. A. M anzoni, Tutte le
opere. . ., ii, cit., Tomo I, 889. Per loro, la bozza grande della segnatura21 era « una
copia di bozze impaginata » (863).
226 SAGGI DI BIBLIOGRAFIA TESTUALE

ze dei Promessi sposi hanno quest’aspetto,25 ma non quella della di­


spensa 21, che è nitidissima, e fu certamente stampata su un tor­
chio. M a forse essa è stata prodotta stampando una dopo l’altra le
due forme di un’imposizione in quarto usando un torchio di di­
mensioni normali, ma con carta grande? Anche questa possibilità
è da escludere: è vero, come abbiamo visto, che ogni metà della
grande bozza contiene precisamente quelle pagine che sarebbero
state contenute in una forma imposta per la stampa in quarto, ma
nella stampa in quarto le pagine sarebbero state voltate in un sen­
so diverso rispetto alla grande bozza, perché nella stampa una for­
ma deve sempre presentare al piano del torchio l’orlo più corto.
M a c’è ancora un’altra obbiezione da superare, sollevata dal la­
voro di Chiari e Ghisalberti sull’edizione critica. Essi avevano tro­
vato un gruppo di cinque dispense (17,34, 40, 43, 69) in cui le va­
rianti interne erano disposte in una maniera curiosa: certi esem­
plari avevano varianti scorrette alle pp. 1,4,5 e 8 di queste dispense
(che avrebbero corrisposto alla forma esterna del foglio d’edizio­
ne, se l’edizione fosse stata stampata su un torchio di dimensioni
normali, come essi credevano), e varianti corrette alle altre pagine
(corrispondenti alla forma interna di una stampa normale); ma in
altri esemplari la situazione era capovolta, con varianti corrette al­
le pp. 1, 4, 5 e 8, e varianti scorrette alle altre pagine. Esistevano
inoltre altri esemplari con varianti corrette in tutta la dispensa.
Per spiegare queste anormalità Chiari e Ghisalberti avevano tro­
vato una soluzione ingegnosa: stampa simultanea delle due forme
su due torchi, sempre di dimensioni normali; correzione di en­
trambe le forme simultaneamente durante la tiratura; alcuni
esemplari, quindi, con lo stato scorretto della forma interna e,
quando erano stati fatti passare sotto l’altro torchio, lo stato cor­
retto della forma esterna; altri, viceversa, con lo stato scorretto
della forma esterna e quello corretto dell’interna; altri ancora, la
cui stampa fu iniziata dopo la correzione, che portavano lo stato

25. Ad esempio, alcune bozze delle segnature 27, 34, 35, 47 e 101, per cui si ri­
manda alla discussione di queste segnature (dai curatori chiamate fogli) nelle note
all’edizione Chiari/Ghisalberti.
IL ?

lèi

T av. XVI. Collocazione delle pagine in una forma per


lét

la stampa della dispensa 21 con l’imposizione a mezzo foglio. Vedi p. 22$.


XII • l ’ e d i z i o n e definitiva dei « promessi sposi» 227
corretto di entrambe le forme.26 Nel trovare questa soluzione
Chiari e Ghisalberti avevano visto bene, come al solito: l’anorma­
lità doveva nascere dal fatto che la stampa della dispensa era stata
interrotta quando soltanto una parte di un lotto era stata stampata,
e quando c’erano alcuni fogli che già portavano le pp. 1,4,5 e 8 del­
la dispensa, e altri con le pp. 2,3,6 e 7. M a questa situazione si veri­
fica non solo se si erano stampate queste pagine simultaneamente
in forme separate su due torchi di dimensioni normali, come ave­
vano suggerito Chiari e Ghisalberti, ma anche se esse si erano
stampate tutte insieme su un grande torchio in una sola forma,
imposta, come quella della dispensa 21, per l ’imposizione a mezzofo ­
glio, dove si trovano le pp. 1,4,5 e 8 in una metà della forma, e le al­
tre pagine nell’altra. Fermando la tiratura durante la stampa di un
lotto, ed eseguendo delle correzioni, si avrebbero fogli già stam­
pati su una facciata, che avrebbero portato per una metà della loro
superfìcie lo stato scorretto delle pp. 1, 4,5 e 8 e nell’altra quello
scorretto delle pp. 2,3,6 e 7, ma poi, quando più tardi erano voltati
e stampati sull’altra facciata, avrebbero ricevuto lo stato corretto
delle pagine mancanti. I fogli la cui stampa si era iniziata dopo la
correzione della forma avrebbero portato naturalmente soltanto
stati corretti di tutte le pagine. Cosi l’anormalità scoperta da Chia­
ri e Ghisalberti nelle cinque dispense notate sopra non dimostra
di per sé l’uso simultaneo di due torchi di dimensioni normali; es­
sa può derivare anche dall’uso di un torchio grande e dell’imposi­
zione a mezzo foglio.
Quale conferma trova l’ipotesi dell’uso continuo di un torchio
grande e dell’imposizione a mezzo foglio dalla massa di bozze
dell’edizione definitiva dei Promessi sposi conservate in Brera?
Quasi nulla, e questo per un fatto di cui anche Chiari e Ghisalberti
ebbero a lagnarsi. La stragrande maggioranza delle bozze si trova
nel cosiddetto Tesoro manzoniano (segnatura: Manz. xn. 87-91), cin­
que volumi delle stesse dimensioni di un esemplare dell’edizio­
ne, dove le bozze, ordinate secondo il numero delle segnature,
sono state tagliate e rilegate insieme pagina per pagina. Con que-

26. Cfr. A. M anzoni, Tutte le opere..., 11, cit., Tomo I, 805-806.


228 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

sto procedimento l’ignoto raccoglitore delle bozze, se ha contri­


buito decisivamente alla loro conservazione, ha anche distrutto
completamente la loro forma originaria, e cosi esse non servono
più alla ricostruzione del processo tipografico.27 Solo le pochissi­
me bozze sciolte possono aiutarci. E fra esse l’unica conferma alla
nostra tesi, suggestiva, anche se non decisiva, si trova in una bozza
della dispensa n (segnatura: Manz. B. vi. 3), stampata nitidamente
da una sola parte della carta, e composta di quattro gruppi di due
pagine. Invece di essere divisa con uno strappo, come la bozza
della dispensa 21, questa bozza è stata tagliata con forbici, o con un
coltello, il che rende la sua ricostruzione piu problematica. Cio­
nonostante, si può dire che le pp. 2,7,8 e 1 della dispensa sembra­
no essersi trovate originariamente una accanto all’altra, come le
pagine corrispondenti della bozza della dispensa 21. Anche la boz­
za della dispensa n , quindi, fu probabilmente stampata su un tor­
chio grande.
L’ipotesi dell’uso di un torchio grande per la stampa dell’intera
edizione ci aiuta a capire un particolare che appare nella docu­
mentazione relativa a quest’edizione. Questo è il fatto che un fo­
glio d’edizione sembra aver compreso sedici pagine e non otto,
come sarebbe da aspettarsi in un libro con segnature di otto pagi­
ne. L’accenno più esplicito alla grandezza del foglio d’edizione è
nell’articolo 8 del contratto fra Manzoni e i suoi tipografi:
8° Il Sig.r Manzoni pagherà agli editori
a) Per la composizione di ogni foglio intiero di 16. pagine comprese
le vignette che si stamperanno col testo L 24 ital__ 28

Dalla lettura del libro del Berengo risulta evidente che


nell’editoria milanese del periodo sedici pagine potevano costi­
tuire un’unità contrattuale non necessariamente legata al forma­
to di un libro.29 M a i conti presentati a Manzoni dai tipografi ogni

27. Per la storia esterna del Tesoro manzoniano, cfr. ihid., 802-803.
28. M. Parenti, Manzoni editore..., cit., 121.
29. Il termine convenzionale per quest’unità, che figurava soprattutto negli
accordi fra autori e editori, era «sedicesimo»; cfr. M. B erengo, Intellettuali e
librai..., cit., 319-329.
XII • l ’ e d i z i o n e definitiva dei « promessi sposi» 229
due mesi, secondo l’articolo 12 del contratto, rivelano che nel no­
stro caso non si trattava di una finzione legale: i fogli comprati per
la stampa dell’edizione erano effettivamente capaci di contenere
16 pagine del libro. Ad esempio, per il primo fascicolo, che, come
tutti i fascicoli, conteneva due dispense di otto pagine ciascuna,
con una tiratura di 10000, piu 200 copie di scarto, come accordato
nell’articolo 3 del contratto, si comprarono 21 risme, cioè 10500 fo­
gli.30
Più interessante ancora è l’accenno al formato che si trova nel
Manifesto del luglio 1840:
L opera e l’appendice [Storia della Colonna Infame] saranno comprese
in un solo volume in 8°, massimo, di circa fogli 52, ossiano 832 pagine, in
formato, carta e caratteri simili al presente manifesto.31

Il formato, la carta e i caratteri usati nel Manifesto sono identici a


quelli che poi si trovano nell’edizione stessa. Descrivere il forma­
to dell’edizione come «in 8°» non ha senso se non si suppone,
non solo un foglio d’edizione abbastanza grande da poter conte­
nere 16 pagine del testo, ma anche un torchio abbastanza grande
da poter stampare una forma contenente otto di queste pagine. Se
si fosse avuta l’intenzione di stampare l’edizione su torchi di di­
mensioni normali, tagliando in due i grandi fogli di carta, non si
vede perché nel manifesto non la si sarebbe descritta come « in
4° ». Se la descrizione dell’edizione come « in 8°, massimo », con­
tenuta nel Manifesto, corrisponde esattamente ai particolari della
sua stampa, come li siamo venuti or ora ricostruendo, la presenza
nell’edizione di segnature di otto pagine dimostra che fin dall’ini­
zio della stampa i tipografi avevano deciso di servirsi dell’imposi­
zione a mezzo foglio. Per un libro, con un torchio, e con una tira­
tura grandi quanto quelli con cui avevano a che fare, l’imposizio­
ne a mezzo foglio era il sistema più maneggevole, soprattutto per
la correzione delle bozze; la capacità che si ha con una forma im ­
posta cosi di produrre o una bozza di otto pagine consecutive con

30. M. Parenti, Manzoni editore..., cit., 150.


31. Ibid., 125.
230 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

un solo passaggio della forma sotto il torchio, o, con un secondo


passaggio della forma, due bozze delle stesse otto pagine stampate
sul recto e sul verso, doveva essere particolarmente utile nella
stampa di un libro per cui l’autore aveva stipulato la più ampia fa­
coltà nella revisione delle bozze.32

32. Le bozze dell’edizione definitiva dei Promessi sposi sono di tre tipi, bozze in
colonna, sopravvissute per una parte del testo corrispondente a soltanto ventiset­
te pagine, bozze impaginate e imposte stampate su una sola facciata e bozze im­
paginate e imposte stampate sul recto e sul verso della carta (bozze del secondo e
del terzo gruppo sono da Chiari e Ghisalberti chiamate talvolta anche « prove di
torchio »). Le bozze ora nel Tesoro manzoniano appartenevano originariamente, a
mio avviso, al secondo e al terzo gruppo; in altre parole, bozze di una sola pagina
esistono oggi soltanto perché la bozza originale di un’intera forma è stata poi ta­
gliata e separata in pagine. Dal punto di vista della storia della stampa, le bozze
più interessanti sono quelle in colonna, a quel periodo ancora una novità per la
stampa di un libro. Secondo il Ghisalberti, le bozze in colonna, che rappresenta­
no la prima fase nella preparazione dello stampato, ed erano l’occasione di un ul­
teriore lavoro correttorio sul testo, dopo quello testimoniato dall’esemplare po­
stillato della ventisettana mandato in tipografìa, sono da supporre per l’intero li­
bro. L’ipotesi è del tutto convincente: le bozze in colonna, che contenevano il
materiale tipografico prima dell’inserimento dei legni, occorrevano a Manzoni
per poter fissare il collocamento e la misura delle vignette, e talvolta anche il loro
argomento. Questo viene spiegato in una lettera del 20 aprile 1842 a Francesco
Gonin, il pittore torinese che esegui la maggior parte dei disegni per i legni: «...
ecco come stanno le cose. L’appendice [Storia della Colonna Infame], ho visto che
bisognava rifarla di pianta. E ho visto ancora, che, per fissare con fondamento i
posti e le misure de’ disegni, bisognava avere il testo stampato. Ne ho per circa tre
fascicoli, che porteranno circa 24 disegni; e tra cinque o sei giorni, l’avrò corretto
e compaginato, da non aver altro, per la parte mia, che a ingommar le cartoline sui
legni » (A. M anzoni, Tutte le opere..., vii, cit., Tomo II, 214; v. anche 234-235, bi­
glietto al Gonin del luglio 1842). Una bozza in colonna, « compaginata » e con
l’indicazione della posizione dei legni, è riprodotta dal Ghisalberti, «Annali
manzoniani », 11 (1941), fra pp. 42 e 43. Bozze impaginate e imposte sono soprav­
vissute in versioni multiple per quasi ogni segnatura. Quelle stampate su una sola
facciata esistono per il Manifesto e per sedici delle cento otto segnature del libro.
Nelle bozze dei Promessi sposi non c’è un rapporto cronologico fisso fra bozze
stampate su una sola facciata e quelle stampate sul recto e sul verso; talvolta, la
bozza stampata su una sola facciata precede, altre volte, come nelle segnature 7,
il, 14,27,40,42,63,67, essa segue quella stampata su entrambe le facciate. Il fatto è
che, mentre con l’imposizione normale una bozza stampata sul recto e sul verso
rappresenta, rispetto a quella stampata su una sola facciata, uno stadio seriore del
processo correttorio, con l’imposizione a mezzo foglio essa non possiede alcuna
superiorità o posteriorità intrinseca rispetto all’altro tipo, essendo entrambi pro­
dotti dalla stampa della stessa, unica forma.
XII • L EDIZIONE DEFINITIVA DEI « P R O ME S SI S P O S I » 23I

Cosi il materiale a nostra disposizione induce a ritenere che


1 edizione definitiva dei Promessi sposi fosse stampata su un torchio
Stanhope di dimensioni grandi, con il tipo di imposizione desi­
gnato imposizione a mezzofoglio. Ogni foglio che si metteva sul tor­
chio era di grandezza tale da poter ricevere l’impressione di sedici
pagine del testo, otto su ogni facciata; quella che infatti vi si stam­
pò fu la doppia impressione di otto pagine del testo. Cosi, mentre
il foglio d’edizione comprendeva sedici pagine, l’unità strutturale
del libro e della sua stampa era la segnatura di otto pagine.
E 1 acquisto del grande torchio Stanhope? Le indicazioni rica­
vabili da lettere e documenti pubblicati dal Parenti ci lasciano ri­
costruire la vicenda con sufficiente chiarezza. Il primo accenno
all’acquisto di un torchio Stanhope per la stampa dell’edizione
definitiva dei Promessi sposi si trova in una lettera del 15 febbraio
1840, indirizzata da Teresa Stampa, seconda moglie di Manzoni, al
padre Giuseppe Bottelli, parroco di Arona e amico della famiglia
Stampa, in cui la Stampa parla con entusiasmo, ma anche con un
pizzico d ironia, dei progetti, a quella data già molto avanzati, per
la nuova edizione:
Questi disegni saran fatti sul legno da Gonin stesso, per essere poi sca­
vati da incisori francesi, venuti a Milano e condotti da Parigi dal sign.
Sacchi, che intende di stabilire una scuola a M ilano di questo nuovo ge­
nere d incisione ... Questi stessi legni si adoperano per stampare inter­
calandoli nel testo, e per ciò fare è necessario, a far bene, un torchio alla
Stanhope, ed un torcoliere pratico di questo genere di stampa; il qual
torcoliere è stato fatto venire da Parigi dagli editori Guglielmini e Re-
daelli, cosi come il torchio alla Stanhope, e ci sarà tutto l’occorrente a far
la cosa perfetta e pari alle Francesi per merito d’edizione, e superiore a
quelle per merito e quantità di disegni; i quali quando li vedrà appostati
nel testo, mi saprà dire che capo d’opera avrà dato l’Italia.È vero che tut­
to sarà stato fatto venire da Parigi quanto al materiale, carta, matrici di
caratteri, torchio, macchina per « giacer » la carta, inchiostro, incisori, e
torcolieri; ma sarà sempre che Gonin avrà fatto i disegni, e Alessandro il
libro, e non ci sarà da dire; la parte spirituale sarà tutta italiana.33

Di soltanto cinque giorni più tardi è il contratto di Manzoni

3 3 - M. Parenti, Manzoni editore..., cit., 237-238.


232 S AGGI DI BI BLI OGRAFI A TESTUALE

con l’incisore Luigi Sacchi. Qui, naturalmente, non si parla di tor­


chi. M a il contratto contiene un particolare estremamente inte­
ressante, che ci lascia cogliere il momento in cui fu presa la deci­
sione di stampare l’edizione su un torchio di grandi dimensioni.
Quando fu steso il documento, il secondo paragrafo, dedicato al
modo e al ritmo di produzione dell’edizione, leggeva:
La pubblicazione dell’opera si incomincierà col primo di Settembre
prossimo, e verrà proseguita per dispense di due fogli di stampa ciascuna,
da farsi ogni dieci io. giorni.34
Qui la parola « dispensa » sta per ciò che nel contratto di giugno
fra Manzoni e i tipografi si dirà « fascicolo », cioè un gruppo di se­
dici pagine, ed è chiaro che al momento di stendere questo para­
grafo Manzoni crede che nella stampa dell’edizione si sarebbe
usata una carta, e quindi necessariamente anche un torchio, di di­
mensioni convenzionali; un foglio di questa carta sarebbe bastato
per la stampa di soltanto otto pagine del testo. L’intervallo di dieci
giorni stipulato in questo paragrafo per la pubblicazione delle
« dispense » ci permette di fissare un terminuspost quem per questa
prima versione del paragrafo. Nella « poscritta spinosa » di una let­
tera del 2 febbraio 1840 a Francesco Gonin, Manzoni, preoccupa­
to, non tanto per il lato artistico quanto per quello cronologico,
dai risultati dei primi tentativi degli intagliatori di realizzare i di­
segni del Gonin, aveva scritto:
Rispetto al grande imbroglio del tempo, non vedo che tre rimedi pos­
sibili: il migliore, ma il più diffìcile, è che al Sacchi possa convenire di
chiamare [da Parigi] addirittura i sei o sette altri intagliatori; il secondo,
mandare una parte de’ disegni a intagliare a Parigi; il terzo, pubblicare
una dispensa ogni quindici giorni, invece d’una per settimana.35
Si vede che a questa data l’alternativa di pubblicare le « dispen­
se » ogni dieci giorni non era ancora prospettata. La si trova pro­
posta nella lettera seguente, dell’8 febbraio:
Credo che de’ tre partiti converrà prender gli ultimi due insieme, cioè

34. Per il testo del contratto con il Sacchi cfr. ibid., 120.
35. A. M anzoni, Tutte le opere..., vii, cit., Tomo II, 128.
XII • l ’ e d i z i o n e definitiva dei « promessi sposi» 233
intendersi col Sacchi perché porti il numero degl’intagliatori stranieri
almeno a sei, e portare a dieci giorni l’intervallo tra le dispense.36
Non prima del 2 febbraio 1840, quindi, e probabilmente dopo
l’8 febbraio, fu steso il secondo paragrafo del contratto nella sua
forma originaria.
M a nel contratto questo paragrafo è stato cancellato, e alla fine
del contratto è stata inserita una nuova versione, che legge cosi:
La pubblicazione dell’opera incomincierà col quindici 15. Luglio
prossimo, e verrà proseguita per dispense di due mezzi fogli di otto pagi­
ne ciascuno da farsi ogni quindici giorni.

La precisazione di « dispense di due m ezzi fogli di otto pagine


ciascuno», mentre conferma l’interpretazione data sopra del si­
gnificato della parola « dispensa» in questo contratto, documenta
anche la decisione di utilizzare per la stampa dell’edizione fogli di
carta due volte più grandi di quelli menzionati nella prima versio­
ne del paragrafo. M a essa lascia supporre ragionevolmente anche
un’altra decisione: quella di usare un torchio due volte più grande
del solito; altrimenti, con l’acquisto di carta grande i tipografi si sa­
rebbero dati senza alcuno scopo un lavoro supplementare, quello
di tagliare a metà ogni foglio di carta prima di poter usarlo. La
nuova versione del secondo paragrafo è seguita dalle parole: « Si
approva la postilla qui sopra, e la cancellatura corrispondente », e
dalle firme di Manzoni, del Sacchi, e dei due testimoni, i tipografi
Giuseppe Redaelli e Vincenzo Guglielmini. Non ci sono altre fir­
me nel contratto, ed è lecito concludere che la seconda versione è
contemporanea al contratto, e che quindi al 20 febbraio era già
stata presa la decisione di usare un torchio grande. Questa data­
zione è convalidata dalla data ottimistica del 15 luglio che si trova
nella seconda versione per l’inizio della pubblicazione, che
dev’essere riportata ad una fase iniziale del lavoro preparatorio
per l’edizione.
Dopo la lettera di Teresa Stampa, il torchio Stanhope viene es-

36. Ibid., 129. Si vede che Manzoni aveva dimenticato l’ordine in cui nella pre­
cedente lettera aveva esposto i primi due «partiti».
234 SAGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

plicitamente nominato, come abbiamo già visto, nel contratto di


Manzoni con i tipografi del 13 giugno 1840, dove lo si trova al plu­
rale (« ... tutti i torchj alla Stanhop che saranno necessarj pel rego­
lare andamento di questa edizione ...» ), e poi, per l’ultima volta,
in un terzo contratto, quello firmato il 5 ottobre 1840 (cioè poco
più di un mese prima dell’inizio della pubblicazione dei Promessi
sposi) dal Guglielmini, dal Redaelli e dall’incisore Luigi Sacchi. Il
contratto del 5 ottobre, con cui si venne a costituire una nuova so­
cietà, ovviamente connessa con la stampa del romanzo manzo­
niano, ci riserva una sorpresa. Il torchio Stanhope ivi menzionato
appartiene non ai due tipografi, ma all’incisore Sacchi, e si trova
non nella tipografìa Guglielmini e Redaelli in contrada di S. Pie­
tro all’Orto n. 893, ma nell’officina xilografica del Sacchi, in con­
trada di Corso S. Celso n. 5502. Infatti, il decimo articolo, che elen­
ca i beni portati dal Sacchi alla nuova ditta, comincia cosi:
Avendo poi il S.r Sacchi commesso una nuova Macchina da satinare
pel valore di franchi due m ila e sei cento, pari a M ilanesi Lire tre mila
cinque cento dieci (3510) ed essendo questa necessaria alla Società, come
pure un torchio alla Stanhope pel valore di M ilanesi Lire mille settecen­
to cinquanta (1750), che trovasi attualmente nel suo locale ...37
La spiegazione di questa situazione inaspettata viene data in
una lettera del Sacchi a Manzoni scritta il 20 giugno 1841, nel corso
di uno scambio epistolare sul pagamento delle somme dovute al
Sacchi per l’incisione dei legni. Pare che i tipografi avessero per­
suaso il povero Sacchi a investire tutti i suoi fondi nella produzio­
ne dell’edizione illustrata dei Promessi sposi, ingannandolo sulla
natura degli accordi finanziari contenuti nel loro contratto con
Manzoni, ed in conseguenza l’incisore si trovava nel 1841 in una
situazione economica diffìcile, di cui a torto dava la colpa a Man­
zoni. L’aiuto che egli aveva dato ai tipografi era cominciato prima
della stesura del contratto fra Manzoni e i tipografi, perché nella
lettera del 20 giugno 1841 l’elenco dei suoi contributi alle spese
per la stampa dell’edizione comincia cosi:

37. Il contratto, che dà anche l’indirizzo dei rispettivi stabilimenti, è riprodot­


to in M. Parenti, Manzoni editore..., cit., 126-127.
XII • l ’ e d i z i o n e definitiva dei « promessi spo si» 235
Nel mese di marzo del scorso anno i tipografi Guglielmini e Redaelli,
mi pregarono di fare l’acquisto di diverse macchine per potere stampare
la di Lei edizione.38

Nessun dubbio che la macchina da satinare del contratto del 5


ottobre 1840 (che è da identificare con la macchina per « giacer » la
carta della lettera di Teresa Stampa) e con essa anche il torchio
Stanhope che si trovava nell’officina del Sacchi, sono da includere
fra le macchine comprate dal Sacchi nel marzo 1840 per i tipografi,
e che il torchio in questione, quindi, è un torchio grande.
Riepilogando, possiamo dire che fino all’8 febbraio 1840, M an­
zoni credeva che la sua edizione illustrata dei Promessi sposi sareb­
be stata stampata su un torchio Stanhope di dimensioni normali.
Prima del 20 febbraio però (prima del 15, se diamo valore docu­
mentario alla lettera di Teresa Stampa), egli decise, o venne infor­
mato, se la decisione era stata presa dai tipografi, che l’edizione sa­
rebbe stata stampata su un torchio grande. Nel mese seguente i ti­
pografi chiesero al Sacchi, e il Sacchi accettò, di finanziare l’acqui­
sto del torchio grande, notizia non necessariamente in contraddi­
zione con l’arrivo del torchio a Milano in febbraio, secondo quan­
to detto nella lettera della Stampa. Il torchio, di proprietà del Sac­
chi, venne installato nella sua officina, dove si trovava ancora
nell’ottobre di quell’anno (a differenza, a quanto pare, dalla mac-

38. La lettera è riprodotta in ibid., 272-273. Essa continua: «... nel settembre
scorso mi domandarono un prestito in danaro onde far fronte alle ingenti spese
della stessa edizione, assicurandomi che appena stampati i primi fascicoli, doven­
do Ella pagarli e per la carta, e per la stampa, essi mi avrebbero subito rimborsato.
Nel dicembre dell’istesso anno somministrai loro altre somme, assicurandomi di
nuovo la restituzione assieme alle altre, giacché Ella ne aveva già domandato il
conto; ed in Gennaio mi dissero che alla fine del mese Ella aveva già disposto per
rimborsarli; ma passando inutilmente diversi mesi, volli prendere conoscenza
del contratto esistente fra Lei, ed i tipografi, per vedere se realmente si era conve­
nuto il detto pagamento, ed è dalla verificazione affermativa, che diedi loro altri
capitali, che io stesso domandai altrove a prestito onde ajutare i detti tipografi, e
lasciare a Lei qualche agio ». In questa partecipazione generosa del Sacchi alle
spese dei tipografi abbiamo il motivo del formarsi della nuova ditta, in cui, signi­
ficativamente, toccava al Sacchi la gestione della Cassa. Pare che i tipografi aves­
sero rappresentato al Sacchi in maniera inesatta il senso dell’articolo ventitreesi­
mo del loro contratto con Manzoni, che stipulava il saldo dei conti di tipografìa
con il danaro incassato per la vendita dei fascicoli.
236 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

china da satinare, benché anch’essa appartenesse sempre al Sac­


elli).
Con il torchio Stanhope posseduto da Luigi Sacchi abbiamo
trovato un torchio certamente usato per la stampa dei Promessi spo­
si, forse l’unico, perché, a pensarci bene, l’articolo sesto del con­
tratto fra Manzoni e i suoi tipografi documenta non necessaria­
mente il possesso di parecchi torchi Stanhope da parte dei tipo­
grafi, bensì il riconoscimento della loro responsabilità per il man­
tenimento del ritmo di produzione anche coll’uso di più torchi,
qualora ciò si fosse rivelato necessario. A mio avviso, la questione
se siano stati usati per la stampa dei Promessi sposi uno o più torchi
grandi rimane aperta. Da una parte, riuscire a eseguire su un solo
torchio per un periodo di due anni una media di 10000 impressio­
ni la settimana delle forme di un libro di alto livello artistico, mal­
grado tutte le interruzioni dovute alla tiratura delle numerose
bozze, e al lungo lavoro preparatorio per ogni forma, sarebbe sta­
to addirittura miracoloso; dall’altra, è forse in questa situazione
diffìcile che si deve vedere la cagione del vizio d’origine dell’edi­
zione, l’aver i tipografi iniziato la tiratura di molte forme prima
che il loro testo avesse ricevuto le ultime cure dell’autore.
U n ultimo particolare: non c’è dubbio che alla data del contrat­
to fra il Sacchi e i due tipografi la stampa dell’edizione era già av­
viata. Ciò si può desumere da un biglietto senza data mandato da
Manzoni al Gonin durante il soggiorno di questi a Milano fra la
seconda metà di giugno e i primi di settembre 1840, in cui scrive­
va: « Eccoti la prova della vignetta che deve esser messa in torchio
oggi ».39 II biglietto non può riferirsi alla stampa di bozze in colon-

39. A. M anzoni, Tutte le opere..., vii, cit., Tomo II, 149.È certamente erronea,
però, l’asserzione dell’Arieti, commentando una lettera indirizzata al pittore Fe­
derico Moja, che « il 9 giugno 1840 la composizione del testo giungeva a p. 250 »,
cioè alla segnatura 32 (ibid., 753). Non ho consultato l’originale della lettera in
questione, con cui Manzoni accompagnava l’invio di legni per tre disegni com­
missionati dal pittore (Bibl. Labronica, Livorno, Autogr. Bastogi, cass. 36, ins.
574), ma essa dev’essere stata scritta il 9 giugno 1841, non 1840. Uno dei tre disegni
era pronto il 21 giugno 1841 {postscriptum della lettera 613, a Luigi Sacchi); il 29 giu­
gno 1841, poi, Manzoni mandò al Moja la somma stabilita per i tre disegni, insie­
me con il dono dei fascicoli dell’edizione finora usciti {ibid., 195; 197).
XII • l ’ e d i z i o n e definitiva dei « promessi sposi» 237
na, che non contenevano i legni; deve invece riferirsi alla stampa
di materiale imposto, e cosi all’uso di un torchio grande. Accet­
tando l’ipotesi dell’uso di più torchi grandi, il particolare non ri­
chiederebbe commenti: la stampa sarebbe stata iniziata su un tor­
chio grande comprato dai tipografi durante l’estate e messo nella
loro officina. M a con l’ipotesi di un solo torchio grande, siamo co­
stretti a concludere che la stampa dell’edizione definitiva dei Pro­
messi sposi ebbe inizio non nell’officina tipografica della ditta Gu-
glielm ini e Redaelli, ma in quella xilografica di Luigi Sacchi. Pri­
ma di respingere come assurda questa conclusione, sarebbe op­
portuno considerare attentamente l’istanza del 1839 riportata in
appendice. Non sarebbe la stampa del testo manzoniano nell’offi­
cina del Sacchi un modo di raggiungere la meta indicata dai nostri
tipografi nella loro istanza come una « necessità assoluta » nella
produzione di edizioni illustrate, quella, cioè, di riunire in un uni­
co luogo la stampa di un testo e la preparazione delle sue illustra­
zioni?
APPENDICE

Archivio di Stato, Milano. Commercio, P.M., busta 349.40

Istanza di Vincenzo Guglielmini e Giuseppe Redaelli per poter


istituire uno stabilimento litografico in contrada di S. Pietro all’Orto
n. 890; timbrata 30 Aug. 1839.

Imp.r Reg.o Governo


Allorché i sottoscritti tipografi Patentati Vincenzo Guglielmini, e
Giuseppe Redaelli attivarono il loro stabilimento, posero ogni loro
studio nell’emulare le edizioni francesi ed inglesi illustrate con vi­
gnette incise in legno o Politipi, e stampati unitamente al testo; infatti
i medesimi raggiunsero perfettamente il loro scopo; ma il vistosissi­
mo prezzo che dagli Inglesi, e dai Francesi si richiedono per tali inci­
sioni (essendo costretti a dipendere esclusivamente dagli stessi per in­
sufficienti fra noi di artisti capaci di eseguire lavori di tal sorte) fa si
che rende assai dispendiose queste piacevoli ed istruttive edizioni, di
modo che non possono essere acquistate da ogni ceto di persone.
All’oggetto quindi di togliere siffatto inconveniente i sottoscritti di­
visarono di sostituire a queste incisioni, dei disegni in litografìa per­
fettamente imitante le incisioni in discorso, e con questo metodo ef­
fettuarono diggià alcune edizioni; ma le immense difficoltà che ad
ogni istante si presentano in tal genere di lavori, e la molta esatezza
che richiedesi per ben condurli a termine ebbero a convincere gli
Esponenti della assoluta necessità di congiungere lo stabilimento li­
tografico a quello tipografico, giacché col togliere in tal guisa di mez­
zo il trasporto della carta dall’una all’altra stamperia, verrebbe tolto
ezziandio il periccolo di tosto asciugarsi la medesima, il che occasiona
un consumo infinitamente maggiore della stessa per non addattarsi
cosi bene alla forma come allorquando è bagnata, né potendosi sup­
plire col nuovamente innumidirla, giacché con tal ripetuta operazio­
ne, o di troppo si allarga, o di troppo si restringe, e quindi le vignette
non riescono mai perfettamente al loro posto, molto più che per la
buona riescita delle stesse è indispensabilmente necessario che gli ar­
tisti d’ambo le professioni si comunichino le proprie idee fra di loro

40. Ho riprodotto fedelmente la grafìa e la sintassi dell’originale.


XII • l ’ e d i z i o n e definitiva dei « promessi spo si» 239
per cosi studiare, e superare di concerto le difficoltà che ad essa si op­
pongono.
Egli è perciò che i sottoscritti riverentemente si rivolgono a
quest’Inclita Magistratura, supplicandola perché voglia degnarsi di
autorizzarli ad attivare nel loro stabilimento Tipografico, anche
quello Litografico, lor precipuo scopo essendo, nel caso che venissero
graziati, come nutrono lusinga, di non lasciar cosa intentata pel mi­
glioramento di quest’arte, che purtroppo fra noi non ha per anco rag­
giunto quel perfezionamento di che la stessa è capace, e ciò col proc-
caciarsi degli abili ed esperimentati artisti sull’orme de quali incam­
minandosi i nostri giovani allievi possiamo noi pure finalmente con­
tendere agli oltremontani la palma anche in questo ramo d’industria,
che della grazia ecc.

V. Guglielmini
Giuseppe Redaelli
A ggiunta

In questo contributo ho avuto occasione (supra, 222) di accennare


al ritmo di produzione dell’edizione definitiva dei Promessi sposi,
basandomi sulle notizie pubblicate nella rivista milanese Biblio­
grafia italiana, e riportate dal Parenti nel suo libro fondamentale
sulla stampa di questa edizione.1M a già nel 1980 il Berengo aveva
indicato l’esistenza di un’altra fonte, l’Elenco delle opere stampate e
pubblicate in Milano e nelleprovincie lombarde, pubblicato dall’ « Uffi­
cio centrale di censura e revisione » dell’amministrazione austria­
ca di Milano dal 1821 al 1847.2 Per ragioni di ordine cronologico e
geografico non avevo potuto controllare l’Elenco prima della ste­
sura del mio articolo. Ora che ho potuto prendere visione di que­
sta fonte cosi preziosa non solo per la storia della stampa dei Pro­
messi sposi ma anche per l’editoria milanese e lombarda del perio­
do, mi affretto a comunicare le registrazioni puntuali che mensil­
mente, o quasi, sono apparse in questa pubblicazione ufficiale
della Censura milanese circa i progressi della stampa del capola­
voro manzoniano. Esse rivelano che le notizie ricavabili dalle pa­
gine della Bibliografia italiana sono doppiamente fuorvianti, come
vedremo.
Le registrazioni comprendono: numero progressivo (continuo
per tutta l’annata), estremi dell’opera, prezzo, tiratura. A questi
particolari premetto il mese della registrazione.3

* Inedito.
1. Vedi Parenti, Manzoni editore... cit., 48.
2. Vedi B erengo, Intellettuali e librai... cit., 311, n. 5.
3. Ho consultato l’esemplare dell’Elenco conservato nella sala di consultazio­
ne della Braidense (segnatura: bibl. vii. C.b.51/1-30). L’Elenco fu pubblicato men­
silmente, ma con paginazione continua per tutta l’annata. L’esemplare braidense
è legato in annate. I volumi segnati bibl. vii. C.b.51/28 e 30 sono doppioni dei vo­
lumi 24-27 della stessa serie, ma con una legatura diversa che lascia trasparire
chiaramente la divisione originaria in puntate mensili. Dal 1821 al 1826 l’Elenco
aveva un titolo leggermente diverso: Elenco delle opere stampate e pubblicate in Mila­
no e sue provincie. I volumi braidensi contengono anche una pubblicazione paralle­
la, l’Elenco delle opere stampate epubblicate in Venezia e nelleprovincie venete, compilato
e pubblicato nello stesso modo.
XII • L EDIZIONE DEFINITIVA DEI « P RO ME S SI S P O S I » 24I

novembre 1840
1846 Manzoni A. I promessi Sposi ecc.,
dispensa i.a e 2.a, in 8, di pag. 16.
Milano, st. G uglielm ini........ 4 70 1000
dicembre 1840
2035 dispensa 3.a - 6.a 70 3000
gennaio 1841
70 dispensa 7.a - io.a 10000
febbraio 1841
255 dispensa i3.a e i4.a 70 10000
marzo 1841
446 dispensa n.a, I2.a e I5.a - i8.a 5 70 10000
aprile 1841
632 dispensa i9.a - 24.a 35 10000
giugno 1841
932 dispensa 2<?.a e 30.a 81 10000
luglio 1841
1147 dispensa 25.a - 28.a, e 3i.a e 32.a 80 10000
agosto 1841
1289 dispensa 33.a - 38.a 40
settembre 1841
1588 dispensa 4i.a - 44.a 35 10000
ottobre 1841
1723 dispensa 45.a e 4ó.a 35 10000
novembre 1841
1883 dispensa 39.a e 40.a6 35 1000
1884 dispensa 47.a - 50.a 35 10000

4- Per il resto dell elenco do soltanto il numero delle dispense. Gli estremi si
ripetono nella stessa forma, o quasi, per ogni registrazione. Dal gennaio 1841 l’in­
dicazione del numero delle pagine appare nella forma meno ambigua di « di pag.
8 per dispensa».
5. Questa registrazione, insieme con quasi tutte le seguenti, si conclude con le
parole « per dispense », che si riferiscono al prezzo, espresso in centesimi, che ap­
pare nella colonna immediatamente a destra.
6. Eccezionalmente, per queste dispense la registrazione contiene anche la
242 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

dicembre 1841
2153 dispensa 5i.a e 52.a 35 10000
gennaio 1842
59 dispensa 53.a - s8.a 40 10000
febbraio 1842
269 dispensa 59.a - Ó2.a 35 10000
marzo 1842
457 dispensa Ó3.a e Ó4.a 35 10000
aprile 1842
597 dispensa Ó5.a - 68.a 35 10000
maggio 1842
822 dispensa Ó9.a - 72.a 35 10000
giugno 1842
957 dispensa 73.a - 78.a 40
luglio 1842
1218 dispensa 79.a e 8o.a 50 10000
agosto 1842
1396 dispensa 8i.a - 84.a 40 10000
settembre 1842
1542 dispensa 87.a - 92.a 70 10000
novembre 1842
1887 dispensa 8s.a e 86.a, 93.a - ioo.a 35 1000
gennaio 1843
65 dispensa ioi.a - io8.a7 40 10000

Con quest’ elenco abbiamo per la prima volta la cronologia vera


e completa della pubblicazione delle singole dispense del capola-

paginazione: « pag. 305-320 », probabilmente perché le dispense furono pubblica­


te fuori posto.
7. Le registrazioni dal settembre 1842 al gennaio 1843 informano che la pub­
blicazione è ormai giunta alla Storia della colonna infame. La registrazione per il no­
vembre 1842 contiene un calcolo (« pag. 108 ») del numero delle pagine contenute
nelle dispense pubblicate in quel mese, o forse soltanto di quelle (93-100) con la
Storia della colonna infame. In entrambi i casi il calcolo è sbagliato. Anche la regi­
strazione per il gennaio 1843 contiene un calcolo delle pagine, questa volta esatto
(« p. 64 »).
XII • l ’ edi zi one d e f i ni t i v a dei « promessi sposi» 243
voro manzoniano. La sua attendibilità dal punto di vista cronolo­
gico è dimostrata in modo perentorio dalla registrazione anche
delle poche irregolarità e ritardi - il ritardo alle dispense n e 12 fra
il febbraio e il marzo 1841, quello delle dispense 25-28 fra il maggio
e il luglio 1841, con il conseguente intervallo di un mese in cui non
fu pubblicato niente, un nuovo ritardo per le dispense 39 e 40 fra il
settembre e il novembre 1841, e quello finalmente delle dispense
85 e 86 fra il settembre e il novembre dell’anno seguente. Finora si
sapeva soltanto di quest’ultimo ritardo, perché registrato anche
nella Bibliografia italiana.
Le registrazioni della Bibliografia italiana, come riportate dal Pa­
renti, sono le seguenti:
« La stampa dovette essere avviata qualche giorno dopo [il io di no­
vembre] e nello stesso mese furono pubblicate le prime sei dispense. Le
altre seguirono, come si può rilevare dagli annunci della ‘Bibliografìa
Italiana , edita in Milano dalla Vedova Stella, come segue: nel successivo
dicembre le dispense da v ii a xiv; quelle da xv a x x x i i , nei mesi di giugno
e luglio del 1841; da xxxm a x l i v , nel settembre e da x l v a l v i ii , nel di­
cembre.
Le prime dispense del 1842, da l ix a l x x i i , apparvero nel marzo;
nell’agosto uscirono quelle da l x x iii a l x x x iv e da l x x x v ii a xc e, final­
mente, nel novembre, la l x x x v e la l x x x v i e le ultime da xci a cvm ».8
Questi annunci, come ho già detto, sono doppiamente erronei.
In primo luogo, accumulano in un solo mese pubblicazioni avve­
nute in vari momenti del periodo trascorso dopo l’annuncio pre­
cedente. Poi, stando alle registrazioni d ell’Elenco, annunciano co­
me già pubblicate dispense ancora da apparire. Questa prescienza
misteriosa dei compilatori della Bibliografia italiana si spiega se si
guarda non al mese o ai mesi a cui si riferiscono le singole puntate,
come aveva fatto il Parenti, ma alla data della loro pubblicazione.
Cosi, la puntata del novembre 1840 venne pubblicata l’8 gennaio
1841, quella del dicembre 1840 il io marzo 1841, quella del dicem­
bre 1841 il io febbraio 1842, quella dell’aprile (non marzo) 1842 il 15
giugno 1842, quella dell’agosto 1842 il 1 ottobre 1842, e finalmente
quella del novembre 1842 il 20 gennaio 1843. Ovviamente, i com-

8. Vedi Parenti, Manzoni editore... cit., 48.


244 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

pilatori avevano inserito nei loro annunci anche le dispense più


recenti.9
Le notizie contenute n ell’Elenco devono essere prese in consi­
derazione da chi vorrà ripercorrere la storia della stampa delle sin­
gole dispense già magistralmente delineata dal Chiari e dal Ghi-
salberti nell’edizione mondadoriana del romanzo manzoniano.
Una rapida occhiata alle relative pagine delle Note di quell’edizio­
ne non ha rivelato molto di significativo, tranne una ricomposi­
zione tipografica per la dispensa 27. Può darsi però che le bozze
delle altre dispense riveleranno di più a chi le esaminerà sapendo
che la pubblicazione delle dispense era stata ritardata.10
Già ilBerengo aveva attirato l’attenzione sugli errori nell’indi­
cazione della tiratura che si osservano nelle prime due registra­
zioni dell’Elenco. Per il resto, come egli dice, si dà sempre la cifra
giusta, 10000, salvo che per i mesi di agosto 1841 e di giugno 1842,
dove manca una cifra, e per quelli di novembre 1841 e di novem­
bre 1842, dove, per un ovvio errore di stampa, si dà la cifra di 1000.
La notevole oscillazione nel prezzo da mese a mese si spiega, a
parte i due errori del giugno 1841 e del luglio 1842, con un doppio
equivoco, fra il prezzo di un fascicolo per Milano (70 centesimi) e
per altrove (80 centesimi), e fra il prezzo di una dispensa e quello
di un fascicolo.

9. Le puntate per il giugno/luglio e per il settembre 1841 furono pubblicate ri­


spettivamente il io settembre e il 20 novembre 1841, ma, a differenza delle altre
puntate, non anticipano le notizie della pubblicazione delle dispense. Non c’è al­
cun accenno nella Bibliografia italiana alla pubblicazione delle dispense 57 e 58, av­
venuta, secondo l’Elenco, nel gennaio 1842.
10. La spiegazione del ritardo delle dispense 85 e 86 è data dal P a r e n t i , Man­
zoni editore... cit., 48-49.
XIII

L. A R IO ST O , «O R L A N D O F U R IO SO »,
FERRARA, FRA N C E SC O R O SSO , 1 5 3 2 :
PRO FILO DI U N A EDIZIONE*

Q uando nell’ottobre 1983, dopo la felice riuscita del I Seminario


Intemazionale sulla trasmissione dei testi a stampa nel periodo moderno,
Giovanni Crapulli mi comunicò la decisione di convocare un se­
condo seminario sullo stesso tema, a due anni di distanza, e m’in­
vitò a parteciparvi, mi venne subito in mente che il nuovo semi­
nario avrebbe offerto una sede ideale per affrontare, con i metodi
della bibliografìa testuale, uno dei casi più noti e più interessanti
della trasmissione dei testi a stampa nel periodo moderno sul ter­
ritorio italiano, quello offerto dall’edizione definitiva dell’ Orlan­
do furioso, stampata a Ferrara nel 1532 da Francesco Rosso. La mia
intenzione era di fare alcuni sondaggi in un materiale che pro­
metteva di essere abbondante e diffìcile, cosi da poter presentare a
questo seminario una comunicazione che, speravo, avrebbe indi­
cato le linee da seguire da chi in futuro avesse sentito il bisogno di
preparare una nuova edizione critica del capolavoro ariostesco.
M a prima di iniziare il mio lavoro, m’imbattei nell’amico e col­
lega Giles Barber, bibliotecario della Taylor Institution dell’U ni­
versità di Oxford e noto studioso del libro francese del Settecen­
to, che m’informò del perfezionamento, nel reparto fotografico
della sua biblioteca, di uno strumento di ricerca che ha poco meno
che rivoluzionato il lavoro di collazione di esemplari della stessa
edizione, una delle operazioni base della bibliografìa testuale.
Questo strumento è la fotocopia fatta su materiale plastico traspa­
rente, che permette la collazione per via di sovrapposizione, e
non di giustapposizione, secondo il metodo tradizionale. La colla­
zione per via di sovrapposizione è non soltanto più rivelatrice di

* Letto al II Seminario Internazionale sulla trasmissione dei testi a stampa nel periodo
moderno, Roma-Viterbo, 27-29 giugno 1985, e in corso di stampa negli Atti del Se­
minario.
246 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

quella fatta col confronto di esemplari giustapposti, essa è anche


notevolmente più veloce - da cinque a otto volte, secondo le cir­
costanze.1 Con uno strumento tale a mia disposizione, si sono
aperti nuovi orizzonti al mio lavoro, che ha potuto aspirare a rag­
giungere una certa completezza. Allo stesso tempo, l’abbondanza
del materiale emerso dalle mie indagini ha consigliato una siste­
mazione più ambiziosa, in uno studio di tipo monografico. In
questa comunicazione, perciò, posso soltanto riassumere per
sommi capi i risultati del mio lavoro - per sommi capi, e provviso­
riamente, perché non ho finora potuto esaminare tutti gli esem­
plari superstiti, né portare a termine alcuni aspetti delle mie ricer­
che.

Come tutti sanno, l’Ariosto pubblicò il testo del suo grande


poema in tre edizioni, stampate a Ferrara nell’arco di sedici anni
da tre stampatori diversi.2 La prima edizione del Furioso, nella sua
forma originaria di 40 canti, apparve nel 1516, sottoscritta da Gio­
vanni Mazocco. Una seconda edizione, che conteneva la stessa
versione del testo, ma con numerose varianti rispetto alla prima
edizione, apparve nel 1521, stampata da Giovanni Battista da la Pi­
gna. M a l’Ariosto rimase molto insoddisfatto della sua opera, co­
me era stata presentata al pubblico in queste due edizioni, soprat­
tutto nella seconda; per di più, dal 1524 cominciarono ad apparire
edizioni per la maggior parte non autorizzate del poema, malgra­
do i privilegi ottenuti dal Papa, dal re di Francia, dai Veneziani e
da altri stati italiani.3 Per rimediare a questi difetti, e per tener

1. Per una discussione piu dettagliata dell’uso delle fotocopie trasparenti per
la collazione, mi sia permesso di rimandare alla mia nota, Una nuova tecnica per col­
lazionare esemplari della stessa edizione, « La Bibliofilia », lxxxvii (1985), 65-68. [Sm-
pra, 105-11.]
2. Per le edizioni ariostesche, vedi G. A gnelli-G. R avegnani, Annali delle edi­
zioni ariostee, Bologna 1933, 2 voli.
3. Dal 1524 al 1531, secondo i dati forniti da Agnelli e Ravegnani, furono pub­
blicate quindici edizioni abusive, tre nel 1524, una nel 1525, tre nel 1526, due nel
1527, una nel 1528, quattro nel 1530 e una nel 1531. Anche se bisognosi di controllo,
XIII • l ’ « ORLANDO F U R I O S O » DEL 1532 247

conto dei cambiamenti richiesti dal continuo maturarsi, sotto la


spinta dei suggerimenti bembeschi, del suo gusto linguistico, egli
decise di far pubblicare una nuova edizione del suo poema, mi­
gliorato linguisticamente e stilisticamente, e con l’aggiunta di
nuovo materiale, tale da costituire una nuova opera, che avrebbe
abbisognato della protezione di nuovi privilegi. Il primo accenno
a questa decisione nei documenti superstiti si trova nella lettera
del 7 gennaio 1528 al Doge di Venezia, in cui, dopo aver notato
che « questa mia opera è stata stampata da molti incorrettissima »,
l’Ariosto chiede il privilegio per la nuova versione dell’opera, pri­
vilegio che venne concesso immediatamente, perché il privilegio
veneziano incluso nell’edizione definitiva del 1532 porta la data
del 14 gennaio 1527 (more veneto).4 Gli sforzi del poeta per miglio­
rare il testo dell’opera prediletta trovarono la loro conclusione
nell’edizione del 1532, dove il testo si presenta rinnovato da cima a
fondo, ed accresciuto di sei nuovi canti.
In questa comunicazione mi occuperò soprattutto della stampa
di questa edizione definitiva. M a prima occorre attirare l’atten­
zione su quanto traspare dalla documentazione superstite circa il
coinvolgimento dell’Ariosto nella stampa delle tre edizioni ferra­
resi del suo poema. Per l’edizione del 1516 il documento più im ­
portante è una lettera di Ippolito Calandra a Federico Gonzaga,
primogenito del marchese Francesco e di Isabella d’Este, datata il
7 maggio 1516. Il Calandra scrive al giovane marchesino per co­
municargli la seguente notizia:
Non eri l’altro vene in questa terra mess. Ludovico Ariosto, gentilho-
mo ferrarese, quale à portato una capsa di libri, li qualli lui à composto
sopra a Orlando, eh’è quasi tanto volume come l’Innamoramento di Or­

e forse anche di revisione, alla luce dei progressi fatti in questi ultimi cin­
quantanni nello studio delle cinquecentine e nella tecnica della loro descrizione,
questi dati ci danno un quadro sufficientemente esatto del modo in cui l’industria
tipografica italiana, soprattutto veneziana (ben dodici delle edizioni elencate so­
pra furono stampate nella Serenissima), aveva sfruttato il grande successo del
poema ariostesco.
4. Per la lettera vedi L. A riosto , Tutte le opere. Volume terzo. Satire, a cura di C.
S egre . Erbolato, a cura di G. R onchi. Lettere, a cura di A . S tella , Milano 1984,452-
53-
248 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

landò, et lui l’à intitulato Orlando Furioso, quale è uno bello libro, più bello
che non è lo Innamoramento di Orlando. Lui ne ha donato uno al Ill.mo S.
v.ro patre et uno a madama v.ra maire et uno al R.mo Cardinale [Sigis­
mondo Gonzaga]; li altri lui li vole fare vendere. Se piace a la S.V. che io
ve ne manda uno, io li mandorò (sic), perché io so che quella si dileta di
havere di questi libri, maxime una Opera nova et cosi bella corno è que­
sta. Como lui li facia vendere, io ne comprarò uno et il farò ligare et il
mandarò ala S.V.5
A parte il confronto con l’Innamorato, precoce giudizio critico sul
valore della nuova opera, questa lettera interessa soprattutto per il
ruolo assunto dall’Ariosto nello smercio della propria opera. Se, a
solo quindici giorni dalla conclusione della stampa del libro (il co­
lofone della prima edizione porta la data del 22 aprile 1516), l’Ario­
sto era già a Mantova con la sua « cassa di libri » in forma di esem­
plari sciolti che voleva far vendere, vuol dire che l’edizione, o una
parte di essa, gli apparteneva, era sua proprietà, presumibilmente
perché egli aveva assunto almeno una parte delle spese. Né con­
traddice a questa conclusione la lettera del 17 settembre 1515, di
mano del poeta, con cui il card. Ippolito d’Este aveva chiesto al
marchese di Mantova il libero transito per il territorio mantovano
di m ille risme di carta, «essendo», come spiega al cognato, «per
far stampar un libro de M. Ludovico Ariosto mio servitore ».6 Si
tratta probabilmente di una finzione diplomatica per vincere
eventuali resistenze del marchese di Mantova nel concedere
all’Ariosto l’esenzione dai dazi; qualora si pensasse ad un prestito
o ad un dono da parte del cardinale per permettere al suo servito­
re di stampare il suo poema nel modo che gli sembrava migliore,
non cambierebbe lo stretto rapporto fra l’autore e le vicende im ­
prenditoriali del suo libro testimoniato dalla lettera del Calandra.
Quando poi nel gennaio 15321’Ariosto scrisse al duca Federico per
chiedere una simile esenzione per la carta che voleva comprare

5. La lettera è riportata in M. C atalano , Vita di Ludovico Ariosto ricostruita su


nuovi documenti, 11, Genève 1931,157-58 (documento 272). Nel primo volume della
sua Vita (428-34, 595-605) il Catalano dà un resoconto dei rapporti esistenti fra
PAriosto e i tipografi nella stampa delle edizioni del 1516 e 1532 che, nelle sue li­
nee generali, è molto simile a quello dato qui.
6. Vedi A riosto , Tutte le opere ... cit., in, 156.
XIII • l ’ « o r l a n d o furioso » del 1532 249

dalle cartiere di Salò per la stampa dell’edizione definitiva, fece


osservare al duca di aver ricevuto lo stesso privilegio per la prima
edizione dalla « felice memoria del Marchese suo padre », senza
fare il nome del cardinale.7 Che il coinvolgimento dell’Ariosto
nello smercio della prima edizione continuasse fino alla fine è di­
mostrato da una sua lettera dell’8 novembre 1520 a Mario Equico-
la, allora segretario ducale a Mantova:
Per m. Gian Iacomo Bardelone ho havuto sei lire di nostra moneta, li
quali vostra M.tia mi ha rimessi, credo, per parte de li denari che si hanno
d’havere dal venditore de li miei Orlandi a Verona. Di che ringratio
quella, ma mi paron pochi a quelli ch’io aspettava; e non posso credere
che quel libraro non li habbia expediti tutti, perché in nessuno altro luo­
go di Italia non so dove ne restino più da vendere: e se fin qui non gli ha
venduti, non credo che più li venda. Per questo seria meglio che il libraro
li rimettesse qui, perché subito troverei di expedirli, perché me ne son
dimandati ogni di.8

Ovviamente l’Ariosto era personalmente coinvolto nella vendita


anche degli ultimi esemplari della prima edizione, e si capisce
perché, a soltanto tre mesi di distanza dalla lettera all’Equicola,
usci la seconda edizione ferrarese (il colofone è datato il 13 feb­
braio 1521).
Che il poeta avesse lo stesso interesse pecuniario anche
nell’edizione definitiva è evidente da un brano della nota lettera
del fratello Galasso scritta a Pietro Bembo alcuni giorni dopo la
morte del poeta, per sollecitare il suo aiuto nel far confermare agli
eredi i privilegi già concessi al fratello per la stampa del Furioso.
Parlando degli ultimi mesi dello scrittore e della sorte dell’edizio­
ne definitiva, Galasso scrisse:
Del quale privilegio [quello veneziano] ha potuto poco godere, perché,
havendo a pena fornito di stampare, s’ammalò, et dopo l’essere stato vm
mesi infermo finalmente s’ è morto, come V.S. avrà potuto intendere: et
cosi non solo non ha potuto ristampare il libro di novo, come havea in
animo di fare, parendogli, come era, d’esser stato mal servito in questa

7. Ibid., 461.
8. Ibid., 177.
250 S AGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

ultima stampa et assassinato; ma per la sua malattia sono restati i tre


quarti dei libri in mano de gli heredi, che non si sono venduti.9
Cosi, dopo la pubblicazione del Furioso del 1532, le copie invendu­
te erano andate a finire nelle mani dell’autore, e poi dei suoi eredi,
una sorte che bisognerà tener a mente, come vedremo, nel valuta­
re la testimonianza degli esemplari dell’edizione del 1532 perve­
nuti a noi.
Pare che l’Ariosto fosse meno coinvolto nella stampa della se­
conda edizione, quella del 1521, a giudicare dalla nota un po’ di­
sperata fatta inserire, presumibilmente da lui, in calce all’edizio­
ne, dopo l’elenco delle « errata-corrige », in cui si chiede al lettore
di correggere anche un gran numero di altri errori e perfino inte­
re categorie di errori, come: «una consonante per due: due per
una: n per u: u per n », e cosi via. Ciononostante, sarebbe opportu­
no indagare a fondo, con la collazione di tutte le copie sopravvis­
sute, il rapporto dell’Ariosto anche con la stampa delle edizioni
del ’ 16 e del ’21, per poter compilare la storia completa dei rapporti
del grande poeta con i suoi stampatori.

Punto di partenza per ogni lavoro bibliografìco-fìlologico


sull ’ Orlando furioso del 1532 è l’edizione critica del poema curata
da Santorre Debenedetti per la collana laterziana « Scrittori d’Ita­
lia » e pubblicata nel 1928.10 Non essendoci manoscritti del Furioso,
a parte alcuni frammenti autografi relativi alle aggiunte all’edi­
zione definitiva, la cui autorità è però superata da quella dell’edi­
zione stessa, ed essendo andato perduto l’esemplare dell’edizione
del ’21 mandato in tipografìa che servi da base per il resto del testo,
l’edizione del 1532, o meglio, il suo esemplare ideale, è l’unica ba-

9. Vedi C atalano , Vita ... cit., 11, 344-45 (documento 628). Per la data della
lettera, v. C . D ionisotti , Notizie ariostesche, « Giornale storico della letteratura
italiana», evi (1935), 224-29.
10. L. A riosto , Orlando furioso, a cura di S. D ebenedetti, Bari 1928, 3 voli.
(Scrittori d’Italia, 108-110).
XIII • l ’ « ORLANDO F U R I O S O » DEL 15 3 2 2$ I

se del testo critico dell’opera.11 Già prima del lavoro del Debene­
detti si sapeva che esistevano differenze fra vari esemplari dell’e­
dizione, ma spetta a lui il merito di aver capito per primo l’origine
e la natura di queste varianti interne, e di averle utilizzate corret­
tamente per la costituzione del testo. Avendo collazionato undici
esemplari dell edizione definitiva, egli aveva potuto identificare
due fonti diverse di variazione: i) varianti introdotte nelle forme
tipografiche durante la tiratura; e 2) varianti cagionate dalla sosti­
tuzione in alcuni esemplari di un intero foglio di stampa, quello
interno del fascicolo A, che comprende le carte A3, A4, A5 e A6
(in verità, il Debenedetti parla qui di un « mezzo foglio », ma il fat­
to di non aver capito la struttura del libro, che è un quarto in otto,
in cui ogni fascicolo consta di due fogli di stampa, uno esterno,
che comprende le carte 1,2, 7 e 8 del fascicolo, e uno interno, con
le carte 3? 4 >5 c 6, non intacca minimamente la solidità del ragiona­
mento del Debenedetti né la validità delle sue conclusioni).12
Il lavoro del Debenedetti sull’edizione definitiva del Furioso è
eccezionalmente intelligente e soddisfacente. Dopo averlo con­
trollato minuziosamente, non esito a dire che la sua edizione co­
stituisce uno dei punti più alti raggiunti dalla filologia italiana mo­
derna: potesse un mio lavoro rivelarsi cosi pieno di integrità e di
intelligenza a coloro, se ce ne saranno, che lo vorranno prendere
in esame a cinquantanni dalla stesura! Cionondimeno, il lavoro
del Debenedetti sul Furioso del 1532 è passibile di essere continua­
to e anche perfezionato, in due direzioni: a) inquadrando i risulta­
ti già raggiunti in un contesto bibliografico adeguato; e b) esten­
dendo la collazione ad esemplari non utilizzati da lui nella prepa­
razione della sua edizione.
Sono queste le direzioni in cui si sono svolte le mie ricerche,

11. Per il concetto di esemplare ideale, mi sia permesso di rimandare alla mia
comunicazione al 1 Seminario, ora in Trasmissione dei testi a stampa nelperiodo moder­
no, a cura di G. C rapulli, Roma 1985 (Lessico Intellettuale Europeo, 36), 49-60.
[Supra, 89-103.]
12. Do in appendice a questo contributo un elenco degli esemplari a me noti
del Furioso del 1532, a cominciare dagli undici esemplari collazionati dal Debene­
detti, insieme con una descrizione sommaria dell’edizione.
252 SAGGI DI BI BLIOGRAFI A TESTUALE

che, ripeto, non sono ancora terminate, cosicché i risultati presen­


tati qui sono provvisori. Tratterò di tre aspetti dell’edizione defi­
nitiva: le varianti introdotte durante la tiratura; il foglio sostituito;
la presenza di esemplari «buoni» dell’edizione.

Varianti introdotte durante la tiratura


N ella Nota alla sua edizione, il Debenedetti elenca 37 varianti
introdotte nelle forme tipografiche durante la tiratura. Sono tutte
varianti pertinenti alla costituzione del testo. In alcune sue carte,
che ho potuto vedere in fotocopia grazie alla gentilezza di Cesare
Segre, sono notate altre trenta varianti, per la maggior parte non
pertinenti alla costituzione del testo.13 Per i m iei controlli, ho fi­
nora preso in considerazione dieci degli undici esemplari usati dal
Debenedetti e indicati nell’elenco dato in appendice a questo
contributo (l’undicesimo, quello numerato 4, è ora introvabile) e i
dieci esemplari numerati da 12 a 21 nello stesso elenco. Il numero
complessivo delle varianti introdotte nelle forme tipografiche
durante la tiratura che ho finora notato in questi venti esemplari è
253. L’estensione del fenomeno può essere dimostrata con più
evidenza se lo si riferisce alle unità fondamentali che contraddi­
stinguono il volume come prodotto tipografico, cioè le forme ti­
pografiche. Il volume comprende 31 fascicoli, ognuno con due fo­
gli: 62 fogli, quindi, per la cui stampa i compositori avevano dovu­
to comporre e imporre 124 forme. Ora, il fenomeno delle varianti
introdotte durante la tiratura interessa ben 88 di queste forme,
cioè più di due terzi, distribuite in modo abbastanza regolare
dall’inizio alla fine del volume. Il fenomeno è ancora più impres­
sionante se si considera che il campione su cui ho lavorato è picco­
lo - il 2%, se la tiratura era di 1000 esemplari (e ci sono motivi

13. Queste carte, insieme con altro materiale debenedettiano, sono ora depo­
sitate presso la Biblioteca della Facoltà di Lettere dell’Università di Pavia. Per un
elenco di questo materiale, che è di notevole estensione, vedi C. S egre , Il labora­
torio di Debenedetti, “Memorie della Accademia delle Scienze di Torino. 11. Classe
di Scienze Morali, Storiche e Filologiche », ser. 5, in (1979), 21-55.
X III • l ’ « ORLANDO F U R IO SO » DEL I 5 3 2 253
per credere che essa fosse più ampia); inoltre, le mie collazioni
non sono state complete (ad esempio, non ho collazionato che
saltuariamente i tre esemplari pergamenacei inclusi fra i volumi
da me esaminati, perché le mie fotocopie, basate su un esemplare
cartaceo (no. 14), non sono efficaci per la collazione di esemplari
pergamenacei). M i sembra lecito concludere che in questa edi­
zione la presenza di varianti interne sia da supporre per ogni for­
ma, essendo per questa edizione la correzione delle forme duran­
te la tiratura un procedimento normale. Ci sono anzi alcune for­
me che sono state corrette più di una volta.14 Fra le varianti porta­
te alla luce dalle mie collazioni figurano correzioni di refusi e di
ovvi errori che possono essere attribuite al tipografo, ma ci sono
anche molte correzioni linguistiche e stilistiche, alcune dell’enti­
tà di un intero verso, e in un caso di due versi, che non possono es­
sere attribuite che all’autore. Tutte queste correzioni, che fanno
parte della storia interna della genesi dell’ultimo Furioso, saranno
elencate nello studio monografico che sto preparando sulla stam­
pa del Furioso del 1532.

Il foglio sostituito
La presenza di varianti interne introdotte durante la tiratura in
edizioni del Cinquecento (e di altri secoli del periodo della stam­
pa manuale) è un luogo comune della bibliografìa testuale; ma è
raro trovare un’edizione come il Furioso del 1532, che le possieda
in quantità significative dall’inizio alla fine del libro. Il First Folio
(1623) delle opere di Shakespeare, ad esempio, ne contiene soltan­
to per una sesta parte delle forme tipografiche che compongono
l’edizione.15 Perché questa correzione cosi intensa delle forme
durante la tiratura per tutto il corso della stampa del Furioso del
1532 ?

14. V e d i A p p e n d ic e C ; c o m e si p u ò fa c ilm e n te d e s u m e r e d a ll’ e le n c o d e g li


e s e m p la ri, le v a r ia n ti i e 2 f u r o n o in tr o d o tte n e lla f o r m a in u n m o m e n to d iv e r s o
d e lla v a r ia n te 3.
15. P e r la stam pa d e l First Folio v e d i C . H inman , The Printing and Proof-reading of
thè First Folio of Shakespeare, O x f o r d 19 6 3 , 2 v o li.
254 SAGGI DI BIBLIOGRAFIA TESTUALE

A questa domanda credo che si possa rispondere cosi: prima


dell’ inizio della tiratura delle due forme di un foglio, l’Ariosto ri­
ceveva bozze di stampa dell’intero foglio, e su queste bozze face­
va molte correzioni, troppe, in realtà, per il ritmo accelerato della
stampa cinquecentesca, cosicché era necessario intervenire di
nuovo sul testo a tiratura inoltrata, per completare il lavoro cor-
rettorio lasciato incompleto dai compositori, oppure per correg­
gere nuovi errori dovuti all’incomprensione o alla comprensio­
ne parziale da parte dei compositori delle correzioni volute dal­
l’autore. A suffragio di questa ipotesi abbiamo il foglio sostituito
all’interno del fascicolo A, a cui vorrei ora dedicare alcune pa­
role.
Nel considerare questa sostituzione, possiamo cominciare dal­
le osservazioni del Debenedetti, basate su considerazioni lingui­
stiche e stilistiche:
il m ezzo foglio di T ipo i [cioè il foglio sostituito = canceìlandum\, m entre
rappresenta un progresso di fron te a B [l’ edizione del ’21], è a sua vo lta
superato da quello di T ipo 11 [cioè il n u ovo foglio = cancellans], il quale
pertanto ci serba le u ltim e in tenzioni del Poeta.16

A questa osservazione non ho niente da eccepire: solo con il fo­


glio di Tipo 11 abbiamo un assetto linguistico del tutto conforme a
quello del testo stampato in altri fogli. Come spiegare, allora, l’esi­
stenza del foglio di Tipo 1? Prosegue il Debenedetti:
Sappiam o che l’A riosto lavorò sopra esem plari di B ad allestire l’ ultim a
edizione. O ra, ritengo probabile che p e r sua distrazione (era distrattissi­
mo) alcune pagine di B con correzion i p ro vviso rie siano da lu i state in ­
serte en tro la copia d efin itiva data in stam peria. Furono tirati i p rim i can­
ti, persino in qualche copia su pergam ena (ci rim ane h), né più fu possi­
bile rim ediare; poi, e non si saprà mai né il quando né il com e, l’ errore fu
avvertito, e p er nostra fortun a il m ezzo foglio ven n e rifatto. N on usava a
quel tem po, o in ogni caso era un lusso da gran signore, m andare al m a­
cero i fogli rifiutati, che penso fossero in m olte copie: cosi s’ebbero
esem plari scorretti ed esem plari buoni.17

16. Vedi A riosto, Orlando furioso ... cit., in, 410.


17. Ibid., 413-14.
XIII • l’ « ORLANDO FURIOSO» DEL 1 5 3 2 255
Ho voluto continuare con questa citazione anche oltre quanto era
strettamente necessario, per far vedere come il Debenedetti, più
di cinquant anni fa e senza l’aiuto degli strumenti bibliografici di
cui ora disponiamo, avesse capito a fondo i procedimenti e le abi­
tudini dei tipografi cinquecenteschi.
Ciononostante, la sua spiegazione di come possa essere avve­
nuta la stampa dei fogli di Tipo i, con un testo provvisorio rispetto
al resto del poema, è dal punto di vista bibliografico insoddisfa­
cente. Essa non soddisfa perché tralascia un fatto importante: que­
sto materiale cosiddetto «provvisorio» corrisponde esattamente
ad un unità bibliografica dell edizione del 1532 - un foglio intero
—ma non corrisponde ad una tale unità dell’edizione del 1521, la
quale, come osservò il Debenedetti, servi da base per il lavoro ti­
pografico sull’edizione del 1532. Infatti, nell’edizione del 1521 (in
cui le due colonne di ogni pagina su cui sono disposte le stanze del
poema comprendono ognuna quattro ottave, contro le cinque
dell’edizione del 1532) il brano contenuto nel foglio A interno
dell edizione del 1532 (1,18 -11,14) comincia e finisce a metà pagina
(nell’edizione del 15211,18 è la quarta ottava della prima colonna
della c. a3r, mentre 11,14 è la prima ottava della prima colonna del­
la c. a8r). Ora, è improbabile che l’Ariosto abbia mandato in tipo­
grafìa un esemplare postillato del Furioso del 1521 che abbia porta­
to per le prime diciassette stanze del Canto 1 e per tutte le stanze
dal 11,14 in poi un testo linguisticamente maturo, ma che per le 78
stanze intermedie, un gruppo che incomincia e finisce a metà pa­
gina, abbia offerto un testo linguisticamente meno avanzato.
Molto più probabile è che l’esemplare mandato in tipografìa ab­
bia mostrato un assetto linguistico omogeneo, e che la differenza
che vediamo ora fra la lingua del foglio di Tipo 1e il resto del poe­
ma sia dovuta a qualche infortunio occorso durante la stampa
dell’edizione del 1532.
In quanto all’assetto linguistico del materiale mandato in tipo­
grafìa, esso non avrebbe potuto essere, ovviamente, quello lingui­
sticamente maturo che vediamo ora nel testo dell’edizione e in
quello del foglio di Tipo 11; esso dev’esser stato quello conservato
nel foglio di Tipo 1, a metà strada, linguisticamente, fra l’edizione
2 56 SAGGI DI BIBLIOGRAFIA TESTUALE

del 1521 e il testo definitivo del Furioso.18Il lavoro di lim a che ha poi
portato questo testo « provvisorio » a quella perfezione che ammi­
riamo nel capolavoro ariostesco, l’autore l’ha dovuto fare su boz­
ze di stampa. Di questo lavoro abbiamo una sola ma preziosa trac­
cia per uno soltanto dei 62 fogli dell’edizione, nel confronto tra i
fogli di Tipo 1e quelli di Tipo 11per il foglio A interno. Il Debene­
detti, nella sua bellissima Nota, ha elencato e analizzato le diffe­
renze fra i due tipi: più di novanta varianti, oltre alle differenze
puramente tipografiche e d’interpunzione, cioè più di una va­
riante per ottava. Un lavoro correttorio veramente imponente,
accanito, che coinvolgeva non solo l’assetto linguistico del testo
(p.es. dui > duo, cambiamento costante nel passaggio dal testo del
1521 a quello del 1532) ma anche quello stilistico, a livello minimo
(cfr. l’introduzione di una vocale in sinalefe nel cambiamento fin
in >fin e in, altra costante dell’ultimo stadio della correzione, spes­
so visibile nelle correzioni fatte durante la tiratura) e anche a li­
velli più alti (cfr. cambiamento di un intero verso: 1,46,7).19
Cos’era successo, quindi, nella stampa del Furioso del 1532 per
dar luogo ai fogli di Tipo 1, con il testo ancora « provvisorio », simi­
le, se non addirittura identico, a quello contenuto nell’esemplare
postillato dell’edizione del 1521 mandato in tipografìa? Dobbiamo
supporre che per questo foglio le correzioni dell’autore non fos­
sero mai state introdotte nelle forme, o perché non fossero mai
state fatte, il che mi sembra improbabile, o perché fossero state
smarrite nel loro passaggio dall’autore al tipografo, forse andate
perdute in tipografìa, senza che i tipografi sentissero il bisogno o il
desiderio di avvertirne l’autore. Cosi, il foglio venne stampato
con il testo ormai sorpassato dell’esemplare mandato in tipografìa.

18. L ’ o m o g e n e ità lin g u is tic a c h e s u p p o n g o p e r l ’ e s e m p la r e d e ll’ e d iz io n e d e l


15 2 1 m a n d a to in tip o g r a fia p o te v a n a tu r a lm e n te e s s e re s o g g e tto a s v ilu p p o n e l
c o rs o d e l la v o r o d i r e v is io n e ; c iò c h e m i s e m b ra o v v io è c h e , p e r u n g r u p p o d i
c a n ti c o n tig u i, c o m e i p r im i d u e c a n ti d e l p o e m a , q u e s ta o m o g e n e ità sia d a s u p ­
p o r r e c o m p le ta , s e m p re n e i lim iti d e ll’ a tte g g ia m e n to p r a tic o d i u n g e n io c r e a ti­
v o c o m e l’ A r io s to , q u a lific a to d a l D e b e n e d e tti, fo r s e c o n u n ta n tin o d i e s a g e ra ­
z io n e , c o m e « u n d is tr a tto n e c o s i d is tra tto , c h e p iù n o n si p o tr e b b e d ir e » (A rio­
sto , O r la n d o fu r i o s o . . . cit., n i, 433- 34)-
19. V e d i le d u e o tta v e (1,35 e 1,46) r ip o r t a te in a p p e n d ic e (A p p e n d ic e D ).
XIII • l ’ « orlando f u r i o s o » del 1532 257
Quando il Debenedetti si mise a studiare la sostituzione del fo­
glio A interno, essa gli dovette sembrare un aspetto non tanto ec­
cezionale del Furioso del 1532 - tre esemplari su undici con il cancel-
Idtts, inclusovi uno dei due esemplari pergamenacei a lui cono­
sciuti. M a ora che il numero degli esemplari è più che raddoppia­
to, il fenomeno ha assunto un aspetto problematico, perché i tre­
dici esemplari nuovi sono tutti di Tipo 1. Cosi, su venti esemplari
cartacei ora conosciuti, ben diciotto sono di Tipo 1, con il cancellan-
dutn, e soltanto due di Tipo 11, con il cancellans. Forse piu significa­
tivo è il fatto che tre dei quattro esemplari pergamenacei sono di
Tipo 1. Se lo scopo della stampa dei fogli di Tipo 11 era di-rim­
piazzare un foglio che non rispecchiava pienamente le intenzioni
dell’autore, bisogna ammettere che questo scopo non sia stato
realizzato nella stragrande maggioranza degli esemplari pervenu­
ti a noi. Non è chiaro perché sia cosi. La sopravvivenza di molti
esemplari con il foglio di Tipo 1, e soprattutto quella dei tre esem­
plari pergamenacei H, N e Z, lascia supporre che l’errore fosse
stato scoperto soltanto a stampa ultimata, dopo che alcuni esem­
plari, inclusi quelli pergamenacei, avevano già lasciato la tipogra­
fìa.21 Secondo la testimonianza già citata di Galasso Ariosto, tre

20. Di solito, gli esemplari pergamenacei del Furioso portano ognuno lo stesso
testo, con le stesse varianti, perché nel procedimento tipografico è più comodo
stampare gli esemplari pergamenacei in un blocco compatto, durante la stampa
di ogni forma. Il Debenedetti non si era reso pienamente conto dell’eccezionaiità
dell’esemplare pergamenaceo Barb. lat. 3942, esemplare di presentazione al card.
Ippolito II d’Este (l’esemplare M). Oltre al fatto di possedere il foglio A interno
di Tipo 11, a differenza degli altri esemplari pergamenacei, esso ha un frontespizio
mimato non tipografico (e quindi manca anche di Aiv) e per A2r, dove l’intesta­
zione e i primi quattro versi del poema sono scritti a penna a caratteri d’oro, ha
per il resto della pagina una composizione tipografica propria, dimostrata dalla
presenza di due varianti tutte sue, contro tutti gli altri esemplari, anche pergame­
nacei. °
2 1. L ’ e s e m p la r e d i p r e s e n ta z io n e a l c a rd in a le I p p o lito II d ’E ste (l’ e s e m p la r e
M ), c h e h a il fo g lio A in te r n o d i T ip o 11, a n c h e se c o n s e g n a to su b ito al d e s tin a ta -
rio , e r a s e m p re lì a F e rra ra , a p o r ta ta d i m a n o . S fo r tu n a ta m e n te , a p a r te p e r
l ’ e s e m p la re Z , d e lla P ie r p o n t M o r g a n L ib r a r y , « d o n a t o g ià a lla S .ra V e r o n ic a
G a m b e r a d a llo a u to r e iste s so » ( p e r c u i m i sia p e r m e s s o d i r im a n d a r e a u n a m ia
n o ta d i m o lti a n n i fa, L’esemplare già « Charlemont» dell’« Orlando Furioso » del 1532
« L e t t e r e ita lia n e », x i v (1 9 6 2 ), 4 4 1 -5 0 ) , n o n s a p p ia m o n ie n te d e lla s to ria in iz ia le
d e g li a ltri e s e m p la r i p e r g a m e n a c e i s o p ra v v is s u ti.
2 58 SAGGI DI BIBLIOGRAFIA TESTUALE

quarti dell’edizione rimasero nelle mani degli eredi dopo la mor­


te dell’autore, avvenuta nel luglio 1533. Quale è stata la sorte di
questi esemplari? Gli esemplari pervenuti a noi appartengono
tutti a quel quarto dell’edizione venduto prima della morte
dell’autore? Oppure vengono indifferentemente da quelli ven­
duti prima e da quelli venduti dopo la morte dell’ autore, e la man­
cata inserzione del foglio di Tipo 11nella maggioranza degli esem­
plari sopravvissuti è da mettere in rapporto con la malattia del­
l’autore, che lo colpi a poca distanza di tempo dal compimento
della stampa, dopo di che nessuno si curò di effettuare l’inserzio­
ne del nuovo foglio negli esemplari superstiti? Sono interrogativi
a cui, allo stato attuale delle nostre conoscenze, non possiamo ri­
spondere.
Tornando all’esemplare dell’edizione del 1521 mandato in ti­
pografìa per la stampa del Furioso del 1532, non è diffìcile capire
perché il testo ivi contenuto abbisognava di tante correzioni. Il 23
febbraio 15311’Ariosto scrisse a Pietro Bembo: « Io sono per finir
di rivedere il mio Furioso».22 Sarà stato un lavoro lungo: nella let­
tera già citata al Doge di Venezia, del 7 gennaio 1528, egli dice
d’aver « anchora... riconzata e riformata in molti loci » la sua ope­
ra, e benché si possa ammettere un po’ di esagerazione in questa
espressione, intesa a persuadere la Signoria di Venezia che egli
vuole « hora dar fuori cum queste nove corretione » il suo poema,
non c’è dubbio che la richiesta del nuovo privilegio di per sé di­
mostra che già all’inizio del 1528 l’Ariosto stava lavorando a cor­
reggere ed aumentare il suo poema.23 Quando venne poi nel 1532
a rivedere per l’ultima volta sulle bozze dell’edizione definitiva il
testo del suo poema, il continuo maturarsi del suo gusto linguisti­
co nel periodo di almeno quattro anni che era durato il lavoro di
revisione, insieme con la sua sensibilità incontentabile d’artista,
gli suggerirono una nuova e non trascurabile serie di interventi,
rimasta in larga misura nascosta, per la perdita delle bozze, salvo
per il foglio A interno, dove un felice caso ci ha conservato l’inte-

22. Vedi A riosto, Tutte le opere ... cit., in, 457.


23. Per la lettera al Doge, vedi ibid., 452-53.
XIII • l’ « ORLANDO FURIOSO» DEL 1 5 3 2 2 59

ro processo, con il testo cosi come si trovava nell’esemplare


dell’edizione del 1521 mandato in tipografìa (Tipo 1), e le correzio­
ni che l’Ariosto vi volle poi apportare (Tipo 11).

Gli esemplari «buoni» del ‘Furioso’ del 1532


Alla fine della terza sezione della sua Nota, sezione che tratta
delle « differenze saltuarie da esemplare ad esemplare », il Debe­
nedetti tira le somme della sua considerazione delle trentasette
varianti che ha discusso, tutte pertinenti alla costituzione del te­
sto:
D ata questa condizione di cose, fu necessario valutare queste varianti ad
una ad una. E ven ne a risultare che due esem plari, salvo una lezion e
(xii ,85,8), sono in tutto uguali; e là dove si può fare un giudizio quasi sicu­
ro, sem pre si vede eh’ essi ci conservano le lezio n i definitive. Sono questi
i ed /, entram bi di T ipo 11. Possiamo dunque concludere, che fra le copie
da noi raffrontate del Furioso esse tengono il p rim o posto
N on conosco due esem plari del Furioso che siano identici: e non p arlo
degli e rro ri di stampa e delle varietà tipografiche! C i troviam o innanzi
ad uno dei casi p iù strani che siano o fferti dalla tradizione tipografica. La
tiratura era vigilata foglio p e r foglio. Se l ’A u to re n on potè presenziare al
lavoro dei p rim i canti - si che accadde quello che noi sappiamo - in se­
guito è probabile che visitasse frequ en tem en te (si può im m aginare con
che piacere p e r l’ ospite!) la stam peria di m aestro Francesco Rosso. E p e r­
tanto, sia p e r attenzione sua o del m aestro, certe m ende derivate da sem ­
plice distrazione di com positore - la copia data in stam peria era un
esem plare di B [= 1521] fitto di ritocchi e cassature - ven ivan o corrette;
ed egli, l’incontentabile, p oteva ancora fare accogliere qualche ultim o
suo pentim ento. M a n u lla fu sacrificato: né quel tal m ezzo foglio guasto
da tante lezio n i cattive, né alcun altro, com unque fossero gli errori. T ra i
fogli tirati l’A riosto scelse i m igliori a fo rm ar qualche esem plare che m e­
glio rispondesse alle sue ultim e intenzioni: i ed /sono, a nostro giudizio,
quelli che vincono tutti gli altri p e r la bontà del testo.24

Devo confessare che fu la lettura di questa pagina a stimolare il


mio interesse, ormai molti anni fa, nella possibilità di continuare
in modo fruttuoso il lavoro del Debenedetti sull’edizione defìni-

24. A riosto, O r la n d o fu r i o s o ... cit., in, 426.


2Ó0 SAGGI DI BIBLIOGRAFIA TESTUALE

tiva del Furioso. L’ipotesi di esemplari « buoni » di un’edizione del


Cinquecento, composti di fogli scelti coscientemente dal tipogra­
fo o dall’autore perché contenevano stati corretti delle forme ivi
contenute, era contraria ai presupposti della bibliografìa testuale
anglo-americana (p.es. McKerrow: « It i s ... quite unscientific to
speak of a more or less corrected copy of a book - unless indeed it
only consists of a single sheet, or indeed ... of a single form e»;
Gaskell: « copies of thè book were subsequently made up with
sheets printed from formes in their earlier as w ell as in their later
States »).25 M i sembrò probabile che la « bontà » degli esemplari i e
/, accertata dal Debenedetti per le trentasette varianti da lui di­
scusse, si sarebbe rivelata illusoria alla luce di nuove ricerche e, in
particolare, della collazione degli esemplari ignoti al Debenedet­
ti, che avrebbe portato alla luce una serie di nuove varianti distri­
buite arbitrariamente fra gli esemplari superstiti.
Ora, non sono mancate nuove varianti, che sono venute fuori
in abbondanza dalla collazione di quegli esemplari, come ho già
detto; ma, con mia grande sorpresa, ho dovuto riconoscere che in
ogni singolo caso (e si tratta di quasi duecento varianti) il testo cri­
tico porta appunto la variante posteriore, corretta, senza che il
Debenedetti sapesse che si trattava in questi casi di due lezioni di­
verse nell’edizione definitiva. Il fenomeno è troppo frequente
per poter essere attribuito al puro caso. Analizzando la distribu­
zione di tutte le varianti a me note, ho potuto accertare che, men­
tre nella maggioranza degli esemplari superstiti troviamo una
combinazione aleatoria di forme scorrette e forme corrette, con
un numero variabile di forme scorrette che va da sedici a trenta,
ce ne sono due, che sono quelli già segnalati dal Debenedetti, cioè
gli esemplari i e /, che non hanno nemmeno una sola forma scor­
retta.26 L’esemplare /è ora in possesso di Cesare Segre, nipote del

25. V e d i R .B . M c K errow , An Introduction to Bibliographyfor Literary Students,


O x f o r d 1 9 2 8 ,2 0 9 ; P. G askell, A New Introduction to Bibliography, O x f o r d 1 9 7 2 ,3 5 3 .
2 6 . G li e s e m p la r i p e r g a m e n a c e i h a n n o c in q u e f o r m e s c o r r e tte , tu tte n e lla p r i­
m a p a r te d e l lib r o . E v id e n te m e n te , a u n c e r to m o m e n t o (p rim a d e lla s ta m p a d e l
fa s c ic o lo G ) i tip o g ra fi, o l ’ a u to r e , si e r a n o re s i c o n to d i a v e r la sc ia to in t r o d u r r e
d e g li e r r o r i n e g li e s e m p la r i p e r g a m e n a c e i, s ta m p a n d o li tr o p p o p r e s to d u r a n te la
XIII • l ’ « orlando f u r i o s o » del 1532 261
Debenedetti, ed è probabile che la bontà del testo debenedettia-
no in quei luoghi dove l’edizione definitiva aveva, a sua insaputa,
due lezioni diverse sia dovuta al fatto che egli aveva seguito la le­
zione di quest’esemplare «perfetto». N ella sua Nota il Debene­
detti lo chiama « esemplare grande », e in verità esso è stampato su
carta un poco più grande di quella usata per il resto degli esempla­
ri cartacei.27 E facile immaginare che i tipografi abbiano stampato
il foglio o i fogli di carta più grande alla fine della stampa dei fogli
di grandezza normale, provvedendoli cosi del testo corretto per
ogni forma. La spiegazione più elegante della « bontà » del testo di
i sarebbe di supporre che.anch’esso fosse originariamente un
esemplare « grande », i cui margini siano stati ridotti ad una misu­
ra « normale » attraverso il processo di rifilatura che spesso accom­
pagna la legatura di un libro. A conforto di questa ipotesi potreb­
be essere indicato il fatto che i e /hanno in comune un’altra carat­
teristica, quella di essere gli unici esemplari cartacei a possedere il
cancellans (Tipo 11) del foglio A interno. Se non si vuol accettare
questa ipotesi (e in verità essa urta contro un ostacolo, cioè l’esi­
stenza di una variante di i rispetto a /- vedi n. 26), le conseguenze
sono molto interessanti, perché bisogna ammettere che il tipogra­
fo, o l’autore, era capace di, e disposto a, distinguere, per ogni fo­
glio di stampa, tra i fogli con il testo corretto di una forma e quelli

stampa di ogni forma; dopo, presumibilmente, li hanno stampati piu tardi, dopo
aver effettuato la correzione della forma secondo le eventuali istruzioni dell’au­
tore. Le varianti della forma interna del foglio G interno (vedi Appendice C) mo­
strano come i fogli pergamenacei furono stampati dopo il primo intervento cor-
rettorio (varianti 1 e 2), ma prima del secondo (variante 3). Questa stessa forma ci
presenta l’unica occasione, già segnalata dal Debenedetti, in cui i e /hanno una le­
zione diversa: si tratta della variante 3, non corretta in i, che ha invece lo stato cor­
retto dell’altro intervento correttorio.
27. Faccio quest’affermazione dopo aver confrontato le misure dei margini di
/con quelle dell’esemplare veronese del Furioso (l’esemplare x), ancora slegato e
in fogli, e quindi presumibilmente intonso. Vorrei esprimere la mia gratitudine
al prof. Cesare Segre, che mi ha gentilmente permesso di esaminare l’esemplare
/. Il Debenedetti (A riosto , Orlandofurioso... cit., in, 414) aveva cautamente avan­
zato l’ipotesi che / fosse destinato all’uso dell’autore «sempre malcontento
dell’opera sua». E un’ipotesi ragionevole, dato che l’edizione comprendeva an­
che esemplari pergamenacei, ovviamente destinati a servire come esemplari di
dedica da presentare a protettori e amici potenti.
2Ó2 SAGGI DI BIBLIOGRAFIA TESTUALE

con il testo scorretto. Se era cosi, però, dobbiamo chiederci perché


la maggior parte degli esemplari cartacei pervenutici abbia un nu­
mero variabile di forme scorrette. Si potrebbe rispondere che for­
se tutti gli esemplari cartacei venduti subito dopo la stampa erano
in una condizione «perfetta», o quasi, come l’esemplare i; secon­
do questa ipotesi, i diciotto esemplari cartacei con forme varia­
mente scorrette sarebbero pervenuti dai tre quarti dell’edizione
rimasti nelle mani degli eredi del poeta, che non avrebbero potu­
to o voluto distinguere tra forme scorrette e forme corrette. Il fat­
to che del gruppo venduto prima ci sarebbe effettivamente oggi
un solo superstite (l’esemplare i) non sarebbe di per sé sorpren­
dente: dell’intera edizione del 1521 ci rimangono soltanto tre
esemplari. M a le cose si complicano se si prende in considerazio­
ne la caratteristica degli esemplari i e /già accennata, cioè il fatto
che entrambi contengono il foglio A interno di Tipo 11. Come ho
già fatto notare, la stampa del cancellans (Tipo 11) di quel foglio
sembra essere avvenuta dopo che alcuni esemplari dell’edizione
avevano già lasciato la tipografìa, perché tre su quattro degli
esemplari pergamenacei hanno il cancellandum (Tipo 1) di quel fo­
glio. Può darsi, però, che gli esemplari pergamenacei da mandare
a protettori e amici fossero spediti e consegnati prima che il resto
dell’edizione fosse messo in vendita; in tal caso, si potrebbe salva­
re l’ipotesi della vendita iniziale soltanto di esemplari cartacei
«perfetti », supponendo che fra gli esemplari che lasciarono la ti­
pografìa di Francesco Rosso subito dopo la stampa, quelli perga­
menacei fossero stati gli unici a portare il cancellandum.
Purtroppo, con i dati attualmente a nostra disposizione non
possiamo andare oltre questa serie laboriosa e non troppo convin­
cente di ipotesi: è da sperare che ricerche ulteriori chiariranno
questi problemi e incertezze riguardo alle vicende dell’edizione
definitiva del Furioso.

Per concludere, se da una parte le mie ricerche sul Furioso sono


state deludenti, in quanto non ho potuto, come avevo sperato, ag-
XIII • l’ « ORLANDO FURIOSO» DEL 1 5 3 2 2 63

giungere lezioni nuove al testo critico del poema, dall’altra i risul­


tati finora raggiunti mi permettono di tracciare un profilo della
produzione dell’edizione definitiva del poema che contiene alcu­
ni punti di interesse generale, nel quadro della storia tipografica
dell’Italia cinquecentesca:
1) la maggioranza delle forme, forse tutte le forme, furono ogget­
to di un intervento correttorio durante la tiratura;
2) queste correzioni fatte durante la tiratura non sono che l’ulti­
mo stadio di un lavoro correttorio talvolta intenso eseguito su
bozze di stampa prima dell’inizio della tiratura dei singoli fo­
gli;
3) dopo la stampa, il tipografo, o l’autore, ha voluto e ha potuto
formare alcuni volumi «perfetti», riunendo insieme soltanto
fogli che contengono forme corrette.
M a l’ultim a parola dev’essere una parola di cautela: come am­
monisce uno dei maggiori studiosi americani di bibliografìa te­
stuale, in ogni ricerca di tipo induttivo può bastare una nuova sco­
perta per sconvolgere tutti i risultati finora raggiunti.28 Se questo
ammonimento varrà anche a lavoro ultimato, essendo sempre
possibile la scoperta di nuovo materiale (nel nostro caso, nuovi
esemplari dell’edizione definitiva), tanto più vale per il presente
contributo, che è solo un “progress report”, in attesa della pubbli­
cazione di un resoconto completo e definitivo dei risultati delle
mie ricerche.

28. V e d i G . T . T anselle, T h e C o n c e p t o f « I d e a l C o p y » , « S tu d ie s in B ib lio g r a ­


p h y », xxxiii (1 9 8 0 ), 2 2 : « A s is a lw a y s th e case w i t h in d u c tiv e in v e s tig a tio n , w h a t
m a y s e e m c le a r a t o n e sta g e m a y b e s h o w n to b e i n c o r r e c t w h e n m o r e in sta n c e s
a re o b s e r v e d » .
A ppendice A

ESEMPLARI SUPERSTITI DEL «F U R IO SO » DEL 153229

Esemplari utilizzati dal Debenedetti per l’edizione laterziana, 1928:


1. Biblioteca Comunale Ariostea, Ferrara
[S.16.1.16; imperfetto: mancano h7, 8] Tipo 1 a
2. Biblioteca Comunale Ariostea, Ferrara
[S.16.1.17] Tipo 1 b
3. Biblioteca Nazionale Centrale, Firenze
[Bo. Rari 160] Tipo 1 c
4. Biblioteca Melziana, poi di proprietà dei
march, di Soragna [ubicazione attuale ignota] Tipo 1 d
5. Biblioteca Palatina, Parma [GG.II.197;
imperfetto : manca h7] Tipo 1 e
6. Biblioteca Marciana, Venezia [Rari 440;
imperfetto: manca h7] Tipo 1 f
7. Biblioteca Trivulziana, Milano [Triv.G.101] Tipo 1 g
8. Biblioteca Civica Bertoliana, Vicenza,
esemplare pergamenaceo [Bacheca 18.2.1.
(raro 1)] Tipo 1 H
9- Biblioteca Universitaria, Bologna [Raro C.5] Tipo 11 i
io. Biblioteca Melziana, esemplare grande [ora

29. H o a g g iu n to fr a p a r e n te s i q u a d re la s e g n a tu ra d e i v a r i e s e m p la ri. D e i v e n ­
tu n o e s e m p la r i fin o r a e s a m in a ti, n o v e s o n o im p e r fe tt i; l ’ im p e r fe z io n e in te re s s a
q u a si s e m p r e A i o I17, c o n d e c o r a z io n e x ilo g r a fic a d i a lta q u a lità . C o m e r is u lte r à
c h ia ro d a l te s to d e l m io c o n tr ib u to , le d e s ig n a z io n i « T ip o 1 » e « T ip o 11 » si r i f e r i ­
s c o n o a lla p r e s e n z a d e l c a n c e lla n d u m (T ip o 1) o d e l c a n c e lla n s (T ip o 11) d e l fo g lio A
in te r n o (A 3 .4 .5 .6 ). H o c o n tin u a to la s e rie d i sig le a lfa b e tic h e u sa ta d a l D e b e n e -
d e tti p e r d e s ig n a re g li e s e m p la r i d a lu i c o lia z io n a ti, i n tr o d u c e n d o v i p e r ò l ’ u so d e l
m a iu s c o lo p e r in d ic a re g li e s e m p la r i p e r g a m e n a c e i.
XIII • l ’ « orlando f u r i o s o » del 1532 265
di proprietà del prof. Cesare Segre, Milano;
imperfetto : manca Ai] Tipo ii 1
il. Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Va­
ticano, esemplare pergamenaceo [Barb. lat.
3942; imperfetto: mancano A1.8] Tipo ii M

Altri esemplari
12. British Library, London, esemplare pergame­
naceo [G.11068] Tipo 1 N
13. British Library, London [C.20.C.11; imperfetto:
mancano Ai.2.7.8] Tipo 1 0
14. John Rylands University Library of Manches­
ter, Manchester [10195; esemplare Spenceria-
no, già appartenuto a G. A. Barotti] Tipo 1 P
15. Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Va­
ticano [Rossiano 4686; imperfetto: mancano
I12.7] Tipo 1 r
16. Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Va­
ticano [Ferraioli iv.4086] Tipo 1 s
17. Bodleian Library, Oxford [4°.A2i.Art.] Tipo 1 t
18. Codrington Library, All Souls College, Ox­
ford [mm.10.13; imperfetto: manca I17] Tipo 1 u
19. Stadt- und Universitätsbibliothek, Frankfurt-
am-Main [il 1930/307 Nr.i] Tipo 1 V
20. Biblioteca Nazionale Centrale, Firenze
[Palat.2.7.3.15; imperfetto: mancano Bi, hi.2.7.8] Tipo 1 w
21. Biblioteca Capitolare, Verona [R.vm.4] Tipo 1 X
22. Houghton Library, Harvard University, Cam­
bridge (Mass.) pIC5.Ar434.5160.1532] Tipo 1 y
23. J. Pierpont Morgan Library, New York, esem­
plare pergamenaceo [PML 800; esemplare
Charlemont] Tipo 1 z
266 SAGGI DI BIBLIOGRAFIA TESTUALE

24. Già Harvard University Library, Cambridge


(M ass.) [venduto all’asta a Londra nel 1962;
comprato da Carlo Alberto Chiesa di Milano;
venduto poi a un collezionista milanese, ora
morto; ubicazione attuale ignota] Tipo 1

A p pendi ce B

DESCRIZIONE DEL «FU R IO SO » DEL 1 5 3 2 30

Frontespizio
[dentro una cornice xilografica di motivi classici, firm ata F. DE NAN-
TO] [tutto in rosso] ORLANDO FVRIOSO DI /MESSER LVDOVICO /
ARIOSTO NOBILE / FERRARESE NVO/VAMENTE DA / LVI PRO­
PRIO / CORRETTO E / D’ALTRI CANTI NVO-/VI AMPLIATO CON
/ GRATIE E PRI/VILEGII. /

Colofone
h8r: Impresso in Ferrara per maestro Francesco Rosso da Va-/lenza,
a di primo d’Ottobre. M.D.XXXII,

Formula collazionale
4to A8 (±A34.5.6) B-Z8 a-h8

Contenuto
Air Frontespizio Aiv Privilegi di Clemente VII, datato 31 genn.
1532, e di Carlo V, datato 17 ott. 1531 A2r « ORLANDO FVRIOSO DI
MESSER LVDOVICO / ARIOSTO ALLO ILLVSTRISSIMO E REVE/
RENDISSIMO CARDINALE DON/NO HIPPOLYTO DAESTE /SVO
SIGNORE. / CANTO PRIMO /» h6v dopo 9 ottave: «FINIS. /

30. Q u i, e n e lle a p p e n d ic i C e D , h o u sa to il s e g n o s p e r in d ic a re Ys lu n g a , sia


so la , sia c o n a ltr e le tte r e (e.g. st).
XIII • l’ « ORLANDO FURIOSO» DEL I 5 3 2 267

PRO BO N O M ALVM . » hyr dentro la stessa cornice xilografica usata


per il frontespizio, ritratto xilografico dell’autore, attribuito a Tizia­
no I17V Privilegi di Andrea Gritti, doge di Venezia, datato 14 genn.
1527 (m.v.) e di Francesco II, duca di Milano, datato 20 luglio 1531; poi:
«Cf E la medesima gratia hàno concesso all’Authore l’Illustrissimi
Duci / di ferrara di Mantua e d’Vrbino, & altre potentie; come in / al­
tri priuilegi si cotiene, che per non aggiungere piu / carte al volume si
son lasciati d’imprimere. / » h8r Colofone; registro: « A ...Z / a ...h
/ Tutti questi sono quaderni. »; impresa raffigurante una mano che
esce da una nuvola e che taglia la lingua a due serpenti con delle forbi­
ci; in un nastro il motto: «DILEXISTI. M ALITIA SVP BENIGNITA-
TEM. » h8v Bianco

N o t a : in alcuni esemplari, a hóv, invece di « FINIS. PRO BO N O M A ­


LVM. », una xilografìa rappresentante una lupa che allatta un lupicino.

Titolo corrente
[verso] C A N T O / [recto] PRIMO - XLVI. ET VLTIM O [A ir-2 r h 7 r-8 v
m an ca il tito lo c o rre n te G 2 r G 4 r DVODECIM O. Hzr TERZODE-
CIM O. L 7 r D ECIM O O TTAVO (p er D ECIM O TTAVO ) V i r
TRENTESIMO (p er VENTESIMONONO) Z 4 r TERNTESIMO-
Q V A R T O a3r TERNTESIMOSESTO b 4 r TERNTESIM OTTAVO
b 8 r TERNTESIMONONO]

N o t a : va ria n ti in te rn e n e l tito lo c o rre n te si tro v a n o alle cc. F ir,


F3r, S4V, hór.

Richiami
A8v Dun [Bir = D’un] B8vIlRe C8vRuggier D8v Tutte E8v
Quiui F8v Le bellezze G8v Non H8v Getta I8v Rinaldo
K8v E fa L8v II graue M8v Del [Nir = Dal] N8v Hermoni-
de 0 8 v L’ardita P8v Almonio Q8v Hebbile R8v II de-
strier S8v Non T8v Ilgiouine V8v Tutta X8v Alla Y8v Fu
repulso Z8v Ben a8v E poi b8v Essendo c8v Tutta d8v
Già e8v Leuato f8v Sprona g8v Ilqual

Tipi
R 8 6 ; i 8 i (189) x I3 im m .; testo delpoema in due colonne di cinque otta­
ve ciascuna; iniziale xilografica (40 x 40 mm.) all’inizio di ogni canto.
A ppendice C

VARIANTI DELLA FORMA INTERNA


DEL FOGLIO G IN TERN O 31

i. G4r bi6; xii,49,8: « che per bisogno, alle sue imprese armato. » (De­
benedetti, Segre)
alle battaglie alle sue imprese
a bcde f gHi l MNop
rstuvwx

2. G5V a39; xn,77,7: « con tal lo stuol barbarico era mosso » (Debene­
detti, Segre)
tal tal,
a bc de f gHi l MNop
rstuvwx
3. G6r a24; xii,85,8: « sempre è in timore, e far contraria via » (Debe­
nedetti); «teme, e di far sempre contraria via» (Segre)
Sempre e in timore, e far contraria via
acHi M N
Teme, e di far sempre contraria via
bdefgloprstuvwx

31. Nelle appendici C e D ho usato le lettere a e b per indicare le due colonne


su cui in ogni pagina si dispone il testo dell’opera (e.g. G4r bi6 = l’ultimo verso
della seconda ottava della colonna destra della c. G4r).
A ppendice D

VARIANTI DI TIPO I E DI TIPO II

Canto i, stanza 35

1521 (esemplare di Dublino): a4r bi-8


Quel di e la notte e mezo laltro giorno
si andò aggirando: e non sapeua doue
trouassi al fine in un boschetto adorno
che lieuemente la fresca aura muoue
dui chiari riui mormorando intorno
facean lherbette tenerelle e nuoue
tra piccol sassi rotto il correr lento
rendeua ad ascoltar dolce concento

1532 Tipo 1 (esemplare di Frankfurt-am-Main): A3V bi7-24


Quel di e la notte e mezo l’altro giorno
S’ando aggirando, e non sapeua doue
Trouossi al fin in vn boschetto adorno
Che lieuemente la fresca aura moue
Dui chiari riui mormorando intorno
Sempre l’herbe vi fan tenere e noue
E rendea ad ascoltar dolce concento
Rotto tra picciol sassi, il correr’ lento

1532 Tipo 11 (esemplare di Bologna): A3V bi7-24


Quel di e la notte e mezo l’altro giorno
S’ando aggirando, e non sapeua doue
Trouossi al fine in vn boschetto adorno
Che lieuemente la fresca aura muoue
Duo chiari riui mormorando intorno
Sempre l’herbe vi fan tenere e ^.uiyue
E rendea ad ascoltar dolce còcento
Rotto tra picciol sassi, il correr lento.
270 SAGGI DI BIBLIOGRAFIA TESTUALE

Canto i, stanza 46

1521 (esemplare di Dublino): a4v b25~32


Dappresso oue il Sol cade per suo amore
uenuto era dal capo d Oriente
che seppe in India con suo gran dolore
come seguito Orlando hauea in Ponente
poi seppe in Francia: che gli passo il core:
che tolta Carlo imperiosamente
lhauea: per dare in premio a lun de dui
chi in la battaglia piu fesse per lui

1532 Tipo 1 (esemplare di Frankfurt-am-Main): A4r b25~32


Appresso oue il Sol cade per suo amore
Venuto era dal capo d’Oriente
Che seppe in India con suo gran dolore
Come ella Orlando seguito in ponente
Poi seppe in Francia che l’Imperatore
Sequestrata l’hauea da l’altra gente
E promessa in mercede a chi di loro
Piu quel giorno aiutasse i gigli d’oro

1532 Tipo ii (esemplare di Bologna): A4r b25~32


Appresso oue il Sol cade per suo amore
Venuto era dal capo d’Oriente:
Che seppe in India, con suo gran dolore
Come ella Orlando séquito in ponente:
Poi seppe in Francia che l’Imperatore
Sequestrata l’hauea da l’altra gente,
Per darla all’un de duo cH cotra il Moro
Piu quel giorno aiutasse i gigli d’oro
INDICE DEI TERMINI TECNICI

L’indice, che comprende anche il materiale contenuto nelle note, ricorda soltan­
to i casi dell’uso in senso tecnico delle parole elencate. Le cifre in corsivo riman­
dano a definizioni date nel corso dell’esposizione. Dei termini non spiegati nel
testo si dà qui una breve definizione.

battitore 41 vono seguire quelli dell’ edizione più


antica, mentre per le lezioni «so­
cancellandum 83, 254, 257, 262, 264 stanziali » si possono accogliere va­
cancellans 85, 98, 254, 257, 261-2, 264 rianti d’autore ricavate da edizioni
carro [parte mobile dell’elemento seriori] 21-9, 36
orizzontale del torchio, che porta la
forma (q.v.) e la carta sotto l’elemen­ distribuzione 43, 47, 70, 162
to verticale per ricevere l’impressio­
ne del piano (q.v.)] 41, 215, 217 edizione 66-9, 69-70, 71-82, 86-7, 90-1,
cassa (tipografica) [cassetta di legno, 96-7, 101-3, 142-4, 155-6, 173
suddivisa in scomparti, che contiene edizione sussidiaria 82
tutti i caratteri appartenenti ad una emissione 66-9, 74-82, 84-7, 90, 95-7,
determinata serie] 7, 37,168,174,180 100-1, 103, 145-8, 156, 174-5
cassettino [scomparto della cassa tipo­ - successiva 74-8
grafica, dove vengono raccolti tutti i - simultanea 78-82, 147-9, 156
caratteri aventi la stessa lettera o se­ «esemplare ideale» 58-61, 63, 66, 89-
gno] 43 103, 250
compositoio [piccolo arnese di legno o
di metallo, in cui il compositore rac­ foglietto [ognuna delle carte compo­
coglie e ordina in riga i caratteri pre­ nenti un fascicolo] 94, 98-9, 201
levati dalla cassa] 37, 43 foglietti congiunti' [in un fascicolo,
compositore 1,12-13, 4^-6,48,50,55,57, paio di foglietti congiunti al margine
58, 62-3, 73, 155, 167, 174, 254 interno] 84-5, 198
composizione (tipografica) 37,43, 71-2, forma (tipografica) n, 13, 41, 43, 47-51,
74, 77, 79-8 i , 82-3, 85-7,121,143,146, 63, 66-7, 69-71, 80, 82-4, 86-7, 90, 97,
150, 162, 228, 257 102,147,150-2,162,164,175,179, 201,
- per forme [il comporre le pagine di 203,206,208,211,215-6,223-7,229-30,
un testo non nell’ordine testuale ( = 236, 238, 251-4, 256-7, 260-3
seriatim, q.v.), ma secondo la loro ap­ formula di collazione (o collazionale)
partenenza ad una determinata for­ 15,54S, 90, 98,102,143,196,199, 201,
ma] 13-14 204, 206, 208, 210, 266
- seriatim [v. composizione per forme] fotolitografìa 71, 73, 97
13 fraschetta [telaio metallico, incardina­
copy-text (testo-base), teoria del [teoria to al timpano (q.v.), per tener ferma
elaborata dallo studioso inglese la carta, e proteggerne i margini
W .W . Greg, secondo cui, nell’edi­ dall’inchiostro] 41
zione di testi a stampa conservati in
testimoni non aventi valore di auto­ imposizione 43, 79, 82, 162, 225-6, 230
grafo, gli «accidentali» dell’edizio­ imposizione a mezzo foglio 224-3,227,
ne critica (grafìa, punteggiatura) de- 229-31
272 INDICE DEI TERMINI TECNICI

impostazione v. imposizione specchio di stampa [parte della pagina


impressione 66-9, 70-4, 75, 77-80, 82, coperta di segni impressi] 85, 222,
84-5, 87, 97, 102-3 277
stampa in bianca e volta 47, 151
lastrazione 74, 82 stato 50, 66-9, 70, 77-8, 80, 82-7, 99-100,
102-3,121,146-50,152,155-6,162,164,
mazza [leva di ferro, rivestita di legno, 226-7, 260
inserita nella vite del torchio per far stereotipia 71, 73, 97, 215-6
scendere il piano (q.v.)] 37, 41, 215, sub-edizione v. edizione sussidiaria
217
mazzo 41, 161, 164 telaio 43
timpano [telaio di ferro, incardinato al
offset v. fotolitografìa carro (q.v.), su cui vien fissata la carta
da stampare] 41
piano 41, 217, 226 tiratore 41
titolo corrente [titolo, spesso abbrevia­
quarto in otto (formato) 8, 51, 83, 147, to, di un’opera o di parte di un’ope­
251 ra, posta in cima ad ogni pagina] 55,
109, 154, 173, 197-209, 267
richiamo [lettere iniziali di una pagina, torcoliere 12, 40-2, 48-9, 50, 51
stampate in fondo alla pagina prece­
dente, come guida al legatore] 154, vantaggio [lastra di legno o di metallo a
198, 200, 202, 205, 207, 209, 267 cui si trasferiscono le righe di carat­
ristampa 68-9, 70, 173-4 teri tipografici appena composti] 43
variante interna « conscia » 40-5°, !55,
sbarra v. mazza 161-5, 167, 252-3
sostituzione 78, 84-7,109,146,185,198- variante interna « inconscia » 49, 100,
9, 251, 254, 257 161, 163-5
INDICE DEI NOMI

L’indice comprende anche il materiale contenuto nelle note. Le opere vengono


registrate sotto il nome del loro autore. L’indice non registra le occorrenze della
parola « Italia ».

Ageno Franca v. Brambilla Ageno Balzac Honoré de 218


Franca Bandini Angelo Maria 15
Agnelli Giuseppe 246 Barber Giles 39, 106-7, 109-10, 245
Alessandria 27 Barbera Gaspero 215-6
Alfonso I di Ferrara, duca 145 Barberi Francesco 76, 78
Alighieri Dante 3, 26, 86, 101, 148 Barbi Michele ix, 4, 40, 59, 214
Alsazia 5 Bardelone Gian Giacomo 249
Alston Robin C. 117-8,120 Bargagli Scipione 26
Amsterdam, Università di in Bari 163
Anversa 6, 38 Bariletto Giovanni 193
- Museo Plantin-Moretus 6, n Barotti Giovanni Andrea 265
Apuleio 187 Bartolomeo detto Plmperadore, di
Aquilecchia Giovanni 2, 70, 142, 165 Lodrone 187-8, 190, 195, 208-9
Aquilon Pierre io Basilea 6, 133
Aretino Pietro 25, 109,123, 142, .165 Baudrier Henri Louis 134, 136, 182
Ariete Cesare 236 Bazzoni Giambattista 81
Ariosto Galasso 249, 257 Beccaria Giacomo 219
Ariosto Ludovico 2, 4, 8, 25, 51-2, 61-2, Beke, Laurens Leenaertsz van der v.
79, 83-5, 102, 107-n, 142, 162-3, 2I3> Torrentino Lorenzo
245-70 Belgio 5
Aristotele 177 Belli Silvio 80
Arlenio Arnoldo 5, 38 Bellonci Maria 145
Aron Pietro 131-2 Belloni Gino in
Arona 231 Bembo Pietro 24-6, 29, 56,145-54,163,
Arrighi Ludovico degli 129 249, 258
Arrivabene Andrea 87, 139, 159, 163, Benedetto da Mantova 171-2
169-80, 183-211 Bennett Henry Stanley 5
Arrivabene Giorgio 171 Berengo Marino 81-2, 220-1, 228, 240,
Artese Luciano 80 244
Ascarelli Fernanda 15 Bergamo 195
Asoli, famiglia di tipografi v. Torresano - Biblioteca Civica 19,124-5, I43, 203,
Asolo 27 206-7, 209-10
Augusta 186 Berlinghieri Francesco 76
Avalle D’Arco Silvio 3 Berni Francesco 76
Avanzi Lodovico 159 Bernoni Domenico 15
Bersano Begey Marina 15
Balbo Giovanni 71 Bettarini Rosanna 52
Baldacchini Lorenzo 31, 67, 69, 78, 83 Bibliografìa Italiana 222, 240, 243-4
Baldelli Ignazio 29 Bibliografia Nazionale Italiana 116
Baldini Vittorio 141-4 Biblioteca Magliabechiana 18
Balsamo Luigi x, xi, 15, 19, 129, 132 Biblioteca Melziana 264
274 INDICE DEI NOMI

Biblioteca Palatina (Firenze) 18 ---- Library 207


Biblioteca Spenceriana 107, 265 - University Library 200, 203
Billanovich Giuseppe xi - University Press 14, 44-5, 48
Bindoni Bernardino 85,132,139,170-2, Cambridge (Mass.), Harvard Univer­
186, 190, 194, 199-200, 203-4 sity Library 125, 200, 266
Bindoni Giovanni Antonio 172 ---- Houghton Library 265
Biadi, famiglia di tipografi 15 Camerini Paolo 15
Biado Antonio 27, 56 Capodilista Gabriele 28
Blaney Peter W.M. 32 Caracciolo Cola Maria 197, 205-6, 210
Biavi, famiglia di tipografi 27 Carlo V, imperatore 126-7, !35, 266
Boccaccio Giovanni 3, 25, 29, 177 Carter Harry 5
Boghardt Martin 9, 39 Carter John Waynflete 78
Boiardo Matteo Maria 76, 187, 247-8 Cartesio 98
Bologna 26, 28, 137 Casali Scipione 15
- Biblioteca Comunale dell’Archigin­ Casamassima Emanuele 86
nasio 143, 200, 203, 209-10 Castiglione Baldassare 24, 29, 56
- Biblioteca Universitaria 198, 209, Catach Nina io, 12-13, 39, 48, 101
264, 269-70 Catalano Michele 248, 250
Bologna Giulia 19 C a ta lo g o C o lle ttiv o d e lle B ib lio te c h e U n i­
Bongi Salvatore 15, 26, 56, 75, 80, 126, v ersita rie d e l L a z i o 116
174-5, 179 C a ta lo g o C o lle ttiv o di P e rio d ic i 116
Borgherucci Borgheruccio 56 Cavalca Domenico 186-7
Borghini Vincenzio 25, 158 Caxton William 5, 38
Borgia Lucrezia 145, 149, 151, 153-4 C e n s im e n to d e lle e d iz io n i ita lia n e d e l X V I
Borsa Gideon 8 se c o lo 31, 90, 118-9, 122
Bottelli Giuseppe 231 Center for Editions o f American Au-
Bowers Fredson xi, 1, 34-6,54-5,58, 67, thors 36
76-7, 80-2, 89-96, 98, 101, 103, 113-4, Center for Scholarly Editions 36
122, 152, 156, 174, 196 Cervantes Miguel de 55
Bragadino Andrea 169-70 Cesano Bartolomeo 139
Brambilla Ageno Franca 2, 34, 57-8 Chabod Federico 127
Branca Vittore 3 Champagne 5
Brayer John M. 121 Champier Symphorien 134
Brescia 190 Chapel Hill (N.C.), North Carolina
B r i ti s h N a t i o n a l B ib lio g r a p h y 117 University Library 203
Bruno Giordano 2, 25, 56, 70 Chartier Roger 31
Biihler Curt F. 26, 84, 163 Chiari Alberto 40, 59, 214, 225-7, 230,
Bullock Collection v. Manchester, 244
John Rylands University Library Chicago University Library 200
Bullock W alter Llewellyn 123, 189 Chiesa Carlo Alberto 141, 266
Buonvisi Vincenzo 124-5 Chiodi Luigi 19
Bussi Giovanni Andrea 26 Christie Collection v. Manchester,
John Rylands University Library
Cairns Christopher 170 Christie Richard Copley 123
Calandra Ippolito 247-8 Cicerone Marco Tullio 175
Calvo Andrea 76 Cicogna Emanuele Antonio 179
Cambridge, Clare College Library 124 Città del V aticano, Biblioteca Apostoli­
- Emmanuel College Library 203,209 ca Vaticana 16-17,124-5,203,206,265
- St. John’s College Library 172 Ciancio Girolamo 29
- Trinity College 36 Clemente VII, papa 266
INDICE DEI NOMI 275
Clough C edi H. 145-54,163 V e n e z ia e n e lle p ro v in c ie v e n e te 240
Clubb Louise George 9 Emilia 23
Clymer George 217 E n g li s h S h o r t -t i t le C a ta lo g u e (1 4 7 5 -1 6 4 0 )
Cochetti Maria 103 16-17, 20, 54
Colonia 5 Equicola Mario 249
Columbian, torchio 217-8 Ercole I di Ferrara, duca 153
Comin da Trino 6, 171, 182 Este Ippolito I d’, cardinale 248-9, 266
Cornino Bartolomeo 170, 178 Este Ippolito II d’, cardinale 257
Concilio di Trento 169 Este Isabella d’ 247-8
Contardi G. 31 Estienne Charles 183
CordyJ.K. 78 Eynthouts, Arnold van v. Arlenio A r­
Corsten Severin 65 noldo
Cosimo I di Firenze, duca 5
Crapulli Giovanni 98, 102, 245 Farnese Alessandro 80
Cremona 27 Fava Domenico 18-19, 54
Cruickshank Donald W . 9 Fawkes William 5
Feather John xi
Danza Giulio 170 Febvre Lucien 7, io
Darnton Robert 216 Ferguson Frederic Sutherland 16
Davis Natalie Z. 6, io, 42, 139 Ferrara 2, 8, 79,102,141-3,145,163,245-
Day John 6 6, 257, 266
Dazzi Manlio 27 - Biblioteca Comunale Ariostea 209,
Debenedetti Santorre ix, 4, 8, 40, 51-2, 264
79,163, 213, 250-2, 254-7, 259-61, 264, Field Clive 107
268 Fioravanti Leonardo 56
Del Col Andrea 171 Firenze 5,7,21,23,26-8,76,137,163,215,
De Leyva Antonio 126, 135 218
Dell’Orio, ditta 218 - Biblioteca Marucelliana 198, 207
De Mauro Tullio 23 - Biblioteca Nazionale Centrale 17-
De Nanto Francesco 266 18,124-5, !74) 198,200,203,209,264-5
Destefanis Claudio Michele 220 - Biblioteca Riccardiana 207
Dickens Charles 221 - Palazzo Vecchio 78
Dionisotti Carlo 26, 28, 132, 145, 148, Firpo Luigi 37, 41-2, 215, 218
153, 250 Flamini Francesco 158
Dolet Etienne 123 Flood John L. 9
Domenichi Ludovico 176 Flores Robert M. 9, 46, 55
Dondi Giuseppe 15, 27 Fiorimi Matteo 26
Doni Anton Francesco 123,176-8,180, Foligno 86
192 Fondazione Guggenheim 93
Du Bellay Joachim io Forci 127, 137
Dublino 269-70 Forlì, Biblioteca « A. Saffi » 124
Durham (N.C.), Duke University Li­ Fossati Costante xii
brary 207 Fragnito Gigliola 178
Franceschi Francesco de’ 80
Edimburgo 28 Francesco II di Milano, duca 127, 135,
E ig h te e n t h C e n tu r y S h o r t -t i t l e C a ta lo g n e 267
(E S T C ) 117 Francesco Veneziano 187
E le n c o d e lle o p e r e s t a m p a te e p u b b lic a te in Francia 5, 7, 9-10,15,17,38,130, «59,181,
M i l a n o e n e lle p r o v in c ie lo m b a r d e 2 4 0 - 4 188
E le n c o d e lle o p e r e s t a m p a te e p u b b lic a te in Franco Niccolò 179
276 INDICE DEI NOMI

Francoforte sul Meno, Stadt- und Uni­ Gonzaga Federico, marchese, poi du­
versitätsbibliothek 265, 269-70 ca, di Mantova 247-9
Franklin Benjamin 58 Gonzaga Francesco, marchese di Man­
Frasso Giuseppe xii tova 247-9
Fregoso Federico 171 Gonzaga Ippolita 208
Fugger Johann Jacob 186 Gonzaga Lucrezia 180
Fulin Rinaldo 153 Gonzaga Sigismondo 248
Fulvio Andrea 163 Gran Bretagna v. Inghilterra
Grayson Cecil 24
Gaetano Tizzoni 29 Greg W alter W . 21, 33-6, 89
Gambara Veronica 51, 257 Greif Sebastian v. Gryphius Sebastia­
Garzoni Tommaso 41 n i
Gaskell Philip 1-2, 6-7,14, 34, 37,39,42, Grendler Paul F. 27, 125, 169, 171, 183,
44-5, 47-9, 54, 71, 86, 98,156,164,215, 1 9 1 -3 , 195
217, 224, 260 Griffìo Sebastiano v. Gryphius Seba­
Gasparrini Leporace Tullia 20 s tia n i
Geldner Ferdinand 5, 38 Griffith T. Gwynfor 189
Gelli Giovanni Battista 163 Griffo Francesco 148
Genova, Biblioteca Civica 19 Gritti Andrea, doge di Venezia 247,
Germania 5-7, 9, 136, 186, 190 258, 267
Gerritsen Johan 13, 45 Grossi Tommaso 81, 219
Ghinassi Ghino 29, 56 Gryphius Sebastianus 6, 38, 123, 134-6,
Ghisalberti Fausto 40,59,214,222,225- 181
7, 230, 244 Guevara Antonio de 173
Giacomo I d’Inghilterra, re 28 Guglielmini Vincenzo 222, 233-4
Gilbert Rory 108 Guglielmini e Redaelli, ditta 213, 219-
Gilmont Jean* François 62 21, 231, 234-5, 237-9, 241-2
Ginzburg Carlo 180 Guicciardini Francesco 25
Gioliti, famiglia di tipografi 6, 182 Gutenberg Johann 37, 71
Giolito Gabriele 6,15,27,56,75,80,123,
139, 159 Hegendorff Christoph 134
Giolito Giovanni 27 Hellinga Lotte 12-13, 45, 65, 118, 160,
Giorgetti Vichi Anna Maria 15 163, 215
Giovio Alessandro 176 Hellinga W ytze Gerbens 11-13, 45, 49,
Giovio Paolo 176 160, 163
Giulio II, papa 185 Hinman Charlton 9, 13, 44-5, 53, 105,
Giunta Bernardo 76 253
Giunta Filippo 76, 145 Hinman Collating Machine 53, 105-6,
Giunta Giovanni Maria 159 113, 121
Giunta Jacopo 76 Hofman H.F. n i
Giunta Lucantonio 27 Horden John 1
Giunta Lucantonio, eredi di 76 H y p n e r o to m a c h ia P o lip h ili 51
Giunta Tomaso 159
Giunti, di Firenze, famiglia di tipografi Ricino Bernardo 28
15,52 In c u n a b u la S h o r t -t i t le C a ta lo g u e ( I S T C )
Giunti, di Venezia, famiglia di tipogra- 118
fi 15 In d ic e g e n e r a le d egli in c u n a b o li n e lle b ib lio ­
G off Frederick Richmond 118 tech e d ’I ta lia ( I G I ) 118
Gomez Odoardo 157 Inghilterra 5, 7,16-17, 28, 38, 53, 74, 82,
Gonin Francesco 230-2, 236 117, 215, 221
INDICE DEI NOMI 277
Italia, Corte di Cassazione 116 ---- German Short-title Catalogue 133
- Ministero per i Beni Culturali e ---- Italian Short-title Catalogue 7,16-17,
Ambientali 18 131, 171, 187
---- Istituto Centrale per il Catalogo ---- Marketing Office 118
Unico delle Biblioteche Italiane e - Università di, Birkbeck College 106
per le Informazioni Bibliografi­ Union Catalogue 116
che 90, 118, 122 ---- University College London 9, 28
Longo Francesco 169-70, 172
Jackson William A. 16 Love Harold 120
Jenny Beat R. 6 Lovintus Antiochus 124-5, 127, 137
Jenson Niccolò 5 Lowry Martin J.C. 6, 170
Johnson Alfred Forbes 17 Lucca 128, 136-7
Jolliffe John io, 133 - Biblioteca Governativa 124
Julian Roche Associates 108 Lutero Martino 171, 182

Kirsop Wallace 11, 15, 39 Maas Clifford W . 5


Klein Jean 134 Machiavelli Niccolò 24
Machlinia William de 5
La Forge Etienne de 139 McKenzie Donald F. x, 9,11,14, 32, 45,
Landino Cristoforo 187 48, 151, 160
Landò Ortensio 20, 25, 46, 85, 87, 123- McKerrow Ronald B. 1, 6-7, 33-5, 37,
39, 163, 169-211 46, 48, 54, 89, 156, 260
Lascaris Costantino 148 Madruccio Cristoforo v. Madruzzo
La Spezia-Rimini, linea 23, 26-7 Madruzzo Cristoforo 197, 205-6, 210
Latini Brunetto 131-2 Magliabechi Antonio 18
Laufer Roger 11, 101, 120 Magonza 71
Lazio 23 Malpigli Annibaie 28
Leeds, Università di, Institute o f Bi­ Manchester, John Rylands University
bliography and Textual Criticism 1, Library ix, 107, 123-4, 265
53 ---- Bullock Collection 123, 125, 143,
Le Monnier, tipografìa 216 189, 200, 204, 209, 211
Lemonnier Henri 181 ---- Christie Collection 123-5,198,200,
Leoncini Claudia 119 207, 209, 211
Lepschy Anna Laura xii, 28, 170 Mantova 15, 171, 187, 195, 248-9
Lepschy Giulio xii - Biblioteca Comunale 207
Le Roy Louis 48 Manuzio, famiglia di tipografi 15
Lindstrom Comparator 105 Manuzio Aldo 6,15,26-7,56,84,145-54,
Lione 5-6,10,42,123,127-8,133-5,137-8, 163
169-70, 181-3, 188 Manuzio Paolo 163
Londra 2, 7, 43, 45, 183, 218, 266 Manzi Pietro 16
- Bibliographical Society 33 Manzoni Alessandro 4,51,59,61-2,213-
- British Academy 107 44
- British Library xi, 16, 33, 53, 80,107, Marche 23
117-8,125,134,143,145-6,154,165,175, Marcolini Francesco 15
182, 187, 204, 207, 209-10, 215, 265 Mardersteig Giovanni 51, 148, 223
------- B l a i s e 117-8 Marsiglia 23
---- Catalogue of XVth Century Books Martin Henri Jean 7, io, 31
33-4, 78, 118 Martinus de Ragusia 124-9, 131, 134,138
---- Computer Search Service 118 Mascranico Paolo 128, 191, 197, 205-6,
---- French Short-title Catalogue 133 210
278 INDICE DEI NOMI

Matteo di Cracovia 71 Notary Julian 5


Mayr Caterina 129 Nuova enciclopedia popolare 215, 218
Mazzocchi Giacomo 15, 163 Nuova York 77
Mazzocco Giovanni 246 - Columbia University Library 125,
Mechlin 5 207
Miglio Massimo 26 - Pierpont Morgan Library 51,257,265
Migliorini Bruno 22, 29, 57
Milano 7, 27-8, 76, 81-2,126-7,137> I4I, Oddone Giovanni Angelo 136
214, 216,218,220, 231, 235-6, 240,243- Olanda in
4, 265-6 Oldman C edi 1
- Biblioteca Ambrosiana 143,207,209, Olschki Alessandro 115
211 Orazio 186
- Biblioteca Nazionale Braidense 18, Oxford, All Souls College, Codring-
61, 209, 211, 214, 223, 227, 240 ton Library 265
---- Tesoro manzoniano 227, 230 - St John’s College Library 124
- Biblioteca Trivulziana 19, 209, 211, - Università di 35
264 ---- Bodleian Library 53, 154, 165, 265
- Biblioteca Universitaria 19 ---- Taylor Institution 106, 245
- Stamperia Imperiale Regia 220 ------- Library 207
Millis Jacques de 182 - University Press 78
Modena, Biblioteca Estense 125, 209
Moja Federico 236 Padova, Biblioteca del Seminario 200
M olljaim e 69 - Biblioteca Universitaria 198
Monaco di Baviera, Bayerische Staats- Paesi Bassi 5, 7, 9-11, 160
bibliothek 124-5, 209 Pallier Denis io
Monza 27, 218 Panizzi Antonio xi, 33
Moran James 217-8 Pantzer Katharine F. 16
Moranti Luigi 19 Paolo II, papa 185
Moreau Brigitte io Paolo IV, papa 191
Moreni Domenico 15 Paravia G.B., ditta 218
Morra Niccolò 128, 193 Parent Annie io
Morris William 58 Parenti Marino 214, 219, 221-3, 228-9,
Moxon James 41-2, 46-8, 151, 164 231, 234, 240, 243-4
Muzio Girolamo 158 Parigi io, 26, 38, 98, 183, 231-2
- Bibliothèque Nationale 20, 124-5,
Nadin Lucia 3 200, 203, 209, 211
Napoli 7, 15, 23, 124-9, 134-8, 163, 181 - Bibliothèque Mazarine 207
- Biblioteca Nazionale 18, 124 Parma, Biblioteca Palatina 125,141,198,
- San Giovanni a Carbonara 128 206, 264
Needham Paul 65-6, 71 Pasquali Giorgio 3-4
Neuchâtel, Société Typographique de Pasqualin da San Sebastiano 169-70,173
44-5, 216 Pasquier Etienne 12
Newbigin Nerida 26 Patrizi Francesco 80
New Haven (Conn.), Yale University Patten Robert Lowry 221
Library 125, 198 Pavia, Biblioteca Universitaria 19,124,
Niccolò V, papa 185 207
Niccolò di Lorenzo, tedesco 76 - Università di, Facoltà di Lettere, Bi­
Nicolini Giovanni Antonio, da Sabbio blioteca 252
132 Perugia 28
Norimberga 38 Pesante Sauro 19
INDICE DEI NOMI 279
Pesanti Giuliano 169, 172 Reid S W . 73
Petrarca Francesco 3, 25-6, 28, in , 148, Renouard Antoine Augustin 15,145-7,
190 153
Petrocchi Giorgio 3 Renouard Paul io
Petrucci Nardelli Franca 76 Reusch Franz Heinrich 191, 193
Philadelphia, University o f Pennsylva­ Rhodes Dennis E. 7-8, 15-16, 133, 187
nia Library 125, 198 Ricottini Marsili-Libelli Cecilia 176
Piacenza 181, 183-4, 190, 193 Ridolfì Roberto x
- Biblioteca Comunale 203, 207, 209, Riley David W . 107
211 Riva Franco 37
Piccar dia 181 Roma 5, 7,15,23,27, 32,56,116,129,163
Piccolomini Alessandro 28, 189 - Biblioteca Angelica 124,198,207,209
Piemonte 6, 15, 27 - Biblioteca Nazionale 18, 124, 207
Pigna Giovanni Battista da la 246 Romagna 23
Pirola, tipografìa 220 Romania 23
Pisa, Biblioteca Universitaria 125, 200 Rosenthal Avraham 215
Plantin Christophe 6, 38, 63 Rosso Francesco 2,79,102,142,163,245,
- Ordinanze n-13, 41-2, 45, 48-9, 62, 259, 262, 266
160, 163, 179 Ruffìnello Venturino 186-7, I94> 206
Plantin, tipografìa n , 13 Ruscelli Girolamo 56,157-8,160-1,166-
Plutarco 186-7 7
Po, fiume 23 Russell & Russell Ine. 77
Poggiali Cristoforo 126 Rychner Jacques 45, 47, 216-7
Pole Reginald, cardinale 163
Poliak Michael 65 Sacchi Luigi 231-7
Pollard Alfred William 16, 54 Salò 249
Pomba Giuseppe 37, 215, 218 Saltini Guglielmo Enrico 78
Possevini Giovanni Battista 75, 175 Salza Abdelkader 158
Pozzoli Giulio 37, 42, 50, 216, 223-4 San Marino (Cai.), Henry E. Hunting­
Princeton University Press 77 ton Library 206
Prosperi Adriano 180 Sannazaro Jacopo 24, 153
Pullonjean 6, 182 San Tommaso d’Aquino 71
Pullone Giovanni v. Pullonjean Sapegno Natalino 213
Pynson Richard 5 Sapori Giuliana 19
Savelli Rodolfo 19
Quaglio Antonio Enzo 29 Savonarola Girolamo 172
Quondam Amedeo 32, 54, 56,167,178 Sayce Richard 156
Scève Maurice 124-5, 183
Ragazzoni, famiglia di tipografi 15, 27 Schieppati Carlo 81
Rainerius Joannes 134 Schmidt Adolf 65
Ratcliffe Frederick William 123 Schwab Richard N. 121
Ravegnani Giuseppe 246 Scinzenzeler Giovami’Angelo 15
Redaelli Giuseppe 233-4 Scoti, famiglia di tipografi 159
Redgrave Gilbert Richard 16, 54 Scoto Girolamo 176-7
Reggio Emilia, Biblioteca Municipale Scoto Ottaviano 27
198 Screech Michael A. io
- Biblioteca Provinciale Cappuccini Segre Cesare 252, 260-1, 265, 268
19 Seidel Menchi Silvana 171, 189
Reichenberger Kurt 69 Senofonte 134
Reichenberger Roswitha 69 Serenic Lelia 32
28o INDICE DEI NOMI

Servello Rosaria Maria 119 Torino 37, 81-2, 215, 218


Sessa, famiglia di tipografi 27 Toronto University Library 198
Sessa Giovanni Battista 49, 157, 163-4, Torrentino Lorenzo 5-6, 15, 38, 163
166-7 Torresani, famiglia di tipografi 15,159
Sessa Melchiorre 115, 131-4, 138, 181 Toscana 23
Sessa Melchiorre il giovane 49,157,159, Tramezzini, famiglia di tipografi 16
163-4, 166-7 Trechsel, famiglia di tipografi 6, 134
Sforza Isabella 180-1 Trechsel Gaspard 134-5, I39, 181
Shakespeare William 3,28,33,43,45,53, Trechsel Jean 134
55, 105, 253 Trechsel Melchior 134-5, i39> 181
Shaw David 11, 52 Trento, Biblioteca Comunale 198
Shillingsburg Peter L. 72-3 Treviso, Biblioteca Comunale 125-6,
Sicilia 148 203, 207, 209
Siena 26 Trieste, Biblioteca Civica 19
Silber Eucario 15 Trino 6, 182
Silber Marcello 15, 129 Trivulzio, famiglia 19
Simonetta Giovanni 187 Truchsess Ottone, cardinale 188
Simpson Percy 49 Turchi Francesco 124-5, I27, U7
Soardi Lazzaro de’ 16 Twain Mark 58
Soragna, marchesi di 264 Typographia Medicea 77-8
Soranzo Bernardo 169-70 Tyson Moses 123
Sozzi Bortolo T. 141-2, 144
Spagna 5, 9, 29 Umbria 23
Speight Kathleen 123 Urbana (111.), Illinois University Libra­
Spirito Lorenzo 29 ry 200
Stampa Teresa 231, 233, 235 Urbino, Biblioteca Universitaria 19
Stamperia del Popolo Romano 15
Stanhope, Charles Mahon, visconte Vadianus v. W att Joachim von
217 Valerio Giovan Francesco 29, 56
Stanhope, torchio 37, 42, 217, 218-20, Valgrisi Vincenzo 56, 159
231, 233-6 Valvassore Luigi 159
Stationers’ Register io Vander Meulen David L. 121
Stati Uniti d’America 74, 82, 117, 120 Vasari Giorgio 52
Stella, vedova 243 Vecellio Tiziano 267
Stemeberg Paul R. 121 Veneto 27
Stigliola Felice 163 Venezia 5-7,15, 20, 27-9, 38, 48, 56, 76,
Stoppelli Pasquale xii 80, in , 123,132, 134-5,138-9,154,157,
Strada Antonio 27 159, 163,167, 169, 171-2, 176-7, 180-1,
Sultzbach Giovanni 16, 129 184, 186-93, 196, 201, 203-4, 206, 210,
Svizzera 130, 136 218, 247
- Biblioteca Marciana 20,109,126,198,
Tanselle G. Thomas 36, 63, 67, 69, 73, 200, 203, 206, 209, 211, 264
75, 81, 93-103, 263 - Biblioteca Querini Stampalia 209,
Tasso Torquato 141-4, 163 211
Thackeray William Makepeace 71, 73 - Esecutori contro la bestemmia 169-
The Times 36, 218 72, 190-1
Tinto Alberto 15-16, 129, 132, 207 - Museo Correr, Biblioteca 200
Tiraboschi Girolamo 126 - Riformatori dello Studio di Padova
Tissoni Roberto 70 I9L 193
Tolomeo 134 - T r e savi sopra eresia 191
INDICE DEI NOMI 28i
- Università di in W arrilow Georgina 39
Veneziani Paolo 76 Washington, Folger Shakespeare Li­
Verona 249, 265 brary 53, 105, 126, 206
- Biblioteca Civica 198 - Library of Congress 115-7, 207
Vervliet H.D.L. in - Smithsonian Institution 120-1
Vicenza 195 Watt, Joachim von 182
- Biblioteca Civica 200, 207, 264 W eaver Elissa B. 76
Vindelino da Spira in Weiss Roberto 133, 163
Virginia, Università della 34 W est James L.W., III 74
---- Società Bibliografica 93 Widmanstetter Tohann Albrecht von
Visconti Alessandro 220 128
Viterbo 158 Wilson Edward M. 9
Viviani Antonio di 170 W ing Donald 54
Voet Leon n-13, 42, 45, 50 Wisconsin, Università dello 93
Volpini Giovantonio e Domenico, fra­ Woide Carl Gottfried 78
telli, de’ 189 W orde W inkyn de 5
Voltaire (François Marie Arouet, detto) W orth 5
106
Ziletti Giordano 159
Waitangi (Nuova Zelanda), trattato di Zonca Vittorio 40
(1840) 32
STAMPATO PER LA
EDITRICE ANTENORE • PADOVA • VIA G. RUSCA 15
DA BERTONCELLO ARTIGRAFICHE • CITTADELLA (PADOVA
MARZO I988
MEDIOEVO E UM AN ESIM O

1-2 . M .T. C a s e l l a e G. P o z z i , Francesco Colonna. Biografia e opere.


Vol. I. m .t . c a s e l l a , Biografia.
Voi. II. g . p o z z i , Opere.
3. E.H. W i l k i n s , Petrarch’s Correspondence.
4. B.L. U l l m a n , The Humanism o f Coluccio Salutati.
5. P. L a m m a , Oriente e Occidente nell’alto Medioevo.
6 . V. L a z z a r i n i , Scritti di paleografia e diplomatica.
7. L.D. R e y n o l d s e N.G. W i l s o n , Copisti e filologi.
Terza edizione riveduta e ampliata.
8. R. W e i s s , Medieval and Humanist Greek.
9 . E. R i g o n i , L’arte rinascimentale in Padova.
10. B.L. U l l m a n a n d P.A. S t a d t e r , The Public Library o f Renais­
sance Florence.
11. R. Storia e critica di testi latini.
S a b b a d in i,

12. B. N a r d i , Saggi sulla cultura veneta del Quattro e Cinquecento.


1 3 -1 4 . L. M e s s e d a g l i a , Vita e costume della Rinascenza in Merlin
Cocai.
15. C. B o z z o l o , Manuscrits de traductionsfrançaises d’oeuvres deBocca-
ce, XVe siècle.
16 . F. B r u g n o l o , Il Canzoniere di Nicolò de’ Rossi. I. Introduzione,
testo e glossario.
17-18. Tra latino e volgare. Per Carlo Dionisotti.
19 . D. N o r b e r g , Au seuil du Moyen Age.
20. La Veniexiana, a cura di G. Padoan.
La Biblioteca Capitolare di Monza.
2 1. A . B e l l o n i e M . F e r r a r i ,
22. F. B r a m b i l l a A g e n o , L’edizione critica dei testi volgari.
Seconda edizione riveduta e ampliata.
23. J.-J. M a r c h a n d , Niccolò Machiavelli: I primi scritti politici (1499-
1512).
2 4 . Miscellanea marciana di studi bessarionei.
25. A . F r a n c e s c a n i , Giovanni Aurispa e la sua biblioteca.
26-27. E- F r a n c e s c h i n i , Scritti di filologia latina medioevale.
28-29. Studi filologici, letterari e storici in memoria di Guido Favati.
30. F. B r u g n o l o , Il Canzoniere di Nicolò de’ Rossi. IL Lingua, tecni­
ca, cultura poetica.
31. G. P a d o a n , Momenti del Rinascimento veneto.
3 2. A. B e o l c o il R u z a n t e , I. La Pastoral • La prima Oratione • Una
lettera giocosa, a cura di G. Padoan.
33. Gius. Z ip p e l , Storia e cultura del Rinascimento italiano, a cura di
Gianni Zippel.
3 4 -3 5 .Medioevo e Rinascimento veneto con altri studi in onore di Lino
Lazzarini.
3 6 . I. P a c c a g n e l l a , Le macaronee padovane.
3 7 . C. S c a l o n , La Biblioteca Arcivescovile di Udine.

38-39. F. C o l o n n a , Hypnerotomachia Poliphili, edizione critica e


commento a cura di G. Pozzi e L.A. Ciapponi.
Voi. I. Testo.
Voi. IL Commento.
Ristampa anastatica in formato ridotto con correzioni, una Premessa e un Ag­
giornamento bibliografico.
40. Per Guido Guinizzelli. Il Comune di Monselice (1276-1976).
4 1. A. S a m m u t , Unfredo duca di Gloucester e gli umanisti italiani.

4 2 . F. T r o n c a r e l l i , Tradizioni perdute. La «Consolatio Philoso-


phiae» nell’alto Medioevo.
43. A. B e o l c o il R u z a n t e , III. I Dialoghi • La Seconda Oratione •I
prologhi alla Moschetta, a cura di G. Padoan.
4 4 - 4 5 . Miscellanea Augusto Campana.

46-47. Società, politica e cultura a Carpi ai tempi di Alberto III Pio. Atti
del Convegno Internazionale (Carpi, 19-21 maggio 1978).
48. G. C a n t o n i A l z a t i , La biblioteca di S. Giustina. Libri e cultura dei
benedettini padovani in età umanistica.
49. Vita religiosa, morale e sociale ed i Concili di Split (Spalato) dei seca X-
XI. Atti del Symposium Internazionale di storia ecclesiastica
(Split, 26-30 settembre 1978), a cura di A.G. Matanic.
5 0 . A. M u s s a f i a , Scritti difilologia e linguistica, a cura di A. Daniele e
L. Renzi.
51. R . M a r t i n o n i ,Gian Vincenzo Imperiale politico, letterato e collezio­
nista genovese del Seicento.
52. M. B a n d e l l i Opera latina inedita vel rara, edidit C. Godi.
53. M. T a v o n i , Latino, grammatica, volgare. Storia di una questione
umanistica.
54. Viridarium fiondimi. Studi di storia veneta offerti dagli allievi a
Paolo Sambin, a cura di M.C. Billanovich, G. Cracco, A. Rigori.
55. L’«Elucidarlo ». Volgarizzamento in antico milanese dell’«Elucida-
rium » di Onorio Augustodunense, a cura di M. Degli Innocenti.
5 6 . S. C a t e r i n a V e g r i , Le sette armi spirituali, a cura di Cecilia Fo-
letti.
57. La Calandra. Commedia elegantissima per messer B e r n a r d o D o­
v iz i d a B i b b ie n a , a cura di G. Padoan.
58. Francesco Filelfo nel quinto centenario della morte. Atti del xvii Con­
vegno di Studi Maceratesi (Tolentino, 27-30 settembre 1981).
59. Lorenzo Valla e l’Umanesimo italiano. Atti del Convegno Inter­
nazionale di studi umanistici (Parma, 18-19 ottobre 1984), a cura
di O. Besomi e M. Regoliosi.
60. Parma e l’Umanesimo italiano. Atti del Convegno Internaziona­
le di studi umanistici (Parma, 20 ottobre 1984), a cura di P. M e­
dioli Masotti.
61. A. T i s s o n i B e n v e n u t i , L’Orfeo del Poliziano, con il testo critico
dell’originale e delle successive forme teatrali.
62. Bartolomeo Sacchi il Platina (Piadena 1421-Roma 1481). Atti del
Convegno intemazionale di studi per il v Centenario (Cremona,
14-15 novembre 1981), a cura di A. Campana e P. M edioli Masotti.
63.1primordi della stampa a Brescia 1472-1511. Atti del Convegno in­
ternazionale (Brescia, 6-8 giugno 1984), a cura di Ennio Sandal.
6 4 . M a r t ia n i C apellae De nuptiis Philologiae et Mercurii Liber IX.
Introduzione, traduzione e commento a cura di L. Cristante.
6 5. C. S c a l o n , Libri, scuole e cultura nel Friuli medioevale. «Membra di-
siecta » dell’Archivio di Stato di Udine.
6 6 . C. F a h y , Saggi di bibliografia testuale.

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