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1. Informazione e comunicazione
L’informazione: “una differenza che produce una differenza”
La parola informazione possiede significa3 che spaziano in ambi3 molto diversi tra loro. Nel senso comune
tale termine viene u3lizzato di volta in volta come sinonimo di dato, evento, no3zia, conoscenza, sebbene
ognuna di queste parole abbia in realtà un proprio campo di u3lizzo e un significato specifico.
L’informazione, secondo la prospe?va di Gregory Bateson, verrà considerata come la percezione di una
differenza. Bateson intendeva l’informazione come una differenza che produce una differenza. Questa
definizione va intesa, ad esempio, considerando che la no3zia di una guerra è tale in relazione allo stato di
pace che l’ha preceduta, altrimen3 non sarebbe tale. Affinché vi sia informazione, la differenza deve anche
essere percepita, non per forza solamente dall’essere umano però: le informazioni sono tali, infa?, anche
per gli animali e per le macchine.
Questa concezione di informazione permeKe anche di quan3ficare quanta informazione vi è all’interno di
un messaggio: la quan3tà di informazione contenuta in un qualsiasi messaggio è proporzionale al numero di
messaggi possibili. Inoltre, alle informazioni si possono aKribuire significa3; a volte l’aKribuzione di
significa3 ad una informazione è quasi automa3ca e non richiede par3colari capacità se non quelle acquisite
durante i processi di socializzazione primaria e secondaria. In altri casi il significato diventa un problema
risolvibile solo con pazienza e immaginazione.
Nella nostra vita quo3diana abbiamo a che fare costantemente con una mole impressionante di
informazioni: molte di esse ci appaiano immediatamente chiare, mentre altre rimangono per lungo tempo
in un limbo di significato che può arrivare a togliere il sonno, sopraKuKo quando toccano aspe? importan3
della nostra vita affe?va.
La comunicazione verbale
Il linguaggio verbale caraKerizza l’uomo rispeKo a tuKe le altre specie animali e rappresenta la premessa
per mezzi di comunicazione via via più sofis3ca3 des3na3 ad accompagnare mutamen3 sociali in rapida
accelerazione.
La parola rappresenta l’universo della nostra conoscenza, delimitando le cose di cui possiamo parlare e che
possiamo comunicare ai nostri simili. L’idea di un rapporto casuale tra linguaggio e conoscenza, dove il
primo determina la seconda, è stata formalizzata nella controversa ipotesi della rela;vità linguis;ca di Sapir
Whorf: “tale ipotesi afferma che i parlan3 di lingue diverse sono orienta3 dalla loro lingua verso differen3
3pi di osservazione e differen3 valutazioni di even3 esterni simili: di conseguenza essi giungono, in qualche
modo, a una different visione del mondo”. La lingua, quindi, determinerebbe non solo i modo in cui
parliamo del mondo che ci circonda, ma anche ciò che di questo mondo conosciamo.
L’ipotesi della rela3vità linguis3ca, in questa sua versione più radicale, è fortemente determinista: visto che
anche i pensieri formula3 nella nostra testa sono espressi in una lingua, non potremmo pensare cose per le
quali non abbiamo parole a disposizione. Questa ipotesi, in realtà, viene smen3ta a par3re dalla nostra
stessa esperienza: a ognuno di noi è capitato di non riuscire a esprimere a parole i propri pensieri. Tra l’altro,
a essere espressi con più difficoltà, sono spesso i pensieri più importan3, le intuizioni più brillan3 e crea3ve
che solo in seguito troveranno una formulazione verbale, magari proprio dopo aver spinto verso una
innovazione del linguaggio.
L’ipotesi della rela3vità linguis3ca, in una interpretazione più morbida, ricorda invece che la disponibilità e
l’uso di determinate parole ci spingono a pensare in un modo piuKosto che i un altro. La sociologia si è
occupata fin dalle sue origini delle relazioni che esistono tra linguaggio, conoscenza e struKura sociale. Il
risultato è stata la scoperta di una fiKa trama di interconnessioni che non è possibile riassumere in un’unica
direzione causale. Le forme e i contenu3 della conoscenza umana non possono più essere considera3 come
valori assolu3, ma sono rela3vi e validi limitatamente al contesto storico-sociale in cui si sviluppano. Il
linguaggio svolge un ruolo fondamentale in quanto cos3tuisce il materiale di base con cui la conoscenza
viene edificata.
Decidere come nominare le cose rappresenta una forma importante di potere. Ogni parola, infa?, ha una
connotazione specifica che non è mai legata solamente al suo significato leKerale. Analogamente possiamo
notare come il linguaggio rispecchi e riproduca spesso anche le disuguaglianze di genere, assumendo il
maschile come standard e associando talvolta al femminile un senso che può essere di curiosità, disprezzo o
ironia.
La teoria degli aC linguis;ci è stata formulata dagli anni ’50 da John Langshaw Aus3n e riassume i propri
principi nell’idea che dire è sempre fare. Tale teoria, proponendo una 3pologia degli aspe? perfora3vi di
ogni comunicazione verbale, dis3ngue negli a? linguis3ci tre diversi livelli:
- A? locutori: rappresenta3 dalla semplice azione di pronunciare qualcosa, seguendo le regole del
linguaggio u3lizzato
- A? perlocutori: comprendono le conseguenze dell’aKo linguis3co nei confron3 degli ascoltatori
- A? illocutori: cos3tuiscono azioni che si compiono per il faKo stesso di pronunciare determinate parole
(promesse, ordini, giuramen3, sono tu? esempi di a? illocutori in quanto azioni che si concre3zzano nel
momento stesso in cui le parole vengono pronunciate)
Quando l’analisi del linguaggio verbale viene svolta sul piano sociologico, più che la struKura interna della
lingua si considera il suo rapporto con la comunità che la parla, con il territorio, con le comunità limitrofe,
con altre forme di colle?vità come sta3 nazionali o federazioni a volte in confliKo tra loro. La condivisione
di una lingua, infa?, è spesso un faKore per il mantenimento e il rafforzamento di un’iden3tà colle?va, di
un popolo o una nazione. Le minoranze linguis3che sono in genere anche minoranze etniche e la loro
baKaglia si gioca anche sul terreno della tutela della lingua. La condivisione di una lingua definisce i confini
anche di colle?vità di diverso 3po: lo slang usato in alcuni quar3eri, i gerghi giovanili o linguaggi tecnici di
alcune categorie professionali rappresentano esempi di comunità linguis3che.
Il linguaggio accompagna i mutamen3 della struKura sociale, trasformandosi a sua volta. In un’epoca come
questa di mutamen3 sociali in rapida accelerazione, ci si accorge spesso di non possedere parole adeguate a
descrivere ciò che si vive. Il rinnovamento del linguaggio avviene, oltre che sulla spinta delle grandi
trasformazioni sociali, anche aKraverso il semplice u3lizzo quo3diano individuale. Ferdinand de Saussure,
uno dei fondatori della linguis3ca, ha iden3ficato nella coppie di conce? langue e parole lo scambio che
avviene con3nuamente tra la forma codificata di una lingua e le sue molteplici esecuzioni individuali. La
langue è la lingua ufficiale, ciò che viene insegnato nelle scuole; la parole è la lingue parlata concretamente
da ognuno di noi, con mille sfumature diverse. Tra langue e parole esiste una relazione di 3po circolare:
l’esecuzione materia del nostro parlato dipende dalla langue che abbiamo appreso e che, proprio nella
misura in cui è codificata e condivisa, ci dà modo di essere compresi dagli altri; è l’u3lizzo quo3diano, però,
della parole ciò che rende la lingua qualcosa di vivo e adaKabile.
Questa relazione circolare dove ogni elemento è legato all’altro senza una precisa direzione causale
rispecchi la relazione analoga che lega l’individuo alla società. Ognuno di noi è fortemente condizionato
dalla società mentre a sua volta la società assume le sue forme ogge?ve e is3tuzionalizzate grazie alle
azioni degli individui che la cos3tuiscono.
3. La comunicazione di massa
Dalla prima metà del ‘900, nel panorama degli studi sulla comunicazione si affaccia un nuovo termine:
media, a cui viene aKribuito il significato di mezzo. L’accezione “mass media” è entrata anche nel
vocabolario italiano, a par3re dagli anni ’60 e quindi con un certo ritardo rispeKo al mondo anglosassone,
con il significato di mezzi di comunicazione di massa.
I media si sovrappongono alle pra3che comunica3ve illustrate finora, senza sos3tuirle: per studiare la
comunicazione mediata è necessario quindi tenere presente tuKo quanto è stato deKo a proposito delle
diverse forme del linguaggio, aggiungendo poi i nuovi aspe? porta3 dall’u3lizzo di strumen3 comunica3vi
esterni.
Nelle società occidentali contemporanee una quota al3ssima e crescente della comunicazione che si
produce ogni giorno è di 3po mediato. Alla comunicazione interpersonale, cos3tuita dalla sinfonia di
strumen3 espressivi offer3 dal corpo umano, si affianca la comunicazione che u3lizza e aKraversa artefa?
tecnologici più o meno sofis3ca3. Una persona che oggi entra nell’età adulta ha accumulato una quan3tà
impressionante di conoscenze rela3ve ai campi più dispara3 acquisita aKraverso qualche mass medium.
Non si traKa solo, quindi, di un cambiamento quan3ta3vo, ma anche e sopraKuKo di un cambiamento
rela3vo alla qualità della conoscenza.
- La stampa
La stampa in Europa era conosciuta già intorno al ‘300, però con il metodo della xilografia (tavoleKa incisa
con il testo che riproduceva interamente un e una sola pagina e andava costruita ad hoc per ogni singola
necessità). Quando si parla della grande rivoluzione della stampa inventa intorno al 1456 dall’orafo tedesco
Gutenberg ci si riferisce quindi a una par3colare tecnica: la stampa a caraHeri mobili. Con questa tecnica i
singoli caraKeri sono riposizionabili e riu3lizzabili a piacere in modo semplice e rapido, permeKendo la
produzione di opere su vasta scala e iniziando l’avvicinamento a quelli che diventeranno i mezzi di
comunicazione di massa. La novità di Gutenberg si diffonde molto velocemente in tuKa la Germania e
successivamente nel resto dell’Europa (in Italia si affiancò in un primo momento alla tradizionale a?vità di
lunga e paziente ricopiatura a mano dei libri da parte degli amanuensi). La stampa annuncia il preludio a
una svolta epocale della società europea, che conoscerà in quei secoli la transizione del Medioevo all’età
industriale e al capitalismo. Stampare un libro significa infa? meccanizzare quella che era sempre stata
un’a?vità manuale. Il libro manoscriKo cos3tuisce un’opera unica, diversa da qualsiasi altra, irripe3bile. Al
contrario, il libro stampato rappresenta ciò che è stata efficacemente definita la prima merce uniforme e
ripe3bile: può essere prodoKo in serie aKraverso un procedimento sempre uguale, che garan3sce risulta3
omogenei e gli eleva3 cos3 di impianto dei macchinari vengono ammor3zza3 con la creazione di un altro o
al3ssimo numero di prodo?. Il libro si trasforma così da oggeKo sacro a oggeKo di consultazione. La
diffusione della stampa a caraKeri mobili si accompagna, oltre che al mutamento economico, anche a una
trasformazione di enorme portata delle forme di conoscenza e del sistema culturale.
La Riforma protestante col3vò ed estese le implicazioni religiose di questa profonda innovazione, ma più in
generale possiamo dire che la stampa diede una grossa spinta a una riforma culturale e non solamente
religiosa. Si costruirono le varie leKerature nazionali; le stesse lingue volgari conobbero una
standardizzazione tale che le condusse a proporsi come collante capace di unificare un intero popolo, che
poteva in questo modo immaginarsi come un’unica comunità pur non conoscendosi direKamente tra
singole persone. Dall’alba del conceKo moderno di Stato nazionale e, in seguito, del sen3mento
nazionalista. L’individualismo nazionale moderno nasce sulle spalle del senso comunitario medievale: i libri
porta3li di piccolo formato accentuarono il caraKere in3mo e individuale della leKura. Per la società
europea cominciava un processo di detribalizzazione.
La scienza prese nuovo slancio grazie alla stampa divenne possibile riprodurre tes3 tecnici senza gli errori
frequen3 nella ricopiatura a mano. Divenne possibile anche un vero archivio della conoscenza, la sua
accumulazione e l’idea di progresso scien3fico per passi successivi. TuKo questo, sommato alla crescente
alfabe3zzazione dovuta alla diffusione dei libri su larga scala, permise la nascita della scienza moderna
separata dalla magia e dalla religione.
La cristallizzazione del sapere nella forma di un libro stampato introduce un conceKo all’epoca del tuKo
nuovo: quello di autore. Prima della stampa la figura dell’autore era del tuKo marginale. Le opere non
prevedeva un posto di rilievo per il loro autore. Non esisteva la figura di colui che scrive un libro ex novo e lo
pubblica con il proprio nome in coper3na. Accanto al conceKo di autore nasce quello di proprietà
intelleKuale: copiare un libro diventa, ora, un abuso. Modificare a proprio piacimento il testo di un libro
aggiungendo commen3, anch’essa fa3ca comune degli amanuensi, diventa a sua volta esecrabile portando,
nel 1709, alla nascita in Inghilterra della prima legge sul copyright.
La stampa prese presto anche la strada dell’informazione, infa? tra ‘600 e ‘700 si diffondono giornali
quo3diani e se?manali che riportano regolarmente no3zie provenien3 da paesi lontani. La stampa
periodica iniziò a ospitare anche la comunicazione di idee e programmi poli3ci, proponendosi come
un’arena virtuale di discussione aperta potenzialmente a tu? i ciKadini.
Alla fine del ‘700, si inizia a parlare di sistema dei media riferendosi all’insieme di libri, giornali, riviste ma
anche alla rete della loro distribuzione e ai luoghi della leKura. Nel suo complesso questo sistema
rappresenta l’aKo di nascita dell’opinione pubblica, intesa come diba?to razionale, liberale e cri3co
animato da alcuni seKori della società civile indipendentemente l’autorità statale. L’idea che il sistema dei
media rappresen3 uno spazio virtuale di confronto e di incontro tra opinioni diverse è stata ripresa più
volte. La nozione di Habermas di sfera pubblica come luogo intermedio tra società civile e stato cos3tuisce il
punto di partenza della società occidentale propriamente moderna. Anche la stampa ha generato sospe? e
diffidenze da parte di chi scorgeva nei libri una minaccia all’ordine cos3tuito.
Come nel caso della scriKura, anche nel caso della stampa furono mosse cri3che, sopraKuKo soKo forma di
censura, che non era mossa esclusivamente da mo3vi religiosi.
- Le telecomunicazioni
La diffusione delle no3zie su lunghe distanze subiva inevitabilmente abissali ritardi rispeKo a oggi.
Qualunque informazione doveva essere trasportata con il suo supporto fisico fino a des3nazione. La storia
della comunicazione umana vede diversi tenta3vi di superare il pesante vincolo delle distanze fisiche allo
scopo di comunicare più velocemente. Uno degli apparecchi più efficien3 era il telegrafo o?co: un sistema
di segnalazione cos3tuito da grandi lanterne semaforiche poste in cima ad apposite torri ereKe in
successione a distanze opportune.
Lo sviluppo delle re3 ferroviarie, associato alle prime applicazioni della nascente eleKricità, rese possibile un
nuovo, grande salto qualita3vo negli strumen3 di comunicazione: il telegrafo. Le linee telegrafiche resero
possibile, per la prima volta nella storia dell’uomo, la separazione tra il mondo dei traspor3 fisici e quello
della comunicazione.
Il codice Morse è uno dei primi esempi di codice binario, simile ai linguaggi per computer: ogni cifra e ogni
leKera dell’alfabeto viene trasmessa sul cavo eleKrico del telegrafo conver3ta in successioni di pun3
consentendo una velocità di trasmissione s3mabile in circa quaranta parole al minuto.
Il telefono, realizzato in forma di proto3po nel 1856 da Antonio Meucci, rispeKo al telegrafo, è più facile e
intui3vo: non c’è quasi nulla da imparare, per u3lizzarlo è sufficiente la voce umana, non è richiesto
personale specializzato nella trasformazione dei messaggi in codici par3colari e l’unico intermediario umano
fu, nei primi tempi, il centralinista al quale si chiedeva il collegamento con l’utente desiderato. Con il tempo,
il telefono si è rivelato anche uno strumento di comunicazione domes3co, diffondendosi in tuKe le case.
L’irruzione del telefono nella vita quo3diana generò il medesimo coro di cri3che e sospe? che ha
accompagnato la storia dei mezzi di comunicazione, dall’invenzione della scriKura a internet. An3cipando
con straordinaria puntualità quanto sarà poi deKo riferendosi a internet, si iniziò anche a parlare di rea3
telefonici e a ipo3zzare connessioni tra operatori telefonici e malavita organizzata.
Le re3 ferroviarie, telegrafiche e telefoniche sviluppate nel corso del XIX secolo hanno comportato, come si
è deKo, una repen3na riduzione delle distanze geografiche. IntraKenere regolarmente rappor3 con persone
situate a diverse migliaia di chilometri di distanza comportava nuove esigenze di pun3 di riferimento
comuni. Nel 1884, infa?, la Conferenza internazionale sui meridiani si impiegò ad usare il meridiano di
Greenwich come punto di partenza per la suddivisione del pianeta in 24 fusi orari. Ciò ha sancito un nuovo
3po di esperienza che Thompson ha chiamato simultaneità despazializzata: “nei preceden* periodi storici,
l’esperienza della simultaneità (ossia, del verificarsi nello stesso istante di due o più avvenimen*)
presupponeva un luogo specifico al cui interno gli individui potessero sperimentare la contemporaneità degli
accadimen*. La simultaneità presupponeva il luogo; lo stesso tempo richiedeva lo stesso posto. Ma con lo
sganciamento di spazio e tempo prodoAo dalle telecomunicazioni, l’esperienza della contemporaneità si è
separata dalla condizione spaziale di un ambiente comune. È diventato possibile sperimentare come
simultanei even* che pure accadono in luoghi spazialmente lontani. In contrasto con la concretezza del qui e
ora, è emerso un senso del momento presente non più legato ad alcun luogo par*colare. La simultaneità si è
estesa nello spazio fino a diventare globale”.
Il passo successivo fu la radio, proposta agli inizi del ‘900 principalmente da Guglielmo Marconi. Le prime
applicazioni della radio furono orientate al mondo militare e in par3colare alla comunicazione con e tra le
navi da guerra. Il faKo che, però, il segnale radiofonico fosse potenzialmente ricevibile da chiunque, era
visto come uno spiacevole inconveniente: si tentò, per questo, di raggiungere ricorrendo a tecniche
criKografie sempre più sofis3cate in grado di rendere incomprensibili i messaggi che raggiungevano gli
apparecchi riceven3 del nemico.
Fu solo dopo la prima guerra mondiale che ci si rese conto di come la diffusione delle onde radio potesse
cos3tuire la base di un nuovo modo di fare comunicazione. Questa nuova modalità comunica3va fu indicata
con il termine broadcast. La comunicazione broadcast geKa il messaggio nell’ambiente circostante, senza
avere un des3natario preciso. Nel caso della radio ciò significò la trasformazione del nuovo medium da
strumento di comunicazione punto-a-punto a quelle che sarebbero diventate le prime stazioni radiofoniche
così come le intendiamo oggi. Quello che fino a quel momento era considerato un bene di tu? e
inesauribile diventa un patrimonio finito e amministrato dallo Stato in quanto cosa pubblica. Si pone quindi
la ques3one delle licenze necessarie per occupare in esclusiva una certa frequenza.
Si può dire che la radio presenta il primo vero mass medium: la sua pervasività la fa entrare in tuKe le case a
qualsiasi ora, si rivolge a persone di qualsiasi astrazione sociale, il suo ascolto non impegna eccessivamente
e non è incompa3bile con i normali lavori quo3diani. Il passaggio alla televisione fu quasi scontato; inoltre, il
sistema televisivo conobbe una crescita molto rapida.
Si arriva così a definire il processo della comunicazione di massa come qualcosa di fondamentalmente
dis3nto dagli altri 3pi di comunicazione, dotato di alcune peculiarità: la comunicazione di massa si basa su
organizzazioni complesse per produrre e diffondere messaggi indirizza3 a pubblici molto ampi e inclusivi,
comprenden3 seKori estremamente differenzia3 della popolazione.
c) Usi e gra3ficazioni
A par3re dal secondo dopoguerra l’interesse degli studiosi non è più rivolto alla valutazione degli effe? sui
singoli individui di campagne comunica3ve par3colari, mirate a obie?vi specifici e ben iden3fica3. Al
contrario, diventa evidente che i media si avviano a rappresentare una presenza stabile e fondamentale
nella società del XX secolo. I mezzi di comunicazione di massa si affiancano alle altre is3tuzioni e diventano
agen3 di socializzazione oltre che veicoli di mutamento nella loro azione quo3diana, al di là di specifici
obie?vi o degli interessi strategici delle singole emiKen3.
La mass communica3on research statunitense evolve all’interno della corrente sociologica del periodo: lo
struKural-funzionalismo.
La sociologia funzionalista legge i media alla luce delle loro funzioni, ovvero di quanto e come riescono a
soddisfare i bisogni dei vari soKosistemi della società; il conceKo di funzione innesca uno spostamento di
prospe?va rispeKo a quello di obie?vo. Il conceKo di funzione, infa?, introduce la possibilità che l’azione
dei media abbia delle conseguenze di portata più generale, non sempre direKamente misurabili e
sopraKuKo potenzialmente difformi dalle aspeKa3ve di chi costruisce i messaggi. Un qualunque prodoKo
mediale può avere, infa?, oltre agli effe? per i quali è stato realizzato, anche effe? imprevis3 o
indesidera3 che si possono manifestare su periodi medi o lunghi e non solo nel breve termine.
Nell’ambito di questo quadro generale nasce un par3colare approccio alla comunicazione di massa; la
prospe?va usi e gra;ficazioni, che si sviluppa in modo rela3vamente autonomo presentandosi come una
delle principali teorie sui mass media della seconda metà del XX secolo. La funzione dei media viene
assimilata all’uso strumentale che il pubblico fa dei mezzi di comunicazione di massa, al fine di soddisfare i
propri bisogni e di riceverne così una gra3ficazione. Questo comporta un sostanziale rovesciamento del
punto di vista adoKato finora.
Qual è la natura dei bisogni che trovano soddisfazione aKraverso la fruizione mediale? Si pensi alle diverse
mo3vazioni che spingono ad accendere la tv: potrebbe traKarsi della necessità di tenersi informa3. Ma i
bisogni che trovano gra3ficazione nei media possono essere anche di altro 3po, talvolta più difficili da
ammeKere ma sociologicamente perfino più importan3 dei primi. Alcuni prodo? mediali offrono modelli di
comportamento e s3li di vita da cui trarre ispirazione, rispondendo così ad un bisogno che si potrebbe dire
di costruzione dell’iden3tà. I media, poi, soddisfano anche bisogni di affermazione di valori condivisi, sia che
si tra? di valori tradizionali che si tra? di valori specialis3ci e di nicchia. Ci si può rivolgere ai media, inoltre,
per rispondere a bisogni di relazione, che vengono vissu3 aKraverso le vicende personali dei protagonis3
dei tan3 programmi che giocano sulle emozioni e sugli affe?. infine, il bisogno che trova gra3ficazione nei
media può anche essere semplicemente quello di passare il tempo, di diver3rsi ed evadere dallo stress
quo3diano.
La gra3ficazione dei bisogni avviene aKraverso la fruizione di prodo? mediali ben precisi, ma può avvenire
anche aKraverso la fruizione mediale in sé indipendentemente dal contenuto fruito. Dal punto di vista degli
usi e gra3ficazioni, quindi, gli effe? della comunicazione di massa non dipendono solo dal contenuto del
messaggio, ma sono streKamente lega3 ai contes3 materiali sogge?vi della loro fruizione: per alcune
persone guardare la televisione può significare di per sé ritagliarsi un momento di riposo.
La concezione del pubblico come soggeKo a?vo, unita all’importanza che assumono i contes3 della
fruizione allontanano la prospe?va degli usi e gra3ficazioni da un paradigma comunica3vo di 3po
informazionale. La comunicazione inizia a essere vista come una costruzione condivisa di significato, cui il
pubblico partecipa a pieno 3tolo.
Nelle sue formulazioni più recen3, il processo in base al quale il pubblico usa strumentalmente i media per
gra3ficare i suoi bisogno è rappresentabile come un processo circolare di influenza reciproca tra struKura
sociale, caraKeris3che individuali, modelli di consumo dei media e comportamen3 sociali in genere. Se è
vero che il pubblico diventa parte a?va, è altreKanto vero che i suoi gus3 e le sue preferenze mediali
derivano anche dalla società nei suoi vari soKosistemi, la quale a sua volta è influenzata dalle azioni
individuali, ivi comprese le modalità di fruizione dei media.
f) La Scuola di Toronto
La Scuola di Toronto vede la sua figura centrale in Marshall McLuhan. Le basi di partenza di ques3 autori
possono essere riassunte in un approccio allo studio dei media fortemente interdisciplinare, in
un’aKenzione nei confron3 dei mezzi di comunicazione concepi3 come ambiente ecologico umano, in una
decisa tendenza a considerare la tecnologia come una variabile indipendente nello studio dei processi di
mutamento sociale. La tecnologia viene vista come il motore del mutamento, una forza autonoma capace di
spingere la società in una direzione piuKosto che in un’altra o addiriKura determinare la direzione del
mutamento.
Ogni tecnologia, secondo la Scuola di Toronto, porta con sé un bias, cioè una tendenza verso una specifica
organizzazione delle forme trasmissive del sapere, che a loro volta condizionano le struKure poli3che ed
economiche della società. Tali tendenze possono favorire una trasmissione della conoscenza che predilige la
dimensione dello spazio o quella del tempo.
McLuhan studia in par3colare l’impaKo della stampa e dei media eleKrici sulla psiche umana, impaKo che si
manifesta a un livello molto profondo. Egli arriva a presentare il passaggio dalla cultura orale a quella
alfabe3ca, alla stampa e infine ai media eleKrici come vere e proprie mutazioni antropologiche della specie
umana. I media vengono considera3 come estensioni dell’uomo, come prolungamento dei suoi sensi: la
scriKura rappresenta da questo punto di vista un’estensione della memoria, così come il telefono si può
considerare un’estensione nello spazio della voce e dell’udito; l’automobile rappresenta l’estensione di piedi
e gambe.
Tu? i media sono considera3 estensioni del sistema nervoso e il fisico dell’uomo, ma anche estensioni di
consapevolezza. La scriKura implica la scomposizione del pensiero in singole unità di significato
indipenden3 dal contesto e da un sen3re comune condiviso: la scriKura detribalizza e decolle?vizza la
società rendendo possibile la nascita di una coscienza individuale. La stampa amplifica gli effe? della
scriKura permeKendo l’avvio della scienza moderna, ma anche un certo 3po di categorizzazione mentale
basata su tabelle, indici e note. I media eleKrici ed eleKronici, oggi, innescano ulteriori cambiamen3 che
McLuhan iden3fica nella fine delle grandi narrazioni e delle grandi ideologie, nella riduzione della vita
sociale del pianeta a quella di un unico, grande villaggio: è la metafora del villaggio globale.
Accanto al villaggio globale troviamo la suddivisione in media caldi e media freddi: i media caldi sarebbero
quelli che saturano un solo senso con informazioni del fruitore, come il cinema o la radio; i media freddi
offrono informazioni che si potrebbero definire a bassa definizione, colpiscono tu? i sensi umani ma
richiedono la partecipazione a?va e il coinvolgimento del des3natario per dare un senso alla
comunicazione (televisione e telefono). La temperatura di une medium non è legata solo alle sue
caraKeris3che tecnologiche, ma anche al contesto e al 3po di esperienze con cui tale mezzo viene vissuto:
ad esempio, la televisione è fredda nel caso di un talk show, ma si riscalda quando trasmeKe un film
d’autore.
L’espressione più famosa di McLuhan è “il medium è il messaggio”: il vero messaggio di un medium è nel
mutamento che produce, indipendentemente dal suo contenuto.
Secondo la Scuola di Toronto, i mezzi di comunicazione moderni come la radio, la televisione e internet
hanno modificato e stanno modificando la società in un modo che non dipende dal loro contenuto. La
nascita del villaggio globale non dipende dalla natura dei programmi effe?vamente trasmessi dalla
televisione, ma proviene direKamente dalle caraKeris3che struKurali della par3colare configurazione
ambientale dei media contemporanei. Per McLuhan il contenuto di un medium consiste sempre in un altro
medium. Ogni nuovo mezzo di comunicazione che fa la sua comparsa nella società non sos3tuisce i media
già esisten3, ma tende piuKosto ad inglobarli.
Joshua Meyrowitz a?nge sia da McLuhan che da Goffman per mostrare come i media eleKronici
modifichino la nostra percezione dello spazio, dandoci la possibilità di accedere a situazioni nuove o
precedentemente precluse.
Una cri3ca fondamentale mossa alla Scuola di Toronto è quella di essere permeata da un forte
determinismo tecnologico, ovvero una tendenza a trovare nella tecnologia in sé le cause sufficien3 e
necessarie del mutamento sociale. La relazione tra tecnologia e società è ben lontana dall’assumere una
forma causale in cui la prima determina la seconda, configurandosi piuKosto come un sistema complesso
all’interno del quale la comunicazione con3nua a svolgere un ruolo mul3forme.
La nascita del pubblico in quanto tale risale a ben prima della diffusione dei mass media: nella Grecia e
Roma an3che esisteva già il pubblico. Le prime espressioni di pubblico risalgono infa? in occasione di
riunioni fisiche situate in un certo luogo: il pubblico del Colosseo, per esempio, è una colle?vità localizzata
nello spazio e nel tempo, accomunata da uno stesso background, che condivide la visione di uno stesso
speKacolo ed è in parte capace di determinare la sorte dei suoi eroi. In questo caso sarebbe più appropriato
parlare di folla espressiva, definibile come caso limite di pubblico. La platea delle manifestazioni ludiche e
culturali della classicità, quindi, an3cipa le caraKeris3che del pubblico di massa più frammentato,
individualizzato, priva3zzato e diffuso, generato dall’avvento dei mass media.
Il primo vero pubblico di massa si registra tra il ‘400 e il ‘500 con l’introduzione del libro stampato. Solo
allora il pubblico può disgregarsi da una pra3ca colle?va fisicamente condivisa e consumare il testo
privatamente all’interno delle mura domes3che. Il pubblico, sempre più diversificato, viene dis3nto sia per i
contenu3 scel3 che per le sue caraKeris3che di classe, status e istruzione. Questo processo segue uno
sviluppo costante nei secoli fino a quando, alla fine dell’800, il mondo dell’editoria si trasforma in
un’industria su larga scala. Contemporaneamente si sviluppa l’industria della pubblicità, i cui proven3
rendono più accessibili i quo3diani, le riviste popolari e anche i libri. La pubblicità rivaluta l’importanza
anche economica di conoscere nel deKaglio le caraKeris3che del pubblico, con l’ovvio obie?vo di costruire
messaggi il più possibile efficaci e convincen3, taglia3 su misura per un pubblico specifico e preciso. La radio
e la televisione accentuano il conceKo di ricezione dispersa, priva3zzata: il modello di comunicazione
broadcast 3pico dei mass media infa? prevede di lanciare il messaggio senza selezionare a priori da chi
verrà raccolto. Radio e televisione, poi, portano a compimento la defini3va liberazione del pubblico dalla
necessità di una precisa collocazione fisica: quella che è stata chiamata simultaneità despazializzata rende
perfeKamente normale per il pubblico dei media il faKo di costruirsi e interagire senza condividere un luogo
fisico.
Con le prime ricerche empiriche degli anni ’50 l’idea del pubblico-massa crolla, travolta dalla scoperta che i
riceven3 formano in realtà un’aggregazione diversificata, che reagisce agli s3moli dei media in modi diversi
e personali. AKraverso studi sulla ricezione sele?va e sull’importanza dei leader d’opinione, inizia ad
affermarsi l’immagine del pubblico a?vo, diversificato al suo interno e composto da insiemi omogenei in
base a caraKeris3che rilevan3: è un pubblico che sceglie e che condiziona retroa?vamente con i suoi gus3
anche la stessa offerta mediale. Il riscaKo del pubblico si completa con i Cultural studies, secondo i quali
questa en3tà viene considerata una comunità interpreta;va, caraKerizzata da interessi comuni durevoli,
condivisione di caraKeris3che sociodemografiche e da legami reciproci dire?. Si conferma, in questo modo,
l’esistenza di diversi pubblici, guida3 nelle loro scelte da specifiche preferenze e dal proprio capitale
culturale e in cui risulta fondamentale la cornice sociale in cui avviene la fruizione.
Ogni fruitore è capace di decodificare qualsiasi testo, acceKando, negoziando o rifiutando la leKura
egemonica offerta dal testo: ciascun membro del pubblico coinvolge il proprio par3colare profilo culturale,
in par3colare modo di classe, e l’insieme di competenze a esso collegate.
L’approccio etnografico considera il consumo dei media come pra3ca sociale, inserita e riu3lizzata nel
quo3diano, che acquista significato se relazionata ad altre a?vità che caraKerizzano il giorno per giorno di
ciascuno.
Verso la fine del ‘900, le crescen3 pressioni economiche per conoscere nel deKaglio le caraKeris3che dei
diversi pubblici hanno spinto verso lo sviluppo di complesse metodologie quan;ta;ve.
Anche il lessico si è ulteriormente specializzato: accanto al conceKo di pubblico si diffondono quello di
audience e target. L’audience si riferisce a un pubblico quan3ficato, rilevato numericamente secondo
metodi e criteri cer3fica3 e verificabili. Essa viene descriKa aKraverso variabili sociodemografiche che ne
specificano il caraKere e in termini di u3lizzo del medium. Si parla invece di target quando ci si riferisce a un
gruppo specifico, un bersaglio cui indirizzare un prodoKo. Esso presenta caraKeris3che par3colari, sia in
termini di variabili sociodemografiche sia per gli s3li di vita.
Lo strumento di misurazione dell’audience più noto è il sistema Auditel. Esso è specificamente orientato al
pubblico televisivo, nasce fondamentalmente per soddisfare i bisogni commerciali di sogge? diversi: i
creatori dei programmi, gli inves3tori pubblicitari e i giornalis3. Auditel è un organismo quindi tripar3to che
riunisce le tre componen3 del mercato televisivo: gli inves3tori, le agenzie e i centri media, le imprese
emiKen3.
Auditel misura gli ascol3 televisivi, minuto per minuto, rela3vi a programmi e spot pubblicitari trasmessi
dalle emiKen3 nazionali e locali in Italia; si basa su un campione rappresenta3vo della popolazione italiana
comprendente 16000 famiglie residen3 in Italia che acceKano di entrare a far parte del sistema. Vengono
rileva3 sia gli ascol3 della famiglia intera, sia quelli dei singoli individui. TuKo questo avviene grazie a uno
strumento chiamato meter: una scatola collegata agli apparecchi televisivi presen3 nell’abitazione, che
registra i cambiamen3 di status e di canale di tu? i disposi3vi. L’unico compito richiesto ai componen3 della
famiglia è segnalare la propria presenza individuale aKraverso l’uso del push buKon, un telecomando
speciale che iden3fica ogni componente ed eventuali ospi3 presen3 alla visione: l’utente deve solo
segnalare l’inizio e la fine della sua visione.
Dopo aver raccolto tuKe le informazioni di una giornata, il meter le invia al computer centrale che valida i
da3, li pesa sta3s3camente e li generalizza. I da3 vengono poi incrocia3 con i palinses3 delle singole
emiKen3 e resi disponibili.
Auditel cos3tuisce un’esperienza italiana e, per ampiezza e ar3colazione, è uno dei sistemi più ampi e
comple3 a livello internazionale. Esistono però anche altri sistemi di rilevazione audiometrica sviluppa3 per
misurare l’audience di media diversi dalla televisione (Audipress per la carta stampata, Audimovie per il
cinema, Radiostat per la radio in streaming e Audiweb per internet e contenu3 online).
I sistemi di rilevazione audiometrica come Auditel non misurano né la qualità di un programma, né il
gradimento dello stesso da parte del pubblico, né le mo3vazioni che possono spingere un utente alla
visione. Anche per questo ci si interroga sulla ques3one della mercificazione e della deumanizzazione degli
speKatori, rido? a indici di ascolto, i quali definiscono il prezzo concordato a cui il pubblico e le re3
comprano e vendono merce-audience. L’importanza di conoscere l’audience per le is3tuzioni mediali è
deKata dal faKo che i membri del pubblico sono due volte consumatori potenziali in quanto consumano i
programmi televisivi e acquistano i prodo? pubblicizza3 aKraverso gli stessi programmi; per questo mo3vo,
la cri3ca che si rivolge a tuKa l’industria mediale è quella di trasformare i telespeKatori in un pezzo di
informazione commerciale, ovvero in indici di ascolto.
b. I differenziali di conoscenza
Il modello dei differenziali, o scar;, di conoscenza è stato tra i primi in ordine di tempo nel corso della
seconda metà del ‘900, ad aKribuire nuovamente ai media effe? poten3, misura3 sul lungo periodo.
Questo modello trova le sue premesse nell’idea che l’informazione sia diventata essa stessa una risorsa
fondamentale; tale teoria evidenzia come all’epoca vi fosse la tendenza a ricercare nella possibilità di
accesso alle informazioni una nuova fonte di disuguaglianza sociale, economica e poli3ca.
Se l’informazione viene considerata come la nuova ricchezza, è opinione comune che il processo di
progressiva espansione dei mezzi di comunicazione di massa contribuisca a una redistribuzione
dell’informazione in senso egualitario: i mezzi popolari, trovando vasta diffusione proprio in quei seKori
della popolazione rimasi esclusi dai flussi informa3vi di più difficile accesso, agirebbero alla stregua di
equalizzatori informa3vi. TuKavia, la teoria degli scar3 di conoscenza contraddice questa opinione comune,
in quando secondo questo modello la sempre maggiore diffusione dei media accentua le disuguaglianze tra
gruppi sociali poveri e gruppi sociali ricchi di informazione.
I mo3vi per cui i divari di conoscenza crescono invece di diminuire vanno ricerca3 in diversi faKori, tra i quali
possono essere elenca3 la mo3vazione ad acquisire nuove informazioni, la capacità di elaborare in modo
u3le le informazioni che si ricevono e l’accesso a tecnologie che garan3scono rifornimen3 supplementari di
risorse informa3ve. Tu? ques3 faKori si presentano in misura maggiore proprio tra chi ha già accesso a
notevoli quan3tà di informazioni, innescando un processo di feedback posi3vo e di accrescimento ulteriore
delle conoscenze. Le nuove tecnologie, sa da una parte hanno rappresentato i protagonis3 principali
dell’abbondanza informa3va di ques3 ul3mi decenni, dall’altra parte secondo questo modello hanno
accentuato il processo di ampliamento degli scar3. Tecnologie complesse sono u3lizzate sopraKuKo da chi
ha già accesso a un buon numero di altre tecnologie. Al contrario, chi è escluso, per mo3vi culturali o
economici, dalle tecnologie di base, lo sarà ancora di più da quelle maggiormente sofis3cate.
Tale modello non afferma che i poveri diventano ancora più poveri e i ricchi ancora più ricchi, ma
semplicemente denuncia il faKo che il generale accrescimento delle conoscenze avviene con velocità
diverse. I divari crescen3, poi, non riguardano indifferentemente qualunque 3po di conoscenza, ma si
manifestano sopraKuKo sui temi ignora3 dai media a grande diffusione.
Infine, le formulazioni più sofis3cate di questo modello non assumono come base degli scar3 la pura e
semplice disponibilità di informazioni, ma considerano piuKosto le capacità cogni3ve di u3lizzare le
informazioni in modo cri3co senza restarne sommersi; ovvero, la capacità di fare fronte al cosiddeKo
sovraccarico informa;vo. Il modello sta conoscendo oggi una nuova fortuna applicato ai media digitali: il
divario digitale (digital divide) di cui si parla oggi non è altro che una rivisitazione del vecchio modello degli
scar3 di conoscenza.
d. La col3vazione televisiva
La teoria della col;vazione si rivolge agli effe? a lungo termine del mezzo televisivo, inteso come più
potente degli altri media a causa delle sue caraKeris3che peculiari. In questo caso non si considerano le
conseguenze di programmi o contenu3 mediali specifici, quanto piuKosto l’impaKo a lungo termine della
costruzione della realtà presentata dalla televisione nel suo complesso. La col3vazione si riferisce proprio
alle rappresentazioni della realtà graduali e cumula3ve elaborate nel corso del tempo in seguito alla
fruizione televisiva. Secondo i sostenitori di questa teoria il pubblico assorbe gradualmente nel tempo le
concezioni della realtà presentate dalla televisione, che vanno a sos3tuire la realtà vissuta nella vita di tu? i
giorni. Questa sos3tuzione di realtà avviene in misura proporzionale al consumo televisivo: i for3
consumatori di televisione mostrano gli effe? più eviden3.
La teoria considera in modo par3colare la fic3on, quindi l’insieme di film, telefilm, soap opera e sit-com, in
quanto propone un mondo faKo di ruoli stereo3pa3, emozioni, comportamen3, rappor3 di un certo 3po.
Ques3 vengono col3va3 negli speKatori, che finiscono per credere di vivere nella realtà proposta dalla
televisione, applicando nella loro vita quo3diana quegli stessi modelli.
Le ricerche empiriche si sono dedicate in par3colare a verificare gli effe? della violenza presentata sullo
schermo. I risulta3: i for3 consumatori di televisione, interroga3 dai ricercatori circa la pericolosità e il livello
di violenza percepi3 nella loro ciKà, si sono dimostra3 molto più ansiosi degli altri. Si può quindi dire che chi
guarda molta televisione sembra mostrare una percezione della diffusione della violenza largamente
sovras3mata, riconducibile alla quan3tà di violenza rappresentata nella fic3on dal mezzo televisivo. I
telespeKatori abituali sembrano essere anche più insoddisfa? del proprio s3le di vita, più lega3 a stereo3pi
riguardo i ruoli sessuali, meno consapevoli della reale diffusione delle classi medie. La teoria della
col3vazione televisiva ha il merito di spostare l’aKenzione dagli effe? di singoli programmi mediali,
all’azione complessiva dei media come agen; di socializzazione e costruKori di realtà a lungo termine.
L’effeKo di col3vazione sostenuto dal modello è anche pericolosamente vicino ai più banali luoghi comuni
sulla televisione: in par3colare l’idea che a lungo andare si finisce per credere a tuKo quello che dice la
televisione, o il 3more che i bambini espos3 a telefilm violen3 trasferivano poi automa3camente quella
stessa violenza nei loro rappor3 interpersonali.
Oggi sappiamo che il pubblico non è mai completamente passivo, ma al contrario soKopone i contenu3 di
cui fruisce a molteplici processi di interpretazione, rielaborazione e mediazione, tramite le proprie re3 di
conoscenze interpersonali. Sostenere un puro e semplice effeKo di sos3tuzione di realtà appare dunque
anacronis3co, se non vengono coinvolte altre variabili. La stessa fruizione non può essere descriKa in
termini solamente quan3ta3vi ma è necessario interrogarsi sulle modalità qualita3ve di questa fruizione e
sui rappor3 tra le frazione del mezzo televisivo e consumo di altri mezzi di comunicazione.
Infine, rimane aperto il tradizionale problema metodologico di imputare una direzione causale precisa al
nesso esistente tra forte consumo televisivo e sos3tuzione di realtà: piuKosto che sostenere che la
televisione provoca nelle persone una maggiore ansia, non si potrebbe ipo3zzare che siano invece proprio
quelle persone già maggiormente ansiose a guardare più a lungo la televisione?
e. L’agenda se?ng
L’ipotesi dell’agenda seCng non è definita teoria perché l’agenda se?ng cos3tuisce una parola chiave che
unisce molteplici programmi di ricerca e prospe?ve teoriche di diversa ispirazione. L’agenda se?ng ipo3zza
effe? poten3, ma con un orientamento più aperto e meno determinis3co.
Il punto di partenza è cos3tuito dalla constatazione del crescente divario che separa la realtà vissuta in
prima persona dalla realtà di cui si viene a conoscenza aKraverso i media. Per i ciKadini delle società
occidentali una quota crescente di patrimonio cogni3vo non proviene più da esperienze condoKe in prima
persona, bensì dalle rappresentazioni offerte dai mezzi di comunicazione di massa. Di fronte a questa forme
di dipendenza cogni3va dai media, le persone tendono a prestare la loro aKenzione principalmente a quei
temi che vedono traKa3 dai mezzi di comunicazione, escludendo quelli che invece vengono ignora3.
L’effeKo dell’agenda se?ng si aKua su due pun3: in primo luogo, i media dicono alla gente quali sono i temi,
gli argomen3, i problemi importan3 e di cui bisogna occuparsi; in secondo luogo, i media spongono un
ordine di priorità, che rispecchia il grado di importanza assunto da ogni tema sia con la sua collocazione
all’interno delle diverse impaginazioni, sia con il tempo o lo spazio a esso dedicato, sia con la costanza con
cui viene traKato in un certo arco di tempo.
Con la parola agenda si intende concretamente l’elenco degli argomen3 degni di ricevere aKenzione.
L’effeKo agenda se?ng consiste nel faKo che l’agenda dei media finisce, dopo un certo periodo di tempo,
per rifleKersi fedelmente nell’agenda del pubblico. L’ipotesi di agenda se?ng è da un certo punto di vista
più ampia e meno determinis3ca di altre teorie degli effe?: è infa? importante soKolineare che in questo
caso l’effeKo non riguarda il merito di ciò che la gente è indoKa a pensare in seguito all’azione dei media,
ma il faKo che su alcuni argomen3 sia indoKa a pensare qualcosa, mentre altri argomen3 non vengono
nemmeno presi in considerazione.
Se è vero che la stampa può non riuscire per la maggior parte del tempo nel dire alla gente cosa pensare,
essa è sorprendentemente in grado di dire ai propri leKori intorno a quali temi pensare qualcosa. Sulla base
di questa ipotesi sono state condoKe numerose ricerche con l’obie?vo di verificare nel deKaglio i tempi e i
modi dell’effeKo agenda. Altre ricerche hanno avuto come obie?vo la misurazione del differente potere di
agenda da parte dei diversi media, scoprendo che la stampa sembra avere in questo senso un potere
maggiore della televisione.
L’effeKo agenda è massimo su quegli argomen3 sui quali il pubblico non ha alcuna possibilità di farsi
un’esperienza in prima persona, mentre è minimo su quegli aspe? della vita quo3diana che ci coinvolgono
direKamente.
Per concludere, è opportuno considerare il faKo che anche in questo caso l’avvento dei media digitali
contribuisce a mutare il quadro della situazione: la possibilità di accesso a media in qualche modo
alterna3vi soKrae ai media tradizionali una buona feKa di potere di agenda.
Il primo seKore a reagire al processo di digitalizzazione è stato quello musicale che è entrato in crisi a par3re
dal 1999. L’affermazione dell’MP3 come standard di compressione dei file audio ha consen3to di creare
circui3 digitali di distribuzione dei contenu3 sia di 3po commerciali che di 3po amatoriale. TuKavia, la crisi è
anche stata dovuta ad altri faKori, tra cui l’aumento del prezzo dei CD, gran parte del quale determinato dai
cos3 fisici di distribuzione. Il commercio eleKronico è diventato, quindi, un’opportunità per risollevare il
mercato in crisi, in quanto consente di ridurre i cos3 dovu3 alla produzione e alla distribuzione di beni fisici
come i CD. In questo seKore hanno avuto un ruolo rilevante le nuove piaKaforme crossmediali, che
distribuiscono contenu3 fruibili aKraverso differen3 disposi3vi. Anche l’industria televisiva adoKa strategie
crossmediali, non limitandosi più a produrre singoli tes3 o palinses3 rivol3 a target di nicchia, ma
progeKando media franchiste integra3 e distribui3. Lo speKatore non è dunque percepito come parte di
una massa sta3ca di fronte al teleschermo, ma come un utente mul3mediale disposto ad acquistare
differen3 prodo? lega3 a un brand, se questo gli fornisce un’esperienza integrata di fruizione e un’iden3tà
di marca in cui riconoscersi.
Nel primo decennio del XXI secolo il processo di digitalizzazione e la convergenza economico-is3tuzionale
hanno innescato dinamiche convergen3 anche sul piano este3co, con la progeKazione di media franchiste
compos3 da molteplici prodo? costrui3 aKorno ad un’iden3tà di marca e culturale, con la sempre
maggiore interconnessione tra il sistema professionis3co dei mass media e le culture partecipa3ve dei nuovi
media. Il contesto mediale contemporaneo viene per questo definito in termini di cultura convergente, in
cui il pubblico è sempre più a?vo nella costruzione di percorsi di consumo personalizza3 ma, al contempo,
interagisce anche online dando vita a comunità di interesse.
Si traKa, in realtà, del compimento di un percorso di ridefinizione del ruolo dei pubblici mediali che è
iniziato già nella prima metà del secolo scorso, con la messa in discussione della vecchia prospe?va
ipodermica e la scoperta empirica che il pubblico è un soggeKo a?vo non sempre del tuKo razionale, non
sempre del tuKo cri3co, ma certamente a?vo e in grado di scegliere, organizzare e produrre.
Nel contesto tradizionale i professionis3 dei media producevano contenu3 rivol3 a un mercato di massa e
traevano guadagno da inserzioni pubblicitarie inserite all’interno dei canali broadcast. I contenu3 televisivi
erano progeKa3 per a?rare il maggior numero di speKatori. Nella cultura convergente invece i
professionis3 appartenen3 a differen3 seKori mediali stabiliscono sinergie per creare media franchiste
finalizza3 a coinvolgere emo3vamente gli speKatori. L’obie?vo è creare relazioni di lungo periodo sia tra il
marchio e i consumatori, sia tra gli speKatori stessi per s3molare la nascita di comunità di brand a?ve nella
promozione del franchise. Emerge così un’economia affeCva in cui si fa sfumata la differenza tra contenuto
e messaggio promozionale e in cui gli speKatori acquisiscono un ruolo a?vo sia nel fornire suggerimen3 per
il miglioramento del brand, sia nel creare nuovi contenu3 da integrare nel franchise stesso.
4. La comunicazione online
Cosa c’è di (ancora) nuovo nei nuovi media?
Negli ul3mi decenni del ‘900, ai mass media tradizionali, si sono aggiun3 nuovi strumen3 di comunicazione,
con caraKeris3che tali da indurre a u3lizzare diffusamente la locuzione di nuovi media. Ancora oggi, però,
non è facile trovare un accordo circa il preciso significato di questo conceKo: qual è il confine tra vecchi e
nuovi media? Dietro al conceKo di nuovi media, si può dire che si nascondano due ordini di problemi. Uno
riguarda che cosa si intende per nuovi media e perché tali media sarebbero nuovi. L’altro problema riguarda
la sua estensione, ossia a quali tra i media che conosciamo si può applicare l’e3cheKa di nuovi media?
Mol3 degli elemen3 di novità aKribui3 ai nuovi media esistono in realtà da tempo. Parte dei discorsi comuni
sulla rivoluzione dei media e sui cambiamen3 radicali che porterebbero nella nostra vita ricalcano in buona
misura discorsi del tuKo analoghi diffusi alla fine dell’800 a proposito di quelli che a quel tempo erano i
nuovi media. È possibile con3nuare a u3lizzare l’espressione nuovi media in modo sfumato, senza porre
barriere, tentando tuKavia di chiarire esplicitamente alcune delle caraKeris3che più importan3 che hanno
indoKo a parlare di novità, se non addiriKura di rivoluzione:
• Digitalizzazione: in primo luogo i nuovi media elaborano da3 in formato digitale. Digitalizzare
un’informazione significa rappresentarla aKraverso una sequenza di cifre (in informa3ca binarie, ovvero
bit). Una volta digitalizzata, l’informazione può essere elaborata in vari modi con estrema facilità, inoltre
l’informazione digitale è anche facilmente archivia3le, conservabile e trasportabile.
• Mul;medialità: la mul3medialità è l’ar3colazione del contenuto aKraverso diversi canali sensoriali ed
espressivi. La mul3medialità coinvolge però anche il cinema e la televisione; il mul3media di oggi si
caraKerizza tuKavia per una integrazione molto spinta tra i diversi codici. L’autore di un testo
mul3mediale ha la possibilità di u3lizzare con la massima libertà qualsiasi modalità espressiva senza
soKostare ai rigidi limi3 tecnici dei singoli media tradizionali. La fruizione avviene senza soluzione di
con3nuità e con l’ausilio di un unico supporto fisico e di un unico strumento di leKura.
• InteraCvità: i nuovi media vengono spesso defini3 come intera?vi. Conviene però elaborare un
conceKo di intera?vità struKurato come un con3nuum: potranno così esserci media più intera?vi e
altri poco intera?vi. Consideriamo l’intera?vità come “la misura della potenziale capacità di un
medium di lasciare che l’utente eserci3 un’influenza sul contenuto e/o sulla forma della comunicazione
mediata”. L’intera?vità presuppone di solito l’esistenza di un canale di comunicazione bidirezionale
aKraverso il quale l’utente può fornire un feedback. Nel caso della televisione digitale terrestre questa
bidirezionali non c’è; in altri casi invece il medium prevede effe?vamente un canale di ritorno per
ricevere informazioni da parte dell’utente: il world wide web ne è un esempio. A un livello ancora più
elevato è l’utente stesso che produce informazioni che vengono faKe circolare dal sistema, con una
elaborazione con3nua dei contenu3 reciprocamente orientata tra i partecipan3. Questo livello è l’unico
che si avvicina all’idea di interazione sociale; è il livello permesso dai sistemi di messaggis3ca sincrona o
asincrona o dai vari gruppi di discussione online.
• Ipertestualità: per ipertesto si intende un insieme di informazioni collegate tra loro in forma non lineare
aKraverso rimandi logici, tali da poter essere fruite aKraverso molteplici percorsi di leKura
personalizza3 da ogni utente. L’organizzazione ipertestuale delle informazioni così come il mul3media,
rappresenta qualcosa di molto più intui3vo di altre tecnologie più conosciute, come il libro stampato.
Un ipertesto, a differenza del libro in carta, riproduce la rete di collegamen3 logici tra conce? e blocchi
di informazioni in modo da rispeKare la naturale non sequenzialitàu del pensiero umano. Così
concepito, un ipertesto si può considerare come una costruzione mul3dimensionale che per diverso
tempo si è scontrata con i limi3 intrinseci della tecnologia. Ted Nelson, considerato come l’inventore del
termine ipertesto, lo definì nel 1965 come un testo “che non può essere convenientemente stampato su
di una pagina convenzionale”. Per costruire un ipertesto è indispensabile ricorrere alla flessibilità delle
tecnologie informa3che. Il world wide web rappresenta oggi il miglior esempio riuscito di ipertesto.
• Ciberspazio: parlando di re3 di computer, un elemento di novità forte è il ciberspazio, ovvero della rete
in quanto luogo. Grazie all’uso di internet è facile incontrare e conoscere persone nuove. È possibile
frequentare zone par3colari della rete in cui è più probabile fare incontri che rispondano ai propri
interessi del momento. Con l’uso del termine ciberspazio si intende in genere soKolineare questa
evoluzione delle re3 di computer in senso sociale e comunica3vo: le re3 nascono negli anni ’60 come
struKure finalizzate in primo luogo al calcolo, ma diventano in seguito strumen3 di comunicazione tra
persone, in grado di svolgere sia le funzioni normalmente aKribuite ai mass media, sia quelle 3piche dei
mezzi di comunicazione interpersonale, come la posta o il telefono.
La storia dei mezzi di comunicazione ci insegna che la televisione non ha sos3tuito la radio, così come
l’iperteso non ha faKo con il libro stampato. Possiamo quindi notare che i nuovi media non si sos3tuiscono
semplicemente ai media che li hanno precedu3, ma li affiancano sia innescando vigorosi processi di
trasformazione e di convergenza, sia inglobandoli aKraverso il fenomeno che McLuhan chiamava ri-
mediazione, ovvero l’assunzione di un medium come contenuto di un altro medium.
Le caraKeris3che elencate rendono il confine tra vecchi e nuovi media piuKosto sfumato e incerto. Essendo
ormai passato l’elemento di reale novità, si preferisce più spesso parlare genericamente di media digitali.
È u3le considerare le circostanze storiche e sociali che hanno guidato lo sviluppo di internet, ispirando le
scelte e la crea3vità dei suoi proge?s3 e sostenendo l’affermazione e la diffusione di par3colari innovazioni
a scapito di altre, finendo per delineare la comunicazione online così come la conosciamo oggi.
Questa storia trova le sue radici nel contesto sociale del secondo dopoguerra, quando la Guerra Fredda e la
concorrenza con l’Unione Sovie3ca spinsero gli Sta3 Uni3 a grossi inves3men3 nei proge? di ricerca più
vari. In quel periodo furono finanziate mol3ssime ricerche anche su applicazioni non direKamente di u3lità
bellica. Alla fine degli anni ’60 furono effeKua3 i primi esperimen3 per collegare tra loro computer remo3;
gli obie?vi non erano tanto comunica3vi, quanto tesi alla possibilità di condividere preziose risorse di
calcolo. La prima rete telema3ca, avviata nel 1969, comprendeva quaKro elaboratori eleKronici situa3 in
altreKan3 centri universitari statunitensi. Questa prima rete fu conosciuta come Arpanet. Essa presentava
alcune caraKeris3che importan3 ancora oggi per comprendere la natura della rete:
- La ridondanza: grazie a un’innova3va tecnologia di scambio dei da3 denominata commutazione di
paccheKo, due pun3 qualsiasi della rete potevano essere messi in comunicazione tra loro aKraverso
percorsi diversi.
- L’architeKura policefala: la rete era senza un unico nodo centrale incaricato di smistare i da3 tra tu?
gli altri nodi.
- Collegare standard informa3ci diversi: grazie alla diversificazione tra hardware e sozware si poterono
collegare standard informa3ci differen3 tra loro.
Il risultato fu una rete estremamente robusta e versa3le, in grado di funzionare anche in presenza di guas3
presso uno o più dei suoi nodi. Una rete policefala come quella che si stava implementando non presentava
pun3 deboli e poteva sopravvivere anche se fosse stato distruKo un numero imprecisato dei suoi nodi.
Nasce così il mito di internet come creatura sfuggita di mano ai militari, indistru?bile e incontrollabile per
sua stessa natura.
Nella prima metà degli anni ’70 fu coniato il termine internet per evidenziare la capacità della rete di
collegare sistemi informa3ci eterogenei situa3 anche a grande distanza tra loro e in paesi diversi. Il merito di
questa flessibilità è dovuto all’elaborazione di un linguaggio comune in grado di essere compreso dal
maggior numero possibile di calcolatori: tale linguaggio è chiamato protocollo di comunicazione ed è stato
costruito a par3re dagli anni 1973-1974, subendo nel tempo numerose integrazioni e modifiche anche se è
ancora oggi ciò che definisce internet. Internet è infa? quell’insieme complesso di computer e re3, diffuse
su scala mondiale, collegate tra loro aKraverso canali trasmissivi diversi e unite dal gruppo di protocolli
denominato TCP/IP.
A par3re dal 1971 fu sviluppato il primo sistema di posta eleKronica. Questa è una tappa fondamentale: si
passò infa? dal re3 di calcolo alle re3 di comunicazione. Nata per sfruKare il più possibile le risorse di
calcolo di computer costosi e condivisi tra più uten3, con l’introduzione della posta eleKronica la telema3ca
fece il primo passo per collegare tra loro non più macchine, ma persone. Ad Arpanet ha faKo poi seguito,
nel 1986, una struKura più complessa ges3ta da Nsfnet che diffuse gli strumen3 telema3ci e di
cooperazione a distanza negli ambien3 universitari, permeKendo una sperimentazione accurata delle re3 di
grandi dimensioni e s3molando i primi interessi da parte delle industrie private.
La svolta defini3va verso la rete telema3ca di massa si compie nei primi anni ’90: nel 1991 infa? prendono
avvio i proge? per rendere sempre più trasparen3 le comunicazioni tra network diversi. L’incompa3bilità
degli standard è infa? sempre stato un groppo freno alla diffusione delle tecnologie informa3che e alla
formazione di una massa cri3ca di u3lizzatori; accanto all’accademia Nsfnet esistevano altre re3: Bitnet,
Compuserve, Usenet, Fidonet. Fino all’inizio degli anni ’90, la frammentazione di sistemi opera3vi,
piaKaforme hardware e re3 di computer rendeva la comunicazione online un’esperienza riservata a pochi
appassiona3 dota3 di una cerca dimes3chezza con procedure e comandi ben poco amichevoli.
Il faKore decisivo per l’affermazione dell’internet che conosciamo oggi fu il progressivo uniformarsi degli
standard di comunicazione e il loro consapevole rispeKo da parte degli aKori che via via si affacciavano sulla
rete. Fu questo che permise la repen3na crescita di valore di internet che, secondo la legge dell’economia
delle re3 di Metcalfe, cresce esponenzialmente con il quadrato dei suoi nodi. Una rete di comunicazione è
tanto più u3le quanto più è alto il numero di nodi che riesce a collegare: tecnologie come il telefono, il fax o
la posta eleKronica sono sistema3camente ignorate fino a quando non vengono adoKate da un buon
numero di persone. Ogni nuovo nodo che si collega a una rete produce un doppio vantaggio: in primo luogo
per sé stesso in quanto gode delle connessioni con gli altri nodi e in secondo luogo per l’intera rete in
quanto contribuisce ad aumentare il numero di connessioni complessive disponibili per tu? gli altri nodi. È
ovviamente indispensabile che tu? i nodi condividano e rispe?no un linguaggio di comunicazione comune,
senza creare sacche isolate.
Uno dei passaggi decisivi verso la costruzione di un’unica grande rete globale è stato nel 1991, quando al
Cern di Ginevra vennero elabora3 i fondamen3 del world wide web. La forza del web è rappresentata dal
linguaggio Html, estremamente semplice e flessibile, ma sopraKuKo in grado di essere leKo e interpretato
pra3camente da qualsiasi computer. La sua semplicità d’uso ne ha faKo uno strumento u3lizzabile da
chiunque sia per consultare le risorse immesse da altri, sia per offrire i propri contenu3. Con il web si
realizza finalmente la visione di un unico immenso ipertesto mul3mediale a disposizione dell’umanità,
consultabile da chiunque e al quale chiunque può contribuire.
Con il volgere di millennio la rete si orienta sempre più verso un uso popolare, con contenu3 mul3mediali e
i3nerari di navigazione semplici e intui3vi. Il web diventa anche la tecnologia d’elezione per il commercio
eleKronico così come per la comunicazione pubblica e is3tuzionale. Internet però rimane qualcosa che non
coincide con il world wide web: quest’ul3mo ne rappresenta solo uno dei mol3 servizi.
L’offerta di nuove modalità commerciali di accesso alla rete si accompagna con una nuova percezione di
internet da parte della gente comune: non più uno strumento os3co e riservato a compi3 specialis3ci, bensì
uno smisurato patrimonio di conoscenza a disposizione di chiunque con minima spesa.
Nel 1999 le compagnie telefoniche offrono per la prima volta in Italia la connessione gratuita: da quel
momento l’uso di internet diventa familiare quasi quanto il telefono. L’ul3ma grande tappa è rappresentata
dalla tecnologia ADSL e infine dalla connessione a banda larga 3G e 4G. Questa modalità di connessione ha
modificato l’uso sociale della rete: con tali tecnologie un disposi3vo è online in ogni momento, di solito con
un costo fisso indipendente dal tempo di connessione o dal volume di traffico, con una larghezza di banda
sufficientemente ampia per fruire di contenu3 mul3mediali in tempo reale e per permeKere nuovi usi della
rete.
La storia di internet descrive così una trasformazione durata diversi decenni: da una rete sperimentale
ristreKa a pochissimi centri di consulenza del dipar3mento della difesa americano, a una struKura pubblica
comprendente numerose università e is3tu3 di ricerca negli USA e in Europa, a uno strumento di
comunicazione, informazione e intraKenimento in cui le a?vità commerciali giocano un ruolo sempre più
importante. Nel corso di queste profonde trasformazioni sono state mantenute alcune caraKeris3che
tecnologiche iniziali: l’architeKura aperta basata sulla cooperazione, la ges3one distribuita, l’organizzazione
ridondante e in qualche misura cao3ca, che nonostante tuKo con3nua a soKrarsi a forme di controllo rigido
e centralizzato.
La più recente evoluzione è ciò che viene chiamato internet delle cose, ovvero un’infrastruKura che dai
grossi calcolatori è passata prima a collegare tra loro le persone e ora diventa onnipresente, pervasiva e
invisibile collegando e meKendo in comunicazione anche eleKrodomes3ci, autoveicoli, apparecchiature
mediche, telecamere di sorveglianza e molto altro. L’internet delle cose è des3nato a diventare il sistema
nervoso della società re3colare, un ambiente sociotecnico in cui esseri umani e ogge? si scambiano
informazioni e immagazzinano da3 e conoscenza.
Le diverse possibilità per la costruzione di una iden3tà online hanno prodoKo talvolta una visione del sé
frammentata e molteplice. Un individuo può certamente costruire diverse iden3tà ognuna delle quali sarà
usata per delineare altreKante persone in contes3 e ambien3 differen3. Riprendendo l’interfaccia a finestre
dei disposi3vi digitali, in passato l’iden3tà è stata definita postmoderna nel momento in cui si scompone in
diversi riquadri. TuKavia sarebbe fuorviante pensare che ognuno di ques3 riquadri possa condurre
un’esistenza indipendente dagli altri. La presenza di un canale comunica3vo tra le diverse finestre è ciò che
dis3ngue l’iden3tà fluida della società re3colare da condizioni patologiche come il disordine da personalità
mul3pla o altri disturbi psicologici connessi con la cosiddeKa sindrome da dipendenza da internet.
Ricerche empiriche hanno mostrato come le iden3tà online difficilmente rappresen3no tenta3vi di fuga
dalla realtà. Le costruzioni iden3tarie che nascono e vivono in rete non sono qualcosa di rigidamente
separato dalla vita di tu? i giorni. Al contrario, il confine tra esperienze online ed esperienze tradizionali
offline si fa sempre più permeabile a mano a mano che internet entra nella vita quo3diana di ognuno. La
comunicazione in rete va quindi essere intesa come un’opportunità che si affianca a quelle tradizionali,
senza necessariamente sos3tuirle. Anzi, relazioni online e relazioni offline spesso si sostengono e si
alimentano a vicenda.
In par3colari casi è stato proposto di considerare la vita sociale in rete come uno spazio di sperimentazione
le cui conseguenze possono essere racchiuse entro limi3 acceKabili: una specie di palestra di socialità. È
stato u3lizzato il conceKo di moratorium, che indica par3colari situazioni circoscriKe in un periodo di tempo
limitato in cui le persone possono permeKersi di sperimentare cose nuove senza doverne subire
conseguenze sociali troppo pesan3. Il moratorium cos3tuisce un’esperienza indispensabile per la
formazione della personalità adulta perché dà modo ai giovani di costruire la propria iden3tà procedendo,
almeno in parte, per prove ed errori. Nella società contemporanea anche le iden3tà adulte sono diventate
fluide e dinamiche, per cui la disponibilità di spazi di sperimentazione si rende sempre più necessaria a ogni
età. Le re3 potrebbero essere viste allora come un nuovo moratorium, disponibile per chiunque, che
servirebbe come fucina di sperimentazione per l’innovazione sociale.
U3lizzare la rete in questo senso può presentare certamente dei la3 nega3vi, sopraKuKo nel caso dei
giovani dove l’ampliamento delle possibilità e delle rappresentazioni simboliche talvolta arrivano a sos3tuire
le dimensioni fisiche dell’esperienza e prolungano indefinitamente una condizione di irresponsabilità.
L’ampliamento smisurato del dominio dei simboli offre all’individuo nuovi terreni di gioco e
sperimentazione, ma al tempo stesso lo soKrae alla responsabilità di scegliere e alla consapevolezza che
molte delle sue scelte sono in realtà irreversibili. Di faKo negli ul3mi anni le caraKeris3che dei social media
stanno progressivamente indebolendo le potenzialità della rete di funzionare come uno spazio di
moratorium proprio perché la dimensione online e quella offline sono sempre più intrecciate tra loro.
Almeno in determinate situazioni, concepire la rete come moratorium e cioè come spazio di
sperimentazione significa meKere in comunicazione la dimensione online con quella offline: sperimentare
significa meKere alla prova online per poi applicare offline. Le opportunità di confronto online
rappresentano un aiuto molto importante per le minoranze sessuali, ad esempio.
Negli ul3mi anni si è assis3to a una vigorosa riscoperta del corpo e della fisicità anche nella comunicazione
online. Gli ul3mi disposi3vi indossabili, per esempio, ci rendono consapevoli di aspe? del nostro corpo a cui
abbiamo sempre dato poca aKenzione. Questo conduce talvolta a una quan3ficazione del proprio sé, delle
potenzialità ambivalen3: può servire per orientare le proprie scelte rela3ve alla salute oppure può essere
anch’esso diffuso e condiviso in un impeto di narcisismo.
In conclusione, a mol3 anni ormai dai primi esperimen3 di costruzione di una iden3tà sociale online,
possiamo dire che ancora oggi internet conserva una sua peculiarità come ambiente dove possiamo
controllare di più e meglio la presentazione della nostra facciata personale; come spazio di sperimentazione
e di innovazione delle nostre interazioni con gli altri; come opportunità per sviluppare forme di riflessività su
noi stessi, sulla nostra iden3tà, sui nostri corpi.
Riassumendo, con il nuovo millennio sono entrate a far parte della nostra quo3dianità tre nuove tecnologie
specifiche:
A. Una nuova 3pologia di servizi web, in par3colare nella forme dei social network e dei social media,
basata sulla partecipazione a?va degli uten3, sul loro coinvolgimento nella creazione dei contenu3
e sulla visibilità dei legami di relazione e amicizie tra loro;
B. Il sistema Gps di geolocalizzazione satellitare diffuso gratuitamente su scala planetaria, con una
precisione dei ricevitori civili nell’ordine in alcuni casi delle frazioni di metro;
C. Nuove generazioni di conne?vità mobile, in grado di garan3re trasmissioni e ricezioni di da3 digitali
in banda larga.
Queste tre tecnologie si incontrano e si intersecano all’interno di ogge? che possono essere computer
porta3li, telefoni intelligen3, disposi3vi indossabili, eccetera. La sinergia con le possibilità di
geolocalizzazione e con la comunicazione mobile produce una nuova generazione di social network pensa3
per essere frui3 anche in mobilità e sul territorio. Dal punto di vista degli uten3, questo può significare
concretamente usufruire di servizi su misura come: a ogni post possono essere aggiunte informazioni
deKagliate sul luogo; possiamo cogliere l’opportunità di incontrare amici o conoscere amici di amici;
possiamo recensire o commentare spazi pubblici o esercizi commerciali; nascono inizia3ve di mappatura
colle?va del territorio; possiamo ricevere pubblicità geolocalizzata; possiamo installare applicazioni di
tracciamento dei nostri conta?.
I social network geolocalizza3 determinano una ridefinizione dello spazio urbano, costantemente co-
costruito dagli aKori che lo abitano. Nei nuovi social network la rappresentazione della ciKà avviene anche
aKraverso la creazione di pun3 di riferimento specifici, dando vita a un processo di demarcazione colle?va
del territorio in base alla quale qualunque caraKeris3ca significa3va di uno spazio, formale o informale, può
diventare un punto di riferimento da condividere e aKorno al quale affermare un’iden3tà colle?va.
La diffusa disponibilità di disposi3vi geolocalizza3 può facilmente esporre a nuovi e ulteriori rischi di
sorveglianza e controllo individuale. Ciò vale anche per quelle applicazioni progeKate per monitorare gli
spostamen3 altri, con il consenso più o meno esplicito e consapevole degli interessa3 (applicazioni pensate
per monitorare gli spostamen3 dei figli, che possono essere controproducen3 perché non permeKono di
sviluppare adeguatamente un rapporto di fiducia). A par3re, poi, dall’esperienza della pandemia Covid-19, i
disposi3vi mobili personali possono diventare anche presidi sanitari, diari per la registrazione dei propri
conta?, lasciapassare per l’accesso a luogo pubblici o priva3 e molto altro, a seconda delle scelte poli3che
del momento e della percezione sociale e culturale del valore delle liberà individuali.