Il tipo Nove non solo è una persona che non ha imparato ad amarsi
perché gli è mancato l’amore di cui aveva bisogno, ma che dimentica
la frustrazione subita costruendosi una sorta di callo psicologico nei
confronti della sofferenza (sua, non quella degli altri), ricorrendo ad
una amputazione psicologica che fa di lui il meno sensibile dei
caratteri nei suoi stessi confronti, e la più stoica delle personalità.
Il Nove, per lo più è una persona allegra e generosa, ma con una sorta
di ripugnanza per l’indagine psicologica
.
Il motto del tipo Nove, per sé e per gli altri potrebbe essere “non
creare guai”. I più disfunzionali fra gli individui “iperadattati” vengono
diagnosticati “dipendenti”, anche se la dipendenza è un tratto che il Nove
ha in comune con il Quattro e con la forma evitante del Sei.
3) Struttura Caratteriale
L’inerzia psicologica è una mancanza di fuoco, di effervescenza, una
flemma dalla quale si cerca di tenere fuori ogni passione, una
desensibilizzazione per anestetizzarsi contro la sofferenza; una
conseguenza emotiva è lo smorzarsi dei sentimenti che può
manifestarsi o con una flemma eccessiva o con una reticenza a dire di
sé o nascondendosi dietro una giovialità che serve da schermo affinché
gli altri non possano accedere a ciò cui lui stesso non vuole accedere.
In linea con questa eclisse della coscienza, ma alla luce di una disposizione
più attiva, è il tratto che potremmo definire “praticismo”, un
preoccuparsi continuo e pragmatico per la sopravvivenza degli altri,
alla Sancho Panza, un senso pratico protettivo a spese della
comprensione di sé e del mistero individuale, un venir meno
dell’apertura di fronte all’inatteso e alla dimensione dello spirito.
Se nella maggior parte dei casi l’incapacità di amare gli altri come sé
stessi dipende dal fatto che amiamo più noi stessi che gli altri, nel tipo
Nove sembra sussistere la relazione inversa, perché l’iperadattato, di
fronte alle richieste e ai bisogni altrui, mette in secondo piano il
proprio bene e il soddisfacimento dei suoi bisogni, con estrema
arrendevolezza. Del resto senza l’altruismo l’arrendevolezza eccessiva
sarebbe molto dolorosa e frustrante per poter essere accettata. Sia
l’autoalienazione che l’iperadattamento all’insegna dell’abnegazione sono
possibili solo in presenza di una profonda rassegnazione, una rinuncia a sé
stessi in quanto non meritevoli di attenzione, un abdicare a sé stessi e alla
propria vita per permettere agli altri una presunta vita migliore.
Consideriamo a sé la caratteristica della rassegnazione per il rilievo che, in
questo carattere, assumono i comportamenti che chiamano in gioco la
pigrizia nei confronti delle cure a sé stessi, del proprio appagamento e
la rinuncia ai propri diritti o il non difenderli. Sappiamo infatti che se
l’individuo, con il passaggio all’età adulta, non diventa “madre
amorevole di sé stesso” seguiterà a cercare la “madre” fuori e ad
alimentare il circuito della dipendenza eccessiva e del non
rafforzamento della base d’appoggio dell’io che rimane precaria.
Nel suo rapporto con gli altri egli sa ascoltare, è pronto a rendersi
utile, è comprensivo, rassicurante e compassionevole come Micawber
del David Copperfield.
Il senso del valore, come pure il senso dell’essere, nel tipo Nove, è
soddisfatto non tanto dal plauso, quanto, con una partecipazione
sostitutiva, dal vivere attraverso gli altri: la perdita d’identità diventa
un’identità collettiva indifferenziata con la famiglia, i gruppi sociali, la
nazione, il partito, la squadra e così via. Potremmo parlare di
sostituzione della propria interiorità con una interiorizzazione
dell’ambiente immediatamente esterno, del compagno, della compagna,
degli amici, della famiglia, del gruppo, ecc.
C’è poi l’aspetto dell’automatismo; gli individui ben adattati sono
creature abitudinarie, sono sempre in orario, legati alla metodicità; la
stessa inerzia psicologica porta ad un rigido attaccamento alle regole
della famiglia, del gruppo, del “modo di fare le cose”.
Nel complesso colpisce il paradosso per cui un modo di vivere con
tanta pazienza e diligenza affondi le radici in una autentica passione
per le comodità (simbolo di sicurezza), comodità che diventano anche
comodità psicologiche e conquistate così a caro prezzo da aver indotto
gli studiosi di bioenergetica a considerare il Nove un carattere
masochista.
Il Nove affronta la vita adottando la strategia del non volersi sentire, e ciò
si traduce in una visione distorta del mondo esterno (debordante e
invadente) e interno (minimo e irrilevante) con un bilancio in grave
deficit per il secondo e con il venire meno di quella importantissima
consapevolezza necessaria a mantenere il profondo senso dell’essere al di
là delle molte e diverse esperienze in campo fisico e sensomotorio.
Una perturbazione della coscienza è confermata dal fatto che i Nove si
descrivono come persone distratte, confuse, a volte dotati di scarsa
memoria; sembra che spesso gli capiti di rompere oggetti, bruciare
vivande, o di rimanere vittime di incidenti personali anche bizzarri.
Ciò si può imputare ad una difficoltà di concentrazione determinata
dallo spostamento della consapevolezza dal centro dell’esperienza (io)
alla sua periferia (altro/altri).
E’ inoltre possibile che il nostro Nove vada appositamente in cerca di
distrazioni come guidato dal desiderio di non vivere fino in fondo
l’esperienza e di continuare a non “ascoltarsi”.
4) Meccanismi di difesa
La difesa classica del ciclotimico è un “mettersi a dormire”,
immergendosi nel lavoro o istupidendosi con la televisione o
veicolando il bisogno di pienezza e rassicurazione sul cibo, sul fumo o
sull’alcol.
Più propriamente si tratta del meccanismo di “deflessione” che serve a
sottrarsi al contatto diretto con sé stessi o con un'altra persona.
Proprio come il deflettore per il vento, quando si viene investiti da una
folata di vento, invece di riceverlo direttamente lo si depista altrove.
Tutti questi annacquamenti fanno perdere efficacia e precisione all’azione
che cessa di essere mirata e diviene generica o opinionistica con forte
riduzione del contatto interpersonale.
Nel Nove il meccanismo di prestare attenzione a ciò che è marginale,
anziché a ciò che PER SE’ è veramente importante, può essere
considerata la base di una estroversione difensiva generalizzata e che
si potrebbe anche definire “autodistrazione” .
Un altro meccanismo importante è quello che sta alla radice di tutti i
disturbi emotivi: il disturbo di confine. Si tratta di una fantasia di
fusione simbiotica con l’esterno nel tentativo di ripristinare la
situazione indifferenziata vissuta nel grembo materno quando
interno/esterno erano funzionalmente la stessa cosa e non c’era né
capacità né necessità di differenziare gli introietti. Un rifiuto di nascere
alla vita con ciò che implica di predazione, selezione della preda, strategia
di cattura, introietto critico, riconoscimento e soddisfazione dei propri
bisogni.
La “confluenza” è infatti dannosa per un processo di crescita in senso
psicofisiologico fuori dal grembo materno perché impedisce di definire la
propria identità ed espelle dalla propria coscienza la propria preziosa
unicità per una irragionevole paura di isolamento e abbandono.
Scrive Poster: “la persone che vivono in una reciproca e malsana
confluenza non hanno un contatto personale profondo. Chi vi è
coinvolto non riesce a concepire neanche la minima temporanea
divergenza di opinione, di desideri, di bisogni. Quando ciò avviene non
riescono ad elaborare e accettare l’evento per pervenire ad un accordo
autentico, ma attraverso l’adattamento forzato devono ripristinare la
confluenza simbiotica disturbata dal disaccordo oppure mettere il
muso, fare pace ad ogni costo, chiudersi in sé stessi. Per ripristinare la
confluenza si dice sempre di si, si tormenta l’altro per fare la pace, ci
si affligge per le piccole differenze, si cercano prove di accettazione
totale, si cancella la propria individualità, si rabbonisce, ci si rassegna
oppure si ricorre alla tattica della persuasione, della seduzione, della
lusinga e della coercizione.
Quando le persone sono in rapporto di contatto e non di confluenza
rispettano le opinioni, i gusti, e le responsabilità PROPRIE e
dell’altro; è accettata dinamicamente l’animazione e l’emotività che si
creano in una atmosfera di disaccordo. La confluenza provoca ristagno, il
contatto eccitazione e crescita.” Non essere d’accodo su tutto è implicito
nelle diversità di cui ognuno di noi è portatore. Essere diversi non genera
una guerra, quindi non essere d’accordo è una parte fondamentale del
contatto; non c’è bisogno di “fare la pace” a meno che non si dia per
implicito e scontato che essere portatori di diversità sia “una guerra”. Si
può anche non essere d’accordo essendo d’accordo. L’ansia da
aggrappamento cronico interferisce con la normale evoluzione
differenziata del sé e delle rappresentazioni oggettuali.
6) Psicodinamiche esistenziali
Nel tipo Nove, che è situato nella posizione più alta dell’enneagramma,
assistiamo al tentativo massimo di repressione della sofferenza in
quanto percepita offensiva di fronte ad altri che stanno peggio di lui.
Egli diventa trasparente ai propri stessi occhi e un’apparente mancanza
di desideri inappagati conferisce a questa persona un’aura di
soddisfazione spirituale.
La sua saggezza convince, e per questo parliamo di carattere che
“simula la salute mentale”.
Non cerca i suoi bisogni abbastanza in profondità, ma li cerca in
ambiti periferici con l’erudizione precisa e puntuale, l’amore per la
storia e la politica, l’attaccamento alle tradizioni familiari, ecc.
Desidera conoscere cose nuove, ma ha paura a cercarle dentro di sé,
dunque seguita a cercarle fuori.
La passione dominante è l’indolenza, la pigrizia della mente e dello spirito che induce questo
carattere a non avere le motivazioni per agire, allo svuotamento del mondo interiore,
all’immobilità, alla chiusura verso i cambiamenti, all’impassibilità, all’indifferenza.
Naranjo (1996) cita Kretschmer (1921) perché nella sindrome ciclotimica in Korperbau und
Charakter rivede il tipo nove e ne riporta le caratteristiche più frequenti:
“1- Socievole, d’indole gentile, amichevole, geniale
2- Allegro, spiritoso, vivace, precipitoso
3- Tranquillo, calmo,facilmente depresso, si commuove facilmente”
Sheldon (1942) in The Varieties of Temperament fa una descrizione della viscerotonia che calza
molto con il nove: “La viscerotonia si manifesta con il rilassamento, la convivialità, la gola, il
bisogno di compagnia, di affetto o di sostegno sociale. Quando questa componente è
predominante, la motivazione primaria della vita sembra essere l’adattamento e il risparmio
di energia”.
Arieti (1974) in Affective Disorders nomina due tipi di depressione: quella rivendicativa, che
Naranjo (1996) ritrova di più nel carattere quattro e quella autorimproverante, che calza di
più al carattere nove.
Nell’analisi transizionale, Naranjo cita la figura di madre che dà fino a consumarsi perché si
svaluta, in Jung (1979) ritroviamo il nove nel tipo sentimento introverso, soprattutto molto
comune nelle donne.
Tratti caratteriali
Inerzia psicologica
Flemma, povertà di esperienze interiori, narcosi, indifferenza a livello intellettuale che provoca un
vuoto di fantasia, ottusità e tendenza a smorzare emozioni, sentimenti e istinti, disattenzione dalle
proprie voci interiori. Questo soggetto tende a distogliere lo sguardo dal proprio mondo interno e ad
adottare un atteggiamento materialistico finalizzato alla sopravvivenza.
Iperadattamento
La pigrizia spirituale porta il soggetto alla negazione di se stesso e dei propri bisogni volgendosi a
un iperadattamento e a un andare incontro ai bisogni altrui, compensa con la ricerca di cibo e di
alcool.
Rassegnazione
L’individuo attua la rinuncia di se stesso, e finge di essere morto per restare in vita, cosicché alla
fine diventa davvero un morto vivente.
Generosità
Rientra nel prendersi cura degli altri invece che di se stesso. Buono, gentile, caloroso, affabile, fa di
tutto per non pesare sugli altri.
Trasandatezza
Per il carattere nove non è importante eccellere e brillare per cui non si cura neppure del suo aspetto
in modo eccessivo, anche se dietro alla rinuncia di essere visto si cela un intenso bisogno d’amore
non riconosciuto. Partecipa all’interiorità attraverso quella degli altri.
Abitudini da automa
Metodico, restio al cambiamento, ancorato alla tradizione, alle regole vigenti che lo inducono a fare
le cose sempre allo stesso modo. L’automatismo può essere una conseguenza dell’alienazione da sé.
Facilità a distrarsi
E’ una caratteristica che sviluppano per non voler vedere, per narcotizzarsi, per cui si annientano a
guardare la televisione o a leggere il giornale.
La sua generosità, il suo dare fa sembrare agli altri una persona che è presente a se stessa e
appagata spiritualmente, in realtà il nove non è cosciente della perdita di interiorità.
La sua ricerca, i suoi sforzi sono orientati tutti fuori da sé, la sua ricerca dell’essere invece che
dirigersi verso l’interiorità verte su cose concrete, la sopravvivenza, il cibo (mangio quindi
esisto), nel soddisfare i bisogni altrui (sono vivo attraverso gli altri), nel rendersi utile (sono
vivo perché faccio).
In tutti i caratteri alla radice della patologia c’è il dimenticarsi di sé, nel nove questo aspetto è
preponderante.
Livelli
Sani
Medi
Non Sani
3) Struttura Caratteriale
Mentre la rabbia può essere considerata la più nascosta delle passioni, la
lussuria è probabilmente la più visibile, contravvenendo forse alla regola
generale secondo cui ovunque regni una passione vi è anche un tabù o un
diktat della psiche contro di essa. Però, anche se il tipo lussurioso difende
appassionatamente la lussuria sua e in generale la lussuria come stile di
vita, la passionalità stessa con cui fa sua questa prospettiva tradisce un
atteggiamento difensivo. Vi sono alcune espressioni che fanno pensare alla
lussuria come “intensità”, “gusto”, “piacere del contatto”, “piacere di
mangiare”, ma vi sono altri tratti, come l’edonismo, la tendenza ad
annoiarsi quando non si disponga di stimoli sufficienti, il desiderio
smodato di eccitamento, l’impazienza, l’impulsività che rientrano
nell’ambito della lussuria; è qualcosa di più dell’edonismo, non è solo il
piacere, ma il piacere di rivendicare la sopraffazione degli impulsi, il
piacere del proibito e soprattutto il piacere della “lotta per il piacere”. E’
presente un miscuglio di dolore che è stato trasformato in piacere. Quel
surplus di intensità, di eccitamento, quel “sapore”, non derivano da una
soddisfazione istintuale, ma dalla lotta e da un implicito trionfo.
Appartengono all’Otto anche un gruppo di caratteristiche che potremmo
definire atteggiamento punitivo, sadico, appropriativi, ostile, e fra queste la
volgarità, il sarcasmo, l’ironia, l’intimidazione che umilia e frustra. Fra
tutti il nostro Otto è il più irascibile e quello che meno si lascia intimidire
dall’ira. Anche se la fissazione dell’Otto è la vendetta, è necessario fare
attenzione a non confonderla con quella del più visibilmente vendicativo
dei caratteri, il Quattro, nel quale l’odio può assumere la forma della
vendetta aperta. La vendetta del lussurioso non è altrettanto aperta; egli
reagisce con una rabbia che però supera altrettanto rapidamente. La sua
vendetta tipica (a parte una reazione immediata con cui rende pan per
focaccia) è costitutiva e a lungo termine e lo vede assumere il ruolo del
giustiziere come reazione al dolore, all’umiliazione e all’impotenza di cui
si è sentito vittima da piccolo. Come rivalsa sul mondo ha deciso che ora
tocca a lui esercitare il potere, anche se ciò reca dolore agli altri. O proprio
per questo dato che così celebra la propria vendetta. La caratteristica
antisociale del tipo Otto, al pari della ribellione stessa, può essere
considerata una reazione di rabbia, e quindi una manifestazione
dell’atteggiamento punitivo con cui egli esercita la sua vendetta. Possiamo
quindi più esattamente riscontrare nell’ “atteggiamento punitivo” la
fissazione del carattere sadico.
Benché la sensualità, con il suo opporsi categorico all’inibizione del
piacere, implichi di per sé un elemento di ribellione, quest’ultima spicca
come un tratto a parte, più evidente nell’Otto che in qualsiasi altro
carattere. Anche il Sette è anticonformista, ma il tono della sua ribellione è
di tipo intellettuale. Mentre il Sette è una persona dalle idee avanzate, dalle
vedute rivoluzionarie, l’Otto è il prototipo dell’attivista e si caratterizza per
il disprezzo per i valori imposti dall’educazione tradizionale. A causa del
rifiuto dell’autorità, avvertita come cattiva, per lui la “cattiveria”
oppositiva diventa automaticamente l’unico modo possibile di essere. La
ribellione generalizzata contro l’autorità, di solito può essere ricondotta ad
una ribellione contro il padre o contro chi, nella sua infanzia ha esercitato
l’autorità dalla quale si è convinto di non poter aspettarsi niente di buono.
La prepotenza è strettamente collegata all’ostilità dell’Otto, ma adempie
anche la funzione di proteggere l’individuo da una situazione di
vulnerabilità e di dipendenza dalla paura; da ciò deriva anche l’arroganza,
la ricerca del potere, il bisogno di trionfare, la svalutazione degli altri, la
competitività, l’aria di superiorità e così via. La sua aggressività è anche al
servizio della sensualità; in un mondo dove ci si aspetta che l’individuo
soffochi le proprie passioni, solo la forza e la capacità di combattere per i
propri desideri può consentire di abbandonarsi alla passione e di esprimere
liberamente i propri impulsi. E troviamo ancora il bisogno di vendetta, alla
base della prepotenza; è come se l’individuo avesse deciso, fin da piccolo
che essere deboli, accomodanti o seduttivi non paga e avesse scelto il
versante del potere e del giustizialismo personale.
Se prendiamo in esame il gruppo di caratteristiche (sfida, intimidazione,
crudeltà, durezza) legate all’insensibilità, notiamo che tali caratteristiche
sono chiaramente conseguenza di uno stile di vita aggressivo,
incompatibile con la paura, la debolezza, il sentimentalismo o la pietà nei
confronti delle quali prova disprezzo, e soprattutto per la paura.
Inevitabilmente ciò comporta un indurimento della psiche riscontrabile
anche nell’eccessivo amore per il rischio, attraverso cui egli nega le
proprie paure e si abbandona al senso di potere derivante da questa
conquista interna. L’amore per il rischio, a sua volta, alimenta la
sensualità, dal momento che il tipo Otto ha imparato a prosperare
sull’ansia come fonte di eccitamento; anziché soffrire ha imparato,
attraverso un fenomeno di masochismo indiretto, a muoversi perfettamente
a suo agio nell’intensità assoluta che l’ansia genera. Senza l’agitazione la
vita gli sembra insipida e noiosa.
Il dispotismo e il cinismo nei confronti della vita derivano dalla
convinzione che la virtù e il sentimentalismo siano sempre una
manifestazione di ipocrisia e per questo bisogna diffidare dei messaggi e
delle motivazioni degli altri. Il suo atteggiamento da leader lo predispone
all’inganno e in modo più vistoso del Sette, anche perché non fa nulla per
nascondere la sua disillusione sulla buona fede del prossimo.
4) Meccanismi di difesa
Il meccanismo tipico del carattere sensuale vendicativo si muove in
direzione opposta alla rimozione della vita istintuale che Freud ha messo
in luce nella nevrosi in generale. In definitiva siamo in presenza di una
assenza di inibizione rispetto alla sessualità e all’aggressività. Reich la
ritiene una organizzazione di tipo difensivo: una difesa contro la
dipendenza e la passività. Per compensare i sensi di colpa, di vergogna e di
inferiorità che il suo disprezzo per gli altri lascia intendere, questo
individuo ha messo in atto un processo di negazione della colpa e di
rimozione del Super-Io anziché dell’Es. La psicoanalisi non ha dato un
nome preciso a tale rivolta contro le inibizioni ed a questa solidarietà con il
proprio underdog; una rimozione non dell’aspetto istintuale del conflitto,
ma di quello controistintuale, un’identificazione inversa con i
comportamenti e gli atteggiamenti che la società e i genitori si aspettano.
Possiamo parlare di una “controintroiezione” opposta alla “introiezione”
del Quattro. Altra difesa dell’Otto è la capacità particolarmente sviluppata
di non fare accedere alla coscienza il dolore (può non accorgersi di avere la
febbre alta o un’infezione, ecc,). Ciò spiega anche l’attrazione tipica del
lussurioso per le situazioni “ansiogene” o di rischio, che egli non evita, ma
che trasforma sadomasochisticamente in stimoli, in fonti di eccitamento.
Questa elevazione caratteristica della soglia di dolore può essere definita
come “desinsibilizzazione”.
6) Psicodinamiche esistenziali
“Del mondo non ci si può fidare”, questa è la ragione per cui l’Otto non
riesce a costruirsi una piena umanità. Per spiegare ancor meglio la sua
interpretazione esistenziale dobbiamo capire il circolo vizioso a causa del
quale un oscuramento ontico alimenta la lussuria nel suo aggrapparsi
impetuoso a tutto ciò che è tangibile, determina a sua volta un
impoverimento delle qualità di tenerezza e di delicatezza che si traduce in
una perdita d’insieme e quindi di “essere”. E’ come se il carattere sensuale,
nella sua impazienza di procurarsi la soddisfazione desiderata, si assestasse
su un’idea troppo concreta del traguardo che individua nel piacere, nella
ricchezza, nel potere e così via, per poi scoprire che la conquista che ha
sostituito all’essere gli lascia sempre profondità insoddisfatte e cariche di
desiderio. Ricorriamo al modello dello stupratore, del predatore sessuale:
egli ha rinunciato all’aspettativa di essere desiderato, per non parlare di
essere amato. Da per scontato che otterrà solo ciò che riuscirà a prendere.
E come potrebbe farlo se si concedesse di fantasticare sui sentimenti altrui,
alla cui delicatezza, per altro, non crede? La maniera unica, secondo la sua
percezione, di soddisfare i propri bisogni è quella di dimenticare i
sentimenti degli altri, come passivamente e non predatoriamente fa il
Cinque. Il mondo spopolato del più antisociale Otto non è più ricco di vera
vitalità di quanto non sia quello dello schizoide Cinque. Così come lo
schizoide eviterà di fare l’esperienza del valore e dell’essere sottraendosi
al rapporto, altrettanto fa lo psicopatico nonostante le apparenze di persona
amichevole, coinvolta e traboccante di emozioni intense. Il sadico cerca
una parvenza di esistenza che non sa di cercare. La concretezza di un
desiderio eccessivamente legato ai sensi (in questo caso interesse sessuale
cui non corrisponde un analogo interesse per il rapporto), implica una
palese mancanza di realtà psicologica conseguenza della rimozione del
bisogno d’amore. Così come il Cinque e anche alcuni Sei che rimuovono il
bisogno d’amore creandosi dei vuoti che poi provvederanno a riempire con
i rispettivi bisogni nevrotici caratteriali. Ben celata sotto l’espansività,
l’allegria, il fascino e l’entusiasmo del lussurioso c’è la perdita del
rapporto, la repressione della tenerezza e la negazione dell’amore che
intaccano la completezza individuale che egli cercherà di ricomporre con
gli eccessi.
Il tipo Otto, dunque, insegue l’essere nel piacere e nel potere di procurarsi
il piacere; ma poiché si ostina in u atteggiamento di sopraffazione, diventa
incapace di ricevere, mentre la conoscenza dell’essere è possibile solo
attraverso un atteggiamento ricettivo.
Pretendendo ostinatamente di ottenere soddisfazione in un modo in cui si
può ottenerne solo una parvenza (come Nasruddin che cerca la chiave sulla
piazza del mercato, non perché l’abbia persa lì, ma perché lì c’è più luce),
egli perpetua la deficienza ontica che, a sua volta, alimenta la ricerca
lussuriosa del trionfo e di altri sostituti dell’essere e della pienezza.
3) Struttura Caratteriale
Esamineremo ora la struttura caratteriale del perfezionista considerando i
tratti sottostanti.
La rabbia può essere considerata un sottofondo emotivo generalizzato, la
radice originaria di questa struttura caratteriale. Il risentimento è in
rapporto ad un senso di ingiustizia a fronte delle responsabilità e degli
sforzi di cui, spesso, questo individuo si fa carico molto più degli altri fino
a sfociare, in alcuni casi, nel ruolo del martire. Ha un atteggiamento di
critica degli altri e, quando la ritiene giustificata, la rabbia si manifesta in
violente esplosioni e filippiche irose, secondo lui, forma di una violenta
“giusta indignazione” (“non mi diverto a picchiarti, lo faccio per te”, “mi
hai proprio voluto far arrabbiare”,…). Ma la rabbia è poco elegante, così
spesso rimane inespressa perché contrasta con un’immagine di se virtuosa
e si tramuta in ironia tagliente, crudele cinismo, indifferenza ostentata.
Altre manifestazioni di rabbia inconscia sono: la critica ravvisabile non
solo come caccia all’errore, ma come atmosfera impalpabile che fa sentire
gli altri maldestri o colpevoli. Si tratta di una aggressività intellettuale
scambiata con un intento costruttivo, il desiderio di migliorare se stessi e
gli altri. La rabbia viene così giustificata, razionalizzata e negata. Una
specifica forma di critica del tipo Uno è il pregiudizio; scattano molle di
denigrazione, di conferma e di desiderio di riformare con fare inquisitorio
coloro che sono estranei al proprio gruppo di appartenenza per razza,
nazionalità, classe sociale, credo religioso, ideologia, ecc. (la rabbia nei
confronti dell’autorità interna al gruppo viene inibita e spostata sugli
“inferiori” o sugli estranei al gruppo che così diventano capri espiatori).
Anche l’atteggiamento pretenzioso dell’Uno è un’affermazione prepotente
dei suoi desideri, in chiave vendicativa, come reazione ad una frustrazione
precoce. A ciò si accompagna una tendenza ad imporre la disciplina, sia
nel senso di inibire negli altri la spontaneità e la ricerca del piacere, sia nel
pretendere che si lavori molto e con risultati eccellenti.
Si può dire che il perfezionismo obbedisca più all’autorità astratta delle
norme che all’autorità concreta delle persone. Questo interesse
appassionato per i principi, le regole morali e gli ideali, non solo è
un’espressione di sottomissione alle richieste di un forte Super-Io ma, nei
rapporti interpersonali, uno strumento di manipolazione e di dominio
perché tali norme, sottoscritte con entusiasmo, vengono imposte agli altri e
fanno da copertura ai desideri e alle richieste personali. L’accoglienza
impetuosa degli ideali e lo sforzo di diventare migliori alimentano
l’autopercezione di bontà, di gentilezza e di disinteresse personale che
distolgono l’individuo dal riconoscimento di sé come persona arrabbiata,
pedante ed egoista. L’esercizio ossessivo della virtù, non soltanto è un
derivato della rabbia attraverso la formazione reattiva, ma è anche
espressione della rabbia introvertita, perché significa diventare i giudici
crudeli, i gendarmi ed i rigidi educatori di sé stessi e
degli altri. Particolarmente importante per il processo terapeutico è capire
come il perfezionismo sia al servizio della rabbia, nel senso che ne
impedisce il riconoscimento.
L’immagine del crociato può essere paradigmatica di questa situazione:
una persona autorizzata a spaccar crani in virtù della bontà della causa e
delle sue nobili aspirazioni. Se un certo livello di onestà è caratteristico del
perfezionista, il suo preoccuparsi in modo ossessivo del torto e della
ragione, del buono e del cattivo, implica che nel suo intento è presente una
disonestà inconscia.
L’ipercontrollo sui propri comportamenti va di pari passo con un assetto
rigido, una certa mancanza di spontaneità con la conseguente difficoltà a
funzionare in situazioni non strutturate e ogni volta che si renda necessaria
l’improvvisazione. L’eccessivo controllo che invade il funzionamento
psicologico in generale, fa in modo che il pensiero diventi eccessivamente
legato alle regole, vale a dire logico e metodico con una perdita di
creatività e intuizione. Il controllo sul sentimento porta non solo al blocco
dell’espressione dell’emotività, ma anche all’alienazione dell’esperienza
emotiva o ad una scissione da essa.
La persona che manifesta questo carattere si autocritica e si disprezza
sebbene si celi dietro un’immagine di sé solenne e virtuosa. L’incapacità di
accettarsi e il processo di autodenigrazione non solo sono all’origine di
una frustrazione cronica emotiva, ma costituiscono uno sfondo
psicodinamico onnipresente per il bisogno perfezionistico di impegnarsi
sempre di più al fine di proporsi come persona di valore.
Questo individuo sviluppa il tratto “puritano” di opporsi al piacere e al
gioco degli istinti. Coltiva la disciplina e ciò che fa del tipo Uno un
lavoratore serio e indefesso.
Nel rinvio del piacere è riscontrabile un elemento masochistico. (Prima il
dovere poi il piacere).
4) Meccanismi di difesa
C’è uno stretto collegamento, nel tipo Uno, fra distruttività da una parte e
la riparazione dall’altra; questi meccanismi sono le varianti di un unico
modello che consiste nel fare bene qualche cosa percompensare
qualcos’altro che si pensa di avere fatto male. Riparazione e distruttività
riguardano più specificatamente i sintomi della nevrosi ossessiva. La
formazione reattiva, al contrario può essere considerata più intimamente
connessa con la personalità ossessiva o col carattere perfezionista. Il
concetto di formazione reattiva è che “forze psichiche contrarie” insorgano
al fine di reprimere sensazioni sgradevoli mobilitando “il disgusto,il
pudore, la morale”. Ma non si tratta solo di coprire qualcosa con il suo
opposto, ma di distrarsi dalla consapevolezza della presenza di certi
IMPULSI ricorrendo ad ATTIVITA’ opposte. Compiere AZIONI che
adempiano alla funzione di mantenere le emozioni allo stato inconscio. La
formazione reattiva fa in modo che l’energia psicologica della rabbia
venga trasformata in pulsione ossessiva. Il nostro Uno cerca soddisfazione
ad un bisogno d’amore a cui crede di avere diritto perché è bravo e giusto.
Pretende in virtu della sua eccellenza, la soddisfazione di bisogni orali che
non riconosce e trasforma razionalizzandoli come esigenze e diritti
legittimi. La formazione reattiva, quindi, genera rabbia e al tempo stesso
costituisce una difesa contro la possibilità di riconoscerla.
6) Psicodinamiche Esistenziali
Nell’Uno, c’è una perdita del senso dell’essere che, come avviene per i tre
caratteri che occupano la parte superiore dell’enneagramma, si manifesta
come un’inconsapevolezza dell’inconsapevolezza, e li rende soddisfatti di
sé.
Il vuoto esistenziale dell’Uno è coperto da un’eccessiva raffinatezza. Le
sue rispettabili attività pretendono di alimentare una falsa abbondanza. La
principale attività che promette abbondanza alla mente del tipo Uno è la
realizzazione della perfezione. A causa dell’oscuramento ontico la ricerca
dell’essere può trasformarsi in ricerca di una vita virtuosa, dove il
comportamento diventa un criterio di valore estrinseco. All’Uno andrebbe
ricordato che “la virtù non si sforza di essere virtuosa; proprio per questo è
virtù”; solo la virtù che si esercita senza essere “virtuosi” può dirsi tale.
Dire, però, che nell’Uno il sostituto dell’essere è la virtù sarebbe troppo
limitativo. La percezione di una scarsezza di essere e la fantasia di
distruttività e malvagità sono compensate dall’impulso a essere
una“persona di carattere”, dritta e stabile, forte nel resistere alle tentazioni
e nello schierarsi dalla parte di ciò che è giusto. Sviluppa una sorta di culto
della bontà e del valore.
Nel corpo di aneddoti su Nasruddin, il tipo Uno è riconoscibile nell’uomo
di lettere che il battelliere Nasruddin traghetta “sull’altra riva”. Poiché
Nasruddin ha risposto ad alcune domande del dotto in forma
sgrammaticata, questo gli chiede: “Non hai studiato la grammatica?”. Alla
risposta negativa di Nasruddin, egli sentenzia: “Hai perso metà della tua
vita”. Poco dopo Nasruddin chiede all’uomo di lettere: “Sapete nuotare?” e
poiché il nostro degno grammatico risponde di no, che aveva altro a cui
pensare, Nasruddin commenta: “In questo caso avete perso TUTTA la vita
perché stiamo affondando”.
3) Struttura Caratteriale
Un certo numero di definizioni come l’esaltazione immaginaria del proprio
valore e del proprio fascino, recitare la parte del principe o della
principessa esigendo privilegi, la tendenza a vantarsi, il bisogno di essere
al centro dell’attenzione e così via, sono espressione diretta dell’orgoglio,
mentre altre sono corollari.
L’intenso bisogno d’amore degli individui Due, a volte può essere mitigato
dall’indipendenza che li contraddistingue, specie quando il loro orgoglio è
ferito e umiliato. Raramente la persona orgogliosa si sente appagata nella
vita se le manca un grande amore. Il bisogno di conferme si trasforma in
motivazione erotica, e il bisogno d’amore si trasforma in orgoglio che
viene soddisfatto attraverso un’intimità fisica ed emotiva intensa e
totalizzante (a discapito quindi delle relazioni più consolidate, ma meno
“magiche”), perché il bisogno di considerarsi una persona speciale si
soddisfa attraverso l’amore e la dedizione esclusiva dell’altro, che può
caratterizzare però solo la parte più seduttiva del rapporto Anche
l’edonismo è collegato con il bisogno d’amore, perché il desiderio del
piacere in genere, può essere considerato come un sostituto del piacere
stesso. Il tipo Due, affettuoso e tenero, può diventare una furia se non gli
vengono concesse attenzioni e un amore fatto di “coccole”, come un
bambino viziato. La ricerca ossessiva del piacere, tipica dell’istrionico,
alimenta naturalmente in lui il lato allegro del carattere, con la sua finta
contentezza e vivacità. Si sente frustrato quando non ha particolari motivi
di contentezza, che gli derivano dall’attenzione degli altri o da situazioni e
stimoli nuovi; tollera poco la routine, la disciplina e altri ostacoli che si
frappongono ad uno stile di vita irresponsabile e spensierato.
Tutto proteso a conquistare l’amore e il piacere, ha anche un grande
interesse nell’apparire attraente: prima di ogni altra cosa viene la
seduzione. La persona istrionica è affettuosa, ma il sostegno offerto dal
nostro Due è virtuale, nel senso che questa persona può dare amicizia
senza riserve e tuttavia non essere così sollecita quanto l’espressione dei
suoi sentimenti
lascia intendere, soprattutto nell’aiuto pratico. Da qui l’incapacità di
rimanere fedeli agli impegni più gravosi.
Anche l’adulazione può essere considerata un mezzo di seduzione con cui
il Due si mette in mostra, egli adula solo coloro che ritiene degni di essere
sedotti. L’erotismo del Due, è quindi un veicolo di una seduttività più
complessa.
Il Due ha sugli altri un forte ascendente che, spesso, crea dipendenze. Il
Due arriva a soddisfare i suoi desideri con un’audace e spesso eccessiva
sicurezza di sé, con una pulsione verso la vita, potente e disinibita. La rara
combinazione del Due di tenerezza e combattività gli attribuisce un’aura di
vitalità avventurosa. Ma potremmo anche definirlo “ostinato” e con la
pretesa che le cose vadano a “modo suo”, anche a costo di una scenata o
del sacrificio di un servizio di piatti.
Per la definizione del carattere orgoglioso è assai importante individuare la
rimozione dello stato di bisogno. L’orgoglio porta a rifiutare l’ipotesi di
poter avere bisogno degli altri. Ci troviamo di fronte ad una persona vivace
che insegue l’eccitamento e la drammatizzazione, ma che è inconsapevole
dello stato di bisogno che si nasconde dietro la ricerca di riuscire gradito
ad ogni costo (a chi piace a lui) e di essere riconosciuto come una persona
straordinaria. Per l’orgoglioso aver bisogno d’amore denota debolezza:
nell’evolversi della sua personalità, il Due è stato particolarmente legato a
un’immagine di sé come persona che dà, non come persona che riceve; un
individuo così pieno di soddisfazione da poterla generosamente riversare
intorno a sé. Da qui emerge la sollecitudine e la falsa abbondanza del
carattere istrionico. La rimozione del bisogno non è solo sostenuta
dall’edonismo, ma anche ad un’identificazione vicaria al bisogno degli
altri. Questa persona ha una particolare attrazione verso i bambini: essi
rappresentano non solo la dimensione di una sfrenatezza infantile e senza
costrizioni, ma sono anche piccoli bisognosi di protezione. Essi alimentano
la sensazione dell’orgoglioso di avere molto da dare, e al tempo stesso
soddisfano segretamente il suo bisogno d’amore.
Dell’applicazione istrionica dell’immagine di sé idealizzata fanno parte la
felicità, l’indipendenza che si fonda sulla negazione del bisogno di
dipendenza e un’autoindulgenza nei confronti della pratica di dare libero
sfogo alla testardaggine, all’impulsività e alla sfrenatezza. Tale libertà
rappresenta l’ideale della gratificazione degli impulsi, in parte al servizio
dell’edonismo, ma soprattutto come strategia per evitare l’umiliazione di
doversi sottomettere al potere di un altro, alle regole sociali ed a ogni sorta
di altra limitazione. Il Due si ribella all’autorità in genere, perché suppone
di non averne bisogno. La grande “intensità” con cui coinvolge appartiene
all’atteggiamento istrionico del Due. Il Due non cerca in genere di avere il
controllo della situazione in modo diretto, ma ricorrendo alla
manipolazione emotiva.
Se i Quattro e i Due sono decisamente i tipi più emotivi
dell’enneagramma, l’emotività del Due può
considerarsi più specifica: spesso, infatti, nel Quattro coesiste con interessi
intellettuali o religiosi, mentre il Due è un tipo più sentimentale e più
marcatamente interessato ai rapporti umani e alle dinamiche relazionali.
Fra emozione e astrazione, il Due tributa la sua preferenza senz’altro alla
prima.
4) Meccanismi di difesa
Il meccanismo di difesa di questo carattere è la “rimozione” con cui
impedisce alle fantasie istintuali di raggiungere la coscienza; la persona
agisce spinta dagli impulsi senza averne consapevolezza, il che equivale ad
un atteggiamento irresponsabile. Naturalmente questo è possibile solo al
prezzo di un certo offuscamento intellettuale, una sorta di
indeterminatezza, un venir meno della precisione o della chiarezza con
conseguente svalutazione della sfera cognitiva. Ciò spiega la caratteristica
emotiva del tipo Due. La mancanza di consapevolezza esige l’instaurarsi
di un fenomeno compensativo. La compensazione sta in
un’intensificazione dei propri sentimenti associati all’impulso, nella
giustificazione dell’impulso con una esagerazione dei sentimenti che
l’hanno innescato (“ho buttato giù la porta perché il mio amore non si
ferma davanti a niente”). Nel Due è caratteristica quindi una
“rappresentazione sentimentale dell’istinto”.
6) Psicodinamiche esistenziali
Se intendiamo l’orgoglio come il risultato di una frustrazione precoce del
bisogno d’amore, potrebbe risultare un errore continuare a interpretarlo
come elaborazione del bisogno d’amore e non come un tratto caratteriale
ormai entrato “in automatico”. Da questa angolazione, l’intenso bisogno
d’amore del Due è piuttosto una conseguenza dell’orgoglio che non ha un
precedente profondamente radicato. Possiamo considerare l’orgoglio,
come qualsiasi altra passione, una compensazione per quella che viene
percepita come una mancanza di valore cui si accompagna un affievolirsi
del senso dell’essere, il sostegno naturale, originario e più vero nel senso
del proprio valore personale. Possiamo dire che, nonostante l’euforia, la
vitalità e l’esuberanza superficiale, nel carattere orgoglioso si nasconda il
segreto riconoscimento di un vuoto che si è trasformato nel dolore dei
sintomi istrionici. Normalmente questo dolore viene interpretato come una
pena d’amore mentre invece è un senso di mediocrità personale che
alimenta il desiderio di eccellere e di essere speciali. Tale interpretazione è
utile perché ci spinge a cercare cosa perpetua questo vuoto che si è
insediato al centro della personalità. Il senso dell’esistere poggia
sull’integrazione totale della propria esperienza e non è compatibile con la
rimozione dello stato di bisogno, non più di quanto lo sia l’incapacità del
Tre di vivere una vita autentica perché è occupato a mettere in scena
un’immagine ideale per un pubblico scelto di supporters. La falsa
abbondanza è una menzogna emotiva a cui l’individuo non crede del tutto,
perché altrimenti non continuerebbe a sentire il bisogno di riempire
freneticamente il vuoto del senso dell’essere di cui è privo e di cui soffre
profondamente. Con le sue caratteristiche di “isteria” libera e selvaggia
egli ostacola la realizzazione di mete che porterebbero una soddisfazione
più profonda. La strada terapeutica stà nella possibilità di riconoscere
questo circolo vizioso, ma la terapia non dovrebbe limitarsi a rendere
possibile il buon rapporto che è mancato nell’infanzia, dovrebbe occuparsi
di rieducare l’individuo ad autorealizzarsi e a elaborare nella vita
quotidiana quella soddisfazione profonda che solo un’esistenza autentica
può dare.
2) Classificazione
Il DSM IV non definisce questo tipo di carattere, ma vedremo brevemente
altre classificazioni.
Fromm definisce questa personalità come “personalità mercantile” con
l’assunzione del concetto mercantile di valore, con l’accento posto sul
valore di scambio anziché sul valore d’uso e consimile trasposizione di
valori nei riguardi delle persone e particolarmente di sé stessi. Il Tre sta
molto attento a come si presenta sul “mercato” dei caratteri. Crede di
dover essere, come una borsetta, il tipo di personalità più richiesta in un
determinato contesto e in un determinato momento. Ciò stimola una
plasticità strumentale.
La Horney presenta un quadro più marcatamente clinico: “mi avvalgo del
termine ‘narcisista’ nel senso originario e descrittivo, di essere innamorati
della propria immagine idealizzata. Ciò gli consente una vivacità del tutto
assente in altri gruppi di nevrotici, gli permette un’apparente abbondanza
di fiducia in sé stesso che tutti i perseguitati dai dubbi gli invidiano.
Questo tipo di nevrotico, non ha (coscientemente) dubbi: egli è il
benefattore dell’umanità. E in tutto ciò vi è un granello di verità: il più
delle volte egli possiede doti superiori alla media, si distingue presto in
società con facilità e fascino. Ma nonostante l’apparente fiducia in sé è
evidente che non poggia su basi sicure. Gli occorre un’incessante
conferma della propria autostima, sotto forma di ammirazione e
devozione. A sé stesso e agli altri da l’impressione di amare il prossimo;
può essere generoso con ostentazione di sentimenti, con lusinghe,
distribuendo favori e aiuti , quali ricompense anticipate dell’ammirazione
che si aspetta di ricevere in cambio o della devozione che gli si è
professata. Può mostrarsi del tutto tollerante e non pretendere affatto la
perfezione dagli altri, ma nessuno deve permettersi di dubitare seriamente
di lui”.
Keirsey e Bates li descrivono come uomini e donne da palcoscenico: “in
presenza di un individuo con questa personalità le cose cominciano ad
accadere, le luci si accendono, la musica suona e il gioco comincia. Se si
dovesse usare un unico aggettivo per descriverlo quello giusto sarebbe
‘intraprendente’ . Ostenta uno stile simpatico e cordiale, ma con una
teatralità che rende eccitanti anche gli eventi più banali e consueti. I suoi
occhi non abbandonano mai lo spettatore e tutto ciò che fa è per il suo
pubblico. Nei suoi intenti pratici è spietato e spesso adduce gli scopi che si
prefigge per giustificare qualsiasi mezzo cui ritenga necessario ricorrere.
Si distingue come promotore di imprese o eventi: dove ci si riunisce
intorno a un tavolo per negoziare. Queste persone sono consulenti
amministrativi di valore inestimabile, capaci di sanare rapidamente e con
stile i conti in rosso di compagnie e istituzioni in crisi. Nessuno come loro
sa vendere un’idea o un progetto.” Questa è una strategia di vita. Per
capire i Tre dobbiamo sempre tenere presente l’ambiguità di fondo,
consapevole o no, di questo carattere, diversa dall’ambivalenza del Sei,
che oscilla nella ricerca del “giusto” e dell’esplicita e brillante seduttività
del Due. Il Tre è sottilmente manipolatore sempre e utilizza
strumentalmente il suo “far colpo” misurato, la sua capacità di aggregare
persone intorno a qualcosa, la sua sbandierata e ostentata correttezza
stilistica, per il raggiungimento dei suoi scopi, che ritiene a priori giusti
perché suoi. La sua capacità di persuasione, più nascosta e perseverante,
di quella del travolgente Due è tanto più efficace in quanto, in misura
maggiore o minore a seconda del grado di nevrosi, anche lui crede in ciò
che “vende”.
In omeopatia la personalità del Tre viene associata a phosphorus.
3) Struttura Caratteriale
L’aver sostituito il sé con le apparenze è da considerarsi la fissazione del
Tre, derivante dal suo spasmodico e compulsivo bisogno di attenzione. Al
desiderio di essere visto, udito, apprezzato, questo carattere unisce un
equivalente profondo senso di solitudine innescato dal fatto che, qualsiasi
successo ottenga, lo attribuisce al falso sé e a tattiche manipolative. Imputa
anche i suoi bisogni ad un falso sé, così quando questi vengono soddisfatti,
non è in grado di riconoscerlo ed è ossessionato da timore che, senza la sua
luminosa costellazione di inganni, non sarebbe amato per ciò che è. Cerca
il successo come conferma e reazione alla paura di non riuscire, ma è
anche afflitto dal terrore di esporsi e di ricevere un rifiuto nel caso si
mostrasse al mondo senza maschera.
La vanità del Tre non si esaurisce nella “passione di essere visti”, ma è
anche una resa ai valori sostenuti dalla cultura dominante e una
sostituzione dei criteri guida interni con criteri e giudizi esterni che ne
fanno il carattere più eterodiretto dell’enneagramma.
Prestiamo ora attenzione al suo atteggiamento “camaleontico” per cui la
vanità può essere soddisfatta anche nell’ambito della controcultura, in cui
colpisce per il disinteresse per i valori correnti, ma, pro o contro, sono
sempre i valori correnti il suo punto di riferimento. La grande capacità,
specifica di questo carattere, di conseguire gli scopi propri della vanità,
tiene viva la vanità stessa nella psiche di questo individuo con il
corrispondente errore esistenziale di scambiare la propria abilità e il
proprio fascino per il proprio vero e completo sé, o al contrario attribuirle
interamente al falso sé con conseguente disorientamento d’identità.
Caratteristiche come il brio, la sollecitudine e la generosità riflettono un
generico desiderio di piacere e aggregare “la corte” intorno a sé.
Il tipo Tre è orientato al successo come riconoscimento sociale; crede che
se non avrà successo o non si renderà efficientemente utile non ci sarà
posto per lui nel mondo. Molti suoi tratti caratteriali sono funzionali a
questo scopo. L’abilità di fare le cose rapidamente e con precisione fa di
loro buoni segretari e buoni dirigenti. Tiene un ritmo sostenuto che
probabilmente si è sviluppato al servizio dell’efficienza. Benché si noti un
interesse per la scienza e per la tecnologia, il termine migliore per definire
l’inclinazione specifica di questo carattere è “scientismo”, vale a dire la
tendenza a svalutare un pensiero che non sia logico-deduttivo o scientifico.
E’ competente e sistematico nell’organizzare la propria attività e quella
degli altri. Quando si tratta di decidere fra il successo e il riguardo per gli
altri, questo tipo mostra spietatezza nei rapporti umani, infatti gli
individui Tre non sono solo piacevoli, ma spesso caustici, freddi,
calcolatori e usano sé stessi e gli altri per raggiungere gli scopi che si sono
prefissi. Esercita controllo su sé e sugli altri e dove la manipolazione e la
persuasione falliscono, emerge una certa prepotenza. E’ un carattere
competitivo, paradossalmente e principalmente con sé stesso, e ansia e
tensione sono un esito comprensibile dello sforzo estremo per conseguire
risultati tangibili e della paura di non riuscirci. Questi individui sono
“personalità di tipo A”.
Il tipo Tre cerca di esercitare un controllo emozionale eccessivo così che il
controllo emozionale rischia di trasformarsi in non percezione emozionale,
anche a livello sentimentale ed erotico.
Falsità, simulazione e autoinganno sono le caratteristiche centrali
dell’organizzazione di questa personalità. Ciò che crea la realtà di questo
individuo quale viene percepita dagli altri è la sua identificazione con il
ruolo, con la maschera: egli perde la sensazione di stare simulando, di stare
giocando. Queste persone hanno l’abilità di promuovere molto bene anche
gli altri implicitamente o esplicitamente con il corrispondente opposto di
essere abili a mettere in cattiva luce cose o persone; facendo mostra di
grande gentilezza, colpiscono direttamente o alle spalle gli avversari o i
concorrenti. Il nostro Tre, desideroso di attirare l’attenzione sviluppa la
capacità di intuire cosa può suscitare interesse nell’ambiente in cui si trova
e adeguarsi camaleonticamente alla “domanda di mercato”. Ha una
tendenza progressista e conservatrice ad un tempo; un misto di
conformismo e di lotta per il progresso. Specialmente abbraccia il
progresso tecnologico e scientifico, che non mette in discussione i valori
tradizionali e più accessibile al suo orientamento tecnocratico.
Tipici del Tre (a differenza dei suoi vicini Due e Quattro) sono la
razionalità e la sistematicità, che fanno di lui un calcolatore. Questi tratti
sono visibili anche nella pratica, dove si avverte il controllo che esercita
sul proprio sé e sulle sue attività rendendolo pragmatico, organizzato,
efficiente e pratico. Questo stile caratteriale è ipervigile, incapace di
arrendersi o di dimenticarsi di sé stesso; è sempre all’erta. Deve tenere
tutto sotto controllo e ha imparato presto ad affrontare le cose fidandosi
solo di sé, nella convinzione che gli altri abbiano altro a cui pensare o non
si prendano cura di lui in modo adeguato. Ciò denota una profonda
sfiducia nella vita: sfiducia che le cose, in mancanza di un rigoroso
controllo, possano andare lo stesso nel verso giusto. La diffidenza, che
impedisce al tipo Tre di arrendersi all’autoregolazione organismica del
proprio essere psico-mentale, e l’ansia che le cose, fuori dal suo controllo
possano “andare male”, gli induce una continua tensione. La mancanza di
fiducia di fondo, che contrasta con l’ottimismo di superficie, è uno dei
fattori che predispone questo carattere all’ansia. Il carattere Tre, è convinto
di amare gli altri, ma le sue premure sono egoisticamente finalizzate al
conseguimento dell’ammirazione. Può darsi che il Tre, a differenza del
Sette, non sia consapevole della sua strategia, così come il Due è
sinceramente convinto di essere generoso, altruista e meritevole di
gratitudine. Quella che dall’esterno viene avvertita come superficialità di
questo stile caratteriale, è invece un problema di identità, nel senso di non
sapere chi egli sia (al di la dei ruoli e delle caratteristiche tangibili) né
cosa desideri veramente (a parte essere approvato edessere efficiente).
Questo è ovviamente devastante per un carattere che si fida solo di sé e
che, quindi, quando entra in crisi d’identità si disorienta completamente
perché ha la sensazione di non avere appigli né interni né esterni. A quel
punto si affanna sempre più per avere riconoscimenti esterni che gli
restituiscano l’identità, ma più il desiderio di “essere” viene spostato su
una ricerca esterna, più è difficile per lui, prendere coscienza di sé,
perpetuando così il suo errore cronico.
4) Meccanismi di difesa
Poiché la fissazione e la caratteristica del tipo Tre è l’identificazione con
un’immagine di sé costruita in risposta alle aspettative degli altri, si plasma
su un modo di essere di modello esterno. A differenza dell’introiezione
dove vi è un’inglobamento identificativo eccessivo, l’espressione adulta
della vanità consiste nel far proprio, non tanto un individuo significativo,
quanto un’immagine precostituita di ciò cui gli altri annettono valore e che
desiderano, e alla quale cerca di dar vita con uno sforzo che gli è
caratteristico. Un altro meccanismo di difesa che spicca nel Tre è la
razionalizzazione. Tuttavia la “negazione” gli è ancora più tipica:
l’individuo, prevedendo che prima o poi qualcuno si renda conto del
contrario, dichiara in anticipo che certi pensieri (suoi), sentimenti o
desideri non gli appartengono. Questa è una espressione diretta di falsità.
(Es: “Io non sono razzista, ma…”)
6) Psicodinamiche esistenziali
Nel tipo Tre c’è una ignoranza dell’impoverimento del proprio mondo
esperienziale, del proprio vuoto interiore. Ciò lo avvicina al Nove, nel
quale, come vedremo, l’oscuramento ontico che è un elemento centrale,
consiste soprattutto nel non prendersi in considerazione e nel non sapere di
sé. Il Tre e il Nove, semi-ignorati dal DSM IV, conducono una vita
apparentemente equilibrata e normale, ma si portano dentro una profonda
mancanza di contatto con il sé e con la propria interiorità. Quando il tipo
Tre si rende conto che gli “manca qualcosa”, in genere esprime questa
sensazione di vuoto in termini di disorientamento e di “non sapere chi egli
sia” veramente, cioè come un problema di identità. Ciò è positivo perché
indica che egli è arrivato a capire che la sua vita è una serie di recite e la
sua identità è stata vissuta sull’identificazione con lo status professionale o
con altri ruoli. Nel momento in cui si rende conto che quella non è la sua
vera identità, prova anche la sensazione di aver troncato il contatto con il
proprio sé e di essere in balia di un sé nascosto, sconosciuto e
incontrollabile. La deriva viene ulteriormente percepita insieme alla
sensazione di non conoscere i propri veri desideri e i propri veri
sentimenti, una sensazione di sbando che cresce man mano che i
sentimenti posticci vengono riconosciuti come tali. La passione di piacere
e di attirare gli altri polarizza l’attenzione di questo individuo sulla parte
superficiale del proprio essere, a discapito della profondità dell’esperienza
sentimentale, emotiva ed erotica. La lotta cronica del Tre per ottenere
“alimento narcisistico” è sostenuta da un impoverimento che l’individuo si
procura da solo e che nasce proprio dall’aver investito tutta l’energia
psichica
nel recitare e nel vivere per gli occhi degli altri. Il modo in cui la verità
(virtù del Tre) può rendere libero questo carattere è che l’intuizione vera e
profonda di questo circolo vizioso può liberare l’energia e l’attenzione di
questo individuo, focalizzandole su quell’interiorità evitata e
potenzialmente dolorosa. Egli agisce per la sua incapacità di fermarsi per
guardarsi dentro, mentre deve imparare proprio il contrario: a stare fermo,
a non fare pur di fare qualcosa. Queste persone che hanno difficoltà a stare
da sole e agiscono compulsivamente, trarrebbero grande beneficio dal
dover affrontare lo “specchio vuoto”, ma in genere la ricerca interiore
appare loro inconsistente,
irrazionale e insensata, così continuano a cercare “fuori” la loro identità e a
perpetuare il loro circolo vizioso.
1) Teoria nucleare
Lo stato emotivo dell’invidia coesiste con la sensazione dolorosa di
carenza e di desiderio. L’eccesso di desiderio può portare a situazioni
paradossali come quella di Quevedo: quando gli invidiosi giungono
all’inferno e vedono tutte le anime sottoposte a torture particolari, si
sentono delusi e soffrono nel constatare che la loro tortura non sia poi così
speciale.
Il Quattro pretende con rabbia ciò di cui si sente sprovvisto, senza
considerare che i sentimenti non sono diritti, ma la conquista di un
processo impegnativo. Con “la vanità” c’è un nesso importante: il Quattro
è un elemento della triade situata nella regione destra dell’enneagramma,
che nel complesso si riconosce in un interesse eccessivo per l’immagine di
sé.
Mentre il Tre si identifica con la parte di sé idealizzata, il Quattro si
identifica con la parte del se svalorizzata e lotta continuamente per ottenere
ciò che, secondo lui, gli altri hanno e a lui sembra di non avere. Anche
questo individuo si sente unico, ma nella sfortuna.
In lui sono sempre presenti un senso di penuria e di indegnità. ( Tutti
possono contare su qualcosa tranne me….Non c’è nessuno più sfortunato
di me..)
Il carattere Quattro vive un senso di indegnità, come se si vergognasse di
esistere, una percezione di colpa e di penuria che si possono facilmente
trasformare in depressione. Nell’invidia il senso di colpa è un tormento
cosciente e la depressione si esprime con dolore manifesto e appassionato.
Il Quattro è un carattere intenso, insofferente nei confronti della banalità, a
quella che lui definisce sprezzantemente “normalità” predilige
un’atmosfera di scompiglio e di turbolenza dove tende a fare la vittima e a
frustrarsi.
Si tratta di un carattere orale-aggressivo con personalità depressiva,
autolesionista e masochista.
3) Struttura Caratteriale
Nel Quattro la passione dell’invidia nasce come fame d’amore, ma può
presentarsi anche come voracità generalizzata. Bisogna tenere presente il
processo continuo di autofrustrazione dell’invidia che è la base persistente
del desiderio eccessivo che la contraddistingue. Molto spesso, nelle donne,
esiste anche un’invidia sessuale; alcune pensano che, per vari motivi, sia
meglio essere maschi. L’invidia può manifestarsi anche come
idealizzazione delle classi superiori e come forte impulso alla scalata
sociale (di cui Prust ha fatto un quadro magistrale ne “La Ricerca del
Tempo Perduto”), sia come competitività carica di odio nei confronti dei
ceti privilegiati (descritta da Stendhal con “Il Rosso e il Nero”).
Più sottilmente si manifesta come ricerca di eventi straordinari e di
esperienze intense (anche autolesive), cui corrisponde l’insoddisfazione
per ciò che è ordinario e privo di drammaticità. La bulimia è presente in
questo carattere più che in ogni altro; il nostro Quattro vive un vuoto
doloroso alla bocca dello stomaco che tende a riempire avidamente, ma poi
si sente in colpa e quindi rigetta il cibo con cui ha riempito il vuoto.
Il Quattro vive la costante contraddizione fra un estremo bisogno e il tabù
che si attiva contro di esso (rigetto del bisogno); inoltre è consapevole
della sua invidia e il senso di vergogna e di bassezza che prova a causa di
questa passione, determinano “l’immagine cattiva” di sé.
L’immagine cattiva di sé si accompagna ad altre percezioni quali: senso di
inadeguatezza, tendenza a vergognarsi, facilità di sentirsi ridicoli, brutti,
marci dentro e così via. E’ l’autodenigrazione che crea il vuoto dal quale
emerge la voracità dell’invidia, con il suo aggrapparsi, il suo pretendere, il
suo mordere, la sua dipendenza, il suo attaccamento eccessivo, in tutte le
loro manifestazioni.
Il Quattro è sintonizzato sulla sofferenza con le caratteristiche che vanno
sotto il nome di “masochismo”. Oltre alla sofferenza che nasce dallo stato
di bisogno autonegato e dall’immagine scadente di sé, dobbiamo
considerare l’uso del dolore a scopo vendicativo e alla speranza inconscia
di ottenere l’amore attraverso la sofferenza. Sono sensibili, intensi,
appassionati e romantici, ma possono covare un senso tragico della propria
vita e della vita in generale. Dominati dal desiderio e dalla nostalgia (mai
in contatto con il presente), in preda ad un segreto senso di abbandono,
sono in genere pessimisti, amari e talvolta cinici. Di pari passo vanno le
lamentele, le recriminazioni, l’arroganza e l’autocompatimento. Oltre alle
reali o presunte perdite e privazioni presenti, il nostro Quattro soffre anche
per la paura delle perdite e delle privazioni future. E’ nelle strategie messe
in
atto per sintonizzarsi sul dolore e mostrarsi sofferenti al fine di ottenere
amore, che ci avviciniamo di più al nucleo del suo carattere. Al pari del
neonato, per il quale l’aspetto funzionale del pianto è quello di attirare
l’attenzione della madre, la sofferenza serve al Quattro per attirare
l’attenzione su di sé, egli ha imparato ad ottenere l’attenzione
amplificando nella fantasia la sofferenza e il modo di esprimerla e anche
cacciandosi in situazioni dolorose. Il Quattro può trovare nella sofferenza
un modo per riempire il vuoto esistenziale e quindi al tempo stesso
considerarla una necessaria, dolce, familiare tristezza. I tipi Quattro sono
sentimentalmente aggressivi in quanto sono i più amore-dipendenti, un
bisogno alimentato a sua volta dal bisogno di ottenere quel riconoscimento
che sono incapaci di darsi da soli. La loro dipendenza li porta ad
aggrapparsi a rapporti che fin dall’inizio sono frustranti e prospettano
frustrazione. Il bisogno di trovare una motivazione alla propria vita
attraverso un qualunque legame amoroso nasce dall’incapacità di trovare
la motivazione a prendersi adeguatamente cura di sé, interpretabile come
un espediente inconscio per ottenere protezione. La cura che dedica agli
altri può essere portata a punti di esagerazione masochistica, fino al
rendersi schiavi delle situazioni, e contribuisce quindi al senso di
frustrazione e di dolore che, a sua volta, attiva gli aspetti arroganti,
intolleranti e litigiosi del carattere. Un’inclinazione determinante è data
dalla predominanza del sentimento nella struttura del Quattro. Siamo in
presenza di un tipo emotivo, anche se più introverso rispetto, ad esempio,
al Due.
L’intensità di questo carattere è visibile anche nell’odio e le sue scenate
isteriche fanno grande impressione.
Pure l’arroganza competitiva (derivata dalla comparazione continua) è una
caratteristica del nostro Quattro. Per quanto possa ribollire di odio e di
biasimo verso sé stesso, l’atteggiamento verso il mondo esterno è quello di
una prima donna, o almeno di una persona che si ritiene molto speciale.
Quando la pretesa di essere speciale viene frustrata, può sfociare in un
ruolo di vittima, in una sofferenza ricattatoria da “genio incompreso”.
La sua avversione per la grossolanità e la tendenza alla raffinatezza può
essere intesa come lo sforzo per compensare un’immagine di sé mediocre.
Il suo tentativo di essere diverso da ciò che è innesca
meccanismi imitativi la cui mancanza di originalità perpetua l’invidia
dell’originalità. L’inclinazione per le arti e il bello affonda le sue radici
nella ricerca di raffinatezza del Quattro, ma è sostenuta dalla sua
disposizione peculiare a fare dei sentimenti il centro di tutto. Riesce ad
idealizzare il dolore attraverso le arti e addirittura a trasformarlo, nella
misura in cui il dolore può diventare un elemento di bellezza. Il Quattro
ha un Super-Io forte, ma il suo ideale è più estetico che etico. A volte, per
lui, la disciplina può raggiungere un livello masochistico (anoressia).
L’amore per il cerimoniale riflette tanto le caratteristiche estetico raffinate
quanto l’attaccamento alle regole. Dato che le regole sono per lui
importanti, quando non le rispetta (spesso) si sente in colpa e si giustifica
con la sofferenza.
4) Meccanismi di difesa
La difesa dominante e osservabile nel tipo Quattro è l’introiezione. La
cattiva immagine di sé deriva
dall’introiezione di una figura genitoriale vissuta come rifiutante (per
evitare di commettere errori e incorrere in una punizione “si porta sempre
dentro” il genitore giudicante). L’odio cronico verso sé stessi proviene da
tale introietto e il bisogno di compensare l’incapacità di amarsi richiede la
presenza dell’approvazione esterna e di amore esterno. La differenza fra
“introiettare” e “interiorizzare” è importante. Un bambino, ad esempio,
introietta la figura genitoriale mentre interiorizza il conflitto di autorità con
il genitore dominante. Il Quattro interiorizza il rifiuto genitoriale e
introietta la figura di un genitore non amorevole, portando così nella
propria psiche una costellazione di impressioni che vanno da un cattivo
concetto di sé alla necessità di distinguersi in modo speciale e che
implicano una sofferenza cronica e una dipendenza (compensativa) dal
riconoscimento esterno. Uno degli aspetti peculiari di questo stile
caratteriale è che, nel Quattro, la “familiarità crea disprezzo” (ciò di cui si
dispone non è mai desiderabile come ciò che non si può ottenere)
attraverso un “processo infettivo” a causa del quale l’autodenigrazione e
l’autorifiuto si estende a ciò e a coloro che, attraverso l’intimità, entrano in
relazione con lui. Il “senso di sé”, nelle personalità più dipendenti sembra
spingersi fino ad includere l’intero mondo dei suoi rapporti intimi. Sembra
che ad un certo punto, quando è sicuro di aver ottenuto l’amore
dell’oggetto desiderato, cominci a disprezzarlo perché se (l’oggetto amato)
ama un essere spregevole come lui (il Quattro), dev’essere anch’esso
spregevole quindi meritevole di critiche, sarcasmo e insofferenza. Altra
dinamica del Quattro è la “retroflessione”: mentre l’odio ed il rifiuto di sé
sono impliciti nell’oggetto cattivo introiettato, il concetto di retroflessione
suggerisce l’idea che la rabbia generata in seguito alla frustrazione sia
rivolta non solo contro la fonte esterna di frustrazione, (e contro colui che
per primo nella vita l’ha inflitta) ma anche, come conseguenza
dell’introiezione, verso sé stessi.
6) Psicodinamiche esistenziali
Il motore dell’invidia si avvia nella frustrazione dei primi bisogni di
attaccamento del bambino, ma il dolore cronico residuo, caratteristico del
Quattro, la ricerca d’amore esagerata e compulsiva “al presente” può
essere considerata una disfunzione, un miraggio.
Le recriminazioni sul passato non fanno cambiare il presente e non
rispondono ai bisogni di un adulto che non ha principalmente necessità di
sostegno, riconoscimento e cura da parte dell’ambiente, ma ha necessità di
riconoscersi, sostenersi, amarsi e sviluppare un “senso del sé” che contrasti
l’aspettativa centrifuga di bontà dall’esterno. Il Quattro avverte un
impoverimento esistenziale cui cerca di compensare attraverso l’amore e
l’emulazione degli altri; cerca di riempire il vuoto con la passione
dell’invidia che, a sua volta, perpetua l’autodenigrazione. Attraverso un
processo di distorsione tenta di apparire migliore ed ha bisogno i
conferme: “sono amato, quindi valgo qualcosa”, “amami, così so che vado
bene”. Crede di cercare l’amore per sé, ma lo cerca per la sua immagine
idealizzata e “originale”, per il suo “falso Se”. Ma il suo falso sé non
tollera la “normalità” e quindi non può tollerare un amore autenticamente
umano. Una volta ottenuto l’amore, con tutta probabilità, lo metterà in
discussione (“Se mi ama, non può essere una persona di grande valore”)
oppure, attuando rivendicazioni nevrotiche, innescherà una reazione a
catena di frustrazioni e conferme. La ricerca dell’essere, attraverso
l’emulazione dell’ideale di sé, si regge su una base di rifiuto del sé e sulla
cecità del proprio valore intrinseco. E’ fondamentale che il Quattro impari
(attraverso la terapia) a comprendere profondamente le sue trappole e più
di qualsiasi altro ha la necessità di sviluppare la capacità di indipendenza.
Datosi che è reattivo e aggressivo, crede di essere autosufficiente e proprio
per questo non riesce a vedere la necessità di sviluppare la propria
autonomia. L’indipendenza può venire soltanto dalla capacità di
apprezzare e cogliere il senso della dignità del sé e della vita in tutte le sue
forme. Se ciò è assente del tutto o in gran parte, ci troviamo in presenza di
una patologia dei valori raffigurabile con la metafora del cane con un osso
in bocca, che si specchia nel fiume: trovando l’osso dell’altro più
appetitoso del suo, spalanca le fauci e perde ciò che aveva.
CINQUE – Ritenzione e distacco
2) Classificazione
In “Nevrosi e sviluppo della personalità” la Horney scrive: “Una delle
soluzioni dei conflitti intrapsichici è la fuga del nevrotico dal campo di
battaglia interiore e nel fatto che egli proclama di disinteressarsene. Se il
paziente riesce a pervenire ad un atteggiamento di noncuranza e a
mantenerlo, può godere di una parvenza di serenità spirituale. Poiché egli
può riuscire a ciò solo rinunciando alla vita attiva, il termine “rinuncia”
sembra un’opportuna definizione di questa soluzione. La rinuncia può
avere un significato costruttivo; in molte religioni e in molte correnti
filosofiche, si sostiene che la rinuncia a tutto ci ò che non è essenziale
costituisce una condizione per l’elevazione dello spirito. Per la soluzione
nevrotica è una ricerca di pace che consiste nell’assenza di conflitti, un
processo di minimizzazione, di valorizzazione dell’esistenza e dello
sviluppo della personalità. Diventa uno spettatore di se stesso, della sua
vita e della vita degli altri. Talvolta può mostrarsi acutissimo; è un amante
della conoscenza, ma soggiungerà di solito, che questa conoscenza anche
di sé non ha giovato a nulla. Ed è inevitabile che sia così,
poiché nulla di ciò che ha scoperto ha costituito per lui un’esperienza.
Durante l’analisi, il paziente cerca di conservare lo stesso atteggiamento:
fa sfoggio di un immenso interesse che resta a lungo al livello di un
affascinante divertimento, e nulla cambia. Un’altra caratteristica è
l’assenza di ogni serio tentativo per conseguire il successo e l’avversione a
ogni sforzo. Si tratta di un espediente che lo sottrae sia alle aspirazioni che
agli sforzi per realizzarle. Questa avversione allo sforzo può estendersi a
qualsiasi attività; essa determina allora un’inerzia completa.
Spesso gli scopi del paziente sono limitati e, per giunta, negativi. Secondo
lui l’analisi dovrebbe liberarlo da noiosi disturbi, come la sua goffaggine
con gli estranei, il timore di arrossire o svenire per strada; oppure vorrebbe
eliminare o l’uno o l’altro aspetto della sua inerzia , per esempio, le
difficoltà che gli impediscono di fare qualcosa a cui tiene. Il paziente può
dichiarare di cercare la serenità, ma questa serenità non significa altro per
lui che l’assenza di disturbi, irritazioni, smarrimenti. Sottoporsi alla cura
psicanalitica è, per lui, come recarsi dal dentista che gli cava un dente, o
dal medico che gli pratica un’iniezione. Aspetta che il terapeuta trovi per
lui una soluzione. Approfondendo ancora, perveniamo alla vera essenza
della rinuncia: la restrizione dei desideri.
E’ soprattutto ansioso di non affezionarsi a nulla fino al punto da averne
una vera necessità; se le cose assumono per lui tale importanza da
rendergli penosa la loro eventuale mancanza, tende subito a ritirare i suoi
sentimenti.”.
Nel DSM III troviamo la descrizione del nostro tipo Cinque, qui definito
come “disturbo schizoide di personalità” caratterizzato dai seguenti
elementi:
A) Indifferenza per le relazioni sociali. Le persone con questo disturbo
preferiscono essere solitarie e non avere amici stretti o confidenti.
B) Indifferenza alle lodi, alle critiche e ai sentimenti altrui.
C) Non ha amici stretti o confidenti (o uno solo) a parte i parenti stretti.
D) Non vi sono eccentricità di comunicazione, di comportamento e di
pensiero, come accade nel disturbo schizotipico di personalità.
Nel DSM III troviamo un altro tipo di personalità che richiama il nostro
Cinque: si tratta della personalità passivo-aggressiva. La resistenza alle
richieste del mondo esterno è tipica di questo carattere. Il passivo
aggressivo ha un’immagine di sé insoddisfatta; scontento e deluso dalla
vita; ambivalenza nei rapporti interpersonali e usa comportamenti
imprevedibili e scontrosi per mettere a disagio gli altri. La sindrome
passivo-aggrssiva, non coincide appieno con il Cinque, ma è un’ulteriore
complicanza di questo stile caratteriale. Le personalità passivo- aggressive
non riescono né a nascondere né a risolvere i conflitti interiori; perciò la
loro vita quotidiana è continuamente intrisa di ambivalenza, che si traduce
in indecisione, irresolutezza, emozioni e comportamenti oppositivi e, a
volte, comportamenti bizzarri e imprevedibili. Sono perennemente indecisi
se prendere l’iniziativa e diventare padroni del proprio mondo o se
starsene pigramente seduti in attesa che siano gli altri ad assumersi le
responsabilità delle decisioni.
Nella tradizione omeopatica troviamo alcune caratteristiche del nostro
Cinque nella personalità associata a Sepia , animale che non vive in
gruppo, ma isolato, fra le fenditure degli scogli e quando tenta di scappare
o di tendere un agguato alla sua preda, emette l’inchiostro per nascondersi
alla vista.
3) Struttura caratteriale
Nel V° stile di personalità troviamo caratteristiche quali la mancanza di
generosità in fatto di denaro, la mancanza di energia e di tempo, e anche
una certa insensibilità nei confronti dei bisogni degli altri. Nel trattenersi è
implicito un aggrapparsi ai contenuti della mente che si traduce in un
tipico muoversi a sbalzi della funzione mentale che milita contro l’apertura
dell’individuo agli stimoli ambientali. Esprime la preferenza per
un’autosufficienza che fa affidamento sulle proprie risorse piuttosto che
accostarsi agli altri. Ciò fa si che la possibilità di ricevere amore, cure e
protezione e di avere la forza di chiedere o prendere ciò di cui si ha
bisogno rimanga interdetta.
Evitare il coinvolgimento può essere considerato espressione
dell’incapacità di dare, perché significa evitare di dare nel futuro. Nella
tendenza a conservare e non rendere disponibili le proprie energie vitali
entra in gioco non soltanto l’avarizia, ma anche una proiezione
dell’avarizia nel futuro, come difesa contro la possibilità di rimanere in
seguito privi del necessario, defraudati del vitale. Data la reciprocità del
dare e del prendere che caratterizza i rapporti umani, la coazione a non
dare può essere mantenuta solo a spese del rapporto stesso; è come se
l’individuo pensasse. “Se il solo modo per conservare quel poco che ho è
di prendere le distanze dagli altri, allora lo farò”. Un aspetto del distacco
patologico è l’isolamento caratteristico del Cinque. Rassegnato a non avere
rapporti, questo carattere, crede di non risentirne in modo particolare, ma
vivere isolati richiede una scissione emotiva e la rimozione del bisogno
istintuale di stabilire relazioni.
La difficoltà che il tipo Cinque incontra a farsi degli amici è l’assenza di
motivazione ad entrare in rapporto con gli altri che percepisce come una
minaccia. Mentre la rassegnazione a non ottenere amore è praticamente il
corollario del distacco, l’inibizione della rabbia è invece innescata dalla
paura, emozione sempre presente nelle personalità con prevalenza di difese
schizoidi.
La paura del conflitto con gli altri determinato dall’incapacità di esprimere
la rabbia, unitamente alla paura di essere “inghiottiti dagli altri” innesca
l’evitamento interpersonale, volto all’evitamento della dipendenza
potenziale. Questa grande sensibilità all’interferenza si accompagna ad
un’arrendevolezza eccessiva, a causa della quale l’individuo entra troppo
facilmente in conflitto con la propria spontaneità, con le proprie preferenze
e con un agire coerente con i propri bisogni in presenza degli altri. Da ciò
viene rialimentata la fissazione di “ritrovarsi” solo in una condizione di
solitudine. Il grande bisogno di autonomia fa si che questo individuo si
illuda di poter fare a meno delle risorse esterne così, per soddisfare i suoi
desideri tende ad immagazzinare le proprie risorse. Strettamente collegata
all’autonomia è l’idealizzazione dell’autonomia stessa, che gli fa
considerare la dipendenza un disvalore e lo priva delle radici essenziali
date dalla fiducia e dalla convinzione di
appartenere ad un Tutto interdipendente.
La strategia della dissociazione tra piano emotivo e piano razionale
rimuove naturalmente la sensibilità empatica dando spazio ad un ulteriore
tratto caratteriale del nostro Cinque che è l’insensibilità verso gli altri. E’
una perdita di consapevolezza nei confronti dei sentimenti e
un’interferenza all’insorgere degli stessi motivata dal fatto che questo
carattere ne evita sia l’espressione sia la messa in atto. Tale peculiarità
rende alcuni indifferenti, freddi, apatici e intolleranti. Il ‘piacere’ viene
continuamente rinviato per cedere il passo ad impulsi più urgenti come
mantenere una distanza di sicurezza fra sé e gli altri e il desiderio di
autonomia.
Il suo ‘desiderio di fare’ è basso. L’azione richiede un entusiasmo per
qualcosa, una presenza di sentimenti che il tipo Cinque inibisce. Agire
significa mostrare il proprio sé al mondo, perché le azioni manifestano le
intenzioni di chi le compie. Chi pensa che esporsi sia un pericolo congela
anche la propria attività e struttura un controllo eccessivo da cui deriva una
certa goffaggine. Il tratto caratteristico del rinvio dell’azione può essere
considerato un ibrido fra negativismo ed evitamento. Il tipo Cinque è
introverso con orientamento intellettuale. Avvalendosi prevalentemente di
strumenti cognitivi cerca una soddisfazione sostitutiva: ed esempio
sostituirà la vita con la lettura. Nella sostituzione simbolica della vita
rientra anche la “preparazione alla vita”, preparazione intensa e infinita dal
momento che l’individuo non si sente mai abbastanza pronto. Colpisce in
modo particolare l’attività dell’astrazione: gli piace la classificazione e
l’organizzazione, ma tende a rimanere su un piano astratto, evitando la
concretezza.
Collegato con l’astrazione e la sistematizzazione dell’esperienza troviamo
l’interesse per le scienze e la curiosità per tutto ciò che riguarda la
conoscenza. Ma l’inibizione dei sentimenti e dell’azione da luogo al suo
essere un semplice, anche se acuto, osservatore distaccato della vita.
Sembra più interessato a comprendere la vita più che a viverla. Ma dato
che il senso dell’esistenza si trova nell’esistenza stessa, non potrà mai
trovare spiegazioni sostitutive soddisfacenti.
Evitare la vita introduce un forte senso di vuoto interiore. Una delle
conseguenze psicodinamiche del dolore esistenziale scatenato dal sentirsi
“vuoti dentro” è il tentativo di compensare l’impoverimento del
sentimento e della vita ricorrendo alla vita intellettuale e ad un
atteggiamento da osservatore esterno curioso e critico.
Nel Cinque è presente un forte senso di colpa che egli argina mettendo una
debita distanza fra sé e i
sentimenti. Una tendenza alla colpa è manifestata da un vago senso di
inferiorità, dalla vulnerabilità
all’intimazione, dalla goffaggine, dalla percezione costante di imbarazzo e
soprattutto nell’estrema
riservatezza. La percezione della colpa è l’esito della decisione precoce e
implicita di ritirare il proprio amore dal mondo, come reazione alla
presunta mancanza d’amore da parte del mondo stesso.
L’isolamento del Cinque è come un opporsi rivendicativo alla gente e,
nell’incapacità di esprimere la rabbia, annulla la presenza degli altri nel
suo mondo interiore. Nell’adottare questo atteggiamento di disprezzo
ostile, egli avverte un senso di colpa sottile e pervasivo La presenza di un
Super-Io esigente è in stretta relazione con il senso di colpa. Vive una
richiesta di perfezionismo interno, ma si identifica con il suo sé svalutato e
si sente in colpa di non essere all’altezza delle proprie aspettative.
Il negativismo della personalità schizoide, fa avvertire all’individuo i
bisogni propri e degli altri come eccessivi con il conseguente desiderio di
sabotare le richieste proprie e degli altri. Qualsiasi cosa l’individuo scelga
di fare per desiderio autentico, una volta assunta la forma di progetto o
impegno, rischia di diventare un DEVO vissuto come imprigionante e da
cui perciò cercherà di scappare.
Il tipo Cinque manifesta insensibilità per gli altri e parallelamente
un’ipersensibilità per ciò che egli prova. A questa ipersensibilità
appartengono varie manifestazioni, dall’intolleranza al dolore fisico e
psichico alla paura paralizzante del rifiuto e dell’abbandono. E’ probabile
che la torpidezza emotiva di questo carattere nasca proprio come difesa
alla citata ipersensibilità. Questo individuo è gentile e inoffensivo nella
misura in cui non percepisce gli altri con uno scollamento autistico. E’ una
personalità che “non vuole disturbare” (e non vuole essere disturbata).
Sebbene l’ipersensibilità, insieme all’orientamento cognitivo,
all’isolamento dagli altri e all’introversione vada iscritta all’orientamento
cerebrotonico del Cinque, è anche l’esito dell’esperienza di un dolore
psicologico di cui egli è solo in parte consapevole: il dolore del vuoto.
L’assenza della dimensione del piacere, inibito dall’avvertire ogni cosa
come una minaccia potenziale, e la sensazione di non valere abbastanza
per affrontare la vita, abbassano ulteriormente la soglia del dolore che
questo individuo può sopportare, con il conseguente acutizzarsi
dell’ipersensibilità che è uno dei fattori che determinano la sua decisione
di evitare il dolore ricorrendo all’isolamento e all’autonomia esasperata.
4) Meccanismi di difesa
Ogni individuo ha bisogno si sentirsi “buono”, e il Cinque si sente il
“ragazzo per bene che non si arrabbia mai”. La difesa dominante del
Cinque è l’isolamento. Non parliamo dell’isolamento letterale, ma
dell’isolamento caratteristico dello schizoide che rifugge dal contesto
sociale; si induce un’interruzione del rapporto anche con sé stesso.
Matte-Blanco, parlando delle esperienze traumatiche dolorose, rileva che
il contenuto intellettuale di ciò che è accaduto è isolato dall’emozione
intensa che è stata vissuta in relazione ad esso; emozione che l’individuo
“ricorda con freddezza, come se parlasse di una cosa accaduta ad altri e di
cui non gli importa niente”.
Il ‘sintomo del blocco’, nella patologia schizofrenica, è la forma estrema di
autointerruzione. Il meccanismo della scissione dell’Io è strettamente
collegato all’isolamento. Si può arrivare a una scissione dell’Io vera e
propria, dove pensieri, ruoli ed atteggiamenti contradditori convivono nella
coscienza senza che ne venga avvertita la contraddizione, è più
pronunciata nel Cinque che in qualsiasi alto tipo; spiega, non solo la
presenza simultanea di grandiosità e senso di inferiorità, ma anche il modo
di percepire gli altri in maniera positiva e negativa ad un tempo. Il suo
distacco dal mondo in generale (ivi compreso il proprio corpo) dipende
dalla disattivazione dei sentimenti e corrisponde anche all’evitamento delle
situazioni in cui normalmente i sentimenti nascono: un’interruzione del
processo vitale al fine di evitare i sentimenti.
L’evitamento dell’azione, a sua volta, alimenta l’evitamento del rapporto.
Sembra che il Cinque abbia un tabù in relazione all’intensità.
6) Psicodinamiche Esistenziali
E’ corretto interpretare l’atteggiamento dello schizoide come un isolarsi di
fronte alla presunta mancanza d’amore e la sensazione di non essere amato
continua ad esistere non solo come un “dolore fantasma”, ma come una
sfiducia di fondo che lo porta a cancellare i sentimenti positivi degli altri
nei suoi confronti. Percepisce di avere un’ipergenerosità potenziale che lo
spaventa, facendolo ricorrere all’avarizia. Qui riecheggia la contraddizione
ipersensibilità/insensibilità che lo porta ad essere un tipo molto polare. Ciò
di cui il tipo Cinque ha bisogno, qui e ora, non è soltanto l’amore, ma una
vera vitalità, il senso di esistere, una pienezza che egli boicotta, momento
dopo momento evitando ossessivamente la vita e i rapporti. Dunque per lui
la speranza più grande non sta nel ricevere amore (specie perché non riesce
a fidarsi dei sentimenti degli altri) ma nella propria capacità di amare e di
entrare in relazione con gli altri. Lo schizoide, tutto assorto in sé stesso, si
isola dal mondo da cui si sente invaso; ma in quello stesso momento si
isola anche da sé stesso e dalla possibilità di dare e ricevere amore. Il tipo
Cinque crede che “l’essere” vada cercato lontano dal corpo, lontano dai
sentimenti, lontano dal pensiero stesso. E forse è così, ma l’ESSERE può
venire percepito soltanto da chi NON EVITA il corpo, non evita i
sentimenti e non evita la mente. L’avidità e l’evitamento sono sia l’origine
che la causa del senso di vuoto del Cinque. Il processo attraverso il quale
si ottiene ciò che sembra starci più a cuore (in questo caso la solitaria pace)
può comportare una disumanizzazione e, dal voler conquistare cose
straordinarie consegue un
annullamento delle capacità di apprezzare quelle ordinarie.
SEI – Paura e Dubbio
2) Classificazione
A proposito dei fanatici (Sei sessuale), il DSM III osserva che “la loro
affettività è limitata, e agli altri possono apparire freddi. Non hanno senso
dell’umorismo e in genere sono molto seri. Si mostrano orgogliosi di
essere obiettivi, razionali e non emotivi”. Nel DSM III, il disturbo
paranoide di personalità coincide con la forma patologica del Sei Sessuale.
E’ individuato dalla caratteristica fondamentale di “una tendenza pervasiva
e immotivata ….a interpretare le azioni della gente come deliberatamente
umilianti o minacciose e..da una grande difficoltà ad accettare la critica.
L’affettività di questi individui è spesso ristretta”.
Millon afferma che “gli individui affetti da questo disturbo vivono in uno
stato di vigilanza esasperata e prendono precauzioni contro qualunque
minaccia percepita. Tendono ad evitare la colpa o il rimprovero anche
quando questi sono fondati. Non di rado gli altri li reputano guardinghi,
misteriosi, tortuosi, inclini al complotto. Quanto a loro dubitano della
lealtà degli altri e si aspettano sempre qualche inganno. Per questa ragione
soffrono di una gelosia patologica. Sono attratti dalle motivazioni nascoste
e dai significati particolari. Si fissano su particolari assurdi, ad esempio,
che gli altri li osservino in maniera speciale, che dicano cose malevole o
volgari su di loro…In genere non riescono a rilassarsi, di solito appaiono
tesi e mostrano una tendenza a contrattaccare quando gli sembra di
percepire una minaccia”.
Si dice del Sei (sociale) evitante e perfezionista, nel DSM III: sono
persone profondamente desiderose di affetto, nelle quali il sospetto o il
dubbio sono per lopiù introvertiti e si manifestano sotto forma di
insicurezza. La personalità evitante si distingue dalla personalità schizoide
(Cinque), in quanto il distacco attivo e intenzionale della persona insicura
è ben diverso dal distacco freddo e passivo dello schizoide, che è un
autentico solitario e nel quale la presa didistanza tradisce non un conflitto
cosciente, bensì indifferenza. Nello schizoide possiamo riscontrare scarsa
eccitabilità sessuale, scarsa motivazione e insensibilità, mentre nella
personalità evitante c’è il problema inverso: molta eccitabilità sessuale,
ipermotivazione e ipersensibilità. Millon rileva come sia determinante in
questa personalità “la facilità con cui viene ferita dal rifiuto,
dall’umiliazione o dalla critica”. Generalmente è riluttante a entrare in
relazione a meno che non gli vengano fornite garanzie particolarmente
forti di accettazione incondizionata; specialmente il tipo conservativo, si
ritrae dalle situazioni sociali nonostante il desiderio di essere amato e
accettato e soffre di mancanza di autostima. A differenza della personalità
schizoide, che ha difficoltà ad affezionarsi agli altri, l’individuo evitante
sta semplicemente in guardia, ma dentro di sé ha un grande potenziale di
attaccamento. Inoltre nella sua capacità di fare esperienza sia del dolore
che del calore affettivo, c’è un’emotività più profonda: “Questi soggetti
soffrono la solitudine, vivono con dolore l’essere ‘fuori dalle cose’, ma
hanno paura di mettere il loro benessere nelle mani degli altri”.
Caratteristico del Sei Sociale è il rifiuto dell’ossequio e del rispetto
sottomesso, ma non sono ribelli e controfobici, i Sei (sociali) sono
comunque critici e tendono a sostituirsi all’autorità diventando essi stessi
l’autorità, sono tesi, controllati e credono nella legalità, è possibile che
abbiano creduto necessario sradicare dentro di sé la dipendenza affettiva
come fonte primaria di gratificazione, ma questo si trasforma in una
necessità di accettazione e autorevolezza sociale.
Ipercontrollati e inappuntabili, continuano a cercare la chiarezza delle
regole e delle prescrizioni; l’incertezza li disturba e affrontano la vita con
metodo. Non disponendo più dei riferimenti forniti da quegli “altri” che
hanno rifiutato o da cui sono stati rifiutatati, i Sei (sociali), fanno sempre
più affidamento sulle proprie forze e, se mai, cercano l’assimilazione nel
corpo sociale. Il nostro Sei Sociale ha molte somiglianze con il tipo Uno,
ma è più emotivo, autodiretto e introverso. Il Sei (conservativo) invece
accetta la dipendenza senza convertirla in controfobia o orientamento
perfezionista, lui più di tutti non nasconde le sue paure , dubbi e fobie che
lo rendono spesso dipendente da un’autorità affettiva da non perdere e cui
votarsi lealmente.
Possiamo trovare tratti del nostro Sei nella personalità omeopatica
Lycopodium della Coulter;
3) Struttura caratteriale
Una caratteristica fondamentale fra quelle che individuano il tipo Sei è
nell’emozione peculiare che la psicologia contemporanea ha definito
ansia, e che può essere paragonata a una paura congelata o a un allarme
congelato di fronte a un pericolo che ha cessato di essere minaccioso (ma
che continua ad essere percepito come tale).
Il sesto stile caratteriale è attraversato dalla paura come emozione di
fondo: paura del cambiamento, paura di sbagliare, paura dell’ignoto, paura
di lasciarsi andare, paura dell’ostilità e dell’inganno, paura di non essere
capaci ad affrontare le situazioni, paura di non sopravvivere, paura della
solitudine in un modo di pericoli, paura del tradimento, paura di amare. La
gelosia paranoide può rientrare nello stesso gruppo.
Le espressioni della paura sono:insicurezza, esitazione, indecisione,
titubanza; essere paralizzati dal dubbio; sottrarsi alle decisioni nette e
tendenza al compromesso, essere oltremodo attenti e guardinghi, inclini a
controllare tutto due volte in maniera ossessiva; non essere mai sicuri di
niente. Se la paura paralizza e inibisce, l’inibizione degli impulsi alimenta
ulteriormente l’ansia; quella paura è paura dei propri impulsi, della
spontaneità. Capita che i Sei siano ossessionati dalla sensazione di
contenere un mostro e che se si lasciassero andare questo mostro potrebbe
sfuggire al loro controllo. La “paura di essere” viene complicata dalla
paura del mondo esterno e delle conseguenze future delle azioni presenti.
Strettamente collegata all’ansia, ma non identica ad essa, è l’iperattenzione
vigile che comporta la tendenza al sospetto e alla circospezione. C’è una
vigilanza che va in cerca dei significati reconditi, degli indizi. Questa
modalità alimenta un eccesso di riflessione, laddove altri farebbero una
scelta spontanea, per un bisogno esagerato di fare scelte razionali.
Il Sei ha bisogno delle direttive di un’autorità, ma poiché non se ne fida e
al tempo stesso la ricerca,
risolve il conflitto con un orientamento teorico, ispirandosi alla guida di un
sistema logico e della ragione stessa. Non è solo un intellettuale, ma anche
il più logico di tutti i tipi, è consacrato alla ragione. Nella sua modalità
ipervigile è sempre alla ricerca di problemi. Non per amore della
sofferenza, ma perché sapere di averli è per lui una speranza di riuscire a
risolverli; se, in parte è un processo positivo, dall’altra crearsi
immotivatamente dei problemi si traduce nella trappola della difficoltà di
abbandonarsi a vivere.
L’orientamento teorico è anche una difesa: si rifugia nell’attività mentale
per eludere il dubbio sull’azione da intraprendere.
Il calore del Sei, contrapposto alla freddezza del Cinque, nasce dal
desiderio di ingraziarsi gli altri,
pensando così di essere amato e di ricevere protezione. Cerca a dà calore,
sa essere un buon ospite ed essere ospitale; è generoso. A volte però si
avverte una dedizione patologica e una esagerata fedeltà alle persone e alle
cause. Questo stile di personalità ricerca un partner forte e equilibrato, che
lo sostenga, ma poi, per reazione alla dipendenza lo mette continuamente
in discussione rischiando di far tentennare quell’equilibrio che serve ad
entrambi, a meno che non si tratti del Sei (conservativo) e in questo caso
non si vergognerà della sua dipendenza.
Questo carattere ha una buona capacità di adattamento, superiore a quella
dell’abitudinario Cinque. Il Sei/so è obbediente alle leggi, fedele alle
responsabilità stabilite da un’autorità esterna, tende a seguire le regole e
tiene in gran conto documenti e istituzioni. E’ comunque critico anche se
controllato, corretto, lavoratore, puntuale e responsabile. Ha bisogno di
riferimenti precisi per stabilire cosa sia giusto e cosa sia sbagliato.
Riferimenti che quasi mai coincidono con l’opinione corrente, ma a delle
regole interne e ideologiche.
Oltre all’atteggiamento suadente, (più marcato nel conservativo) e
all’atteggiamento rispettoso delle
questioni di principio e delle regole (più marcato nel sociale), per tenere a
bada l’ansia, questo individuo ricorre anche ad una specie di intimidazione
bellicosa, una messa in stato di accusa dell’autorità e il desiderio
competitivo di prenderne il posto. A questa bellicosità appartengono
l’atteggiamento polemico, l’atteggiamento critico, le scetticismo e il
cinismo (più marcati nel sessuale controfobico). Il sottotipo sessuale arriva
fino a vere e proprie forme di megalomania.
Rispetto all’autorità affettiva e sociale nel sei, spesso si fondono in diversa
misura le strategie dell’aggressività, anche nella variante passivo-
aggressiva, della fedeltà al dovere e dell’affettuosità.
Possiamo teorizzare che, all’inizio, la paura del nostro Sei sia stata
innescata dall’autorità di uno dei genitori che la esercitava minacciando
punizioni. Allora, per paura e per essere accettato, è diventato dolce,
obbediente, ma diffidente (in genere ambivalente), e oggi continua a
comportarsi allo stesso modo di fronte alle persone cui riconosce autorità.
Non è raro che i genitori del Sei discutessero davanti al bambino sulla sua
educazione sostenendo posizioni diverse. Ciò può aver contribuito a creare
confusione, il tarlo del dubbio che alimenta la paura e la spasmodica
ricerca di capire finalmente cosa sia giusto attraverso l’orientamento verso
l’autorità degli ideali. Si sente in un mondo fatto di gerarchie, ma ama e
odia l’autorità ad un tempo perché, nonostante detesti l’ambiguità e
ricerchi la “giustizia”, è il carattere più apertamente ambivalente di tutti.
Questo individuo sublima la percezione degli ideali come qualcosa di
trascendente e questo caratterizza il tipo Sei in generale, perciò, a causa di
questo tratto, lo possiamo definire un carattere “idealista”.
Nel nostro Sei il senso di colpa è molto pronunciato, e si accompagna con
l’importante meccanismo della discolpa attraverso la proiezione e la
creazione di nemici esterni. La colpa, che si manifesta negli atteggiamenti
difensivi, nell’autogiustificazione e nell’insicurezza nasconde un atto di
accusa e di autoaccusa con cui l’individuo diventa il nemico di sé stesso.
Dato che il Sei è sempre alla ricerca della cosa “buona e giusta”, ma ha
sempre la sensazione di non riuscire a trovarla, è da una parte convinto che
i suoi comportamenti siano “buoni e giusti”, ma dall’altra sospetta che non
lo siano. Del resto, se i suoi comportamenti sono “buoni e giusti”, i
comportamenti “cattivi e ingiusti” devono averli gli altri. Così il tono
accusatorio lo usa sia verso sé stesso che verso l’esterno di cui sospetta. Va
da sé che è più automatico pensare che i fattori invalidanti della felicità
vengano dall’esterno, piuttosto che porsi il problema di rimuovere i
meccanismi invalidanti interni.
Parlare di autoinvalidazione significa parlare di dubbio (la fissazione del
Sei) su sé stessi, allo stesso modo che parlare di sospetto significa dubitare
degli altri; è dubbioso anche nei confronti delle proprie opinioni: egli si
svaluta e al tempo stesso ha una grande opinione di sé, sentendosi
perseguitato e splendido contemporaneamente. In altre parole, egli dubita
di sé, ma dubita anche del suo dubbio; sospetta degli altri e tuttavia teme o
spera di sbagliasi. Il risultato è un’incertezza cronica sull’azione da
intraprendere e di conseguenza, ansia, bisogno di sostegno e di guida e
così via. I fanatici (sei sessuali), come difesa contro un’ambiguità
insopportabile, assumono di fronte agli altri la posizione dei veri credenti,
che vivono nella certezza assoluta. Tuttavia, se il nostro Sei non è un
fanatico, colpisce la sua ambivalenza nei confronti di uno dei genitori,
quello che esercita l’autorità, che ama e odia al contempo. Quanto al
dubbio intellettuale sembra sia soltanto un’espressione del dubbio
emotivo, in virtù del quale l’individuo è diviso fra un sé carico di odio e
un sé deduttivo, fra il desiderio di piacere e il desiderio di attaccare,
obbedire e ribellarsi, ammirare o distruggere.
4) Meccanismi di difesa
Lo stretto legame esistente fra modalità paranoide e proiezione è
ampliamente riconosciuto. La proiezione è l’attribuzione agli altri di
motivazioni, sentimenti o pensieri che non si riesce a riconoscere in sé
stessi. In alcuni casi (Proiezione del Super-Io) ciò che viene disconosciuto
è l’atteggiamento di autoaccusa, e ciò è possibile facendo finta che
l’ostilità punitiva provenga dall’esterno (Una modalità che colpisce nei
deliri persecutori degli psicopatici). La sensazione di essere guardati,
giudicati o altro, che rientra nell’atteggiamento sospettoso del tipo Sei, può
essere interpretata anche in termini di esteriorizzazione, di quel
meccanismo cioè, con cui un evento intrapersonale viene trasferito in un
rapporto interpersonale. In altri casi (proiezione dell’Es) ad essere
disconosciuti sono gli impulsi, che la persona non accetta di se e
attribuisce agli altri in modo che l’autocondanna diventa accusa contro un
altro. E’ una sorta di valvola di sicurezza contro un senso di colpa
smisurato. Quanto all’origine del senso di colpa, che probabilmente è il
nucleo della personalità Sei, va individuato nel meccanismo di difesa noto
come “identificazione con l’aggressore”. Possiamo dire che un tempo
l’individuo Sei ha cercato di essere amato dall’autorità familiare avvertita
come minacciosa, diventando amico del nemico dunque il nemico di sé
stesso. Nell’atteggiamento accusatorio/autoaccusatorio è implicito il
fenomeno di vedere mostruosità laddove c’è solo natura e impulsi sani.
Questo modo di avvertire come potenzialmente mostruosa la sua
spontaneità potenziale stà all’origine dell’inibizione di cui soffre questo
individuo e inoltre perpetua in lui la situazione di non conoscenza di sé,
che a sua volta lo rende più incline a svalutarsi e a cercare una guida.
6) Psicodinamiche Esistenziali
La paura di agire è determinata dalla mancanza di contatto con sé stessi e
la mancanza di radici esistenziali si traduce in fragilità e nella difficoltà di
esprimere sé stessi.
Il vuoto e l’ignoto (mancanza di contatto con se) che avverte il sesto tipo
di personalità viene proiettato nel futuro e trasmette un senso di
anticipazione carica di paura. Inoltre, inconsapevolmente, ha la paura
assurda che guardandosi dentro possa scoprire che non ci sia nessuno o che
ci sia un mostro. Questo atteggiamento non è né ignorare un problema, né
affrontarlo a viso aperto, ma piuttosto un distogliere lo sguardo, un
parziale evitamento. Possiamo dire che nel tipo Sei, la perdita di contatto
con sé stessi si manifesta come esperienza della minaccia perenne,
come precarietà. Nel caso del carattere paranoide in senso stretto, è facile
comprendere la perdita dell’essere come una conseguenza della ricerca
dell’essere straordinario, attraverso la vicinanza di ciò che è “grande” e
che alimenta la “grandiosità” che non può reggere il paragone con la
grandezza più discreta del reale. Altre volte non è la grandiosità di un
ideale o di un’immagine interiorizzata a diventare il sostituto dell’essere,
ma la grandiosità di una autorità esterna (anche affettiva) del presente o del
passato. In tutti questi casi possiamo dire che l’essere viene confuso con
l’autorità e con quel potere speciale cui l’autorità dà diritto (“Sono” perché
sono leale e giusto).
4) Meccanismi di difesa
L’individuo Sette impara fin da piccolo a giustificare con delle “buone
ragioni” il suo indulgere ai desideri, quindi il meccanismo della
razionalizzazione assume un’importanza strategica nella sua vita.
Per Jones la razionalizzazione è quel meccanismo per cui una persona si
inventa una ragione per giustificare un atteggiamento o una azione di cui
non riconosce la motivazione. Ciò sottintende un distogliere l’attenzione
dalle ragioni reali che stanno alla base dei comportamenti e delle azioni di
quella persona facendole apparire buone e nobili in modo da soddisfare le
richieste del Super-Io. La
razionalizzazione si serve della persuasione e dell’autopersuasione per
aggirare gli ostacoli che si frappongono al piacere dell’individuo; ma è
anche un meccanismo di difesa elementare su cui si innesca quello più
complesso dell’idealizzazione. Nel Sette c’è l’idealizzazione del sé, che
nella sua mente è legata alla negazione del senso di colpa e alla vena
narcisistica delle sue richieste. L’idealizzazione è importante anche in
relazione agli altri, specie la madre ed i sostituti materni. Mentre i maschi
del tipo Quattro tendono a preferire il padre e ad idealizzarlo, come alcuni
sottotipi del Sei, gli idealisti del tipo Sette sono attaccati alla madre e si
ribellano all’autorità del padre trattandolo “alla pari”, conformemente alla
sua tendenza ad evitare i rapporti gerarchici. L’ottimismo del Sette e
l’umore gioioso che gli è abituale non sarebbero possibili senza
l’idealizzazione del mondo in generale e delle persone per lui più
importanti; così congela il giudizio e la critica a favore di un’amabilità
affettuosa. L’idealizzazione gli procura la sensazione che al mondo vada
tutto bene e che non ci sia alcun bisogno di lottare. Un ulteriore strumento
di difesa del Sette è la sublimazione; il goloso si rende cieco e sordo di
fronte al proprio bisogno e alla propria istintualità e rimane consapevole
soltanto della spinta altruistica e generosa che avverte in prevalenza. Ciò
aiuta a comprendere l’inclinazione dei golosi alla fantasia che supplisce al
desiderio del traguardo reale, alle immagini come sostitutive degli impulsi,
le proprie risorse e le pianificazioni come sostitutive dell’investimento
emotivo. Per ciò essi tendono ad accumulare gli strumenti per fare le cose
piuttosto che farle semplicemente.
6) Psicodinamiche esistenziali
Come in altri caratteri, la passione dominante è alimentata, giorno dopo
giorno, non soltanto dal ricordi della passata gratificazione o frustrazione,
ma all’interferenza che il carattere esercita su un funzionamento sano e
sulla possibilità di realizzarsi. La golosità è il tentativo di riempire un
vuoto. Come l’invidioso (aggressività orale), l’ingordo cerca all’esterno
qualcosa di cui sente oscuramente la mancanza dentro di sé. Ma a
differenza del Quattro (invidioso), nel quale esiste la consapevolezza di
una insufficienza ontica, il goloso maschera ad arte la carenza con una
falsa abbondanza equiparabile a quella dell’orgoglioso. In tal modo si
viene agiti dalla propria passione senza piena consapevolezza.
L’insufficienza ontica non solo è all’origine dell’edonismo ( e
dell’evitamento del dolore), ma ne è anche conseguenza; infatti la
confusione fra amore e piacere impedisce all’individuo di cogliere il
significato più profondo di quello emergente da un piacere
immediato. L’alienazione di questa persona dal suo vissuto profondo è una
conseguenza del bisogno edonistico di sperimentare solo ciò che procura
piacere. Il nostro Sette ha paura soprattutto
dell’amore profondo perché lo avverte come potenziale portatore di
sofferenza innescando l’automatismo dell’evitamento della sofferenza
potenziale rimanendo in superficie. Questa paura non è compatibile con la
possibilità di vivere la propria vera vita. La manipolazione presuppone la
perdita di contatto e di rapporto vero (per quanto ammantato di amabilità)
un divorzio fra il sé e il senso di comunanza (per quanto bene il tipo Sette
riesca a nasconderlo). Il richiamo esercitato sul goloso dalla dimensione
fantasmatica, se da una parte è un tentativo per riempire il vuoto ontico,
dall’altra serve solo a perpetuarlo, perché nel tentativo di vivere nel futuro,
nell’arcano,
nell’immaginario e nello straordinario, questo individuo si protegge dalla
frustrazione di dover trovare un senso nel presente e nel reale.