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Fernando La Greca

DALLAPREISTORIA
ALLE SOGLIE DEL MEI>IOEVO
FONTILETTERARIE
PREMESSA

La città di Agropoli, così come oggi la conosciamo, nasce nel medioevo, e per la prima
volta è citata nel 592 dal papa Gregorio Magno, che scrive al vescovo Felice deAcropoli1.
Naturalmente ciò non significa che il promontorio di Agropoli, il sito dell'attuale città,
fosse deserto in epoca antica. Anzi, esso, dotato di due porti ai suoi lati, ha ospitato
costantemente insediamenti umani di un certo rilievo. Ilal villaggio protostorico, datato
intorno al mille a.C., si passa al santuario greco di sesto secolo a.C., che presumibilmente resta
attivo anche in epoca romana, quando un nuovo villaggio si sviluppa sulla costa a nord del
fiume Testene, nella zona di S. Marco. All'inizio del medioevo, ragioni di sicurezza inducono gli
abitanti a lasciare la costa ed a fortificarsi sul promontorio: nasce allora Agropoli. Ma, in
precedenza, per gran parte dell'evo antico, la storia di Agroploli viene a coincidere con la storia
di Poseidonia-Paestum. Infatti il santuario sul promontorio ebbe funzioni importanti e può
essere considerato parte integrante di Poseidonia-Paestum, a segnare il confine meridionale
del suo territorio, come allo stesso modo, a settentrione, fu irnportante il santuario di Hera alla
foce del Sele.
Questa storia è già stata in parte raccontata da Piero Cantalupo nel suo volume
Acropolis2, ed in altri suoi studi, con pagine che restano ineguagliabili per chiarezza, passione
ed amore verso la propria terra. I1 presente studio non intende sostituire quelle pagine, ma
semplicemente completarle, sia con le ricerche più recenti, sia ampliando il contesto ad un
territorio più ampio.
Le brevi e scarne notizie disponibili nelle fonti letterarie su Agropoli, integrate dallo
studio del materiale archeologico rinvenuto (significativo, ma disperso fra il Museo
Archeologico di Paestum e 1'Antiquarium Comunale di Agropoli), sono sufficienti a farci
comprendere l'importanza del sito ed il suo ruolo in connessione alla città nella piana.
Tuttavia, per seguirne meglio le vicende nei sedici secoli all'incirca che vanno dall'età
protostorica alle soglie del medioevo, è necessario allargare il contesto, il punto di vista, e
considerare la storia di Poseidonia-Paestum e del suo ampio territorio costituito a nord dalla
Piana del Sele, ad est e a sud dalle colline e dai monti del Cilento. In epoca romana questo
territorio venne a far parte di una delle regioni istituite da Asgusto, la Lucania, ma per le sue
particolari caratteristiche possiamo meglio individuarlo con il nome di "Lucania tirrenicaY'3.
In epoca protostorica, molti insediamenti costellavano queste terre; in alcuni siti ci fu
un'evoluzione verso la cultura villanoviana e poi etrusca. Gli indigeni, chiamati Enotri dalle
fonti, non erano isolati: il mare consentiva contatti anche con genti lontane, e la presenza di
ceramica micenea sta a testimoniare remoti scambi commerc:iali e culturali con il mondo greco
che interessarono tutta l'Italia meridionale e la Sicilia già dopo la metà del I1 millennio a.C.
Ad un certo momento, durante l'ottavo secolo a.C., i Gireci non si accontentano più degli
scali commerciali, e giungono in massa per fondare nuove città. Nascono così le colonie della
Magna Grecia: Cuma, Reggio, Taranto, Siracusa, Crotone, Sibari. Quest'ultima, in particolare,
riesce a costituire in breve tempo, grazie alle alleanze con gli indigeni, un vasto territorio sul
quale esercita la sua supremazia.
Furono dei coloni di Sibari a fondare Poseidonia, in due fasi successive, verso la fine del
settimo secolo o gli inizi del sesto secolo a.C., insediandosi dapprima sul promontorio di
Agropoli, e poi nel sito attuale, nella piana alla sinistra del Sele, presso il fiumicello Salso. La
città ebbe una vocazione agraria, ma fu anche un punto di incontro e di scambio fra Greci,
indigeni ed Etruschi, anche grazie a due santuari-empori, quello sul promontorio di Agropoli a
sud, e quello di Foce Sele a nord. È importante ricordare che il gruppo dei coloni, come
avveniva nella maggior parte delle fondazioni, doveva essere costituito da soli uomini, i quali
dunque avevano la necessità di insediarsi in località abitate, e di instaurare con gli indigeni
rapporti di amicizia e legami matrimoniali.

1
Gregorio Magno, Epist., II,43 (in Patrologia Latina, T. LXXVII, col. 581).
2
P. CANTALUPO, Acropolis. Appunti per una storia del Cilerzto. I - Dalle origini al XIII secolo, Agropoli, 1981.
3
Per le fonti antiche su questo territorio, vd. F. LA GRECA (a cura di), Fonti letterarie greche e latine per la storia
della Lucania tirrerzica, L'Erma di Bretschneider, Roma, 2002.
In questo contesto, dunque, Agropoli venne a far parte del territorio di Poseidonia, e
necessariamente ne segui le vicende. I villaggi e gli insediamenti indigeni ebbero allora un
nuovo punto di riferimento, la colonia greca. L'influenza di Poseidonia si estendeva anche più a
sud, su tutto il Cilento, ed infatti la città di Elea, poi nota come Velia, fu fondata dai Focei
fuggiaschi, alla foce dell'Alento, proprio su consiglio di un uomo di Poseidonia, verso il 540
a.C.; questo stretto rapporto di amicizia fra le due città si manterrà quasi costante nel tempo. I
Focei, a quanto sembra, d'accordo con i Poseidoniati, letteralmente "acquistarono" il sito dagli
indigeni, mostrando di essere venuti anch'essi in amicizia. I nuovi coloni di Elea non
turbavano gli equilibri esistenti, in quanto navigatori e mercanti, non interessati al possesso
del territorio, ma al commercio dei suoi prodotti. Si instaurò così un sodalizio, con interessi
comuni, fra i Greci di Poseidonia e di Elea, gli indigeni E,notri, e gli Etruschi dell'area di
Pontecagnano-Fratte.
La prosperità di Poseidonia, grazie al suo vasto territorio ed agli intensi scambi con le
popolazioni confinanti, si mantenne per tutto il sesto secolo, e crebbe ancora nel quinto a.C. (si
pensi alla costruzione dei templi, in questi due secoli, ed alle ingenti somme necessarie per la
loro realizzazione).
Ad un certo punto, fanno la loro comparsa i Lucani, popolazione indigena affine ai
Sanniti. Prima ancora dello scadere del V secolo (più o meno nel 420 a.C.), i Lucani avrebbero
occupato Poseidonia, mettendo fine al "periodo greco" della città, che sarebbe durato,
all'incirca, duecento anni. Dopo circa 150 anni di dominio lucano (secondo tale ricostruzione),
a seguito della sconfitta di Pirro e di Taranto ad opera dei Romani, Poseidonia è occupata da
questi ultimi, che vi fondano una colonia latina col nuovo nome di Paestum (273 a.C.).
Non tutti sono d'accordo con la tesi di una lunga occupazione lucana, in quanto la grecità
di Poseidonia, sia nelle fonti letterarie che archeologiche, sembra continuare anche per buona
parte del quarto secolo. Culturalmente, la città ed i suoi abitanti sono greci, anche se è
compresente una notevole componente italica, identificata come "lucana". Ma, come
vedremo, l'uso del termine "Lucani" nasconde molte ambiguità. In ogni caso, a travolgere la
prosperità di Poseidonia e la sua cultura greca furono gli avvenimenti di fine quarto ed inizio
terzo secolo, legati alla spinta dei popoli italici dell'interno (Sanniti ed affini) verso le coste,
alle spedizioni dei condottieri greci in aiuto delle colonie della Magna Grecia (Archidamo,
Alessandro il Molosso, Pirro), e all'intervento dei Romani contro i Sanniti (guerre sannitiche).
L'occupazione romana della Magna Grecia porta ad una nuova sistemazione del
territorio, perfezionata poi con le regioni augustee. I territori di Paestum e di Velia vengono a
trovarsi all'interno della Lucania, regione che si faceva iniziare, sul Tirreno, dalla sinistra del
fiume Sele, sino al fiume Lao presso Scalea. Sullo Ionio, la Lucania comprendeva le coste a sud
del Bradano, all'incirca sino al fiume Crati.
Si tratta di una regione zn~)lt~-vasta;-e
con molte differeriziazioni al suo interno.,.Tuttavia, U - :LCI:.+T

in generale, le fonti di epoca romana chiamarono i suoli abitanti "Lucani", senza fare
distinzioni, anche riferendosi ad epoche precedenti. Questa definizione finì per accomunare
sotto lo stesso nome popolazioni sostanzialmente diverse; in particolare, secondo la nostra
ipotesi, fu trascurata l'area della "Lucania tirrenica", che va distinta dalla restante Lucania per
la forte influenza della cultura ellenica, adottata anche dalle popolazioni indigene.
Comunque, l'occupazione romana, oltre a dotare il territorio di nuove infrastrutture
(strade, porti), ne intensificò lo sfruttamento agricolo tramite il sistema delle ville, vere e
proprie aziende agrarie che avevano di mira una produzione specializzata (olio, vino, grano,
frutta, ortaggi); ve ne furono diverse anche nel territorio di Agropoli. Inoltre, il lungo periodo
di pace assicurato dai Romani favorì la nascita e lo sviluppo di nuovi insediamenti, non difesi
da mura, come il villaggio di San Marco di Agropoli, noto dalle fonti come Herculia.
Nel quinto secolo d.C., le turbolenze legate alle invasioni barbariche provocarono crisi e
abbandono delle campagne; in tale contesto, i luoghi elevati o ben difesi, protetti da mura,
furono preferiti rispetto ai semplici villaggi. La popolazione insediata sul promontorio di
Agropoli divenne sempre più numerosa. Durante la guerra greco-gotica, la flotta bizantina
trovò uno scalo ottimale ad Agropoli, che fu difesa da un fortino triangolare, nucleo del
successivo castello medioevale. La città è ufficialmente menzionata nel 592, quando vi trova
rifugio il vescovo Felice, forse pestano.
Con le precedenti brevi linee di storia abbiamo voluto offrire ai lettori una guida ed un
orientamento generale, prima di affrontare, qui di seguito, l'esame delle fonti letterarie. Esse
sono disposte in ordine cronologico, secondo i periodi storici, e si riferiscono a Poseidonia-
paestum, ad Elea-Velia, alla Lucania tirrenica; in questo coritesto più ampio, trovano posto i
riferimenti diretti e indiretti ad Agropoli ed al suo territorio.

L'ETA ARCAICA(fino al 501 a.C.)


Gli antichi scrittori greci e latini facevano riferimento all'età protostorica parlando di
tempi antichissimi (età del bronzo) nei quali l'Italia era popolata dagli Enotri. Dionisio di
Alicarnasso racconta che, diciassette generazioni prima della ,guerra di Troia, in Italia giunsero
i primi Greci, dall'Arcadia, guidati dai fratelli Enotro e Peuce:zio, i quali diedero il loro nome a
due popoli. I Peucezi si stanziarono sulla costa adriatica; gli Enotri si stanziarono sul mare
Ausonio, poi detto Tirreno, costruendo una serie di città i~uimonti% Più precisamente, il
territorio degli Enotri si estendeva lungo tutta la costa a sud della linea Taranto-Poseidonias.

Ipotesi ricostruttiva del villaggio protostorico sul promontorio di Agropoli (ill. di Pina Guida)

Questa tradizione riflette, da una parte, la presenza dei Micenei in Italia meridionale nel
secondo millennio a.C., dall'altra, l'intento di dare una "patente di grecità" alle popolazioni
italiche che abitavano, in epoca storica, i territori della Magna Grecia. Indigeni Enotri, infatti,
accolgono i coloni di Elea alla foce dell'lllento, dove viene fondata la nuova città, su consiglio e
in accordo con i Poseidoniati, come racconta Erodoto6. A coriferma di tale presenza indigena,
le isolette di fronte alla costa di Elea erano chiamate "isole Enotridi"~.
-

4
Dionisio di Alicarnasso, Ant. Roin., I, 11-13.
5
Dionisio di Alicarnasso, Aizt. Ronz., I, 73,4; 11, 1,2; Strabone, V, 1, 1 (C 209); VI, 1,4 (C 254-55).
"rodoto, I, 167.
Strabone, VI, 1, 1 (C 253).
Appare evidente dunque che i Greci diedero il nome di Enotri alle popolazioni indigene
grecizzate che gravitavano nei pressi delle città coloniali: popolazioni amiche, che avevano
assimilato la cultura, la lingua ed il modo di vita dei Greci. I1 territorio degli Enotri si faceva
iniziare dal Sele, ed il loro confine nord veniva a coincidere con quello che sarà il confine del
territorio di Poseidonia. In questa zona, lungo il basso corso del Sele è posto il santuario di Era
Argiva, che una tradizione vuole fondato dall'eroe Giasone, le cui imprese precedono la guerra
di Troia ("Dopo la foce del fiume Sele, si giunge in Lucania, e al santuario di Era Argiva,
fondato da Giasone. Vicino, a 50 stadi sorge Poseidonia"8). Anche qui, probabilmente, affiora
il ricordo del contatto degli indigeni con i Greci Micenei, attestato anche dal rinvenimento di
ceramica del tardo miceneo in scavi presso Porta Giustizia a Paestumg.
I1 territorio di Poseidonia, prima della fondazione della colonia, accoglie numerosi
insediamenti indigeni, che potremmo genericamente indicare con nome di Enotri, alcuni sullo
stesso banco roccioso dove sarà costruita la città. Sono noti gli insediamenti protostorici sul
promontorio di Agropolilo e su quello di Torre San Marco; un altro, di epoca successiva, è sito
all'Arenosola, sulla destra del Sele. Uno dei più significativi è quello di Capodifiume, scoperto
da fortunati scavi del Sestieri nel 1954: si tratta di genti villanoviane, in stretto rapporto con
quelle stanziate alla destra del Sele nella zona di Pontecagnanoll. Gli studi più recenti sono
volti a sottolineare i contatti fra i coloni Greci e le popolazioni preesistenti e limitrofel*.
... dx..-..
m ,%, .Poseidonia fu fondata da coloni di Sibari, come recita la s t r h g à t z h o t i di un autore*del
I1 sec. a.C., indicato con nome di Pseudo-Scimno, che però fa riferimento ad un'epoca
precedente, al quarto secolo a.C.
"Confinanti con questi (con i Campani e i L~lcanidell'interno) vi sono di nuovo gli
Enotri, fino alla città chiamata Poseidonia (IIooetijov~d6oc),che dicono sia stata fondata
dapprima (npo~oij)dai Sibariti"l3.
Ma anche in una semplice frase non mancano .i problemi interpretativi: cosa si intende
con npo~oij,"dapprima"? Forse ad una prima colonizzazione dei Sibariti ne è seguita un'altra?
L'autore sembra conoscere una seconda colonizzazionie, che non è certo quella romana del 273
a.C.; ne riparleremo più avanti, illustrando le fonti relative al quarto secolo.
L'arrivo dei coloni greci (fine VI1 - inizi VI sec.) ci è narrato con maggiori particolari da
Strabone, in un passo comunque sintetico, che si presta a diverse interpretazioni, e che ha fatto
scorrere fiumi di inchiostro. In effetti, non è possibile darne una traduzione "neutrale", e si
finisce necessariamente per tendere verso una delle ipotesi già avanzate. L'importanza, in
questa sede, del racconto della fondazione di Poseidonia è dovuta al fatto che alcuni studiosi vi
hanno letto un accenno al vicino promontorio di Agropoli, ed alla zona di Tresino, fra Agropoli
e S. Maria di Castellabate. La nostra traduzione segue l'ipotesi di Emanuele Greco, per il quale
il promontorio di Agropoli è stato, per qualche tempo, la prima sede dei coloni.
Cupapi~atpÈv O ~ Eni V 9ahd~q T E ~ X O CE ~ E V T O ,oi 6' O ~ K L O ~ É V T&EVCO T É ~ Op ~ ~ É o q o aGvO, T E ~ O
v 6È Amicavoi pÈv &KE~VOVC,'PopaTot 8È A E V K ~ V O&4~.ihov~o ~C fiv nohtv.
"I Sibariti dunque edificarono la cinta murcrria (TE~XOG) presso il mare; successi-
vamente, coloro che avevano abitato (oi~to9Évzq)(presso il mare) si trasferirono più a nord
(OIvm~Épo);in seguito i Lucani tolsero a quelli (ai Sibariti) la città, poi i Romani (la tolsero) ai
Lucani>>14.

Strabone, VI, 1, 1 (C 252).


Vd. G. BAILO MODESTI, Preistoria e protostoria nel territorio di Paestunz, a cura di M. CIPRIANI, Ingegneria per
la Cultura, Roma, 2008, pp. 45-46.
1o
F. ARCURI, I nzateriali protostorici, "AION - Annali dell'Istituto Universitario Orientale di Napoli", sez.
Archeologia e Storia Antica, VII, 1985, pp. 69-74. Specificamente per gli scavi e i reperti archeologici del tessitori0 di
A ropoli, sia protostorici che di epoca classica, si rimanda allo studio di Flaminia Arcuri in questo volume.
P.C. SESTIERI, Neeropoli villanoviane in provincia di Salerno, "Studi Etruschi", XXVIII, 1960, pp. 73-107.
Vd. G. BAILO MODESTI, Preistoria e protostoria nel territorio di Paestunz, cit. L'attuale attenzione verso queste
problematiche è ben evidente nella recente tesi di laurea di F. ASTONE, Greci e non Greci nel territorio di Poseidonia
in età arcaica (Università di Salerno, 2008, relatore il prof. F. Longo), che mostra come le testimonianze archeologiche
dei rapporti fra Greci e non Greci in età arcaica siano state finora sottovalutate o trascurate, mentre il loro studio
puntuale può dare nuovi e significativi contributi alla storia dell'area di Poseidonia.
l 3 Pseudo-Scimno, vv. 247-249.
l 4 Strabone, V, 4, 13 (C 25 1).
I problemi riguardano soprattutto il significato di tre parole: .c&ips(fortino o insedia-
mento fortificato, muro di cinta, città vera e propria?), o i ~ ~ c r 0 é v(gli
z ~stessi
~ Sibariti, oppure
altri, coloro che abitavano il luogo in precedenza?), Clvo.c&pco (più in alto, più in basso, più a
nord, più a sud, più all'interno?). Ecco le principali ipotesi interpretative di questo brano di
Strabone15.
i) I Sibariti costruirono un insediamento fortificato presso la foce del Sele, e da qui poi gli
stessi Sibariti si spostarono più a sud per fondare la città di Poseidonia (Maiuri)l6.
2) I Sibariti costruirono le mura dov'è ora Poseidonia, mentre i precedenti abitatori del
luogo trasmigrarono più all'interno, sui monti (Sestieri)x7, oppure più a sud, presso i
promontori di Agropoli e di Punta Tresino (Cantalupo)l8.
3) I Sibariti fortificarono la parte della città più vicina al mare, mentre i primi abitatori della
stessa si ritirarono nella parte più interna della città (Zancani Montuoro)lg.
4) I Sibariti si installarono in un primo momento sulla spiaggia, che nell'antichità era più
avanzata, costruendovi un fortino, e solo successivamente gli stessi Sibariti fondarono
Poseidonia, spostandosi più all'interno (Mello)~~.
5) I Sibariti si stanziarono in un primo momento sul promontorio di Agropoli, costruendovi
un fortino, e successivamente gli stessi Sibariti, spostandosi più a nord, ma anche più in basso
nella Piana, fondarono Poseidonia (Greco)~~. Probabilmente il promontorio di Agropoli,
fortificato e ben protetto anche da difese naturali, ebbe funzioni sia di insediamento sia di
emporio o mercato per gli scambi con gli indigeni, prima che i Greci intraprendessero la
costruzione della nuova città.
Una diversa testimonianza sulla fondazione di Poseidonia ci è data da Solino, scrittore
del 111-IV sec. d.C., che opera una sintesi tratta da opere precedenti, soprattutto da Plinio il
Vecchio. I1 passo in questione è solo un rapido accenno: "È noto che ...Paestumfu fondata dai
Dori"22. Questo brano, in sé, pone più problemi di quanti si pensa possa risolvere. Comunque,
si è cercato di conciliare le testimonianze di Strabone e di Solino, ovvero la fondazione da parte
dei Sibariti (Achei) con la fondazione da parte dei Dori, facendo ricorso ad un passo della
Politica di Aristotele, laddove si parla di Sibari.
"Anche la dzflerenza di stirpe è un elemento di ribellione, finché non si raggiunga la
concordia ... Quelli che accolsero uomini di altra stirpe, sia come compagni di colonizzazione,
sia come concittadini, in seguito quasi tutti sono caduti in preda alle fazioni. Così gli Achei
colonizzarono Sibari insieme ai Trezeni, ma poi gli Achei, aumentati di numero, espulsero i
Trezeni, e di qui venne la maledizione sui Sibariti"23.
Dunque, i "Dori" fondatori di Poseidonia sarebbero originari di Trezene, città dorica del
Peloponneso. Costoro, fondatori di Sibari insieme agli Achei, e in seguito scacciati dalla città,
avrebbero fondato autonomamente Poseidonia. Tali fondatori potevano essere considerati sia
Sibariti, perché provenienti da Sibari,.:. sia-Dorij .perché 'rrezeni di stirpe dorica. Nella . ,

ricostruzione di Piero Cantalupo, questi Trezeni sono i primi colonizzatori e i precedenti

l5 Vd. anche F. CASTAGNOLI, Le origini di Poseidorzia irz Strabone, "Rendiconti della Pontificia Accademia Romana
di Archeologia", XLVIII, 1975-76, pp. 71-74, ora in F. CASTAGNOLI, Topogrnfia antica. Un metodo di studio, vol. 11,
Italia, Roma, 1993, pp. 963-966.
IG
A. MAIURI, Origine e decadenza di Paestunz, "La Parola del Passato", VI, 1951, pp. 274-286; vd. anche F.
CASTAGNOLI,Le origini di Poseidonia ..., cit.; E. PAIS, Storia della Sicilia e della Magna Grecia, Torino-Palermo,
1894, p. 527 sgg.
l7 P.C. SESTIERI, Le origini di Poseidoizia alla luce delle recenti scoperte di Palinuro, "Archeologia Classica", 11,
1950, pp. 180-186; vd. anche J. DE LA GENIÈRE,Contribution a l'étude des relatiorzs entra Grecs et indigèrzes sur la
nzer lorzie~zrze,"MEFR - Mélanges de 1'École Franpise de Rome", LXXXII, 1970, pp. 621-636.
l* P. CANTALUPO, Acropolis, cit., pp. 12-14.
l9 P. ZANCANI MONTUORO, Sibari, Poseido~ziae lo Heraion alla foce del Sele, "Archivio Storico per la Calabria e la
Lucania", XIX, 1950, pp. 65-84.
O' M. MELLO, Straborze V 4 13 e le origini di Poseiclonia, "La Parola del Passato", XXII, 1967, pp. 401-424; vd.
anche G. VOZA, La topografia di Paestunl ala luce di alcune recenti indagini, "Archeologia Classica", XV, 1963, pp.
223-232.
'l E. GRECO, Il teiclzos dei Sibariti e le origini di Poseidorzia, "Dialoghi di Archeologia", 1974-75, vol. VIIU1, pp.
104-115.
'' Solino, 11, 10: "Notunz est ... corzstituturn ... Paestunz a Dorerzsibus".
23 Aristotele, Politica, V, 3 (1303a).
abitanti del luogo (oi~toOLvwcJ, che all'arrivo dei Sibariti si ritirano più in alto e più a sud,
verso Agropoli e la zona di Tresino, toponimo che avrebbe conservato il loro nome24. Non a
caso nella zona di Tresino è sita la "Baia del Vallone", un porto naturale utilizzato fin da tempi
antichissimi, dove sono stati ritrovati materiali comle ancore arcaiche in pietra ed anfore25, ora
all'Antiquarium di Agropoli.
Una conferma della presenza dei Trezeni a Poseidonia è stata vista in un brano di Stefano
Bizantino, grammatico del V secolo d.C., che ricorda una Trezene in Italia; lo stesso brano è
ripetuto anche dal vescovo Eustazio di Tessalonica (XII sec. d.C.).
"Trezene, città del Peloponneso, ... fi chiamata anche ... Poseidonia. ... Vi è anche
un'altra Trezene nella regione Massaliota d'Italia, che Charax chiama Terra Trezenia"26.
"Trezene ...fi chiamata anche ... Poseidonia, perché sacra, si dice, a Poseidone. ... Vi è
anche, dicono, unaltra Trezene nella regione Massaliota dTtalia"27.
Se la città di Trezene in Grecia era chiamata anticamente Poseidonia, e se esisteva
un'altra Trezene in Italia, appare plausibile che i coloni di Trezene, dopo aver partecipato con
scarsa fortuna, insieme agli Achei, alla fondazione di Sibari, abbiano poi da soli fondato
Poseidonia, dando alla città l'antico nome della loro patria d'origine. I1 territorio di Poseidonia,
così, avrebbe avuto un nome specifico: Terra Trezenia d'Italia. In generale, gli studiosi
sembrano accettare la partecipazione dei Trezeni alla fondazione, ma precisando che il ruolo
più importante e>decisivo deve essere attribuito ai Sibariti di stirpe achea28. .%. .l, i ,n '

Ma è destino che queste ricostruzioni a tavolino pongano sempre nuovi problemi, nuove
questioni da risolvere. I1 territorio di Poseidonia si ritrova ad avere non uno, bensì due nomi:
Terra Trezenia, ma anche "regione Massaliota". Come spiegare allora questa regione
Massaliota d'Italia, ricordata da Stefano Bizantino, che fa evidentemente riferimento a
Massalia, nome greco di Marsiglia? Massalia era stata fondata da coloni provenienti da Focea,
come quelli che, successivamente, fondarono Elea. Secondo alcune fonti, alla fondazione di
Elea parteciparono anche coloni di Massalia29. Si è pensato quindi che il territorio di Elea-Velia
potesse essere indicato come la regione "Massaliota" d'Italia, per la presenza di Massalioti ad
Elea. Soltanto un altro autore antico, Ateneo (11-Il[I sec. d.C.), sembra accennare a questa
regione Massaliota, elencando alcuni vini d'Italia, ripresi da un testo del medico Galeno:
"Quello Massaliota è un vino buono, ma se ne produce poco; è robusto e corposoJ'30.Poiché si
parla dei vini dell'Italia, questo vino Massaliota non può essere di Marsiglia, sita in Gallia;
probabilmente Ateneo si riferisce al vino di Elea-Velia, ossia della "regione Massaliota" d'Italia
nota da Stefano Bizantino3l.
A quanto sembra, dunque, lo stesso territorio, zona d'influenza di ambedue le città,
peraltro amiche e in stretti rapporti commerciali e culturali, era chiamato Terra Trezenia in
relazione a Poseidonia, e regione Massaliota in relazione ad Elea. Le due città facevano parte di
uno stesso insieme territoriale, ma non siamo in grado di precisare ulteriormente tale status.
Ritornando al promontorio di Agropoli, gli scavi ivi effettuati nel 1982, anche se limitati,
hanno restituito materiali importanti per la sua storia, che vanno ad aggiungersi a quelli già
documentati da Piero Cantalupo nel suo volume. I
Ora possiamo affermare con sicurezza che i coloni Greci costruirono sul promontorio di \
Agropoli un tempio arcaico, con una decorazione fittile in terracotta del tutto simile e coeva I
i
24 P. CANTALUPO, Acropolis, cit., pp. 12-14; vd. sui Trezeni anche E. PAIS, Storia della Sicilia e della Magna 1t
Grecia, cit., p. 533 sgg.; J. BÉRARD(1957); Magna Grecia. Storia delle colonie greche dell'ltalia meridioizale, Torino,
1963, pp. 208-214.
l5 Vd. F. ARCURI, C. ALBORE LIVADIE, Rirzvenimenti sottonzaritzi ad Agropoli e a Punta Tresino, "Archeologia
Subacquea", 1993, pp. 105-115.
26
Stefano Bizantino, Ethnica, ad v. Tpotcfiv.
27 Eustazio di Tessalonica, Ad Iliadern, 11,561.
28 Vd. A. MELE, Da Poseidonia a Paestum, in F. ZEVI (a cura di), Paestunz, Napoli, 1990, pp. 25-33.
Martellino, XV, 9,7; Pseudo-Scimno, v. 250.
29 ~ m m i a n o
30 Ateneo, I, 48,27c.
3 1 Vd. F. ARCURI, Il vino irz etiì romana, in L. ROSSI (a cura di), Il vino nel Cilento dai Greci al D.O.C., Centro di
Promozione Culturale per il Cilento, Acciaroli, 1994, pp. 37-59; vti. anche, sulla Trezene italica, T.. BRUNEL, Trézèrze
en Massalia et la prètendue "Italie Massaliotique", "Revue des Études Anciennes", LXXVI, 1974, pp. 29-35; F.
CASTAGNOLI, Le origini di Poseidonia.. .,cit.
alla cosiddetta "Basilica" di Poseidonia, anche se con misure leggermente ridotte, per cui il
tempio doveva essere di dimensioni inferiori32.
Considerati gli altri elementi esistenti sul promontorio (numerosi lastroni di tufo pestano
nel cortile del castello; la facciata d'ingresso del castello, rifatta in epoca aragonese, in tufo
pestano; un rocchio di colonna nella scogliera), diventa agevole ipotizzare l'esistenza di un
santuario, con più templi, dei quali forse uno sacro a Poseidori, dio del mare.
I I

Ipotesi ricostruttiva del santuario greco sul promontorio di .Agropoli (i11. di Pina Guida)

Uno dei punti oscuri della storia di Poseidonia riguarda proprio il sito del tempio di
Poseidone, quasi sicuramente da cercare al di fuori della città, nel suo territorio. Alcuni
studiosi lo hanno posto a sud, tra Agropoli e Punta Licosa.
Leggiamo alcune testimonianze in proposito. Secondo Strabone, il promontorio di fronte
all'isola di Licosa chiude il golfo di Poseidonia.
ccNavigand6'ZPPÒseidonia subito fiori del golfo, si raggiunge IYsoIa di &ircosiiw-
(Licosa), a breve distanza dalla terraferma; essa ha preso il nome da una delle Sirene, caduta
qui dopo che esse, come si racconta, precipitarono nel profondo del mare. Dirimpetto all'isola
sorge il promontorio che, con l'antistante promontorio delle Sirenusse (Punta Campanella
all'estremità della Penisola Sorrentina), forma il Golfo di Poseidonia2'33.
Tale promontorio, secondo Licofrone, poeta alessandrino del I11 sec. a.C., avrebbe il
nome di "Enipeo".
"Sul promontorio Enipeo sarà rigettata Leucosia, ed ella abiterà a lungo lo scoglio
(nhpav) col suo nome, là dove il rapido Is e il Laris insieme gettano le loro acque7'34.
"Enipeo" è un appellativo riferito a Poseidone, per cui ,(;iè ipotizzata qui, presso Licosa,
sul promontorio, la presenza di un tempio di Poseidone (il cosiddetto "Poseidonion" di
Poseidonia)35. Ma tale sito appare improbabile, sia perché troppo lontano da Poseidonia, sia

32 Vd. C. A. FIAMMENGHI, Rassegna arclzeologica: Agropoli, in Atti Convegno Taranto XXII, Taranto, 1983, p. 428;
C. A. FIAMMENGHI, Agropoli: primi saggi di scavo nell'area del castello, "AION - Annali dell'ktituto Universitario
Orientale di Napoli", sez. Archeologia e Storia Antica, VII, 1985, pp. 53-68; C. A. FIAMMENGHI, Agropoli, in
AA.VV., Il museo di Paestum, Agropoli, 1986, pp. 75-77.
33 Strabone, VI, 1, 1 (C 252).
34 Licofrone Alex., vv. 722-725.
35 Vd. H. NISSEN, Italische Landeskunde, 1-11, Berlin, 1883-1902,II, 2, p. 895.
perché nascosto alla vista dal monte Tresino, sia perché collegato solitamente alle Sirene e non
a Poseidone; il tempio va allora cercato altrove. D'altra parte, non si può pretendere una
precisione geografica da Licofrone, poeta erudito, che riporta miti misteriosi. Egli non cita
l'isola di Licosa, e parla solo di una petra (kzpav), scoglio o promontorio; inoltre nella zona di
Licosa non vi sono fiumi di grande portata, e si è pensato piuttosto ad un riferimento al Sele ed
al suo affluente Calores6. Insomma, Licofrone si riferiva genericamente all'area di Poseidonia,
senza indicare luoghi precisi.
Piero Cantalupo propone di situare a Punta Tresino il tempio ed il culto di Poseidone, di
origine trezenia, come pure il sito della Trezene d'Italia, peraltro in zona sottoposta
all'influenza di Elea, e quindi rientrante nella "regione Massaliota". Se il promontorio Enipeo
"fronteggiava" l'isola di Licosa, escludendo quello prossimo all'isola, l'unico che le si affianca,
sia pure a distanza, è quello di Tresino37.
Ma il passo di Licofrone potrebbe anche riferirsi al promontorio di Agropoli. La petra
della sirena Leucosia richiama la petra nel territorio di Poseidonia dove si svolge una storia
mitica narrata da Diodoro Siculo: un cacciatore locale, con un atto di arroganza, trascura un
rito tradizionalmente praticato in onore di Artemide, ed è immediatamente punito dalla dea38.
I1 brano sembra individuare una località, una petra o scoglio o promontorio, sul quale è posto
un tempio di Artemide; P. Cantalupo riferisce questo episodio al promontorio di Agropoli39.
4 6
"Partito di là, Eracle (Ercole) giunse ud un@scoglio (npoc ziva nÉzpav) nel territorio dei
Poseidoniati, presso il quale si favoleggia sia accaduto un fatto strano e meraviglioso. Un
cacciatore indigeno, molto rinomato per le sue brillanti imprese venatorie, in tempi
precedenti era solito consacrare ad Artemide (Diana), inchiodandole agli alberi, le teste e le
zampe degli animali uccisi. Ma, avendo preso una volta un enorme cinghiale, disse, quasi a
disprezzo della Dea, che ne dedicava la testa a se medesimo e, tenendo dietro alle parole,
appese questa ad un albero. Egli poi, essendo l'atmosfera afosa, a mezzogiorno si distese a
dormire; scioltosi in quel momento il legaccio, la testa cadde sul dormiente e l'uccise"40.
La suggestiva analogia e il richiamo dei due autori ad una stessa petra, scoglio o
promontorio, può essere chiarita ricorrendo ad un7altrafonte. Significativo appare un passo di
Eustazio di Tessalonica, finora trascurato.
Meni 6È 76 TOG xo~ayoG206~02)ozoya, h5 9 Ikoyp&$oc$qoiv, Ev v' o~a6iotc.;1 lIooet6ovtàc
k p a , O&V E K ~ A É o v TV~~ ~ B OAev~woia
C h i v , ~ X E ~ ~ OaiZ a
) lje anoonao~a, Enhvuyo~ytac 2Wv CE
tpfivov.
"Dopo la foce di questofiume (il Sele), come dice il Geografo (Strabone), a 50 stadi vi è
l'acropoli (?) di Poseidonia (lIooet6ovtà~& ~ p a )e, di qui navigando vi è l'isola di Leucosia,
essa stessa pezzo distaccato di terraferma, che prende il nome da una delle Sirene"41.
Eustazio, seguendo Strabone, dovrebbe parlare della città di Poseidonia, a 50 stadi dal
Sele, ma fa confusione tra le sue fonti, e ci parla invece di un promontorio o rocca o acropoli di
Poseidonia (lIooet6ovtàc a ~ p a ) .
Si tratta del promontorio di Agropoli? Certo, la rocca bizantina di Agropoli era ben nota
al tempo di Eustazio, vescovo del XII secolo. Ma appare suggestivo ipotizzare che Eustazio,
volendo integrare il passo di Dionisio Periegeta (I1 sec. d.C.), che non cita Poseidonia42, rilevi
da una fonte a noi non giunta una "acropoli" di Poseidonia sita, come suggerisce il nome, sul
promontorio di Agropoli43. Che p; +ritti di Agropoli e non del Promontorio di Licosa appare
chiaro dal fatto che solo n a j ~ g a n woltre IIooet6ci)vtà~ - k p. a si giunge all'isola di Licosa;
Agropoli poi, per le sue carattehstiche, risponde perfettamente alle definizioni di n&pa e di
aicpov.

36 Vd. E. CIACERI, La. Alessandra di Licofrone, Catania, 1901, p. 242.


37
P. CANTALUPO, Acropolis, cit., pp. 10-14.
38 Diodoro, IV, 22,3-4.
39 P. CANTALUPO, Acropolis, cit., p. 25. Altri hanno pensato ad una località dell'interno, sui monti. Tale Artemision
potrebbe identificarsi con quello posto nel territorio dei Picentini da Aristotele (Mir., 110, 840b).
40 Diodoro, IV, 22, 3-4.
41 Eustazio di Tessalonica, Comm. ad Dionys. Per., 358.
42 Dionisio Periegeta, Orbis descr., vv. 357-363.
43 Peraltro, lo scoliasta di Licofrone precisa che Enipeo sta per tempio e promontorio/acropoli di Poseidone
(Iiooi8stov iepòv, ~ O ~ E ~ ~ Ea ~LpOo vV)con
, lo stesso termine (BKPOV) usato da Eustazio.
l Si è già detto dei ritrovamenti archeologici che attestano un santuario sul promontorio di
Agopoli; le testimonianze di Licofrone e di Eustazio potrebbero suggerire che tale santuario
fosse dedicato a Poseidone, e che, inoltre, il sito costituisse anche I'acropoli di Poseidonia, il
centro sacro della città, posto in alto e ben protetto da fortificazioni e da difese naturali. Se
fosse così, il nome della città odierna, Agropoli, non sarebbe bizantino, ma risalirebbe
all'antichità classica, quando il centro si caratterizzava come l'acropoli di Poseidonia.

Uno dei lastroni di tufo pestano nel cortile del castello di Agropoli

Possiamo allora pienamente concordare, con la Zancani Montuoro44, che il Poseidonion


di Poseidonia, il santuario di Poseidone Enipeo, si trovasse sul promontorio di Agropoli. La
mancanza, parzialmente osservata dalla Zancani, di materiali archeologici arcaici, è stata
colmata dagli scavi e dalle ricerche successive, che fanno riferimento ad uno o più templi. La
stessa Zancani osserva che, per Agropoli, "non occorre insistere sulla pura grecità del suo
nome", e che solo per il silenzio dei testi classici le si è attribuita una origine bizantina45. Ma già
nel Settecento il Mazzocchi ipotizzava che Agropoli fosse stata "l'acropoli" dell'antica
Poseidonia46.
Questa ipotesi è stata ripresa da Emanuele Greco, allorché ha posto il teichos, il fortino
- i..M dei primi coloni sibariti sul promontorio di Agropoli: questo~skto~è 1:unico del territorio pestano
a meritare il nome di acropolis ( c i ~ p o n o k . ~I1) . toponimo non è bizantino, ma più antico, ed
indica un sito con funzioni importanti rispetto a Poseidonia: il promontorio accoglie il tempio-
faro di Poseidon, ha un ruolo di emporio-approdo mediante i porti naturali ai suoi fianchi, è il
punto terminale della strada nord-sud che attraversa il territorio di Poseidonia, dal santuario
di Hera Argiva sul Sele al santuario di Poseidon sul promontorio di Agropoli. I1 toponimo
allora aveva già "specializzato" il luogo, e quando (ri)compare nel 592, si può ammettere la sua
trasmissione dal periodo classico47.
La presenza della strada, importante via di comunicazione, conferma la posizione
privilegiata di Agropoli, e gli stretti contatti di Poseidonia con i porti e con il santuario
esistente sul promontorio. Un lungo tratto di tale strada è stato rinvenuto nella contrada
Linora, sulla riva destra del Solofrone, proveniente da Poseidonia (Porta Giustizia) e diretta
verso la foce del fiume Solofrone e verso Agropoli. La strada, di epoca greca, esistente forse già
44
P. ZANCANI MONTUORO, Il Poseidonion di Posidonia, "Archivio Storico per la Calabria e la Lucania", XXIII,
1954, pp. 165-185.
45
P. ZANCANI MONTUORO, I1 Poseidoniorz di Posidonia, cit., p. 180.
46 A. S. MAZOCHIUS, Irz Regii Herculaizensis Musei aeneas tabulas Heracleerzses Cornrnentarii, Neapoli, 1754, I, p.
504 S.
47
Vd. E. GRECO, Il teiclzos dei Sibariti e le origini di Poseidonia, cit.
nel quinto secolo a.C., messa in luce dagli scavi per circa 200 mt, è larga circa 4,30 mt ed è
formata da un'ampia incassatura nel banco roccioso, senza alcuna preparazione del terreno:
sulla roccia del fondo, infatti, sono rimasti i solchi lasciati dalle ruote dei carri@.
Sulla priorità del sito di Agropoli rispetto a Poseidonia, o a Foce Sele, attestato da
Strabone con la vicenda della fondazione in due tempi, non vi sono però testimonianze
archeologiche: si potrebbe allora pensare ad una occupazione del territorio contestuale alla
fondazione della città49. Infatti l'obiettivo principale dei coloni greci era solitamente quello di
impadronirsi di tutti i posti strategicamente più importanti e difenderli efficacemente da
eventuali nemici: di qui la nascita di avamposti fortificati, che poi diventano santuari, come
Agropoli, col ruolo di confine sacro del territorio costiero, e con strade processionali di
collegament05~.
Comunque, secondo il recentissimo studio di Dieter Mertens, appare plausibile ritenere
che la prima tappa della colonizzazione, il teichos dei Sibariti, possa essere stato impiantato
sulla rocca (ci~p6noItcper l'appunto, con la denominazione antica) di Agropoli, e da qui i
coloni poi si siano spostati nella piana. I1 ritrovamento delle terrecotte architettoniche
arcaiche, che attestano la presenza di un tempio, va connesso al Poseidonion di Licofrone.
Agropoli fu il santuario meridionale della chora pestana, connesso alla città ed al santuario
settentrionale di Foce Sele con una arteria nord-sud, utilizzata per le feste processionali e per la
gestion~economicadel territoriosl. t+l :, -+..C.
g , s7,, i

Le terrecotte architettoniche di Agropoli vanno connesse per tipologia, decorazione,


motivi ornamentali, alla coeva "Basilica'' di Poseid.onia, il grande tempio arcaico costruito
verso la metà del VI secolo a.C. e probabilmente dedicato ad Hera. La sue decorazione fittile
risente moltissimo dell'influenza etrusca, a suggerire maestranze etrusche, e forse un contesto
cittadino multiculturale. Stessa cosa potrebbe dirsi per Agropoli, ove contestualmente ai
reperti templari è stato rinvenuto bucchero etrusco; un'anfora commerciale etrusca parimenti
di VI secolo è stata rinvenuta nelle acque di Agropoli (Punta Tresino)52. La presenza greca non
sembra allontanare gli indigeni, Enotri o Etruschi, rna si sperimenta una pacifica convivenza
nel territorio poseidoniate.
La presenza amichevole degli indigeni insieme ai Greci, particolarmente sul promontorio
di Agropoli, sembra attestata dalla vicenda, narrata da Diodoro, del cacciatore locale punito
dalla dea Artemides3, già riportata nelle pagine precedenti. L'episodio può anche essere visto
come un racconto mitico tradizionale inerente i rapporti fra i Greci e la popolazione locale,
quale invito a non trascurare il dovuto rispetto ed i riti sacri per le divinità comuni; invito,
quindi, ad integrarsi, in amicizia, nell'adozione della cultura greca.
L'amicizia fra Greci e indigeni è anche il tema di una famosa iscrizione di Olimpia con il
trattato fra i Sibariti e i Serdaioi54, anteriore al 510 ;i.@.;il trattato ha come garanti, oltre agli
dei, la città di Poseidonia.
"Si concordò fra i Sibariti e gli alleati e i Serdaioi una amicizia fedele e senza inganno,
perenne. Ne sono garanti Zeus e Apollo e tutti gli dei e la città di Poseidonia".
Probabilmente questi Serdaioi vanno cercati nell'area di Elea-Velia. Comunque, al di là
dell'identificazione di questo popolo, variamente collocato dagli studiosi55, va sottolineato il
fatto che si tratta quasi sicuramente di indigeni italici, e che Poseidonia garantisce pienamente

48 Vd. G. VOZA, Paestum: necropoli preistorica del Gaudo; zona extraurbana della Linora, "Bollettino d'Artem,
XLIX, 1964, pp. 362-364.
49 Vd. F.LONGO, Poseidonia, in E. GRECO (a cura di), La citth greca antica. Istituzioni, società e forme urbane,
Donzelli, Roma, 1999, pp. 365-384.
Vd. D. MERTENS, Città e monumenti dei Greci d'occidente, L'Erma di Bretschneider, Roma, 2006, p. 44.
Vd. D. MERTENS, Città e monumenti dei Greci d'Occidente, cit., pp. 54-55.
52 Vd. C. A. FIAMMENGHI, Agropoli: primi saggi di scavo nell'area del castello, cit.; F. ARCURI, C. ALBORE
LIVADIE, Rinvenimenti sottomarini ad Agropoli e a Punta Tresino, cit.; F. ASTONE, Greci e non Greci nel territorio di
Poseidonia in età arcaica, tesi di laurea, cit.
53 Diodoro, IV, 22, 3-4.
54 Vd. R. MEIGGS, D. LEWIS, A Selection of Greek Historical I'nscriptions, Oxford, 1969, n. 10; M. GUARDUCCI,
Epigrafia greca II, Roma, 1969, pp. 541-543.
55 Vd. E.GRECO, Serdaioi, "AION - Annali dell'Istituto Universitario Orientale di Napoli", sez. Archeologia e Storia
Antica, XII, 1990, pp. 39-57.
l
per tale amicizia, forse perché "sensibile" in modo particolare (per culti religiosi, tradizioni
civili, attitudine filosofica, vicende storiche, vicinanza) verso questo aspetto delle relazioni
umane56. Verso il 540, Poseidonia aveva accolto i Focei fuggiaschi e reduci da una pesante
sconfitta ad Alalia contro Etruschi e Cartaginesi. Grazie i3 Poseidonia, che allora doveva
controllare tutto il territorio cilentano, i Focei si erano stanziati nella terra degli Enotri, su un
promontorio alla foce dell'Alento.

Moneta dei Serdaioi (Bibliothèque Nat. de France, Paris)

"Gli altri Focei, che erano andati a Reggio, fondarono (acquistandola, kicmioavzo) una
città in terra di Enotria chiamata ancor oggi Yele, e fecero ciò dopo aver saputo da un uomo
di Poseidonia che la Pizia aveva ordinato loro di stabilirsi presso il santuario dell'eroe Cirno,
e non di colonizzare l'isola che aveva stesso nome (la Corsica)" 57.
A conferma di una presenza indigena amica, le isolette di fronte alla costa di Elea erano
chiamate "isole Enotridi7'58. Inoltre, il preesistente santuario dell'eroe Cirno richiama culti
indigeni, forse legati ai Serdaioi59.

IL QUINTO SECOLO (500-401 a.C.)

Nelle pagine precedenti, si è messa in luce l'importanza di Agropoli nel contesto della
colonia greca di Poseidonia, fin dalla sua fondazione, come fortezza, santuario, emporio, porto,
luogo di incontro con gli indigeni stanziati sul territorio. Agropoli continuerà a svolgere questo
ruolo anche nelle epoche success'ive";kilx i efiferimenti delle fonti sono solo indiretti, e possiamo
ricostruirne le vicende solo seguendo la storia di Poseidonia e del suo territorio.
Si è già detto dell'intervento di Poseidonia nella fondazione di Elea. L'economia degli
Eleati si basava sul commercio e sulle attività marinare, mentre quella di Poseidonia si fondava
sull'agricoltura, grazie al suo vasto territorio. L'amicizia fra le due città si mantenne costante
nel tempo. Dal 530, la moneta di Poseidonia era coniata sullo stesso piede di quella di Elea,

Viene spontaneo il ricordo degli affreschi della "tomba del tuffatore", con scene di banchetto amicale, e
dell'iscrizione poseidoniate di Fratte, attestante amicizie e passioni amorose fra personaggi greci, etruschi ed italici. Cfr.
A. PONTRANDOLFO, Un'iscrizione posidoniate in una tomba di Fratte di Salerno, "AION - Annali dell'Istituto
Universitario Orientale di Napoli", sez. Archeologia e Storia Antica, IX, 1987, pp. 55-63. Vd. anche Erodoto, I, 167 (un
uomo di Poseidonia indica ai Focei il sito dove fondare Elea, d'accordo con gli indigeni); Diodoro, XII, 9, 1-2 (i Sibariti
- fondatori di Poseidonia - concedevano facilmente agli stranieri la cittadinanza).
57 Erodoto, I, 167. Vi sono però diverse interpretazioni di questo brano: vd. M. GIGANTE, Il logos erodoteo sulle
ori irzi di Velia, "La Parola del Passato", 1966, pp. 295-317.
"Strabone, VI, 1. 1 (C 253).
59 L'eroe Cirno era figlio di Eracle; i discendendi di Eracle, i Tespiadi, secondo una leggenda tramandata da Diodoro
(V, 15), erano passati dalla Sardegna in Italia, nella regione degli Opici. È possibile allora riconoscere in questi Tespiadi
i Serdaioi dell'iscrizione, Sardi di origine o tradizione greca passati in Italia. I1 culto dell'eroe Cirno potrebbe indicarne
la localizzazione nella zona di Elea. Inoltre, una moneta con la scritta "SER", attribuita ai Serdaioi, e raffigurante una
divinità dalle sembianze di Dioniso ed un grappolo d'uva, potrebbe ricollegarli agli indigeni Enotri.
mostrando un comune interesse economico. Uno studio recente di Verena Gassner60
sull'economia di Elea in età tardo-arcaica, attraverso lo studio chimico-fisico della ceramica
velina, attesta che la città aveva instaurato una fitta rete di rapporti commerciali con numerose
località del Mediterraneo: in particolare, per il comrnercio di generi alimentari, il partner più
importante è risultata la vicina Poseidonia. La Gassner ipotizza che Elea di fatto gestisse il
commercio dei vari prodotti del territorio di Poseidonia.
In effetti le due città avevano vocazioni diverse, e i rapporti di buon vicinato costituivano
per entrambe un importante fattore di sviluppo e di espansione. Questo stretto legame
economico sembra spiegare anche la massiccia presenza di monete di Elea a Poseidonia in
epoca tardo-arcaica, come evidenzia uno studio parallelo di R. Cantilena61. Questa tradizione
di partnership commerciale dovette continuare anche nelle epoche successive, fino in età
romana62, con vantaggi reciproci.
Nella nuova situazione politica del V sec., dopo la caduta e la distruzione di Sibari ad
opera di Crotone, e le ripetute sconfitte degli Etruschi in area campana, appaiono nuovi
protagonisti: Atene, Siracusa, il pitagorismo crotoniate. Le nuove coniazioni monetali di
Poseidonia seguono il piede acheo, probabilmente a raccogliere l'eredità di Sibari sul piano
economico e politico.
Verso la metà del quinto secolo a.C., tutta l'area tirrenica della Magna Grecia è sotto
l'influenza politica e culturaledi Atene. Poseidonia è al suo massimo splendore, e viene I

edificato il suo tempio maggiore, cosiddetto "di Nettuno". Uno dei suoi cittadini forse più
illustri, il sacerdote e indovino Astifilo, è amico intimo ( c T u v ~ ~di~Cimone,
~ G ) generale ateniese,
come ci racconta Plutarco.
"Quando tutto era pronto e già i soldati sulle banchine attendevano, Cimone fece un
sogno. Gli sembrò di vedere una cagna che latravajùriosamente contro di lui, e tra i latrati
lanciava dalla bocca parole umane; diceva: «Và', che sarai accetto a me e ai miei cuccioli».
Un sogno dzfficile da spiegare. Pure, Astifilo di Poseidonia, un indovino ( p a v z t ~ òavfip) ~
intimo di Cimone, dichiarò che la visione presagiva la morte di Cimone stesso. Egli
l'interpretava in questo modo: un cane che abbaia verso una persona le è nemico, e ad un
nemico non si potrebbe essere più accetti che morendo; la mescolanza, poi, delle voci, umana
e canina, sta ad indicare che il nemico cui si allude 0 il medo, poiché l'esercito dei Medi è un
miscuglio di Elleni e di barbari. Oltre alla visione, durante il sacrificio che Cimone offrì a
Dioniso, mentre l'indovino squartava la vittima, un nugolo di formiche raccolse via via il
sangue che cadeva a terra, lo trasportò tutto, poco alla volta davanti a Cimone e gliene
spalmò all'ingiro l'alluce di u n piede. Egli rimase così molto tempo senz'accorgersi di nulla;
quando vi pose mente, gli si avvicinò il celebrante e gli mostrò il fegato: mancava del lobo.
Ma ormai non c'era più tempo per tirarsi indietro dalla spedizione"63.
L'episodio risale al 450 a.C., quando Cimone sta preparando una spedizione in Egitto
contro i Persiani, dalla quale non tornerà più indietro. In questi anni giungono ad Atene anche
Parmenide e Zenone di Elea64 per le grandi Panatenee del 454-450 a.C. La coincidenza non
sembra casuale: le due città magnogreche dovevano allora essere alleate ed avere una politica
comune di amicizia verso Atene. Si possono supporre all'epoca buoni rapporti di Poseidonia
con Atene, se un suo cittadino era intimo del grande stratega ateniese. Astifilo nell'episodio è
incaricato anche di un importante sacrificio a Dioniso: non si limita a predire il futuro, ma è
anche sacerdote celebrante per i sacrifici. In una città aperta alle popolazioni indigene e
confinanti come Poseidonia, possiamo supporre che Astifilo abbia origini etrusche, o almeno
abbia appreso la sua arte dai vicini Etruschi di Pontecagnano.
La presenza di Parmenide e Zenone di Elea ad Atene, e l'amicizia del generale Cimone
con Astifilo di Poseidonia, fanno parte delle numerose testimonianze sulle iniziative ateniesi

60 V. GASSNER, Economia e commercio ad Elea in età tardo-arcaica, in GRECO G. (a cura di), Elea-Velia. Le nuove
ricerche, Atti del Convegno di Studi (Napoli 14 dic. 2001), Naus Editoria, Pozzuoli, 2003, pp. 91-100.
6' R. CANTILENA, Monete di Velia a Poseidonia, in GRECO G. (a cura di), Elea-Velia. Le nuove ricerche, cit., pp. 79-
89.
62 Vd. L. VECCHIO, Eleati a Delo, in G. GRECO (a cura di), Elea-Velia. Le nuove ricerche, cit., pp. 121-150.
63 Plutarco, Cimon, 18,2-6 (trad. di C. Carena).
64 Platone, Parmen., 127a-d; Parmenide appare già vecchio, mentre Zenone è sui quarant'anni e di bell'aspetto.
prese in Magna Grecia65: Temistocle chiamò due sue figlie coi nomi di Italia e Sybaris66; lo
stesso Temistocle accennò, alla vigilia della battaglia di Salamina, alla possibilità che gli
Ateniesi si trasferissero in massa in Magna Grecia, a Siri, "nostra da lungo tempo"67; vi sono
dei trattati di Atene con le città di Segesta, Reggio e Leontini, su lamine bronzee68; lo stratega
Diotimo è spedito a Napoli, ove istituisce una festa in onore di Partenope69; una tragedia di
Sofocle, il Trittolemo, rappresentato sotto la coregia di Cimone, ci descrive le coste dell'Italia
meridionale70. Gli studiosi sono incerti se attribuire una datazione "alta" (almeno a partire dal
460 a.C.) o "bassa" (dopo la metà del V sec. a.C.) all'interverito ateniese in Magna Grecia; è in
corso un ampio dibattito in proposito, ma la presenza di Astifilo di Poseidonia insieme a
Cimone nel 450 a.C., e certamente suo amico già da malti anni, può far propendere la
1 questione per la datazione alta.
In questo contesto, viene esaltato il ruolo svolto dall'area di Agropoli, sia per la presenza
del Poseidonion, il tempio di Poseidone, al quale corrisponde il tempio di Athena (culto
ateniese e napoletano) all'estremità della penisola Sorrentina, sia per il culto della sirena
Leucosia, sorella di Partenope, venerata nel golfo di Napoli? L'alleanza fra Atene, Poseidonia,
Elea e Neapolis è rafforzata dalla protezione delle divinità comuni che presidiano dall'alto il
mare, principale via di comunicazione e di scambi fecondi.
caffinità di Poseidonia e di Elea in questo periodo non è solo economica e politica, ma
anche culturale. Poseidonia ed Elea, come altre città della Magna Grecia, risentivano
dell'influsso della filosofia pitagorica, adottata da esponenti della classe dirigente~.Una
tradizione tarda, riportata da Giamblico (N sec. d.C.), annovera fra i discepoli di Pitagora
Parmenide, si distinse come legislatore e indagatore dei fenomeni naturali73. Giamblico elenca
anche una serie di discepoli poseidoniati di Pitagora: Athamas, Simos, Proxenos, Kranaos,
Myes, Bathylaos, P h a i d o n ~Inoltre, racconta nei particolari la storia di un altro personaggio di
Poseidonia seguace di Pitagora, Testore, a proposito dell'amicizia ($dia) che univa fra di loro i
pitagorici, anche se abitavano nelle contrade più lontane e non si conoscevano di persona.
"E analogamente, anche Testore di Poseidonia - a quanto si racconta - appena seppe
solo per sentito dire che Timarida di Paro era un pitagorico, quando questi, da ricco che era,
cadde in miseria, raccolse molto denaro e partì per Paro, ricostituendone il patrimonio"~
Queste testimonianze, per quanto tarde, sembrano attestare per la Poseidonia del V
secolo a.C. una diffusa adozione della filosofia pitagorica da parte della classe dirigente, che
d'altra parte doveva beneficiare di una notevole ricchezza e prosperità economica, certamente
derivante dallo sfruttamento agricolo del territorio e dagli accordi commerciali con Elea.
Ricchezza e prosperità che consentono ad un atleta di Poseidonia, di nome Parmenide, di
vincere la gara dello stadio (corsa veloce per eccellenza, circa 200 mt attuali) ad Olimpia
nell'anno 468 a.C.; nell'occasione Parmenide vinse anche il dn'aulos, ossia la doppia corsa dello
stadio , ( f 4 ~ o makca)76.
b :v; p >lL5.bdgic a

È probabilmente la stessa filosofia pitagorica ad indurre nei Poseidoniati un particolare


atteggiamento verso gli indigeni, come si è detto, improntato all'amicizia ed a rapporti su un
65
Vd. F. RAVIOLA, Tzetzes e la spedizione di Diotimo a Neapolis, in "Hesperia", 3, a cura di L. BRACCESI, L'Erma
di Bretschneider, Roma, 1993, pp. 67-83; M. GIANGIULIO, Atene e l'area tirrenica in età periclea. Forme e ideologie
di un rapporto, "Ostraka", VI, 2, 1997, pp. 323-336.
66 Plutarco, Them., 32.
67 Erodoto, 111, 62,2.
Risalgono a date imprecisate di metà V sec.
''
70
. Lyc. Alex., 732.
~ c h o lad
Dionisio di Alicarnasso, Ant. Ronz., I, 12,2 = Sofocle, fr. 541 Nauck, Trag. Gr. Fr., p. 162.
71
Vd. A. MELE, Da Poseidonia a Paestum, cit.
72 A. MELE, Il pitagorisnzo e le popolazioni anelleniclze d'Italia, "AION - Annali delllIstituto Universitario Orientale
di Napoli", sez. Archeologia e Storia Antica, 111, 1981, pp. 61-96.
73 Giamblico, De vita pithagor., XXIX, 166; XXXVI, 267.
74 Giamblico, De vita pithagor., XXXVI, 267.
75 Giamblico, De vita pithagor., XXXIII, 239. Testore, significativamente,i!anche il nome di uno degli Argonauti, in
Sclzol. ad Apoll. Rhod., I, 1391144~1;gli Argonauti, guidati da Giasone, avevano fondato, secondo il mito, il santuario di
Hera alla foce del Sele (Plinio il Vecchio, Nat. hist., III,5,70; Strabone, VI, 1, 1 (C 252)).
76 Diodoro Siculo, XI,65, 1; Dionisio di Alicarnasso, Ant. Rom., IX, 56, 1; Victores Olympici, in FGrHist, I11 B 415,
fr. 1, 19-20, p. 308.
piano di parità. Giamblico ricorda, tra l'altro, un memorabile discorso di Pitagora ai Crotoniati:
l'educazione, la paideia, è una necessaria scelta individuale, che si ottiene con consapevole
determinazione. L'educazione consente di entrare nella vita politica cittadina, ed è il grado di
educazione posseduta che differenzia gli uomini dagli animali, i Greci dai Barbari, i liberi dagli
schiavi, e i filosofi dagli altri uomini. In tale quadro, gli indigeni, volendo, possono accedere
alla paideia greca, entrare nella vita politica delle città, diventare filosofi, su un piano di parità,
senza subire discriminazioni77.

IL QUARTO SECOLO (400-301 a.C.)

I "Lucani tirrenici"
Secondo la maggior parte degli studiosi, verso la fine del V sec. (420-400 a.C.), la città
greca, attraversando un periodo di crisi, sarebbe stata sconfitta in guerra dai Lucani, che
l'avrebbero occupata impadronendosi del potere poli tic078 e tenendolo sostanzialmente senza
interruzioni fino alla colonia latina del 273 a.C., per circa 150 anni; la prova più evidente
appare costituita dai costumi funerari e dalle serie defiq,tombe,,Fiiginte.
Tuttavia, stando a ciò che finora si è detto sui buoni rapporti fra Poseidoniati ed indigeni,
fin dall'età arcaica, non si comprende come mai questi, improvvisamente, da una parte
possano identificare se stessi come "Lucani", e dall'altra acquistino tanta forza politica e
militare da dominare la città. Secondo altri, in particolare secondo Dornenico Musti79, la città
restò in mano ai Greci fino all'impresa di Alessandro in Molosso, e solo in seguito, dopo il 330
a.C., fu occupata dai Lucani, cosicché la loro presenza in città non dura più di mezzo secolo;
numerose fonti e documenti comprovano la persistenza della cultura e della lingua greca nella
Poseidonia del quarto secolo, sicché l'occupazione lucana fu solo una breve parentesi fra la
polis greca e la colonia latina.
Dornenico Musti, inoltre, ha messo in evidenza come il nome di Lucani sia utilizzato
soprattutto dalle fonti latine o comunque legate a Roma, e con un criterio geografico, a
indicare indistintamente tutti coloro che sono stanziati a sud del Seleso. In effetti, con tutta
probabilità ci troviamo di fronte a due diversi gruppi di popolazioni indigene: gli uni arroccati
sui monti dell'interno, gli altri, lungo la costa, maggiormente esposti all'influsso della cultura
greca, che essi finiscono per adottare in gran parteal.
Secondo la nostra ipotesi, che cerca di conciliare le due versioni suddette, bisogna
innanzitutto considerare la natura dei "Lucani" che abitavano il territorio costiero intorno alle
città di Poseidonia-Paestum e di Elea-Velia. In queste zone si ripete probabilmente la stessa
situazione del territorio della Campania, intorno alle città di Capua, Cuma, Napoli. Qui, nel
quinto secolo a. C., gli indigeni che abitavano il territorio si distinsero come il popolo dei
Campanigz, di origini composite, diverso dai Sanniti abitanti sulle montagne dell'interno, e

77 Giamblico, De vita pithagor., VIII, 44. Vd. A. MELE, Il pitagorismo e le popolazioni anelleniche d'Italia, cit.; sui
rapporti tra pitagorismo e politica vedi anche A. FERRARA, La democrazia in Atene: Clistene e Pitagora, Spinelli
Editore, Eboli, 1995.
78 Per le più recenti sintesi delle vicende storiche di Paestum, vd. E. GRECO, G. GRECO, A. PONTRANDOLFO, Da
Poseidonia a Paestum, a cura di M. CIPRIANI, Paestum, 2000; M. CIPRIANI, E. GRECO, F. LONGO, A.
PONTRANDOLFO, I Lucarzi a Paestum, Paestum, 1996; A. MELE, Le fonti storiche, in M. CIPRIANI, F. LONGO (a cura
di), I Greci in Occidente. Poseidonia e i Lucani, Electa Napoli, 1996, pp. 67-70.
79
D. MUSTI, Magna Grecia. Il quadro storico, Laterza, Roma-Bari, 2005, pp. 252-253 e 280-300.
so D. MUSTI, Magna Grecia..., cit., pp. 261-280.
Vd. F. LA GRECA.Poseidonia-Paestum fra IV e ZII sec. a.C.: popoli, politica, cultura. Note preliminari, "Annali
Storici di Principato Citra", VI, 1,2008, pp. 13-41.
s2 Vd. in generale AA.VV., La Campania fra il VI e il ZII secolo a.C., Atti del XIV Convegno di Studi Etruschi e Italici
(Benevento, 24-28 giu. 1981), Congedo, Galatina, 1992; D. MUSTI, Strabone e la Magna Grecia. Città e popoli
dell'ltalia antica, Esedra, Padova, 1994; L. CERCHIAI, I Campani, Milano, 1995; G. TAGLIAMONTE, I Sanniti.
Caudini, Irpini, Pentri, Carricini, Frentani, 2a ed., Milano, 2005. In particolare su Cuma greco-sannitica, con vicende
simili a quelle di Poseidonia, vd. A. G. MCKAY, Samnites at Cumae, in H. JONES (ed.), Samnium. Settlement and
Cultura1 Change, Providence, Rhode Island, 2004, pp. 85-101.
caratterizzato dall'adozione della cultura greca e dall'uso funerario delle tombe dipinte,
ereditato dalla componente etrusca. Nella zona della piana del Sele troviamo esattamente la
stessa situazione: gli indigeni della zona, di origini composite (Enotri), a contatto con la città
greca ne adottano la cultura ed i modi di vita; la componente etrusca, peraltro anche qui
presente (basti pensare ai vicini Etruschi di Pontecagnano), fa si che anch'essi adottino l'uso
funerario delle tombe dipinte. Completamente diversi sono i Lucani delle zone interne, che
significativamente non fanno uso di tombe dipinte, e non adottano usi e costumi greci. Le fonti
antiche non fanno questa distinzione, e parlano genericamente di Lucani, ma così facendo ci si
preclude la comprensione degli avvenimenti.
Un autore del I1 sec. a.C., Pseudo-Scimno, descrivendo la regione campano-lucana con
riferimento al IV sec., sembra tuttavia confermare la nostra ipotesi della distinzione fra
abitanti della costa e dell'interno anche in Lucania: nei suoi versi, dopo Cuma e Napoli,
troviamo i Sanniti; dopo costoro, Campani e insieme Lucani nell'interno; confinanti con
questi, gli Enotri, fino a Poseidonia e ad EleaQ. C'è la distinzione fra Sanniti e Campani, e, per
il territorio lucano, c'è la distinzione fra Lucani dell'interno ed Enotri della costa, intorno alle
città di Poseidonia ed Elea. Per questo autore, coloro che abitano lungo la costa appaiono
diversi dai Lucani dell'interno, e sono distinti con l'antico nome di Enotri, usato da Ecateo e da
Erodoto. Qualche altra traccia di questa distinzione può ravvisarsi nelle fonti riguardanti i
Lucani in genere. Troviamo nette contrapposizioni fra i Lucani: c'è una multitudo agrestium84,
c'è chi vive nelle foreste, si ciba di selvaggina e si esercita alle armi@, ma ci sono anche
ambasciatori che parlano fluentemente il greco dorico86. Sembra opportuno ricordare le fonti
che evidenziano I'acculturazione delle genti lucane a contatto col mondo magno-greco.
Una delle testimonianze più antiche sui Lucani si trova nel trattato De pace di Isocrate,
datato al 355 a.C. Noi Ateniesi, dice Isocrate, ci vantiamo delle nostre nobili origini, ma, con la
concessione della cittadinanza, facciamo partecipi di tale nobiltà gli stranieri che lo desiderano,
molto più facilmente di quanto facciano i Triballi (tribù della Tracia), e i Lucani, di stirpe non
nobile87, citati quale esempio di un popolo barbaro che accoglie facilmente gli stranieri,
evidentemente più di molte città greche, altrimenti il paragone non potrebbe funzionare; ma
gli Ateniesi lo fanno in misura ancora maggiore (e Isocrate li rimprovera per questo).
Si intravede qui qualcosa dell'indole dei Lucani, aperti allo straniero, pronti ad
accoglierlo nella cittadinanza, secondo la tradizione greca dell'ospitalità. Infatti altre fonti ci
ricordano che i Lucani sono ospitali e giusti88; sono ospitali ed amici dei forestieri, a tal punto
che una loro legge punisce chi rifiuta di accogliere uno straniero, giunto dopo il tramonto, che
chiede ospitalità@.Appare evidente qui l'influsso culturale greco, o almeno una tradizione che
tende a presentare i Lucani come un popolo che ha adottato costumi greci.
Al tempo di Pitagora, i Lucani ne furono discepoli90, in modo particolare i sovrani e gli
aristocratici91; verso il 440 a.C., la stessa scuola pitagorica è guidata da un lucano, Aresa92; una
tradizione vuole che i Lucani discendano dai Troiani, da quelli cioè venuti in Italia prima della
guerra di Troia, al tempo del re Laornedonte%
Queste tradizioni sono funzionali all'amicizia tra i Lucani e le città della Magna Grecia, o
tra i Lucani e i Romani, ugualmente discendenti dei Troiani.

83 Pseudo-Scirnno., vv. 244-253.


84 Livio, VIII, 27, 9.
85
Giustino, XXIII, 1,7-10.
Dione Crisostomo, Orat., 37, 23-25.
Isocrate, De pace, 49-50; la frase di Isocrate sui Triballi e i Lucani è riportata anche in Dionisio di Alicarnasso, De
Demost. dictione, 17, 80.
Aristotele, Fragm., 61 1,48 Rose.
li ano, Varia Hist., IV, 1; cfr. Eraclide Lembo, p. 24, in C. MULLER, FHG, 111, p. 167; cfr. anche Omero, Od., VI,
187 sgg., che, in occasione dell'accoglienza fatta da Nausica ad Odisseo, ricorda le regole di ospitalità che i Greci erano
tenuti ad osservare in favore dello straniero, protetto da Zeus.
90 Aristosseno, fr. 17 W; Diogene Laerzio, VIII, 14; VIII, 79-81; Giamblico, De vita Pith., XXXIV, 241; XXXVI,
266-267; Porfirio, Vita Pith., 22.
'l Porfirio, Vita Pitlz., 19; vd. A. MELE, Il pitagorismo e le popolazioni anelleniche d'Italia, art. cit.
'' Plutarco, De gen. Socr., 583 a-b.
93 Diogene Laerzio, VIII, 81; Platone, Epist., XII.
All'epoca di Timoleonte (ca. 344 a.C.), un ambasciatore lucano, a Siracusa, si rivela
maestro della lingua dorica, ed è apprezzato dai Siracusani, che gli offrono denaro e gli erigono
una statua. I1 fatto inoltre riscosse l'approvazione di tutte le città italiote94. Forse non dovevano
essere da meno gli ambasciatori lucani inviati ad Alessandro Magno nel 323 a.C.95, e quelli
inviati ai Romanig6. L'episodio, insieme alla condivisione dell'ideale di "doricità" della Magna
Grecia, sembra attestare, da parte della classe dirigente lucama, l'uso "normale", scontato, della
lingua greca, che li poneva sullo stesso piano rispetto ai Greci, annullando di fatto il dualismo
Greci-barbari, nel filone della tradizione pitagorica97.
Una tradizione dello stesso tenore vuole che, fra i popoli che si vantano di aver dato i
natali ad Omero, vi siano anche i Lucanig*. La padronanza della lingua, e l'assimilazione
culturale, appare sempre funzionale ai rapporti di amicizia dei Lucani con i1 mondo greco, e in
seguito con il mondo romano: in un suo discorso, l'imperatore Claudio evidenziò che nel
periodo repubblicano vi erano stati a Roma senatori provenienti dalla Lucania, come da tutta
l'Italia99.
All'opposto, altre fonti sembrano evidenziare l'aspetto guerriero e "selvaggio" dei Lucani,
abituati alla dura vita delle foreste, e ad un continuo addestramento militare. Presso i Lucani i
viziosi ed i pigri erano puniti come criminaliio0.Essi avevano costumi di vita molto simili agli
Spartani, e per abituarsi fin da piccoli ad una vita dura e povera di mezzi, e prepararsi alle
fatiche della guerra, erano allevati nelle foreste, tra i pastori, cibandosi di selvaggina, e bevendo
acqua sorgiva e latte; crescendo di numero, ed avidi di preda, infestavano le regioni vicinelol.
Anche qui vi è un parallelo greco, quello di Sparta, e la tradizione appare funzionale all'alleanza
militare di Taranto con Sanniti e Lucani.
"I Lucani solevano educare i loro figli allo stesso modo degli Spartani. Così già
all'inizio dell'adolescenza soggiornavano nelle foreste tra i pastori, senza nessuno che si
occupasse di loro, e senza tessuti per coprirsi o per dormire, afinché si abituassero fin dai
primi anni ad una vita dura e povera di mezzi, del tutto diversa dalle usanze di città. Si
cibavano con le prede della caccia, e bevevano acqua sorgiva o latte. Così si indurivano
preparandosi allefatiche della guerra"l02.
Lo stesso Strabone, ad una attenta lettura, sembra offrire una significativa testimonianza
sui Lucanil03: egli distingue quelli della costa, della paralìa tirrenica, da quelli dell'entroterra,
dell'interno o mesògaia, che sul versante opposto raggiungono il golfo di Taranto. Questi
ultimi gli appaiono piuttosto malandati e decaduti, e il geografo precisa che non è in grado di
distinguerli dai loro affini Sanniti.
Nel complesso, sembra risultare dalle fonti una differenza fra i Lucani che hanno
assimilato la cultura greca e quelli che continuano ad abitare sui monti dell'interno, nelle
caverne, si vestono di pelli di fiera, vivono di caccia, e spengono la sete con l'acqua dei fiumi,
secondo la suggestiva s manimistica immagine di Silio Italicsl04, riferita a1,tempo delle guecre-i,:-. .-.*:x.
puniche.
Tenendo presente che il nome di Lucani viene attribuito indistintamente a coloro che
abitano oltre il fiume Sele, è probabile che, quando nelle fonti si parla di Lucani particolar-
mente acculturati e amanti di modi di vita greci, ci si riferisca alle popolazioni italiche della
costa tirrenica, quelle che lo Pseudo-Scimno chiama Enotri, presso le città di Poseidonia e di
Elea. D'altro canto, anche queste città greche hanno delle tradizioni che le portano ad essere

" Dione Crisostomo, Orat., XXXVII, 23-25. Sull'orazione n. 37 dello Pseudo-Crisostomo vd. E. AMATO, Studi su
Favorino. Le orazioni pseudo-crisostomiche, Salerno, 1995.
95 Arriano, Anab., VII, 15,4.
96 Livio, X, 11-12.
'' Vd. P. POCCETTI, Lingua e cultura dei Brettii, in ID. (a cura di), Per un'ideiztità culturale dei Brettii, Napoli, 1988,
pp. 64-66.
'* Suida, s.v."Opqpog Ò n o ~ q ~1.i10-16.
,
99 Tacito, Aizizal., XI, 24;
'O0 Nicola Damasceno, Moruin mirab. coll., fr. 103b = Stobeo, Antlz., IV, 2,25.
'O' Giustino, XXIII, 1,7-9.
'O2 Giustino, XXIII, 1,7-9.
'O3 Strabone, VI, 1,2-3 (C 253-254).
'O4 Silio Italico, VIII, 567-569.
amiche degli indigeni, e aperte all'integrazione ed agli scambi culturalilos. Come si è visto, in un
contesto pitagorico, è sempre possibile ai barbari "diventare" Greci, attraverso la paideia,
l'educazione, la cultura, ed entrare nella vita politica cittadinal06.
Si delinea anche qui, allora, la distinzione già attestata nell'area campana, che vede da
una parte i Lucani di Poseidonia, che potremmo definire come i Campano-Lucani-Enotri-
Etruschi dell'area del Sele, o "Lucani costieri", o ancora "Lucani tirrenici" (d'ora in poi useremo
per individuarli questo nuovo termine), e dall'altra i Lucani dell'interno. I Lucani tirrenici di
Poseidonia erano fortemente ellenizzati, attenuando di molto la componente osca: durante il
N sec., in un clima di integrazione culturale, si evidenziano pochi elementi italici nella vita
politica, economica, sociale, culturale, religiosa della città, tanto che per tantissimi aspetti
Poseidonia può dirsi, di nome e di fatto, città greca1°7.
Un'altra delle componenti di questi Lucani tirrenici è quella campana. Tale presenza, sul
piano delle testimonianze archeologiche, sembra influenzare gli usi funerari e la connessa
pittura di Poseidonia sin dalla fine del V sec., e in modo più accentuato verso la metà del N
sec. a.C.lo8.

Alessandro il Molosso
Accanto ai Greci di Poseidonia, si.fo,y,pg;dunque dagli indigeni Enotri un nuovo popolo,
che possiamo chiamare dei "Lucani tirrenici", per distinguerli da quelli dell'interno. La
cooperazione fra Greci e Lucani tirrenici era stretta, sia nello sfruttamento delle risorse
agricole del territorio (in collaborazione con i mercanti e navigatori di Elea-Velia), sia a scopi
militari di difesa. Così i Lucani tirrenici con tutta probabilità entrano a far parte della
cittadinanza, ed i loro maggiori rappresentanti governano Poseidonia insieme ai Greci, avendo
adottato usi, costumi e lingua greca, e rendendosi indistinguibili da essi, se non per l'uso delle
tombe dipinte (che però ha origini campano-etrusche e non lucane). Poseidonia resta in tutto e
per tutto una città greca nel quarto secolo, e nel 332 a.C. accoglie il condottiero Alessandro il
Molosso, difensore della grecità contro Sanniti e Lucani dell'interno. I1 Molosso poi stipula un
trattato di amicizia e di alleanza con i Romani.

'O5 I Focei fondatori di Velia sono particolarmente portati all'amicizia ed agli scambi matrimoniali con le popolazioni
italiche ed occidentali: Ateneo, XIII, 36, 576a-b (Euxenos, capo dei Focei di Marsiglia, sposa la figlia del re locale);
Seneca, Cons. ad Helvianz, VII, 8 (i Focei si mescolano con le rozze popolazioni della Gallia); Silio Italico, XV, 168-
172 (Marsiglia città ospitale fra genti armate); Strabone, IV, 1, 5 (C 179-180) (i Massalioti introducono fra i barbari il
culto di Artemide); Giustino, XLIII, 3, 4-12 (al tempo del re Tarquinio i Focei sbarcano alla foce del Tevere facendo
amicizia con i Romani); Isidoro, XV, 1, 63 (i Focei di Marsiglia parlano tre lingue, greco, latino e gallico); Livio, V, 34,
7-8 (i Galli aiutano i Focei a fondare Marsiglia); Livio, XXXIV, 9, 1-10 (i Focei nel sito di Emporie in Spagna
commerciano tranquillamente con i bellicosi indigeni della zona); inoltre, al momento di fondare Velia, i Focei
"acquistano" il sito della città dagli indigeni (Erodoto, I, 167), come, allo stesso modo, avevano in passato ottenuto
pacificamente dagli indigeni il territorio di Focea in Asia Minore (Pausania, VII, 3, 10) e quello di Marsiglia (Pausania,
X, 8,6-7).
'O6 Giamblico, De vita Pithag., VIII, 44.
'O7 Un riepilogo dei numerosi elementi greci presenti nella Poseidonia del IV sec. è in J. W. WONDER, What
Happened to the Greeks in Lucanian-Occupied Paestum? Multiculturalism in Southern Italy, "Phoenix", 56, 2002, pp.
40-55. Vd. anche D. MUSTI, Magna Grecia..., op. cit., pp. 280-300, che interpreta il periodo come uno "stato di
sofferenza" delle città greche, fra le quali Poseidonia, nei confronti dell'elemento 0x0-italico, senza che ciò porti
necessariamente alla perdita del potere politico.
'O8 È quello che emerge dallo scavo di una necropoli di quest'epoca in contrada Gaudo, che presenta strette
connessioni con l'area campana. Vd. M. CIPRIANI, Prime presenze italiche organizzate alle porte di Poseidonia, in M.
CIPRIANI, F. LONGO (a cura di), I Greci in Occidente. Poseidonia e i Lucani, cit., pp. 119-158; M. CIPRIANI, Italici a
Poseidonia nella seconda metà del V sec. a. C. Nuove ricerche nella necropoli del Gaudo, in E. GRECO, F. LONGO (a
cura di), Paestum, scavi, studi, ricerclze. Bilancio di un decennio (1988-1998),Paestum, 2000, pp. 197-212; vd. anche
A. PONTRANDOLFO, Segni di trasformazioni sociali a Poseidonia tra la fine del V e gli inizi del 111 sec. a.C.,
"Dialoghi di Archeologia", ns., 1, 1979, pp. 27-50; A. PONTRANDOLFO, Le izecropoli dalla città greca alla colonia
latina, in AA.VV., Poseidorzia-Paestum. Atti del Ventisettesimo Convegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto-
Paestum, 9-15 ottobre 1987), Istituto per la Storia e l'Archeologia della Magna Grecia, Taranto, 1988, pp. 225-265 (e
Tavv.). Tracciando una sintesi, E. M. DE IULIIS (Magna Grecia. L'Italia meridionale dalle origini leggendarie alla
conquista romana, Bari, Edipuglia, 1996, pp. 313-314) avanza l'ipotesi affascinante che la grande pittura funeraria
abbia avuto nell'area campana il suo centro d'origine e di elaborazione, già dalla prima metà del V sec. a.C.,
diffondendosi poi a Poseidonia, in Apulia e nella stessa Roma.
Si tratta di un momento storico molto importante: nello stesso anno 332, secondo una
diversa cronologia proposta da Marta Sordilog, iniziano le guerre sannitiche, e troviamo da una
parte le popolazioni italiche dell'interno, Sanniti e Lucani, mentre dall'altra c'è Roma, alleata
con i Campani, con i Lucani tirrenici, con le città greche e con Alessandro il Molosso. È
probabile che in questa occasione Poseidonia accolga un presidio romano, ed ottenga, come i
Campani, la cittadinanza romana (civitas sine suffragio, ossia senza diritto di voto).
"Tuttavia i Sannitifurono impegnati nella regione dei Lucani dalla guerra contro il re
Alessandro Epirota. Questi due popoli a insegne riunite combatterono contro il re che
risaliva da Paestum (verso l'interno). Alessandro, vincitore in tale battaglia, stipulò un
accordo di pace con i Romani, ma non si sa con quanta fedeltà lo avrebbe mantenuto, se allo
stesso modo le successive sue impresefossero state vittorioseJ'llo.
"(Alessandro il Molosso) condusse la guerra contemporaneamente contro Bruzi e
Lucani, e prese molte città; con Metapontini, Pedicoli (o Peucezi) e Romani stipulo un
trattato di alleanza e di amicizia. Ma poiché Bruzi e Lucani ricevettero aiuto dai popoli
confinanti, la guerra riprese ancor più aspramente"ll1.
L'espressione di Livio escensionem a Paesto facientem è stata molto discussa. Essa
appare strana se pensiamo all'escensio come a uno sbarco, e sembrerebbe necessario
l'emendamento a d Paestum proposto dal Sigonio.
In tal caso il re, mentre risalirebbe la costa verso Poseidonia, sbarcando, si scontrerebbe
subito con i nemici, che gli sbarrano la strada per la città. Lasciando invece il testo tràdito a
Paesto, appare chiaro che il re è già presente nella città, e da questa riparte nella sua escensio
verso l'interno dove si scontra con Sanniti e Lucani. La differenza non è di poco conto, ma la
seconda soluzione è quella più probabile: Poseidonia è città della Lega, alleata del Molosso, e
da questa il re parte per una incursione verso I'internollz.
Subito dopo, rendendosi conto di non poter abbandonare la città per campagne più
lunghe ed incisive verso l'interno, data la vicina presenza dei Sanniti, il Molosso stipula un
trattato di amicizia e di alleanza con i Romanill3, naturale in un momento in cui Sanniti e
Tarantini sono nemici comuni. È probabile che in questa alleanza sia stata coinvolta anche la
città di Poseidonia, quale alleata di Roma, con la civitas sine suffragio. Questo trattato servirà
a guardargli le spalle dai Sanniti quando egli partirà per una grande spedizione verso l'interno
della Lucania e verso il Bruzio. Probabilmente lascia anche un presidio a Poseidonia, forse
costituito da truppe alleate, con la presenza dei Romani.
Questo trattato è fondamentale anche per i Romani, che così tengono sotto controllo i
Sanniti, accerchiandoli da Sud, mentre cercano caposaldi anche nella Puglia settentrionale.
Secondo un'ipotesi di G. Amiotti, tale trattato di pace "per terra e per mare" con i Romani
sarebbe ricordato anche in alcuni versi de1l'Alessandra di Licofrone, che attingends a Lico di
t - ,,L, ,Reggia ed alla sua opera sul Molosso, afferma che i Romani "saranno i-miglioridei suoi amici,
prendendo parte anche a l bottino di guerra'%

'O9 M. SORDI, Roma e i Sanniti nel IV sec. a.C., Bologna, 1969; vd. anche M. SORDI, Sulla cronologia liviana del IV
secolo (1965), ora in ID., Scritti di storia romana, Vita e Pensiero, Milano, 2002, pp. 107-151.
' l 0 Livio, VIII, 17, 8-10.
' l ' Giustino, XII, 2, 12-13.
I l 2 Cfr. R. BLOCH, CH. GUITTARD, Tite Live, Histoire Romaine, tome VIII, Livre VIII, Paris, 1987, ad loc.; L.
CAPPELLETTI, Lucani e Brettii. Ricerche sulla storia politica e istituzionale di due popoli dell'Italia antica (V-III sec.
a.C.), Peter Lang, Frankfurt am Main, 2002, p. 72. Vi è anche una terza ipotesi, piuttosto artificiosa, proposta da H. R.
BALDUS (Zur en face-Athena des Kleudoros von Velia - Der Lukanersieg Alexanders des Molossers bei Paestum und
die velische Munzpragung, "Chiron", 15, 1985, pp. 211-233, in part. le pp. 225-226): il re fa una escensio non
sbarcando, ma imbarcandosi a Paesto, per raggiungere via mare una località vicina, tra Poseidonia ed Elea, dove riceve
l'aiuto degli Eleati e si scontra con i nemici.
I l 3 Livio (VIII, 17, 8-10) parla di una "pace", che sembrerebbe far seguilo ad una guerra; nella sua esposizione,
secondo un punto di vista romano, assimila il Molosso a Pirro, come potenziale avversario di Roma. La versione di
Giustino (XII, 2, 12-13), da fonti greche, parla di "amicizia" e di "alleanza", e appare più credibile. Cfr. A. MELE,
Alessandro il Molosso e le città greche d'Italia, in AA.VV., Alessandro il Molosso e i "condottieri" in Magna Grecia.
Atti del XLIII Convegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto-Cosenza, 26-30 sett. 2003), 2 voll., Taranto, 2004, pp.
283-320, in part. p. 316.
I l 4 Licofrone, Alex., vv. 1448 sgg.; vd. G. AMIOTTI, Lico di Reggio e L'Alessandra di Licofrone, "Athenaeum", ns.,
60, 1982, pp. 452-460.
In questo rapporto di amicizia fra il Molosso ed i Romani sembra abbia giocato un ruolo
anche il vanto della comune origine troianalls.
Subito dopo, Livio dà una notizia per noi significativa. Nello stesso anno a Roma si tiene
un censimento, e sono censiti anche i recenti cittadini campani dai censori Quinto Publilio
Filone e Spurio Postumio; le nuove tribù che li accolgono sono la Mecia e la Scapziall6. Ora, la
tribù Mecia è proprio quella che sarà utilizzata per la colonia di Paestum dal 273 a.C.: una
semplice coincidenza? Oppure il foedus con i Lucani tirrenici, e l'alleanza fra il Molosso e i
Romani, potrebbero aver dato luogo alla concessione della cittadinanza romana ad un certo
numero di cavalieri Poseidoniati, inseriti nella tribù M ecia?
Negli stessi anni iniziali della guerra sannitica, Capua ricevette la cittadinanza romana
senza suffragio, come pure Cuma, Suessula, Acerra; inoltre ad una parte dell'aristocrazia
campana, ossia a i600 cavalieri, vennero dati i pieni diritti di cittadinanzall7. Si tratta di un
periodo particolare, e Roma ha bisogno dell'alleanza dei cavalieri campani, premiandoli con la
cittadinanza. È probabile allora che la cittadinanza sia toccata anche ai cavalieri lucani
(tirrenici) di Poseidonia.
Un importante indizio di questa alleanza romana con Poseidonia è fornito da Livio:
ipotizzando l'eventualità che Alessandro Magno fosse sbarcato in Italia, Livio afferma che il
condottiero avrebbe trovato contro di lui i Romani ed i loro alleati, fra i quali tutte le coste
"'"''gfic.h'&dell'Italia meridionale, da Turi a Napoli e Cuma118. Forse T;iV%o'%agér&,ma era questa
allora la politica di Roma: difendere le città greche dai Sanniti e dai Lucani; mentre Taranto è
posta fuori da questo quadro, come alleata dei Sanniti, tutte le altre città sono nell'alleanza
romana, e fra di esse Poseidonia ed Elea.
Un'attestazione di questa politica ideologica di Roma verso le città greche è dato dal fatto
che, secondo la prescrizione di un oracolo, negli anni delle guerre sannitiche furono innalzate a
Roma le statue di Pitagora, il più sapiente dei Greci, e di Alcibiade, il più valorosoll9. Roma così
da una parte rivendicava una comune e diretta adozione del pitagorismo, non mediata dalla
cultura tarantina, ma forse significativamente da Poseidonia, e dall'altra si richiamava ad
Alcibiade come a colui che più volte aveva sconfitto Sparta, ossia la madrepatria di Tarantol20.
L'alleanza con Poseidonia e le tradizioni Pitagoriche della città, come pure le amicizie ateniesi
della classe dirigente di Poseidonia, possono spiegare l'erezione di queste due statue a Roma,
come simbolo della nuova alleanza.
Qui probabilmente trova la sua collocazione la famosa testimonianza di Aristossenol21 sui
Poseidoniati, diventati Tirreni (Etruschi) e Romani: Aristosseno sta scrivendo al tempo di
Alessandro il Molosso, e i Poseidoniati gli appaiono Tirreni perché la componente etrusca fra i
Lucani tirrenici doveva essere rilevante, e Romani perché probabilmente accolgono un presidio
romano ed ottengono la cittadinanza romana (a scopo difensivo).
"Noi (Tarantini) facciamo cose simili ai Poseidoniati, che abitano nel golfo tirrenico. A
costoro è accaduto che l'antica civiltà greca si è imbarbarita, essendo diventati Tirreni o
Romani, e hanno mutato la lingua e le restanti abitudini; ma essi conservano una sola delle

Vd. F. ZEVI, Alessandro il Molosso e Roma, in AA.VV., Alessandro il Molosso e i "condottieri" in Magna
Grecia..., cit., pp. 793-832, in part. le pp. 830-832.
1l 6
Livio, VIII, 17, 9- 11.
I l 7 Livio, VIII, 11, 16; 14, 10; 17, 12; Velleio, I, 14, 2-4; cfr. Ennio, fr. 118 Baehrens: cives Romani tunc facti sunt
Campani.
I l s Livio, IX, 19, 1-4. Livio si fa portatore di una tradizione secondo la quale il Molosso era stato sconfitto da
avversari valorosi in Italia, mentre Alessandro Magno in Oriente aveva incontrato avversari molli e imbelli; l'eventuale
venuta di Alessandro in Occidente sarebbe stata per lui disastrosa, come per il Molosso (Livio, IX, 17, 16-17; 19, 10-11;
cfr. Livio, IX, 19, 10-11; Gellio, XVII, 21, 33; Curzio Rufo, VIII, 1, 37; Giustino, XII, 3, 1).
"9 Plinio, Nat. hist., XXXIV, 26; Plutarco, Nuin., 8, 10.
O
' Vd. A. STORCHI MARINO, Numa e Pitagora. Sapientia constituendae civitatis, Liguori, Napoli, 1999, in part. pp.
146-152.
''l Aristosseno, fr. 124 W (= Ateneo, XIV, 31, 632a-b). Vd., fra molti, gli studi di A. FRASCHETTI, Aristosseno, i
Romani e la 'barbarizzazione' di Poseidonia, "AION - Annali dell'Istituto Universitario Orientale", Sez. di Archeologia
e Storia Antica, 111, 1981, pp. 97-115; D. ASHERI, Processi di 'decolorzizzazione' in Magna Grecia: il caso di
Poseidonia Lucana, in AA.VV., La colonisation grecque en Méditerranée occidentale, Ecole Franpise de Rome -
L'Erma di Brefschneider, Roma, 1999, pp. 361-370; A. MERIANI, La festa greca dei Poseidoniati e la nuova musica
(Aristox., fr. 124 Wehrli), "Seminari Romani di Cultura Greca", 111, 1,2000, pp. 143-163.
feste greche, ancora oggi, durante la quale, riunendosi, richiamano alla memoria la loro
antica gloria e le antiche usanze, e lamentandosifra loro e versando lacrime se ne vannoY'122.
Aristosseno, scrittore tarantino nato verso il 370-365 a.C.123, in questo famoso fram-
mento mostra di conoscere bene le vicende di Poseidonia: i Poseidoniati sono diventati
"Tirreni o Romani", e questa presenza tirrenico-etrusca e romana a Poseidonia ha causato la
"barbarizzazione" della città.
Non sembra possibile tuttavia datare il brano successivamente alla fondazione della
colonia latina del 273 a.C.: I'akmé di Aristosseno va collocata a partire dal 336-332124; egli
appare interessato alla musica antica, quella che evidenziava l'arte e la paideia, e non
accarezzava le orecchie del pubblico nei teatri. Se è così, la presenza romana a Poseidonia
indicata da Aristosseno risale proprio al periodo del Molosso. Aristosseno forse non parla
metaforicamente, ma alla lettera, e attesta un mutamento politico che dovette essere anche un
mutamento culturale: alla presenza romana accanto ai Campani di Capua dovette
corrispondere, dopo il trattato con il Molosso, una uguale presenza romana accanto ai Greci ed
ai Lucani tirrenici di Poseidonia, con l'invio di truppe in aiuto e presidio, forse culturalmente
affini all'elemento etrusco comunque già presente in Poseidonia (non va trascurata l'antica
presenza dei Tirreni-Etruschi nella zona di Pontecagnano; inoltre, in ambito greco, in un
primo tempo, i Romani erano confusi con gli Etruschi-Tirreni125); abbiamo inoltre ipotizzato
che, come Capua ed altre città campane, Poseidonia abbia ricevuto in tale occasione la civitas
sine suflagio, e una guarnigione romana che preservò la città dagli attacchi dei Sanniti e dei
Lucani dell'interno.
Aristosseno conosce anche altri episodi relativi alla città di Poseidonial26; ma significativo
ci appare un brano nel quale parla di Messapi, Lucani, Peucezi e Romani, come popolazioni
barbare alle quali Pitagora assicura la pace127. Ciò evidenzia che per Aristosseno anche i Lucani
sono inclusi fra i popoli barbari, ma, d'altra parte, non sono loro i "barbarizzatori" di
Poseidonia, bensì i Tirreni ed i Romani. Quindi, a rigore, è da escludere l'ipotesi di una
Poseidonia non greca e in mano ai Lucani (dell'interno) fino a questo momento128.

Poseidonia c'coZoniaTarantina"
Al momento dell'impresa del Molosso, Poseidonia è dunque in mano ai Greci, o in
sinecismo con i Lucani tirrenici, con un presidio romano, mentre il vero e proprio predominio
lucano dovette aversi solo in seguito: fu la caduta del Molosso, ad opera dei Lucani dell'interno,
ed il passaggio di Taranto all'alleanza con i Sanniti e i Lucanj contro Roma129, a determinare
probabilmente la presa della città da parte dei Sanniti o dei Lucani dell'interno, in un momento
successivo, durante le guerre sannitichel30.
Questo evento è probabilmente già.,,. avvenuto
,rt7qr:,-pJ -.<P. agli inizi del I11 sec., in una data che va dal
.i

300 circa alla vigila della colonia romana (273): ad attestarlo è un'iscrizione osca rinvenuta

122 Aristosseno, fragnz. 124 W.


'23 Cfr. A. VISCONTI, Aristosseno di Taranto. Biografa e forinaziorze spirituale, Centre Jean Bérard, Naples, 1999, p.
19.
'24 Suida, S.V.'Apio~6tevp,A 3927 Adler.
12' Nel 339-338 a.C. Timoleonte fa arrestare e mettere a morte un tirreno, un certo Postumio, che esercitava la
pirateria con 12 navi e che incautamente sbarca a Siracusa (Diodoro, XVI, 82, 3): si tratta forse di un romano o un
volsco di Anzio. I pirati tirreni sono temuti dalle città greche, e considerati barbari, senza distinguere fra l'origine
etrusca o romana, anche perché, fino al 309 a.C., i Romani non ebbero una loro flotta (Livio, IX, 30,3-4).
12' Giamblico, De vita Pith., XXXIII, 239-240; XXXVI, 267.
127 Giamblico, De vita Pith., XXXIV, 241; Porfirio, Vita Pitlz., 22.
128 La presenza etrusco-romana o latino-laziale testimoniata da Aristosseno è attestata anche archeologicamente a
Poseidonia: tra la fine del IV sec. e gli inizi del I11 sec., nei santuari poseidoniati compaiono ex-voto anatomici, tipici di
una religiosità latina o laziale: secondo Emanuele Greco, ciò indica una solidarietà tra i cittadini di Poseidonia e le
pratiche cultuali italiche e laziali. Questa situazione, riferita ad un periodo sicuramente anteriore alla colonia latina,
sembra confermare la presenza di un presidio romano a Poseidonia. Vd. E. GRECO, Arclzeologia della colonia latina di
Paestum, "Dialoghi di Archeologia", 1988, (pp. 79-86), p. 79; E. GRECO, Un santuario di età repubblicana presso il
foro di Paestum, "La Parola del Passato", 40, 1985, pp. 223-232.
129 Cfr. Livio, VIII, 27.
130 Cfr. D. MUSTI, Magna Grecia..., cit., pp. 259-260; p. 273.
nel17ekklesiasterion,con una dedica a Giove, forse da parte di un magistrato cittadino~.Un
altro indizio può essere il diradarsi, in questo periodo, delle tombe dipinte^, proprio negli
anni del dominio politico dei Lucani dell'interno, ai quali tale tradizione culturale era estranea.
Dopo il 330 a.C. dunque trova la sua collocazione la breve frase di Strabone, che ricorda
come i Lucani tolsero la città agli antichi abitanti Sibariti, e poi a loro volta ne furono privati
dai Romani133.Ma anche in un altro passo Strabone ricorda che i Lucani (dell'interno, di stirpe
sannitica), avendo vinto in guerra i Poseidoniati e i loro alleati, occuparono le loro c i t t à ~ .
Strana la reticenza di Strabone sugli alleati dei Poseidoniati: questi alleati potrebbero
semplicemente essere, nella nostra ricostruzione, i Romani (e ciò spiega la reticenza): essi
perdono, insieme a Poseidonia, anche altre città, che passano ai Sanniti o Lucani.
Ad un certo punto, dunque, durante i conflitti romano-sannitici, Poseidonia cade in
mano ai Sanniti, o ai Lucani dell'interno, complici forse i Tarantini. Un accenno l'abbiamo
forse da Livio e da Diodoro, quando ci parlano di una sconosciuta città di Plistica o Plistia,
alleata dei Romani, sede di una guarnigione romana, assediata e presa con la forza dai
Sannitius. L'episodio si accompagna ad altre sconfitte romane, ed alla perdita di alcune città,
fra le quali N0ceral3~,che passando ai Sanniti chiude la strada fra Campania e Lucania, e lascia
isolata Poseidonia-Plistia. L'attribuzione della conquista ai Sanniti e non ai Lucani è tipica di
una storiografia antica che non distingueva fra i due popoli; inoltre, nella vicenda dovette avere
un ruolo importante Taranto, particolarmente interessata alle città magnogrechel37. <.. , . > V * . l

E a questo momento potrebbe far riferimento anche il passo di Strabone che, a proposito
di Elea, afferma che gli Eleati resistettero sia ai Lucani, sia ai Poseidoniati, vincendolW. Come
si è detto, vi era stata sempre amicizia fra Poseidonia ed Elea, fin dal tempo della fondazione di
quest'ultima; in seguito, vi erano stati fruttuosi accordi commerciali fra le due città.
L'occupazione dei Lucani dell'interno, sostenuti da Taranto, cambia questo quadro politico, e
solo allora Elea, alleata dei Romani, viene attaccata, ma senza successo. Ciò potrebbe costituire
una spiegazione del fatto che le monete di Elea, frequentissime a Poseidonia nel TV secolo,
sembrano scomparire nei primi decenni del I11 secolo a.C.139.
Un accenno al dominio lucano su Poseidonia è presente nel De mirabilibus auscul-
tationibus, operetta pseudoaristotelica datata alla metà del I11 sec. a.C., e sicuramente
posteriore al 295. Parlando di Cuma in Italia, l'autore afferma che la città è dominata dai
Lucani, e che presso di essa scorre il fiume Ceto (Keton o Kapan), che ha la proprietà di
trasformare in pietra gli oggetti ivi immersil40. Chiaramente, vi è una sovrapposizione tra
Campani e Lucani, e tra Cuma e Poseidonia, la città presso la quale scorre il fiume Salso o
Capodifiume, che detiene la proprietà di pietrificare gli oggetti. Peraltro, l'autore conosce le
due città e le distingue in un altro brano, come affacciate su due golfi diversi, divisi dalle isole
delle si re ne^ (il promontorio di Minerva o penisola Sorrentina). I1 dominio lucano in

13' Vd. E. GRECO, Iscrizione osca da Paestum, "La Parola del Passato", 36, 1981, pp. 245-250.
'31 Vd. A. PONTRANDOLFO, A. ROUVERET, Le tombe dipinte di Paestum, Modena, 1992, p. 17.
'33 Strabone, VI, I, I (C 251).
'34 Strabone, VI, 1, 3 (C 254).
'31 Livio, IX, 21, 6; 22, 2 e 11; Diodoro, XIX, 72, 3. Nei ms. di Livio si ha Plistia o Postia, corretta dal Sigonius in
Plistica seguendo Diodoro, XIX, 72, 3.
'36 Diodoro, XIX, 65,7; Nocera fu poi ripresa dai Romani (Livio, IX, 41,2-3).
'37 Cfr. Livio, IX, 14. Le motivazioni del17alleanzadei Tarantini con i Sanniti e con i Lucani contro i Romani fanno
costante richiamo alla difesa dell'ellenicità ed alla considerazione dei Romani come barbari, al pari dei Tirreni; al
contrario i Sanniti ed i loro affini Lucani e Brettii sono visti come "parenti" dei Tarantini, e filelleni (Strabone, V, 4, 12
(C 249)). Esiste poi anche un comune modello di "democrazia militare", per cui fra i Tarantini e fra i Sanniti-Lucani
sono i ceti umili ad osteggiare i Romani, diversamente dalle classi ricche. Vd. A. MELE, Taranto dal IV sec. a.C. alla
conquista romana, in AA.VV., Taranto e il A4editerrarzeo. Atti del XLI Convegno di Studi sulla Magna Grecia
(Taranto, 12-16 ott. 2001), Taranto, 2002, pp. 79-99.
'31 Strabone, VI, 1, 1 (C 252).
'31 Vd. F. SALLUSTO, Il materiale numismatico delle necropoli pestane di IV e 111 sec. a.C.: precisazioni sulla
monetazione enea e nuoviproblemi, "Annali dell'Istituto Italiano di Numismatica", 18-19, 1971-1972, pp. 57-71.
I4O Pseudo Aristotele, De mir. ausc., 95 a-b. Vd. S. MISCELLANEO, Cuma o Posidonia? (Nota a Ps. Arist. mir. ausc.
95), in L. BRACCESI (a cura di), Hesperia 7, Roma, 1996, pp. 111-119; M. MELLO, Ricerche geostoriche sulla Piana
del Sele nell'antichità, in AA.VV., Studi di Storia e di Geostoria antica, Napoli, 2000, pp. 125-165.
14' Pseudo Aristotele, De mir. ausc., 103.
questione va quindi riferito a Poseidonia; l'uso del tempo presente da parte dell'autore ("si dice
che questo luogo è sotto la signoria dei Lucani") data l'affermazione fra il 295 e il 273 a.C.
E forse qui può situarsi una delle più strane testimonianze sull'antica Poseidonia, quella
di Servio, il quale, commentando il famoso passo di Virgilio sulle rose di Paestum, asserisce
che Paestum è una città della Calabria, ed aggiunge che tale città è detta Posidonia, e si trova
nell'agro Salentino, colonia dei TarantinW. Rimandando ad altro momento l'analisi
dettagliata di questo brano, sembra comunque evidente che Servio conosce, dalle sue fonti di
epoca repubblicana143, una Poseidonia "colonia Tarentinorum"l44, sottintendendo l'espulsione
dalla città degli antichi abitanti, e l'occupazione di case e terre da parte di coloni greci inviati
dai Tarantini, probabilmente accanto agli stessi Lucani dell'interno vittoriosi. Opportuno
sembra il richiamo a Floro, quando, parlando del bellum Tarentinum, che oppose i Romani a
Taranto e a Pirro, descrive Taranto come città splendida, un tempo capitale della Calabria,
della Puglia e di tutta la Lucanial45. In questa guerra, i Lucani erano alleati di Taranto e Pirro.
In effetti, si ricordano diversi conflitti fra Tarantini e Lucani, ma appena compare all'orizzonte
la pericolosa potenza di Roma, la politica tarantina cambia, ed essi cercano l'alleanza di Sanniti
e Lucani contro il comune nemico. Così ad esempio Archita di Taranto, in una lettera a
Platone, vera o falsa che sia, ma comunque plausibile, attesta i suoi buoni rapporti col re
lucano Lamisco, e con i discendenti del filosofo Ocello lucanol46.
La potenza ed il predominio tarantino sulla Magna Grecia sono evidenziati anche dai
presunti confini dell'Italia antica, con l'espressa menzione di Poseidonia: secondo gli antichi
scrittori, al tempo del re Morgete, successore del re Italo, l'Italia comprendeva tutta la costa
meridionale da Taranto a Poseidonial47. I1 territorio a sud di tale linea era indicato anche come
Enotrial48. Italo, re degli Enotri, o dell'Italia antica, era noto, secondo una tradizione, anche
come re dei Lucanil49. Questa linea Taranto-Poseidonia dunque non è solo un tratto ideale di
penna, ma può indicare una pretesa tarantina sul territorio lucano, ed uno stretto rapporto fra
le due città, tale da poter costituire un indizio che Poseidonia sia stata per qualche decennio,
fino alla guerra tarantina, "colonia" di Taranto, "capitale della Lucania". Inoltre, l'episodio che
vede il console romano Emilio (Papo o Barbula) attaccato con balestre da navi di Taranto
mentre percorre una stretta via costiera in Lucanialso, fra il mare e le pareti rocciose dei monti,
nel 282-281 a.C., episodio da collocarsi lungo la costa tirrenica, può implicare che la flotta
tarantina disponesse di una base navale a Poseidonia.
Un'altra testimonianza della presenza tarantina a Poseidonia può essere costituita dalla
strana definizione che il geografo Dionisio Periegeta ed i suoi successivi imitatori riservano al
fiume Sele, chiamato "Peucentino" o "Peucezio"l51. Apparentemente, ciò sembra un errore di

142
Servio, Comn~:~<n B r g . Georg., IV, 119: BIFERIQUE ROSARIA PAESTI Paestum oppidum Calabriae est, in quo uno
anno bis nascitur rosa. ~t%iter: Paestum urbs Lucaniae; haec civitas Posidonia dicitur et est in agro ~alf&h%,
colonia Tarentinorum.
143 Vd. G. RAMIRES, Riflessioni sulle fonti storiografiche dei Commentarii serviani a Virgilio, in C. SANTINI, F.
STOCK (a cura di), Hinc Italae gentes. Geopolitica ed etnografia dell'ltalia nel commento di Sewio all'Eneide, ETS,
Pisa, 2004, pp. 33-44.
144
Servio, Comm. in Verg. Georg., IV, 119.
14' Floro, I, 13, 2: . Tarentos, Lacedaemoniorum opus, Calabriae quondam et Apuliae totiusque Lucaniae caput, cum
magnitudine et muris portuque nobilis, tunz mirabilis situ. Cfr. Giordane, Roman., 150-151. Vd. anche Polibio, X, fr. 1:
il porto di Taranto era l'unico sulla costa da Reggio a Siponto, e la città, al tempo di Polibio e molto più in passato,
costituiva un emporio dove scambiavano merci con i naviganti sia i popoli barbari (Lucani, Brettii, Dauni, Calabri), sia
le città greche di questo versante dell'Italia.
146 Diogene Laerzio, VIII, 79-8 1.
147 Dionisio di Alicarnasso, Ant. Rorn., I, 73,4; Strab., V, 1, 1 (C 209); V, 1, 3 (C 211).
148 Dionisio di Alicarnasso, Ant. Rorn., 11, 1, 2.
14' Servio, Conzm. in Verg. Aen., I, 533.
'O Frontino, Strateg., I, 4, 1. Emilio Barbula, incaricato della guerra contro i Sanniti nel 281 a.C., si volse contro
Taranto, saccheggiandone il territorio ed occupando città: Appiano, Samn., VII, 7-9; Zonara, VIII, 2,4-6; Orosio, IV, 1,
4 ("In universos Tarentinorurnfines ... igni ferroque vastat omnia, plurirna expugnat oppida").
"l Dionisio Periegeta, 361 (rIeu~evoivouCih&poto; in un altro codice, neu~evziou);Schol. in Dionys. Perieg., 360
( ~ e u ~ e v o i v o uNiceforo
); Blemmide, Geogr. Sin., p. 460 M . (Cihapo xoxapo Ò OEVKEVT~VO); Prisciano, Perieg., v. 355
(Picentis Siluri). Cfr. Pseudo Aristotele, Mir., 110 (840b), che pone un tempio di Artemide nel territorio dei Peucezi
(&V~ 0 C&Z)K&T~VOL).
7 ~
trascrizione per "Picentino", indicando in tal modo il gruppo di Piceni ribelli deportati dai
Romani dopo il 268 a.C. nel territorio di Pontecagnano152;tuttavia il commento di Eustaziols3
avverte che Dionisio lo chiama così perché scorre presso i Peucezi (risu~Évltov),e per ragioni
metriche è stata aggiunta una n. Inoltre, secondo una glossa di Esichio, la Peucezia (rieuicecicx)
era chiamata Amineal54, territorio dagli studiosi riferito al Picentino; un recente studio di A. La
Regina sembra confermare la presenza degli Aminei nella zona, attraverso una nuova lettura di
un'iscrizione arcaica di Poseidonia su disco d'argento dedicato ad Eralss. Tutto ciò potrebbe
essere un indizio della presenza di Peucezi presso il Sele, venuti a Poseidonia come coloni di
Taranto.
\
Questa nuova colonizzazione di Poseidonia da parte dei Tarantini sembra adombrata da
un passo di Pseudo-Scimno già preso in esame, laddove parla della "città chiamata
Poseidonia, che dicono sia stata fondata dapprima (npozoc) dai Sibariti"l56. Dopo la
colonizzazione da parte dei Sibariti, avvenuta "dapprima", si sottintende la conoscenza di una
seconda o successiva colonizzazione, che potrebbe essere quella operata da Taranto.
Se dunque Servio conosce, dalle sue fonti, alcune molto antiche e del periodo
repubblicano, Poseidonia come colonia di Taranto, forse può spiegarsi in tal senso anche la
discussa frase di Solino che attribuisce la fondazione di Paestum ai "Dori" (Paestum a
Dorensibus)ls7: Solino potrebbe riferirsi a questa colonizzazione operata da Taranto (città
.,. < dorica di fondazione spartana), precedente alla .guerra di Pirro. Diventerebbe allora pacifica
l'attribuzione della prima fondazione di Poseidonia ai Sibariti, ricordata dalle fonti greche@;
gli scrittori romani invece conoscerebbero Poseidonia come colonia tarantina, dorica, sconfitta
nella guerra di Pirro e punita con la fondazione di una colonia latina col nome di Paestum.
Questa associazione fra Paestum e Taranto non è isolata nelle fonti latine, e sembra collegata
agli eventi bellici che le accomunarono. Lo stesso Virgilio, subito dopo aver parlato delle rose
pestane159, passa a descrivere l'hortus del senex Corycius presso Tarantol60. Una lettera di
Marco Aurelio Cesare, trasmessa nell'Epistolario di Frontone, ricorda la rosa tarantina, quale
esempio di fiore bello e gradevolel61; poiché nessun altro scrittore ne parla, probabilmente è un
SUO lapsus per "rosa pestana", con l'evidente associazione Paestum-Taranto.
A sostenere queste ipotesi, numerose sono le testimonianze sulla presenza a Poseidonia,
dai decenni finali del IV sec., di ceramica in stile apulo e di Gnathia, di vasai tarantini, di
motivi e tecniche di pittura tombale di derivazione tarantina, di monete con raffigurazioni
tipiche di Taranto, come il fanciullo su delfino, e così via: è attestato un forte influsso culturale
tarantino, che sembra confermare lo stato di "colonia9'~6~.
Inoltre, alcune strutture urbanistiche di Poseidonia, datate alla seconda metà o alla fine
del TV secolo, potrebbero rientrare nella nuova sistemazione urbana della colonia tarantina:
I'Asklepieion, la monumentale stoà che limitava il settore sud dell'agorà, in direzione est-
ovest; il tempio amfiprostilo nel settore nord del santuario meridionale; il piccolo tempio "T"
ad ovest dell'ekklesiasterion, e infine, secondo una recente ipotesi, lo stesso tempio cosiddetto
"della Pace", da intendersi come tempio corinzio-dorico di fine IV o inizi I11 sec., con numerosi
richiami al mondo ellenistico nella decorazione architettonica e iconografical63.

'52 Livio, Per., XV; Plinio, Nat. Hist., 111, 13, 110; Strabone, V, 4, 13 (C 251).
153 Eustazio, Cornm. ad Dionys. Perieg., 358.
154 Esichio, A, 3677.
155 A. LA REGINA,Dono degli oligarchi di Amina all1Heraiondi Poseidonia, "La Parola del Passato", 52, 1998, fasc.
I, .44-47.
"Pseudo-Scimno. vv. 247-249.
157 Solino, 11, 10.
15* Pseudo-Scimno, 248-49; Strabone, VI, 1, 1 (C 252); ciò senza escludere l'eventuale partecipazione dei Trezeni.
'59 Virgilio, Georg., IV, 119.
160
Virgilio, Georg., IV, 125 sgg.
l" Frontone, Epist., 11, 10.
16' Cfr. J. W. WONDER, Wlzat Happened to the Greeks..., art. cit.; vd. L. FORTI, Vasi del tipo "Gnatia" provenienti
da Pontecagnarzo, "Apollo", 1, 1961, pp. 89-98.
163 Vd. M.DENTI, Scultori greci a Poseidonia all'epoca di Alessandro il Molosso: il tempio "corinzio-dorico" e i
Lucani. Osservazioni preliminari, in AA.VV., Alessandro il Molosso e i "condottieri" in Magna Grecia..., cit., pp. 665-
697.
Sembra dunque, a prescindere da un effettivo dominio lucano sulla città (da intendere
come subalterno) che questi edifici ellenistici possano essere stati espressione della nuova
colonia greca tarantina a Poseidonia, indicando un rinnovamento della grecità cittadina sotto
gli auspici di Taranto.
Nella guerra Tarantina, la nuova Poseidonia sarà al fianco di Taranto e di Pirro. Di qui,
quasi alla fine della guerra, la colonia latina di Paestum del 273 a.C.164, dopo la sconfitta di
Pirro e dei Lucani, e alla vigilia della resa di Taranto. La speciale condizione della colonia di
Paestum, impiantata sul sito dell'antica Poseidonia, e le sue vicende ulteriori, evidenziano che
essa fu assimilata alle città marittime greche dell9Italia meridionale, come Napoli, Velia e
Reggio, a conferma della sua perdurante grecità, mai venuta meno.

Il territorio
Durante il IV sec. a.C., nel territorio pestano, il paesaggio agrario vive una decisa trasfor-
mazione: mentre in precedenza i coltivatori erano residenti in città, e si coltivavano soprattutto
cereali, ora, in un periodo di esplosione demografica, a partire dal 360 a.C. circa, i "Lucani
tirrenici" popolano pianure e colline, e impiantano decine e decine di fattorie nel territorio di
Poseidonial65.
Si affermano, sulle colline che circondano la piana pestana e su quelle del Cilento,
insediamenti legati a piccoli appezzamenti di terreno, monofamiliari, irregolari e chiusi, ove è
praticato l'allevamento e il cosiddetto "giardino mediterraneo", con colture miste arboree ed
arbustive, soprattutto vite, olivo e frutta.
Quanto all'aspetto delle campagne, probabilmente la vite veniva coltivata nelle zone
pianeggianti col sistema etrusco "a piantata", ossia alta sul terreno, sostenuta da alberi vivi,
quali olmi; ciò consentiva la coltivazione di cereali nel terreno sottostante. Nelle zone collinari
la vite era coltivata invece col sistema greco marsigliese ad alberello basso, o "palo secco"166.
Gli scavi archeologici hanno messo in luce numerose necropoli per la sepoltura familiare,
sparse nelle campagne di Poseidonia, legate presumibilmente a fattorie o insediamenti agricoli,
che tuttavia non sono stati finora esplorati sistematicamente. Sorgono tempietti e santuari
agresti.
L'espansione demografica e lo sfruttamento intensivo del territorio con insediamenti
rustici incentiva anche altre forme di produzione, come l'artigianato e la lavorazione di
ceramiche per le esigenze giornaliere.
I1 fenomeno appare legato a mutamenti sociali ed economici che hanno causato la nascita
di "ceti intermedi", autonomi, ma dalle ricchezze limitate, insediati prevalentemente in villaggi
e in fattorie a conduzione familiare: sono questi gruppi a rappresentare l'elemento
"democratico" della società lucana. La loro "visibilità" è un fenomeno italico, che si nota anche
"'"t' " hella società romana repubblicana del IV sec. (è il moment&ddlef1~ggi Licinie-Sestie e delle
definitive conquiste politiche dei plebei), e si allarga alle società indigene arcaiche, nelle quali
elementi degli strati sociali più bassi giungono all'autonomia politica e al riconoscimento
democratico dei loro diritti.
Questa esplosione demografica è però un fenomeno breve, che cessa verso la fine del
secolo. Si è pensato che, dopo un iniziale periodo di distribuzione delle terre fra gli indigeni, in
parti uguali, in seguito si sia avuta una concentrazione delle terre e della ricchezza nelle mani
di poche famiglie aristocratiche.
Partendo da Poseidonia, nel IV secolo vi erano numerosi nuclei abitati e fattorie nella
arte meridionale della sua chora, ad attestarne la floridezza, le attività produttive ed il
commercio. In quest'epoca, il territorio di Agropoli, densamente abitato, costhuisce una delle
lG4 Livio, Per., XIV; Velleio, I, 14,7. Vd. G. PUGLIESE CARRATELLI, Problemi della storia di Paestum, in AA.VV.,
La monetazione di bronzo di Poseidonia-Paestunz, Atti del 111 Convegno del Centro Internazionale di Studi
Numismatici (Napoli, 19-23 apr. 1971), Roma, 1973, pp. 3-10: il nome Paestum ha lontane origini mediterranee, ma,
fino alla colonia latina del 273 a.C. il nome della città continua ad essere Poseidonia.
lG5 Cfr. E. GRECO, Ricerche sulla chora poseidoniate: il "paesaggio agrario" dalla fondazione della città alla fine
del sec. IV a.C., "Dialoghi di Archeologia", ns., I, 2, 1979, pp. 7-26; AA. VV., Città e territorio nelle colonie greche
d'Occidente. I. Paestum, Istituto per la Storia e l'Archeologia della Magna Grecia, Taranto, 1987.
lGG Cfr. E.SERENI, Storia del paesaggio agrario italiano, Laterza, Bari, 1961.
zone di espansione agraria ed abitativa rispetto alla piana. Tale espansione è documentata da
numerose tombe (con ricchi corredi, e in un caso con pitture) sparse in tutto l'anfiteatro
collinare che ha come suo centro il promontorio, I ritrovamenti riguardano la contrada
Mattine, Eredita, la contrada Linora, il piccolo promontorio di San Marco di Agropoli dove
oggi si trova l'omonima torre, il promontorio di Agropoli, le colline di San Marco (contrada
Galeota e contrada Galiano), contrada Cupa sulla riva sinistra del Testene, contrada Madonna
del Carmine, contrada Muoio, contrada Vecchia (che ha restituito la tomba più significativa,
con un doppio ricco corredo e pitture).
La tomba a camera rinvenuta in Contrada Vecchia di AgropolW, datata al 350-340 a.C.,
ed esposta nel museo di Paestum, è particolarmente importante: la nuova ricchezza raggiunta
permette anche ai Lucani periferici rispetto a Paestum di avere ugualmente ricche sepolture. Si
è ipotizzato che la tomba fosse connessa ad una fattoria o ad un complesso di insediamenti
legati allo sfruttamento del suolo, in una zona di confine fra il territorio pestano e quello
velino, ma sicuramente da includere nell'area culturale pestana. Anche questa tomba ci
restituisce nei suoi dipinti la rappresentazione che le classi dominanti lucane avevano di se
stesse: scene di "ritorno del guerriero" a cavallo ed in armi, giochi funebri con combattimenti e
corse. Essa ci illustra alcune caratteristiche della società lucana, guerriera, ma anche agricola, e
legata alla vita familiare, nella quale assume notevole importanza l'attività della donna, che
armminist~ala casa, attende alle faccende domestiche, accoglie il guerrtwo aI1Su'oritorno.
La presenza nella tomba di frutti in terracotta (mandorle, fichi, grappoli d'uva,
melagrane), e di produzioni lavorate (formaggio, pane, dolci) testimonia anche le attività
produttive delle fattorie lucane, probabilmente rnonofamiliari, sparse nel territorio di
Poseidonia: si tratta di colture agricole specializzate, e nel contempo miste (come mostra la
varietà dei prodotti), che richiedono la residenza sul posto, in campagna. Sono colture
appartenenti al tipo di coltivazioni arbustive detto "giardino mediterraneo", che si
accompagnano a piccole forme di allevamento di bestiame.
Diverse tombe e rinvenimenti del quarto secolo, di varia natura, sulle colline intorno ad
Agropoli, testimoniano l'esistenza di piccole fattorie (ad Ogliastro, Eredita, Melito, Torchiara,
Lustra, Valle Cilento, Vatolla, Perdifumo, Omignano, Ortodonico), ed una coltivazione
intensiva del suolo collinare, estesa anche alle colline marittime e quelle interne del versante
dell'Alento, nella zona di influenza di Elea.
Vi era probabilmente, come si è detto, anche una strada costiera, lungo la costa lucana tra
Poseidonia ed Elea, e forse oltre, la cui esistenza pare testimoniata da un brano di Frontinol68;
al di là dell'episodio, di natura militare, la strada doveva essere utilizzata soprattutto per scopi
civili, per gli scambi commerciali, per i collegamenti agli scali portuali.
La tradizione di partnership commerciale fra Elea e Poseidonia dovette essere attiva
anche nel quarto secolo, con vantaggi reciproci. L'area restò sempre relativamente tranquilla,
distante dagli abituali teatri di lotta della Magna Grecia. La prosperità di Elea in pieno TV
secolo a.C., con problemi di sovrappopolazione (fenomeno che interessava all'epoca anche i
Lucani tirrenici), può essere attestata dall'invio di coloni per ripopolare Agrigento, guidati da
Megillo e Feristol69, in epoca timoleontea, dopo il 339 a.C.
Nel IV sec. si hanno, nel territorio di Elea, sia insediamenti indigeni, sia greci, a
testimoniare l'amicizia tra Lucani tirrenici ed Eleati, ed i loro buoni rapporti. In ogni caso, la
pretesa povertà del suolo di Elea, indicata da Strabone come il motivo per cui gli abitanti
esercitavano soprattutto attività marinarel70, sembra smentita da circa 120 siti archeologici
riconosciuti, i più significativi dei quali sono localizzati a Moio della Civitella, a Perdifumo, a
Castelluccio di Pisciotta (i cosiddetti phrouria, fortini, cittadelle a difesa del territorio) e a
Roccagloriosa. L'annosa discussione su coloro che hanno costruito i fortini (Eleati o Lucani?) e
sul loro scopo può essere superata in considerazione del17amiciziafra Eleati e Lucani; la
presenza di insediamenti chiaramente lucani all'interno dell'area "protetta7' dai fortini fa

'67 Vd. A. BOTTINI, E. GRECO, Tomba a camera dal territorio pestano: alcune considerazioni sulla condizione della
donna, "Dialoghi di Archeologia", VIII, 2, 1974-75, pp. 231-275 + tavv.
- . I,. 4,. 1.
Frontino, Stratep.,
Plutarco, Timol., 35, 1-4.
170 Strabone, VI, 1, 1 (C 252).

36
supporre che vi sia stata piuttosto una integrazione fra Greci e Lucani tirrenici, ordinata in
modo tale che la pacifica convivenza dovesse essere reciprocamente conveniente.

Tomba di Contrada Vecchia di Agropoli, prodotti alimentari fittili in terracotta (Museo di Paestum)

IL TERZO SECOLO (300-201 a.C.)


La conquista romana
Nel 272 finisce la guerra tarantina: tutta l'Italia meridionale è sottomessa a Roma, ed i
Lucani, come altri popoli alleati o socii, sono tenuti ad inviare contingenti militari per l'esercito
romano, in qualità di truppe ausiliarie. Sicuramente vi sarà stata una generalizzata confisca di
terre, entrate a far parte del1>g;qifpuj&lico romano (ager publicus), e poi concesse in
assegnazione alle nuove colonie- romane o latine, a singoli coloni (assegnazioni viritane),
oppure concesse in affitto ad aristocratici romani o locali.
Con l'invio di una colonia a Paestuml71 venne ufficializzata una presenza che certamente
risaliva a molto prima, ai vari contatti avuti dai Romani con i Greci ed i Lucani tirrenici, con
ripetute alleanze; si trattava di una presenza prevalentemente, ma non solo, militare. Nella
colonia furono certamente inserite famiglie di spicco della nobiltà locale, da tempo clienti
fedeli dei Romani, come sembra dai nomi di origine osca presenti su una iscrizione con i primi
elenchi di magistratil72. La politica romana verso gli alleati lucani non dovette essere diversa da
quella sempre attuata nei confronti di altri popoli italici: si favorì e si incentivò l'aristocrazia
indigena, i notabili locali, per colpire e rendere innocui i ceti popolari democratici. La
distinzione fra Lucani tirrenici e Lucani dell'interno, in questo nuovo contesto, perderà a poco
a poco importanza, salvo un diverso comportamento durante gli anni della presenza vittoriosa
di Annibale in Italia: successivamente, ci si avviò verso la romanizzazione completa della
penisola.

17' Vd. Livio, Per., XIV; Velleio, I, 14, 7; per la storia della colonia romana vd. M. MELLO, Paestum Romana.
Ricerche storiche, Istituto Italiano per la Storia Antica, Roma, 1974.
'72 Vd. F. ARCURI, In margine ad alcune epigraj? romane di Paestum, "Bollettino Storico di Salerno e Principato
Citra", IV, 1, 1986, pp. 5-15.
Paestum diventò anche un modello "urbano" per le popolazioni lucane: un modello
politico-sociale e produttivo-organizzativo importante e, alla lunga, prestigioso per i notabili
lucani, che, attraverso l'integrazione nelle strutture e nei modi di vita romani intravidero la
strada per conservare il loro potere ed i loro privilegi a livello locale, e per avere un certo peso
politico anche nella stessa Roma.
La colonia servì anche come controllo dei territori circostanti. Nei primi decenni del
secolo i Romani avevano distrutto l'antico centro di Fratte, presso Salerno. Poco dopo la
fondazione della colonia, i Romani nel 268 a.C. deportarono in massa i Piceni ribelli nel
territorio di Pontecagnano: furono circa 360.000, secondo Plinio il Vecchiol73, quelli che si
arresero. Si trattò di una operazione gigantesca, fatta a spese di un territorio confiscato ai
Sanniti a seguito delle numerose guerre174. Fu quindi fondata una nuova città, Picentia, che
divenne il centro principale di questo territorio, detto da allora Picentinol75.
Si avviano così, grandi opere di bonifica. È stato scoperto nella piana pestana, grazie a
foto aeree del 1943, un sistema di canali paralleli, distanti circa 200 m uno dall'altro,
dall'interno verso la costa, opere di drenaggio,ma testimonianza sicura della suddivisione delli
terre tra i colonil76.
I1 paesaggio agrario dopo l'occupazione romana vede una grande estensione di territorio
pianeggiante ben delimitato da strade e canali, frazionato in campi chiusi di proprietà privata,
-,
col sistema della centuriazione-(centuriatio).I1 terreno era diviso tra i coloni in lotti di circa
700 m per lato, separati da strade; era praticato su larga scala il sistema del maggese, con
coltivazioni cerealicole e ortaggi. Altre terre, dichiarate pubbliche, erano aperte al pascolo e agli
usi civici. Sulle colline continuavano le coltivazioni arboree, di ulivi, viti e alberi da frutta;
nascevano nuovi villaggi. Si ha un miglioramento della rete viaria, si costruiscono strade, si
restaurano le mura di Paestum.
Nella città, l'elemento greco e quello lucano perdono importanza. L'intervento romano
sconvolge l'assetto precedente delle strutture urbanistiche, abbattendo o interrando antichi
edifici, e costruendone di nuovi. Nelle campagne però non vi sono tracce di fratture o
distruzioni, come altrove, ma vi è una continuità degli insediamenti, specialmente nella zona
collinare (Lustra, Vatolla, Torchiara).
Dovunque i Romani si adoperano per migliorare l'economia agraria, con la sistemazione
di terreni, strade, acquedotti e strutture portuali, come ad es. a S. Marco di Castellabate, e
presumibilmente anche ad Agropoli.
La romanizzazione intensa dell'intero territorio cilentano, tra Paestum e Velia, può essere
dedotta dal capillare sistema di strade che lo awolge, rilevato dalle foto aeree, ed evidenziato
dagli studi di Domenico Gasparriln. In connessione con tale sviluppo stradale, si crearono
villaggi minori per lo sfruttamento agricolo del territorio, posti in siti di facile accesso, lungo le
vie di comunicazione.
Nel complesso, l'occupazione romana del territorio prevedeva la diffusione della piccola
proprietà contadina, capace di fornire a Roma cittadini sempre disponibili per le leve militari, e
alleati fedeli (ma il sistema si sfascerà in seguito alla seconda guerra punica). Tale occupazione,
nelle regioni meridionali dell'antica Magna Grecia, fu nello stesso tempo agricola e militare,
specie lungo i litorali. I1 saldo controllo delle coste del Tirreno, degli approdi e dei rifornimenti
d'acqua permise ai Romani una efficiente difesa "passiva" contro le navi corsare cartaginesi,
per evitare un eventuale sbarco cartaginese nel Lazio. Ma ormai anche Roma si stava dotando
di una flotta. Proprio con navi di Elea-Velia e di altre colonie magnogreche, città alleate da
lungo tempo, i Romani oltrepassarono lo stretto di Messina e diedero inizio alla prima guerra
173
Plinio il Vecchio, Nat. Izist., 111, 18, 110.
174 Scilace, 11: sulla costa, tra i Campani e i Lucani, vi erano i Sanniti; Strabone, V, 4, 13 (C 251): Marcina, ossia
l'attuale Fratte, era una fondazione etrusca, poi abitata dai Sanniti.
175 Ma vedi, nelle pagine precedenti, le osservazioni sui "Peucezi" nel Picentino.
17' Vd. D.GASPARRI, Nuove acquisizioni sulla divisione agraria di Paestum, in Le ravitaillement en blé de Rome et
des centres urbaines des débuts de,la républiquejusqu'au haut empire. Actes du colloque international (Naples, 14-16
février 1991), Centre Jean Bérard-Ecole Franpise de Rome, Naples-Rome, 1994, pp. 149-158.
177 Vd. D. GASPARRI, La fotointerpretazione archeologica nella ricerca storico-topografca sui territori di
Pontecagnano, Paestum e Velia, "AION - Annali dell'Istituto Universitario Orientale di Napoli", Sez. Archeologia e
Storia Antica, XI, 1989, pp. 253-265; XII, 1990, pp. 229-238.
punicava. Roma con questa impresa si rivela potenza economica di primo piano nel contesto
mediterraneo, basata non solo sull'agricoltura e lo sfruttamento fondiario, ma anche
sull'industria manifatturiera e sul commercio transmarino, facendo propria l'economia delle
città alleate della Magna Grecia

Il territorio durante la guerra annibalica (218-201a.C.)


Gli interventi romani nel territorio furono premiati dall'apprezzamento degli abitanti:
nella lotta contro Cartagine e contro Annibale la zona nel complesso si mantenne fedele a
Roma e fu prodiga di risorse.
Prima della guerra, nel 225 a.C., gli alleati lucani erano in grado di mobilitare 30.000
fanti e 3.000 cavalieri a rinforzo degli eserciti romani; questi alleati furono impiegati più volte
contro Annibalel79.
Nel 216 a.C. ambasciatori di Paestum offrirono tazze d'oro al senato romano, che
ringraziò senza accettarelgo; nel 210 Paestum, Velia e Reggio, città federate, allestirono per
Roma una flotta di venti navil81; nel 209 Paestum fu tra le colonie rimaste fedeIi182.
In un brano di Silio Italico, nel suo poema sulla seconda guerra punica, un ufficiale
romano, Cetego, nel 216 a.C., prima della disastrosa battaglia di Canne, passa in rassegna le
truppe degli alleati provenienti dal Salernitano.
"Si mostrava la legione sfidata all'audace Cetego, che passava in rassegna le truppe
alleate e gli armati non ancora suddivisi in manipoli. Ora avanzavano i soldati venuti dagli
scogli di Leucosia, ora quelli che inviarono Picentia, Paestum e Carillia poi distrutta dalle
armi cartaginesi, ora quelli che il Sele nutre con le sue acque, fra le cui onde, come si dice, i
rami immersi diventano dura pietra. Cetego lodò sia le armi della bellicosa Salerno, le spade
ricurve, sia quelle che i giovani di Bussento stringevano con la destra, le potenti clave di
legno nodosoY'l83.
Queste truppe vengono dagli scogli di Leucosia (forse il villaggio costiero di S. Marco di
Castellabate); dal Picentino, da Paestum, dalla piana Pestana, "nutritaJ' dal Sele; da Salerno,
con le spade ricurve VQlcati enses) tipiche delle genti osche; da Bussento, con robuste clave. I1
territorio lungo la fascia costiera tirrenica è dunque fedele a Roma, densamente abitato, ricco
di villaggi e borghi marittimi; la piana è coltivata e adeguatamente irrigata grazie al Sele e ad
opportune canalizzazioni.
Le popolazioni lucane dell'interno invece furono generalmente ostili ai Romani: qui le
"fazioni" popolari ebbero il soprawento, e gran parte dei loro centri fortificati passarono ad
Annibale, già dal 217; la ribellione divenne più estesa dopo la sconfitta di Cannels4. In seguito,
furono proprio i Lucani dell'entroterra a tradire il comandante romano Tiberio Sempronio
Gracco nel,rl,,c~
vete+i!;&yf 215. .ra.C.,
r'
attirandolo in una imboscata in Lucania presso i. cosiddetti
i;.-+,
.,tJ,'.
Campi
Nel 212, presso una "palude pestana", il centurione M. Centenio, al comando di 8.000
uomini, si scontra con Annibale, e viene sconfitto e uccisol86.
Secondo Appiano'@', i famosi "ozi" di Annibale ebbero luogo non tanto a Capua quanto in
Lucania: questa regione accolse Annibale e il suo esercito con le sue dolcezze, li attirò nella
lussuria e negli ozi, fece perdere loro il vigore militare.
Nel 209, i Lucani ribelli si consegnarono allafides dei Romani, insieme agli Irpini, agli
abitanti di Buccino (Volceientes) ed ai Bruzi, puniti, per il momento, solo con rimproveri
verbali da parte del console romanol88.

'71 Polibio, I, 20, 13-16.


179 Vd. Polibio, II,24, 10-12; Livio, XXII, 42,4; XXIV, 20, 1.
O'' Livio, XXII, 36, 9.
%
'I Livio, =VI, 39,5.
''l Livio, XXVII, 10, 8.
Silio Italico, VIII, vv. 575-584.
Is4 Vd. Livio, XXII, 61; XXIII, 11.
Livio, XXV, 16-17.
Livio, XXV, 19; Appiano, Hann., 9- 11.
l'' Appiano, Hann., 43.
Non vanno taciute le imprese del pestano Sesto Digitio, comandante degli "alleati navali"
di Roma sotto Scipione in Spagna: egli guadagna il premio della "corona murale'' per aver
scalato per primo le mura di Cartagenal89; lui stesso ed altri membri della sua famiglia avranno
in seguito incarichi importanti per il governo roman~l!?~.

DAL SECONDO SECOLO ALLA FINE DELLA REPUBBLICA (200-31a.C.)


Il villaggio romano di Herculia sul lido di San Marco di Agropoli
Anche in epoca romana il territorio di Agropoli appare legato alle complessive vicende
della colonia di Paestum. Per quanto riguarda il promontorio, la frequentazione del sito appare
testimoniata da una serie di 11 testine fittili femminili di età ellenistico-romana (111-11 sec.
a.C.), trovate circa 50 m a sud-est del castello, forse pertinenti ad un culto di divinità
femminile, Atena-Minerva o Artemide-Dianalgl.
A partire da quest'epoca, nel I1 sec. a.C., fa la sua comparsa un nuovo insediamento
romano sul litorale di San Marco di Agropoli, un 'pagus" o vicus, villaggio di una certa
consistenza, forse in connessione con l'approdo presso la focedel fiume Testene.
Sono state trovate lungo il litorale, per un'estensione di circa 700 m, sull'area oggi
compresa da via P. Voso all'hotel Serenella, una serie di tracce di edifici (tombe, abitazioni,
terme, condutture). Rinvenimenti della Soprintendenza negli anni 1976-77 hanno inoltre
segnalato i resti di un impianto portuale. Una ricognizione del 1979 nella vicina località di San
Felice, e un saggio di scavo del 1980 prossimo alla stazione ferroviaria, hanno messo in luce
materiali di età romana, e in particolare una fornace.
Secondo un'ipotesi di Piero Cantalupol92, si tratta di un insediamento di una certa
rilevanza, un vicus maritimus, borgo marittimo, chiamato Herculia, legato all'approdo alla
foce del Testene (baia della Licina).
I1 nome è desunto da itinerari costieri, di origine romana, ripresi da autori medioevali.
Nel cosiddetto Anonimo Ravennate (VI1 sec. d.C.) e in Guido da Pisa (XII sec. d.C.), fra le città
lungo la via costiera da Reggio a Roma troviamo:
"... Blandas (Marina di Tortora), Cesernia, Veneris, Boxonia (Bussento), Bellias (Velia),
Erculam (variante Herculia, S. Marco di Agropoli), Pestum (Paestum), Salarium (località sul
Sele), Salernum, Nuceria, etc.''l93.
"... Blandas (Marina di Tortora), Cesernia, Veneris, Buxonia (Bussento), Bellia (Velia),

Herculia (Agropoli), Pestum (Paestum) quae est destructa nunc, Silarium (località sul Sele),
Salernum, Nuceria, etc."l9?
Riguardo a questo nome, esistono delle varianti. Herculia è ricordata dall'Anonimo
Ravennate, nel suo itinerario, tra Bellias (Velia) e Pestirm (Paestum), con i nomi di Herculia o
di Erculam, secondo diverse edizioni del testo. Guido da Pisa, ripetendo lo stesso itinerario
dell'Anonimo Ravennate, conferma il nome Herculia, senza altre varianti. Pertanto, è forse da
ritenere corretto il nome Herculia, rispetto ad Ercula.
Secondo un'altra ipotesi, i resti archeologici sul lido di S. Marco di Agropoli farebbero
parte non di un villaggio, ma di una grande villa marittima di età imperiale; il nome Herculia
andrebbe attribuito al villaggio di S. Marco di Castellabatel95. Tuttavia nel passo di Silio Italico

Livio, XXVII, 15.


lg9 Livio, XXVI, 48.
lgO Vd. Livio, XXVI, 48,5-14; XXXV, 1, 1-2; 2, 1-5; XXXVII, 4,2; XLI, 22, 3; XLII, 27,6-8; XLIII, 11, 1.
19' P. CANTALUPO, Acropolis, cit., pp. 26-27.
192 P. CANTALUPO, Acropolis, cit., pp. 33-39.
193 Anonimo Ravennate, Cosmographia, V, 2.
'94 Guido da Pisa, Geographica, 74.
lg5 Vd. C. A. FIAMMENGHI, Agropoli, in AA.VV., Il museo di Paestum, Agropoli, 1986, pp. 75-77; C. A.
FIAMMENGHI, La necropoli di San Marco di Castellabate: nuovi spunti di rzjlessione, in G. GRECO, L. VECCHIO (a
cura di), Archeologia e territorio. Ricognizioni, scavi e ricerche nel Cilento, Edizioni dell'Alento, Laureana Cilento,
1992, pp. 119-134.
già citato196 si parla di truppe alleate provenienti da varie città, fra le quali Leucosia: è questo,
con tutta probabilità, l'antico nome del villaggio di San Marco di Castellabate, oltre che della
vicina isola che chiude il golfo Pestano. I1 nome Herculia quindi va attribuito a S. Marco di
Agropoli.
All'origine del toponimo vi è il nome di Ercole, fermatosi nelle sue peregrinazioni mitiche
su una petra collegata ad una leggenda narrata da Diodoro Siculol97, già esaminata in
precedenza, e localizzata da Piero Cantalupo sul promontorio di Agropoli. Ma il culto di
Eracle/Ercole doveva essere molto radicato nella zona: si pensi alle metope di Foce Sele con la
rappresentazione delle sue imprese.
È solo un'ipotesi di antichi eruditi che questa località, Herculia, possa aver derivato il suo
nome dalla presenza dell'imperatore Massimiano Erculeo, il quale, secondo Eutropio e Zosimo,
dopo aver abdicato all'impero insieme a Diocleziano, si ritirò a vita privata in una sua villa in
Lucania198.

Il territorio dal periodo post-annibalico alla guerre civili


Dopo aver delineato in breve le vicende del villaggio di Herculia, ritorniamo ad uno
sguardo complessivo sull'intera area pestana in età romana.
Dopo le guerre annibaliche, vi fu una generale crisi economica e demografica, che portò
forse ad impaludamenti ed alla malaria nella piana. Vi fu poi una ripresa, testimoniata dalla
fondazione nel 194 a.C. delle colonie romane di Salerno (a controllo del territorio della piana
ove erano stanziati i Picentini, privati dell'autonomia municipale perché passati ad Annibale) e
di Bussentol99 (oggi Policastro, sul sito dell'antica colonia greca Pyxous). Ma nel 186 la colonia
di Bussento (partita con 300 famiglie) è già semideserta, e si rende necessario un nuovo invio
di coloni200.
Vanno messe in conto anche le numerose confische di terreno attuate dai Romani, che
incrementarono notevolmente l'ager publicus, a vantaggio delle classi più ricche: queste
moltiplicarono le terre disponibili per le loro lucrose attività; solo parte dei terreni espropriati
furono dati in affitto ai vecchi proprietari, dietro pagamento di un canone o vectigal. Si
costituirono allora, a quanto sembra, strane tipologie di città prive di territorio, o di gran parte
di esso. Probabilmente in questo stesso periodo furono istituite una serie di prefetture nel
territorio lucano, attuando un controllo stretto sulle magistrature locali: Volcei (Buccino),
Paestum, Velia, Atina (Atena Lucana), Teggiano, Consilinum, Grumento, Bussento201.
Si tratta comunque di situazioni non generalizzabili, e d'altra parte le scarse
testimonianze disponibili autorizzano sia l'interpretazione di Arnold J. Toynbee, che vede nella
"eredità di Annibale7'una pesante involuzione economica e sociale per il Mezzogiorno202, sia
quella di coloro che, al contrario, scorgono nel dopoguerra annibalico le premesse per nuove e
produttive forme di attività economiche capaci di rilafiEilire I"O sviluppo di queste regioni. Data
l'evidenza archeologica del rilevante numero di ville romane in Lucania, come pure nel vicino
Bruzio, secondo S. Accardo203 la diffusa ipotesi di una arretratezza economica costante delle
regioni meridionali a partire dalle devastazioni della guerra annibalica non può più essere
sostenuta: la vita economica, secondo le più recenti ricerche"04, era florida, le classi abbienti

Ig6 Silio Italico, VIII, vv. 575-584.


Ig7 Diodoro Siculo, IV, 22, 3-4: presso uno scoglio (petra) del territorio di Poseidonia un cacciatore indigeno di
cinghiali disprezza la dea Artemide, dedicando a se stesso la preda, e viene punito. L'episodio è narrato nell'ambito del
percorso mitico di Eracle/Ercole lungo le coste dell'Italia.
'98 Eutropio, IX, 27, 1-2; X, 2, 3; Zosimo, 11, 10,2.
199Livio, XXXII, 29,2-4; XXXIV, 45, 1-2.
200 Livio, XXXIX, 23, 3-4.
201 Liber coloniarurn, I, p. 209,4-15 L.
202 A. J. TOYNBEE (1965), L'eredità di Annibale. Le conseguenze della guerra anizibalica nella vita romana, tr. it.,
Torino, 1981.
203 S. ACCARDO, Villae ronzanae nel19Ager Bruttius. Il paesaggio rurale calabrese durante il dominio romano,
L'Erma di Bretschneider, Roma, 2000.
204 Vd. M. W. FREDERIKSEN, The Contribution of Archaeology to the Agrarian Problem in the Gracchan Period,
"Dialoghi di Archeologia", 4-5, 1970-71, pp. 330-357; D. BRENDAN NAGLE, The Etruscan Journey of Tiberius
Gracchus, "Historia", 25, 4, 1976, pp. 487-489; E. GABBA, Considerazioni sulla decadenza della piccola proprietà
investivano nella produzione agraria, si utilizzava anche manodopera libera, si esportavano
prodotti pregiati.

Anfore da trasporto (Antiquarium di Agropoli)

La ripresa fu accompagnata da una trasformazione strutturale del modo di conduzione


agraria, che vede una sempre maggiore diffusione del latifondo: le forme di piccola proprietà
decadono, e si afferma l'economia della villa rustica, caratterizzata da manodopera schiavile,
dall'allevamento e da colture arboree ed arbustive specializzate. Si afferma inoltre
l'allevamento brado e la pastorizia: sulle grandi estensioni di ager publicus confiscato si
lanciano gli speculatori romani e italici, affittuari privilegiati, che ne ricavavano grandi
ricchezze, ma a danno di quelli che una volta erano i ceti medi.
In un momento di trasformazioni dell'agricoltura e di crisi per la piccola proprietà, si
mostrano fiorenti il commercio e le industrie: i porti di Pozzuoli, Napoli, Velia diventano
importanti per i traffici con l'oriente, soprattutto verso Delo, ove si fermano mercanti romani e
italici, costituendo delle "filiali" per le loro redditizie attività. A Delo, ad esempio, sono attestati
molti mercanti di Velia. I1 recente studio di Luigi Vecchio205 evidenzia come questi Eleati di
Delo commerciassero soprattutto olio e profumi, in genere dallYItaliameridionale ma forse
soprattutto dal vicino territorio di Paestum, continuando una tradizione commerciale che,
come si è visto, ebbe origine con la fondazione della città e si mantenne costante nel tempo.
Per la zona pestana, le nuove forme di sviluppo economico vedono in primo piano la
produzione e il commercio di rose, fiori, profumi, unguenti, prodotti cosmetici e medicinali a

contadina nell'ltalia centro-meridionale del Il sec. a.C., "Ktema", 2, 1977, pp. 269-284; E. LO CASCIO, Popolazione e
risorse agricole ~zell'ltaliadel 11 secolo a.C., in D. VERA (a cura di), Denzograjia, sistemi agrari, regimi aìimentari nel
mondo antico, Bari, 1999, pp. 217-245. Per un quadro complessivo ed aggiornato, vd. gli studi raccolti in E. L O
CASCIO, A. STORCHI MARINO (a cura di), Modalità insediative e strutture agrarie nell'ltalia meridionale in età
romana, Bari, 2001.
' O 5 L. VECCHIO, Eleati a Delo, cit.
base di erbe, generi di cui vi era allora una forte richiesta, oltre alla tradizionale produzione di
vino, olio, frutta.
La potenza e la ricchezza delle classi aristocratiche locali si manifesta anche con la loro
partecipazione alla vita politica romana, grazie alla concessione della cittadinanza: in un
discorso dell'imperatore Claudio, riportato da Tacito206,si evidenzia il fatto che alcuni uomini
politici lucani siano diventati senatori a Roma durante il periodo repubblicano.
Con la riforma dei Gracchi, vi fu una distribuzione di terre pubbliche, estesa anche alla
Lucania: diversi termini graccani, datati al 131 a.C., rinvenuti nel Vallo di Diano, fanno pensare
ad una distribuzione massiccia di terre demaniali207, come pure per la Va1 d'Agri, dove per
questi anni si ipotizza la fondazione della colonia graccana di Grumento. In parte dovette
mutare il regime di conduzione delle terre, passando dal latifondo con lavoro schiavile alla
piccola proprietà con lavoratori liberi. È da ricordare in proposito il cosiddetto "Elogium" di
Polla208, una iscrizione della seconda metà del I1 sec. a.C., riferita alla strada Capua-Reggio e
ad un forum, il cui costruttore, Tito Annio209, si vanta di aver restituito l'agro pubblico ai
coltivatori (aratores) togliendolo ai pastori, ovvero di aver ridotto i latifondi redistribuendo le
terre.
Ma in questa stessa epoca nelle campagne lucane si diffondono anche le ville di tipo
"catoniano", affiancandosi alle tradizionali fattorie lucane, ancora attive come, nell'interno
della Lucania, a Tolve e a Banzi. I1 mcdello della villa romana "catoniana" fu allora un fattore di
unificazione economica del171talia, introducendo produzioni e stili di vita omogenei, e
contribuendo, in queste località, a far venir meno il tradizionale senso di identità del popolo
lucano.
Verso la fine del I1 sec. il poeta Lucilio, viaggiando per raggiungere i suoi possedimenti in
Sicilia, si imbarca a Pozzuoli, oltrepassa la penisola Sorrentina (l'antico "Capo Minerva"), tocca
Salerno, il Porto Alburno sul Sele, Palinuro210. L'episodio potrebbe indicare che al17epocala via
Annia da Capua a Reggio, costruita da poco, non doveva essere molto confortevole e sicura, per
cui si preferiva il percorso marittimo.
I1 territorio pestano dovette risentire della guerra sociale, cui presero parte i Lucani211,
delle successive lotte fra mariani e sillani, con l'epilogo delle proscrizioni212, e della rivolta di
Spartaco, insediatosi in Lucania213. L'esercito di Spartaco percorse la regione in lungo e in

20"acito, Anrzal., XI, 24.


207 Vd. U. KAHRSTEDT, Ager publicus urzd Selbstverwaltung in Lukanien urzd Bruttium, "Historia", 8, 1959, pp. 174-
206; V. PANEBIANCO, Il "lapis Pollae" e le partizioni di "ager publicus" nel II sec. a.C. nel territorio dell'antica
Lucania, "Rassegna Storica Salernitana", 24, 1-4, 1963, pp. 3-22; A. FRASCHETTI, L'età romana: le vicende storiche,
in B. D'AGOSTINO (a cura di), Storia del Vallo di Diano, I, Salerno 1981, pp. 201-215; F. COARELLI, Il Vallo di
Diano in età romana. I dati-&&arche&gia, in B. D'AGOSTINO (a cura di), Storia del Vallo di Diano.. . cit., I, q W r ,
217-249; H. SOLIN, Lucani e Romani nella valle del Tarzagro, in AA.VV., Les "bourgeoisies" municipales italiennes
aux Ile et P' siècles uv. J.-C., Paris-Naples, 1983, pp. 41 1-414; R. CATALANO, La valle del Tanagro tra ZII e I sec.
a.C.: qualche osservazione, in AA.VV., Fra le coste di Ama@ e di Velia. Contributi di Storia antica e Archeologia,
Quaderno del Dipartimento di Scienze dell'Adtichità (Università degli Studi di Salerno) n. 28, Napoli, 1991, pp. 83-96;
A. RUSSI, La Lucania romana. Profilo storico-istituzionale, San Severo, 1995, p. 20 sgg.; A. FRANCIOSI, La
romanizzazione del Vallo di Diano in età graccana, in G. FRANCIOSI (a cura di), La romanizzazione della Campania
antica, 1, Napoli, 2002, pp. 195-228; M. GUALTIERI, La Lucania romana. Cultura e società nella documentazione
archeologica, Napoli, 2003; F. LA GRECA, I beneficiari della legge agraria di Tiberio Gracco e le asscgnazioni in
Lucania, "Rassegna Storica Salernitana", ns., XXIII, 2,2006, pp. 11-42.
208 CIL, I', 638 = CIL, X, 6950; ILLRP 1, 454 = Inscriptiones Italiac (cur. V. BRACCO), 111, 1, Roma, 1974, n. 272;
vd. V. BRACCO, L'Elogiunz di Polla, "Rendic. Acc. Archeol. Lettere e B. Arti di Napoli", 29, 1954, pp. 5-37; ID.,
Ancora sull'Elogiunz di Polla, "Rendic. Acc. Archeol. Lettere e B. Arti di Napoli", 35, 1960, pp. 149-163; ID., Della
via Popilia (che non fu mai Popilia), in P. BORRARO (a cura di), Studi Lucani e Meridionali, Galatina, 1978, pp. 9-18;
ID., Il 'tabellarius' di Polla, "Epigraphica", 47, 1985, pp. 93-97. Vd. anche V. BRACCO, Il Salernitano nella storia di
Ronza, "Studi Romani", XXIV, 1, 1976, pp. 24-37.
'O9 Sallustio, Hist., 111, fr. 98.
210 Lucilio, 111, fr. 123-143 Marx. Palinuro fu sempre un punto pericoloso delle rotte nautiche, sede di frequenti
naufragi di intere flotte: vd. F. LA GRECA, Viaggiatori eflotte romane a Palinuro, "Annali Cilentani", V , 1, 1993, pp.
3-19.
211
Floro, 11, 6; Livio, Per., LXXII.
212 Plutarco. Sull.. 29.
213 Floro, 11; 8. '
largo, saccheggiandola, e la battaglia finale fu combattuta nei pressi di Paestum214. Spartaco
aveva trovato nuove truppe in Lucania per il suo esercito, in quanto la zona era coltivata per lo
più a latifondo e con molta manodopera schiavile; inoltre vi erano degli "ergastula", owero
colonie penali, costituite da lavori forzati nei campi per gli schiavi e per coloro che si
macchiavano dei peggiori delitti215. Durante le operazioni contro Spartaco, a Paestum i
cittadini si prepararono per un assedio: sono state trovate, ammassate nella Basilica, decine di
migliaia di ghiande missili fittili, veri e propri proiettili di terracotta da scagliare dalle mura
contro gli assedianti.
La guerra sociale, che causò rovine e devastaziorii, portò anche la desiderata concessione
della cittadinanza romana a tutti gli Italici: dopo la guerra sociale, Paestum da colonia latina
diventò municipio. Nell'anno 89 a.C., una legge estese il sistema municipale a tutta l'Italia: le
città ottennero autonomia amministrativa, con propri magistrati elettivi, e gli abitanti
acquisirono la cittadinanza romana.
Approfittando della guerra sociale e delle guerre civili, i pirati del Mediterraneo avevano
allestito rifugi e nascondigli sicuri lungo le coste, e partendo da questi devastavano e
saccheggiavano isole, città costiere, templi e santuari. Una loro spedizione portò, forse,
interpretando senza correzioni testuali un brano di Plutarco216, alla distruzione del tempio di
Hera alla foce del Sele, in Lucania; peraltro, il santuario già allora doveva essere in decadenza.
Durante la guerra civile, M. PbPcicib' Catarie, avversaria di Cesare, raccolse truppe in
Lucania217: le leve militari sembrano essere un motivo ricorrente per la Lucania, come al tempo
delle guerre puniche, nella guerra sociale e nella rivolta di Spartaco.
In seguito, nel 36 a.C., la flotta di Augusto naufragò nel golfo di Velia, nel doppiare capo
Palinuro218. Le navi danneggiate furono tratte a secco nella zona stessa per ripararle,
usufruendo del legname locale, e usufruendo probabilmente dei cantieri navali velini.
In questo periodo di intensa romanizzazione dell'Italia, i Lucani, come popolo con una
sua individualità, "spariscono", diventando a tutti gli effetti Romani: Strabone219 precisa che un
tempo Campani, Bruzi e Lucani occupavano i territori imbarbariti della Magna Grecia costiera,
ma che, ai suoi tempi (agli inizi del I sec. d.C.), di fatto questi popoli erano diventati Romani.
Per quanto riguarda i Lucani dell'entroterra, secondo Strabone subirono diverse sventure, e ai
suoi tempi erano completamente scomparsi. L'ultima menzione dei Lucani è quella di Plinio il
Vecchio220, che ricorda come nella battaglia di Carre del 53 a.C., che vide la sconfitta di Licinio
Crasso ad opera dei Parti, perirono numerosi Lucani che militavano nel suo esercito;
contemporaneamente, si ebbero dei prodigi in Lucania, con una "pioggia di ferro".
Così questo popolo, che viveva in campagna e in piccoli villaggi, divenne "cittadino" e
abitò nei municipi.
Un chiaro esempio del cambiamento ci è testimoniato dai ritrovamenti archeologici: a
Civita di Tricarico, un possidente lucano, in epoca tardo-repubblicana, si fa costruire in paese
una casa romana di tipo pompeiano; il proprietario attesta così la sua condizione di cittadino
romano, e ne assume conseguentemente lo stile di vita221. I1 modello romano emerge così
trionfante anche nei paesi più sperduti.

Ville romane
Nel territorio cilentano, sono testimonianza dell'epoca repubblicana numerosi insedia-
menti sparsi nelle zone pianeggianti e in collina. Abbiamo insediamenti marinari, come si è
detto, a S. Marco di Agropoli (Herculia), a S. Marco di Castellabate (Leucosia) e ad Acciaroli;
troviamo poi centri rurali, fattorie e ville.

214
Frontino, Strateg., II,4,7; 11, V, 34; Orosio, V, 24, 5-8; Plutarco, Crass., 10-11.
'l5 Giovenale, Sat., VIII, 180; Livio, XXIV, 15.
2'6 Plutarco, Pomp., 24,6.
2'7 Cesare, Bellum Civile, I, 30.
218 Appiano, B.C., V, 98-101.
219 Strabone, VI, 1 , 2 (C 253).
''O Plinio il Vecchio, Nat. hist., I1,56, 147.
l' Vd. M. TORELLI, Da Leukania a Lucania, in AA. VV., Da Leukania a Lucania. La Lucania centro-orientale fra
Pirro e i Giulio-Claudii, Roma, 1st. Poligrafico dello Stato, 1992, pp. XIII-XXVIII.
Nella zona troviamo soprattutto ville rustiche: con quei3t0 termine si intende una grossa
fattoria extraurbana, impiantata sovente a ridosso di strade o vie di comunicazione di una certa
importanza, organizzata con il lavoro di servi e schiavi guidati da un fattore (vilicus), e
destinata quasi sempre anche a residenza periodica del proprietario. Le ville sono in genere
collegate a latifondi, grandi estensioni di terreno in mano ad un solo proprietario, coltivate e/o
adibite a pascolo, con la presenza di un gran numero di schiavi addetti ai lavori agricoli ed
all'allevamento. I1 modello viene dalla Grecia ellenistica, dai trattati greci di agricoltura
(perduti), e dalle sperimentazioni degli scienziati dell'epoca222.
Le coltivazioni nelle ville rustiche erano di solito "specializzate", e intensive: olio, vino,
frutta, legname. Importante è anche l'allevamento: carni, latte, lane, e, presso il mare, pesci,
molluschi, crostacei. Spesso è presente una qualche lavorazione in loco dei prodotti, destinati
al commercio, favorito dalla vicinanza alle coste ed a strade importanti.
Le ville romane lungo la costa campana e lucana non erano sicure, ma esposte agli
attacchi dei pirati, almeno fino alla loro sconfitta ad opera di Pompeo; successivamente, con
Augusto, una flotta militare fu stanziata a Miseno a presidiare il Tirreno meridionale.
Per scongiurare tale pericolo, le ville repubblicane più antiche, come quella di Scipione a
Literno, costruita agli inizi del I1 sec. a.C., e descritta da SenecaZ23,erano delle vere e proprie
fortezze, con torri, feritoie e cisterne per la conservazione dell'acqua.
Resti di una villa rustica del I sec. a.C. sono stati trovati nella località Madonna del
Carmine di Agropoli (zona "Vigna Grande7')224. La villa era ubicata nei pressi dell'attuale
svincolo sud della superstrada, in un sito frequentato già in precedenza; inoltre la villa, sita in
una zona pianeggiante nella valle del Testene, poteva usufruire di alcune sorgenti perenni che
sgorgavano in superficie formando stagni e ruscelli, utilizzati per l'irrigazione fino ad una
trentina di anni fa, e poi sconvolti dallo sviluppo edilizio.

Tubature idrauliche in piombo dalla villa in loc. Madonna del Carmine (Antiquarium di Agropoli)

222
Vd. in generale per le ville romane S. ACKERMAN, La villa. Forma e ideologia, Einaudi, Torino, 1992; H.
MIELSCH, La villa romana. Con guida archeologica alle ville romane (a cura di G. TAGLIAMONTE), Giunti, Firenze,
1999; A. CARANDINI, S. SETTIS, Schiavi e padroni nell'Etruria romana. IA villa di Settefinestre dallo scavo alla
mostra, De Donato, Bari, 1979; M. TORELLI, La formazione della villa, in AA.VV., Storia di Roma, 11, 1, Einaudi,
Torino, 1990, pp. 123-132; A. CARANDINI, La villa romana e la produzione schiavistica, in AA.VV., Storia di Roma,
IV, Einaudi, Torino, 1989, pp. 101-200; A. MARCONE, Storia dell'agricoltura romana, Carocci, Roma, 1997.
223 Seneca, Ad Lucil., 86.
'" F. ARCURI, Contributo alla conoscenza del territorio di Poseidonia-Paestum, "Lucania archeologica", 5 , 1-4,
1986, pp. 24-27; C. A. FIAMMENGHI, Agropoli, cit.; Catalogo dei siti, in G. GRECO, L. VECCHIO (a cura di),
Archeologia e territorio ..., cit., pp. 50-51.
Una villa romana importante si trovava nella zona del Saùco, tra Agropoli e Castellabate,
su un terrazzo panoramico sul mare225.La villa probabilmente non era fortificata, anche se
circondata dal lato mare da quello che oggi appare come un muro di terrazzamento
monumentale, che risale al I11 sec. a.C., ancora ben saldo, in arenaria (una roccia sedimentaria
di cui la zona è ricchissima, e che, recuperata da una cava locale, fu usata anche per alcune
costruzioni a Paestum). Si tratta di una "villa litoranea", e non "marittima", in quanto non
presenta strutture che si protendono nelle acque.
La villa fiorì particolarmente in età augustea, e h attiva fino al I11 sec. d.C. Nei pressi è
stato ritrovato un grande masso di arenaria locale, di forma appiattita, con due incavi paralleli
lunghi e profondi su una delle facce, ritenuto da Piero Cantalupo una tomba bisoma226, ancora
presente nel sito e nascosta fra alti cespugli. La strada sterrata che da Agropoli conduce a tale
villa, e forse ricalca l'antico percorso viario, sulle colline di Trentova è per un breve tratto
ancora lastricata con una tecnica particolare: pietre poste di taglio nel terreno, al modo delle
strade di Velia. La villa si giovava di una vicina fonte perenne, ancora esistente, la cui
sistemazione interna risale probabilmente ad epoca romana, e del sottostante approdo detto
del "Vallone".
Nelle acque antistanti questa piccola insenatura il "Gruppo Archeologico Agropoli" in
passato ha recuperato dai fondali numerose ancore di pietra (greche, puniche o etrusche),
%
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.-'4&,*. $a'+.
ancore in piombo romane (costituite da ceppi e contromarre), un'zfnfbk~izip'detrusco, anfore
vinarie e olearie di epoca romana227. Ciò è prova del passaggio e dell'attracco di navi fin da
epoca antichissima, e di una costante frequentazione del sito, fino al IV sec. d.C. L'approdo del
Vallone ha una notevole profondità sottocosta, adatta anche a navi onerarie, ossia da trasporto,
lente e panciute, usate per la navigazione costiera.
Lo studio di questi materiali, con le loro forme, i bolli, le iscrizioni, è importante per
delineare le rotte commerciali antiche, e ricostruire le attività economiche, la produzione e la
circolazione dei beni. Per quanto riguarda in modo particolare le ancore di piombo, il sito di
Agropoli-Saùco è uno dei giacimenti più cospicui del Mediterraneo, con San Marco di
Castellabate-Licosa e Maratea228. Si è pensato, forse non a torto, al naufragio della flotta di
Augusto, avvenuto nel 36 a.C. nel golfo di Velia229. Ma i naufragi di grandi flotte romane in
questa zona datano dalle guerre puniche230. Inoltre, va detto che le navi onerarie antiche,
navigando sottocosta, effettuavano soste notturne nelle rade riparate, e in tali occasioni spesso
perdevano l'ancora, incagliata fra gli scogli; tuttavia a bordo ve n'era sempre una mezza
dozzina di riserva.
Per l'epoca di costruzione (200 a.C. circa), la villa del Saùco riveste una notevole
importanza, ed ha un aspetto monumentale che non si ritrova in altre ville romane dello stesso
periodo. La magnificenza della villa è testimoniata anche da frammenti di intonaco dipinto,
affioranti a volte in superficie durante lavori agricoli, ma non messi in luce dagli scavi. Infatti
lo scavo della Scuola Francese di Roma2s1, negli anni 1978-1980, ha interessato solo una
piccola parte dell'estesa superficie della villa, e sono auspicabili nuovi scavi per approfondire la
conoscenza di questo monumento.

225 Vd. P. C. SESTIERI, Scoperte presso la Punta Tresino, "Bollettino d'Arte", 37, S. IV, n. 1, 1952, pp. 247-251; X.
LAFON, G. SAURON, D. THEODORESCU, H. TREZINY, La terrasse de Punta Tresino (Agropoli). Campagnes de
fouille 1978, 1979 et 1980, "MEFRA - Mélanges de 1'École Franpise de Rome", 97, 1, 1985, pp. 47-134; P.
CANTALUPO, Acropolis, cit., pp. 10-19; F. ARCURI, Agropoli: il suo territorio nell'antichità, Centro di Promozione
Culturale per il Cilento, Acciaroli, 1992; M. GRAS, Punta Tresino, in AA.VV., Bibliografa topografica della
colonizzazione greca in Italia e nelle isole tirreniclze, XIV, Pisa - Roma - Napoli, 1996, pp. 5 17-518.
22G P. CANTALUPO, Acropolis, cit., p. 15. Altri ritengono si tratti del basamento delle travi di un torchio.
227 Vd. F. ARCURI, C. ALBORE LIVADIE, Rinvenimenti sottonzarini ad Agropoli e a Punta Tresino, cit.; P. A.
GIANFROTTA, Ancore "romane". Nuovi materiali per lo studio dei traffici marittimi, in J . H. D'ARMS, E. C. KOPFF,
Tlze Seaborne Commerce of Ancient Ronze: Studies in Archaeology and History, Rome, 1980, pp. 103-116 + tavv.
228 Vd. P. BOTTINI, A. FRESCHI, E. DE MAGISTRIS (a cura di), Archeologia subacquea a Maratea - Catalogo della
mostra, Soprintendenza Archeologica della Basilicata, 1984.
229 Appiano, Bell. Civ., V, 98,106-101,421; Dione Cassio, 49, 1, 3; Velleio, II,79; Orazio, Carm., III,4,25-28.
230 Polibio, I, 37 e 39; Livio, Per., XVIII; Eutropio, 11, 23; Orosio, IV, 9, 8-1 1; Vd. F. LA GRECA, Viaggiatori epotte
romane a Palinuro, cit.
231 X. LAFON, G. SAURON, D. THEODORESCU, H. TREZINY, La terrasse de Punta Tresino..., cit.
A ville costiere come questa potrebbe collegarsi un brano di Cicerone, che accenna alle
attività commerciali svolte dalle navi lungo la costa. Nel 70 a.C., Cicerone ha l'opportunità di
vedere, a Velia, la bella e grandissima nave che i Messinesi avevano donato a Verre, carica di
bottino e in attesa del padrone, pronta per la fuga. Cicerone, chiedendosi a che cosa potesse
servire la nave, ipotizza il suo impiego per il trasporto di prodotti agricoli provenienti da una
proprietà sulla costa; ma, per chi conosceva Verre, l'ipotesi appariva subito falsa, una messa in
scena. L'osservazione è interessante, perché ci testimonia le attività che dovevano svolgersi
lungo le coste della Lucania tirrenica, e nello specifico per le ville litoranee come quella del
Saùco. Cicerone, infatti, ben doveva conoscere le coste pestane e veline, per avervi soggiornato
numerose volte. Ecco le parole di Cicerone, rivolte direttamente a Verre.
"Dico inoltre che ti è stata donata, da parte del consiglio dei magistrati di Messina, una
grande nave da carico, simile a una trireme, un cargo bellissimo e ben attrezzato, costruito
chiaramente con denaro pubblico, specificamente destinato a te: e di questo fatto era a
conoscenza tutta la Sicilia. Questa nave, carica del bottino fatto in Sicilia, ed essa stessa una
delle prede, salpò insieme a Verre ed approdò a Velia, con i suoi innumerevoli oggetti, anche
quelli che non volle spedire a Roma col rimanente bottino, poiché gli erano più cari e
prediletti. Io stesso, o giudici, non molto tempo fa ho visto quella nave a Velia, come pure
l'hanno vista molte altre persone, bellissima e ben equipaggiata: a tutti coloro che la
guardavano, sembrava qtfti"siattendere l'esilio del padrone e prepararne la fuga. (...) Quelli ""-"
che avevano visto o ascoltato talefatto, cosa avrebbero dovuto dire, pensare, ritenere? Che tu
ti eri portato in Italia una nave vuota? Che, una volta giunto a Roma, saresti diventato
armatore? E neppure si poteva pensare che tu avessi in Italia un fondo sulla costa e ti
accingessi a trasportarne ifrutti su una nave da carico"232.

La nave romana "Europa" (da un graffito di Pompei)

Dunque, la nave in questione, un grande cargo, carico di tesori predati in Sicilia, ma


all'insaputa di tutti tranne che dei ben informati come Cicerone, viene lasciato nel porto di
Velia da Verre, che poi prosegue per Roma verosimilmente con un'altra nave, se non per via di
terra. Qui la nave poteva confondersi fra le altre navi da carico, che trasportavano i prodotti
agricoli delle ville lungo la costa.
Tale tipo di attività doveva essere fiorente, ed è una testimonianza in più della ricchezza
produttiva del territorio cilentano nel I sec. a.C. Numerose, infatti, dovevano essere in

232 Cicerone, Verr. Sec., V , 17,44; 18,46.


quest'epoca le ville lungo le coste del Cilento. Si ha notizia di ville a S. Maria di Castellabate,
presso l'isola di Licosa, forse ad Acciaroli ed a Pioppi, a Marina di Casalvelino233.
Queste ville sorgevano, a quanto pare, lungo la strada 1il:oranea tirrenica Paestum-Velia,
che presso Picentia si distaccava dalla Capua-Reggio (via Annia), passante per l'interno (Vallo
di Diano). Essa è in parte indicata anche dalla Tabula Peutingeriana, ove accanto a Pestu(m) è
riportata la distanza di 36 miglia. I1 suo nome era probabilmente via Aurelia nova234. Se non si
seguiva la via marittima, la strada costiera attraverso il territorio di Agropoli doveva costituire
un percorso alternativo, praticabile in ogni periodo dell'anno. Ville romane all'interno del
territorio sono state rinvenute a Sessa Cilento (S. Maria delle Valletelle), ad Omignano (con
tracce di una fornace) ed a Pattano.
Fra le testimonianze letterarie, Plutarco ci ricorda una villa di Catone in Lucania235, ma se
ne ignora il sito. Sempre P1utarco236 segnala una villa sul mare a Velia, di proprietà di Lucio
milio Paolo, il vincitore della Macedonia a Pidna nel i68 a.C.: qui, nella tranquillità del sito,
milio Paolo si fermò a lungo per curarsi, su consiglio dei suoi medici. Cicerone si fermò
esso a Velia, ospitato nella villa dell'amico Trebazio237, la cosiddetta "domus Papiriana",
alla quale si godeva un magnifico panorama, in parte impedito da un albero di kaki. Sempre
Cicerone238 ci informa che uno schiavo di Pompeo, liberato da Cesare, si era impadronito dei
possessi del padrone in Lucania, presumibilmente una o piii ville nell'agro Lucano, senza
precisare dove. Orazio239 ricorda le ville possedute in questa regione dall'amico Numonio Vala.
I1 Monte della Stella, il Gelbison, come pure altre montagne della Lucania, dovevano
essere fittamente coperte di boschi secolari, e tale bene economico era importantissimo e
molto apprezzato dai Romani. Non vi era villa rustica di una certa consistenza che non avesse il
suo bosco (silva caedua). Anzi, il bosco costituiva un buon investimento, una risorsa per il
futuro, destinata ad aumentare di valore: il legno era sempre disponibile, e trovava sempre
acquirenti, sia come combustibile, sia per costruzioni edili o navali. È nota una frase di
Cicerone, in cui biasima un erede che dissipa le sue sostanze e "vende il suo bosco prima della
~igna"~40.
In effetti, la vigna era un investimento capitalistico, aleatorio, industriale: l'annata poteva
andar male per le condizioni atmosferiche awerse; il mercato dipendeva troppo dalla domanda
e dall'offerta; le cure costanti richieste potevano essere troppo dispendiose. In confronto, il
bosco era una garanzia e una rendita sicura. La tenuta, la villa rustica, con annesso bosco,
consentiva al proprietario sicurezza, tranquillità, possibilità di ripiegare sull'autarchia e di
sostentarsi in caso di fallimento economico241. Possiamo supporre, così, per il Monte della
Stella, le cui propaggini collinari si estendono fino ad Agropoli, che le ville rustiche intorno alla
sua base si estendessero sulle colline con frutteti, oliveti e vigneti, e più su fino alla cima con
boschi cedui.
Inoltm.ilbos&i, come quello della Sila, secondo Dionisio di A l i c a r n a s s o ~ ? , ~ hr ~u nt t~a t i
dai Romani per ricavarne materiali da costruzione, per la cantieristica navale, per produrre la
rinomata "pece bruzia"; gli alberi prossimi ai fiumi o ai mari erano tagliati in un solo pezzo,
quelli lontani in più pezzi e trasportati a spalla o a dorso di mulo. A questo proposito, si ricorda
l'attività dei dendrophori, carpentieri, e dei muliones, mulattieri, menzionati in alcune
iscrizioni della Lucania243.

233 Vd. F. LA GRECA, Ville ronzane nel Cilento, "Annali Storici di Principato Citra", IV, 2,2006, pp. 5-18.
234 Vd. V. BRACCO, L'Elogium di Polla, cit., pp. 16-17, in base a CIL VI, 31370.
235 Plutarco, Cato Minor, 20, 1. Proprio in Lucania, dove probabilmente aveva un'ampia clientela, Catone raccolse
tru e per la sua lotta contro Cesare (Cesare, Bellum Civile, I, 30).
2"Plutarco, Aem.. 39, 1-3.
237 Cicerone, Ad famil., VII, 20.
238 Cicerone, Phil., XIII, 5, 11-12.
239 Orazio, Epist., I, 15.
"O Cicerone, De lege agraria, 11, 17,48.
"' P. VEYNE (1979), Mito e realtà dell'autarchia, in P. VEYNE, La società romana, Laterza, Bari, 1995, pp. 127-
156.
242 Dionisio di Alicarnasso, Ant. Rom., XX, 15, 1-2.
243 Vd. E. LEPORE, A. RUSSI, S.". Lucania, in Dizionario Epigrafico di Antichità Romane, IV 3 (fasc. 59-61), Roma,
1972-73, pp. 1881-1948, in part. pp. 1918-19.
I1 quadro complessivo, dunque, permette di delineare una organizzazione del territorio
lucano in uillae che sfruttano in modo intensivo le campagne e il mare, integrandosi con i
principali percorsi viari e con gli scali marittimi. Oltre all'agricoltura, l'allevamento, specie
bovino e suino, doveva essere una voce importante. Nei pressi dei centri abitati non doveva
comunque mancare la piccola proprietà terriera, che poteva smerciare i propri prodotti in
ambito locale.

IL PERIODO IMPERiALE (:)l a.C. - 476 d.C.)


La battaglia di Azio del 31 a.C. segna la vittoria finale di Ottaviano, rimasto senza
oppositori, e l'inizio di un'era nuova, nella quale tutti i poteri della repubblica romana sono
concentrati su una sola persona, l'imperatore.
La vita nel villaggio costiero di Herculia, a San Marco di Agropoli, continua anche in
epoca imperiale; i1 suo territorio condivide le vicende della vicina Paestum, e più in generale
quelle della Lucania.
S.e - h x-(e3- -,
Al."tempo dell'imperatore Vespasiano (71 di&);-&..veterani della- -flotta di Miseno,
congedati, ricevono assegnazioni a Paestum, a S. Marco di Castellabate ed a Velia; ciò è indice
di sovrabbondanza di terre, in località comunque legate al mare (come Agropoli), dove si
praticano anche attività marinare. Nel villaggio costiero di S. Marco di Castellabate (dove si è
conservata parte di un molo di età romana244, attivo dal I sec. a.C. fino al IV d.C.) vi era forse
una base della flotta imperiale, con attivita cantieristiche (è attestata la di un
trierarchus, comandante di una nave militare, dedicante di un'iscrizione)245. I1 ritrovamento
sul promontorio di Licosa di un termine agrario di epoca imperiale246 sembra confermare
l'insediamento dei veterani, con conseguente suddivisione delle terre.
Molti assegnatari restarono; molti altri preferirono tornare "a casa", vendendo le terre
ricevute: ce lo attestano i diplomi militari ritrovati proprio nelle province d'origine, mentre
l'assegnazione era stabilita altrove. Le loro terre, cori tutta probabilità, furono acquistate dai
grandi proprietari della zona. Uno degli ultimi diplomi è stato trovato recentemente nel letto
del fiume Sava presso Brod in Croazia247: esso stabiliva la deduzione a Paestum per un certo
Liccaius Marsunnia, veterano della flotta di Miseno; ma questi dovette decidere di tornare nei
luoghi d'origine, liberandosi in modo drastico del diploma ricevuto.
In quest'epoca, personalità importanti, come i Bruttii, i Fundanii, i Cicerones, ed altre
famiglie illustri, risiedono a Paestum e in altre città della Lucania, ed hanno notevoli agganci
politici a Roma.
Molti anni fa, grazie a Piero Cantalupo, fu recuperata dal Gruppo Archeologico Agropoli
un'epigrafe in località Tempa di Lepre, al confine fra il territorio di Agropoli e quello di
Giungano: essa, di forma allungata e in più frammenti, era utilizzata per delimitare il recinto di
un pollaio, tenendo ferma la rete a terra. L'iscrizione, ora nell'Antiquarium di Agropoli,
riguarda un Marco Tullio Cicerone, cavaliere romano, della metà del I11 sec. d,C.: questa
famiglia; trasferitasi, come sembra, in un primo tempo a Pompei, a seguito dell'uccisione del
famoso oratore, successivamente all'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. dovette scegliere come
sua nuova residenza Paestum, con possedimenti e ville nel territorio.248.
244
Vd. A. BENINI, Note sulla tecnica edilizia del molo romano di S. Marco di Castellabate nel Cilento, "Archeologia
Subacquea", 3,2002, pp. 39-46.
245 Vd. C. A. FIAMMENGHI, La necropoli di San Marco di Castellabate..., cit.
246 Vd. P. CANTALUPO, A. LA GRECA (a cura di), Storia delle terre del Cilento antico, cit., vol. I, p. 103; vol. 11, pp.
696-697.
247 J. MISKIV, Rimska vojnicka diploma iz Slavonskog Broda (Roman military diploma from Slavonski Brod),
"V'esnik Arheoloskog Muzeja u Zagrebu", 3 S., 30-3 1, 1997-1998, pp. 83-101.
" Vd. M. DELLA CORTE, Scoperte epigrqtiche pestane: i MM. Tulli Cicerones, "Archivio Storico per la Provincia di
Salerno", n.s., 1934, n. 3, pp. 1-15 estr.; M. MELLO, G. VOZA, Le iscrizioni latine di Paestum (ILP),2 voll., Istituto di
Storia e Antichità greche e romane, Napoli, 1968-69, vol. I, p. 158 sgg.; M. MELLO, Paestum romana, cit., pp. 94-99;
F. ARCURI, Epigrafi laline nellJAntiquariumdi Agropoli, in P. CANTALUPO, Acropolis, cit., pp. 161-165.
Le fonti ci ricordano per il periodo imperiale ancora delle ville in Lucania, come quella
dei Bruttii Praesentes, amici di Plinio il Giovane249, verso la fine del I sec. d.C.; essi sono di
famiglia senatoria, attestati in iscrizioni a Volcei (Buccino) ed a Velia; una Bruttia Crispina
sarà moglie dell'imperatore Comrnodo250.
Le testimonianze sulle ville in Lucania si estendono fino ad epoca tarda, ed anche oltre la
caduta dell'Impero. Nel 305 d.C., l'imperatore Massimiano Erculeo si ritirò in una sua villa in
Lucania251, in "campi amenissimi". Simrnac0~5~, verso il 400 d.C., parte per una sua villa in
Lucania. In una lettera di Cassiodoro253, Teodorico re degli Ostrogoti concede al funzionario
Eusebio il permesso di soggiornare in vacanza, per ritemprarsi, nella "dolce7' Lucania. La
lettera testimonia l'esistenza di "ville di piacere'' in Lucania, già note per la Campania: si tratta
di ville di piccola estensione, appartenenti a pochi personaggi importanti di Roma e di
Ravenna, che vengono a passarvi le vacanze, col permesso imperiale. Sono chiamate da
Simmaco "diversoria", punti di appoggio, ben forniti e con personale residente pronto ad
accogliere il padrone.

Floridezza del territorio in epoca imperiale


Si assiste ad una generale floridezza del territorio dalla fine del I sec. a.C. al I1 sec. d.C.,
testimoniata da, &v@sq,.fonti. Ricordiamo i numerosi autori classici, tra i quali,J@rg$~~,
Properzio, Ovidio, Marziale, che attestano una fiorente coltivazione di rose e fiori a Paestum,
praticata con lavoro assiduo nei fertili campi (arva, rura) della piana254.
Le rose di Paestum diventeranno da allora un topos letterario, un termine di paragone
per scrittori di ogni epoca e nazionalità. In particolare, Marziale255 ci descrive una Roma che
abbonda di fiori e di rose pestane: dall'Egitto arrivano in dono a Cesare delle rose, ma il
marinaio che le porta deride gli orti del Nilo appena entra in Roma, abbondante di fiori e
profumi primaverili e rosseggiante di corone di rose per le strade, gloria dei campi pestani. I
rura di Paestum producono quindi rose in abbondanza, anche fuori stagione, destinate al
commercio ed esportate a Roma. Addirittura, potrebbero essere esportate anche in Egitto: "O
NiZo, manda il tuo grano, e ricevi le nostre rose!".
Va ricordata la ricostruzione fatta da J.-P. Brun di una profumeria romana sita nel foro di
Paestum256: qui, in un piccolo laboratorio, dotato di torchio oleario (del quale resta in situ la
base marmorea), si preparavano con le rose ed i fiori pestani profumi ed unguenti. Un recente
studio di Mario Mello257, con particolare riferimento alle rose di Paestum, mette in luce
l'importanza delle rose nella vita e nella cultura romana: nel mito, nella religione, nei riti e
nelle feste, ma anche nella cosmesi e nella medicina.
La produzione di rose si rivela un bene economico importante, apportatore di ricchezza,
tipico del territorio pestano. Questa produzione lascia sicuramente il segno: fra gli scrittori
tardi che decantano le meraviglie d'Italia, Marziano Capella258 ricorda ancora i roseti di
Paestum, Paestana rosaria.
Oltre alle rose, negli horti del territorio pestano Virgilio segnala una fiorente produzione
di ortaggi259: cicoria, prezzemolo, zucche, oltre a piante medicinali come narciso, acanto,
edera, mirto. Columella, scrittore di argomenti di agricoltura del I sec. d.C., si soffema

249 Plinio il Giovane, Ep., VII, 3.


250 Vd. CIL X, 408 e 468; P. EBNER, Altre epigraj e monete di Velia, "Parola del Passato", 33, 1978, pp. 61-73;
Inscriptiones Italiae (cur. V. BRACCO), 111, 1, Roma, 1974, n. 18, p. 18 sgg.
251 Eutropio, IX, 27, 1-2; X, 2, 3; Zosimo, 11, 10,2.
252 Sirnmaco, Epist., V, 13.
253 Cassiodoro, Var., IV, 48.
254 Virgilio, Georg., IV, 116-124; Properzio, IV, 5, 61-62; Ovidio, Metam., XV, 708; Trist., 11, 4, 28; Marziale, V, 37,
9; IX, 26,3; IX, 60, 1; XII, 31,3.
255 Marziale, VI, 80.
256 J.-P. BRUN, Une parfumerie romaine sur le forum de Paestum, "MEFRA - Mélanges d'Archéologie et d1Histoire
de l'École Franpise de Rome - Antiquité", 110, 1, 1998, pp. 419-472.
257 M. MELLO, Rosae. Il fiore di Venere nella vita e nella cultura romana. Biferi rosaria Paesti, Arte Tipografica,
Na oli, 2003.
"259
Marziano Capella, De nupt., VI, 641.
Virgilio, Georg., IV, 116-124.
sull'immagine di campi verdeggianti coltivati ad ortaggi (soprattutto cavoli) presso il Sele, che
scorre "con acque cristalline"260.
Piante ed erbe medicinali non erano solo ornamenti dei giardini e rimedi familiari ai
problemi di salute. Un recente volumetto di Piero Cantalupo261 sulle tradizioni mediche del
territorio cilentano ha evidenziato, raccogliendo le molteplici testimonianze, come l'intero
territorio da Salerno a Velia sia particolarmente interessato, fin dall'antichità, dall'esercizio di
attività legate alla medicina e alla salute, per la mitezza del clima, la salubrità dell'aria, la
purezza delle acque, e soprattutto per la presenza abbondante di erbe medicinali, sia spontanee
e fatte oggetto di ricerca sistematica, sia appositamente coltivate. Pertanto, alcuni centri di
questo territorio, in tempi diversi, diventarono luoghi curativi: un filo conduttore unico
sembra congiungere Velia, Paestum e infine Salerno, sede della famosa scuola medica
medioevale, ma profondamente radicata nel mondo greco-romano.

Affresco tombale con festoni di rose Base di torchio in una bottega (profumeria)
(Museo di Paestum) del foro (Scavi di Paestum)

Rimandando all'opera citata per le fonti, osserviamo che il territorio di Agropoli, al centro
di questo ampio contesto lucano di attività legate alla salute, doveva necessariamente farne
parte, con la genuinità dei suoi prodotti. L'arte Pestana di cui parla il monaco Walafrido
Strabone262 (IX sec. d.C.), ossia l'arte di riconoscere-raccogliere-coltivare erbe medicinali,
doveva essere praticata in tutto il territorio di Paestum. Nel territorio salernitano, i Monti
Lattari e la penisola Sorrentina erano famosi nell'antichità per la salubrità dell'aria, per la
qualità delle erbe, cheaffiivano ottimo pascolo al bestiame, e per le virtù salutari del latte ~h4~.,,..
vi si produceva, un latte denso, "medicinale", consigliato per diverse malattie263. La sapienza
degli antichi sapeva riconoscere gli alimenti realmente salutari e promuoverne la produzione; a
tale scopo, non bastava una località qualsiasi, ma era necessario un territorio dotato di
particolari caratteristiche per il clima, l'aria, le acque, il terreno. Questo territorio ideale fu
trovato nella zona da Velia a Salerno.
I1 "turismo" antico in queste zone, dunque, aveva come fine primario la salute. In epoca
augustea, Orazio chiede informazioni all'amico Vala sul clima e le risorse di Salerno e di Velia,
per passarvi l'inverno. I1 medico Antonio Musa aveva curato l'imperatore Augusto con
l'idroterapia fredda, forse nella stessa Velia, e ormai Baia, con i suoi bagni caldi, era passata di
moda. Orazio cerca una nuova cittadina dove villeggiare, più a sud. Orazio si rivela qui il
prototipo del "turista" esigente e di gusti raffinati, in cerca di località tranquille e poco
conosciute (altrimenti perché informarsi?). Orazio poi intende viaggiare non per mare, ma per
via di terra, a cavallo, per cui si informa anche delle condizioni della strada.

260 Columella, De agr., X, 127-139.


261 P. CANTALUPO, Tradizioni mediche nei territori di Velia, Paestum e Salerno, Quaderno n. 5 di "Annali
Cilentani", Centro di Promozione Culturale per il Cilento, Acciaroli, 2002.
262 Walafiido Strabone, Liber de cultura hortorum, vv. 1-3 e relativa glossa.
263 Galeno, De methodo medendi, V , 12 = X, p. 360 sgg. Kuhn; Sirnmaco, Epist., VI, 17; Cassiodoro, Var., XI, 10.
"Fammi sapere, Vala, com'è l'inverno a Velia, qual è il clima di Salerno, che gente abita
in quei paesi e qual è lo stato della strada. Infatti, riguardo a Baia, Antonio Musa aflerma
che non mi è di giovamento, e tuttavia me la sta rendendo nemica, mentre mi cura con bagni
ghiacciati in un ambiente freddo. ... Dovrò cambiar posto e dirigere il mio cavallo lontano
dai percorsi abituali. "Dove vai? La mia meta non è più Cuma né Baia", dirà il cavaliere
irritato tirando le redini a sinistra, ma il cavallo ci sente solo dal morso. Fammi sapere quale
delle due città ha più grano per nutrirsi, e se bevano acqua di cisterne o di sorgenti perenni.
Per quanto riguarda il vino di quei lidi, non me ne preoccupo. (...) Fammi sapere quale terra
sia più ricca di lepri, quale di cinghiali, e quali acque abbondino di pesci efrutti di mare, per
poter ritornare a casa grasso come un Feace. Tutte queste cose mi comunicherai, e ad esse
fedelmente mi atterrÒ2'264.
I1 Vala cui Orazio chiede informazioni è probabilmente originario di Paestum: da
un'iscrizione pestana265 si ha notizia di un Numonio Vala patronus della colonia, forse lo stesso
cui si rivolge Orazio, sicuramente uno della famiglia, che possedeva diverse ville in Lucania.
In questa ottica dei viaggi per scopi "salutari", anche produzioni locali in modica quantità
possono diventare famose e sono ricercate per le loro proprietà curative: per esempio, il
vino266. La produzione di vino in Lucania doveva essere discreta, e forse non limitata ai mercati
locali: abbiamo poche testimonianze specifiche sui vini del territorio lucano, ma nel complesso
tutte abbastanza positive. ,.irbb . ,.
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Lucili0267 sembra accennare ad un vino servito a lui ed ai suoi compagni in una locanda a
Palinuro, vino che essi bevono sino al fondo del vaso; ma la ricostruzione del brano è ipotetica,
basata su frammenti, ed editori più recenti hanno stravolto la sequenza proposta dal Marx;
pertanto, a rigore, la notizia può essere solo genericamente riferita a una località del
Mezzogiorno d'Italia.
Catone, Varrone e Plinio il Vecchio accennano a vitigni del tipo "lucano", adatti a terreni
umidi oppure ombrosi268.
Plinio ricorda tra i vini famosi i vini lucani, specialmente quelli di Turi, e quelli di Lagaria
presso Grumento269, questi ultimi veri e propri vini medicinali, che con le loro virtù avevano
guarito un politico romano, Messalla Potito, proconsole d'Asia dopo il 24 a.C. Plinio ancora
accenna anche alle viti di Elea-Velia270, tra le quali nasce una ricercata pianta medicinale,
l'elleboro bianco, che richiede, fra l'altro, particolari accorgimenti al momento della raccolta,
onde evitare forti mal di testa: i raccoglitori devono mangiare aglio e subito dopo bere vino.
Ateneo, citando il medico Galeno, ci parla dei vini italici, tra i quali il vino di Bussento
(Policastro), simile al vino Albano, aspro e digestivo271, ed accenna poi ad un vino "Massaliota",
"buono, robusto e corpulento, ma prodotto in poca quantità'>*7*.Quest'ultimo, come si è detto
più sopra parlando della "regione Massaliota d'Italia", non sembra essere il vino di Marsiglia, la
greca Massalia, inspiegabile in un elenco di vini italiani; potrebbe invece trattarsi del vino di
Elea-Velia.
I1 vino lucano, nel tardo impero, fu oggetto di prelievo fiscale, secondo le disposizioni del
Codice Teodosiano273: Lucani e Bruzi erano obbligati a far pervenire a Roma una certa quantità
di lardo e carne suina (prodotto lucano rinomato), a titolo di tassazione, ma per le difficoltà del
trasporto la carne poteva essere sostituita con l'equivalente in vino (doveva quindi trattarsi di
vini di un certo pregio). Inoltre, la disposizione sembra attestare, intorno al 430, sotto
Valentiniano 111, un incremento della viticoltura a scapito dell'allevamento.
Quando Orazio, nell'epistola sopra citata, chiede all'amico Numonio Vala (I, 16-21),
informazioni su Salerno e Velia, per quanto riguarda il vino afferma: "del vino di quei lidi, non
264
Orazio, Epist., I, 15, vv. 1-25.
265 CILX481 = ILP70e71.
266 Vd. L. ROSSI (a cura di), Il vino nel Cilento..., cit.
267 Lucilio, 111,v. 139 Marx.
268 Catone, De agr., VI, 4; Varrone, De re rust., I, 25; Plinio il Vecchio, Nat. hist., XIV, 4,46.
269 Plinio il Vecchio, Nat. hist., XIV, 6,69.
270 Plinio il Vecchio, Nat. hist., XXV, 5,49-50.
271 Ateneo, I, 27a.
272 Ateneo, I, 27c.
273 Codice Teodosiano, XIV, 4, 4.
me ne preoccupo". L'espressione è stata intesa nel senso che Orazio porterà con sé vini pregiati
di sua scelta, ignorando quelli locali, ma, secondo noi, potrebbe essere intesa nel senso che
Orazio già conosce i vini di quelle terre, sa già che sono buoni vini, e quindi non se ne
preoccupa, non chiede informazioni sul vino, per non annoiare il suo amico Vala. Comunque,
nei versi successivi Orazio spiega la funzione che tale vino, locale o no, dovrà assolvere. E non è
una richiesta da poco.
"Quando vado al mare, desidero un vino generoso e dolce, che scacci via gli affanni,
che generi ricche aspettative nelle mie vene e nel mio cuore, che mi suggerisca le parole, che
mi preservi giovane per l'amica 1ucanan274.
Ma vi erano anche turisti con la "malattia dei viaggi", desiderosi di vedere sempre cose
nuove, pronti a stancarsi subito e a ripartire, in una perenne ricerca. Con essi se la prende il
filosofo Seneca, tracciando per i loro occhi il ritratto di una Lucania "selvaggia".
"Di qui nascono i viaggi senza meta, le navigazioni a seguire la costa, e la volubilità,
nemica delle cose che contano, ci spinge o r a ~ p e rmare ora per terra. 'Ora andiamo in
Carnpania'. Ma subito ci infastidiscono le eleganze: 'Andiamo a vedere territori non coltivati2
raggiungiamo i prati montani della Lucania e del Bruzio'. Tuttavia nei luoghi deserti si
desidera qualcosa di piacevole, alla cui vista si ristorino gli occhi, eccessivamente colpiti dal
costante squallore di questi luoghi orrendi: 'Andiamo a vedere Taranto, il suo famoso porto,
il suo inverno dal cielo più mite, il suo territorio, noto per I'abbondanza, abitato da un popolo
antico'. Ma troppo a lungo le orecchie si sono allontanate dagli applausi e dal fragore della
folla, è ormai necessaria la vista del sangue umano: 'Volgiamo dunque il nostro cammino
verso Rom~"'~75.
In queste parole si evidenzia il gusto dell'epoca per il paesaggio rurale come idillio,
rifugio, in contrasto con la rumorosa (e crudele) vita cittadina: proprio in questo periodo si
afferma definitivamente la villa rustica come luogo di piacere oltre che di guadagno. Nella villa
di campagna, le classi possidenti agiate vedono un rifugio dal caos cittadino, e vi cercano
anche, per appagare il loro gusto estetico, un paesaggio bello e riposante. Si estende sempre
più l'economia del saltus, cioè selve adibite a pascolo, prati, radure boschive. I1 saltus è
comunque un terreno disboscato, sottratto col lavoro umano alla natura, ma invece di essere
coltivato viene usato quale prato per le greggi. E i saltus della Lucania sono famosi, ricordati da
numerosi autori antichi.
Ma selve, pascoli e boschi, se da una parte caratterizzano il paesaggio della Lucania,
dall'altra costituiscono un'importante risorsa economica per l'allevamento.
Virgilio276 ci ricorda gli armenti della piana pestana e lungo il Tanagro, presso gli Alburni
verdeggianti. Varrone277 segnala allevamenti di cavalle in Lucania: si tratta di allevamenti
specializzati, che perseguivano l'incremento della produzione e la vendita, con forti guadagni.
VhW6Ht? Calcola, ad esempio, che ogni cinquanta cavalle occorrono dumtallieri: L'allevamento
di cavalli, probabilmente praticato nella Piana Pestana fin dal tempo dei Greci, fu sempre
attivo in Lucania, fino a Cassiodoro278, il quale, a quanto sembra, riforniva l'esercito di
Teodorico.
Si praticava l'agricoltura in pianura, la pastorizia in collina. Era famosa allora la lana
"delle pecore greche"279, proveniente dalle regioni dell'antica Magna Grecia; Orazio280 ricorda
la transumanza fra Puglia e Lucania; Porfirione281 aggiunge che queste regioni erano ricche di
greggi e di soffici lane. Per Calpurnio Siculo le greggi della Lucania sono già assurte a livello
proverbiale: "... Neppure / se qualcuno mi donasse tutte le greggi delle selve lucane / esse mi
saranno più gradite di ciò che ho ammirato a R o m ~ " ~ 8 ~ .
P-

274 Orazio, Epist., I, 15, vv. 16-21.


275 Seneca, De tranguillitate animi, 11, 13.
276 Virgilio, Georg. 111, 146-15 1.
277 Varrone, De re rust., 11, 10, 11.
278 Cassiodoro, Var., I ,4, 17.
279 Plinio, Nat. hist., VIII, 47, 189-190.
280
Orazio, Epod., 1,27-28.
28' Porfirione, Comm. in Hor. Epist., 11, 2, 177.
282 Calpurnio Siculo, Ed., VII, 16-18.
Non va dimenticata l'importanza della caccia nei boschi e nei saltus: la selvaggina lucana
è costituita da cinghiali283, orsi284, ed altri animali simili ad un incrocio fra orso e maiale e fra
topo agreste e ghiro285.
Sotto gli estesi querceti dei monti lucani era diffuso l'allevamento del maiale, con
l'annessa lavorazione delle carni. Le salsicce della Lucania2a6 erano famose: erano state
chiamate "lucaniche" dai soldati romani che parteciparono alle campagne in Lucania287, ed
erano molto apprezzate; Cicerone ne era ghiotto288. La ricetta delle lucaniche ci è data da
Apicio, autore di un celebre trattato di gastronomia nel I sec. d.C.
"Si triti pepe, cumino, santoreggia, ruta, prezzemolo, spezie, bacche di alloro, salsa di
pesce, e si aggiunga polpa ben triturata, in modo che il tutto sia di nuovo ben rimescolato con
il mortaio. Dopo aver aggiunto ancora salsa di pesce, pepe intero, grasso in abbondanza e
pinoli, si introduca l'impasto in un budello reso quanto mai lungo e som'le, e così lo si
sospenda alcfurno''289.

Affreschi tombali con bovini e cavalli in u n frutteto (Museo di Paestum)

Polibio290 ci descrive una particolare modalità di allevamento dei maiali, già in uso dal I1
sec. a.C., tipica dei Romani, certamente applicata anche in Lucania. Gli animali, nelle stalle,
sono divisi in gruppi, per famiglia e per proprietario, ma uscendo nei pascoli, in cerca di
ghiande, si mescolano. Ora, per dividerli di nuovo, si ricorre ai richiami sonori, ossia al suono
di trombe. Basta un solo pastore per gruppo di animali, che va suonando un motivo diverso in
una direzione diversa; ciascuno, col suono della tromba, conduce dietro sé gli animali del suo
gruppo, che lo seguono spontaneamente fino alla stalla. Polibio nota che questo sistema era
sconosciuto ai Greci, i quali per questo motivo faticavano molto a raccogliere gli animali, che
spesso si disperdevano o finivano nel gruppo di un diverso proprietario.

Il villaggio d i Herculia
I1 villaggio di S. Marco di Agropoli (Herculia), sviluppatosi a partire dal I1 sec. a.C., è ben
documentato anche in epoca imperiale, fino al W sec. d.C. (con qualche interruzione nel corso
del I11 sec.)291. Gli scavi hanno evidenziato, in particolare:

283 Diodoro Siculo, IV, 22, 3-4; Orazio, Sat., 11, 3,233-6; 11, 8, 1-9; Stazio, Theb., VIII, 529-35; Grattio, Cyneg., 117-
123.
284 Varrone, De lin. lat., V, 20, 100; VII, 3, 40; Orazio, Carm., 111, 4; Ovidio, Halieut., 58-59; Marziale, De spect.,
VIII; Tertulliano, De resurr., 11, 12.
285
Galeno, VI, p. 666 Kuhn.
286 Vd. F. LA GRECA, Risorse alimentari della Lucania tirrenica (Cilento) in età romana. Lucaniche e carne porcina,
in L. CRISPINO (a cura di), I prodotti agroalitnentari tipici del Cilento nell'economia della provincia di Salerno, Atti
del Convegno (Agropoli, 29 dic. 2007), Centro di Promozione Culturale per il Cilento, Acciaroli, 2007, pp. 37-57.
287 Varrone, De lin. lat., V, 22, 111.
288 Cicerone, Ad farniliares, IX, 16, 8-9.
289 Apicio, De re coquin., II,4.
290 Polibio, XII, 4.
291 P. CANTALUPO, Acropolis, cit., pp. 33-48.
a) una necropoli con tombe del I1 sec. d.C., del tipo "a cappuccina" (ossia costituite da tegole
sistemate a doppio spiovente, direttamente sul terreno oppure su una cassa rettangolare in
muratura);
b) un edificio a probabile destinazione termale;
C)una necropoli altomedioevale, di VI sec. d.C., che riutilizza spesso oggetti più antichi.
In quest'ultima necropoli è stato ritrovato un sarcofago in marmo, di epoca severiana
(fine I1 - inizi I11 sec. d.C.), scolpito, con al centro una scena raffigurante Dioniso, il dio del
vino; ai lati e sul coperchio vi sono figure di amorini alati. È un prodotto di alto artigianato:
esso presuppone la presenza sul posto, oltre che di pescatori e marinai, anche di persone di una
certa ricchezza, che potevano permettersi l'acquisto di tale prodotto. Il sarcofago fu riutilizzato
più volte per sepolture, fino al VI sec. d.C. Altri sarcofagi simili, nel territorio, sono stati
ritrovati a Capaccio e a Vatolla2g2.
Nel V-VI secolo d.C. gli abitanti di Herculia verosimilmente ripararono sul promontorio,
per sfuggire alle incursioni barbariche, ed utilizzarono la zona di S. Marco come necropoli.
Ormai gli abitanti, arroccati sul promontorio, hanno costruito un borgo, che in seguito sarà
fortificato dai Bizantini e chiamato Akropolis.
Nasce così la città, e poco dopo vi si rifugia anche il vescovo Felice di Paestum,
responsabile di una vasta diocesi estesa fino a Velia, Bussento e Blanda, al quale il papa
Gregorio Magno invia una lettera nel 592 d.C., prima testimonianza ufficiale dell'esistenza
della città293.

Le oscillazioni della linea costiera


I ritrovamenti sul litorale di S. Marco di Agropoli, dagli anni '70 fino ad oggi, sono stati
anche occasione per uno studio, svolto da Piero Cantalupo e Carmen Rosskopf, sulle
oscillazioni della linea della costa in epoca romana294.
Nel I sec. a.C. il piano di campagna si trovava a quote notevolmente inferiori rispetto a
quello attuale, owero il livello marino era più basso. Successivamente il litorale e
l'insediamento di Herculia sono stati interessati da una serie di oscillazioni, tra la fine del I sec.
a.C. e la fine del I11 sec. d.C., che hanno portato all'innalzamento progressivo del piano di
campagna, dovuto all'innalzamento progressivo del livello marino e quindi della falda
acquifera.
Gli abitanti di Herculia avevano notevoli difficoltà di drenaggio, cui cercavano di
rimediare mediante delle canalizzazioni e mediante l'innalzamento dei piani di calpestio
nell'abitato; anche nella necropoli si sono trovate sepolture a diverse profondità.
Verso la fine del 111 sec. d.C. questo movimento sembra essersi stabilizzato, a quote di
livello molto simili e forse leggermente superiori a quello attuale. -
Tale movimento dove'te interessar@'VRtu'il%tbrale cilentano, tanto da sommergere il
porto di Paestum e parte dell'isola di Licosa. Più complessa era la situazione di Velia, dove
interagivano fenomeni marini e fluviali.
Quello che sembra certo è che non si trattò di un movimento bradisismico, ossia di
abbassamento del suolo continentale, ma al contrario di un innalzamento del livello marino,
dovuto forse ad un aumento della temperatura planetaria.

Testimonianze cristiane ad Agropoli


Nella necropoli alto-medioevale di S. Marco di Agropoli è stata ritrovata, riutilizzata
come un semplice pezzo di marmo per coprire una sepoltura di VI sec., una epigrafe cristiana
del V sec. (v. scheda 5 nella parte di F. Arcuri), ed una lucerna con le iniziali del nome di Cristo
e il segno della croce: sono le testimonianze più antiche del cristianesimo ad Agropoli.

292 Vd. P. CANTALUPO, Acropolis, cit., pp. 36-37; F. ARCURI, Il sarcofago dionisiaco di Agropoli (Sa): ricerche
stilistico-formali, "Annali Storici di Principato Citra", 111, 1-2, 2005, pp. 124-138. Nel territorio di Agropoli, un altro
sarcofago romano è stato segnalato, in frammenti, incassato in un torrente della localith San Biagio, zona Mattine.
293 Gregorio Magno, Epist., II,43.
294 P. CANTALUPO, C. ROSSKOPF, Tracce geoarcheologiche di variazioni ambientali storiche sulla costa di
Agropoli (Cilento, sud Italia), "I1 Quaternario (Italian Journal of Quaternary Sciences)", 10, 1, 1997, pp. 121-130.
Lucerna cristiana proveniente dalla necropoli di S. Marco di Agropoli (Museo di Paestum)

Ad Herculia dunque, nel V sec. d.C., vi era una comunità cristiana, con dei sacerdoti
(menzionati nell'epigrafe) ed un luogo di culto. In questo ambiente cristiano può essere nata la
leggenda della sosta di S. Paolo ad Agropoli, durante il suo viaggio per mare da Reggio a
Roma295.
L'evento forniva un'origine prestigiosa alla chiesa locale, e doveva essere plausibile, se si
pensa che Herculia era posta negli itinerari marittimi come scalo tra Velia e Paestum.
Nella vicina Paestum, già nel 344 d.C., il cristianesimo era una religione largamente
diffusa296: infatti in un documento pubblico pestano viene adottata la formula ambigua ma
sostanzialmente cristiana "Deus te servet", "Dio ti dia la salvezza", per un certo Helpidius,
proposto come patrono della colonia297. Del resto, già nel Codice Teodosiano298, per l'anno 319,
sono attestate delle comunità cristiane in Lucania.
È noto inoltre che Paestum divenne presto sede vescovile299: nonostante la prima
attestazione sicura sia del 649 relativa al vescovo Johannes, il promo che portò questo nome,
non mancano ipotesi di vescovi pestani attivi già a partire dal V secolo: per il 431 è conosciuto
il lucano Exuperantius300; per il 465 Laurentius, per gli anni 499-502 Florenttus "Ple~tano"3~~;
per il 590 Leonardus, primo di tal nome, per l'anno 592 Felice vescovo pestano ma rifugiatosi
ad Agropoli, incaricato dal papa Gregorio Magno di visitare Velia, Bussento e Blanda3O2.

295 Cfr. Atti degli Apostoli, 28, 12-13.


296 Vd. M. MELLO, Studi Paleocristiarzi, cit.
297 CIL X 478 = D 61 14 = ILP 108.
"* Codice Teodosiano, XVI, 2,2.
299
Gregorio Magno, Epist., 11, 43 (in Patrologia Latina, T. LXXVII, col. 58 1). Vd. G. VOLPI, Cronologia dei vescovi
pestani ora detti di Capaccio, Napoli, 1752, p. 2; P. F. KEHR, Regesta P o n t i ~ c u ~Romanorum.
~z Italia Pontificia, vol.
VIII, Berlin, 1935, pp. 367-370; M. MELLO, Paestum Romana, cit., pp. 166-168; P. CANTALUPO, Acropolis, cit., pp.
64-65; L. ROSSI, Vallen in Lucania. Storia di una diocesi, Ed. del Centro di Promozione Culturale per il Cilento,
Acciaroli (SA), 2001, che in appendice ricostruisce la cronologia integrando quelle precedenti.
300 Patr. Lat., LIII, C. 861.
301 Acta Synhodi, anno 499,44 e 49; anno 502,42.
302 Gregorio Magno, Epist., II,43. Blanda, oggi per lo più identificata con Tortora Marina.
Il nome romano del Cilento costiero
Una famosa espressione del geografo Solino, vissuto fra il I11 e il IV secolo d.C., ed
epitomatore dell'opera di Plinio il Vecchio, ricorda le Paestanae valles, le "valli pestane", tra le
località memorabili dell'Italia303. L'espressione, presa isolatamente, non è chiara, per cui è
necessario considerarla nel suo contesto.
Solino sta parlando della posizione geografica del171talia,estesa in lunghezza dalle Alpi a
Reggio e ai lidi dei Bruzi. Essa, con i monti Appennini, si pone fra il mar Tirreno e l'Adriatico,
simile ad una foglia di quercia, molto più estesa per lunghezza che per larghezza304.
"Alla più lontana punta, l'ltalia si scinde in due estremità, delle quali l'una si volge al
mar Ionio, e l'altra al mar Siculo. Fra queste prominenze, non accoglie un solo golfo che si
insinua nella terra, ma molto frequentemente riceve lingue di mare protese, separate da
promontori che si susseguono. Elencando qua e là questi (promontori) che ci vengono
incontro, troviamo le rocche di Taranto, la regione di Scilla, con la città di Scilleo e il fiume
Crateide (dal nome della madre di Scilla, come racconta un'antica leggenda), i pascoli
boschivi di Reggio, le valli Pestane, qli scoqli delle Sirene, aradevolissimo tratto della
Campania, i campi Flegrei, Terracina sede di &ce, in precedenza isola circondata dal vasto
mare, ed ora nella nostra epoca congiunta al continente (sperimentando una sorte diversa
da quella dei Reggini, che da un braccio di mare intermedio sono stati separati con la forza
dai Siculi), Formia abitata una volta dai Lestrigoni, ed inoltre molti altri luoghi, esposti
minuziosamente da autorevoli scrittori, per cui si è preferito, con maggior cautela,
tralasciare piuttosto che continuare con descrizioni di sintesi"305.
Da tutto il brano, emerge abbastanza chiaramente che Solino sta descrivendo le penisole
ed i promontori dell'Italia meridionale, sparsim, qua e là, limitandosi a poche segnalazioni, da
Taranto a Formia. Due, dice, sono quelli principali, ossia la penisola Salentina e l'odierna
Calabria. Altri promontori che si incontrano lungo la costa, intervallati da golfi e rientranze,
sono costituiti dalla zona di Taranto (arces Tarentinae),di Crotone (Scylacea regio), di Reggio
(Regini saltus), di Paestum (Paestanae valles),la Penisola Sorrentina (Sirenum saxa), i Campi
Flegrei, la zona di Formia e Gaeta, e quella di Terracina con Monte Circeo. L'indicazione fa
spesso riferimento al mito, ma, in ogni caso, i luoghi sembrano ben individuati, e sono quei
promontori dopo i quali, per chi naviga, si apre un altro golfo o tratto di mare prima non
visibile. Ed i promontori non sembrano, in tale visione, dei "capi" isolati, ma vaste aree
(regiones) protese nel mare, caratterizzate da elementi mitici (Scilla, le Sirene, Circe) o più
propriamente geografici (i Regini saltus, le Paestanae valles).
Dunque, per identificare le Paestanae valles quale ampia regione protesa nel mare,
bisogna escludere la piana di Paestum; penseremmo piuttosto alla zona, parimenti famosa
nell'antichità, di ipxvtaJ.&osa, ma con tutto il territorio retrostante, con al suo centrp.,i~~,&l~nt~
, * S . .,
della Stella, che separa il navigante, proveniente da sud, dall'ampio golfo di Salerno, una volG
Paestanus sinus. Dunque, Paestanae valles, riferito strettamente alla visuale dalla costa,
varrebbe ad indicare l'intera sporgenza dell'attuale Cilento. È un territorio caratterizzato da
fertili vallate collinari che si affacciano sul mare; fra queste, la prima, dopo la Piana Pestana, è
la valle del Testene con i suoi affluenti, difesa dal promontorio di Agropoli. Altre ampie vallate
si aprono a S. Maria e S. Marco di Castellabate, ad Ogliastro Marina, ad Agnone, ad Acciaroli, a
Pioppi. Si tratta di un territorio fortemente antropizzato in età romana, per il quale esistono

303 Solino, II,22.


304 L'immagine della "foglia di quercia" è significativa: gli antichi geografi dovevano avere davanti una cartina certo
molto simile alla cd. Tabula Peutiizgeriana (cÒpia medioevale di un originale tardo romano), con le terre emerse
dis oste nel senso della lunghezza.
" Solino, 11, 21-22: "(21) Obi longius abiit, in cornua duo scinditur, quorum alterum loniunz spectat oequor, alterum
Siculunz: inter quas pronzinentias non uno margine accessunz insinuati freti recipit, sed linguis proiectis saepius ac
procurreiztibus distinctum proinurztoriis pelagus accipit, (22) ibi, ut obvia sparsim notemus, arces Tarerztinae, Scylacea
regio cum Scyllaeo oppido et Crateide flumine Scyllae matre, ut vetustasfabulata est, Regini saltus, Paestanae valles,
Sirenuin s u a , amoenissimus Campaniae tractus, Phlegraei campi, Circae domus Tarracina insula unte circumflua
inmenso mari, nunc aevo nectente addita continenti diversamque forturzam a Reginis experta, quos fretum medium a
Siculis vi abscidit, Formiae etiam Laestrygonibus habitatae, nzulta praetera pollentissimis ingeniis edissertata, quae
praeterire quam inferius exequi tutius duxirnus". Cfr. Plinio il Vecchio, Nat. hist., III,43; 56; 57; 59; 73; 86.
diverse testimonianze letterarie, epigrafiche ed archeologiche; in epoca medioevale, i numerosi
insediamenti, casali, cenobi e monasteri lungo queste valli ne attestano il perdurare della
ricchezza produttiva.
C'è anche un altro punto, riguardante specificamente la navigazione antica, che ci
conferma la natura delle Paestanae valles. Gli antichi utilizzavano soprattutto la navigazione
costiera a vela, che si giovava di giorno della brezza di mare, spirante dal mare verso terra, e di
notte della brezza di terra, spirante in senso inverso. I1 fenomeno, dovuto a differenze di
temperatura e di pressione, era ben noto306, e permetteva di navigare parallelamente alla costa
con discreta velocità anche quando i venti al largo non erano favorevoli; inoltre, rendeva più
facili le manovre di ingresso e di uscita dai porti. In particolare, le brezze di terra erano più
apprezzate quando esse, incanalandosi in alte vallate fluviali, arrivavano in mare a forte
velocità ed aprendosi a ventaglio3O7. Questo aspetto è sottolineato da un passo di Arriano, che,
descrivendo il periplo del Ponto Eussino, ricorda come i naviganti salpavano alle prime luci
dell'alba, con la brezza che spirava dai fiumi, fredda, ma sufficientemente veloce per chi non
volesse ulteriormente accelerare con i remisog. Da tale punto di vista, l'espressione Paestanae
valles sembra proprio far riferimento non alla vasta piana pestana, ma alle strette vallate del
promontorio cilentano, che sfociando a mare convogliano i venti di terra utili alla navigazione:
un territorio, dunque, la cui "strada" principale fu il mare. Così, dalle nebbie del tempo, sembra
emergere quello che era forse l'antico nome del 2e;ritorio cilentano tra l'Mento e la piana del
Sele: Paestanae valles, le Valli di Paestum, a cominciare da Agropoli e dalla valle del Testene.
Con tutta probabilità, questo nome fu un'eredità del periodo greco e della supremazia di
Poseidonia sul territorio; allo stesso modo, il Golfo di Poseidonia del periodo greco divenne
con i Romani Golfo Pestano, Sinus Paestanus.
Il territorio nel tardo impero
Diocleziano (284-305 d.C.) divise l'Italia in "province", ricalcando le "regioni7'create da
Augusto; ogni provincia era governata da un "corrector7', che doveva occuparsi anche del
pagamento dei tributi. I1 Cilento faceva allora parte della terza provincia, Lucania e Bruzio, che
partiva probabilmente da Salerno, includendo anche l'Agro Picentino.
In quest'epoca, la Lucania è definita "regione ricca e abbondante7'di prodotti agricoli, fra
cui specialmente la carne suina e lardo309, usata anche per il pagamento delle tasse. Infatti le
imposte dovute dalle province, in origine in denaro, furono trasformate in forniture di derrate
alimentari, per il mantenimento della plebe di Roma e dell'esercito. La Lucania dava la sua
parte sotto forma di carne fresca suina e di vino310; fu costituita una apposita corporazione di
"suarii", per svolgere il lavoro di raccolta, trasporto e macellazione del bestiame311. Si è
pensato, per tale periodo, ad una sorta di "specializzazione" economica delle regioni italiane,
per cui in quelle meridionali sarebbe stato prevalente l'allevamento brado, con uno scarso
impiego di forze produttive, mentre nelle regioni settentrionali avrebbe predominato
l'agricoltura, con incremento delle superfici coltivate rispetto alle boschive.
I1 bestiame veniva condotto vivo a Roma attraverso gli ampi sentieri appenninici
utilizzati per la transumanza. Gli esattori ne ricavavano lauti guadagni: se le bestie morivano o

306 Vd. Seneca, Naturales quaestiones, V, 7-9. "Esaminiamo dunque anzitutto quelli che sofSiano prima che nasca il
giorno; essi si sollevano o dai fiumi o dalle convalli o da qualche insenatura. Di questi nessuno è ostinato, ma, quando
il sole via via si rafSorza, cade e cessa di spazzare le terre. Questo tipo di venti comincia in primavera, non dura oltre
l'estate e proviene soprattutto dalle regioni molto ricche di acque e di monti. Le località di pianura, anche se
abbondano di acque, sono prive di brezze; di queste brezze, intendo, che hanno il vigore del vento" (V, 7 , 1-2; trad. di
D. Vottero, Utet, 1989). Di seguito Seneca delinea una spiegazione del fenomeno, per molti versi moderna.
307 Vd. S. MEDAS, De rebus nauticis. L'arte della navigazione nel mondo antico, L'Erma di Bretschneider, Roma,
2004, in part. le pp. 55-58.
308 Arriano, Periplus Ponti Euxini, 5: "Di qui (dal porto di Isso) riprendemmo a navigare con le prime brezze che nel
tempo mattutino spirano dai fiumi, e contemporaneamente spingendo con i remi; iizfatti queste brezze erano fredde,
conte afSerma anche Omero, ma per noi che volevamo navigare più velocemente non erano suflcienti. Poi segui la
bonaccia, per cui proseguintmo utilizzando solo i remi".
309 Expositio tot. mundi, 53-54.
3'0 Codice Teodosiano, XIV, 4,4.
3" Codice Teodosiano, Valent., Nov. 36.
smagrivano durante il trasporto, i contribuenti lucani erano costretti a fornirne altre; se invece
si pagavano le tasse in denaro, gli esattori pretendevano tributi alti, per poi acquistare a prezzi
bassissimi il bestiame e la carne da consegnare a Roma. Ma già a fine TV secolo i suarii se la
passavano male, per l'onerosità dei compiti loro affidati, e tendevano a fuggire dalla
corporazione. A lungo andare, i1 sistema di imposizione dei mestieri e dei compiti instaurato
dall'amministrazione imperiale finì per ridurre al minimo le attività economiche. Anche i
curiales, coloro che amministravano le città e ne sostenevano il peso tributario, cominciarono
a rifiutare gli incarichi pubblici, e a rifugiarsi nelle loro ville rustiche.
Anche nel tardo impero la Lucania sembra avere un duplice aspetto: da una parte si
accenna ai suoi "campi amenissimi" e "dolci"312; dall'altra, in alcune fonti, la Lucania è ancora
descritta come una regione orrida, con alte montagne, rocce e dense foreste, quale ce la
descrive Avieno.
"Quindi la regione dei Lucani orrida per le rocce / che si levano in alto; i molti sassi
appuntiti rendono aspro / il suolo già ostile, e leforeste sono buie per gli alberi densi"^
Probabilmente si tratta di un topos, un "luogo letterario", riferito solo alle zone interne, e
smentito da altre fonti che mettono in risalto la ricchezza produttiva della Lucania e i suoi
"dolci rifugi", anche in epoca tarda. Chiaramente, le caratteristiche geografiche della Lucania,
con i loro diversi ambienti, si prestavano a descrizioni di segno opposto. In ogni caso, c'è stato
un cambiamento del paesaggio agrario nel basso impero: i campi coltivati si sono
notevolmente ridotti, confluendo nei saltus, riducendosi cioè a pascolo; predomina sempre più
l'economia pastorale, in proprietà di enorme estensione. I porti lungo la costa tuttavia sono
sempre attivi; un'attività importante è la pesca.
Significativa è una testimonianza di Paolino di NolaS14. I1 senatore Postumiano ha vasti
possedimenti in Lucania; sulle coste di sua proprietà naufraga una nave oneraria proveniente
dalla Sardegna e carica di grano, diretta a Roma. La nave, avvistata dai pescatori presso la riva,
viene rimorchiata con le barche nel loro porto. Ma l'intendente di Postumiano se ne appropria,
e Paolino di Nola scrive all'amico Macario affinchéintervenga presso Postumiano, e la nave col
suo carico sia restituita al legittimo proprietario.
Nel IV - V sec. d.C., le fonti letterarie e archeologiche testimoniano la vitalità della
Lucania, di Velia e di Paestum, anche se con una certa difficoltà, allorché gli abitanti sono
costretti a rifugiarsi sui centri collinari, a causa delle invasioni barbariche: i Visigoti di Alarico,
i Vandali di Genserico, si succedono nel devastare il territorio. Le città difese da mura efficienti
resistono, ma gli abitati costieri e i villaggi scompaiono, distrutti o abbandonati.
Così si ha una totale interruzione della vita urbana ad Herculia verso la fine del V sec.
d.C., e il sito viene utilizzato solo come necropoli. Gli abitanti si sono rifugiati sul promontorio
di Agropoli, in un luogo comunque vicino allo scalo marittimo alla foce del TesteneW
. .q -
4 L , T',

DA TEODORICO
ALLA RICONQUISTA DI GIUSTINIANO(476-568)

Passato il pericolo delle invasioni, con la stabilità raggiunta dall'Italia sotto Teodorico e
gli Ostrogoti, l'intera regione lucana sembra riprendersi. Nei porti lucani ancora attivi si
trovavano le basi dei "naviculares", cioè proprietari di navi, armatori lucani, menzionati da
Cassiodoro316 per gli inizi del VI sec., quando il re Teodorico li invita a trasportare generi
alimentari in Gallia, afflitta da una carestia (anno 508/511 d.C.). Dal brano di Cassiodoro si
deduce sia il perdurare della ricchezza produttiva della Lucania, ricca di vettovaglie, sia una
notevole attività dei suoi naviculares. Si è ipotizzato che tali naviculares lucani
necessariamente sfruttino per la loro attività le foci dei grandi fiumi (Sele, Alento, Bussento) ed
altri porti lungo la costa: Velia, S. Marco di Castellabate, la baia della Licina di Agropoli.

3'2 Eutropio, X, 2,3.


313 Avieno, Descriptio orbis terrae, vv. 502-504.
314 Paolino diNola, Epist., 49.
315 Vd. P. CANTALUPO, Acropolis, cit., p. 5 1 .
3'6 Cassiodoro, Var., IV, 5.
La ripresa della Lucania sembra testimoniata anche dal fatto che Eusebio, funzionario di
Teodorico, vi passa un lungo periodo di vacanza (otto mesi!) per ritemprarsi~.Riteniamo
interessante riportare quest'ultimo brano, dal quale si evince come i lidi della Lucania erano
ancora (come al tempo di Orazio) una ambita meta per vacanze "di qualità" e salutari. Inoltre,
va osservato che Eusebio non fa parte della corte di Ravenna, ma del senato di Roma: i senatori
romani, come era loro antica tradizione (già con Emilio Paolo nel I1 sec. a.C.39, continuano a
! frequentare le sedi amene della costa lucana.
"All'illustre Eusebio, il Re Teodorico. Dopo i tumultuosi impegni cittadini, accresciuti
i dalle noie e dalle molestie della burocrazia, desideri liberarti dal tuo uficio nella dolcezza
1I della provincia, giustificandoti con le attuali gravose faccende, terminate le quali desideri
godere della tranquillità della campagna. E poiché davvero con le nostre disposizioni ti è
stata data questa garanzia, quando giungerà il tempo in cui sarai libero dalle attuali
occupazioni, con il nostro permesso ti concediamo otto mesi di riposo nei dolci rifugi della
Lucania, da computare dal momento in cui, col favore divino, ti sarà possibile uscire dalla
città. Trascorsi i quali, come è desiderio di molti, a . e t t a t i a tornare nella tua sede di Roma,
restituendoti alla comunità dei nobili e a una conversazione degna del tuo rango"319.
La ricchezza economica della Lucania è attestata anche dalla descrizione di Cassiodoro a
proposito del mercato di Leucotea, nel Vallo di Diano, presso la località di S. Giovanni in
"Fofite, helle vicinanze di Sala Consilina320. Dal 14 al 16 settembre vi accorrono acquirenti e
venditori, di ogni genere di prodotto, anche dalle regioni vicine, e questo fatto la rende una
delle più importanti fiere dellYItalianell'epoca di Teodorico321.
Le merci specificamente ricordate sono bestiame, tessuti e schiavi fanciulli (era una
antica pratica, condannata dalle autorità, ma sempre in uso presso i ceti rurali più poveri, che
consisteva nel "vendere" come servitori i figli agli abitanti delle città, per assicurare loro
comunque una vita migliore rispetto alla dura fatica del campi). I1 mercato è connesso alla
festa religiosa di San Cipriano e al miracolo della crescita delle acque, forse un antico rito
pagano in onore di Leucotea.
Ma la tranquillità della fiera era minacciata, e Cassiodoro fa intendere che le violenze dei
contadini locali contro i commercianti forestieri presenti alla fiera erano dirette dai proprietari
o affittuari delle numerose massae esistenti nei dintorni: solo con la loro collaborazione si
poteva far svolgere in sicurezza la fiera. Evidentemente, questi grandi possidenti avevano una
notevole capacità di controllare e organizzare la popolazione contadina, la stessa che avrà
Tulliano322, un potente senatore locale che riuscì con un piccolo esercito di contadini a bloccare
per breve tempo i Goti di Totila ai confini della ~ u c a n 6nel 546. Sembra esistere in Lucania
una organizzazione della grande proprietà terriera mediante massaejùndorum, agglomerati di
fondi rustici di vario tipo e misura compresi in un territorio pertinente ad una città (ed in
questa inventariati e tassati), che davano redditi elevati, condotti da grandi possidenti privati,
aristocratici e burocrati323.
Ma, dopo la scomparsa di Teodorico, vi fu un calo della produzione agricolo-pastorale ed
un impoverimento generale dei contribuenti; ciò si deduce dalla riduzione del canone di carne
fiscale per la Lucania da 1200 a 1000 solidi324, riduzione che però non bastò ad evitare una
ribellione dei possessores e dei rustici325. In effetti, le nuove disposizioni avevano sostituito la
fornitura di carne suina col pagamento direttamente in denaro liquido; il denaro tuttavia
scarseggiava, nonostante la riduzione delle imposte, e di qui il malumore dei contribuenti, i
quali insorsero anche contro gli eserciti goti di passaggio che si erano dati alla rapina e al

317 Cassiodoro, Var., IV, 48 (lettera degli anni 507-5 11 d.C.).


318 Plutarco, Aemil., 39, 1-3.
319 Cassiodoro, Var., IV, 48.
320 Cassiodoro, Var., VIII, 33 (lettera del 527 d.C.).
321 Vd. E. GABBA, Mercati efiere nell'ltalia romana, "Studi Classici e Orientali", XXIV, 1975, pp. 141-163; V. A.
SIRAGO, La Lucania nelle "Variae" di Cassiodoro, "Studi Storici Meridionali", 5, 1985, pp. 143-161.
322 Procopio, Gotlz., 111, 22.

323 Vd. D. VERA, Sulla (ri)organizzazione agraria dell'ltalia meridionale in età imperiale: origini, forme e funzioni
della massa fundorunz, in E. LO CASCIO, A. STORCHI MARINO (a cura di), Modalità insediative.. ., cit., pp. 613-633.
324 Cassiodoro, Var., XI, 39.
325 Cassiodoro, Var., XII, 5; anni 535-536.
1 saccheggio dei campi. L'attrito della popolazione con i Goti è evidente, ed al momento

l opportuno passerà tutta dalla parte dei Bizantini.


Paradossalmente, i coloni lucani difendevano in tal modo sia il diritto dei padroni alla
proprietà dei fondi, sia il loro stesso diritto a risiedere su quei fondi, certamente quasi alla
stregua di schiavi, ma comunque sicuri della loro sopravvivenza nell'ambito del sistema del
colonato. I1 benessere generale del quinto secolo e dei primi decenni del sesto certamente
aveva toccato, in qualche misura, anche questi ceti contadini meridionali, che ora, minacciati,
prendevano le armi accanto ai padroni per difendere il sistema.
I1 periodo di tranquillità costituito dal regno di Teodorico fu così di breve durata, e fu
seguito dalle disastrose guerre gotiche (dal 535 al 553), che spopoleranno le regioni
meridionali. Giustiniano, volendo ricongiungere all'impero d'oriente le regioni occidentali,
inviò una spedizione in Italia; uno dei primi territori conquistati dai Bizantini che risalivano
verso Roma, per terra e per mare, fu la Lucania tirrenica. Sul promontorio di Agropoli, i nuovi
arrivati Bizantini costruiranno un kastron, un centro fortificato, che sarà il primo nucleo della
cittadina chiamata Acropoli da Gregorio Magno nel 592.

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CITI'À DI AGROPOLI
Assessorato all'ldentìtà Culturale

Profilo storico

EDIZIONI DEL
CENTRO DI PROMOZIONE CULTURALE PER IL CILENTO
AUTORI:
Fermando La Greca
DALLAPREISTORIAALLE SOGLIE DEL MEDIOEVO.FONTILETTERARIE

Flaminia Arcuri
DALLAPREISTORIAALLE SOGLIE DEL MEDIOEVO.FONTIARCHEOLOGICHE

Piero Cantalupo
DALLEINVASIONI BARBARICHE ALLA GUERRA DEL VESPRO

Antonio Capano
DALLA CRISI DEL TRECENTO
AL PERIODO FRANCESE

Domenico Chieffallo
DAGLIALBORI DELL'O?TOCENTO
AL SECONDO
DOPOGUERRA

COORDINAMENTO: Amedeo La Greca

AGROPOLI
PROFILO STORICO

@ 2008 - CITTÀ DI AGROPOLI


Edizioni del Centro di Promozione Culturale per il Cilento
Via N. Bixio 59 - Acciaroli (SA) - Tel. e fax: 0974 904183
Internet: www.cilentocultura.it
Fernando La Greca
DALLAPREISTORIA ALLE SOGLIE DEL MEDIOEVO. FONTI
LETTERARIE
PREMESSA
L'ETÀ ARCAICA (fino al 501 a.C.)
ILQUINTO SECOLO (500-40 1 a.C.)
IL QUARTO SECOLO (400-301 a.C.)
I "Lucani tirrenici"
Alessandro il Molosso
Poseidonia "colonia Tarantina"
Il territorio
ILTERZO SECOLO (300-201 a.C.)
La conquista romana
Il territorio durante la guerra annibalica (218-201 a.C.)
DALSECONDO SECOLO ALLA FINE DELLA REPUBBLICA (200-31 a.C.)
Il villaggio romano di Herculia sul lido di San Marco di Agropoli
I1 territorio dal periodo post-annibalico alla guerre civili
Ville romane
ILPERIODO IMPERIALE (31 a.C. - 476 d.C.)
Floridezza del territorio in epoca imperiale
Il villaggio di Herculia
Le oscillazioni della linea costiera
Testinzonianze cristiane ad Agropoli
Il nome romano del Cilento costiero
Il territorio nel tardo impero
DATEODORICO ALLA RICONQUISTA DI GIUSTINIANO (476-568)
BIBLIOGRAFIA

Flaminia Arcuri
DALLAPREISTORIA ALLE SOGLIE DEL MEDIOEVO. FONTI ARCHEOLOGICHE
PREMESSA
PREISTORIA RECENTE: IL NEOLITICOFINALE (IV/III millenni0 a.C.)
PROTOSTORIA: ETÀ DEL BRONZO FINALE (XII - X secolo a.C.)
Promontorio di Agropoli
Punta S. Marco
Ipofesi di modello territoriale della piuna del Sele
ETÀ GRECA
Promontorio di Agropoli
Punta Tresino: Sambuco e Vallone
Scheda 1: Le terrecotte architettoniche del tempio
Scheda 2: Le ancore in pietra
ETÀ LUCANA
Il conzprensorio di Agropoli
Scheda 3: Le tombe di contrada Vecchia e Moio
Il promontorio di Agropoli
ETA'ROMANA
Punta Tresino: Sambuco e Vallone
Scheda 4: Le ancore "romane"
Le ville romane del conzprensorio
L'abitato romano di S. Marco di Agropoli
Scheda 5: I1 sarcofago dionisiaco
ETÀ ALTOMEDIEVALE
Scheda 6: L'epigrafe cristiana di S. Marco di Agropoli
BIBLIOGRAFIA

Piero Cantalupo
DALLEINVASIONI BARBARICHE ALLA GUERRA DEL VESPRO
UNKÀSTRON BIZANTINO: A K R ~ P O L I S
I LONGOBARDI IN LUCANIA
I SARACENI E IL RIBAT DI AGROPOLI
ILRISVEGLIO ECONOMICO DEL X SECOLO
LECIRCOSCRIZIONI DI LUCANIA E DI CILENTO. LA C 0INQUISTA NORMANNA
L'ETÀ NORMANNA (1077 - 1189)
La fortuna del nome "Cilento"
Dall'Actus Cilenti alla Baronia di Cilento
La badia di Cava e il Cilento
La Contea di Capaccio
ILFEUDO DI AGROPOLI
L'ETÀ DEGLI SVEVI (1189-1266)
La congiura di Capaccio
IL PERIODO ANGIOINO (1266- 1442)
La guerra "del Vespro" (1282-1302)
BIBLIOGRAFIA

Antonio Capano
DALLACRISI DEL TRECENTO AL PERIODO FRANCESE
SOTTOIL GOVERNO ANGIOINO: OLTRE UN SECOLO DI INSTABILITÀ
LARISTRUTTURAZIONE DEL CASTELLO
UNNUOVO ASSETTO FEUDALE
ASPETTIDI VITA ECONOMICA NELLA SECONDA METÀ DEL QUATTROCENTO
La fiera di S. Pietro
Altre rendite ed onerifiscali
INIZIA IL DOMINIO SPAGNOLO
DOPOIL 1552: I NUOVI NOBILI
Proventi e debiti
L'organizzazione ecclesiastica
La denzograf a
ILSEICENTO
Successioni feudali
Aspetti istituzionali ed economici
L'organizzazione ecclesiastica
L'assalto turco del 29 giugno 1630
L'insurrezione popolare del 1647 ed il banditismo
La peste del l656
SOCIETÀ ED ECONOMIA DOPO LA GRANDE CRISI
Il catasto antico del 1663 ed alcune osservazioni sulla demografa
La "andetta " del l69l/l713
ILSETTECENTO
Ultime vicende feudali
L'organizzazione ecclesiastica
Il Catasto onciario del 1754
La carestia del 1764
La Rivoluzione napoletana e Luisa Sanfelice
ASPETTIDEL DECENNIO NAPOLEONICO (1806-18 15) AD AGROPOLI
La Statistica Murattiana del 1811
Le Memorie di Vincenzo Gatti (1814) ed Agropoli
Il catasto provvisorio (1812-1814)
Toponinzi ed insediamento rurale ed urbano (catastoprovvisorio del 1814)
Quadro sintetico dello sviluppo demografico dal più antico censimento
al periodo francese
BIBLIOGRAFIA

Domenìco ChìefSallo
DAGLIALBORI DELL'OTTOCENTO
AL SECONDO DOPOGUERRA
LAREALTÀ SOCIO-ECONOMICA
AGLI INIZI DELL'OTTOCENTO
Le condizioni del1'Agricoltura
Aspetti di vita sociale
Una piccola borghesia dì provincia
Contadini, pescatori e braccianti
I trovatelli
Vita religiosa
ILSERVIZIO POSTALE
LASITUAZIONE IGIENICO-SANITARIA
Il Cimitero
Il Colera nel 1866
La Malaria
Agropoli nel1 'inchiesta ministeriale del l885
L'ISTRUZIONE PUBBLICA. LEPRIME SCUOLE
AGROPOLI NEI MOTICILENTANI. PATELLA
LAFIGURA DI FILIPPO
1PRIMI EVENTI CHE TRASFORMANO AGROPOLI
L'EMIGRAZIONE
1PRODROMI DELLA DESTINAZIONE TURISTICA DEL PAESE
LAREALTÀ SOCIO-ECONOMICA AGLI INIZI DEL NOVECENTO
L'EMIGRAZIONE NEL PRIMO NOVECENTO
NEGLIANNI DELLA GRANDE GUERRA
LA "Spagnola nel 1918 / 1919
"

AGROPOLINEL PERIODO DEL FASCISMO


L'ISTRUZIONE PUBBLICA NEL NOVECENTO
L'ATTIVITÀ MARINARESCA
LABONIFICA
Il mancato decollo dell'economia locale
NEGLIANNI DELLA 11GUERRA MONDIALE
ILDOPOGUERRA: CRISI ECONOMICA ED EMIGRAZIONE
LAVITARELIGIOSA
DALSECONDO DOPOGUERRA VERSO UNA NUOVAREALTA

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