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A composer’s world – Paul Hindemith

Se la musica influenza gli ambiti intellettuali ed emozionali delle nostre attività mentali, deve esistere per
ciascun effetto raggiunto in questi ambiti una causa corrispondente. Il materiale di costruzione musicale –
successione di differenti suoni nel loro infinito numero di combinazioni – fornisce queste cause. È il
compositore che si suppone conosca l’intima relazione delle cause musicali e gli effetti intellettuali ed
emozionali, e ad orientare la successione di suoni consapevolmente ed abilmente al punto dove essi
esercitano la loro attesa influenza. Non c’è dubbio che nel pesare e confrontare cause ed effetti egli deve
avere, al di là dell’artigianato, un dono innato di misurare le relazioni in modo ed intensità di queste due
componenti di impressione musicale. Una certa divinazione è necessaria per sollevare un tale processo di
valutazione oltre il livello primitivo di calcolo materialista o semplice empirismo. Riconoscendo tale
elevatezza negli sforzi del compositore, noi siamo facilmente inclini ad attribuirgli cosa sembra essere la più
caratteristica qualità della mente compositiva che lo differenzia dalla sobria folla di non-compositori: il
possesso di idee creative, di ispirazione musicale. Sebbene noi dobbiamo ammettere che l’ispirazione
musicale è, nella sua ultima profondità, inspiegabile come la nostra capacità di pensare in generale, noi non
dobbiamo pensare ad esso come una manifestazione irrazionale, interamente non controllabile. Dopo
tutto, l’ispirazione musicale, come qualsiasi altro tipo di ispirazione artistica o scientifica non è senza limiti.
Essa opera entro i limiti tracciati dalla qualità del materiale del mezzo artistico che causa gli effetti
premenzionati e lo stato di erudizione mentale e preparazione nella mente dell’individuo che li sperimenta.
Riconoscendo queste limitazioni ci aiuterà a capire più chiaramente le possibilità dell’immaginazione di un
artista. Quindi, se noi conosciamo le limitazioni specifiche che un poeta incontra nell’usare un certo
linguaggio con i suoi aspetti caratteristici, non potremo pretendere che egli forzi il suo materiale in ambiti di
espressione che sono alieni alle sue qualità; non potremo scambiare l’ispirazione del poeta con quella del
compositore, che a sua volta è limitato materialmente dalle proprietà completamente diverse del suo
materiale di lavoro, la successione di suoni. E ciò che vale con i materiali costruttivi dei poeti e dei musicisti
vale anche per i pittori, gli architetti, gli scultori, e altri artisti. Oltre le specifiche limitazioni prescritte da
ciascun materiale di costruzione d’arte, il compositore sembra essere limitato in modo peculiare per il suo
mestiere e non conosce gli altri artisti creativi. Quest’arte, sebbene attraverso l’immaterialità e
l’insensatezza del suo materiale di costruzione è forzata a soffermarsi tecnicamente su un livello molto alto
di sublimazione ed astrazione, sembra, con rispetto alla sua immediata impressione sul destinatario, di un
valore minore di tutte le altre arti. Dacchè la musica si affida così tanto sulle nostre emozioni, che vanno e
vengono come vogliono, incontrollate e non dirette dalla nostra ragione, essa occupa un posto nella linea di
confine tra le arti e la semplice impressione sensuale. I suoi effetti sembrano essere simili a quelli esercitati
sui sensi incontrollabili dell’olfatto e del gusto. In tutte le altre arti è la nostra potenza di ragionare che
viene prima soddisfatta, prima che un godimento estetico di una creazione artistica: le parole di una poesia
devono essere intese in loro significato verbale prima che la sua strutturale bellezza o l’elevatezza spirituale
possa essere apprezzata; il soggetto di un dipinto o le sue lineazioni astratte devono entrare nella nostra
coscienza prima che qualunque reazione emozionale possa prendere posto. Con la musica è diverso. Essa
tocca le nostre emozioni prima e noi siamo vittime indifese dei suoi attacchi. Solo dopo che la reazione
emozionale è stata rilasciata attraverso i suoni della musica può la nostra potenza di ragionare e prendere
possesso dell’impressione artistica e trasformarla in soddisfazione estetica – a titolo di co-construzione
mentale, come sappiamo. Questo modo inverso di azione nello stimolo impressionale di una composizione
musicale è la ragione per un livello relativamente basso su cui la musica fa il suo appello iniziale, come è
stato appena menzionato. Certamente sappiamo che la musica compensa i suoi destinatari in un modo non
accessibile alle altre arti. Il range di emozioni che essa può toccare è infinitamente più ampio, la varietà
entro questo range è illimitata, il tempo di emozioni consecutive è incredibilmente veloce. Noi conosciamo
le ragioni di questo: le emozioni liberate dalla musica non sono emozioni reali, esse sono pure immagini di
emozioni che sono state sperimentate prima, e noi sappiamo circa la nostra tecnica inconscia di scoprirle
nei loro nascondigli mentali. La pittura, la poesia, la scultura, i lavori di architettura, dopo averci
impressionato coscientemente nella maniera menzionata, non – contrariamente alla musica – rilasciano
immagini di sentimenti; invece essi parlano al sentimento reale, non trasformato ed non modificato.
(Certamente, le memorie aggiuntive di precedenti sentimenti possono sempre partecipare per migliorare
l’effetto artistico.) L’allegria rilasciata dagli esempi di queste arti è vera allegria, non un ricordo
immagazzinato di una precedente esperienza di allegria; la tristezza è tristezza reale. Questo è dimostrato
dal fatto che questi sentimenti reali perdono interamente il range, la varietà, e la velocità delle immagini di
sentimenti evocati dalla musica, con il loro delirio, quasi una maniera folle di apparenza. A differenza di
queste immagini di feelings, essi sono relativamente semplici, necessitano tempo per svilupparsi e per
sfumare e non possono apparire in rapida successione.

II
Un tipo di limitazione è comune a tutte le arti: essi sono soggetti ai limiti circoscritti dalle nostre comuni e
terrestri esperienze sensuali umane di tempo e spazio. Nessun artista, nessun artigiano è stato mai in grado
di trasgredire queste limitazioni, nonostante l’uso comune di termini metaforici, vaghi ed esagerati nelle
discussioni artistiche che per chi non lo sapesse potrebbe facilmente suggerire che tali risultati sono stati
raggiunti o almeno tentati. Né potrebbe suggerire immensurabile grandezza, come visto nel campo
specifico dell’astronomia, né potrebbe essere creata un’immagine di infinita piccolezza come conosciuto in
fisica. Le arti in questo rispetto sono, nonostante la loro grande potenza suggestiva, sono realmente ed
inamovibilmente legati alla terra. Gli effetti di un’arte sulla nostra capacità recettiva può solo impiegare
elementi di spazio, così come l’architettura, la scultura, e la pittura; o l’elemento di tempo soltanto, come fa
la poesia; o essa potrebbe operare in entrambe, come fa il teatro e i film. È sempre l’arte della musica che
non può essere catturata in una rete di relazioni spaziali e temporali con la stessa facilità delle altre arti. Noi
non possiamo negare che le progressioni musicali evocano nella nostra mente sensazioni di natura sia
temporale che spaziale, ma le seguenti indagini mostreranno che le sensazioni del tempo e dello spazio
musicale non sono identiche al tempo e allo spazio sentiti nella vita di tutti i giorni o negli effetti estetici di
lavori non musicali di arte. Il tempo musicale nel suo effetto sui nostri sentimenti è facilmente
comprensibile purchè utilizza arrangiamenti temporali che non sono essenzialmente differenti dal tempo
‘normale’. Questo è il caso quando esso è totalmente o predominantemente espresso in una successione
metrica di unità temporali, la cui proprietà principale è la ricorrenza regolare. Qui come nel tempo reale
una fila di cento beats non è altro che una fila di cento beats, e la sua somma totale è contata e sentita
come tale. Dubbi potrebbero sorgere solo con rispetto all’inizio della fila, e la diminuizione della nostra
attenzione potrebbe risultare in qualche altra irregolarità di giudizio. Se il nostro punto di osservazione è
alla fine di questa fila – il significato che noi stiamo ascoltando nella sua interezza fino al suo ultimo beat – e
noi stiamo guardando indietro al suo corso, noi sentiamo che questa serie di cento beats, nonostante di
qualche più o meno importante suddivisione, sarebbe potuto finire prima o è proseguito in qualsiasi punto
temporale più avanti senza soffrire un cambio essenziale nella sua struttura e la nostra valutazione di esso.
Ma c’è un’altra forma di tempo musicale i cui effetti sono abbastanza diversi da quelli del tempo normale o
del tempo espresso in successioni metriche. Qui, in contrasto al metro, l’irregolarità in durata è la
condizione essenziale, irregolarità che possibilmente è accresciuta per incommensurabilità. Questo è il
tempo musicale espresso in forme di ritmo. Il termine ‘ritmo’ è qui usato nel suo senso più ampio e include
tutte le irregolarità dal più piccolo motivo non metrico a quello che di solito è coperto dal termine ‘forma
musicale’. La teoria musicale generalmente non è incline a riconoscere nelle forme metriche e ritmiche due
ordini essenzialmente diversi di materiale musicale. Infatti, nella nostra musica dove melodia ed armonia
sono collegati insieme principalmente con l’aggiunta del metro, non è del tutto facile separare il metro dal
ritmo. Ma sperimentalmente, nei laboratori dei teorici musicali, per così dire, la diversità di base tra metro
e ritmo può essere provata. Noi possiamo capire questa diversità confrontando le nostre azioni quotidiane
come una serie di successioni temporalmente irrazionali di intervalli di tempo con i metricamente
organizzati intervalli di tempo misurati dagli orologi, pendoli, e altri dispositivi che dividono il tempo. Nel
tempo musicale, come espresso nelle forme ritmiche, gli intervalli di tempo, coperte dalla nostra linea di
cento beats contengono molti motivi ritmici che, sebbene possono essere misurati da questi beats, hanno
solo poco in comune con loro così come le nostre azioni temporalmente irrazionali con il ticchettio
dell'orologio. Per capire tale successione come struttura ritmica e non puramente come una linea
metricamente organizzata, dobbiamo aspettare finchè raggiunge la fine. Allora la forma completa apparirà
alla nostra mente analitica come una nuova unità e non, come appariva nel metro, come un accumulo di
singole unità. Tutte le parti non-metriche costituenti questa unità, sebbene nella loro propria forma ritmica
chiaramente circoscritta, hanno adesso perso il loro significato individuale e sono nient’altro che parti
subordinate di questa nuova entità. Adesso il nostro punto di osservazione è cambiato. Non siamo più alla
ricerca del percorso passato della linea; noi siamo al di sopra, per così dire, e stiamo guardando in basso e
possiamo prendere con un solo colpo d’occhio la forma temporale nella sua totalità – indivisibile,
irripetibile, immutabile. Noi potremmo dire che il tempo musicale in questo momento produce un effetto
che nel tempo normale è inesistente. Questo effetto di comprendere come una nuova unità è preso in
prestito dalle nostre esperienze dello spazio, dove questo giudizio comprensivo è un fatto più comune –
eppure è il risultato di una operazione strettamente temporale.

III
Lo spazio musicale è almeno altrettanto lontano dai nostri normali concetti spaziali come lo è il tempo
musicale nella sua forma ritmica di apparenza dalle nostre esperienze temporali. Questo sembra strano,
anche per i profani senza qualsiasi training musicale che usa l’espressione ‘ascendente’ per la successione
di toni in cui il secondo componente ha un numero più alto di vibrazioni per secondo, e viceversa il nome
‘discendente’ qualsiasi successione che si muove nella direzione opposta. In realtà non ci sono in musica
distinzioni spaziali di alto e basso, vicino e lontano, destra e sinistra che corrisponde con le stesse
definizioni nello spazio reale non musicale. Sebbene è innegabile che la successione di toni causa effetti di
sentimenti spaziali che nella loro evidenza sono convincenti anche per la mente del tutto inesperta . Dal
momento che né il volume né il colore dei toni possono produrre o influenzare questo effetto, dev’essere la
relazione di altezza tra i toni che è la ragione per esso. Per capire la connessione tra il movimento da tono a
tono in musica da un lato e il sentimento di movimento spaziale dall’altro, dobbiamo di nuovo, come
abbiamo fatto nella nostra discussione degli effetti emozionali della musica, trovare il comune
denominatore di entrambi i fattori. Questa volta l’equazione è: lo sforzo fisico che noi sappiamo è
necessario per cambiare da una posizione di tono ad un altro è uguale allo sforzo fisico che noi
immaginiamo quando pensiamo di un cambio di posizione nella nostra comune esperienza fisica. Andare da
un dato tono fino ad un tono con una vibrazione più alta si realizza, nelle voci umane, negli archi e negli
strumenti a fiato, con un incremento nell’energia della produzione del tono. La quantità di energia
impiegata in tale movimento può essere quasi impercettibile (come nella progressione di un violinista dal
tono a a corda aperta ad un c successivo), o potrebbe essere un tremendo sforzo fisico, come quando un
tenore canta la stessa progressione con voce piena. Ma la quantità di energia assoluta impiegata conta solo
qualora il nostro interesse nonmusicale nel performer stesso o le nostre reazioni sentimenttali derivate
dalla sua performance sono interessate. È la relativa quantità di energia che conta per la nostra valutazione
di spazio musicale. Andando verso un tono di una frequenza più alta significa qualche sforzo, non importa
come grande o piccolo possa essere nel caso singolo. Il riconoscimento di questo sforzo ci porta al
confronto: sollevare qualche oggetto fisico dal suo posto ad un posto più alto significa sforzo; andare da un
tono di bassa frequenza ad un tono di alta frequenza comporta uno sforzo; di conseguenza uno sforzo mi
ricorda l’altro, e poiché il sollevamento dell’oggetto fisico prende posto nello spazio reale, l’effetto musicale
mi ricorderà anche lo spazio. Andando da un dato tono ad un tono di vibrazione più bassa mi ricorda di
nuovo un cambio di posizione di un oggetto fisico, questa volta da un posto più alto verso uno più basso, e
ancora un sentimento spaziale connesso con la musica è stabilito per confronto. Questo è tutto vero senza
limitazioni rispetto alle voci dei cantanti; esso si mantiene con gli strumenti a fiato e, ad un livello più alto,
con gli strumenti a corda, anche, dacchè la stretta relazione di tutti questi strumenti alla voce è sempre
riconoscibile. Ma nelle tastiere questa naturale equalizzazione di altezza spaziale con altezza musicale è
ridotta a quasi niente, e il puro cambio orizzontale di posizione della mano non distingue tra ascendente e
discendente. Che persino con questi arrangiamenti altamente artificiali noi sentiamo ancora la
corrispondenza tensione o sforzo (up) e relax (down), è spiegabile solo attraverso le nostre precedenti
esperienze con il canto vocale e gli archi e gli strumenti a fiato. Quando noi abbiamo parlato di effetti
emozionali della musica, noi troviamo che nessuna immagine di sentimento potrebbe essere evocata nella
nostra mente, a meno che un vero e proprio sentimento, sofferto in precedenza potrebbe essere
richiamato. Con il riconoscimento dello spazio musicale noi ancora vediamo che solo in riferimento alle
nostre esperienze nello spazio reale possiamo avere una analoga immagine di spazio nella nostra mente,
evocata dalla musica. Se questo è vero allora possiamo andare al passo successivo. Lo spazio musicale è
sentito – ancora una volta per analogia con le nostre esperienze nello spazio reale – o tridimensionale. Se
noi descriviamo i movimenti che procedono nello spazio tridimensionale come andare alto e basso, destra e
sinistra, avanti e indietro, noi possiamo facilmente vedere i loro equivalenti nello spazio musicale. Uno
spazio alto e basso corrisponde con la tensione e rilascio delle tensioni vibratorie (come menzionato);
destra e sinistra ha la corrispondenza nelle relazioni armoniche e melodiche che esistono tra i componenti
consecutivi di ogni progressione musicale; e il sentimento di profondità spaziale, espressa dal movimento
avanti e indietro, è simbolizzata musicalmente simile alla costruzione che produce l’effetto di prospettiva
nella pittura. Nella pittura l’impressione della profondità visuale è creata disegnando tutte le linee di fuga
degli oggetti del disegno i cui prolungamenti si incontrano in un punto – il punto di fuga; e nella prospettiva
musicale, tutte le armonie, se risultanti dalla distanza verticale (up e down) tra le note, o dall’effetto
riassuntivo di note consecutive in melodia, sarà la nostra capacità analitica da intendersi come in stretta
relazione ai toni che, dalle frequenti ricorrenze, o dalla posizione favorevole nella struttura, o infine dal
supporto ricevuto da altri toni, sarà sentita come toni superiore agli altri; toni che occupano il posto delle
fondamentali, delle toniche.

IV
È necessario operare con il concetto di spazio musicale? Possiamo non concepire la musica che esiste senza
riferimento a qualsiasi spazio reale o immaginato? Sembra che non sia possibile pensare la musica come
qualcosa di completamente rimosso da qualsiasi concezione spaziale, fin quando crediamo che la musica si
suppone che tocchi la nostra vita emozionale per indurci nell’attività di simultanea ricostruzione. Poiché la
musica rivive nelle nostre menti le immagini di sentimenti che sono inevitabilmente connessi con le
memorie di spazi in cui gli originali di queste immagini si verificano, spazi immaginari si mostreranno
sempre simultaneamente con le immagini di sentimenti. Se non è possibile concepire musica senza
qualsiasi riferimento ad immagini di sentimenti spaziali, dobbiamo necessariamente progettare tutte le
nostre esperienze tridimensionali nel nostro spazio musicale? Non potremmo restringere il nostro spazio
musicale a due dimensione omettendo il riferimento delle armonie alle note fondamentali, alle toniche, per
gli effetti simili alla prospettiva nella pittura? Non molte opere delle arti pittoriche rinunciano a questo
effetto? C’è stato nella storia musicale un tempo quando questi effetti di prospettiva – o di tonalità, come il
termine tecnico dice – erano sconosciuti ai musicisti. Questo fu il periodo prima che le armonie venissero
usate in modo cosciente e quando la musica consisteva solo di linee melodiche. Persino al giorno d’oggi in
molti paesi e culture che non sono sotto la dominazione delle tecniche e delle abitudini della musica
occidentale, l’armonia è sia sconosciuta o categoricamente respinta come una sgradita aggiunta al
materiale nativo della musica, e le persone con questa concezione esclusivamente melodica di musica non
possono avere alcun effetto di prospettiva sonora, di tonalità, come espressa dal riferimento armonico alle
toniche fondamentali (sebbene certamente altri mezzi di organizzazione tonale sono applicati). Con
l’armonia sembra andare come con l’albero della conoscenza del bene e del male: una volta che hai gustato
i suoi frutti, tu hai perso il tuo approccio innocente ai fatti della vita. Per noi, dopo il nostro sviluppo
musicale ha attraversato anni di conoscenza musicale che è consistita esclusivamente di strutture musicali
armonizzate, è quasi impossibile capire le linee melodiche senza implicazioni tonali ed armoniche. Gli
intervalli prodotti dalle note consecutive di melodia hanno, in aggiunta alla loro funzione melodica,
significato armonico, e noi non possiamo non percepirlo. Queste armonie, quindi senza la nostra
partecipazione interpretativa, riunita intorno ai toni fondamentali, così come alle armonie verticali, e
pertanto ancora, producono l’effetto della prospettiva tonale. In pittura spetta al pittore decidere se egli
vuole avere prospettiva come parte dell’effetto pittorico o no. In musica noi non possiamo sfuggire
all’analogo effetto di unificazione tonale, di tonalità. Gli intervalli che costituiscono il materiale di
costruzione delle melodie e delle armonie cadono in gruppi tonali, obbligate dalla loro propria struttura
fisica e senza il nostro consenso. Non abbiamo molte volte sentito di tendenze nella musica moderna per
evitare questi effetti tonali? Mi sembra che tentativi per evitarli sono promettenti come i tentativi per
evitare gli effetti della gravitazione. Certamente, noi possiamo usare gli aeroplani per volare lontano dal
centro gravitazionale, ma non è un aereo la miglior prova per la nostra incapacità di scappare alla gravità?
La tonalità è senza dubbio una sottile forma di gravitazione, e al fine di sentirla in azione noi non abbiamo
nemmeno bisogno di prendere la nostra solita deviazione musicale dall’esperienza pratica tramite
l’immagine di essa, rilasciata dalla musica. È sufficiente cantare in un coro o un gruppo di madrigali per
sperimentare la forza della gravitazione tonale: di percepire di come un ordine tonale sinottico ha un sano,
effetto rinfrescante sul nostro umore e come le strutture che nella loro oscurità raggiungono il punto di
impraticabilità che porta al vero dolore fisico. Certamente, c’è un modo per scappare dagli effetti della
gravità terrestre, usando un potente razzo che sfora il punto critico dell’attrazione terrestre, ma io non
riesco a vedere come i proiettili meno dannosi della musica potrebbero mai raggiungere questo punto o il
suo immaginario equivalente. Eppure, alcuni compositori che hanno l’ambizione di eliminare la tonalità,
riescono ad un certo grado a privare l’ascoltatore dei benefici della gravitazione. Per essere sicuri, contrari
alle loro convinzioni, loro non eliminano la tonalità: essi piuttosto si avvalgono degli stessi trucchi come le
giostre nauseabonde dei parchi divertimento o delle fiere, in cui la ricerca del piacere del visitatore è
sballottolata in tondo, su e giù, e in entrambi i lati, in tal modo che anche lo spettatore innocente sente il
suo interno trasformato in una distorsione a forma di pretzel. L’idea è, naturalmente, disturbare la
sensibilità dell’avventore verso l’attrazione gravitazionale combinando in qualsiasi momento molte forme
diverse di attrazione che il suo senso di posizione non può adeguarsi abbastanza velocemente. La
cosiddetta musica atonale, musica che finge di lavorare senza il riconoscimento delle relazioni delle
armonie alle toniche, agisce lo stesso come gadgets diabolici; armonie entrambe in forma verticale ed
orizzontale sono arrangiate così che le toniche alle quali si riferiscono cambiano troppo rapidamente.
Pertanto non possiamo adattarci, non possiamo soddisfare il nostro desiderio per l’orientamento tonale. Il
risultato è ancora vertigine spaziale, questa volta nel regno sublimata di immagini spaziali nella nostra
mente. Io personalmente non vedo perché dovremmo usare la musica per produrre l’effetto di mal di mare,
che potrebbe essere fornito più convincentemente dalla nostra industria di divertimento. Le epoche future
probabilmente non capiranno mai pernchè la musica sia entrata in competizione con un avversario così
potente. C’è un fatto strano sul feeling dello spazio musicale che non ha equivalenti nelle nostre esperienze
ordinarie spaziali: uno del suo immaginario, ma tuttavia dimensioni fortemente sentite coincidono con gli
effetti del tempo musicale. Cosa noi sentiamo come effetto spaziale di movimento laterale, è realizzato
musicalmente muovendosi orizzontalmente da un’unità sonora ad un’altra, e questo è cosa esattamente
produce l’effetto del tempo musicale. Le due diverse funzioni di una e lo stesso fattore non ha alcun effetto
di disturbo sulla nostra interpretazione dei fatti musicali; il tempo musicale e lo spazio musicale sono sentiti
come due fatti distintivi nelle progressioni musicali, ma sappiamo e sentiamo che in alcuni punti essi sono
intebloccati, in un modo che è sconosciuto al tempo normale e allo spazio normale. Abbiamo già visto come
il tempo musicale ha usurpato un tipico effetto spaziale con il fatto che le singole unità temporali
cumulative di una forma musicale producono una nuova entità, in cui l’effetto totale non è uguale alla
somma totale dei singoli effetti. Adesso vediamo che lo spazio musicale a sua volta penetra l’ambito del
tempo musicale. Ho detto prima che nessun artista o artigiano nel suo lavoro suggerisce grandezza
incommensurabile né infinita piccolezza. Ancora meno può dare in un opera d’arte o la relatività del tempo
normale e dello spazio normale con mezzi che sono percepibili ai nostri sensi. Sebbene questo concetto può
essere espresso in numeri e parole, noi non possiamo mai sperimentarlo praticamente, perché troppo
lontano dalla nostra sfera di conoscenza terrestre. Sebbene la musica sembra essere la sola forma terrena
di espressione che nelle proprietà dei suoi materiali costruttivi ci permette di avere sensazioni che sono
allusioni molto deboli ai sentimenti degli esseri ai quali il concetto universale di relatività e intercambiabilità
di tempo e spazio è un’esperienza ordinaria.
V
Nell’ambito del tempo musicale e dello spazio musicale l’azione musicale prende posto, in cui nelle idee del
compositore sono gli attori che tramite circostanze armoniche, melodiche e ritmiche si trasformano in
caratteri tragici o comici, le loro tragedie e commedie sono del tipo che vivono nel mondo immagazzinato
delle immagini di emozioni degli ascoltatori. La parola “idea” è un termine molto vago per cosa noi
realmente intendiamo quando parliamo della immaginazione creativa del compositore. La parola tedesca
Einfall è l’espressione perfetta necessaria nella nostra situazione. Einfall, dal verbo einfallen, cadere,
descrive meravigliosamente la strana spontaneità che noi associamo con le idee artistiche in generale e con
la creazione musicale in particolare. Qualcosa – si sa di non cosa – cade nella tua mente – non sai da dove –
e lì cresce – tu non sai come – in qualche forma – tu non sai perché. Questa sembra essere l’opinione
generale, e noi non possiamo incolpare il profano se egli è inabile a trovare le spiegazioni razionali per un
evento così strano. Persino molti compositori, sebbene il lavoro piuttosto banale di scrivere i simboli
musicali sulla carta assorbe circa il novantanove percento del loro lavoro, guardano all’ aspetto
apparentemente spontaneo delle proprie idee con stupore. Essi sono in un permanente stato di narcisismo
artistico, rispetto al quale l’innocua autoammirazione del Narciso originale non è che un gioco da ragazzi.
Essi vi racconteranno delle loro creazioni come farebbero con un fenomeno naturale o rivelazioni celesti. Tu
hai l’impressione, non che essi stessi hanno fatto le loro composizioni, ma che ‘esso’ è composto dentro di
loro, quasi a dispetto della propria esistenza. È ammirabile come le persone possono per tutta la vita
mantenere questa ingenua fiducia in se stessi. Noi possiamo solo invidiarli, che nonostante tutti i professi
dubbi temporanei nella loro arte essi costantemente pensano di se stessi come esempi eccezionali di
uomini, come incarnazione di qualche essere soprannaturale. Guardiamo con un atteggiamento un po’ più
moderato alle idee, l’Einfalle (l’invasione) che popola il nostro palco allestito da spazio musicale e tempo
musicale. Quando parliamo di Enfaille di solito intendiamo piccoli motivi, consistenti di poche note – note
spesso non sentite nemmeno come note ma puramente come vaghe curve di suono. Essi sono comuni a
tutte le persone, professionisti e profani; ma mentre nella mente dei profani muoiono via nella loro prima
infanzia, come detto prima, il musicista creativo sa come catturarli e sottoporli a futuri trattamenti. Conosco
uno scienziato che disse: “Tutti possono avere – ed hanno – idee scientifiche, ma ci vuole uno scienziato per
sapere cosa fare con esse.” Io sono molto incline ad includere le idee musicali in questa dichiarazione. Chi
può essere sicuro che il canto o il suono interno che qualsiasi Mr. o Mrs. X sente ribollire in una mente
musicalmente non coltivata – noi abbiamo parlato nel primo capitolo – non è nella sua informe autenticità,
almeno per quanto bella e soddisfacente – e forse meglio di quella di un grande compositore? È eccitante
sapere come primitiva, banale, incolore, ed insignificanti sono le prime idee, l’Einfalle primordiale, di
persino straordinari maestri musicali. Ma sembra quasi più eccitante riconoscere il talento specifico con il
quale i maestri mantengono le loro idee fresche, e nonostante tutte le mutazioni, fondamentalmente
intatte, durante il talvolta considerevolmente lungo intervallo di tempo richiesto per il trattamento di
queste idee. In questo essi sono guidati dalla tradizione, dalle presunte condizioni di performance del
futuro pezzo, dal suo scopo e stile, e, per un grado minore, dal capriccio e fantasia che possono aggiungere
alcuni sapori alla forma finale. Certe volte un compositore può guidare il suo materiale musicale, dall’Einfall
al suo completamento in un pezzo, attraverso una tremenda barriera di frustrazioni che possono
sopprimere la maggior parte delle suddette considerazioni e portare, persino con il primo tentativo a
trattare il materiale di base, a formulazioni di estraneità assoluta. Sebbene non sia possibile guardare la
sorgente del canto interno e del suono in altre menti – non è del tutto facile persino analizzare la propria
mente fino alle remote regioni di origine e creazione – noi possiamo in alcuni casi ottenere degli scorci dei
primi destini delle idee musicali. Per essere sicuri, al fine di essere osservabili essi devono aver già superato
le limitazioni dell’apparenza simile al primo spettro e aver guadagnato qualche forma primordiale, sia
mentalmente mediante l’aggiunta dei risultati di conclusioni costruttive, o persino visibilmente note
appuntate su carta. Per la maggior parte, solo la forma mentale esisterà, finchè un trattamento più
estensivo porta il materiale rudimentale in qualche organizzazione musicale, sebbene ancora in forma
molto primitiva. Le note appuntate possono essere considerate come i primi passi distanti dalla sorgente,
solo se l’esperienza di un compositore di molti anni gli ha insegnato per ridurre il percorso normalmente
molto lungo dal suo cervello alla sua mano che scrive. Esso è in rari casi, quando i compositori di questo
tipo ci hanno lasciato alcuni di questi primi abbozzi, che noi possiamo tracciare in modo immaginario
queste strutture embrionali tornare alla loro forma più elementare, l’originaria voce interna.
Fortunatamente per il nostro argomento, un grande compositore ci ha lasciato un buon numero di questi
appunti. Io mi riferisco ai libri di appunti di Beethoven. In loro noi troviamo molti temi noti che siamo
abituati come i quasi perfetti, i più convincenti, le più adatte creazioni tematiche: temi così omogenei, così
integrati, che essi devono essere spuntati come la Minerva armata fuori dalla testa di Giove. Eppure noi
vediamo loro andare attraverso un processo di trasformazione e conversione che talvolta cinque o più passi
intermedi dal primo trattamento strutturale alla versione finale. Alcune delle prime versioni sono in qualità
così al di sotto della forma finale, che saremmo inclini in qualsiasi momento di attribuire la loro invenzione
al signor X. E per guardare il faticoso attraverso questi molti stadi di sviluppo è spesso piuttosto
deprimente: se questo è il modo in cui un genio lavora, cesellando e scalpellando disperatamente al fine di
produrre una forma convincente, qual’ è allora il destino dei suoi colleghi più piccoli? Forse è sempre vero
che lavorando dai più piccoli e quasi impercettibili scintille di invenzione strutturale fino alla forma musicale
intellegibile, un piccolo compositore è molto simile a Beethoven. Se solo il lavoro impiegato per
raggiungere questo obiettivo davvero contasse, ci sarebbero molti geni. Il compositore meschino potrebbe
fare lo stesso, tecnicamente, come il vero genio ha fatto, ed egli sarebbe quasi giustificato nel sentimento
divino – come tanti autori hanno fatto e fanno – perché egli è stato abile a svoltare il suo ribollente canto
interno in musica, che Mr. e Mrs. X non potrebbe mai fare. Significa tutto questo che il genio e il produttore
medio di musica sono della stessa sostanza; in realtà non ci sono cose come l’immaginazione musicale, le
idee, Einfalle; e che per puro caso un individuo capita di sviluppare Beethoven mentre gli altri
incidentalmente rimangono musicisti sconosciuti? No. Esso significa che se noi volessimo capire la potenza
che anima i personaggi rappresentativi sulla nostra scena di tempo e spazio musicale, noi non dovremmo
vagare attraverso le regioni mentali che sono comuni a Mr. X, il compositore senza talento, e il genio.
Significa che le regioni della genuina creazione musicale sono talmente oltre le nostre esperienze
quotidiane, che Mr. X non saprà mai cosa essi sono e il compositore senza talento mai entrerà nei segreti
interni. Mr. X può sempre avere tutte le belle idee necessarie per un eccellente lavoro d’arte; il piccolo
potrebbe possedere le tecniche acustiche, che gli permettono di sviluppare le più rudimentali idee in forma
e suono. Ma cosa il genio ha – e cosa è ben oltre la loro portata è la visione.
VI
Cos’è la visione musicale? Noi tutti conosciamo l’impressione di un flash molto potente di luce nella notte
(un lampo). In un secondo noi vediamo un ampio paesaggio, non solo i suoi contorni generali ma anche
ogni dettaglio. Sebbene non possiamo mai descrivere ogni singolo componente dell’immagine, noi
riteniamo che neanche la più piccola foglia d’erba sfugge alla nostra attenzione. Noi sperimentiamo una
vista, immensamente comprensiva e allo stesso tempo immensamente dettagliata, che non potremmo mai
avere sotto le normali condizioni di luce diurna, e forse non durante la notte, se i nostri sensi e nervi non
fossero stati tesi dalla improvvisa straordinarietà dell’evento. Le composizioni dovrebbero essere concepite
allo stesso modo. Se non possiamo, nel flash del singolo momento, vedere la composizione nella sua
integrità assoluta, con ogni pertinente dettaglio al suo proprio posto, non siamo i creatori originali. Il
creatore musicale, come qualsiasi altro individuo creativo, è permesso condividere con l’artefice il possesso
delle visioni vitalizzanti; ma è il privilegio dell’artigiano trasformare loro in esistenza concreta senza
qualunque interferenza di ostacoli tecnici, mentre il musicista creativo, per ragione della sua eredità
terrena, deve superare molti ostacoli tra loro e la loro realizzazione. Se egli è un creatore genuino non si
sentirà disturbato o scoraggiato da questo fatto. Non solo egli avrà il dono di vedere – illuminato nel suo
occhio della mente come da un flash di luce – una forma musicale completa (sebbene la sua susseguente
realizzazione in una performance può prendere tre ore o più); egli avrà l’energia, la persistenza, e l’abilità di
portare questa forma immaginata in esistenza, così che persino dopo mesi di lavoro nessuno dei suoi
dettagli saranno perduti o non riescano ad inserirsi nella sua immagine fotomentale. Questo non significa
che qualunque f# nelle 612 battute del pezzo finale sarebbero stati definiti nel primo flash di cognizione. Se
il veggente dovesse nel suo primo flash concentrare la sua attenzione su qualunque particolare dettaglio
dell’intero, egli non potrebbe mai concepire la totalità; ma se la concezione di questa totalità colpisce la sua
mente come il lampo, questo f# e tutte le altre centinaia di note e altri mezzi di espressione cadranno in
linea senza conoscere essi. Nel lavorare il suo materiale egli avrà prima il suo occhio mentale l’intera
immagine. Nello scrivere melodie o progressioni armoniche egli non seleziona esse arbitrariamente, egli
puramente deve soddisfare cosa la concepita totalità richiede. Questa è la vera ragione per Beethoven
evidentemente più che litigare con il suo materiale: un desiderio non per migliorare o cambiare qualsiasi
Einfall ma accomodarlo alle inalterabili necessità di una totalità immaginata, persino se con tutte la sua
capacità tecnica ed esperienza egli ha pressato esso attraverso cinque o più versioni che distorgono esso
dal riconoscimento passato. L’uomo di medio talento potrebbe avere anche delle visioni; ma invece di
vederle nella chiarezza del lampo, egli percepisce i contorni scuri che egli non ha la divinazione di compilare
appropriatamente. Egli molte di eccitanti e bellissime idee singole che egli mette insieme al fine di ottenere
una forma musicale che corrisponde con la sua idea indistinta, dopo la formula: maggiore è il numero di
bellissimi dettagli, e più bella sarà l’immagine generale. Per quelli dotati della visione fulminea, questa
ricerca per i bellissimi dettagli sembra essere inutile, dacchè nel soddisfare la richiesta di visione essi non
hanno altra scelta quanto al tipo e la forma del materiale di costruzione; essi possono solo provare ad
obbedire a queste richieste e trovare l’unica soluzione adatta. Se essi dovessero ignorarli completamente e
considerare una ricerca per dettagli bellissimi giustificabili, essi non sarebbero artisti creativi, non più di
quanto un filatelico è – o qualsiasi altro assemblatore di oggetti di valore, che con tutti i suoi sforzi riesce
semplicemente a mettere insieme una collezione, mai creare un organismo. È ovvio che un compositore,
durante il lungo periodo che la notazione del suo lavoro richiede, è sempre in pericolo di perdere la visione
originale di esso. L’immagine del lampo può svanire, i contorni dissolversi, molti dettagli potrebbero
scomparire nel buio. Una delle caratteristiche del talento di uno genio creativo sembra essere l’abilità di
mantenere l’acutezza della prima visione finchè la sua realizzazione nel pezzo finito viene raggiunta. Non
c’è dubbio che questa realizzazione, se deve apparire come una vera realizzazione della visione, può venire
alla vita solo con l’assistenza di una buona quantità di abilità tecnica. L’abilità non può mai compensare la
mancanza di visione, ma d’altra parte una visione non riceverà mai la sua vera materializzazione se la
tecnica di un compositore non fornisce ogni mezzo a questo fine. Tuttavia, la tecnica di composizione può
essere acquisita persino dai noncompositori, mentre le visioni chiare sono il privilegio dei veri talenti
creativi.

Per acquisire una tecnica decente in composizione non sembra essere così difficile. Dopo tutto, ci sono un
numero ristretto di regole pratiche (empiriche) concernenti il voice leading, le progressioni armoniche, gli
arrangiamenti tonali, e così via, che sono fondamentalmente validi in tutti i tipi di impostazioni musicali,
senza riguardo allo stile e scopo. Il fatto che dopo quattro o cinque anni di studio molti cosiddetti
compositori lasciano le nostre scuole con sufficienti conoscenze pratiche nell’arte di mettere le note
assieme sembra provare questo punto. Ma la tecnica di composizione, come la tecnica di qualsiasi altra
arte, è una cosa ingannevole. Tu potresti gestire le poche regole di base di costruzione con tutte le altre
possibilità combinatorie molto bene, eppure il più alto grado di sottigliezza, in cui ogni elemento tecnico è
in congruenza con le rispettive parti della visione, di nuovo può essere raggiunto da nessuno se non dal
genio. Ci sono relativamente pochi capolavori in cui questa ultima congruenza può essere sentita. Persino
nella nostra scorta di musica classica che attraverso comuni accordi consiste di lavori scritti da compositori
superiori non molti pezzi adempiono queste altissime richieste. Precisamente, ci sono molti altri grandi ed
eccellenti lavori, che nel loro valore artistico sono per niente meno importanti. Essi possono nella loro
abilità di parlare come creazioni umane agli esseri umani essendo più vicini ai loro cuori, ma è in questi
pochi non contestati capolavori che noi sentiamo il respiro dell’universalità e dell’eternità, perché il loro
tipo particolare di perfezione, l’assoluta coincidenza di intenzione e realizzazione, è quasi sovraumana. Il
fatto che molto pochi capolavori visualizzano questa congruenza di visione e materializzazione ci mostra
che persino l’individuo che possiede il più grande dono e la più grande capacità tecnica non è sempre abile
a raggiungere questo risultato. Uno sforzo tremendo è necessario al fine di lavorare verso esso; non un
semplice sforzo tecnico, ma uno sforzo morale, anche – lo sforzo di sottoporre tutte le considerazioni di
tecnica, stile, e la finalità di questo ideale: coerenza. Inoltre, è l’aspirazione verso l’unità ideale
dell’atteggiamento di Agostino e Boezio nei confronti della musica che permette ai nostri sforzi e che d’altra
parte preme, come noi sappiamo, l’obiettivo finale in una lontananza assoluta vicino all’inaccessibilità.
VII
Molti compositori non potranno mai sentire il bisogno di esercitare sforzi di questo tipo, altri non possono
decidere di avere il loro microcosmo musicale disturbato da alcuni obblighi artistici, e coloro che hanno la
conoscenza intuitiva non evocano sempre l’energia morale per forzare se stessi molto in avanti su questo
sentiero spinoso. Come per gli ascoltatori, i consumatori, il loro feeling che in una composizione è stato
fatto lo sforzo morale, sarà un segno che questa composizione ha la caratteristica di un lavoro d’arte, e la
percepibile quantità di questo sforzo sarà considerata la misura per il suo valore artistico. Più il compositore
si sente spinto dalla sua determinazione morale per condurre la parte tecnica del suo lavoro quanto più
vicina possibile all’obiettivo di coerenza, e più alto ci sembra a noi la qualità persuasiva del lavoro. Altri
lavori, in cui lo sforzo morale del compositore non può essere percepito, non ha bisogno di essere cattiva
musica. Essi possono avere un effetto piacevole, di intrattenimento e toccante. Come semplici meccanismi
semplici essi possono essere senza difetto. Essi potrebbero evocare bellissime immagini emozionanti nella
nostra mente, essi ci possono portare mentalmente a ricostruire la loro forma; tuttavia essi potrebbero non
impressionarci come lavori d’arte. In aggiunta a questi compositori che nella loro indolenza o ignoranza non
vogliono essere infastiditi con i tipi di problemi discussi in questo capitolo, ci sono altri che categorigamente
smentiscono la potenza etica della musica, né essi ammettono qualunque obbligazione morale da parte di
coloro che scrivono musica. Per loro è essenzialmente un giocare con le note, e sebbene essi spendono una
considerevole quantità di intelligenza e arte per farla sembrare importante, le loro composizioni possono
non essere di nessun grande valore, come fattore sociale, di bowling o skating, e la sua importanza
filosofica o intellettuale deve necessariamente essere conteggiata nella stessa classe con i fatti degli
adoratori di serpenti e simili feticisti isolazionisti. Tuttavia, deve essere nella mente di questi creatori
qualche potenza motrice che compensa la mancanza della costrizione morale, almeno dinamicamente, e
mantiene il loro apparato di scrittura ben lubrificato. Per alcuni di loro la composizione musicale è uguale al
problema di trovare regole extramusicali di distribuzione delle note. La perdita di qualsiasi ragionevole base
fisica o psicologica non impedisce la loro costituzione come sistema di organizzazione; né essi sono
scoraggiati dalla impraticabilità generale delle loro creazioni e dall’insensibilità dei loro ascoltatori. Deve
essere una soddisfazione strana seguire le leggi della propria invenzione, possibilmente leggi che non
hanno validità – o quasi nessuno – per altri compositori. Altri vedono nella composizione una valvola di
sicurezza per la sovrapressione mentale da cui essi soffrono. Come persone che hanno l’irresistibile urgenza
di parlare, essi necessitano di qualche attività mentale che da loro sollievo. Scrivere musica è la cosa giusta.
È preferibile nell’incessante parlare, dal momento che anche il grado più basso di chiacchere deve avere un
senso, considerando che scrivere musica non è soggetto a requisiti così rigidi. Oltre a questa amenità essa
da al suo produttore un’aria di sofisticazione e fortifica il suo ego. Ancora un altro gruppo, in un tentativo di
sostituire con una apparente razionalità quello che manca moralmente, sviluppa una tecnica ispirata che
produce immagini di emozioni che sono lontani da qualunque esperienza emozionale che un umano
relativamente normale ha. Nel fare questo essi sostengono una esoterica arte per l’arte, i seguaci della
quale possono solo essere diavoletti emozionali, mostri o snobs. Tutti questi compositori dimenticano un
fatto importante: la musica, come noi pratichiamo essa, è, nonostante la sua tendenza verso l’astrazione,
una forma di comunicazione tra l’autore e il consumatore della sua musica. Se con il metodo appena
descritto noi proviamo a spingere l’ascoltatore nello sfondo, la figura sarà riempita con qualcosa che è
meno piacevole della più ottusa ignoranza di uno stupido gruppo di ascoltatori: il nostro proprio egoismo.
La massima di William H. Vanderbilt “il pubblico sia dannato” sembra essere una di quelle regole di lavoro
dei compositori; o altrimenti essi sostengono che il pubblico devono timbrare ciò che ritengono necessario
timbrare su di loro; o, infine, essi possono dire: “Il mondo presente non capisce la mia musica, ma tra
duecento anni le persone saranno abbastanza mature per seguirmi.” Anche se nei casi eccezionali può
capitare che i compositori non siano stati mai ascoltati nella loro vita duecento anni prima, questo
atteggiamento è assolutamente non artistico, in quanto trascura una delle principali ragioni della
comunicazione artistica: il desiderio altruistico di presentare qualcosa di proprio per i propri simili. Un
artista sarebbe giustificato a ritirarsi in questa rassegnazione improduttiva solo se egli fosse convinto che
egli ha fatto tutto il possibile in suo potere per essere capito dai suoi contemporanei. Se non riesce a farlo,
in una forma o nell’altra, ci sarà una piccola possibilità che i posteri lo riconosceranno come il grande genio.
È più probabile, ad ogni modo, che la sua composizione è, eccetto per se stesso, di nessun valore per
chiunque vive ora o duecento anni dopo. Ci sono anche molti altri produttori di musica che voltano le spalle
ai nostri ideali: coloro per i quali la musica non è nient’altro che una proposta d’affari; per coloro i quali la
composizione è un piacevole passatempo senza qualsiasi ragione o scopo; quelli che compongono solo
perché non possono fermarsi; e quelli che sono semplici intrattenitori pubblici. Noi non abbiamo bisogno di
discutere le loro attività, poiché sappiamo che essi non aggiungono niente al grande tesoro della musica
utile e che molti di loro non hanno la minima ambizione da contare fra quelli che contribuiscono a questo
nobile obiettivo. Né abbiamo bisogno di indugiare con l'uomo che ha tutta l'ambizione necessaria ma
nessun talento di sorta.

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