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Giovanni Pascoli

Nasce a San Mauro di Romagna (Forlì) dai genitori Ruggero e Caterina, il 31


dicembre 1855. Leopardi è morto da 18 anni, Manzoni ha 70 anni, Carducci ne ha
20, e l’Italia è ancora da fare.
Egli è il quarto di 10 figli. Dai sette ai sedici anni studia presso il collegio di Urbino.
10 agosto 1867, a soli 12 anni, rimane orfano di padre, questi ucciso con una fucilata
mentre stava tornando a casa – l’uccisore non venne mai trovato, il delitto rimane
impunito. L’anno dopo muoiono la madre e la sorella margherita, tre anni dopo uno
dei fratelli. Nel 1876 perde il fratello maggiore. La fanciullezza di Pascoli è segnata
da continui lutti famigliari, rimangono in vita solo le sorelle Ida e Maria (chiamata
dal poeta Mariù), con cui si stabilisce a Massa, in Toscana, nel 1887 cin l’intento di
ricostruire il nucleo famigliare, il “nido”. Primo di ciò si decida agli studi classici, si
avvicina all’ambiente dei socialisti, nel 1879 è arrestato per simpatie anarchiche per
cui viene arrestato – ciò lo segna duramente, si allontana dalla politica attiva. Si
laurea nel 1882 in letteratura greca.
La prima edizione di Myricae esce nel 1891, l’anno successivo ottiene la prima
vittoria della sua carriera da letterato in un concorso di poesia latina di Amsterdam –
il premio gli verrà assegnato altre dodici volte.
1895 è nominato professore di grammatica greca e latina all’università di Bologna.
Nel 1897 pubblica i Poemetti. Nel 1903 pubblica i Canti di Castelvecchio, l’anno
seguente i Poemi conviviali. Nel 1905 diventa titolare della cattedra di Letteratura
italiana a Bologna, prendendo il posto di Carducci. In questo periodo si accentua
l’interesse per la poesia storica e civile, scrive infatti Odi e inni, i Poemi italici, i
Poemi dei Risorgimento. Muore a Bologna il 6 aprile 1912, poco dopo aver
pronunciato l’importante discorso La proletaria si è mossa, dedicato a sostenere
l’impresa coloniale italiana in Libia. La partecipazione di Pascoli alla vita culturale
fu costante ma senza momenti clamorosi. Le sue collaborazioni alle riviste più
prestigiose del periodo riguardarono soprattutto argomenti letterari, ma senza fuggire
dall’intervento polemico ed esplicitamente politico. Accanto all’insegnamento e alla
gelosa custodia degli affetti familiari, trova posto nella vita di Pascoli soprattutto la
poesia, vissuta con dedizione fino agli ultimi anni.
 Dolorosa esperienza biografica
 Formazione classica
Nel 1897 Pascoli pubblica sulla rivista fiorentina Il Marzocco il discorso
programmatico Il fanciullino in cui esplicita la sua poetica, il suo punto di vista
riguardo la poesia e il poeta. Caratterizzante è la corrispondenza poeta-fanciullino:
questa figura, umile e piccola, è secondo Pascoli, presente in ogni uomo; viene
soffocata negli adulti mentre nei poeti trova libera espressione. Il poeta diventa
poeta-vate, essendo l’unico in grado di far parlare dentro di sé questa voce che lo
guida e gli presenta quei legami tra le cose che la mente razionale non riesce a
raggiungere (Lavandare – campo arato in parte anticipa senso dell’abbandono; X
Agosto – padre/rondine, stelle cadenti/pianto; L’assiuolo – forti analogie; Il
gelsomino notturno – donna/natura), non solo, il fanciullino è anche colui che
rovescia le proporzioni, “adatta il nome della cosa più grande alla più piccola, e al
contrario”, e guarda il mondo con uno stupore infantile, per cui ogni cosa è una
nuova scoperta. L’autore rinuncia alla logica ordinaria, è spinto alla bontà, alla
solidarietà, all’ingenuità.
In vista proprio della poetica del fanciullino abbiamo un’importante influenza anche
sullo stile dell’autore, per esprimere quella realtà a cui può accedere solo il poeta che
da voce al fanciullino si avvale di una catena di analogie simboliche. Parliamo
dunque di un fortissimo simbolismo, che si concentra sulla valorizzazione del
particolare, distaccandosi da quella poetica delle corrispondance di Baudelaire, sulle
relazioni tipiche dei simbolisti. Possiamo definirla anche poetica del particolare
simbolico, che porta allo scavo dentro la realtà e dunque alla valorizzazione di
onomatopee, fonosimbolismi, termini tecnici puntuali, puri.
Si distacca dalle avanguardie dell’inizio del Novecento: considera la poesia come
consolazione e possibile pacificazione delle tensioni; egli socialista, ma non desidera
la lotta di classe, e concepisce la poesia come garante della stabilità dell’assetto
sociale. Ricordiamo egli vive la stagione tra Crispi e Giolitti, i soggetti spesso son
proprio appartenenti alla precaria piccola borghesia italiana, la cui dimensione viene
nobilitata, anche attraverso la rivendicazione delle origini contadine dell’autore.
Negli anni che precedono la morte dell’autore Pascoli passa da un generico
socialismo a un populismo apertamente conservatore, ricordiamo infatti il discorso
La grande proletaria si è mossa, pronunciata a sostegno dell’impresa coloniale in
Libia nel 1911. Aderisce all’ideologia dell’Italia piccolo-borghese, sostiene sia
necessario trovare spazi di lavoro per il popolo italiano così da vincere la piaga
dell’emigrazione; giustifica l’invasione anche come atto di civiltà: la cultura italiana
è superiore rispetto a quella dei colonizzati.
Pascoli discende dal decadentismo francese per giungere al Simbolismo, presenta un
momento di passaggio fra Ottocento e Novecento. Egli presenta sia caratteri
innovativi (umiltà piccole cose; fanciullino presente in ogni uomo, antitesi del
superuomo di d’Annunzio; sperimentalismo formale e democrazia linguistica) che
elementi di continuità con la tradizione ottocentesca (poesia come forma privilegiata
di conoscenza; funzione sociale del poeta; fanciullino possiede privilegio di intuire la
verità segreta delle cose; preziosismo delle scelte linguistiche e della combinazione
di alto e di basso).
 Decadentismo.
 Ricerca del sublime nel basso e nel quotidiano.
 Poetica del particolare simbolico e rivelazione di una verità segreta.
 Democrazia linguistica e interesse per le piccole cose (umiltà del poeta-
fanciullino).
La parte più viva e intensa della produzione poetica è presente nelle raccolte
Myricae, Poemetti, Canti di Castelvecchio. Molti dei tesi che formano i tre libri
appartengono allo stesso periodo. Possiamo parlare di rapsodismo: la tendenza di
Pascoli di lavorare contemporaneamente a più generi; il collante di queste opere è la
poetica del fanciullino. Tra Myricae e i Canti di Castelvecchio c’è continuità, mentre
i Poemetti presentano una spiccata tendenza narrativa.
Myricae
I testi compresi nell’edizione definitiva, divisi in 15 sezioni, di Myricae furono
composti nell’arco di oltre un ventennio, tra il 1877 e 1900. Il titolo corrisponde
all’italiano “tamerici”, il riferimento tematico è ripreso dalle Bucoliche virgiliane e
viene riportato nelle epigrafi di Myricae, Poemetti, Poemi conviviali, Odi ed inni, e i
Canti di Castelvecchio – in quest’ultima racconta viene riproposto lo stesso epigrafe
di Myricae, suggerendo continuità. Si ha l’enunciazione di una poetica del basso, del
comune, allo stesso tempo il rimando al classico sottolinea la ricerca di sostenutezza
e elezione.
Importante è la prefazione della terza edizione della raccolta, nel quale il poeta
affronta due temi significativi: la morte invendicata del padre e il tema della natura
consolatoria. Si lascia intendere che, nonostante la morte e il dolore siano
fondamentalmente i temi principali dell’opera, il tema della natura come
consolazione, rasserenamento, come controforza riequilibratrice, veda comunque la
sua presenza, ma non così tanto quanto si pensi. Il tema della morte è il grande
protagonista dell’opera. Il componimento Il giorno dei morti, posto all’inizio della
raccolta nella terza edizione, ai margini della raccolta vera e propria, immagina che
tutti i morti della famiglia a partire dal padre, abbiano formato nel cimitero una
nuova unità famigliare, che vedono esclusi i superstiti, divorati dai sensi di colpa
rispetto ai defunti, e dal bisogno di riconciliazione con essi. Questo è il mito della
tragedia famigliare che si riscontra anche in altri testi come X Agosto, affiancato dal
tema del senso di colpa dei vivi, presente in L’assiuolo, Novembre, Patria. Il passato
è costante nella poetica di Pascoli, ritorna ossessivamente, e grava sulle sue spalle il
trauma irrisolto della condizione di orfano, che ci viene indicato dall’immagine
simbolo de nido.
Questa forte presenza della morte e del dolore permea anche nella sfera della natura,
questa appare armoniosa e positiva, ma spesso nasconde la minaccia del perturbante
e della presenza della morte.
La poesia pascoliana, in particolare quella di Myricae, appare divisa tra tradizione e
sperimentalismo. Al rispetto della tradizione rimandano le forme metriche chiuse e a
volte desuete, nonché un’idea della poesia quale attività privilegiata di conoscenza, a
cui corrisponde una funzione sociale del poeta ancora prestigiosa – poeta-vate.
Testimoniano lo sperimentalismo pascoliano, invece, la ricerca di un rapporto nuovo
(di tensione, non equilibrio classico) tra metrica e stile, l’apertura a un lessico inedito
nella lirica (concreto, tecnico e regionale), la contiguità con le nuove tendenze del
Simbolismo europeo. Rivendica la necessità di essere preciso nella rappresentazione
della realtà, affidandosi ai nomi concreti delle cose – ricordiamo esattezza e
precisione nella descrizione della flora e della fauna. La ricerca della verità si riflette
anche nello stile, esprimendosi per mezzo di onomatopee e fonosimbolismi. Cerca di
valorizzare il particolare singolo. Non si può parlare di realismo poiché la
valorizzazione del frammento è fortemente soggettiva. Al centro dell’interesse non
sta la realtà ma il soggetto lirico.
Possiamo parlare di vero e proprio impressionismo simbolico, le immagini vengono
frantumate e così è possibile valorizzare il singolo, dal soggettivo punto di vista di
colui che osserva i fenomeni. Dietro a questa rappresentazione è spesso velato un
secondo significato a cui si allude solamente. I particolari naturali di cui il poeta si
avvale non rimandano a concetti precisi, ma denunciano una carica segreta di
angoscia, nel soggetto, e un mistero insolubile, che è nelle cose, proiettato dall’Io.
Tra le figure foniche dominano onomatopee e fonosimbolismi; tra le figure di
significato dominano la metafora e la sinestesia.
 Metrica chiusa, forzata dall’interno con gli enjambement
 Stile nominale, paratassi e frammentazione del ritmo e della sintassi
 Onomatopee e fonosimbolismo
 Lessico ricco e preciso
 Regionalismi

Canti di Castelvecchio
La raccolta (prima edizione 1903, ultima 1912) prende il suo nome da un paese nei
pressi di Lucca, dove Pascoli si era stabilito con la sorella Maria, e descrive sempre
l’umile vita campagnola e il mondo della natura. I Canti sono strettamente legati a
Myricae, presenta la stessa epigrafe, e l’attenzione è rivolta sempre al mondo
naturale, che si fa portatore e simbolo del valore delle piccole cose che sfuggono ai
molti, e permette la ricostruzione del proprio nido familiare.
Nei Canti di Castelvecchio agiscono dunque due motivi, quello naturalistico,
modellato sul trascorrere delle stagioni, e quello famigliare, centrato sulla tragedia
dell’uccisione impunita del padre. I due temi si intrecciano continuamente: il ritmo
delle stagioni allude a un ordine naturale e alla segreta armonia dell’alternanza di vita
e di morte, di fine e di rinascita; l’uccisione del padre configura invece una perdita
irreparabile segnata dalla cattiveria umana e dunque estranea al ritmo naturale
dell’esistenza. Prevalgono i sentimenti di angoscia e preoccupazione, come in
Myricae.
La liricità dei Canti è più distesa rispetto a Myricae, è inoltre evidente il recupero –
fin dal titolo – dei Canti leopardiani, dai quali Pascoli riprende soprattutto il tema
della ricordanza e il motivo del rapporto uomo-natura.
La ricerca di una musicalità più complessa e varia spinge Pascoli ad audaci
sperimentazioni metriche, con originali recuperi della metrica classica, impiego di
versi meno fortunati della nostra tradizione lirica (come il novenario), alternanza di
metri parisillabi e imparisillabi. La lingua è nei Canti lo strumento privilegiato per
realizzare una forma innovativa di “sublime”, da raggiungere tanto dal basso
(attraverso il preziosismo delle voci tecniche o popolari) quanto dall’alto (ricorrendo
ai termini aulici della tradizione lirica e letteraria)
 Intreccio di tendenza lirico-simbolica e tendenza narrativa
 Temi della natura, della famiglia, della morte
 Mescolanza di linguaggio alto e linguaggio popolare.

Poemetti
I Poemetti escono nel 1897, a pochi mesi di distanza dalla quarta edizione di
Myricae. Il titolo che la raccolta assume nella terza e definitiva edizione del 1904,
Primi poemetti, annuncia la volontà di dare vita ad una ulteriore raccolta di testi
affini – pubblicherà infatti nel 1909 i Nuovi poemetti. Nella raccolta c’è una spiccata
tendenza narrativa, con l’introduzione di testi lunghi, per lo più suddivisi in sezioni;
viene superato il frammentismo che caratterizza Myricae. In essi si esprime il
generico umanitarismo populistico del poeta, egli denuncia le ingiustizie sociali e
contrappone all’aggressività e alla negatività della massa i miti della bontà naturale e
della poesia – canta il mondo contadino, privo di contraddizioni e conflitti e vede la
poesia come rifugio dalla civiltà industriale. Si avvicina, per la denuncia implicita
della civiltà moderna, al Decadentismo europeo. Sono costanti i sentimenti di della
morte, della decadenza, della corruzione, dell’inquietudine misteriosa che
accompagnano la vita.
Riprende la terzina dantesca, vista l’inclinazione narrativa e il più aperto impegno
ideologico. La raccolta presenta inoltre un intenso sperimentalismo linguistico:
utilizza termini dialettali e ricorre a lingue speciali come l’italiano dialettale
americanizzato.
 Sofferenza del mondo popolare: umanitarismo populistico
 Temi della morte e della decadenza
 Narratività e sperimentalismo linguistico, introduzione di veri e propri
personaggi che spesso dialogano tra di loro

Nel decennio 1894-1903 Pascoli lavora anche sul registro del preziosismo erudito e
“alessandrino”, che darà vita ai Poemi conviviali (raccolta di 17 poemetti, 1904) in
cui le prevalenti ambientazioni greche classiche e orientali non esprimono un
interesse storico: sul mondo antico vengono proiettate infatti la sensibilità e le ansie
moderne. C’è infine un altro versante della produzione pascoliana ispirata a
tematiche storico-civili. La poesia civile di Pascoli è affidata alle raccolte Odi e inni
(1906), Canzoni di re Enzio (incompiute, uscite postume), Poemi italici (1911),
Poemi dei Risorgimento (incompiuti).
Pascoli si propone quale continuatore di Carducci. In Odi e inni (1906) prevale la
tendenza al nazionalismo populistico: la grandezza della nazione italiana consiste nel
suo carattere popolare, sentito quale garanzia di sanità e quale diritto
dell’affermazione – scrive il discorso La grande Proletaria si è mossa, elegia
dell’imperialismo, ispirandosi a questi principi). In questa fase della sua poetica si
afferma la concezione della poesia come missione sociale e come privilegio
conoscitivo: il poeta-vate è diretta conseguenza della poetica del fanciullino. Sul
piano tematico: fusione temi storici e temi mitico-leggendari, con intenti allegorici;
sul piano formale: domina eloquenza elementare, di chiara intenzione pedagogica.

Lavandare
Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi, che pare
dimenticato, tra il vapor leggero.

E cadenzato dalla gora viene


lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene.

Il vento soffia e nevica la frasca,


e tu non torni ancora al tuo paese!
Quando partisti, come son rimasta!
Come l'aratro in mezzo alla maggese.

L’assiuolo
Dov’era la luna? ché il cielo
notava in un’alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù...

Le stelle lucevano rare


tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com’eco d’un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù...

Su tutte le lucide vette


tremava un sospiro di vento:
squassavano le cavallette
finissimi sistri d’argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s’aprono più?...);
e c’era quel pianto di morte...
chiù...

Temporale
Un bubbolio lontano...
Rosseggia l'orizzonte,
come affocato, a mare;
nero di pece, a monte,
stracci di nubi chiare,
tra il nero un casolare,
un'ala di gabbiano

X Agosto
San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l'aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.

Ritornava una rondine al tetto:


l'uccisero: cadde tra i spini;
ella aveva nel becco un insetto:
la cena dei suoi rondinini.

Ora è là, come in croce, che tende


quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell'ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.

Anche un uomo tornava al suo nido:


l'uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono...

Ora là, nella casa romita,


lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.

E tu, Cielo, dall'alto dei mondi


sereni, infinito, immortale,
oh! d'un pianto di stelle lo inondi
quest'atomo opaco del Male!

Novembre
Gemmea l'aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l'odorino amaro
senti nel cuore...
Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
sembra il terreno.

Silenzio, intorno: solo, alle ventate,


odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. È l'estate
fredda, dei morti.

Il gelsomino notturno
E s’aprono i fiori notturni,
nell’ora che penso ai miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni
le farfalle crepuscolari.

Da un pezzo si tacquero i gridi:


là sola una casa bisbiglia.
Sotto l’ali dormono i nidi,
come gli occhi sotto le ciglia.

Dai calici aperti si esala


l’odore di fragole rosse.
Splende un lume là nella sala.
Nasce l’erba sopra le fosse.

Un’ape tardiva sussurra


trovando già prese le celle.
La Chioccetta per l’aia azzurra
va col suo pigolio di stelle.

Per tutta la notte s’esala


l’odore che passa col vento.
Passa il lume su per la scala;
brilla al primo piano: s’è spento...

È l’alba: si chiudono i petali


un poco gualciti; si cova,
dentro l’urna molle e segreta,
non so che felicità nuova.

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