Canti di Castelvecchio
La raccolta (prima edizione 1903, ultima 1912) prende il suo nome da un paese nei
pressi di Lucca, dove Pascoli si era stabilito con la sorella Maria, e descrive sempre
l’umile vita campagnola e il mondo della natura. I Canti sono strettamente legati a
Myricae, presenta la stessa epigrafe, e l’attenzione è rivolta sempre al mondo
naturale, che si fa portatore e simbolo del valore delle piccole cose che sfuggono ai
molti, e permette la ricostruzione del proprio nido familiare.
Nei Canti di Castelvecchio agiscono dunque due motivi, quello naturalistico,
modellato sul trascorrere delle stagioni, e quello famigliare, centrato sulla tragedia
dell’uccisione impunita del padre. I due temi si intrecciano continuamente: il ritmo
delle stagioni allude a un ordine naturale e alla segreta armonia dell’alternanza di vita
e di morte, di fine e di rinascita; l’uccisione del padre configura invece una perdita
irreparabile segnata dalla cattiveria umana e dunque estranea al ritmo naturale
dell’esistenza. Prevalgono i sentimenti di angoscia e preoccupazione, come in
Myricae.
La liricità dei Canti è più distesa rispetto a Myricae, è inoltre evidente il recupero –
fin dal titolo – dei Canti leopardiani, dai quali Pascoli riprende soprattutto il tema
della ricordanza e il motivo del rapporto uomo-natura.
La ricerca di una musicalità più complessa e varia spinge Pascoli ad audaci
sperimentazioni metriche, con originali recuperi della metrica classica, impiego di
versi meno fortunati della nostra tradizione lirica (come il novenario), alternanza di
metri parisillabi e imparisillabi. La lingua è nei Canti lo strumento privilegiato per
realizzare una forma innovativa di “sublime”, da raggiungere tanto dal basso
(attraverso il preziosismo delle voci tecniche o popolari) quanto dall’alto (ricorrendo
ai termini aulici della tradizione lirica e letteraria)
Intreccio di tendenza lirico-simbolica e tendenza narrativa
Temi della natura, della famiglia, della morte
Mescolanza di linguaggio alto e linguaggio popolare.
Poemetti
I Poemetti escono nel 1897, a pochi mesi di distanza dalla quarta edizione di
Myricae. Il titolo che la raccolta assume nella terza e definitiva edizione del 1904,
Primi poemetti, annuncia la volontà di dare vita ad una ulteriore raccolta di testi
affini – pubblicherà infatti nel 1909 i Nuovi poemetti. Nella raccolta c’è una spiccata
tendenza narrativa, con l’introduzione di testi lunghi, per lo più suddivisi in sezioni;
viene superato il frammentismo che caratterizza Myricae. In essi si esprime il
generico umanitarismo populistico del poeta, egli denuncia le ingiustizie sociali e
contrappone all’aggressività e alla negatività della massa i miti della bontà naturale e
della poesia – canta il mondo contadino, privo di contraddizioni e conflitti e vede la
poesia come rifugio dalla civiltà industriale. Si avvicina, per la denuncia implicita
della civiltà moderna, al Decadentismo europeo. Sono costanti i sentimenti di della
morte, della decadenza, della corruzione, dell’inquietudine misteriosa che
accompagnano la vita.
Riprende la terzina dantesca, vista l’inclinazione narrativa e il più aperto impegno
ideologico. La raccolta presenta inoltre un intenso sperimentalismo linguistico:
utilizza termini dialettali e ricorre a lingue speciali come l’italiano dialettale
americanizzato.
Sofferenza del mondo popolare: umanitarismo populistico
Temi della morte e della decadenza
Narratività e sperimentalismo linguistico, introduzione di veri e propri
personaggi che spesso dialogano tra di loro
Nel decennio 1894-1903 Pascoli lavora anche sul registro del preziosismo erudito e
“alessandrino”, che darà vita ai Poemi conviviali (raccolta di 17 poemetti, 1904) in
cui le prevalenti ambientazioni greche classiche e orientali non esprimono un
interesse storico: sul mondo antico vengono proiettate infatti la sensibilità e le ansie
moderne. C’è infine un altro versante della produzione pascoliana ispirata a
tematiche storico-civili. La poesia civile di Pascoli è affidata alle raccolte Odi e inni
(1906), Canzoni di re Enzio (incompiute, uscite postume), Poemi italici (1911),
Poemi dei Risorgimento (incompiuti).
Pascoli si propone quale continuatore di Carducci. In Odi e inni (1906) prevale la
tendenza al nazionalismo populistico: la grandezza della nazione italiana consiste nel
suo carattere popolare, sentito quale garanzia di sanità e quale diritto
dell’affermazione – scrive il discorso La grande Proletaria si è mossa, elegia
dell’imperialismo, ispirandosi a questi principi). In questa fase della sua poetica si
afferma la concezione della poesia come missione sociale e come privilegio
conoscitivo: il poeta-vate è diretta conseguenza della poetica del fanciullino. Sul
piano tematico: fusione temi storici e temi mitico-leggendari, con intenti allegorici;
sul piano formale: domina eloquenza elementare, di chiara intenzione pedagogica.
Lavandare
Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi, che pare
dimenticato, tra il vapor leggero.
L’assiuolo
Dov’era la luna? ché il cielo
notava in un’alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù...
Temporale
Un bubbolio lontano...
Rosseggia l'orizzonte,
come affocato, a mare;
nero di pece, a monte,
stracci di nubi chiare,
tra il nero un casolare,
un'ala di gabbiano
X Agosto
San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l'aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
Novembre
Gemmea l'aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l'odorino amaro
senti nel cuore...
Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
sembra il terreno.
Il gelsomino notturno
E s’aprono i fiori notturni,
nell’ora che penso ai miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni
le farfalle crepuscolari.