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IMMANUELKANT

La filosofia di Kant è conosciuta come criticismo, criticismo kantiano.


Il termine criticismo deriva dai titoli che Kant diede alle sue tre opere fondamentali,
critica della ragion pura, critica della ragion pratica, critica del giudizio.
Siccome la prima critica la scrisse quando era giù un uomo maturo, c’è tutto un periodo
della vita e dell’opera di kant precedente a questa pubblicazione che viene chiamato il
periodo pre critico, in quanto precede appunto la fase del criticismo.
Nella filosofia di kant si distingue tra il periodo pre critico e il periodo
critico. Con Kant l’illuminismo raggiunse il suo apice.
Suddito dell'imperatore di prussia. Nacque nel 1724 Konigsberg dove visse fino alla
morte, dedicandosi principalmente allo studio e all’insegnamento. Morì nel 1804, quando
le sue opere avevano già rivoluzionato il pensiero europeo.

Filosofia del periodo pre critico:

La filosofia pre critica è importante per capire l'evoluzione della filosofia di Kant a
partire dalle origini fino ad arrivare fino ad oggi.
Kant si era formato principalmente studiando i testi del pensiero razionalistico come questo
si era sviluppato soprattutto in germania attraverso i testi di Wolff, il più importante
metafisico tedesco precedente a Kant autore di un manuale in uso all’epoca.
All’epoca si stava diffondendo in germania la conoscenza della filosofia sperimentale
inglese con newton per quanto riguarda la scienza e Hume per la filosofia. Kant conosceva
e leggeva i testi di newton e degli empiristi inglesi.
La sua filosofia risulta quindi Influenzata sia dalla tradizione metafisica razionalistica sia
dalla tradizione scientifica ed empirista.

Fin dalle sue prime pubblicazioni è possibile riscontrare questa doppia anima del pensiero
di kant, al centro dei suoi scritti in cui si trattano problemi scientifici cerca infatti di integrare
all’interno di questo nuovo corso del pensiero filosofico di matrice empirista anche le
concezioni della metafisica tradizionale.
La sovrapposizione di temi fisici e metafisici nelle prime opere è evidente.

Gli scritti Kantiani degli anni ‘60 sono caratterizzati da una riflessione sui principi e
sul metodo delle diverse scienze che porta Kant a mettere in dubbio il suo
programma di congiungere metafisica e scienza della natura.
Intorno ai trent’anni realizzò che il metodo razionalistico derivante dal processo
logico-deduttivo e di stampo matematico e il metodo empiristico sono due metodi tra loro
diversi. Alla luce dei nuovi progressi della scienza e dell’affermarsi del nuovo modello
scientifico (in riferimento al modello newtoniano e galileiano), realizzò che si trattava di
un modello di conoscenza diverso dalla metafisica tradizionale.

Kant trasse spunto dagli scritti pubblicati da Swedenborg, un veggente svedese, per
elaborare un severo esame delle presunte conoscenze della metafisica, di cui egli stesso
si era occupato. Kant porta così alle estreme conseguenze il punto di vista dell’empirismo
e della filosofia sperimentale.
Anche se volessimo ammettere per ipotesi l’esistenza di un mondo quale viene annunciato
da Swedenborg, esso non potrà comunque essere oggetto di scienza secondo il modello
empirico perché non può essere conosciuto con gli strumenti della scienza empirica In
seguito alla lettura degli scritti di Hume inizia a prendere forma il progetto di rielaborare la
metafisica come scienza dei confini della ragione umana, Kant sostiene che la ragione
umana abbia dei limiti oltre i quali non è più possibile parlare di una vera e propria
conoscenza.

Morale e religione

Sul piano della morale e della religione all’inizio kant si avvicina alla corrente del
sentimentalismo inglese, una corrente molto importante all’interno della filosofia inglese
che non ha niente a che fare al significato che noi diamo alla parola, secondo i
sentimentalisti inglesi la definizione di morale e la definizione che noi diamo al bene e al
male e la conseguente determinazione dei nostri comportamenti morali, dipende da un
sentimento interno che tutti gli uomini hanno e che questi autori chiamano il sentimento
morale.

Nella critica della ragion pratica, dove si occuperà proprio di temi morali, si distaccherà da
questa posizione e sosterrà un’altra concezione morale diversa da quella
sentimentalistica. Rousseau esercitò sul piano della filosofia morale un'influenza
paragonabile a quella di Hume sul piano della filosofia della conoscenza. Fu proprio la
conoscenza di Rousseau ad influenzare Kant in ambito morale, spingendolo a una
considerazione della virtù libera dalle costruzioni metafisiche.

Mondo sensibile e mondo intellegibile

In una delle sue opere fondamentali del primo periodo, la forma e i principi del mondo
sensibile e del mondo intellegibile, dissertazione con la quale kant si abilita alla libera
docenza, nel periodo pre-critico, Kant comincia a formulare una nuova concezione di spazio
e tempo in quanto principi della conoscenza sensibile mediante alcuni termini che
rimarranno fondamentali e caratteristici della filosofia kantiana anche del periodo critico. La
sensibilità viene presentata caratterizzata dal fatto che gli oggetti possono essere
conosciuti a condizione di colpire i sensi con la loro presenza mentre l’intelletto è la facoltà
di rappresentare le cose che non colpiscono i sensi.
Kant definisce fenomeni gli oggetti della conoscenza sensibile e noumeni gli oggetti
della conoscenza intellettuale

Kant analizza approfonditamente anche i concetti di spazio e tempo, che nella filosofia
occidentale hanno una lunghissima storia e si trovano all’interno di tutti i grandi filosofi sia
nel corso del medioevo ma anche nell’età moderna e giunge a definirli forme del mondo
sensibile. (Forma è il rapporto delle conoscenze tra di loro, considerato facendo astrazione
da ogni contenuto. Si suddivide forma logica e forma dell’intuizione). Essi costituiscono la
legge in cui la mente umana rappresenta gli oggetti dei sensi.
La metafisica in quanto scienza dei fenomeni veniva radicalmente separata da tutte
le scienze empiriche e dunque si richiede una nuova giustificazione
In questa dissertazione Kant individua temi che verranno poi risolti e sviluppati nella
critica della ragion pura, circa 11 anni dopo, ormai diventati il centro del suo interesse e
della sua riflessione.
La sua abilitazione gli permetteva di insegnare ma anche di dedicarsi ai propri studi e alle
proprie ricerche. Nel corso degli undici anni che intercorrono tra la pubblicazione della
dissertazione del ’70 e la critica della ragion pura non vengono pubblicati scritti di
particolare importanza vista la particolare attenzione che Kant dedicò alla ricerca e alla
stesura della Critica.

CRITICA DELLA RAGION PURA


Una delle tre critiche scritte da Kant alla ragione: critica della ragion pura, pratica
e giudicante (anche la traduzione più diffusa è critica del giudizio).

- La critica della ragion pura, prima scritta, analizza la ragione nella sua funzione
conoscitiva, sviluppa una teoria della conoscenza. Il suo obiettivo primario
consiste nell’esame delle domande fondamentali della metafisica e per giungere a
tali conclusioni svolge un esame complessivo di tutte le conoscenze umane.

- Nella ragion pratica analizza la ragione nella sua funziona relativa all’azione, e
dunque i criteri che servono ad orientare le azioni umane che si basano su
principi etici e morali, sviluppa una teoria della morale.

- Nella critica della ragione giudicante si occupa di due tematiche diverse, da una
parte studia la ragione dal punto di vista della capacità che gli uomini hanno di
interpretare il mondo in una prospettiva finalistica o teleologica (l’uomo è
orientato verso il raggiungimento di qualcosa oppure è governato semplicemente
dal caso), mentre la seconda parte riguarda temi di estetica, Kant è un dei primi
filosofi ad occuparsi dell’estetica (oggi teoria dell’arte) che deriva dal greco,
significa sensazione e indica qualcosa in relazione al sentimento (il bello,
sublime)

Alla base di tutte queste critiche c’è la ragione, in linea con i principi dell’illuminismo, dato
che Kant è stato in un certo senso il vertice dell'illuminismo. La concezione che kant ha
della ragione è molto complessa, la ragione umana può essere studiata sotto diversi
aspetti, ha delle funzione diverse

Il termine critica, dal punto di vista filosofico può assumere due significati diversi
ma complementari tra di loro

1. Il primo significato più immediato è che l’esercizio della ragione da parte dell’uomo si
realizza attraverso una riflessione approfondita delle funzioni che la ragione stessa
può svolgere all’interno dell’esistenza umana (la ragione si interroga e riflette
criticamente su se stessa e sulle proprie funzioni)
2. il secondo significato collegato al primo è che proprio per questa capacità
autoriflessiva che la ragione ha nei confronti di se stessa e dei suoi limiti e delle sue
modalità di espressione è anche capace di scoprire e correggere gli errori che nel
corso della storia della filosofia sono stati fatti da diversi filosofi quando si sono
occupati di conoscenza, morale e sentimento. Analisi critica della tradizione
filosofica precedente.

La ragione di Kant attiva, pone e individua i primi limiti, confini errori e difetti.
Critica al dogmatismo e allo scetticismo
Il dogmatismo è un tipo di pensiero che deriva dal razionalismo, dal pensiero deduttivo
e dalla metafisica e che consiste nell’elaborare teorie senza un esame preliminare delle
capacità e dei limiti della ragione.
Lo scetticismo è quell'atteggiamento filosofico trasferito sul piano moderno, esemplificato
di Hume, che porta alle estreme conseguenze le premesse della filosofia empirista
inglese,sostenendo che qualsiasi conoscenza non ricavate dai sensi sia impossibile.

Kant si collega alla tradizione filosofica a lui precedente riprendendo da una parte
il dogmatismo che deriva dal razionalismo e dall’altra parte lo scetticismo che
deriva dall’empirismo, ma critica entrambi.
Il dogmatismo è insoddisfacente perché non dà conto dei principi in base ai quali si
possono stabilire affermazione valide mentre lo scetticismo ha preteso di distruggere troppe
certezze. Riprende le due correnti filosofiche ma le usa come argomenti filosofici sui quali
esercitare la
critica della ragione, la quale non si può accontentare né dalla visione
esclusivamente razionalistica né di quella empiristica.
Queste tradizioni filosofiche si limitano all’analisi di un singolo aspetto della conoscenza
e della ragione che non può essere studiata sotto un unico punto di vista. Lo scopo è
quello di elaborare una concezione della conoscenza che superi da una parte i limiti del
dogmatismo e dall’altra i limiti della scetticismo e quindi stabilire quali sono le condizioni
di verità della conoscenza e i confini oltre i quali una tale conoscenza non è possibile.

Rivoluzione del modo di pensare

La domanda che Kant è se la metafisica, speculazione di tipo filosofico che induce al


pensiero di realtà che esistono oltre il mondo naturale, alla luce delle nuove scienze che
si stanno sviluppano (fisica newtoniana) sia una scienza.
Alla luce della rivoluzione scientifica e dei criteri conoscitivi che definiscono la scienza in
senso moderno, è possibile considerare la metafisica come una disciplina che è capace di
darci delle vere conoscenze su cui fondare il proprio sapere? Kant mette così in
discussione una tradizione filosofica ancora seguita al suo tempo.

Prima di entrare nell’analisi successiva che Kant farà dettagliatamente di tutte quelle
attività che rendono possibile la conoscenza, si rende necessario definire quale sia la
concezione assoluta della conoscenza sostenuta da kant
Nella introduzione che lui scrive alla prima critica della ragion pura, spiega la diversità
fondamentale che intercorre tra la sua concezione criticistica e la concezione
tradizionale della conoscenza che era stata sostenuta dagli altri filosofi appartenenti alla
storia della filosofia a lui precedente.
Kant nella critica mira trovare delle leggi che valgono necessariamente per qualsiasi
oggetto dell conoscenza umana e che perciò costituiscono una conoscenza a priori. Kant
sostiene che queste proprietà generali dipendono dalle facoltà conoscitive umane.

Lui ritiene talmente radicale questo cambiamento da lui proposto che lo definisce come
una vera e propria rivoluzione e per illustrare il significato di questa rivoluzione
ricollegandosi al modello astronomico dice che il cambiamento che propone nella
concezione della
conoscenza è talmente rivoluzionario che potrebbe essere paragonato per importanza alla
rivoluzione copernicana, al passaggio avvenuto da una concezione geocentrica
dell’universo ad una concezione eliocentrica.
Parlando della sua filosofia conia questa definizione di rivoluzione copernicana su un
piano filosofico.

Così come aristotele e tolomeo e tutti i medievali ritenevano che fosse il sole a girare
intorno alla terra, allo stesso modo sul piano filosofico si riteneva che la conoscenza
derivasse da una struttura per cui la realtà fosse un qualcosa di fermo ed indubitabile, punto
di riferimento, e che la conoscenza derivasse dal fatto che la mente umana, il soggetto in
termini filosofici, ruotava intorno alla realtà, all’oggetto.
La mente umana per conoscere la realtà si adattava, cercava di modellarsi su delle
strutture oggettive ed immutabili che erano sempre le stesse. Il soggetto si doveva adattare
all’unica realtà vera oggettiva e costante che era il mondo fisico, naturale.
Era il soggetto che si costituiva in funzione dell’oggetto.

Con Kant viene ribaltato il rapporto che c'era il soggetto e l’oggetto, al centro si trova il
soggetto, la mente umana, mentre all’esterno che gira intorno al soggetto c’è quello
che comunemente viene chiamato la realtà fisica naturale, l’oggetto.
Non è la nostra mente che si adatta alle strutture immutabili del mondo esterno, ma tutte le
immagini e rappresentazioni che noi soggetti della conoscenza ci costruiamo del mondo
sono un prodotto dell’attività conoscitiva della nostra mente, ci rappresentiamo il mondo in
un certo modo perché la nostra mente è fatta in modo tale che noi possiamo immaginarlo
in questo modo. Il mondo oggettivo, in sé, non può esser oggetto della nostra conoscenza
perché non possiamo uscire dalle categorie della nostra mente.
Non si può parlare di conoscenza in se stessa indipendemente dalla nostra mente, bisogna
studiare le strutture della nostre mente che fanno si che ci rappresentiamo determinate
costruzioni mentali di come il mondo è fatto, l’oggetto dipende dal soggetto. Kant mette al
centro della teoria della conoscenza non più il mondo, l’oggetto, ma il soggetto, la mente
umana, in quanto ci permette di conoscere il mondo in un determinato modo.

Conoscenza trascendentale

Tutti quanti i modelli di conoscenza siano questi di matrice razionalistica o empiristica a


partire dall’antichità, dal punto di vista della conoscenza commettono tutti un errore
basilare: si fondano su quello che viene chiamato da Kant realismo dogmatico o realismo
ingenuo. Nella nostra cultura filosofica o scientifica, gli studiosi assumono nei confronti del
mondo esterno questo realismo dogmatico che assomiglia a quello del senso comune,
ossia il tipo normale di comportamento che tutti noi essere umani mettiamo in atto nella
nostra vita quotidiana.
Noi agiamo sulla base delle informazioni immediate che ci vengono trasmesse dai nostri
cinque sensi, in modo istintivo,spontaneo, senza sviluppare un pensiero critico. partendo
da questa analisi del senso comune, il realismo dogmatico è una forma più raffinata e
complessa di questo. Filosofi e scienziati sono convinti del fatto che la realtà esterna sia
dotata di proprietà intrinseche e oggettive rispetto alle quali gli uomini devono elaborare a
livello mentale delle categorie di interpretazione che corrispondano alle strutture del
mondo.
(si tratta di un pensiero simile a quello di Galileo secondo cui il mondo è costruito da dio
secondo le leggi della matematica).

Per quanto riguarda la conoscenza scientifica è innegabile che vi sia una base empirica. A
questa base empirica per Kant noi costantemente applichiamo delle categorie del nostro
pensiero, concetti astratti, le quali categorie ci permettono interpretando i dati
dell'esperienza di costruirci delle rappresentazioni del mondo.
Per kant non si può avere una conoscenza dell'oggetto in sé, esiste il filtro costituito dalle
strutture concettuali della nostra mente tra la realtà e la conoscenza che ne deriva. Tutto
ciò che percepiamo del mondo è sempre mediato, non possiamo conoscere il mondo in
sé.
Queste strutture vengono definite da Kant a priori, un termine caratteristica della filosofia
kantiana, e significa indipendenti dall'esperienza umana, ciò che rende possibile
l’esperienza stessa. Sono innate nell’uomo e necessarie.
La conoscenza si fonda in parte sull’esperienza sensibile (a posteriori, i dati
dell'esperienza vengono sempre dopo) e da una parte delle facoltà conoscitive umane (a
priori).

La filosofia critica viene perciò anche chiamata filosofia trascendentale, spiega come
sia possibile effettivamente la conoscenza a priori.
Il termine trascendentale in Kant ha un significato tecnico e va distinto da trascendente,
che indica la trascendenza, ossia qualcosa che trascendente, sta oltre, il mondo fisico e
indica infatti qualcosa di metafisico.
Nel linguaggio comune queste due parole vengono considerate sinonimi. In Kant
questo termine viene utilizzato in riferimento alle condizioni a priori, non legate
all’esperienza, che rendono possibile la conoscenza scientifica.

Giudizi analitici e giudizi sintetici

Dati questi presupposti Kant riflette sulle categorie mentali che permettono la conoscenza
e permettono di capire il funzionamento della mente umana.
Per Kant la conoscenza scientifica si basa e si esprime tramite dei giudizi (enunciato
o proposizione).
Un giudizio è una frase o enunciato che connette almeno un soggetto ed un predicato .
Kant per primo ha messo in evidenza in modo esplicito la connessione diretta che esiste
tra il piano del linguaggio e le strutture conoscitive della nostra mente.
Nel nostro linguaggio si riflettono le nostre strutture mentali.
Dunque bisogna studiare il nostro linguaggio e il suo funzionamento (diversi tipi di
enunciati) attraverso cui si esprime la scienza, per capire come funziona il nostro pensiero.

La tavola dei giudizi rappresenta una sorta di esposizione dei diversi tipi di giudizi di cui
si può servire la scienza.
La prima suddivisione fondamentale eseguita da kant è tra giudizi analitici e giudizi
sintetici, primi tutti a priori, esprimono una conoscenza indipendente dall’esperienza,
mentre i giudizi sintetici possono essere a posteriori oppure a priori.
Questa è l'ossatura della tipologia di giudizi secondo Kant.

1. Un giudizio analitico è un giudizio esplicativo o tautologico: il predicato non aggiunge


niente di nuovo al significato già contenuto nel soggetto ma solamente aiuta a spiegare
meglio dei significati già contenuti implicitamente nel soggetto stesso.
2. NeI giudizi sintetici il predicato aggiunge un’informazione che non è contenuta nel
soggetto stesso, il predicato non è implicito nel soggetto.
I giudizi sintetici a priori esprimo una conoscenza indipendente
dall’esperienza. i giudizi sintetici a posteriori sono invece fondati
sull’esperienza, esprimono dei contenuti che provengono dall'esperienza
sensibile

I giudizi analitici a priori sono universali, necessari e di infecondi, non danno origine ad
una nuova conoscenza. (i corpi sono estesi, occupano uno spazio, corpo è tutto ciò che
occupa uno spazio e dunque implicito e necessario nel soggetto).
Questo tipo di giudizi sono caratteristici della concezione razionalistica della scienza
(teoremi matematici)

I giudizi sintetici a posteriori estendono la nostra conoscenza e sono legati all’esperienza.


Questi sono fecondi, non universali e non necessari. (il tavolo ha una determinata forma,
non implicita nel tavolo in sè ma determinabile tramite l’esperienza) Un giudizio di questo
genere aggiunge nuove conoscenze alle informazioni che possiedo già sul soggetto iniziale,
è specifico non universale. Questi giudizi sono caratteristici della concezione empiristica
della scienza, che fa riferimento all’empirismo inglese.

I giudizi sintetici a priori sono i giudizi nel quale il predicato aggiunge al soggetto qualcosa
che non era contenuto nel soggetto stesso e non derivano dall’esperienza, sono a priori.
La caratteristica di questi giudizi è che sono fecondi, ci portano a conoscenza di qualcosa
di nuovo, sono universali, validi sempre e dovunque, e sono necessari, le cose devono
essere così.
Un esempio che kant fa è numerico, riguarda la matematica, 7+5=12.
Il predicato 12 dice qualcosa in più rispetto al soggetto, in quanto non è collegato e
contenuto nè nel 7 né nel 5 ma è un’informazione aggiuntiva in merito alla loro unione, è
dunque fecondo. Usando il sistema metrico decimale di numerazione la somma dei due
numeri darà sempre 12, di conseguenza è universale. Inoltre non può essere
diversamente, pertanto è necessario.
Un altro esempio proposto da Kant, ‘tutte le cose che accadono nel mondo fisico hanno
una causa’ si tratta di un giudizio sintetico a priori.
Il concetto di causa aggiunge informazioni rispetto al soggetto, le cose accadono, non
è contenuto in esso di per sé. Nel mondo materiale tutto ciò che accade ha una causa
indipendentemente dal contesto, quindi è universale ed è necessario perché senza
una causa un evento non può accadere.
Questi giudizi derivano da un principio logico, da regole, non basano questa estensione
di conoscenza su dati empirici particolari.

I giudizi sintetici a priori sono caratteristici della concezione filosofica criticista e della
scienza newtoniana, scienza intesa in senso moderno, sono gli unici che ci garantiscono
fondata che sia origine a qualcosa di nuova ma che sia allo stesso tempo universale e
necessaria. Empirismo e razionalismo vengono così uniti.

La struttura

Kant riconosce tre facoltà conoscitive fondamentali: sensi, intelletto e ragione a


cui corrispondono i tre generi, intuizioni, concetti e idee.
Ai sensi corrispondono le intuizioni , l'intuizione è la rappresentazione singolare e
immediata con cui un oggetto viene dato attraverso i sensi.
All’intelletto corrispondono i concetti, una rappresentazione discorsiva e mediata. I concetti
si suddividono in puri (categorie) ed empirici.
Alla ragione corrispondono le idee. l’idea è un concetto formato a priori e riferito a un
oggetto di cui non si potrà fare mai esperienza.

All’interno della critica della ragion pura Kant distingue due grandi sezioni diverse tra di
loro, la prima si chiama dottrina trascendentale degli elementi mentre la seconda parte si
chiama dottrina trascendentale del metodo.
Dottrina trascendentale degli elementi si suddivide in estetica trascendentale e
logica trascendentale, quest’ultima si suddivide in analitica trascendentale e la
dialettica trascendentale.

Con estetica (aisthesis, sensazione) Kant indica la scienza che tratta delle condizioni a
priori della sensibilità, ovvero spazio e tempo.
Nell’estetica trascendentale c’è una parte materiale che deriva dai cinque sensi e
percezioni (sensazioni) e una parte formale a priori che riguarda le forme pure, ovvero
spazio e tempo. Le sensazioni hanno infatti bisogno di forme pure dell’intuizione che sono
indispensabili.

La logica trascendentale tratta dei concetti formati a priori dall’intelletto e dalla ragione. I
concetti formati a priori dall’intelletto sono detti categorie , i concetti formati a priori dalla
ragione sono detti idee.

L’analitica trascendentale è quella parte della critica in cui Kant spiega in che modo le
intuizioni sensibili vengono unificate. Le funzioni che appartengono all’analitica servono
a rendere comprensibili e a dare un ordine a queste intuizioni sensibili.
Ciò avviene attraverso le categorie dell’intelletto, anche in questo caso a priori. Lo studio di
queste categorie è quella parte della filosofia tradizionale che ci aiuta a capire in che modo
la nostra mente servendosi delle categorie della mente che sono a priori unifica le
sensazioni che provengono dalle esperienze.
Con l’estetica e l’analitica Kant crea un paradigma della conoscenza scientifica

Nella dialettica trascendentale Kant cerca di capire se definire la metafisica come scienza
o meno. La dialettica esamina le infondate argomentazioni elaborate dalla ragione umana
su quegli oggetti di cui non possiamo fare esperienza.
Se la metafisica segue il modello presentato nell’estetica e nella logica può
essere considerata una scienza.
Nella dialettica studia le cosiddette idee della ragione (un significato più specifico rispetto al
titolo). Analizzando il modo in cui i filosofi hanno storicamente usato il termine metafisico
(prospettiva storica sulla storia della filosofia) Kant arriverà alla conclusione che la
metafisica non è una scienza moderna e su questa base dà una nuova definizione di
metafisica.

Mentre l’analitica trascendentale esamina i concetti a priori dell’intelletto


(categorie) la dialettica trascendentale esamina i concetti a priori delle ragioni
(idee)

Estetica trascendentale
Kant ritiene che in ogni intuizione si possano distinguere una materia e una
forma. La materia dell’intuizione è costituita dalle sensazioni.
Le forme dell'intuizione sono due: spazio e tempo. Spazio e tempo sono elementi
puramente formali, fanno parte a priori della nostra conoscenza sensibile, la rendono
possibile senza derivare dall’esperienza
Nella dissertazione del 70 Kant aveva già affrontato questi temi, riprende delle definizioni
già precedentemente formulato ma non sviluppato all’interno del criticismo. Kant definisce
spazio e tempo come le forme pure dell’intuizione.

Lo spazio per kant è la forma del senso esterno mentre il tempo la forma del senso interno.
Dal punto di vista di Kant la forma pura, non mescolato a elementi empirici, dello spazio è
quella che rende possibile e sta alla base di tutte le intuizioni degli oggetti esterni a noi, ogni
oggetto fisico materiale occupa uno spazio se così non fosse sfuggirebbe alla percezione
dei nostri sensi.
Gli stati interiori della nostra vita sono percepiti e classificati grazie al tempo secondo le
categorie di passato, presente, futuro. SI tratta di una classificazione a priori, che
precede l'esperienza.
Qualunque esperienza che facciamo si colloca all'interno di spazio e di un tempo definiti,
non esiste esperienza al di fuori di queste coordinate. Se non esistessero a priori spazio e
tempo non sarebbe possibile alcuna intuizione sensibile.
Spazio e tempo sono dunque intuizioni pure, non concetti empirici e
costituiscono rappresentazioni necessarie e grandezze infinite date.

Spazio e tempo sono le condizioni che rendono possibili le scienze esatte come geometria
e aritmetica. Lo spazio, ossia la forma del senso esterno, sta alla base della geometria, la
geometria è quella.
Il collegamento tra il tempo e i numeri è meno immediato e intuitivo.
Le nostre percezioni interiori si strutturano secondo le categorie passato, presente futuro,
ma per poter dare queste definizioni ad un livello ancora più basilare della nostra intuizione
bisogna immaginare che esista una successione temporale di istanti che si susseguono.
Questa struttura del tempo sta alla base della rappresentazione grafica della linea dei
numeri che si basa su una successione. l’aritmetica dunque è una rappresentazione grafica
della successione temporale.

Se si analizzano queste due forme ci si rende conto del fatto che in un certo senso la
forma pura del tempo è quella più fondamentale tra le due. Qualunque rappresentazione
esterna degli oggetti può essere ricondotta ad un istante temporale. Non è vero invece il
contrario che ogni percezione del senso interno sia riconducibile in un spazio, non tutto
esiste nello spazio (sogni, sentimenti,emozioni pensiero, sono percepite dal senso interno
ma non sono riducibili ad una dimensione spaziale).

Analitica trascendentale

Nell’analitica si occupa dell’intelletto. L’intelletto si fonda su concetti che possono essere


o empirici oppure a priori che prendono anche il nome di categorie.
I concetti sono impiegati dall’intelletto per collegare tra di loro i dati dei sensi per formare
le rappresentazioni.
Questi concetti possono essere derivati dall'esperienza oppure possono essere a
priori, sono ciò che rende possibile comprendere l’esperienza e vengono definire
categorie dell’intelletto.
Il tema centrale per Kant è sempre la conoscenza.
È necessario che ci sia una componente sensibile (intuizione sensibile dell’estetica) ma
è anche necessario che ci sia la funzione intellettuale, esercitata dall’intelletto mediante
le categorie (analitica)
Perché ci sia una conoscenza scientifica legata al modello della scienza moderna,
queste due parte devono essere presenti entrambe.
‘I pensieri (concetti) senza contenuto sono vuoti, le intuizioni senza concetti sono cieche’
I concetti, se non ci fossero i dati empirici dalle intuizioni sensibili, sarebbero vuoti,
astratti, funzioni teoriche intellettuali, sono infatti delle funzioni puramente formali
(struttura degli insiemi ABC necessita di un contenuto). Le intuizioni sensibili senza le
categorie dell’intelletto sono indecifrabili, sono prive di senso

Categorie
Quanto kant usa le categorie per definire i concetti puri dell’intelletto, chiaramente si
riferisce ad aristotele dato che il termine categorie viene usato per primo da aristotele.
Secondo aristotele le categorie che sono 10 hanno una valenza ontologica e hanno una
valenza gnoseologica.
Riguardano quindi la sfera dell’essere, com’è fatto l’essere, queste categorie hanno una
portata sostanziale, chiariscono la composizione dell’essere in quanto tale. Hanno inoltre
una valenza gnoseologica in quanto riguardano la sfera della conoscenza, secondo
aristotele queste categorie rappresentano i dieci generi sommi, generi che sono più
generali possibili, ossia quelli che hanno la massima estensione e la minima comprensione.

La conoscenza per Aristotele è resa possibile dal fatto che quelle categoria che sono
nella nostra mente che usiamo per analizzare e comprendere il mondo sono anche le
stesse categorie che compongono l’essere sul piano ontologico, c’è una relazione diretta,
si riflettono l’uno dell’altro.

In Kant la valenza ontologica cade completamente.


Per kant le categorie sono dodici non dieci, sono concetti puri a priori che hanno si una
valenza gnoseologica sono le categorie a priori che noi applichiamo ai dati
dell’intuizione sensibile.
Per Kant non è possibile sapere come è fatto l'essere in se stesso indipendentemente
da noi, qualunque rappresentazione ci possiamo costruire dell’essere è qualcosa che
passa attraverso il nostro intelletto.
Possiamo solo sapere come noi attraverso delle categorie dell'intelletto applicate a
dati sensibili ci costruiamo queste rappresentazioni.

Kant fa riferimento alla classificazione delle forme dei giudizi per stabilire una
tavola completa e definitiva delle categorie.
A partire dalla tavola dei giudizi li raggruppa in quattro gruppi: giudizi di qualità(affermativi,
negativi, infiniti), quantità(particolari, singolari, universali), relazione e modalità. Poiché per
Kant la struttura del linguaggio riflette quella della mente, a partire dalla tavola dei giudizi è
possibile risalire alle categorie da cui essi derivano.
Ad esempio ai giudizi di quantità universali corrisponde la categoria della totalità, a
quelli singolari quella dell’unità e ai particolari quella della pluralità.
Le categorie sono quindi di quattro tipi: della quantità, della qualità, della relazione e
della modalità.
Deduzione trascendentale delle categorie

Kant affronta un problema spinoso che tratta in modo piuttosto approfondito all’interno della
critica della ragion pura usando delle argomentazioni a volte anche complesse.
Sostanzialmente la domanda che Kant si pone è quella circa la corrispondenza tra le
categorie dell'intelletto che sono a priori nella nostra mente, indipendenti dall’esperienza e
le proprietà degli oggetti sensibili. Anche hume aveva introdotto questo dubbio riguardo la
validità empirica delle categorie, Hume era infatti giunto ad affermare che il concetto di
causalità è formato dalla nostra mente e dunque non ha una validità oggettiva. Con il
termine deduzione Kant intende un ragionamento che risolve una questione di legittimità

Kant sviluppa quindi la deduzione trascendentale delle categorie, un ragionamento


sulla legittimità dell’applicazione delle categorie ai dati dell’esperienza.

Secondo Kant l’intelletto svolge la funzione di unificare le intuizioni sensibili, che definisce
operazione di sintesi. Questa operazione sintetica ha come condizione e presupposto una
coscienza unitaria ossia affinchè l’intelletto possa fare questo bisogna presupporre che
dentro di noi vi sia una sorta di coscienza che abbiamo di noi stessa in senso unitario,
tutte queste categorie e intuizioni fanno parte di un’unica unità di coscienza o ‘io penso’ o
appercezione trascendentale.
L’io penso funzione interna che permette di tenere insieme in un’unica coscienza
tutta la molteplicità di dati che prevengono dall’intuizione e di tenerle unite.

Grazie a questa funzione unificante noi siamo in grado di collegare le sensazioni con le
categorie dell'intelletto. Sia le sensazioni che le categorie fanno parte dell’io penso. Il
meccanismo attraverso cui funziona l’io penso è quello di classificare le sensazioni che
riceviamo attraverso l’uso delle categorie,al di fuori di questa unità dell’io penso le
sensazioni sarebbero informazioni che nessuno può decodificare (schermo e computer)
All’interno della coscienza le due cose sono inseparabili non si potrebbe avere alcuna
conoscenza di queste sensazioni senza un intelletto che le codifica, le sensazioni in se
stesse non esisterebbero nemmeno se non ci fosse niente in grado di decodificarle.

Scompare di conseguenza il problema dell'applicabilità delle categorie agli dati dei sensi
in quanto sono due cose inseparabili.
(mettendo la mano sul fuoco si sente il calore in quanto è il cervello attraverso la
trasmissione degli impulsi che decodifica la sensazione come caldo e fa ritirare la mano, se
si ha una lesione ai nervi del braccio, l’impulso nervoso si interrompe e non si sentono più
le sensazioni in quanto la comunicazione nervosa è interrotta e le informazioni non vengono
decodificate). Hanno bisogno l’uno dell’altro per esistere e avere senso.
È nel giudizio che si produce una sintesi tra una molteplicità di intuizioni e le categorie
non sono altro che concetti ricavati dall'applicazione delle funzioni logiche del giudizio
agli oggetti.

Schematismo trascendentale

Dopo aver risolto la difficoltà precedente si interroga sulla modalità in cui le categorie siano
applicabili alle intuizione dei sensi dal momento che le categoria non contengono alcun
elemento sensibile e sono eterogenee rispetto alle intuizione dei sensi. Kant introduce di
conseguenza la nozione dell'immaginazione, una facoltà conoscitiva, diversa dalla nostra
concezione di immaginazione quale fantasia, che si distingue dalle altre qualità capacità in
quanto permette di produrre spontaneamente delle immagini mentali indipendentemente
dal fatto che queste siano presenti.

L’immaginazione dunque per Kant rappresenta intuitivamente l’oggetto, ossia è un’entità


mentale, che produce una rappresentazione precedente alle categorie dell’intelletto e
che dunque non dipende da una rielaborazione concettuale, che dunque fa da tramite
tra intelletto e sensibilità.
L’immaginazione produce rappresentazioni mentali intermedie tra quel tipo di
informazioni che riceviamo dai cinque sensi (intuizioni sensibili) e quelle che
dell’intelletto ( i concetti). Queste rappresentazioni vengono definite schemi.
Vi sono dunque schemi ricavati dall’esperienza, gli schemi empirici, e schemi legati
alle categorie, ossia gli elementi a priori, gli schermi puri.

Kant sostiene che nella conoscenza ci sia una parte che deriva dai sensi e da una parte
che è costituita dalle forme pure di spazio e del tempo legate all’intuizione sensibile, la cui
importante è quella del tempo.
In virtù del fatto che tutte le nostre intuizioni sensibili sono comunque riconducibili alla
forma pura del tempo ma non dello spazio e siccome la forma pura del tempo è a priori e
indipendentemente dall'esperienza così come le categoria, la forma pura del tempo dunque
fa da ponte tra le categorie e le intuizioni sensibili. Da una parte è legata ai dati
dell'esperienza di cui non possiamo avere alcuna cognizione al di fuori delle categorie di
spazio tempo, e dall’altro è legate alla categorie.
Dunque l’immaginazione per produrre delle immagini ossia degli schemi corrispondenti
alle categorie si serve della forma pura del tempo.
Ossia applica le categorie dell’intelletto alle intuizioni sensibili tramite la forma pura
del tempo.

Al giudizio di quantità corrisponde lo schema del numero, a quello di qualità corrisponde


lo schema di presenza, assenza, intensità dei fenomeni. L’immaginazione si basa sul
tempo per produrre gli schemi.

Gli schemi puri sono dunque delle regole ricavate dalle categorie che permettono
di realizzare una sintesi del molteplice del tempo, tempo che è forma di ogni
intuizione sensibile .
Lo schematismo trascendentale consiste nella formulazione di questi schemi puri e
costituisce la spiegazione del modo in cui le categorie si possono applicare alle
intuizioni sensibili.

I principi puri dell’intelletto

I principi puri dell’intelletto sono le regole mediante le quali le categorie vanno usate
medianti gli schemi,i costituiscono il presupposto necessario dell’esperienza stessa. Questi
principi costituiscono delle regole generali che devono guidare l’applicazione delle categorie
dell'intelletto con la mediazione degli schemi prodotti dall’immaginazione.

i principi puri dell’intelletto che corrispondono alle categorie di quantità sono assiomi
dell’intenzione. Il principio degli assiomi dell’intuizione afferma che tutte le intuizioni sono
quantità estensive. Ogni oggetto dell’esperienza si deve affermare attraverso una sintesi
di parti e dunque deve possedere un’estensione.
le categorie dell'intelletto attraverso il concetto degli assiomi dell’intuizione si possono
applicare a slo questo tipo di oggetti, oggetti composti che esistono nel mondo fisico e
materiale. Dunque bisogna escludere dalla conoscenza, qualsiasi oggetto privo di
estensione (anima, ciò non vuol dire che non esista ma che non può essere oggetto di
una scienza empirica, fondata sull’esperienza).
Non può esistere una conoscenza scientifica dell'anima, perché anche
ipotizzandone l’esistenza è comunque qualcosa che sfugge all'esperienza

Le anticipazione della percezione sono quei tipi di principi che noi utilizziamo in rapporto
alle categorie di qualità.
Ogni fenomeno del mondo fisico ha una sua intensità, ossia un grado di
manifestazione. Ogni sensazione deve possedere un grado d’intensità che può essere
rappresentato mediante una misura matematica.
Tutti gli oggetti sulla base delle anticipazioni della percezione si presentano a noi con un
certo grado intensità e ci permette di effettuare delle misurazioni. Se un oggetto non si
può misurare non può essere oggetto di conoscenza.
La scienza si può applicare solo a determinati tipo di oggetto, che ci rappresentiamo
con particolari caratteristiche.

Le analogie dell’esperienza riguardano quelle leggi che sono relative alle categorie
della relazione
Qualunque esperienza si fonda sul presupposto che tra le nostre percezioni vi sia
un qualche genere di connessione necessaria.
Per ogni categorie della relazione esiste un tipo di connessione diversa: alla categoria di
sostanza corrisponde la connessione della permanenza ( se un oggetto esiste nel mondo
in modo sostanziale, la sua sostanza permane nel tempo pur trasformandosi) a quella
della causa il principio di causa-effetto, e alla reciprocità il principio di reciprocità di azione
delle sostanze (una sostanza agisce su un’altra che a sua volta agisce sulla prima).

I postulati del pensiero empirico in generale sono quelle regole generali secondo le quali
le categorie dell’intelletto devono essere applicate all’interno della modalità. Alla categorie
della possibilità e dell’impossibilità corrispondo il principio della non contraddizione, un
qualcosa di contraddittorio logicamente non può esistere.
Alla categorie dell'esistenza corrisponde la possibilità dell’oggetto come esperienza Alle
categorie della necessità e della contingenza corrispondono le condizioni universali e
necessarie dell'esperienza, ci devono essere delle condizioni o presupposti universali e
necessari perché al di fuori di queste non è possibile alcun tipo di conoscenza.

I risultati di tale riflessione sono:


1. in questo modo kant ha costruito un modello teorico e filosofico della scienza
moderna
2. ci sono delle intuizioni sensibili relative ad un certo determinato genere di oggetti
sulla base delle quali noi possiamo fare delle esperienze in senso empiriche e
quindi costruire una scienza degna di fiducia, modello rappresentato dalla scienza
newtoniana e poi ci sono degli altri oggetti che non possono invece oggetto di
alcune esperienza sensibile e su questi non si può costruire alcuna scienza.
Fenomeni e cose in sé

Riprende i concetti di fenomeni e noumeni già inseriti nella dissertazione del 70 dando
una definizione definitiva
Al termine dell’analitica trascendentale Kant torna sulla questione dei confini della
conoscenza possibile e ha dimostrato che la conoscenza è sottoposta alle
condizioni specifiche dell’esperienza umana.
La scienza quindi deve basarsi sull'esperienza dei fenomeni.
La mente umana, la ragione umana, in se stessa tende naturalmente a pensare a
degli oggetti che si sottraggono alle condizioni dell’esperienza sensibile e quindi non
appartengono alla sfera sensibile. Ciò non implica che queste identità diano origine ad
alcuna scienza di tipo newtoniano in quanto si basano su delle astrazione che non
hanno alcuna corrispondenza sul piano empirico.

La concezione Kantiana della scienza viene definita la filosofia dei limiti in quanto pone
dei limiti alla conoscenza scientifica. Kant vuole stabilire un confine all'interno del quale si
può parlare di scienza e al di fuori del quale non è più possibile
Kant usa l’esempio di un'isola in mezzo al male, finchè si è sull’isola si è su un terreno
solido e quindi si possono formare delle conoscenze, al di fuori dell’isola nel mare non è più
possibile costruire nulla in quanto mancano fondamenta solide. Ciò non vuol dire che il
mare non esista ma non è una base su cui costruire qualcosa di stabile.
In contrapposizione alla concezione della scienza come scienza di fenomeni Kant sviluppa
la concezione del noumeno oppure della cosa in sé che rappresenta il limite oltre il quale
non si può andare se si vuole fondare una conoscenza scientifica

Quando Kant parla della cosa in sé viene dunque pensata come un noumeno, cioè come
oggetto di conoscenza puramente intellettuale, che prescinde dal dato della sensazione.
Sulla base di quanto detto precedente la conoscenza dei noumeni appare per definizione
impossibile perché pretende di fare a meno di quelle condizione che rendono possibile
ogni esperienza.
La cosa in sé dunque non va pensata come un noumeno, ma come un concetto
negativo, cioè un concetto definito per negazione come ciò che non è sottoposto alle
condizioni dell’esperienza,
L'oggetto non può trascendere se stesso di conseguenza rappresenta un concetto limite
che non può essere oltrepassato, in quanto è al di fuori delle condizioni dell’esperienza.

Dialettica trascendentale

Nella dialettica Kant confronta la filosofia metafisica con il modello di scienza che ha
costruito per vedere se corrispondono fra loro. Se corrisponde la metafisica è una
scienza altrimenti sarà vero il contrario.
La dialettica trascendentale è una logica della parvenza, logica perchè fa parte della
logica trascendentale, parvenza significa illusorio in quanto si sviluppa sulla base di
un’attitudine naturale della nostra mente a raggiungere una conoscenza incondizionata
rispetto qualunque riferimento all’esperienza.
Secondo Kant negli esseri umani e nella mente umana c’è una tendenza naturale, ossia è
spontanea, a cercare una risposta alle nostre domande formulando delle idee di fondo
che però non possono essere provate attraverso nessuna esperienza empirica. Le idee
sono prodotti della nostra mente, delle costruzioni astratte che non hanno un fondamento
empirico.

Qui si produce una sorta di cortocircuito: alla fine dell’analitica si giunge alla conclusione
che le categorie dell’intelletto per essere usate in modo corretto e per poter produrre una
conoscenza di tipo scientifico devono essere applicate alle intuizioni sensibili. Entrambe
sono fondamentali perché ci possa essere una conoscenza scientifica. Nelle idee della
metafisica viene meno una delle due componenti fondamentali dal momento che le
categorie dell’intelletto vengono applicate alle idee della ragione e non alle intuizioni
sensibili.
Si crea un situazione che riguarda una realtà trascendente, in quanto si rivolge la mente a
delle entità che possiamo pensare con la nostra mente ma per le quali non abbiamo
alcuna testimonianza sul piano dell’esperienza.

Analizzando queste idee Kant dice che queste idee fondamentali della ragione sono di
tre tipi:
- l'idea dell’anima, quella parte della speculazione metafisica da platone fino a cartesio
che parla dell’anima, kant definisce questa sezione psicologia razionale - L’idea di
mondo o di cosmo, idea all’origine della cosmologia razionale - Idea di Dio dalla quale
si sviluppa la teologia razionale

Per comprendere la metafisica bisogna analizzare queste idee fondamentali per


determinare errori e problematiche

Psicologia razionale

La psicologia razionale riguarda la conoscenza dell’anima (psyché: anima e logia:


conoscenza) ed è definita razionale in quanto si basa esclusivamente su
ragionamenti astratti sviluppati dalla ragione senza alcuna base empirica
Kant fa riferimento alla tradizione filosofica a lui precedente: nel passato quando si parlava
di anima la si definiva come una sostanza spirituale, esistente in se stessa
indipendentemente dal mondo fisico, priva di estensione, uguale a se stessa nel tempo,
immortale. Un’entità di questo tipo sfugge totalmente al modello di scienza che Kant ha
delineato precedentemente, proprio per le sue caratteristiche, in quanto si applicano le
categorie dell'intelletto a intuizioni sensibili.
L’errore fondamentale che hanno fatto i filosofi metafisici è stato quello di attribuire a questa
idea di anima una realtà sostanziale a pensarla come una sostanza reale ed esistente
quando invece non è possibile sapere niente in merito alla sua esistenza, sappiamo solo
che la nostra mente è in grado di costruire un’idea di anima che abbia quelle caratteristiche
ma non è detto che abbia una sua sostanzialità, non si può pensare che una riflessione di
questo tipo sia qualcosa di scientifico, in quanto l’oggetto di cui si occupa non può essere
un oggetto della scienza in quanto sfugge ai parametri individuati da kant nei principi puri
dell’intelletto.
I metafisici hanno confuso quella che è una funzione della mente umana definita da Kant
io penso con qualcosa che esiste per se stesso come sostanza spirituale indipendente da
noi, non può avere infatti un autonomia sul piano sostanziale
L’anima dunque è una speculazione astratta priva di una qualunque base solida. Anche se
si volesse portare il ragionamento su un piano empirico ugualmente ci troveremmo di fronte
ad una contraddizione insostenibile in quanto la conoscenza che noi abbiamo di noi stessi
si fonda comunque su delle percezioni che noi abbiamo che sono legate ad un sentimento,
a un qualcosa che comunque avviene nel tempo e che molto spesso è legato a fenomeni
spaziali. Anche la sfera dell’interiorità è legata la nostro corpo o da sensazioni che
provengono dall’interno o da stimoli esterni e può essere studiata solo dalla psicologia
empirica o della fisiologia.
La psicologia razionale dunque non è una scienza in quanto non produce conoscenza
scientifica ma solo una pseudo scienza, una riflessione che viene proposta come
scienza sebbene in realtà non lo sia.
Cosmologia razionale

Critica di tutte quelle concezioni del mondo che non hanno un fondamento empirico ma
si fondano soltanto sulla ragione astratta.
Non critica l'astronomia, lo studio del cosmo e dei pianeti su base empirica, sta criticando
quelle proposizioni che possono essere enunciate del mondo in modo puramente astratto
e razionale.

Il mondo viene definito da Kant nella dialettica come unità incondizionata totalità di tutti i
fenomeni. Non fa riferimento ad una singola esperienza, la parola mondo sta ad indicare
la totalità di tutti i fenomeni che stanno accadendo nello spazio e nel tempo. CIò significa
che L’esperienza empirica è limitata e relativa a singoli fenomeni, non potremo mai fare
esperienza di tutti i fenomeni nel tempo e nello spazio, possiamo fare esperienza di un
fenomeno alla volta, di una parte infinitesimale di ciò che chiamiamo mondo, Di
conseguenza le preposizioni riguardo al mondo esprimono qualcosa di puramente
razionale, un’idea della ragione puramente teorica e astratta e priva di corrispondenza sul
piano empirico.

L’idea di mondo è un’idea puramente teorica e astratta che non ha nessuna corrispondenza
sul piano empirico, non esiste alcuna esperienza possibile della totalità di tutti i fenomeni.
Ne consegue che quando i filosofi metafisici dall’antichità fino ad oggi hanno definito il
mondo da un punto di vista razionale, pronunciando degli enunciati che spiegano come è
fatto il mondo in senso di totalità, hanno dato luogo ha una serie di proposizioni contrarie
l’una all’altra ma sulle quali non potremo mai dire quale è vera e quale è falsa, data
l’impossibilità di verificarli e confrontali sperimentalmente. Rimangono speculazioni astratte
della ragione

Queste proposizione contrarie tra di loro vengono definite le quattro antinomie della
ragione, coppie di proposizioni contrarie l’una rispetto all’altra alla quale la ragione senza
alcuna base empirica dà origine quando vuole affermare qualcosa sulla realtà del mondo
come totalità, tra le quali non sarà possibile decidere quale sia vera e quale meno.
Si hanno quindi una tesi e un’antitesi. Le tesi appartengono all’ambito del dogmatismo
le antitesi all'empirismo .
L’empirismo è quella prospettiva che non pone limiti alla sintesi dei fenomeni, il mondo è
per esempio considerato come infinito nel tempo e nello spazio, il dogmatismo è invece
quella prospettiva che pone un inizio di ogni serie di fenomeni, il mondo ha avuto un
cominciamento nel tempo e ha un limite nello spazio.
Kant non sostiene nessuna di queste tesi, si tratta di metafisica, scientificamente non
è possibile stabilire quale tra le due proposizioni sia vera.

C’è quindi ad esempio una contrapposizione tra chi sostiene che il mondo sia finito nel
tempo e chi sostiene che sia eterno. Scientificamente parlando non si può stabilire
quale delle due proposizioni sia corretta.
La seconda antinomia è tra semplice e composto, tra chi sostiene che nel mondo tutto
sia riconducibile a parti semplici e indivisibili e all’opposto chi sostiene che non esistono
entità semplici e indivisibili.
La terza antinomia è tra libertà e necessità, tra chi sostiene che nel mondo oltre al
principio di causalità è presente anche una serie di fenomeni che accadono liberamente
che quindi
non sono sottoposti alla legge della necessità e invece dall’altra parte chi afferma che
nel mondo tutto accade secondo delle leggi di natura.
La quarta antinomia è tra chi sostiene che al mondo appartiene qualcosa che
è assolutamente necessario e chi sostiene che in nessun luogo esiste un
essere assolutamente necessario.

Teologia razionale:

La terza e ultima idea è quella che riguarda Dio, dalla quale deriva la teologia razionale,
che si fonda unicamente sulla ragione senza alcun riferimento all’esperienza. A partire
dall’antichità attraverso tutto il medioevo fino ad arrivare a cartesio, i filosofi metafisici si
sono sforzati di dimostrare l'esistenza di Dio e quindi il fatto che dio non solo esiste ma
costituisce il fondamento di tutta la nostra realtà, sia dell'anima sia del mondo. Dio è il
fondamento su cui tutto poggia.

Se si intende individuare gli errori dei filosofi metafisici che hanno provato a dimostrare
l’esistenza di dio e le sue proprietà su basi puramente razionali bisogna analizzare nel
dettaglio quali sono stati i principali argomenti usati dai filosofi metafisici per parlare di dio
e dimostrarne l’esistenza.

Kant riconosce tre filoni del pensiero metafisico nel momento in cui ha come oggetto
della riflessione dio (teologia razionale):

Prova ontologica

La prova ontologia è la più fondamentale. Nella sua formulazione più chiara risale a
sant’anselmo d'aosta, filosofo teologo medievale, considerato come colui che per primo
ha cercato di fornire una prova convincente dell’esistenza di dio.
Sant’anselmo sostiene basandosi sia sul pensiero aristotelico sia sulle opere dei padri della
chiesa, che dio è l’essere per definizione perfettissimo, perché se così non fosse non
potrebbe essere dio. Ossia possiede in sé tutte le qualità possibili e contiene tutto in quanto
se non fosse così non potrebbe essere perfetto in quanto privo di qualcosa. Di
conseguenza tra le infinite proprietà contiene anche la proprietà dell’esistenza. Allora esiste
veramente, perchè altrimenti non sarebbe reale e quindi non sarebbe dio. Per Kant la
proprietà dell’esistenza non è una proprietà che può essere dedotta logicamente partendo
da principi a priori. L’esistenza è una proprietà che può essere soltanto appurata
con l’esperienza, sono necessarie prove empiriche per affermare l’esistenza di qualcosa.
Kant fa l’esempio dei 100 talleri, monete tedesche ai tempi di kant. Dal semplice pensiero
dei cento talleri non consegue che essi esistono. Il nostro pensiero non ha limiti ma ciò non
implica che tutto esista empiricamente.
In questo modo smonta la prova ontologica di sant' Anselmo. Si può pensare
qualunque cosa di dio ma non è detto che esista empiricamente.
Quando applichiamo le categorie dell’intelletto all’oggetto di dio non otteniamo
alcuna conoscenza scientifica in quanto non fa parte del campo delle intuizioni
sensibili.

Prova cosmologica

La prova cosmologica è quella per cui dato che ogni fenomeno fisico ha una causa è
possibile risalire alla causa prima di tutto che non può avere a sua volta una causa, ossia
Dio. Il concetto della causalità è valido finché si è nel mondo naturale, ma dio per
definizione non fa parte del mondo fisico, quindi non è possibile sapere se questo principio
vale anche al di fuori del mondo sensibile. Anche questa prova costituisce un ragionamento
vuoto.

Prova fisicoteologica

Risalente all’età vittoriana. Quando noi osserviamo la belleza la perfezione, la


completezza, l’ordine che c’è nel mondo non possiamo fare altro che ritenere un ordine
così perfetto sia derivato da un essere perfetto che lo ha creato, perché non c’è nient’altro
che possa spiegare la bellezza e la perfezione del mondo in cui viviamo se non una
creazione divina. Secondo kant non c’è alcun nesso tra l'ipotesi di un dio perfetto e l’ordine
della natura. Il mondo potrebbe benissimo essersi formato da solo.
Ci si troverebbe nella stessa situazione della prova cosmologica, si attribuiscono
proprietà del mondo sensibile ad un’idea astratta. Non si può passare dal piano
esperienza al piano della trascendenza.
La prova fisico-teologica verrà utilizzata fino a Darwin, che dimostrerà le imperfezioni
del mondo della natura: l’uomo vede solamente gli aspetti della natura che hanno avuto
successo e sono riusciti ad evolversi.
La natura è imperfetta e funziona imperfettamente, ha dato vita a migliaia di forme di
vita talmente imperfette che non sono riuscite ad adattarsi all'ambiente e sono sparite.
Ulteriore confutazione successiva a Kant.

Sorge quindi una domanda spontanea. Se queste pseudo scienze si fondano sulle idee
della ragione rispetto a cui non è possibile raggiungere nessuna conoscenza che funzione
hanno?
Su questa domanda Kant aggiunge un nuovo argomento.
Le categorie dell’intelletto di cui si tratta nell’analitica trascendentale hanno un ruolo
costitutivo ossia nella loro applicazione corretta alle intuizioni sensibili costituiscono le
leggi della scienza, producono conoscenza.
Le idee della ragione non svolgono un ruolo costitutivo in quanto non danno origine ad
alcuna scienza, ma hanno una funzione regolativa: pur non producendo conoscenza,
regolano, ordinano e classificano le nostre conoscenze all’interno di raggruppamenti
che consentono di dare ordine alle nostre conoscenze.
Sotto il concetto di idea di anima si possono raggruppare le conoscenze che riguardano
noi stessi e la nostra interiorità, sotto l’idea di mondo raggruppiamo tutte le conoscenze
che riguardano la realtà esterna, sotto l’idea di dio raggruppiamo tutte le conoscenze che
fanno riferimento a un possibile fondamento della nostra realtà oggettiva e soggettiva,
cercando di spiegare l'origine di fenomeni a partire da un fondamento esterno rispetto a
noi e al nostro mondo.

Deriva di conseguenza una ridefinizione del concetto di metafisica. Alla fine di questo
percorso che Kant ha sviluppato nella critica della ragion pura può rispondere alla
domanda circa la definizione di metafisica.
La metafisica intesa in senso tradizionale, a partire da Platone fino a Wolff è inutile per
quanto riguarda la conoscenza scientifica in quanto non produce alcuna conoscenza.
Bisogna dunque ridefinire la definizione, la metafisica non può essere un scenza ma alla
luce dell’idealismo trascendentale può essere definita come quella disciplina che studia
tutte le condizioni a priori della conoscenza.
Di conseguenza bisogna porre una distinzione chiara tra ciò che noi definiamo conoscenza
intesa come conoscenza scientifica e pensiero, dal momento che le due cose non
coincidono. Il nostro pensiero non ha limiti ma questo non implica che sia conoscenza
valida in quanto la conoscenza scientifica è un tipo di pensiero che si fonda su presupposti
definiti nell’analitica.
Quella di Kant è una filosofia dei limiti, all’interno del campo immenso del pensiero
umano esiste un’attività detta conoscenza scientifica solo se risponde a determinati
requisiti.

Kant può essere definito agnostico non ateo.


Ateo è una persona che non crede nell’esistenza di Dio, mentre l'agnostico è una persona
che ritiene che l’esistenza o la non esistenza di Dio non possano essere dimostrate su
base razionale, la nostra ragione umana non può dimostrare su basi certe e inconfutabili
nè l’esistenza o la non esistenza di Dio
Gli uomini possono affermare niente di sicuro in merito alla sua esistenza, in quanto
esula sia dalla filosofia dalla scienza e rientra nella fede

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CRITICA DELLA RAGION PRATICA

Nella critica della ragion pura Kant parte dall’analisi dei giudizi per sviluppare le diverse arte
della critica della ragion pura, dal momento che la scienza si esprime attraverso diversi tipi
di giudizi. Nella critica della ragion pratica si parla di morale, di comportamenti umani sul
piano
etico morale determinati da prescrizioni o comandi che ci dicono come agire. Il giudizio è
descrittivo, enunciati che descrivono il mondo, mentre le prescrizioni che stanno alla base
dell’etica chiariscono come agire.
Kant distingue due tipi di prescrizione. Da una parte si parla di massime dall’altra vi sono
gli imperativi.
Le massime sono dei comandi che hanno un valore soggettivo mentre gli imperativi
hanno un valore oggettivo. All’interno degli imperativi Kant distingue due tipi diversi di
imperativi,
l’imperativo ipotetico e l’imperativo categorico. nell’ambito della morale si hanno tre tipi
di prescrizioni: le massime, gli imperativi ipotetici, e gli imperativi categorici.

Hanno un valore soggettivo le massime perchè sono delle prescrizioni, regole di


comportamento che valgono solo singolarmente, per la singola persona. Gli imperativi si
distinguono dalle massime perché hanno un valore oggettivo, sono valide universalmente
(voglio dipingere le pareti della mia stanza di verde allora devo comprare la vernice
verde).
All’interno degli imperativi si possono distinguere due tipi diversi.

- L’imperativo ipotetico si chiama così in quanto dipende da certe determinate


condizioni di partenza. (se voglio partecipare alle olimpiadi mi devo allenare
costantemente, oggettivo perché senza allenamento è difficile partecipare alle
olimpiadi ma quell’azione vale solo in relazione allo scopo, al fine preposto, vi è
un rapporto mezzo fine ) Il comando relativo all'azione che bisogna compiere è
una conseguenza al fine che intendo raggiungere.

- L’imperativo categorico è indipendente da qualunque scopo, è valido in se stesso.


La forma tipica dell’imperativo categorico è devo perché devo. Un obbligo che si
impone per se stesso senza l’obbligo di raggiungere alcun fine, senza bisogno di
giustificazione o subordinazione. Imperativo che si auto impone.

Il fine della critica della ragion pure è quello di definire una legge morale universale ed
è dunque necessario distinguere i principi che determinano le azioni.

La ragione svolge un ruolo fondamentale nell'etica kantiana: essa è ciò che orienta
e determina la volontà dell'uomo ad agire in vista del bene. La razionalità è un
fattore determinante in tutti i campi, compreso quello della morale.
L’etica di Kant è un'etica del dovere, deontologica, bisogna fare una determinata
cosa perché la ragione lo impone.

La forma pura in cui si manifesta l’etica è l’imperativo categorico.


Le massime e gli imperativi ipotetici determinano i nostri comportamenti ma non
rappresentano la forma pura della morale in quanto un comportamento umano per
essere considerato morale ed etico deve essere un dovere razionale, comandato dalla
nostra ragione.

I contenuti della morale possono essere molto diversi in relazione ai luoghi, dei periodi delle
culture della propria coscienza (aborto). Si pone quindi il problema di trovare delle leggi
morale valide ovunque e in ogni momento indipendentemente dalle diverse culture e
società. L’etica kantiana è un’etica formale o formalistica, non ha contenuti specifici, non
dice cosa è giusto e cosa non è giusto fare in determinate situazioni, ma riguarda solo la
forma che la legge morale deve avere assumere universalmente nel determinare il
comportamento
umano, in quanto si fonda sulla ragione, caratteristica che accomuna tutti gli
uomini indipendentemente da fattori esterni come la cultura.
L’etica è formalistica e razionalistica ma in quanto tale è anche universalistica, in quanto
si fonda sulla ragione. Si ha un’etica formalistica razionalistica e universalistica.

Quando si parla della legge morale, la modalità attraverso al quale questa etica si
esprime nel modo più giusto è l’imperativo categorico.
Le altre due modalità di prescrizione, le massime e gli imperativi ipotetici non sono adatti
ad esprimere una prescrizione che deve essere razionale universale e formale.

Sia perché le massime hanno un valore soggettivo e in quanto tali non possono essere
universali. Mentre gli imperativi ipotetici (mezzi per raggiungere dei fini preposti) non sono
adatti ad esprimere la legge morale in quanto hanno contenuti specifici, sono sono formali,
indicano azione specifiche necessarie per raggiungere uno scopo. Inoltre lo scopo che una
persona che si propone non è detto che sia razionale, razionale è il calcolo per adeguare i
mezzi utilizzati per raggiungere un fine, ma è detto che lo scopo, il che farebbe venire
meno il razionalismo.

L’unica modalità in cui si può realizzare un’etica compiutamente formale razionale e


universale è l'imperativo categorico, devo perché devo. La ragione è universale
(categorie universali anche idee della ragione, forma pure dell’intuizione sensibile) ed è
formale in quanto non prescrive contenuti specifici.

L’imperativo categorico, modalità attraverso cui si esprime l’etica kantiana può essere
formulato secondo tre formule diversa ma complementari. L’imperativo categorico
dettato dalla ragione in senso formale e in senso universale ma può assumere delle
modalità di espressione diverse.

g
h
j
j
j
j

1. “agisci in modo che la massima della tua volontà possa valere sempre come
principio di una legislazione che abbia una validità universale”.
La legge morale per definizione deve essere adatta a valere universalmente. Questo
criterio formale permette di stabilire immediatamente la formula dell’imperativo categorico.
La prima modalità è la prima formulazione dell’intelletto categorico

- es. prescrizione di non rubare: può valere universalmente ovvero nessuno deve
rubare? sì; prescrizione di rubare: si può desiderare che si tratti di un principio
universale? no, non è un imperativo categorico.
Per verificare la validità si può sottoporre qualsiasi massima a una sorta di test e si scoprirà
che l’intelletto comune quando valuta la moralità di un’azione, presupponga questo
principio. Si tratta di qualcosa di formale che riguarda l'universalità della massima di un
comportamento.

2. “Agisci in modo da trattare, l’umanità così nella tua persona come nella persona di
ogni altro, sempre insieme come fine, mai semplicemente mezzo”

Agisci in modo tale da considerare sia te stesso sia ogni altro essere umano mai come
fosse soltanto un mezzo per raggiungere un fine (non strumentalizzare mai né te stesso né
gli altri essere umani) ma considera sempre l’umanità stessa come un fine in sé. Non
sfrutta né il tuo prossimo né te stesso per raggiungere fini personale ma considera
l’umanità come un fine, qualcosa che ha un valore in se stesso.
Questa formulazione nasce dalla considerazione del fatto degli essere umani come essere
razionale. Ogni essere umano in quanto razionale ha diritto ad essere rispetto per quello
che è. Non rispettando la razionalità umana si degraderebbe la morale a un mezzo.
L’azione non è più morale ma assume contenuti specifici (si torna all’imperativo ipotetico) se
la razionalità umana non viene rispettata ma sfruttata.

3. “Agisci in modo che la tua volontà in quanto essere ragionevole, possa essere
considerata una volontà universalmente legislatrice”.

Terza formulazione dell'imperativo categorico di Kant. La volontà è posta in rapporto alla


ragione, fa capo ad un essere ragionevole. Prima parte della formulazione parla della
volontà di un essere razionale. Per kant, illuminista, la ragione è sempre elemento
centrale pur manifestandosi secondo diverse modalità nella sua funzione teoretica nel
caso della ragion pura, pratica nella seconda critica e giudicante nella terza
Questa volontà che ci spinge all’azione ma che va sempre riferita alla ragione deve
spingere in modo tale da far si che questa volontà possa essere considerata come legge di
se stessa, non dipendente da qualcosa di esterno. La volontà di un essere razionale è
autolegislatrice.
La ragione stessa è ciò che crea la legge. Autonomia della morale, la morale che guida i
nostri comportamenti è autonoma. Si fonda su stessa in quanto razionale ed espressione
di una ragione dotata di validità universale. A partire da questo presupposto è possibile
criticare quelle leggi che non rispettano la razionalità universale e l’autonomia della
morale, giustificando quindi comportamenti morali ma illegali

CRITICA DEL GIUDIZIO

Si tratta dell’ultima delle tre grandi critiche di Kant.


nella critica del giudizio è affrontata una serie di argomenti tra cui i due fondamentali sono
legati da una parte all’arte e alla bellezza e dall’altra al concetto di finalità all’interno della
natura stessa. Quando si parla di estetica nel campo della critica del giudizio questa
assume il significato odierno, non quello utilizzato nella critica della ragion pura .
Anche all’interno della critica del giudizio Kant ripropone la questione dei giudizi come
aveva fatto nella critica della ragion pura introducendo però delle nuove tipologie di giudizi.
Da una parte ci sono i giudizi determinanti, ovvero tutti quelli analizzati nella critica
della ragion pura quindi i giudizi che portano alla conoscenza scientifica, distinti dai
giudizi riflettenti, dei giudizi di tipo diverso rispetto ai determinanti.
Si tratta di enunciati che connettono un soggetto e un predicato, anche in questo caso,
ma non portano a nuove conoscenze scientifiche.

Gli uomini infatti non si occupano soltanto di conoscenza scientifica o di morale, ma anche
di quella sfera dell’esistenza umana che riguarda l’estetica e la bellezza intesa come fonte
di piacere. Gli uomini possiedono una facoltà estetica ovvero una sensibilità che permette
di distinguere il bello (che produce un sentimento di piacere) e il brutto (ciò che suscita un
sentimento di dispiacere o repulsione)

I giudizi riflettenti quindi hanno a che fare con la sfera del sentimento, ovvero di quelle cose
naturali o artificiali che producono dei sentimenti di piacere o dispiacere che vengono in
base a queste definite belle o brutte. Anche i sentimenti svolgono un ruolo nella vita umana
che molto spesso si rivela determinante.
Kant analizza quindi un’altra funzione della mente umana ovvero il sentimento sia nella
sfera dell’arte sia in quella della vita quotidiana.

All’interno dei giudizi riflettenti esistono i giudizi estetici e teleologici, rispettivamente relativi
all’arte e relativi ai sentimenti suscitati in noi dalla natura nel momento in cui la
consideriamo non come oggetto di conoscenza scientifica, ma come un’entità generale
dotata di un ordine e di un’armonia interna (la natura svolge due funzioni diverse: una rosa
può essere definita e descritta sia dal punto di vista di un botanico attraverso giudizi
determinanti che semplicemente in maniera soggettiva attraverso dei giudizi riflettenti che
ne esplicitano la bellezza, i significati simbolici eccetera).

- I Giudizi estetici empirici (del gusto) sono giudizi di gusto personale perché si
fondano sull'esperienza, e variano da persona a persona.
- I giudizi estetici puri, invece che non dipendono dall'esperienza empirica, sono quelli
che possono avere in linea di principio una pretesa di universalità (una certezza
assoluta non è possibile) anche nel campo dei sentimenti ci sono dei giudizi che
possiamo presumere possano essere universali, ossia validi per tutti, (‘una rosa in
fiore è bella’ tende a valere per tutti).. Questa pretesa di universalità si fonda sul
fatto che bene o male certe strutture fondamentali sono comuni in quanto umani
siamo fatti allo stesso modo. Ciò vale nel bello come nel brutto, si può ipotizzare
siano valide per tutti perché si basano sulle strutture percettive se non uguali simili
in tutti gli uomini.

I giudizi estetici possono avere come soggetto il bello, ciò che suscita piacere o dispiacere,
ma anche il sublime. Ciò che produce in noi un sentimento dell’illimitato qualcosa che non
ha limite o confine, qualcosa di straordinario o eccezionale che da un alto attrae dall’altro
spaventa. Esistono il sublime matematico, ossia ciò che mi stupisce su una misura di
grandezza, qualcosa di illimitato che suscita ammirazione e terrore, ma anche il sublime
dinamico, ciò che stupisce per la potenza (terremoto, eruzione di un vulcano) forze talmenti
potenti, impossibili da controllare che sottolineano la nostra piccolezza di fronte alla natura.
Questi fenomeni suscitano in noi la consapevolezza di ciò che ci caratterizza e si
distingue dal resto della natura, unica essere viventi consapevoli e coscienti di se stessi e
capaci di agire moralmente, di seguire con i nostri comportamenti una legge morale. Gli
esseri umani sono diversi e superiori rispetto al resto nella natura.

lezione del 11/01/21


(scheda dal criticismo all’idealismo)
kant muore all’inizio dell’800 ma la sua filosofia era già diventata la corrente filosofica
dominante nella germania di quel tempo. scriveva a tantissime persone, la gente lo andava
a trovare-> nelle università tedesche la filosofia dominante era quella di kant che aveva
sostituito la vecchia metafisica di wolf. una volta morto non poteva rispondere alle domande
e alle critiche-> nelle università e nei salotti letterari si comincia a sviluppare un dibattito su
vari aspetti della filosofia kantiana, che sul piano filosofico davano da pensare. da questo
dibattito filosofico e culturale pian piano, nel corso degli anni, le critiche che vengono fatte al
pensiero di kant si focalizzano attorno ad uno dei concetti fondamentali di tutta la filosofia di
kant-> il concetto della cosa in sé. questo concetto diventa l’elemento fondamentale delle
critiche che vengono rivolte alla filo di kant; perché ci si domanda se questa cosa in sé è
inconoscibile per definizione (kant stesso l’ha definita così-> in base alle nostre abilità
conoscitive non potremmo mai conoscerla); se questa cosa in sé non potremmo mai
conoscerla fa sorgere due problemi: 1- non possiamo che esiste certamente una cosa che
non possiamo conoscere (nessuno può darci la sicurezze che esiste realmente); 2- se non
siamo sicuri che esiste, allora non la possiamo neanche prendere come base su cui fondare
le nostre conoscenze. segue che questo concetto della cosa in sé non può essere
dimostrato in alcun modo-> diventa un dogma/postulato che va accettato per così com’è. la
cosa in sé diventa una sorta di presupposto indimostrabile del quale non è possibile
dimostrare in alcun modo l’esistenza. allora di fronte a un problema così rilevante accade
che il mondo filosofico si spacca in due: ci sono quelli che accettano l’esistenza della cosa in
sé come un dato di fatto e dall’altra parte ci sono coloro che la rifiutano (è un postulato
indimostrabile e che in quanto tale non può essere accettato con certezza). questa
contrapposizione da origine a due grandi orientamenti filosofici di fondo che hanno
caratteristiche opposte tra di loro. i sostenitori della cosa in sé daranno origine a tutte quelle
correnti filosofiche che oggi definiamo con termini come “realiasmo” o “materialismo”, perché
affermano che esiste veramente una realtà esterna rispetto a noi la quale è indipendente da
noi ed è regolata da dei principi che noi dobbiamo sforzarci di capire-> posizione qualificata
come una metafisica dell’oggetto-> viene affermata l’esistenza di un oggetto ma senza poter
fornire alcuna prova dell’esistenza reale di tale oggetto. dall’altra parte troviamo il fronte di
coloro che negano l’esistenza della cosa in sé (dicono che è solo un postulato) e da questi
filosofi nascono quelle filosofie che oggi definiamo come “idealistiche” o “spiritualistiche”
(l’idealismo, che prenderà piede in germania, nasce da questa corrente); si tratta di una
filosofia del soggetto-> l’oggetto (cosa in sé) scompare, e tutto viene ricondotto all'attività del
soggetto-> tutto ciò che è, è il prodotto dell’attività del soggetto.
coloro che sostengono la prima posizione sono dei dualisti perché il soggetto e l’oggetto
costituiscono due entità diverse e separate, che non possono essere ridotte l’una all’altra.
con la metafisica del soggetto si ha un monismo filosofico perché il principio è uno solo-< il
soggetto. l'oggetto scompare-> ciò che tradizionalmente veniva chiamato l’oggetto, da
questo punto di vista non è altro che il risultato dell'attività del soggetto. l'idealismo nasce da
questa scissione che si produce nel dibattito filosofico post kantiano. questo soggetto di cui
parla l’idealismo (nelle sue diverse forme-> però avevano in comune l’idea di “eliminare”
l’oggetto) è un soggetto assoluto perché è diventato il principio che da origine a tutta la
realtà. hegel dirà “tutto è spirito”-> tutto è prodotto dall’attività di questo soggetto assoluto
(che verrà definito in vari modi dai filosofi). questo atteggiamento per cui tutto è spirito
costituisce la base dell’idealismo romantico (che è la base del romanticismo). filosofia
dell’idealismo costituisce il sostegno di tutte le correnti artistiche che fanno capo al
romanticismo.

lezione del 12/01/21


(scheda dal criticismo all’idealismo)
affermazione che può suonare un po’ strana (quella di hegel)-> come si fa ad affermare una
cosa di questo genere. il presupposto in generale su cui si fonda l’affermazione che
all’interno sia del soggetto umano in generale, sia all'interno della natura non umana (->
entrambe derivano dall’attività dello spirito) è presente ed agisce una sorta di razionalità
universale (che è la stessa in entrambi)-> sia i comportamenti umani che quelli della natura
in realtà appartengono ad un’unica grande totalità che si sviluppa seguendo le stesse leggi e
in vista del raggiungimento degli stessi fini. di conseguenza anche la natura viene
razionalizzata perché dentro di essa agisce la stessa spiritualità del soggetto umano. (es.
secondo gli stoici all’interno della natura vi era un logos universale e il logos particolare si
doveva allineare al logos universale-> quando si aveva la corrispondenza tra i due si
raggiungeva la virtù). in vista di questo fatto è possibile comprendere le leggi che regolano il
divenire dello spirito nel corso della storia umana e naturale. tutto quanto è l’azione di questo
spirito assoluto che si realizza nel corso della storia. come questo avviene viene spiegato da
ogni filosofo nel suo modo (in modi diversi quindi), però il concetto di base è lo stesso per
tutti (sia nel mondo naturale che in quello umano).
avviene un cambiamento fondamentale anche sul piano della terminologia filosofica perché
kant aveva parlato di un io penso (funzione logica unificante interna alla mente umana)->
con fichte (il fondatore dell’idealismo) questo io assume un altro significato-> diventa un io
puro che non è più solo una funzione della nostra mente ma acquista una valenza
ontologica che costituisce l’elemento fondativo di tutta la realtà.
questo io puro o assoluto (definito da schelling) o spirito (def da hegel) non deve essere
inteso in senso statico (es l’uno di platone) ma in senso dinamico-> soggetto che
progressivamente diviene ciò che è all’interno di un movimento (divenire) che si realizza nel
corso del tempo-> soggetto assoluto ma in continuo divenire (in continua trasformazione).
sia la natura che gli esseri umani fanno parte di questo movimento (tutto è spirito-> tutto si
trasforma) ma c’è una diff tra gli esseri umani e il resto della natura-> gli uomini a differenza
di tutti gli altri esseri naturali sono consapevoli di questo fatto, sono coscienti sia di se stessi
ma anche del fatto che il loro esistere fa parte di questo divenire (movimento di realizzazione
dello spirito); mente gli altri esseri viventi non sono consapevoli di questo-> sono ciò che
sono ma non hanno la consapevolzza si ciò che sono (tema dell’autocoscienza-> ciò che
distingue gli uomini da tutto il resto). un essere umano se messo davanti a un aspetto è
consapevole che quell’immagine è se stesso; un animale non sa di essere un animale-> non
è autocosciente ma è semplicemente quello che è; l’autocoscienza ce l’ha solo la specie
umana. gli idealisti dicono che solo gli umani sono dotati di questa consapevolezza di sé
stesso.
un’altra caratteristica della filosofia dell’idealismo è il fatto che in questo progetto di
autorealizzazione, lo spirito è assolutamente libero-> non ha limiti perché al di fuori di lui non
esiste niente-> tutto ciò che esiste è semplicemente qualcosa che proviene da lui
(monismo-> il principio è uno solo che da origine a tutte le cose); ecco perchè viene
chiamato anche soggetto assoluto-> lui è tutto e tutto ciò che è, è lui (è opera sua). ed è
attraverso questo suo agire/produrre che da origine a questa realtà (al mondo) che è
caratterizzato da questo continuo divenire (movimento continuo)-> è la manifestazione
visibile dello spirito che si realizza e che diviene sé stesso, a partire dal piano materiale
(fisico) per arrivare fino alle manifestazioni più elevate della vita cosciente che poi
porteranno a, quelle che hegel definirà come “le attività umane di livello più altro”. queste per
hegel sono la religione, l’arte e la filosofia.

lezione del 13/01/21


fichte (sul libro solo paragrafo 1 pagina 306,307 compreso lo schema delle opere principali)
vita vedi libro.
all’inizio della sua carriera come filosofo fichte fu fortemente influenzato dalla filosofia di
kant-> si presume che abbia deciso di dedicarsi alla filosofia dopo aver letto le opere di kant.
andò all’università di konigsberg per conoscere kant di persona e seguì anche alcune sue
lezioni, tanto che la prima opera di fichte “saggio di una critica di ogni rivelazione” del 1792
(kant era già abbastanza vecchio); però kant lo raccomandò all’editore perché pubblicasse
la sua opera-> fichte decise di pubblicare l’opera in modo anonimo perché a quell’epoca
molte persone che non erano ancora conosciute pubblicavano le opere in modo anonimo,
perché temevano che se le opere avessero ottenuto lo sfavore del pubblico si sarebbero
bruciati l’intera carriera. ma in realtà l’opera vendette molto perché la gente che la comprava
e la leggeva pensava fosse uno scritto di kant-> perché era scritta bene e usava anche la
terminologia kantiana-> quando ci si rese conto di questo e la gente parlava dell’ultima
opera di kant riferendosi a questo testo, kant dovette intervenire e disse che l’opera in realtà
è stata scritta da fichte-> da qui inizia la fortuna di fichte-> inizia ad occupare cariche
importanti e diventa un personaggio importante della cultura e della filosofia tedesca. da
questi esordi kantiani sviluppò una sua filosofia prendendo le distanze da kant->
interpretando e radicalizzando alcuni concetti della filosofia kantiana e che lui trasformò
completamente (a volte dava definizioni opposte a quelle di kant).
-primo tema su cui si distacca: si schiera dalla parte di quelli che rifiutano di accettare il
concetto kantiano della cosa in sé-> correnti di pensiero idealistiche-> fichte è il fondatore
dell’idealismo tedesco.
-secondo tema che segna nettamente il distacco da kant riguarda il concetto dell’io penso
(nella filo di kant esiste la funzione dell’io penso che è una funzione logica legata al corretto
funzionamento della categorie dell’intelletto)-> fichte si aggancia a questo concetto dell’io e
lo trasforma nell’io puro (termini ripresi dal passato e usati con significati diversi).
differenze io penso (A) e io puro (B):
1A: è una funzione unificatrice della conoscenza e ha un valore gnoseologico (teoria della
conoscenza-> come è possibile la conoscenza scientifica);
1B: conserva anche un valore conoscitivo ma la differenza consiste nel fatto che ha anche
un valore sul piano ontologico (non più solo la conoscenza ma riguarda l’essere, ciò che è).
è dotato di una sua esistenzialità l’io puro, indipendentemente dalla nostra mente. (l’io penso
non può esistere indipendentemente dalla mente umana);
2A: principio puramente formale-> logico. svolge la funzione di unificare le intuizioni sensibili
e di unirle con le categorie dell’intelletto;
2B: l’io puro non sta soltanto alla base delle nostre rappresentazioni mentali, perché in
quanto esiste come principio autonomo è lui stesso che da origine a tutta quanta la realtà in
quanto è un soggetto assoluto. tutto ciò che noi chiamiamo realtà viene generato dall’attività
dell’io puro-> è un principio costitutivo della realtà. (per kant la realtà è la cosa in sé, che non
conosceremo mai per com’è)
3A: al di fuori dell’attività dell'io penso c’è una realtà che è irriducibile all’io penso-> è la cosa
in sé;
3B: l’io puro è la realtà stessa-> è ciò che produce tutto. non esiste qualcosa al di fuori
dell’attività dell’io puro;
4A: la filosofia è una teoria della conoscenza;
4B: la filosofia ritorna sul piano della metafisica-> si parla dell’essere. metafisica intesa in
modo diverso dal medioevo e dall’antichità.
molto spesso quando si parla dell’io puro si usa il termine creare (crea il mondo); nel
linguaggio comune, creare assume due significati: -quando si parla di arte; -di tipo religioso.
quando si dice che l’io puro crea il mondo, rimanda al significato religioso. usare un termine
del genere implica una interpretazione religiosa del pensiero di fichte,però non è necessario
che sia così; perché se lo interpretiamo in senso religioso partiamo dal presupposto che l’io
puro coincide con dio, ma fichte non dice questo. es. io puro di fichte può essere simile
all’essere di parmenide o all’uno di parmenide-> è un principio filosofico. termine giusto da
usare è quindi: da origine al mondo, produce le cose del mondo, pone.
la filosofia di kant è un dualismo perché parte dal presupposto che ci sono due principi
opposti; la filosofia di fichte e dei dualisti è un monismo perché il principio assoluto è solo
uno-> la realtà è il prodotto dell’attività del soggetto assoluto. anche il concetto di metafisica
cambia significato, non solo perché si tratta di una metafisica del soggetto ma anche perché
le domande che vengono poste all’interno di questa definizione della metafisica non
riguardano più la natura del mondo ma riguardano l’attività dell’io puro-> in che modo questo
soggetto assoluto produce il mondo. la filosofia di fichte è una filosofia che cerca di
rispondere a questa domanda: “in che modo l’io puro da origine a tutta quanta la realtà?”.

lezione del 18/01/21


i tre momenti della vita dello spirito sono nella filo di fichte quei tre stadi attraverso i quali, l’io
puro da origine con la sua attività al mondo in cui viviamo (è un principio dinamico). questo
movimento dell’io puro avviene in tre fasi diverse.
struttura: le tre fasi si chiamano tesi-> affermazione di qualcosa; antitesi-> negazione di
quanto affermato; sintesi-> superamento dell’opposizione e la soluzione del problema.
schema tripartito ideato per la prima volta da fichte-> hegel riprenderà questo schema
modificandolo e si trasformerà in quella che verrà chiamata la dialettica hegeliana (uno dei
principi fondamentali di tutta la filo di hegel).
contenuti di ognuna fase:
1. la tesi: “l’Io pone se stesso”. con questa tesi fichte vuole dire che l’io (puro)
costituisce quel principio primitivo da cui tutto proviene e che quindi non ha bisogno
di essere giustificato da nient’altro, perché se avesse bisogno di essere giustificato
non sarebbe più il principio primo. questo principio primo è l’origine di se stesso-> è
autosufficiente (basta per giustificare se stesso). l’io puro di fichte è l’origine di tutto.
2. l’antitesi: “l’Io oppone a se un non-Io”-> deve essere enunciata una proposizione che
si oppone alla precedente. questo io puro che pone se stesso, a un certo punto fa
una cosa che può sembrare strana-> lui stesso, che è l’origine di tutto, si pone
davanti (come oggetto) qualcosa che non è lui ma che è diverso da lui. es. poniamo
che io sia michelangelo e che nella mia mente abbia l’immagine di una statua che
voglio scolpire; nella mia mente ho già l’immagine chiara di cosa voglio fare, però
fino a quando questa immagine è dentro la mia mente, in pratica non è reale ma è
solo un pensiero. perché diventi qualcosa di concreto bisogna che mi procuri un
blocco di marmo e scolpirlo, finché il blocco non assumerà quella forma che gli voglio
dare. questo processo assomiglia al passaggio dalla tesi all’antitesi-> perché è un
negativo rispetto all’affermazione: perché diventa materia, mentre l’idea che ho in
mente è puro pensiero. quindi in quanto materia che viene modellato non è più puro
pensiero, ma è l'opposto del puro pensiero-> è materia. si passa dal piano di ciò che
non è materiale alla materia-> negazione: la materia è l'opposto del pensiero puro.
passaggio tesi-antitesi: passaggio dal pensiero puro (immateriale) alla seconda fase
in cui diventa materia (qualcosa di opposto rispetto a ciò che lui è nella sua
essenza). quindi è un non-io. materia: è la natura, tutto ciò che costituisce il mondo
materiale in cui viviamo; perché solo negandosi come pensiero puro può diventare
qualcosa di materiale. l’io oppone a se un non-io-> il puro pensiero oppone a se
stesso la materia, cioè la natura.
questioni di dibattito filosofico: molti filosofi successivi hanno interpretato questo
passaggio in senso religioso, come un dio (io puro) che crea il mondo-> qui però non
parliamo di religione. questo io puro non bisogna pensarlo in senso religioso ma
filosofico (molto più simile all’uno di plotino-> tutto viene emanato dall'uno attraverso
dei livelli diversi che sono le ipostasi fino ad arrivare la materia; ma non è un atto di
volontà-> semplicemente emana le cose da se, ma non vuole crearle; es. il sole che
non emana la luce volontariamente, ma lo fa perché è una stella, quindi è nella sua
natura). quando parliamo di creazione come fa la bibbia, facciamo riferimento a un
atto volontario-> la creazione dipende dalla volontà di chi crea. l’emanazione invece
è un processo naturale. il passaggio dalla tesi all’antitesi non avviene in modo
volontario-> ma avviene attraverso l’immaginazione produttiva (quando kant parlava
dell’immaginazione produttiva, parlava di quella facoltà della nostra mente che
produce gli schemi trascendentali che permettono di collegare le intuizioni sensibile
con le categorie); per fichte è la capacità che ha l’io puro di dare origine alle cose,
senza crearle ma in modo involontario. processo attraverso il quale l’io oppone a se
un non-io-> non è volontario-> non si può chiamare creazione.
il limite: l’io puro prima di porre davanti a sé il non-io, è illimitato; ma nel momento in
cui diventa materia (non-io) si entra nel regno del limite-> fichte definisce la natura
come il regno dei limiti, perché qualsiasi cosa faccia parte della natura ha
necessariamente dei limiti perché se non li avesse non farebbe parte del mondo
fisico-> sarebbe immateriale. questi limiti costituiscono l'opposizione alla natura
stessa dell’io puro che invece è illimitata.
il non-io si oppone al io su due aspetti: -è materia; -la natura ha dei limiti.

lezione del 19/01/21


3. sintesi: “l’Io oppone, nell’Io, all’io divisibile un non-io divisibile”-> nella sintesi la parole
io appare scritta in due modi diversi: con la maiuscola o con la minuscola-> Io: si
riferisce all’io puro; io/non-io divisibile non è l’Io puro.
nelle prime due fasi abbiamo visto in che modo la natura deriva dall’attività dell’io
puro come una negazione. il problema è che in questo modo fichte non arriva ancora
a spiegare in che modo si arriva a definire la realtà concreta del mondo in cui
viviamo, che è composto da tanti singoli corpi fisici. sappiamo in che modo dall’io
puro si arriva alla materia, però ancora non siamo arrivati alla definizione delle
singole individualità. come procede questo movimento? per spiegare questo
passaggio bisogna tornare alla antitesi: fichte definisce la natura come il regno dei
limiti-> nel momento in cui, l’io puro attraverso l’immaginazione produttiva dà origine
al non-io, proprio per il fatto che siamo passati dalla sfera del pensiero puro alla
materia, questo passaggio implica che l’io puro si è posto dei limiti. nel momento
stesso in cui, attraverso questa negazione, l’io puro ha dato origine alla natura, ha
dato origine anche ai limiti entro i quali ciascun singolo corpo è chiuso (natura corpo
materiale-> occupare una regione dello spazio-> delimitata da confini/limiti). questo
passaggio dal illimitato al limitato produce come conseguenza, una sorta di divisione
sia all’interno dell’io sia all’interno del non-io; perché l’io nel momento in cui pone dei
limiti all'interno di se stesso in quanto io, da origine a dei piccoli io finiti (nella formula
definito come io divisibile). piccoli io divisibili-> siamo noi: soggetti consapevoli->
ciascuno di noi da questo punto di vista, siamo il risultato di questa suddivisione che
si è prodotta all'interno dell'io puro nel momento in cui si è posto dei limiti. (io con la
lettera minuscola, dal punto di vista di fichte è il risultato finale di questa divisione che
si viene a creare all’interno dell’Io puro nel momento in cui scende sul piano
materiale e si pone dei limiti-> ogni io è un pezzetto dell’Io puro). questa suddivisione
avviene anche per quanto riguarda la natura, intesa in senso generale, che è
composta da corpi individuali e limitati, che però sono diversi da noi-> si tratta
sempre di oggetti limitati però sono anche diversi rispetto a noi-> questi non sono il
risultato di una divisione interna all’Io, ma il risultato di una divisione prodotta
all'interno del non-io (nella natura). a tutti i singoli io che noi siamo oppone tutti i
diversi oggetti che compongono il mondo fisico. nell’io-> tutto questo processo è
comunque un risultato dell’attività produttiva dell'io puro; anche gli io divisibili e i
non-io divisibili, sono sempre all’interno dell'attività dell’io puro. tutto ciò che noi
siamo e tutto ciò che ci circonda, è una manifestazione dell’io puro. ma nel momento
in cui noi piccoli io individuali finiti empirici, diventiamo consapevoli di questo
processo (siamo un prodotto dell’attività dell’io puro)-> abbiamo realizzato la
conoscenza del fatto che tutto ciò che è, non è altro che un effetto dell’attività
produttiva dell’io puro; a questo punto il cerchio si chiude-> attraverso questa
consapevolezza ci ricongiungiamo con il principio originario (io puro) (ci rendiamo
conto che tutto è spirito/io puro-> monismo-> tutto è il risultato dell’attività di un unico
principio originario).

lezione del 20/01/21


schelling
vita e opere da pagina 352 a 354 (schema compreso)
schelling parte da una critica molto definita alla filosofia di fichte, e in modo particolare alla
definizione che fichte aveva dato della natura (non-io-> qualcosa di negativo nello stesso
termine che la indica)-> dal punto di vista di schelling è sbagliata perché riduce la natura ad
un ruolo puramente residuale-> non è altro che un prodotto secondario della attività dell’io
puro (viene degradata a un livello inferiore). per schelling è sbagliato perché in realtà la
natura costituisce una realtà esistente per se stessa, non è il risultato secondario di qualcos
altro.
il principio fondativo della realtà lui lo chiama l’assoluto. l'assoluto di schelling svolge
all’interno del suo sistema filosofico la stessa funzione che l’io puro svolge all’interno del
sistema filosofico di fichte-> è il principio fondativo. però questo assoluto è qualcosa di
abbastanza diverso dall’io puro di fichte; perché l’assoluto, dice schelling, è composto da
due principi che però non vengono uno prima dell’altro, ma sono entrambi due principi
originari che insieme danno origine all’assoluto-> sono natura e spirito (due facce dello
stesso assoluto). la natura è spirito inconscio, che non ha ancora raggiunto la coscienza di
sé; lo spirito è natura autocosciente. la natura viene spiritualizzata, mentre lo spirito viene
naturalizzato. da queste due componenti nascono e si sviluppano due filoni diversi della
riflessione filosofica. dalla riflessione della natura-> fisica speculativa; spirito-> idealismo
trascendentale.
fisica speculativa: bisogna fare riferimento al fatto che schelling era stato molto interessato
agli studi scientifici, infatti quando era all’università seguiva anche i corsi scientifici. è la parte
della sua filo che riguarda la natura, e in quanto si riferisce alla natura prende il nome di
fisica (deriva dalla parola greca fisis che nella traduzione si traduce con natura). speculativa
perché qui usa il termine per distinguerla dalla fisica sperimentale; vuole sottolineare il fatto
che la sua non è una fisica sperimentale ma speculativa-> si sviluppa sul piano della
filosofia: da una interpretazione filosofica dei nuovi sviluppi delle scienze tradizionali del suo
tempo.
idealismo trascendentale: idealismo-> perché si occupa di idee che non appartengono alla
sfera del mondo fisico. trascendentale perché si aggancia alla tradizione kantiana-> elementi
a priori rendono possibile la conoscenza. idee che rendono possibile la conoscenza intesa in
un senso astratto/idealistico.

filosofia della natura


secondo schelling la natura può essere definita come “vita spirituale inconscia”-> nella
natura c’è lo spirito (all'interno della natura c’è nascosta una vita spirituale che però è
inconscia-> la natura non è cosciente della sua natura spirituale-> è uno spirito cristallizzato
all’interno della natura). questo principio originario che sta alla base di tutto è sempre un
principio dinamico-> anche lo spirito rinchiuso nella natura conserva la sua natura di spirito->
si muove-> è presente sotto forme diverse all’interno della natura.
nella natura esiste una tensione interna che è data dalla polarità di attrazione e repulsione, e
sono dimostrati dai recenti risultati ottenuti da alcune ricerche scientifiche-> tre fenomeni:
magnetismo (manifestazione naturale del fatto che in natura esistono queste forze di
attrazione e repulsione), elettrica (volta aveva inventato la pila-> polo positivo e polo
negativo), chimismo (gli atomi che si aggregano lo fanno in base alle loro cariche positive e
negative). esempi che schelling porta a supporto della sua affermazione sulle forze attrattive
e repulsive.

lezione del 25/01/21


da queste forze naturali (presenti in tutta la natura), a un certo punto si verifica all’interno
della natura un passaggio dal mondo inorganico al mondo organico, cioè dalla natura non
vivente alla natura vivente. le forze che stanno sia nella natura inorganica che in quella
organica sono le stesse. a questo punto (quando si arriva al mondo organico), questa natura
vivente costituisce il presupposto indispensabile perché si possa sviluppare quel fenomeno
che si chiama coscienza-> questo fenomeno si sviluppa a partire dalla presenza di
determinate forme di natura vivente piuttosto complesse (nel mondo inorganico, non c’è
coscienza perché non c’è vita)-> la coscienza vive soltanto dove vi è latura vivente e solo
nelle forme più evolute. poi si deve fare la differenza tra coscienza e autocoscienza (che
sembra essere tipica solo degli esseri umani). schelling dice che questo è il livello più alto a
cui si può arrivare all'interno della filo della natura; quando comincia ad apparire
l’autocoscienza, si entra nel regno della natura autocosciente-> regno dello spirito.
principio che è presente in tutti gli idealisti-> lo spirto è un qualcosa di dinamico-> anche
quando parliamo dello spirito, anche all’interno della filosofia dello spirito c’è in atto un
processo del genere, simile al processo della filosofia della natura (ci si muove da forme
semplici a forme più complesse-> nella filo dello spirito si passa da forme semplici di
autocoscienza a forme più complesse di autocoscienza).

lezione del 26/01/21


filosofia dello spirito
il soggetto sviluppa sé stesso attraverso tre fasi:
1. primo stadio-> passaggio dalla sensazione alla intuizione produttiva: la sensazione è
una percezione che riceviamo attraverso i nostri sensi, e noi siamo consapevoli di
ricevere queste sensazioni attraverso i nostri sensi; finchè ci muoviamo in questa
direzione siamo in una situazione passiva perché la nostra vita si limita ad una
sensazione che riceviamo dall’esterno. in che modo si supera questa posizione
originaria?-> quando ci rendiamo conto che noi non dobbiamo solo accettare quelle
sensazioni che riceviamo dal mondo esterno, ma siamo anche capaci di codificare il
mondo esterno, attraverso le nostre azioni, sulla base delle sensazioni che
riceviamo-> non siamo più solo passivi ma diventiamo attività perché ci rendiamo
conto di poter trasformare l'ambiente per renderlo più adatto alla nostra vita.
passare da una fase puramente ricettiva/passiva a una fase attiva (consapevolezza
di poter superare i limiti posti dalla sensazioni e trasformare l’ambiente a proprio
favore).
2. secondo stadio-> passaggio dalla intuizione produttiva alla riflessione: quando l’io
riesce ad oggettivare se stesso. fino ad ora l’io aveva una consapevolezza di sé in
rapporto (rapporto tra soggetto e oggetto) al mondo esterno; in questa seconda fase
l’io diventa capace di osservare se stesso come se fosse un oggetto del mondo
esterno. pongo me stesso come oggetto della mia riflessione. passaggio che
riguarda la capacità che noi abbiamo di osservare noi stessi dall’esterno, come se
fossimo degli oggetti. questo passaggio riguarda questa capacità.
3. terzo stadio-> passaggio dalla riflessione alla volontà: rappresenta la fase più evoluta
del processo. quando ho acquisito la capacità riflessiva e sono diventato
consapevole di me stesso, il gradino successivo consiste nell’acquisizione della
capacità di pensare noi stessi come nei termini di una intelligenza, dotata di volontà e
quindi capace di determinare se stesso e la propria azione. è il senso della libertà.
attraverso la nostra coscienza noi ci rendiamo conto del fatto che alla fine siamo noi
stessi, con la nostra intelligenza, che determiniamo la nostra vita. questo livello a cui
arriviamo attraverso la nostra coscienza è il livello più alto a cui arriva lo spirito. è
volontà libera (lo spirito può scegliere di fare quello che vuole quello che non vuole).

lezione del 27/01/21


arte e filosofia
l'idealismo di schelling-> estetico. l’arte costituisce un vero e proprio strumento del lavoro
filosofico. il ragionamento filosofico si fonda essenzialmente su un lavoro di tipo analitico->
attraverso il pensiero razionale stabiliamo delle coppie di concetti opposti tra loro, attraverso
i quali interpretiamo il mondo. attraverso il pensiero filosofico comprendiamo la realtà
mediante delle coppie di opposti.
il mondo però non è fatto a coppie di opposti, ma costituisce una realtà che non è divisa al
suo interno; realtà in se stessa è unificata, non è divisa in coppie di opposti. di conseguenza,
per questo motivo, la riflessione filosofica non ci permette di cogliere la realtà nella sua
essenza. possiamo cogliere l’essenza della realtà attraverso l’intuizione estetica, che è una
funzione della nostra mente che non si basa su concetti (opposizioni) ma si basa su quel
meccanismo che noi chiamiamo intuizione (non razionale) che ci permette di percepire
l’unità di tutte le cose (nella loro interezza). lo si fa attraverso il sentimento della bellezza->
cogliamo la natura originaria d natura e spirito, che costituiscono un'unica realtà.
meccanismo tipico della creazione artistica perché l’artista quando crea non fa un’analisi
filosofica ma la coglie nella sua unità attraverso l’intuizione. l’arte non è un ornello
decorativo, ma diventa un vero e proprio strumento di conoscenza-> ci permette di arrivare
alla conoscenza della realtà come unità.
idealismo estetico e oggettivo. estetico: l’arte diventa strumento di conoscenza; oggettivo:
ciò che nella cultura filosofica veniva definito come l’oggetto (in fichte def come non-io)
diventa indipendente ed è dotato di una spiritualità interna che l’artista è in grado di cogliere
ma che sfugge all’umanità comune-> natura spiritualizzata, dotata di una sua autonomia.

lezione del 01/02/21


hegel
l'importanza che hegel ha avuto nella storia del pensiero europeo e occidentale è enorme; è
stato la sintesi di tutto il pensiero idealista. è uno dei classici filosofici che hanno costruito un
sistema mondo che riguarda tutto (tutte le materie).
concetti fondamentali filosofia hegel: concetto di totalità, la ragione, la dialettica.
la fenomenologia dello spirito invece è la prima grande opera sistematica pubblicata da
hegel ed è ancora oggi considerata quella più importante, la base di tutto, il manifesto del
suo pensiero.

vita (vedi libro pag 382); come nel caso di kant, anche per hegel la sua vita (da un punto di
vista esteriore) non è una vita ricca di molte avventure. ha visitato la germania, l’italia però la
sua vita esteriore è la vita di un accademico-> è un uomo che ha focalizzato tutte le sue
energie nella produzione della sua filosofia.

scritti teologici giovanili (pag 384)


hegel da ragazzo aveva frequentato il seminario di tubin, che era una delle migliori scuole
tedesche in assoluto; seminario perché una una scuola di stampo religioso da cui uscivano
giovani che avrebbero fatto i pastori. aveva studiato il greco, il latino, la storia antica; però
non tutti giovani però sentivano la vocazione e hegel (e altri) una volta finito il seminario
prese un’altra strada. però rimane il fatto che questa formazione religiosa l’ha avuta e l’ha
influenzato. quando esce dal seminario scrivere dei brevi saggi molto profondi, in cui cerca
di riprendere gli argomenti che aveva studiato in seminario riguardanti la religione, però li
rielabora in una prospettiva filosofica-> è una religione ma argomentata e sviluppata in
chiave filosofica. poi nella sua vita questi scritti li lasciò andare perché erano stati una
espressione giovanile del suo pensiero. agli inizi del ‘900 però questi scritti sono stati
riscoperti e sono stati rimessi insieme e sono stati intitolati gli scritti teologici giovanili; da lì in
poi hanno avuto molta fortuna perché mostrano l’originalità di hegel anche se giovane. sono
stati chiamati teologici perché riguardano argomenti teologici: ruolo sociale della religione
(lui dice che la religione costituisce uno di quegli elementi sociali e culturali che tengono
unita la comunità), parla di storia della religione, analizza la religione del vangelo (ne parla
apertamente senza scrupoli, in chiave storica; la grande rivoluzione portata da gesù cristo è
stato il fatto che ha predicato una religione dell’amore (vincolo tra i membri della stessa
comunità) che si contrappone alla religione formale dei farisei-> quella cosa che è successa
allora sta succedendo anche ora-> la chiesa si è trasformata in una religione formalizzata e
istituzionalizzata in cui non c’è più dentro un cuore-> è diventata la replica della antica
religione dei grandi sacerdoti (dei farisei) al tempo di gesù-> chiesa che ha tradito il
messaggio dell'amore di gesù cristo.

lezione del 02/02/21


scheda hegel
concetto di totalità
in questa prospettiva bisogna chiedersi il significato che la parola realtà assume nella
filosofia di hegel. hegel parte da una concezione della realtà di tipo “organicistica”-> la realtà
può essere pensata come un grande organismo unitario e tutte le cose che esistono
possono essere considerati come delle manifestazioni di questo grande organismo unitario,
ma delle manifestazioni limitate sia nel tempo che nello spazio. tutte le cose che percepiamo
e che fanno parte del mondo, appartengono a questa totalità che è la realtà (grande
organismo unitario), ma ovviamente sono tante piccole parti di questo organismo ognuna
però confinata nei suoi limiti (sia nello spazio che nel tempo); però in questa definizione in
realtà è contenuto un principio fondamentale-> il fatto che queste due cose, il tutto e le parti
di questo tutto, in realtà non sono due cose diverse perché ovviamente la singola osa può
esistere solo all’interno di una totalità a cui appartiene, però la totalità è composta da tutte le
parti che la costituiscono-> la parte e il tutto non possono essere considerate due cose
diverse, ma di fatto sono la stessa cosa. (la foglia di un albero, che può cadere dall’albero e
posso guardarla in se stessa per com’è, però staccata dall'albero è una foglia morta perché
ha perso la sua connessione con la totalità-> non la posso capire se è staccata dall’albero;
la posso capire solo se attaccata alla totalità. però questo albero quando mette fuori le
foglie, svolge le sue funzioni in virtù del fatto che tutte le foglie svolgono le funzioni della
respirazione ecc. in questo senso hegel dice che la parte non può essere separata dal
tutto-> la foglia separata dall’albero non ha ragione di estere, e l’albero senza le foglie non
potrebbe vivere). è una connessione organica quella tra la parte e il tutto; connessione
importante perché costituisce un superamento della divisione tra finito e infinito. per hegel
scompare il dualismo che li metteva in opposizione, questo è un errore di fondo perché
l’infinito vive nelle sue parti e ogni parte acquista senso solo perché appartiene ad una
totalità-> sono la stessa cosa considerata da un punto di vista diverso.
questo assoluto, come accade in tutti gli idealisti, non è un assoluto statico ma è un assoluto
in movimento, in continuo divenire che si realizza attraverso le sue manifestazioni.
il vero è l’intero-> non posso cogliere la verità di qualcosa staccandola dalla totalità a cui
appartiene; la posso cogliere solo nel momento in cui considero questa singola parte come
appartenente a un intero. la verità per hegel è la connessione. l'intero è l’essenza che sta
all’origine di tutto il processo che si completa mediante il suo sviluppo (è in movimento)-> è
un intero che si sviluppa ed è dotato di un movimento al suo interno.
qui si inserisce la distinzione tra astratto e reale. la singola foto di una pellicola è un astratto,
perché non è una pellicola ma è un piccolo pezzetto di essa, è qualcosa che è stato estratto
da una totalità che può avere un significato in se stesso ma non si può conoscere il suo
significato autentico ne contesto in cui è inserita. se invece la pellicola è completa essa è
totalità ed è anche in movimento, per essere reale deve muoversi e realizzarsi in una
proiezione. se io considero un fotogramma all’interno della pellicola allora quella è reale
perché capisco il suo significato all'interno del contesto in cui è inserita. il reale si coglie
soltanto nella connessione tra il singolo elemento e la totalità in movimento di cui fa parte,
nel momento in cui lo separo perde la connessione vivente con la totalità e quindi non se ne
può più comprendere il senso e diventa astratto.

lezione del 03/02/21


la ragione
significato termine ragione-> hegel nella sua filosofia usa questo termine però per lui ha un
significato diverso di kant (anche kant usava il termine ragione); la realtà per hegel è un
unico grande organismo composto da molte parti che insieme sono manifestazioni della
totalità, e oltre a questo la realtà per hegel è permeata completamente dalla ragione->
questa entità che hegel chiama ragione sta dentro la realtà stessa, è connaturata a tutta la
realtà; sia della realtà intesa come natura sia nel mondo spirituale (della autocoscienza)-> la
ragione è presente ovunque, che si manifesta in tutta quanta la realtà. noi osservando sia gli
oggetti fisici che anche i pensieri umani possiamo riconoscere la presenza e l'attività di
questa ragione universale-> ragione che può essere osservata perché si manifesta in tutte le
cose compongono la realtà, non è una ragione astratta che sta in un altro mondo ma è una
ragione che noi possiamo vedere all’opera in tutta la realtà. quindi si arriva ad un'altra
definizione hegeliana: “ciò che è razionale è reale, e ciò che è reale è razionale” (ha dato
origine a tutta una serie di interpretazioni perché hegel è un po’ sibillino perché le enuncia
ma non le spiega; tanti interpreti hegel non danno alle parole lo stesso significato che dava
lui).
prima metà della frase: ciò che è razionale dal punto di vista di hegel non è un qualcosa che
si attua o che si realizza in una sfera astratta (normalmente il termine ragione suggerisce
qualcosa di staccato dal mondo fisico, qui hegel prende le distanze da questa concezione)->
ciò che può essere chiamato come razionale è necessariamente anche reale, perché è un
qualcosa che fa parte di quella totalità unitaria in continuo divenire; sta dentro al mondo, in
tutto ciò in cui ci troviamo immersi. è una ragione immanente-> sta dentro le cose stesse.
hegel prende le distanze dalla tradizionale concezione della ragione (come qualcosa di
astratto che non ci riguarda).
seconda metà della frase: ciò che è reale è razionale perché, come conseguenza di quanto
ha appena detto, tutte le cose che esistono (sia in senso fisico che in senso spirituale) è
razionale (nel senso che non è altro che una manifestazione di quella razionalità che
secondo hegel è presente ovunque). in qualunque fenomeno della realtà possiamo vedere
la presenza della ragione universale.
siccome questa ragione, presente in tutta la realtà a qualunque livello. costituisce il principio
che determina tutta la realtà nelle sue manifestazioni-> questa ragione si manifesta sia sul
piano ontologico (la sfera dell’essere, di tutte le cose che sono) ma è presente anche
all’interno del nostro pensiero, in quanto è qualcosa anche se non materiale ma esiste,
quindi anche sul piano logico (qualcosa di astratto)-> quindi dato questo presupposto vuol
dire che logica e ontologia corrispondono. la ragione che sta dentro le cose stessa è la
stessa ragione per cui funziona il nostro pensiero. il nostro pensiero funziona come funziona
la realtà fisica, perché entrambe sono la manifestazione della stessa ragione che si
manifesta secondo modalità diverse. monista-> la ragione è una.
nottola di minerva (metafora)-> fa riferimento alla dea minerva (dea della sapienza) e
l’animale sacro a minerva era la civetta, che è un animale notturno ed entra in azione
quando il sole tramonta; hegel usa questa metafora perché fuori dalla metafora hegel dice
che la civetta è il simbolo della filosofia-> la filosofia entra in azione quando ormai la giornata
è trascorsa, quando tutto ciò è già accaduto-> la civetta non ha preso parte a ciò che si è
manifestato durante il giorno, ma è quando le cose sono già avvenute che lei spicca il volo-<
la stessa cosa fa la filosofia, che entra in gioco solo quando la realtà è divenuta già ciò che è
(è già accaduta)-> la filosofia non entra dilettante nel processo di costituzione e di
realizzazione della realtà. la realtà avviene comunque indipendentemente dalla filosofia. a
cosa serve? la civetta riesce a cogliere nella realtà già accaduta quelle leggi razionali interne
alla realtà stessa che diventano visibili solo allo sguardo filosofico. la filosofia serve per
comprendere la realtà.

lezione del 09/02/21


la dialettica
hegel spiega nel dettaglio come funziona questa ragione e costituisce l'impalcatura di tutta la
realtà. hegel si riaggancia alla dialettica di fichte (tesi, antitesi e sintesi) però riformulandola
all'interno del suo sistema filosofico. (nei confronti di fichte hegel ha degli atteggiamenti
ambigui; da una parte gli riconosce il merito di aver individuato questa struttura però da un
altro punto di vista lo critica dicendo che la sua è una cattiva dialettica, perché non riesce a
spiegare il movimento di auto realizzazione dello spirito).
una tesi (affermazione di qualcosa), antitesi (negazione della tesi), sintesi (il superamento
dell'opposizione e porta alla formulazione di una nuova tesi, da cui riparte un altro ciclo).
schema 1:
1. i cicli sono su dei livelli di altezza diversa-> questi cicli partendo da il livello più basso
(concreto e materiale), nel corso del tempo si evolvono verso una dimensione
sempre più astratta; nello spirito non c’è interruzione tra materia e spirito, sono
sempre sulla stessa linea (ascendente). ad ogni livello ci si alza verso l’auto
realizzazione dello spirito, che diventa se stesso. struttura ascendente, però pur
essendo ascendente conserva sempre la medesima struttura (tesi, antitesi, sintesi).
2. come mai la sintesi di un ciclo precedente, in quello successivo diventa una tesi. lo si
deve alla struttura della dialettica di hegel; molti storici della filosofia hanno
sottolineato il fatto che la negazione svolge una funzione fondamentale-> nel primo
livello c’è una prima negazione (la negazione dell’affermazione originaria), però
quando passiamo alla sintesi quella è anch'essa un negazione (negazione di
secondo grado, che nega la negazione) (è la negazione della negazione-> che è
un’affermazione)-> quindi la sintesi è una affermazione, e in quanto affermazione di
può trasformare in una nuova tesi (di un altro ciclo).

lezione del 10/02/21


la ragione che dal punto di vista di hegel costituisce la base di tutta la realtà; nel suo
funzionamento (attraverso la dialettica) costituisce quel processo attraverso il quale lo spirito
si auto realizza. cos’è lo spirito? lo spirito è idea, perché l’idea ha esattamente quel
significato (un’entità che si realizza attraverso delle fasi successive). se mettiamo in
collegamento l’essenza dello spirito (l’idea) con la struttura della dialettica otteniamo lo
schema 2.
-schema 2:
a sx si trovano le tre fasi della dialettica. hegel collega questa struttura formale della
dialettica a diverse manifestazioni dell’idea, che assumono ciascuna una configurazione
particolare e che a sua volta da origine ad una sezione del sistema filosofico hegeliano che
è quello della terza colonna (in rosa).
● tesi: momento affermativo. questa prima fase della dialettica, se la trasferiamo sul
piano dell'idea, corrisponde all'idea in sé. l’idea in sé è l’idea che non si è ancora
manifestata in qualcosa di concreto. l’idea in sé è lo spirito che ancora non si è
manifestato, che è ancora nella forma di un pensiero puro-> è astratto e non ha
alcuna corrispondenza nel mondo reale; è interno a sé stesso, all’esterno non è
percepibile-> è ancora in sé. questo discorso sull’idea in se corrisponde nel sistema
hegeliano alla sezione sulla logica. hegel ha scritto la scienza della logica, che parla
dell’attività dello spirito quando è ancora in sé stesso.
● antitesi: negazione dell’idea in sé-> idea fuori di sé.
[nel secolo scorso ci fu un filosofo italiano enrico de negri, che tradusse interamente
tutta la fenomenologia dello spirito di hegel in italiano e questa traduzione è rimasta
fino a trenta anni fa quella canonica. poi dalla fine degli anni 80 ci sono state altre
traduzioni in italiano del testo con un linguaggio più moderno. quindi l’idea fuori di sé,
de negri lo traduce per sé-> perché lui seguiva hegel alla lettera (per sé). però
tradurre l’idea per sé in italiano è un linguaggio un po’ oscuro-> nel corso degli ultimi
decenni, con le nuove traduzioni, per rendere più chiaro il significato è stato tradotto
idea fuori di sé. è una traduzione meno fedele al testo di hegel però da un punto di
vista concettuale è più chiaro. l’idea che è uscita dal regno astratto e che è diventata
qualcosa di materiale].
l’idea che si è manifestata, che è diventata esterna rispetto all’interiorità in cui si
trovava chiusa prima. lo spirito, che nella prima fase era idea in sé, è diventato
materia-> è diventato la natura (che è qualcosa di fisico). hegel lo considera una
negazione perché per lui la materia è la negazione dello spirito, che è qualcosa di
astratto e staccato dalla materia, mentre la materia cade sotto al dominio dei cinque
sensi. negazione perché nel passare dal pensiero puro alla materia, passa
all’opposto. a questo passaggio corrisponde la filosofia della natura (in senso fisico).

lezione del 17/02/21


questo passaggio dall’idea in sé all’idea fuori di sé, secondo il linguaggio hegeliano avviene
come un processo di alienazione-> termine che nasce con hegel ma che poi verrà ripreso e
trasformato da feuerbach e poi attraverso di lui arriverà fino a marx che lo ridefinirà
completamente, e attraverso marx è arrivato fino a noi; quando noi parliamo di alienazione
faccio riferimento al concetto di alienazione come è stato riformulato da marzo, ma non l’ha
inventato marx. alienazione dal punto di vista etimologico deriva da alius (altro), quindi in
questo senso alienazione significa che qualcosa diventa altro da sé, diventa diverso da ciò
che è-> in questo caso è evidente perché hegel la chiama così-> dall’idea in sé (puro
pensiero) si passa a qualcosa di altro, che non è più pensiero puro ma è materia; in quanto
materia rappresenta l’antitesi rispetto alla tesi che è pensiero puro. questo processo hegel lo
chiama alienazione.
● sintesi: dal punto di vista dell’idea, la sintesi è l’idea che ritorna in se (c’è un
movimento di ritorno). ritorna in sé ma non più uguale a come era all'inizio (quando
era idea in sé), perché c’è di diverso che è diventata autocosciente di ciò che è in se.
hegel in modo molto criptico la chiamava idea in sé e per se, però la traduzione più
moderna è più chiara. di ritorno: di nuovo dalla sfera materiale torna nella sfera del
pensiero, ma questa volta è un pensiero che avendo attraversato le due fasi
precedenti è diventato cosciente di se stesso e del suo movimento (del suo divenire)
e in questo modo è diventato spirito; infatti questa parte, in termini del sistema
hegeliano, corrisponde alla filosofia dello spirito. che ormai è uno spirito che ha
superato l’opposizione delle due fasi precedenti, in quanto si è reso conto che quelle
due fasi erano solo parziali e quindi è salito a un livello superiore sintetizzando e
conservando anche la memoria del suo cammino. è autocosciente perché
consapevole del percorso che ha fatto per arrivare a questo punto.
secondo hegel la sintesi in realtà, se la analizziamo è una doppia negazione
(negazione della negazione)-> in quanto spera l'opposizione nega la negazione della
antitesi rispetto alla tesi, e in quanto doppia negazione diventa una affermazione->
può ripartire un nuovo ciclo.

lezione del 22/02/21


la fenomenologia dello spirito (da 402 a 410 primo paragrafo in alto)
nel quadro della produzione hegeliana occupa una posizione simile a quella che la critica
della ragion pura occupa nella filosofia di kant, è il testo più importante.
una differenza con kant è che mentre kant scriverà la sua opera quando era già un uomo
maturo, invece con hegel accade il contrario-> pubblica la fenomenologia del 1807 quando
aveva 30 anni (primo testo in cui espone in maniera articolata il suo pensiero). già intorno
alla stesura c’è una leggenda: l’ha scritto durante il periodo di vienna; mentre scriveva
questo libro, mentre stava completando le ultime pagine a distanza sentiva il rumore dei
cannoni di napoleone che avanzava verso la prussia. anche il contesto storico in cui nasce
lo scritto è una situazione eccezionale.
quando hegel all’inizio concepisce di scrivere quest'opera, la sua intenzione originaria è
quella di scrivere una introduzione alla filosofia ad uso dei suoi studenti; però poi quando ci
mette le mani, questo progetto gli si gonfia tra le mani e diventa un’altra cosa-> diventa
un'esposizione scritta con un linguaggio molto profondo del suo pensiero filosofico legato
all’analisi del percorso storico che la filosofia ha fatto dalle origini fino al suo tempo. questa
opera viene pubblicata per la prima volta nel 1807 (età napoleonica), e da allora in poi è
rimasto un classico della storia della filosofia.

lezione del 23/02/21


significato del titolo:
-fenomenologia: deriva dalla parola greca phainomenon che nel significato originale greco lo
si potrebbe tradurre come ciò che appare davanti ai nostri occhi; per i greci antichi il fatto di
qualcosa che appare davanti agli occhi è qualcosa che è legato al senso della vista perché
per loro la vista era sinonimo di conoscenza (era il senso + importante per la conoscenza).
la parola phainomenon nella sua radice contiene la parola luce (in greco phos)-> ciò che si
vede perché illuminato dalla luce. nel significato greco sono quelle che appaiono davanti ai
nostri occhi in quanto sono illuminate. questo termine nella cultura tedesca riappare e
acquista una importanza fondamentale nella filosofia di kant, per cui il fenomeno è una
costruzione mentale che deriva dall'applicazione della categorie dell'intelletto ai dati
dell’intuizione sensibile. hegel si riaggancia a questa tradizione però a sua volta cambia il
significato-> il fenomeno per hegel è una cosa molto diversa. nel termine fenomenologia
possiamo distinguere la prima parte che viene da phainomenon, e la seconda parte che
viene da logos (in questo caso ha il significato di scienza). quando hegel scrivere una
fenomenologia intende una scienza di fenomeni, però il significato di fenomeno in kant e
hegel sono diversi.
per kant il problema centrale nella critica della ragion pura è la scienza, spiegare i
fondamenti filosofico della scienza moderna. quando kant parla di fenomeni, parla di
fenomeni in senso scientifico (della scienza sperimentale).
per hegel, quando parla e sviluppa questi temi, il fuoco del suo interesse non è più la
scienza ma la storia perché secondo lui la verità si coglie nella storia, perché lo spirito si
realizza e si sviluppa nella storia. per hegel i fenomeni sono quello che noi normalmente
chiamiamo gli eventi storici. quando parla della scienza dei fenomeni intende dire la
conoscenza che si ottiene attraverso l’indagine filosofica applicata allo studio dei fenomeni
che si realizzano nel passato nella storia umana, perché tutti gli eventi rapp delle tappe
come delle fasi successive del processo di auto realizzazione dello spirito che diviene se
stesso nel corso della storia. questo soggetto assoluto/spirito si realizza nel corso della
storia attraverso questi fenomeni che nella loro successione, attraverso l’analisi della
ragione applicata al corso della storia, ci rivela la verità-> questi fenomeni devono essere
intesi non tanto in se stessi ma come fasi successive di un processo globale.

lezione del 24/02/21


secondo hegel il meccanismo attraverso il quale lo spirito di realizza e si manifesta, sia nella
coscienza individuale sia nell successione degli avvenimenti storici, è sempre lo stesso->
cioè la dialettica (tesi, antitesi, sintesi). dal punto di vista di hegel sia quando parliamo del
processo di formazione della coscienza individuale, sia quando parliamo del processo
storico attraverso il quale lo spirito si realizza, questo avviene in entrambi i casi secondo la
struttura dialettica. c’è una sorta di identità tra il divenire storico e il divenire della coscienza
individuale, perché ambedue seguono la stessa dinamica. secondo hegel la coscienza è
rivolta verso due direzioni diverse: da una parte è rivolta verso l’esterno, cioè verso lo
sviluppo dello spirito nella storia-> la coscienza dell’oggetto, si ciò che per lei è il vero, delle
figurazioni che si succedono lungo il cammino; dall’altra parte la coscienza guarda dentro se
stessa, è auto riflessiva-> è coscienza di se stessa (autocoscienza), coscienza del proprio
sapere il vero. in questo modo si stabilisce una sorta di collegamento diretto tra l’interno e
l’esterno, perché nel momento stesso in cui la coscienza si applica all’esterno (alle figure
storiche del divenire dello spirito), allo stesso momento è consapevole di se stessa (di ciò
che sta facendo), è consapevole del fatto di rivolgersi verso l’esterno per ritrovare nel corso
della storia le leggi del suo divenire (che sono interne alla coscienza stessa-> quelle della
dialettica-> c’è una sorta di rispecchiamenti perché la coscienza riconosce se stessa nel
divenire storico, ma nello stesso tempo il divenire storico in quanto si sviluppa secondo le
leggi della dialettica si riflette nella coscienza stessa). per quanto riguarda il divenire storico
(l’oggetto), nella fenomenologia dello spirito questa storia, alla quale si applica il lavoro della
coscienza, questo processo si sviluppa attraverso quelle che hegel chiama della figure dello
spirito, le quali rappresentano i diversi passaggi successivi attraverso i quali lo spirito
realizza se stesso. queste diverse figure dello spirito assumono questo significato, ed è in
questo senso che trovano la loro verità come delle parti di una totalità rapp dal divenire dello
spirito che realizza se stesso. questo procedere seguendo sempre le leggi della dialettica,
sia sul piano della coscienza individuale sia sul piano del divenire storico, si trova
rispecchiato in modo chiaro anche nella struttura stessa della fenomenologia dello spirito;
guardando i due schemi-> corrispondono alle due sezioni fondamentali di cui è composta
l’opera. tutta la prima parte tratta dello sviluppo della coscienza individuale, quello che hegel
chiama lo spirito soggettivo (legato al divenire della coscienza stessa). la seconda sezione
riguarda quello che hegel chiama lo spirito oggettivo, cioè lo studio delle varie modalità
attraverso le quali la ragione si realizza storicamente nelle istituzioni etiche, giuridiche,
religiose, culturali che regolano la vita della società nel suo insieme e quindi il processo
storici (il divenire nella storia in senso oggettivo, non più focalizzato sul singolo individuo ma
sul mondo esterno che è fatto di istituzioni reali che danno una struttura alla società in cui
viviamo). anche nella struttura generale della fenomenologia si ritrova il doppio binario:
coscienza individuale-> spirito soggettivo, divenire storico-> spirito oggettivo.

lezione del 01/03/21


in questa prospettiva, ognuna di quelle figure che hegel individua acquista la sua
configurazione partendo dal presupposto che ciascuna di queste figure non è una verità
assoluta, ma è solamente una fase di passaggio. in tutto questo passaggio ogni figura ha
solo un valore parziale, in quanto costituisce una fase della dialettica. questo processo
attraverso cui lo spirito si realizza, la suo interno contiene come elemento propulsivo
fondamentale il meccanismo della negazione; nel quadro generale della filo hegeliana il
momento del negativo non deve essere inteso in un senso valutativo (il bene-> positivo,
male-> negativo. diamo un valore etico/morale); lui quando parla del negativo lo intende
come un meccanismo che fa funzionare tutto il sistema-> se non ci fosse il negativo tutto
sarebbe statico, perché il movimento è dato da questa continua negazione (in senso
funzionale perché la negazione della tesi poi porterà a un superamento dell’opposizione
attraverso la sintesi, e a sua volta la sintesi in un primo momento è negazione della
negazione poi in un secondo momento diventa un'affermazione e serve come base per
stabilire la tesi). quella forza che fa funzionare tutto il sistema di hegel è sempre la
negazione, perché se ci si fermasse sempre al positivo non succederebbe niente.
in che modo è orientato questo processo? è orientato verso una continua evoluzione
progressiva che porta dalla certezza sensibile (primo grado che abbiamo in comune anche
con gli animali), attraverso una serie di passaggi che porta verso la ragione (grado più alto
dello spirito soggettivo), fino al sapere assoluto (filosofia) che si fonda su concetti.
l'orientamento del sistema indica un progresso graduale dal piano delle sensazioni sensoriali
fino a un sapere che si fonda su concetti (sapere filosofico).
schelling metteva al primo posto l’intuizione estetica perché secondo lui la filo non è in grado
di cogliere l’unità di natura e spirito perché procedendo in modo analitico coglie sempre delle
espressioni limitate della realtà, e l’unica capacità umana che ci può portare a conoscere
l'assoluto nella sua verità è l’arte (intuizione estetica). [questa filosofia di schelling è
diventata la base del romanticismo-> l'arte ci permette di conoscere l’assoluto senza
mediazioni].
hegel prende posizione questo orientamento filosofico e artistico. dice che si può arrivare
all’assoluto, ma non come dicono i romantici; l’unico modo in cui si può arrivare alla
conoscenza del vero è attraverso la fatica del concetto-> quel lungo lavoro attraverso cui
partendo dalle percezioni sensibili, gradualmente attraverso gradini successivi, la coscienza
si evolve finchè non si arriva al sapere assoluto (filosofia) che non è una cosa intuitiva ma
dipende dal lento cammino della ragione per pirma di capisce nel singolo individuo e poi nel
mondo esterno. la conoscenza dei romantici è assurda perché fa del singolo individuo un
assoluto, ma hegel dice che il singolo individuo è una minima parte e non la si può far
diventare la totalità-> hegel dice che è solo un esaltazione momentanea, non è conoscenza
del vero. solo attraverso questo lungo percorso si può arrivare alla conoscenza del vero.

lezione del 02/03/21


per poter arrivare a questo stadio della conoscenza concettuale è necessario superare lo
stadio del primo livello di conoscenza che ci accomuna-> la certezza sensibile; questo livello
di conoscenza non ci porta verso nessuna conoscenza filosofica. finché non impariamo a
distaccarci dai cinque sensi non è possibile arrivare a quel tipo di conoscenza. questa
capacità di ragionare attraverso concetti (conoscenza della filosofia) è una cosa che si deve
imparare con il tempo. è un percorso che va fatto per arrivare dallo stadio della certezza
sensibile fino, attraverso tutti i gradini successivi, al sapere assoluto. la coscienza si rende
conto del fatto che la certezza sensibile è solo illusoria dal punto di vista del sapere
assoluto. il vero è l'intero-> non ci può essere conoscenza del vero a prescindere dalla
consapevolezza che si ha del sistema e che ogno fase costituisca una fase di passaggio del
sistema stesso.
lezione del 08/03/21
schopenhauer
sia schopenhauer che kierkegaard contestano la prospettiva razionalistica di hegel,
mettendo in risalto il fatto che in realtà le forze dinamiche che sono presenti in tutto il mondo
fisico non sono forze di tipo razionale ma sono forse irrazionali. infatti da loro due si
svilupperanno nel corso della successiva storia della filosofia occidentale, tutte le filosofie
irrazionalistiche-> partono dal presupposto che la razionale sia dominata dall’irrazionalità.
l’impatto che hanno avuto le filosofie irrazionalistiche sul mondo culturale europeo è stato
enorme-> movimenti tipo il futurismo e l’estetismo dannunziano.

vita e opere
nasce a danzica nel nord europa sul baltico che oggi fa parte della polonia, ma all’epoca era
della germania. poi da danzica la famiglia si trasferisce ad amburgo. nasce in una famiglia
dell'alta borghesia cittadina perché suo padre era un commerciante e proprietario di una
grande impresa di commercio a livello internazionale; il padre era il classico capitalista
protestante-> per lui il lavoro era anche il simbolo della benevolenza di dio. frequentavano le
famiglie più altolocate della società borghese tedesca. questo padre aveva sposato una
donna molto più giovane di lui che era la madre di schopenhauer, la quale però era tutto
l'opposto del padre-> era una donna a cui piaceva fare la vita di società. accade che il padre
avrebbe voluto che suo figlio facesse degli studi commerciali per rilevare l'azienda familiare
e la facesse crescere. infatti fin da quando è ragazzo comincia a viaggiare (il padre aveva
contatti in tutto il mondo) per far si che entrasse nella realtà dell’azienda. questo fu un
periodo felice. a un certo punto però muore il padre e lui rimane orfano di padre abbastanza
giovane; da un punto di vista emotivo era molto legato al padre, condivideva i valori e l’etica
e questo lutto lo colpisce tremendamente. con la morte del padre tutti gli averi passano nelle
mani della madre; nel primi anni cerca di tenere in piedi le cose però lei era una donna che
non era minimamente interessata al commercio, quindi decide di trasferirsi a weimar (centro
della cultura tedesca); vende l’azienda di famiglia, poi aveva anche il capitale messo da
parte del padre, vende alcune proprietà e diventa una donna ricchissima. a weimar si
compra una casa e apre un salotto letterario (andavano di moda). schopenhauer per il
momento preferisce rimanere ad amburgo perché dentro di sé vorrebbe seguire quello che il
padre avrebbe voluto per lui-> va a fare pratica presso alcune aziende. dopo qualche anno
si rende conto che quella era la volontà di suo padre, ma che la carriera economica non fa
per lui; quindi anche lui lascia amburgo e va dalla madre che lo introduce nell’ambiente
culturale. però anche lì si rende conto che il tipo di vita che fa la madre è troppo frivola,
basata solo sull’esteriorità-> si trova in disaccordo con la madre perché lui non era un
carattere mondano. lascia anche la madre e si iscrive all’università e viene introdotto da un
amico alla conoscenza del pensiero buddista e induista, e quando ha 25 anni discute la sua
tesi di dottorato e con questa ottiene l’abilitazione per diventare libero docente e insegnare
in università. però lui si trova a fare questo nello stesso momento in cui a berlino hegel
insegna (già riconosciuto in tutta la germania), quindi erano in pochi che ascoltavano le sue
lezioni; poi lui nelle sue lezioni criticava hegel apertamente; quindi la sua carriera
universitaria comincia e finisce lì. aveva pubblicato il suo testo fondamentale che però nella
sua prima edizione non fu ben compreso.

lezione del 09/03/21


vista la situazione si dedica agli studi e fa delle pubblicazioni, viaggia (anche in italia). nel
1851 pubblica un testo dal titolo strano “parerga e paralipomena” (aggiunte e questioni
collaterali) dove sviluppa i temi della sua filosofia però non lo fa in quel modo sistematico da
trattato come aveva fatto prima nel “mondo come volontà e rappresentazione”, ma gli da una
forma più letteraria, più leggera; e inaspettatamente questa volta ha un grande successo.
quando le persone leggono l’opera e piace, lui comincia ad avere un successo di lettori e in
loro nasce la curiosità di andare a riscoprire i testi che aveva scritto prima. finché gli ultimi
nove/dieci anni della sua vita divenne un personaggio molto famoso in tutta europa.

pag 12 schopenhauer e platone


in platone non c’è una visione provvidenziale dell’universo, perché la provvidenza è
qualcosa che nasce nella religione cristiana.
è vero che nella sua filosofia molti aspetti sono pessimistici però nella filosofia di
schopenhauer c’è una possibilità di salvezza, di uscire da questa situazione negativa. lui ha
una proposta per superare la situazione negativa.

pag 13 pensiero orientale


lui era a quell’epoca un appassionato lettore della letteratura buddista che cominciava in
quegli anni ad essere tradotta in lingua tedesca, e lui lo dice esplicitamente che era un
sostenitore di molte filosofie orientali. dire che ha distorto dei concetti del buddismo non è
accettabile. lui ha cercato consapevolmente di adattare certi concetti della filosofia orientale
alla mentalità occidentale.

schema 1 schopenhauer
il mondo come verità e rappresentazione
significato titolo: nel titolo compare prima il termine volontà e poi rappresentazione, perchè
da punto di vista di schopenhauer la volontà è quell'aspetto che costituisce la vera realtà del
mondo, mentre la rappresentazione è subordinata rispetto alla volontà. però nell'esposizione
della materia (il libro è suddiviso in quattro sezioni) nella prima sezione parte parlando della
rappresentazione. poi dopo averlo sviluppato passa alla volontà nella seconda sezione. poi
nella terza sezione riprende il tema della rappresentazione portano a compimento le
questioni aperte, e nella quarta parte parla della volontà nell’ottica prospettica cercandi di far
vedere quali sono le vie della liberazione.
la sua filosofia riprende e radicalizza alcune definizioni che provengono dalla filosofia
kantiana però portandole a delle conseguenze estreme-> gli dà una nuova direzione.
concetti di fenomeno e noumeno. dal fenomeno fa derivare il discorso sulla
rappresentazione, mentre dal noumeno la problematica della volontà.
-fenomeno e rappresentazione: fenomeno è un termine greco che col dire ciò che appare
davanti nostri occhi; il significato che gli ha dato kant: una costruzione che deriva
dall’applicazione delle categorie dell’intelletto alle intuizioni sensibili. mentre per
schopenhauer il fenomeno è rappresentazione e la prima frase che si legge nel testo è molto
provocatoria “il mondo è una mia rappresentazione” (lui presuppone che chi legge abbia una
cultura filosofica)-> bisogna intendere l'affermazione nel senso che ciò che comunemente
chiamiamo il mondo (lo presupponiamo come qualcosa di esterno a noi e che ci precede),
se cerchiamo di dare una definizione concettuale di che cosa sia il mondo in se stesso
diremmo che è l’insieme di tutte le cose che ci sono fuori di noi; ma qui lui mette in dubbio
questa concezione comune del mondo, perché queste cose che stanno fuori di noi e che noi
definiamo il mondo in che modo noi ne diventiamo consapevoli?-> attraverso delle immagini
mentali (ritorno a kant)-> non posso sapere cos’è quella cosa in se stessa, la conosco solo
tramite le rappresentazioni della mia mente; dico che una cosa esiste perchè la mia mente
produce delle rappresentazioni. nel momento in cui vengono a mancare le rappresentazioni
del mondo che facciamo con la nostra mentre, viene a mancare anche il mondo. il mondo è
una mia rappresentazione (del soggetto) è una frase vera. questo pensiero di schopenhauer
è stato ripreso a livello delle neuroscienze-> ciò che noi chiamiamo mondo è un prodotto
dalla nostre rappresentazioni mentali che derivano dal cervello. tutto ciò che chiamiamo
deve essere per forza ricondotto a delle rappresentazioni. su queste rappresentazioni si
fonda la conoscenza scientifica, cioè quell'attività umana che si basa su rappresentazioni
(kant radicalizzato). come fa il nostro intelletto a costruire le rappresentazioni? [schema 2] lui
per spiegare in che modo la nostra mente costruisce le rappresentazioni dice che costruisce
attraverso le tre categorie di spazio, tempo e causalità. spazio e tempo sono le forme
dell'intuizione sensibile a priori secondo kant, la causalità è l'equivalente che nel sistema di
kant sono le 12 categorie dell’intelletto.

lezione del 10/03/21


sempre seguendo kant ma modificandolo dice che le rappresentazioni le costruiamo
attraverso delle strutture a priori che sono lo spazio, il tempo e la causalità.
spazio-> rapporti tra oggetti nello spazio e posizioni reciproche;
tempo-> successione degli istanti attraverso una durata temporale;
causalità-> equivalente di quello che per kant erano le 12 categorie dell’intelletto. però al
posto delle 12 categorie di kant lo semplifica dicendo che tutti i fenomeni si formano sul
presupposto della causalità, rapporti di causa ed effetto. questo principio di causalità di fatto
si manifesta secondo quattro modalità diverse: divenire (mondo fisico), conoscere (logica),
essere (enti matematici), agire (comportamenti).
● divenire:
quando il principio di causalità si realizza nel mondo fisico (materiale), questo prende
il nome di divenire. perché avviene un cambiamento che è determinato da una causa
specifica [in un campo di calcio ci sia un pallone abbandonato; se quel pallone è lì di
per se stesso rimane fermo, ma se gli tiro un calcio si verifica un cambiamento del
mondo fisico. continuerà a muoversi finché durerà la forza del calcio. tra questi due
avvenimenti (il movimento della palla e il calcio che ho dato) c’è un rapporto di
causa-effetto]. possiamo osservare dei cambiamenti che sono sempre riconducibili a
una causa che le ha determinate. anche se personalmente non riesco a spiegare
quale sia la causa, la causa c’è lo stesso [in autunno le foglie cambiano colore;
anche se non sono capace di spiegare perché le foglie cambiano colore, le cause ci
sono lo stesso].
● conoscere:
ci troviamo all’interno della sfera del linguaggio, che si compone di enunciati/giudizi e
ci concetti (parole). il principio di causalità agisce secondo le leggi della logica,
perché all'interno di un ragionamento logico, poste determinate premesse,
necessariamente arriverò a delle conclusioni che possono essere quelle e soltanto
quelle. attraverso le parole costruisco una struttura sillogistica che mi porta
necessariamente a trarre delle conclusioni di un certo tipo. in questo caso specifico
le premesse possono essere considerate come le cause delle conclusioni-> partendo
da quelle premesse arrivo a quelle conclusioni. tra premesse e conclusioni c’è un
rapporto di causa-effetto. si applica al linguaggio quando viene usato in modo logico.
● essere:
questa modalità riguarda gli enti matematici (numeri e figure geometriche). gli enti
matematici sono un tipo di entità che sono regolate da delle proprietà originali
(universali) partendo dalle quali, attraverso dei ragionamenti, è possibili eseguire
determinate operazioni o raggiungere delle dimostrazioni specifiche. [la somma degli
angoli d'un triangolo è 180, sto dicendo che all'interno di una figura piana costruita in
un certo modo, esiste una relazione tra le sue parti per cui sempre e
necessariamente la somma degli angoli interni da quel risultato. cause: postulati
della geometria]. rapporto di causa-effetto perché la conclusione non sarebbe
possibile se non ci fosse una causa. anche all'interno degli enti matematici esiste il
principio di causa-effetto, che in questo caso schopenhauer chiama essere.

lezione del 15/03/21


● agire:
modalità che riguarda i comportamenti umani. le azioni umane sono prodotte da delle
cause, che sono quelle che chiamiamo le motivazioni che all'interno ci spingono a
prendere delle decisioni; c’è un tipo di causalità in cui la causa è la motivazione e
l’azione è il suo effetto. nel caso del collegamento che si stabilisce tra una
motivazione e l’azione che ne deriva, non c’è un rapporto di necessità (non c’è
nessun legame necessario tra una motivazione e un’azione-> non si può paragonare
questo tipo di causalità alle altre tre in cui vi è un rapporto di necessità) perché tra le
nostre motivazioni non c’è un rapporti unilaterale, perché di mezzo di sono una serie
di considerazioni che mi portano a decidere come agire.

significato titolo “sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente”


la quadruplice radice sono le quattro modalità di cui abbiamo parlato.
del principio di ragion sufficiente-> nella sua prima formulazione risale a leibniz il cui
pensiero era conosciuto in germania, e questo principio di ragion sufficiente stabilito da
leibniz è rimasto come uno degli elementi fondamentali della filo moderna. poi wolf riprese e
riformulò questo principio: “niente è senza una ragione per la quale sia piuttosto che non
sia”-> per ogni cosa che esiste nel mondo reale c’è sempre una ragione, cioè una causa
sufficiente a spiegare la sua esistenza (tutto ciò che esiste ha una causa). questo principio è
sempre valido anche nel caso in cui non siamo in grado di individuare la causa. il fatto di non
conoscere la causa non vuol dire che non esiste. questo principio nell’opera di
schopenhauer diventa la causalità, cioè la ricerca delle cause sufficienti per poter segare
determinati fenomeni.

schopenhauer prende un’altra strada rispetto a kant riguardo alla conoscenza scientifica. vi
è una valutazione di schopenhauer diversa; perché secondo kant la conoscenza scientifica
fondata sui fenomeni, all'interno dei suoi limiti è una conoscenza valida e tutto ciò che sta
fuori dai confini non è scienza. secondo schope invece la conoscenza scientifica non è come
pensava kant, una conoscenza che ci avvicina alla verità ma è ingannevole; le categorie
stanno solo dentro la nostra mente e ci fanno vedere il mondo solo in un certo modo, come
se fosse riflesso in degli specchi deformati. è una verità evanescente, perché la verità del
mondo si trova su un altro piano. schope usando un mito della filo indiana dice che questo
tipo di conoscenza basata sulla rappresentazione può essere paragonato al velo di maya
[divinità che getta sul mondo reale un velo che impedisce agli uomini come stanno
effettivamente le cose, quindi l’unico modo che hanno è quello di oltrepassare questo velo
per vedere al di là]. secondo schope la conoscenza scientifica ci tiene lontani dalla verità,
perché non si pone sul piano delle rappresentazioni, ma su quello della volontà.

il mondo come volontà


volontà che non ha niente a che vedere con la volontà che intendiamo noi.
la volontà parte dalla distinzione tra fenomeno e noumeno-> la volontà corrisponde al
noumeno. nella filo di kant il concetto di noumeno indicava un concetto limite, cioè ciò che
può essere solo pensato ma non conosciuto-> è un limite.
schope lo intende come l'opposto del fenomeno (ciò che appare davanti a noi), quindi
qualcosa che non è sensibile; però il fatto che non è sensibile non vuol dire che non esiste,
ma è quella forza che però è presente in tutte le cose del mondo e ne costituisce l’essenza.
per kant il noumeno non può essere conosciuto, mentre per schope può essere conosciuto
ma costituisce l’essenza stessa di tutta la realtà.

lezione del 16/03/21


il problema che ci si pone è: se il noumeno, nel senso di schope è un termine che assume il
significato in opposizione al fenomeno (entità non rappresentabile che sfugge alle strutture
del tempo, dello spazio e della causalità), come facciamo a conoscere il noumeno che
corrisponde alla volontà se sfugge a tutte le nostre capacità percettive? schope introduce un
discorso spiegando che la strada per arrivare al noumeno è il corpo. il fatto che schope è
stato tra i primi filosofi che nella sua filo ha attribuito un valore positivo, perché prima il coro
aveva un valore negativo perché era fonte di passioni, istinti, forze che gli uomini non
possono controllare e che ci spingono verso il vizio-> il corpo è la fonte di ogni male. invece
schope toglie il corpo da questo contesto di tradizioni filosofiche che lo disprezzavano,
dicendo che il corpo costituisce l’elemento fondamentale attraverso il quale possiamo
arrivare alla conoscenza del fenomeno. [nel corso dell'800 e del 900 questo discorso
filosofico sul corpo si svilupperà in maniera sempre maggiore-> molti filosofi successivi a
schope metteranno in evidenza l’esistenza del corpo e le sue funzioni come un punto di
partenza fondamentale per capire la realtà umana].
noi possiamo avere nei confronti del corpo due atteggiamenti diversi: 1-atteggiamento
oggettivante; 2-l'atteggiamento soggettivo.
1. il corpo inteso come oggetto potrebbe essere il corpo come lo vede un medico,
qualcosa di esterno rispetto a noi del quale possiamo osservare determinati
comportamenti, però è un corpo fenomenizzato-> ridotto a fenomeno del mondo
fisico e come tale obbedisce alle strutture del tempo, dello spazio e della causalità. è
esterno rispetto all’osservatore.
2. oltre a questa sfera oggettiva esiste tutta una dimensione relativa al corpo che invece
è riconducibile alla sfera che definiamo dei nostri vissuti interni al nostro corpo. non è
più un corpo oggettivato, ma vissuto dall’interno attraverso tutte le componenti che
non possono essere studiate come i fenomeni naturali, perché non sono riconducibili
alle sfere del tempo, dello spazio e della causalità. una persona che mi guarda
dall’esterno non può sapere quali sono i miei sentimenti, perché sono cose che non
fanno parte del mondo esterno ma le possiamo percepire solo come vissuti interiori.
sfuggono allo sguardo oggettivante, ma se osserviamo questi nostri vissuti interiori
dall'interno, possiamo dire che tutte queste cose che fanno parte di questa sfera
sono fondamentalmente delle forze irrazionali; perché non dipendono dalla nostra
ragione (possiamo provare a controllare) ma sono delle forze che sentiamo dentro di
noi ma che non sono razionali. [filone della filosofia irrazionalistica]. non siamo solo
ragione, ma portiamo una componente di irrazionalità che non possiamo escludere
dalla nostra vita.
questo costituisce un'esperienza fondamentale. perché attraverso questo vissuto che noi
abbiamo di noi stessi dall’interno, ci rendiamo conto che alla base di tutte queste forze c’è
un elemento unitario che sta alla base di tutte queste forze irrazionali che è la volontà
(volontà di vivere, è una forza impersonale. l’uomo tende a vivere e a rimanere in vita).

lezione del 22/03/21


attraverso questi vissuti interni al nostro corpo, che sono di tipo irrazionale, ci rendiamo
conto che la radice comune di tutte queste forze interne a noi non razionali è la volontà di
vita; ovverosia un impulso fondamentale e originario che ci spinge ad essere e ad agire per
conservarsi in vita. questa tensione fondamentale che è presente in ciascuno di noi (in tutti
gli esseri viventi) è appunto quella che schope chiama la volontà, volontà di vita. [non deve
essere intesa nel senso comune, come una scelta di tipo razionale; questa volontà è una
forza del tipo impersonale, esiste anche se non ne siamo coscienti. è una sorta di energia
universale invisibile che è presente in tutte le cose e che le fa essere/esistere.] attraverso
questa strada si riesce a cogliere la verità della nostra condizione esistenziale.
le caratteristiche della volontà secondo la definizione di schope:
● la volontà è eterna: noi non possiamo individuare nessun punto del tempo in cui
abbia avuto inizio e non possiamo neanche indicare nessun punto del tempo nel
quale avrà una fine; perché sta fuori dal tempo, non cade nelle categorie temporali
del prima e del dopo. è una forza che vive dentro di noi da sempre e per sempre, e
che costituisce l'origine di tutte le cose. quindi non ha senso trovare una causa della
volontà, perché è lei la causa di tutto.
● è unica: è una sola, eterna, che non appartiene a nessuna singola cosa; ma è
presente, e si può manifestare secondo modalità diverse, in tutti i fenomeni del
mondo fisico. non c’è una volontà distinta per ciascun singolo individuo.
● è cieca: non ha nessuno scopo/fine al di là di se stessa, quindi continua a riprodursi
per continuare ad esistere; è volontà di vita che vuole la vita, che vuole continuare ad
essere viva, ma al di fuori di questo non c’è un orientamento di tipo finalistico. non
c’è uno scopo al di fuori della volontà che vuole se stessa, che vuole la vita. non
agisce in vista di niente. vuole se stessa, vuole la vita.
● è inconsapevole/inconscia: se la pensiamo come una sorta di energia vitale che è
presente in tutta la natura, questa non è sottoposta alla razionalità ma precede al
razionalità stessa; prima viene la volontà di vita e dopo soltanto in alcuni esseri
viventi comare la razionalità. la volontà è presente in tutte quelle forme viventi che
non sono razionali. la volontà non dipende dalla ragione, non è sottoposta alle leggi
della ragione. [si trova anche la radice del concetto di inconscio che poi verrà
formulato da freud]
tema del dolore
schope applica questi concetti alla realtà umana. la volontà si rende sensibile secondo la
modalità che noi definiamo desiderio-> i nostri desideri sono delle manifestazioni dentro di
noi di questa volontà che continuamente agisce, dentro di noi, e ci fa desiderare delle cose
che noi riteniamo importanti per la nostra vita. questi desideri fanno parte di tutte quelle
forze irrazionali che fanno parte dentro di noi. ma da un punto di vista concettuale cos’è un
desiderio?-> è una tensione interna, che esiste dentro di noi, che nasce dal fatto che
sentiamo la mancanza di qualcosa che vogliamo avere. la volontà ci spinge a desiderare
delle cose che noi riteniamo importanti per la nostra vita. internamente sentiamo sempre
questa tensione costante verso l’appagamento (soddisfazione del desiderio); le nostre azioni
sono per lo più indirizzate in questo senso. in realtà qualunque tipo di appagamento
possiamo raggiungere dei nostri desideri, sarà sempre provvisorio o parziale o entrambe le
cose insieme.
provvisorio-> limitato nel tempo (desideravo qualcosa e ho appagato questo mio desiderio;
però nel tempo questa felicità diminuirà perché il regalo diventerà qualcosa di normale); ogni
soddisfazione di un desiderio ha una durata temporale limitata.
parziale-> perché anche se riesco a soddisfare un desiderio che avevo, ne rimarranno altri
insoddisfatti. quindi la soddisfazione di un desiderio è limitata, ma difficilmente nella nostra
vita riusciamo a raggiungere una soddisfazione totale di tutti i desideri. molto spesso noi
idealizziamo molto gli oggetti che desideriamo-> nella nostra mente facciamo dipendere da
queste cose la nostra felicità, e quando abbiamo quella cosa ci rendiamo conto che non ci
da quel piacere che avevamo immaginato, perché prima di averlo avuto lo avevo idealizzato.
qualunque soddisfazione possiamo ottenere dei nostri desideri non sarà mai assoluta, ma
sarà sempre limitato e parziale.

lezione del 24/03/21


da questi presupposti nasce come conseguenza il fatto che dal punto di vista di schope,
quando parliamo del piacere (lo facciamo coincidere con la felicità in molti casi), questo deve
essere definito in modo negativo-> nel senso che il piacere lo possiamo provare in quei rari
momenti, durante i quali c’è una sorta di interruzione della condizione di sofferenza nella
quale normalmente ci troviamo (dovuta a questa costante tensione verso l'appagamento del
desiderio). questa nostra condizione normale in certi momenti cessa perché, per un breve
periodo in seguito al soddisfacimento di un desiderio, ci sentiamo felici. definizione negativa:
momentanea assenza di dolore. però schope va ancora oltre-> dice: questa che ho appena
descritto è la situazione normale in cui viviamo noi uomini, però proviamo a pensare in
senso ipotetico che le cose non stiano così-> ad immaginare che questo appagamento dei
desideri invece di essere una cosa effimera, che sia invece un soddisfacimento pieno totale
e continuativo nel tempo (l'opposto di quello che si fatto è). saremmo felici? introduce per
rispondere alla domanda-> dice: magari per un breve periodo ci sentiremmo felici, però se
questa condizione di piena felicità continuasse nel tempo, alla fine darebbe origine ad un
sentimento di noia; di noia perché non avremmo più nulla da desiderare, e se non abbiamo
più nulla da desiderare non c’è niente che ci spinge all’azione, perché siamo totalmente
appagati-> saremmo immobili perché staremo a goderci la felicità senza fare niente. alla fine
però la noia diventa un’altra condizione di sofferenza. inevitabilmente per uscire dalla
situazione di noia ricominceremmo a desiderare qualcosa, e quindi ad affannarci per
soddisfare i nostri desideri. anche in questo modo il problema non si risolverebbe, perché
anche un appagamento totale se troppo prolungato ci porta alla noia e poi rinasce il
desiderio dei desideri. [collegamento con leopardi] [questa concezione secondo la quale la
vita umana quotidiana è immersa nel dolore, il male è qualcosa di connaturato nella vita
stessa e non si può eliminare, ha trovato uno sviluppo sul piano letterario-> soprattutto in
montale che parla del male di vivere-> il male è una componente della vita]

nell’ultima parte del mondo come volontà e rappresentazione, schope sviluppa una
prospettiva diversa che non è più così pessimistica-> allora di fronte a questa condizione di
dolore e sofferenza, cosa possono fare gli uomini? esistono nella vita umana delle
possibilità, che hanno solo gli uomini, perché seguendo certe strade gli uomini hanno la
possibilità di liberarsi, di andare al di là della loro normale condizione naturale di sofferenza.
indica dei percorsi che gli uomini hanno per uscire da questa condizione di dolore.
tre vie di liberazione: arte, morale, ascesi.
● arte: quando vediamo un oggetto in modo artistico, non lo vediamo attraverso le
categorie dello spazio, tempo, causalità che sono tipiche delle strutture a priori
dell'intelletto, ma guardiamo un oggetto in senso ideale, cioè sganciato dalle strutture
a priori di spazio, tempo e causalità. è un processo di elevazione verso l’alto, in cui ci
stacchiamo dal mondo delle rappresentazioni e avvediamo a una sfera più alta che
sta oltre al tempo, allo spazio, ai desideri. l’altre ci porta in elevazione verso una
sfera superiore che ci distacca dal mondo quotidiano.

lezione del 29/03/21


● morale: nella nostra vita quotidiana legata al dolore, in quanto siamo dominati dai
nostri desideri e dalla ricerca dell'appagamento, siamo centrati prima di tutto su noi
stessi (i desideri sono personali)-> sono individualistici. nel desiderare una cosa mi
distinguo dalle altre persone che anche loro sono delle persone singole dotate di
desideri. tutta la struttura del desiderio e della sofferenza è di tipo individualistico.
schope definisce il concetto di morale-> quando diventiamo consapevoli della
condizione in cui viviamo, allora riconosciamo che in realtà da questo punto di vista
noi non siamo unici-> non siamo più centrati su noi stessi-> perché ci rendiamo conto
del fatto che secondo questa prospettiva tutti gli esseri viventi sono uguali,
condividono lo stesso destino. divento consapevole del fatto che questa condizione
di sofferenza non è solo mia, ma è di tutta l’umanità. da qui nasce quel sentimenti
che schope definisce compassione-> noi ci sentiamo uniti a tutta l’umanità in quanto
tutti soffriamo della medesima situazione. questa sofferenza è universale e non è
limitato a me stesso-> questo ispra dentro di me la compassione, non tanto per me
ma per tutti gli esseri viventi. questo sentimento di compassione mi porta, come
conseguenza, ad un atteggiamento di pietà universale-> sentiment che non è relativo
a me stesso, ma va al di là di ogni confine-> è una sorta di pietà che provo per la
condizione in cui tutti viviamo. dentro di me si sviluppa una componente di amore
disinteressato (non sta parlando dell’amore sensuale perché questo tipo di amore
ricade nella categoria del dolore, fa parte della struttura del desiderio. disinteressato:
in quanto io sono consapevole di questa situazione in cui tutti ci troviamo, e provo
pietà, non posso desiderare di accrescere ulteriormente questa sofferenza che già
c’è nel mondo facendo del male, perché così facendo aumentare sempre di più
questa sofferenza; semmai si sviluppa dentro di me l’atteggiamento opposto->
cercare di diminuire questo carico di sofferenza-> cerco di fare del bene-> azioni che
cercano di alleggerire la condizione di sofferenza, e in questo consiste l’amore
disinteressato-> non guarda a una singola persona ma a tutta l’umanità). anche
questa è una via di liberazione, perché ci aiuta ad uscire da quella situazione di
chiusura in cui ci troviamo quando siamo nella struttura del desiderio e della
sofferenza, perché qui non ho più desideri egoistici, ma ho sviluppato un sentimento
che mi porta verso una sorta di desiderio di giustizia universale (anche se non è mai
raggiungibile). derivazione dal buddismo-> cercare, nei limiti del possibile, di evitare
di accrescere la sofferenza degli esseri viventi.
● ascesi: (significa salire verso l'alto). schope dice che l'arte e la morale sono due vie
di liberazione, però pur rappresentando un notevole passo avanti non riescono a
raggiungere la liberazione totale, perché non arrivano a esaurire quella che è la
radice della sofferenza umana-> la volontà. finchè non riusciamo a cancellare del
tutto questa volontà, non saremo mai liberi. per riuscire a fare ciò dobbiamo
raggiungere quella condizione che schope definisce noluntas (negazione totale della
volontà). quando riusciamo a raggiungere la noluntas accediamo ad una dimensione
che schope definisce il nirvana (deriva dalla filo indiana). il nirvana lo si può definire
come quella condizione in cui noi facciamo l'esperienza del nulla-> noi diventiamo
consapevoli del fatto che il mondo è nulla; cioè che tutte quelle cose del mondo che
noi una volta desideravamo, in realtà non valgono nulla, non hanno nessun valore
reale, sono solo dei desideri suscitati dalla volontà. nel momento in cui diventiamo
consapevoli di questo fatto ci distacchiamo dal mondo, il mondo non esercita più
nessuna attrazione su di noi perché ci rendiamo conto che sono tutti desideri vani.
questo nulla non deve esser inteso come un qualcosa di distruttivo, ma costituisce il
presupposto sul quale poi nascerà un sentimento di pace interiore, perché non
dipendiamo più dal mondo. concezione orientale-> santoni indiani che sono come
assorti in questa dimensione quasi ultraterrena, per cui il mondo che hanno intorno
non ha nessun valore per loro-> illuminazione-> condizione di piena
autorealizzazione della coscienza nella quale l’io soggettivo si fonde con l’io
universale, e la persona raggiunge uno stato di quiete.

lezione del 31/03/21


kierkegaard
vita e opere pag 40-43
filosofo nordico nato in danimarca e sempre vissuto lì, tranne brevi spostamenti.
lo possiamo classificare nella corrente dei filosofi razionalisti, come schope; oggi è
considerato importante perché è come una sorta di precursore di quella corrente filosofica
europea del ‘900-> esistenzialismo; in sé non può essere considerato un esistenzialista, in
quanto è venuto prima; però molti esistenzialisti hanno individuato in kierkegaard delle basi
dell’esistenzialismo.
nella sua riflessione c’è una parte che è stata influenzata da tematiche religiose; anche se
aveva un atteggiamento critico nei confronti della chiesa istituzionale, aveva una personalità
fortemente religiosa. infatti da kierkegaard è discesa una teologia (mondo protestante) che
fa riferimento a kierkegaard.

la concezione dell’esistenza e la critica a hegel


concezione dell’esistenza-> si ricollega al discorso del esistenzialismo-> kierkegaard
distingue in modo netto essere ed esistenza, che erano due termini che molto
impropriamente venivano confusi. lui, per primo in modo moderno, distingue queste due
dimensioni; l’essere è un tema filosofico, che fa parte della metafisica occidentale a partire
da parmenide, che appartiene alla sfera astratta-> esiste in sé indipendentemente da quella
che è la realtà materiale-> è un essere astratto. altra cosa è l’esistenza-> è la vita reale,
materiale di ciascun singolo individuo nella realtà storica in cui vive; l’esistenza è la nostra
vita. gli esistenzialisti prenderanno questo nome perché partono da questa distinzione.
critica a hegel-> anche kierkegaard avanza delle critiche molto radicali nei confronti della
filosofia di hegel, ma di tutto l'idealismo in generale.
l’esistenza da un punto di vista analitico, si basa sulla categoria della possibilità-> nella
nostra vita reale, noi continuamente ci troviamo di fronte a delle alternative (di
comportamenti possibili), che ci obbligano a fare delle scelte; o scelgo di fare una cosa
appare ne scelgo un’altra-> o decido di agire in un certo modo oppure decido di agire in
modo diverso, ma non posso fare le due cose insieme-> molto spesso queste scelte sono
mutuamente esclusive-> non posso fare entrambe le strade. questa struttura è tipica della
vita umana, e lui la definisce usano il termine di “aut-aut” (o questo o quello); noi
continuamente ci troviamo a fare scelte di questo tipo. da un punto di vista filosofico la
definisce la categoria della possibilità.

lezione del 12/04/21


questa struttura secondo lui non è superabile perché molto spesso certe alternative non
possono essere superate da alcuna sintesi. un testo famoso id kierkegaard-> aut aut->
opposti che non possono essere conciliati. questa situazione in cui ci troviamo è una
struttura esistenziale che fa parte dell'esistenza stessa, però per noi è fonte di angoscia e di
inquietudine; non viviamo tranquilli perché non possiamo sapere in anticipo se la scelta che
facciamo è quella giusta; non posso sapere prima quali saranno le conseguenze della scelta
che faccio adesso. questo fatto produce in noi questo senso costante di incertezza e questo
dubbio non si può risolvere, potremo saperlo solo dopo se abbiamo fatto la scelta giusta
oppure no. questa angoscia è sempre presente. kierkegaard è stato un grande filosofo molto
acuto ad osservare le strutture della nostra esistenza perché ha compreso delle cose molto
profonde, era un filosofo che riusciva a capire anche la psiche. risvolto: se da una parte
questa struttura produce angoscia, però dal un altro punto di vista proprio questa condizione
in cui ci troviamo è quella che dà un senso alla nostra vita-> kierkegaard ribalta quello che
tradizionalmente nella storia della filosofia era stato il significato della vita-> molti filosofi
andavano a cercare la risposta sul piano metafisico (la ricerca della felicità, la conoscenza
delle verità, la fede in dio, ecc.), che si fondavano su dei valori certi indiscutibili; con lui
cambia la prospettiva-> il significato della nostra vita non dipende da niente che sia esterno
rispetto a noi, ma solo dalle scelte che noi facciamo; siamo noi che facendo certe scelte,
diamo un senso alla nostra vita-> il senso alla vita lo diamo noi, non viene da fuori. questa
struttura è quella condizione che ci permette di dare un senso alla nostra vita e di assumerci
la responsabilità delle scelte che facciamo (filosofia della responsabilità)-> di fronte a
qualunque situazione abbiamo questa libertà, in ultima analisi la scelta è nostra-> noi siamo
responsabili della nostra vita. a causa di ciò noi siamo liberi in quanto responsabili. rispetto a
molte filosofie classiche consolatorie kierkegaard ribalta tutte queste giustificazioni-> non
puoi scaricare la responsabilità della tue scelte su altro. contestazione filosofia di hegel-> la
dialettica hegeliana è una invenzione di hegel, non esiste nella realtà-> perché nella vita le
cose non vanno così-> la struttura in cui siamo immersi può capitare che certe opposizioni si
possono superare ma la quasi sempre sono insuperabili; se guardiamo la nostra vita ci
rendiamo conto che le cose non funzionano in questo modo. la seconda critica: per hegel la
singola persona nel contesto della sua filosofia svaniva perché rappresentava solo un
momento dell’evoluzione dello spirito-> per hegel il singolo individuo staccato dall’intero non
ha senso; dice che hegel sbaglia perché ogni singola persona è un soggetto unico irripetibile
e diverso tutti gli altri, ed è da qui che parte la filosofia dell’esistenza-> dall'esistenza di
ciascun singolo individuo che non può essere superato. ognuno di noi è un'entità che non
può essere ridotta a delle categorie filosofiche astratte. questo porta anche a una
concezione diversa dell’etica-> mettere il tutto davanti al singolo è un attentato metafisico,
perché si fonda su un qualcosa di metafisico che porta a una deresponsabilizzazione
dell’azione individuale-> l’etica è il prendersi le proprie responsabilità. sostituire la
responsabilità personale con la responsabilità di un’entità metafisica che è solo una
concezione astratta e filosofica.

lezione del 13/04/21


nella filosofia di kierkegaard si entra sul discorso sugli stadi dell’esistenza, che sono
abbastanza simili a schope: il primo riguarda l’arte, il secondo l’etica, il terzo la religione. la
differenza sta nella concezione di fondo-> gli stati di esistenza non sono delle vie di
liberazione come per schope. con kierkegaard siamo in una prospettiva diversa-> per lui non
c'è liberazione, non ci portano al liberarci dalla situazione complessiva di angoscia in cui ci
troviamo, per lui non c’è uscita. queste tre modalità sono delle modalità alternative di
esistenza che noi possiamo scegliere, e quindi delle quali ci dobbiamo assumere la
responsabilità; ma non ci portano fuori dalla realtà esistenziale, fanno parte dell’esistenza
stessa; sono tre diverse modalità di esistenza.

lezione del 14/04/21


anche se dall'esterno possono assomigliare alle tre vie di liberazione di schopenhauer, in
realtà sono molto diverse. si esprime usando dei personaggi simbolici.
● estetico (corrisponde all’arte): il personaggio che sceglie per rappresentare questo
stadio è il don giovanni [come personaggio letterario, in modo particolare della
letteratura spagnola del secolo d’oro; all’interno di questo grande periodo vi fu tirso
de molina che scrisse “don giovanni”-> opera che raccontava le vicende di questo
personaggio, il quale era un gran seduttore e questo lo porta a una serie di
avventure. questo personaggio nel corso del tempo ha avuto una grande fortuna e
anche nei secoli successivi e al di fuori della spagna viene risposto come
personaggio e sviluppato secondo modalità diverse (teatro, musica, ecc.).
kierkegaard lo sviluppa in una chiave filosofica-> questo accostamento sembra
incongruo perché nella mentalità popolare non è visto come un personaggio
complesso, ma in realtà lo è]. il problema è quello di capire cosa kierkegaard
intendesse associando, dal punto di vista del significato, la figura del don giovanni
con lo stadio estetico.
figura del don giovanni come seduttore-> siccome queste donne sono così tante lui
non le può amare tutte; cosa lo spinge alla ricerca delle donne? in realtà don
giovanni non è innamorato delle donne, ma della bellezza; ciò che lui ricerca come
scopo della vita è la bellezza, che lui vede in ciascuna singola donna. il problema è
che essendo innamorato di un ideale irraggiungibile (nessuna donna potrà mai
sofdidfsaare la sua sete di bellezza in senso assoluto-> visto che nella realtà è un
ideale; nessuna donna può coincidere con questo ideale). ecco perché cambia
sempre donna-> non trova in enssuna la belleza ideale. [si può ribaltare, riferendosi
alla figura delle femme fatale]. è un eterno insoddisfatto.
la bellezza non è solo legate al genere umano, ma è legata al valore in sé, è un
valore universale-> si può applicare a tutto. il predicato della bellezza non è limitato
solo a quella particolare bellezza che si vede in un uoo o in una donna-> don
giovanno diventa il simbolo dell’artista-> è il simbolo dell’amore verso la bellezza
ideale-> una persona sempre insoddisfatta che cerca di raggiungere un ideale di
bellezza che non raggiungerà mai. don giovanni è il simbolo di uno stile di vita di
persone che cercano continuamente l'ideale della bellezza senza mai poterlo
raggiungere. ma per far questo, ha una implicazione anche sul piano della
concezione temporale-> essere sempre alla ricerca del nuovo vuol dire “carpe
diem”-> il don giovanni ce deve essere sempre pronto a cogliere questa bellezza che
si manifesta-> è una persona che rifugge la monotonia e la ripetizione-> tutte quelle
condizioni che fanno parte della nostra vita ma che per lui non hanno significato.
[potrebbe essere la figura dell'artista romantico]
quindi la figura di questo seduttore che continuamente nella sua vita è sostenuto da
questa ricerca continua di inseguire qualcosa che gli sfugge sempre. nel fare questo
trascorre il tempo della sua vita-> alla fine, se questo tipo di vita lo proiettiamo in un
futuro, ovviamente diventa qualcuno che spende tutta la sua vita nella ricerca di
qualcosa che non potrà mai raggiungere-> è come se la vita gli sfuggisse dalle dita.
lui investe le sue energie senza raggiungere niente ma alla fine si sente come vuoto,
ha un senso di disperazione. non gli ha dato alcun tipo di realizzazione rispetto a
quello che avrebbe voluto.
kierkegaard dice che questo è lo stadio estetico dell'esistenza che però a lungo
andare porterà a queste conseguente-> alla mancanza di senso. alla fine di questo
percorso si troverà di fronte al vuoto, perché si è speso nella ricerca di qualcosa che
non ha mai raggiunto.

lezione del 20/04/21


● etico: è rappresentato da un altro personaggio che lui chiama il giudice wilhelm.
perché sceglie questo personaggio? perché è un giudice, quindi è l’opposto di un
artista, ed è il simbolo di un personaggio che è completamente integrato della
struttura sociale di cui fa parte. il giudice oltre al suo lavoro di giudice è sposato, ha
dei figli e quindi, la sua vita si fonda sulla responsabilità che lui ha nei confronti sia
della società che nei confronti della famiglia. per kierkegaard il matrimonio borghese
tradizionale è uno dei simboli di questo stadio etico, perché è un contratto che viene
firmato dai coniugi che si prendono degli impegni reciproci e nei confronti della
società di cui fanno parte. il giudice è una rappresentazione dell’alta borghesia, dei
valori conservatori tradizionalisti su cui si fonda la società borghese dell’800; il valore
fondamentale è quello del lavoro, dell'impiego quotidiano costante, del senso del
dovere, del fatto di svolgere bene il proprio lavoro. tutte queste caratteristiche stanno
ad indicare una realizzazione personale, una sorta di pace interiore, che si fonda
sulla stabilità e la continuità. esattamente il contrario dell’artista che vive nel carpe
diem.
però proiettando questo modello di vita su un periodo di tempo molto lungo, anche
questo alla fine porta ad una vita monotona e ripetitiva. si viene a creare questo
meccanismo quasi meccanico di ripetizione delle stesse cose, che a un certo punto
porta ad un senso di noia e insoddisfazione; perché è una vita che si ripete sempre
uguale a se stessa e quindi per un’altra strada, alla fine anche questo stadio etico
porta a uno svuotamento, a una perdita di significato. in modo abbastanza simile a
quello che accadeva con lo stadio estetico. kierkegaard indica come due scelte
apparentemente opposte al lungo andare portano a dei risultati simili. kierkegaard
scava molto dietro la facciata del benessere borghese e dell’apparente felicità dove
tutto sembra apposto, e infatti andando avanti nel tempo anche quel modello del
matrimonio come simbolo dello stato etico andrà in crisi proprio sul piano sociale.
● religioso: questo stato religioso che si fonda sulla fede nasce da un senso di
sproporzione, di inadeguatezza che l'individuo sente nei confronti di dio (che è
infinito, onnipotente, ecc.). quindi l’uomo, in quanto è un essere fragile e limitato,
sviluppa nei confronti di dio una sorta di senso di colpa per la sua condizione
miserevole. è una trasposizione sul piano psicologico delle conseguenze del peccato
originale, quando gli uomini sono caduti in una condizione di peccato da una
condizione di grazia. per uscire da questa situazione l’unica strada è il salto della
fede; abbandonarsi completamente nelle mani di dio in modo tale che sia lui a
guidare la nostra vita. il personaggio che prende come punto di riferimento è abramo;
il quale rinunzia a se stesso e segue la volontà di dio, qualunque essa sia (anche se
fuori dalla morale umana). la fede secondo kierkegaard non è una scelta per niente
pacificante (che porta alla tranquillità) [era molto polemico verso i rappresentanti
ufficiali della chiesa], anzi la scelta di fede è quella più sconvolgente perché
dobbiamo accettare di fare la volta di dio, che spesso noi non capiamo; però
nonostante questo ci adeguiamo. o dio o gli uomini-> aut aut.

lezione del 21/04/21


per kierkegaard non c'è possibilità di liberazione, sono tutte scelte diverse che però sono
interne all’esistenza stessa e per vari motivi, tutte portano verso una situazione di angoscia;
per kierkegaard la condizione umana è sempre, in un modo o nell’altro, una situazione che
ci porta verso questa dimensione dell’angoscia, perché l'esistenza umana si sviluppa
sempre all’interno di queste coordinate di cui abbiamo parlato (dubbio, incertezza, noia,
ecc.). secondo kierkegaard questa condizione esistenziale non può essere mai superata.
in modo specifico lui distingue tre modalità emotive fondamentali ma con delle caratteristiche
ben precise.
● angoscia: è un sentimento che noi proviamo dentro di noi che non ci fa mai essere
completamente tranquilli, ma ci tiene sempre in una situazione di
incertezza/inquietudine, anche senza che noi riusciamo ad individuare la causa di
questo sentimento. è un sentimento che percepiamo nella nostra vita ma che non
può essere riportato con precisione a qualche motivo ben definito. [quando ci
sentiamo insoddisfatti ma senza un motivo preciso. è un po’ una condizione interiore
tipica della società moderna. malessere che accompagna le nostre vita-> freud
parlerà poi di nevrosi, dandogli una connotazione diversa]. situazione che ci portiamo
dentro senza saper dire da che cosa dipende.
● paura: è un sentimento molto chiaro e ben definito, la cui causa è ben evidente. la
paura è un sentimento forte ma che possiamo identificare, possiamo ricondurre alla
sua causa.
questi due sentimenti sono causati, in senso generale, dal rapporto che noi abbiamo con il
mondo esterno, con la realtà in cui siamo inseriti. però esiste anche un altro sentimento, che
lui chiama disperazione, il quale non deriva da un rapporto con il mondo esterno ma deriva
dal tipo di rapporto che abbiamo con noi stessi; è un sentimento interno che dipende da un
nostro atteggiamento di fondo che abbiamo verso noi stessi.
● disperazione: distingue due tipi fondamentali di disperazione.
1. deriva da una sorta di insoddisfazione che noi possiamo avere rivolta verso
noi stessi e che ci porta a non accettarci per quello che siamo; deriva da una
sorta di atteggiamento negativo che abbiamo nei confronti di noi stessi.
[provo verso me stesso dei sentimenti negativi o se penso a delle cose che
ho fatto]. questi atteggiamenti sono “autodistruttivi” perché siamo noi stessi
che ci danneggiano dall’interno, dando delle valutazioni negative di quello che
siamo, non ci accettiamo così come siamo. questi comportamenti negativi è
una delle strade che ci porta verso la disperazione; perché alla se base sono
scontento e non voglio essere quello che sono, non posso essere felice ma
disperato. perché nasce dentro di me la causa di questa disperazione.
2. nasce da un atteggiamento opposto, cioè quando in tutte le occasioni mi
sento il più bravo, il più bello, il più tutto-> mi sopravvaluto. questo tipo di
atteggiamento, di inflazione dell’io, può portare verso la disperazione.
perchè: se mi pongo costantemente in questa posizione le altre persone che
sono intorno a me lo percepiscono, quindi mi evitano perché a nessuno fa
piacere stare con una persona che parla tutto il tempo di se stesso. porta a
una sorta di isolamento sociale. una volta che si è innalzato questo muro,
porta a una mancanza di comunicazione con le altre persone. ma il
comunicare con i miei simili è la necessità per ogni essere umano; perché se
mi trovassi in una situazione di questo genere sarei un alienato, un
disadattato e quindi infelice perché chiuso in me stesso.

lezione del 28/04/21


qui siamo sul versante di quelle correnti filosofiche che si sono sviluppate in germania dopo
la morte di hegel, ma nel solco come proseguimento della filosofia hegeliana-> non partono
da una negazione del pensiero di hegel, ma sono dei continuatori che seguono e sviluppano
il pensiero di hegel secondo delle prospettive diverse. si formano due schieramenti
contrapposti fra di loro, che gli storici successivi hanno definito come destra e sinistra
hegeliana.
la destra hegeliana si sviluppa all’interno dell'università e dell’ambiente accademico e segue
una interpretazione del pensiero di hegel di orientamento conservatore.
la sinistra hegeliana è più libera, si sviluppa anche al di fuori delle università e ha un
orientamento molto più progressivo e innovativo rispetto alla destra; i filosofi più importanti si
collocheranno nella sinistra, come feuerbach e marx.
differenze tra l’interpretazione di destra e di sinistra della filosofia di hegel, gli argomenti più
importanti rispetto ai quali queste due correnti si differenziano sono la religione e la politica.
religione:
● la destra interpreta il concetto hegeliano dello spirito come una sorta di versione
filosofica del dio del cristianesimo-> gli autori della destra sostengono che quando
hegel parla dello spirito in realtà sta usando un linguaggio filosofico per parlare del
dio cristiano; da qui deriva una interpretazione che porta verso il riconoscimento della
chiesa istituzionale e quindi di tutti quelli che sono i dogmi sui quali si fonda il
crisitneesimo. la filosofia di hegel viene presa come una legittimazione della chiesa
ufficiale.
● la sinistra interpreta il concetto di spirito in modo diverso, dicendo che hegel non
faceva riferimento a dio inteso nel senso tradizionale della chiesa ma faceva
riferimento agli uomini, all'umanità intesa nel suo insieme, nel suo divenire, nel
processo attraverso il quale si sviluppa e prende coscienza di sé e si realizza
attraverso tutte le diverse fasi della fenomenologia fino ad arrivare al sapere
assoluto.
politica:
● la destra afferma che nel suo sistema identificando il razionale con il reale e il reale
con il razionale, hegel intendesse dire che il sistema politico esistente (rappresentato
dallo stato prussiano) è la rappresentazione più perfetta che si sia mai realizzata
nell'umanità. legittimazione del potere politico esistente.
● la sinistra mette in evidenza maggiormente quegli aspetti legati alla dialettica intesa
come una continua contrapposizione tra elementi che sono in conflitto tra di loro ma
che poi alla fine portano ad un superamento e una realizzazione sempre più elevata
nella storia umana; quindi per la sinistra lo stato prussiano non può essere
considerata come l’elevazione massima ma come un momento dialettico che poi
verrà superato dalle fasi successive. interpretazione orientata verso il cambiamento.

lezione del 03/05/21


feuerbach
vita sul libro pag 83-84. fu un allievo diretto di hegel, segui le sue lezioni presso l'università
di berlino e per molto tempo fu un hegeliano convinti→ seguiva la filosofia di hegel. poi entra
in contatto con gli ambienti della sinistra hegeliana e quindi lentamente comincia a
distaccarsi dalla filosofia di hegel e dell'idealismo, e inizia ad assumere un atteggiamento
critico nei confronti del sistema filosofico di hegel.

critica filosofia
qual è la critica filosofica che feuerbach muove all’idealismo e quindi anche a hegel. l’errore
che queste filosofie hanno commesso è quello di avere invertito tra di loro il concreto e
l'astratto; la filosofia dell’idealismo sostanzialmente da un punto di vista della sua struttura di
fondo, questi autori hanno in comune il fatto che fanno derivare come conseguenza il
contratto dall’astratto→ partono tutte da un principio astratto che è il fondamento di tutto e
da lì fanno derivare come conseguenza tutto il resto, quindi anche la realtà umana concreta.
invece, dice feuerbach, se noi vogliamo capire come funzionano veramente le cose
dobbiamo rovesciare questo rapporto, bisogna piuttosto dire che è vero l'opposto→ che il
punto di partenza è il concreto e l'astratto è una conseguenza che deriva dal concreto.
bisogna operare un rovesciamento di quelli che sono i rapporti tra astratto e contesto previsti
dagli idealisti. il concreto per gli idealisti corrisponde all’essere, mentre l’astratto corrisponde
al pensiero. quindi anche il concreto di feuerbach possiamo definirlo come l’umanità e
l’astratto in questo caso sarebbe lo spirito. alla base c’è il rovesciamento tra le due cose.
posta questa condizione di fondo ne derivano una serie di conseguenze perché la filosofia
per potersi sviluppare su della basi solide non può partire dall’astratto perche non puo
essere compreso, se non come un prodotto/una costruzione derivante dall’attività umana,
cioè dal conto. le idee non esistono in sé per sé, ma derivano dal pensiero umano. non
possiamo assolutizzare l’astratto e usarlo come punto di partenza perché, dice feuerbach,
se non si fosse il concreto (la realtà umana) non ci sarebbe nessuno spirito/nessuna idea;
perché come si fa a sostenere l’esistenza di un pensiero se non solo in relazione al soggetto
pensante. [es: la terra non fosse un pianeta come questo in cui viviamo, ma uno come la
luna o marte. esisterebbe un pensiero astratto? no, perché non c’è nessun soggetto capace
di pensare]. profondo radicamento nel concreto in feuerbach→ non possiamo sostenere che
esiste qualcosa di astratto se prima non c’è al abse un soggetto capace di pensare e di
produrre dei concetti astratti. tutti i concetti sono il prodotto di un pensiero. e dunque se
partiamo da questo rovesciamento, allora possiamo capire meglio di cosa stiamo parlando→
tutto quello che trattiamo all’interno del discorso filosofico è correlato al concreto, agli esseri
umani che sono capaci di sviluppare un pensiero astratto e di formulare dei concetti. con
feuerbach c’è una forte svolta di tipo antropologico (scienza che studia l’uomo) → questo
capovolgimento mette al centro l’essere umano. dal punto di vista di feuerbach crolla tutto il
discorso che faceva hegel, che diceva che l’essere concreto è un prodotto dell’attività dello
spirito (idea in sé che diventa idea fuori di sé). esiste un soggetto concreto materiale, che è
l’essere umano, che è in grado di produrre un pensiero astratto grazie al quale riesce a
produrre delle entità astratte.

critica alla religione


feuerbach si scontra e ribalta tutto il discorso della religione.
se questo schema di ragionamento lo prendiamo dal contesto della filosofia e lo applichiamo
alla religione (tutte le religioni del mondo): non è dio astratto che crea l’uomo ma è vero il
contrario, è l’uomo che crea dio→ il concetto di dio esiste perché esistono degli uomini
capaci di pensarlo. come fa a sostenere ciò? se andiamo a studiare la storia delle civiltà
umane, cosa vediamo dal punto di vista della storia delle religioni? ogni popolo nel ocrso
della storia ha adorato delle divinità diverse, perché ogni popolo si è creato le proprie divinità
in base alle proprie esigenze. diversità delle religioni esistenti nel mondo→ si spiega
tornando al concreto, ogni civiltà crea i suoi dei. non è dio che ha creato l’uomo, ma è l’uomo
che ha creato dio. è l’uomo che si è creato un dio creatore→ questo dio l’ha immaginato
come l'origine di tutto, ma è sempre qualcosa di pensato dall'uomo. dalla critica alla filosofia
si passa alla critica alla religione.

lezione del 04/05/21


all'interno di ogni religione gli uomini proiettano nella divinità quelle caratteristiche e qualità
che per loro hanno un grande valore, però esaltandole a un livello di perfezione che non
esiste nella realtà umana. [in una civiltà in cui il coraggio in battaglia è una qualità importante
si costruiranno un dio che è un grande guerriero invincibile. questo dio viene modellato
esaltando al massimo grado delle qualità a cui viene attribuito un grande valore, però a cui
gli uomini non possono arrivare].
tre qualità:
1. la ragione per noi è quella capacità che ci permette di conoscere e infatti se vediamo
le caratteristiche del dio cristionao è onnisciente, cioè sa tutto. si vede applicato lo
stesso principio, siccome per noi la conoscenza è un valore importante, ecco che il
dio dei critisni possiede la conoscenza nel massimo grado possibile di perfezione e
di assolutezza.
2. volontà che è quella qualità che ci fa agire e che orienta le nostre azioni, e che quindi
ci da il potere di fare una cosa piuttosto che un’altra; siccome per noi la volontà è
molto importante ecco che la troviamo rispecchiata ed esaltata in dio che è
onnipotente→ dio può fare tutto ciò che vuole, non ha limiti la volontà di dio. in dio
viene amplificata questa caratteristica della volontà.
3. amore per noi è un valore molto importante nella nostra vita. anche questa qualità è
proiettata in dio→ per cui dio è amore assoluto, ha creato il mondo per amore, ha
donato per amore al mondo il suo unico figlio, ecc. anche questa qualità viene testata
al suo massimo grado in dio.
così funzionano tutte le religioni, portano in dio le caratteristiche che loro ritengono
importanti.
la teologia non è altro che una antropologia capovolta→ se studiamo gli dei delle diverse
civiltà caimo quali sono le caratteristiche di quel popolo, perché nel dio che ogni popolo si
costruisce vengono riflesse quelle qualità umane esaltata al massimo grado, ma che sono
importanti per quella cultura. studiando dio studiamo gli uomini.
per spiegare il movimento dell’uomo verso dio, inteso in senso produttivo→ il fatto che ogni
popolo dà origine al suo dio, feuerbach riprende il concetto di alienazione.
quando hegel applica la struttura dialettica all’idea, ne deriva la tripartizione tra idea in sé
(tesi), idea fuori di sé (antitesi) e idea che ritorna in sé (sintesi); il primo passaggio da tesi ad
antitesi, hegel la chiamava alienazione→ lo spirito che dà origine a qualcosa di diverso
rispetto a se stesso, cioè la materia.
feuerbach riprende questo termine hegeliano e lo rovescia, e praticamente dice che è vero
che c’è in atto un processo di alienazione però non va nella direzione prevista da hegel
(dallo spirito verso la materia), ma va nella direzione opposta→ va dal concreto (dal piano
materiale, degli uomini) verso l'astratto (verso la divinità), perché non è lo spirito che si
aliena nel mondo fisico, ma è il mondo materiale che viene alienato in una realtà altra
rispetto a se stessa e che è una realtà immateriale/spirituale. sono gli uomini che si alienano
in un essere dotato di certe caratteristiche; l’alienazione è della materia nello spirito→ sono
gli uomini che si rappresentano i quest entità divine che sono diverse rispetto al mondo
concreto. conserva la parola perché si tratta sempre di una alienazione, però avviene nel
senso inverso rispetto a quando accadeva nella filosofia hegeliana.
la domanda che sorge è relativa al significato di tutto questo processo→ per quale motivo gli
uomini fanno una cosa così strana, che bisogno hanno di proiettarsi in qualcosa di diverso
rispetto a ciò che sono? feuerbach parte da un'analisi della realtà umana. gli uomini per
come sono fatti si rendono perfettamente conto di essere limitati, imperfetti, provvisori,
vulnerabili, deboli→ gli uomini sono consapevoli della condizione in cui vivono; essendo
consapevoli c'erano nei limiti delle loro possibilità di superare questi vincoli→ tutti gli sforzi
degli uomini sono indirizzati in questo senso, nel migliorare le loro condizioni di vita e di
prolungare la loro vita. però sul piano concreto questa lotta è una guerra persa in partenza,
perché gli uomini non potranno mai oltrepassare i loro limiti. ci sono dei limiti nella natura
umana che sono insuperabili. da questo spazio vuoto che ci viene ad essere tra ciò che gli
uomini sono di fatto e ciò che vorrebbero essere ma che non saranno mai, in questo spazio
si sviluppa la religione→ gli uomini per colmare quel vuoto infinito si inventano queste
divinità perfette che rappresentano ciò che loro vorrebbero essere ma che non potranno mai
essere; nel momento in cui hanno creato queste divinità cominciano anche ad avere fede in
loro, perché facendo questo si sentono come protetti, si sentono più capaci di affrontare i
problemi e le difficoltà della vita. gli uomini che sono consapevoli della loro situazione
cercano sicurezza in queste entità divine che li fanno sentire più sicuri.
citazione scheda: il pensiero non ha limiti, con la mente posso immaginare tutto quello che
voglio perché sono sganciato dai miei limiti materiali. ma nell’ottenere nella realtà l’uomo è
limitato→ in realtà le cose che mi imagino non fanno parte della realtà concreta in cui vivo,
ecco perché devo immaginare. ontrapopsisione pensiero libero e la realtà concreta del
mondo fisico.

lezione del 10/05/21


marx
spesso marx viene collegato direttamente con il comunismo sovietico, come se fosse il
responsabile di ciò che è accaduto da lenin in poi fino alla caduta del comunismo. marx non
aveva in mente una società come quella stalinista. marx interpretato da lenin per mettere in
atto delle strategie per mettere in atto la rivoluzione russo, però se marx avesse visto la
società sovietica non l'avrebbe riconosciuta come società comunista.
marx non è stato un filosofo politico, però è atto un filosofo uno storico, un economista, un
sociologo→ era una mente aperta, si è occupato quasi di tutto. però per motivo di
strumentalizzazione del suo pensiero è stato inchiodato all'immagine del filosofo politico
comunista. ha enunciato alcuni concetti di fondo che ancora oggi usiamo.

pag 100 e 101→ vita e opere. entra nell'ambiente della sinistra hegeliana quando va
studiare a berlino. studia feuerbach, su cui farà una critica. è sempre stato un perseguitato
perché era un personaggio scomodo→ perché prendeva posizione sempre contro il potere;
ha fatto una vita da esule.

pag 102-103→ confronto con hegel. quando si è formato a berlino, che era ancora dominato
dalla filosofia di hegel, si forma sulla filosofia di hegel e questa matrice hegeliana gli rimarrà
per tutta la vita,a che se poi si distaccherà e farà della critica molto radicali al suo pensiero.
nasce e si sviluppa all’interno del dibattito hegeliano, all’interno della sinistra hegeliana.
critiche fondamentali di marx a hegel applicate soprattutto al concetto dello stato; lo schema
che usa all'inizio per criticare hegel è lo stesso di feuerbach, lo schema del rovesciamento
che applica allo politica e al concetto di stato. conserva anche il concetto di dialettica di
hegel; in seguito svilupperà la dialettica di matrice hegeliana, ma sul piano materiale.

pag 104-105→ critica a feuerbach. marx riprende e sviluppa un concetto→ alienazione


hegeliana, però modificandolo completamente. feuerbach capovolge il concetto di
alienazione→ il passaggio dal concreto all’astratto (mentre in hegel il contrario); però merx lo
riprende e lo riformula, ma trasformandolo in un concetto basilare per capire tutta la società
contemporanea. [quando parliamo di alienazione sul piano sociale facciamo riferimento a
marx, non a quella di hegel o di furbach].
alienazione dal punto di vista di marx: dice che feuerbach fino a un certo punto ha avuto una
intuizione fondamentale nel fatto del rovesciamento della definizione hegeliana; però il limite
della critica di feuerbach a hegel sta nel fatto che si è fermato su un piano puramente
teorico→ ha sostituito una teoria filosofica con un’altra teoria filosofica però marx dice che
finché ci teniamo su un piano teorico non risolviamo niente, perché sostituiamo delle idee
con delle altre idee→ però le idee non modificano le strutture del potere nella società. se
vogliamo dare un andamento più concreto a questo concetto di alienazione, dobbiamo
spostare il discorso sul piano materiale→ le condizioni che producono l’alienazione nella
società non sono della condizioni filosofiche, ma materiale che riguardano le condizione di
vita e di lavoro nella società industriale. a quell’epoca la questione operaia era una
questione scottante, in quanto le condizioni di lavoro nella fabbrica non erano buone e
anche il trattamento dei lavoratori non era dei più degni.
l’alienazione che riguarda la condizione umana la si vede nella condizione del lavoratore
salariato nel quadro di riferimento della società capitalistica dell’industria.
l'alienazione in questo quadro può assumere quattro forme diverse:
● nei confronti del prodotto del proprio lavoro: l’operaio lavora ma è separato dal
prodotto del suo lavoro, perché non ha la proprietà degli oggetti che produce.
● nei confronti della sua attività lavorativa: del tempo e del lavoro che svolge in
fabbrica, perché vende il tempo della sua vita al capitalista. ui si deve adattare dalla
richiesta che proviene dal padrone→ è come se una parte della sua vita non gli
appartenesse più. è un tempo alienato.
● rispetto alla sua essenza: marx aveva una concezione molto nobile rispetto al lavoro,
secondo lui era ciò che distingue gli uomini dagli animali. l’uomo è diventato uomo
quando ha iniziato a modificare le condizioni della vita con il lavoro. con il lavoro però
l’uomo dovrebbe realizzare i suoi desideri, però nella fabbrica non è possibile→ non
è più un lavoro di realizzazione ma di sfruttamento. è il luogo dello sfruttamento
dell'uomo.
● alienato rispetto ai propri simili: l’operaio è un pezzo della catena di montaggio, non è
considerato come un essere umano. cade qualunque possibilità di relazione delle
altre persone sulla base delle qualità umane→ le uniche relazioni che si sviluppano
si basano sul lavoro.

lezione del 11/05/21


alienazione che possiamo estrapolare ed estendere a tutte le persone che si trovano nella
condizione di fare un lavoro salariato.
quadro 107→ figura del capitalista e la massa degli operai della fabbrica. [collegamenti]

parte di pag 111→ teoria economica NO.

pag 108-111 (prima metà) → studiare bene.


prima cosa: attraverso la sua analisi delle società umane e del modo in cui il lavoro viene
organizzato all’interno delle varie società, marx elabora la concezione materialistica della
storia (chiamata così da engels dopo la morte di marx); uso questo termine per definire la
concezione marxiana della storia→ materialista→ dal punto di vista di marx quelle forze
fondamentali che producono le trasformazioni e i cambiamenti sociali, sono delle forze
materiali. tutto il resto per produrre un cambiamento all’interno della società (politica, arte,
ecc.) possono esistere solo se esiste una struttura materiale che le sostiene, perché
l’esistenza di una società è determinata dalle sue forze economiche. se una società non si
regge sul piano economico, non esiste. questa base economica è costituita da una parte
delle forze produttive (forza lavoro→ operai, i mezzi usati e le conoscenze
tecnico-scientifiche), e dall’altra dai rapporti di produzione (dato un certo quadro di forze
produttive all’opera, fra queste forze si stabiliscono dei rapporti come l’organizzazione del
lavoro e poi le relazioni che si stabiliscono tra le persone che mettono in atto questo
processo di produzione). queste due cose in realtà nel corso della storia sono sempre
esistiti→ l’interazione che si è verificata nel corso della storia tra le due forze hanno dato
origine a quelli che marx chiama i modi di produzione. il modo di produzione delle civiltà
antiche era lo schiavismo (inteso in modo economico), nel medioevo è diventato il
feudalesimo, nel mondo moderno è il capitalismo. queste forze economico produttive è la
struttura. tutte le altre forze (ideologie, arte, ecc.) sono sovrastrutture. partendo da questa
concezione della storia marx enuncia una definizione classica, per cui dice che la storia di
ogni società esistita fino a questo momento è storia di lotte di classe→ in tutte le società ci
sono sempre stati dei rapporti di classe però all’interno di questo contesto emergono delle
nuove classi sociali, che solitamente stanno in basso, che vogliono prendere il posto di
quelle che stanno più in alto. applicazione sul piano storico delle dialettica hegeliana.

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