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Andrea Zannini
Storia
Università degli Studi di Udine
101 pag.
Gli Urali come “pilastro di una porta” che nei millenni ha fatto entrare i popoli asiatici
in Europa.
Questa Europa è un insieme di significati culturali e storici trasmessi attraverso lo
sguardo apparentemente oggettivo della geografia. Questa concezione rientra in una
organizzazione spaziale della Terra sulla scia dell’imposizione della supremazia
europea sul pianeta. (calendario, ora in base a Greenwich)
La scoperta delle popolazioni del Nuovo Mondo, gli INDIOS, portò gli europei a
considerare una superiorità la razza bianca europea: questo incontro trasformò
l’Europa in una conferma della propria missione civilizzatrice, dandogli autostima.
L’esito stesso, il genocidio di queste popolazioni, venne interpretato come un segnale
dalla superiorità europea.
È quindi attraverso una contrapposizione ideologica che l’idea di cosa fosse l’Europa e
di cosa fossero gli europei si è evoluta per millenni fino all’età dei Lumi. Questo non
Una delle prospettive invece più corrette e seguite negli ultimi anni è quella della
POLIENDRICITÀ DELL’ESPERIENZA STORICA EUROPEA:la caratteristica peculiare
dell’Europa sarebbe stata a differenza di altre civiltà la sua diversità interna, l’essere il
risultato di vari popoli e delle relative tradizioni.
Prima di costoro tuttavia l’Europa era abitata da un’altra sottospecie: l’homo sapiens
neanderthalensis, così chiamato per i resti rinvenuti in una valle dal medesimo
nome. Sono state avanzate varie teorie secondo la sua estinzione, che ebbe luogo
nello stesso arco temporale durante il quale si diffuse in Europa l’uomo di Cro-Magnon
(homo sapiens sapiens). L’ipotesi più accreditata è quella di un conflitto tra le due
specie dai quali sarebbe sopravvissuta quella tecnologicamente più evoluta.
La struttura sociale dell’homo di Cro-Magnon sarebbe stata rinforzata dall’arte, da riti
e cerimonie.
Il lungo periodo che intercorre tra l’affermazione dell’homo sapiens sapiens e il
Neolitico è una delle fasi più affascinanti della storia d’Europa: i reperti consentono di
ricostruire a grandi linee le diverse fasi di sviluppo della società di cacciatori-
raccoglitori che abitarono il continente. Le pitture rupestri databili a oltre 30 mila anni
fa fanno intuire qualcosa sul pensiero e l’arte di questi popoli: una dimensione di
intimità con la natura che doveva essere l’elemento fondamentale della vita di questi
gruppi.
• Venere di Hohle Fels: databile tra 35 mila e 40 mila anni fa costituisce il più
antico esempio di scultura
Il secondo grande fenomeno di mobilità si ebbe 10.000 anni fa, legato alla
NEOLITIZZAZIONE/TRANSAZIONE NEOLITICA. Questo fu uno dei due grandi
processi comuni a tutta l’Europa, il secondo fu la rivoluzione industriale.
La Neolitizzazione indica il passaggio delle comunità originarie che vivevano di caccia
e raccolto, alla sedentarietà, l’agricoltura e l’allevamento. La coltivazione dei cereali si
sviluppò separatamente per motivi ancora ignoti, in varie parti del globo non prima di
10-12 mila anni fa. L’addomesticamento del farro ebbe luogo tra 7000 e 9000 anni fa
nell’area che va dall’Anatolia alla penisola arabica: LA MEZZALUNA FERTILE. Le
ricerche hanno consentito di individuare come da quest’area originaria la
cerealicoltura ha attraversato il Bosforo e conquistato l’Europa tra gli 8500 e 6000 anni
fa è probabile si tratti di una diffusione demica cioè dello spostamento degli
agricoltori, e di una diffusione culturale cioè della trasmissione di tecnologie senza
movimento di individui.
La consapevolezza di una diversità greca si rafforzò nel corso delle guerre persiane la
descrizione di Erodoto che fece della vittoria greca come il trionfo sul dispotismo
asiatico dei popoli ellenici che si reggevano sull’obbedienza alla legge testimonia il
senso di superiorità che andava crescendo. Si diffuse inoltre il concetto di BARBARO:
parola onomatopeica che stava ad indicare colui che balbetta, cioè parla una lingua
diversa. Si sviluppò attraverso questo meccanismo di contrapposizione con l’altro un
senso di appartenenza ad un universo culturale comune.
Cosa succedeva nella stessa epoca, l’età del ferro, nel resto d’Europa? Una serie di
culture si avvicinarono nel I millennio a.C nell’Europa centrale, inglobando o
annientando popolazioni indigene di cui sembra che i baschi siano gli unici superstiti,
e organizzandosi in una società a base tribale al cui vertice vi era un capo militare. Si
trattava di molti popoli diversi che complessivamente possono essere definiti CELTI.
Abitavano un territorio ampissimo: dalla Polonia all’Irlanda, di cui rimangono
pochissime testimonianza scritte, a parte la lingua parlata tutt’ora.
Ciò che colpisce dell’Impero Romano è la sofisticatezza del suo ordinamento politico,
che variò nei grandi periodi in cui si suole dividere la sua storia: monarchia,
repubblica, impero.
La parola che meglio definisce quello romano è IMPERO: che rinvia alla esperienza di
un dominio mediterraneo della civiltà romana che rappresenta meglio il legame
complessivo della storia di Roma. Prima di quello romano, l’impero per antonomasia
dell’antichità fu quello macedone di Alessandro Magno.
Va ricordato che buona parte dello sviluppo della società romana ebbe luogo
contemporaneamente e non successivamente alla greca classica.
La fondazione di roma, secondo la mitologia, ebbe luogo nel 753 a.C quando nell’Italia
centro occidentale esisteva già una civiltà lineata: quella degli ETRUSCHI. Si trattava
di una popolazione di origine anatolica che parlava una lingua non indoeuropea scritta
con un alfabeto di matrice greca. Gli etruschi erano in competizione con le colonie
greche nell’Italia Meridionale e con Cartagine ma non diedero vita ad uno stato
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La religione cristiana che ormai contava più di 3 secoli di vita, influenzava a fondo la
vita in molte regioni europee fin nella quotidianità. L’affermazione definitiva del
cristianesimo in area mediterranea ebbe luogo con TEODOSIO che nel 380 lo elevò a
religione ufficiale dell’impero. In questo periodo si diffuse il termine PAGANO per
identificare il credente delle vecchie religioni politeiste; poiché pagus era il villaggio,
pagano era il contadino ignorante che seguiva le vecchie superstizioni.
Sul piano dell’organizzazione imperiale Diocleziano e Costantino attuarono delle
riforme che contribuirono a far uscire l’impero dalla crisi che lo aveva colpito nel 3
secolo. Il SISTEMA FISCALE venne riorganizzato, venne creata una burocrazia stabile e
si consolidò una nuova moneta d’oro: SOLIDUS che portò buoni effetti. Costantino,
com’era accaduto in precedenza, volle legare il suo nome a quello di una città:
COSTANTINOPOLI (Istanbul) che sorse sul sito dell’antica città greca di Bisanzio e
venne edificata come una “nuova Roma”. L’imperatore iniziò a risiedersi, rendendo
chiaro il ruolo preponderante dell’Oriente sull’Occidente .
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I POPOLI che nel 3 secolo cominciavano a premere sulle frontiere imperiali erano
gruppi di origini culturali e linguistiche diverse che si riunivano a scopi di scorreria e
guerra, unificandosi sotto l’autorità di famiglie guerriere e il comando di uno o più re-
comandanti. Il nome a loro assegnato (unni, slavi, franchi) era quasi sempre
un’etichetta che non corrispondeva alla loro identità che era multipla e instabile.
Questi popoli avevano un’economia fondata sull’allevamento e agricoltura, era una
società guerriera. Queste caratteristiche attiravano i romani che avevano bisogno di
difendere la frontiera e di avere carni, pelli e grano. Da linee di separazione perciò le
frontiere divennero calamite in grado di attirare entrambi gli interessi, con scambi e
talvolta razzie: la romanizzazione dei barbi e la barbarizzazione dell’esercito romano,
che divenne sempre più regionale. Queste aree di scambio materiale e culturale si
dilatarono a nord e a sud della frontiera nel corso del IV secolo quando i generali
romani si appoggiavano sempre di più a truppe barbariche e ai loro capi: questo
processo di osmosi tra i due popoli fu favorito anche da altri elementi: la perdita del
significato del termine “cittadino romano” che venne esteso per motivi militari a tutti
gli abitanti dell’impero (EDITTO DI CARACALLA) dal 212 d.C. la diffusione del
cristianesimo tra molti barbari, la disintegrazione della costruzione imperiale che
accelerò dopo che Teodosio divise la parte occidentale e la parte orientale dell’impero
tra i due figli.
Anche i nemici cambiarono: mentre l’impero d’Oriente dovette guardarsi dai PERSIANI,
a partire dal 406 una serie di migrazioni di popolazioni germaniche e dell’Asia centrale
sconvolse la geografia dell’Europa occidentale. Esemplare del MELTING POT europeo fu
la battaglia dei CAMPI CATALAUNICI (Chalons, 451) grazie alla quale il generale Ezio
con un esercito di diversi popoli riuscì a fermare Attila re degli Unni.
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Nel 846 i saraceni giunsero a Roma, razziandola, e il papa fu costretto ad erigere delle
mura attorno al Vaticano.
Alla fine del IX gli UNGARI (popolo nomade proveniente dalle steppe russe) si insediò
nella pianura pannonica (attuale Ungheria) da dove mossero incursioni verso la
Germania, la Gallia e l’Italia settentrionale nel 955 il re di Germania futuro
imperatore OTTONE I li sconfisse stanziandoli nella regione che prende il loro nome.
Le invasioni dei secoli IX e X sarebbero state l’origine di uno dei fenomeni che
cambiarono il volto dell’Europa: la costruzione dei CASTELLI. In realtà
l’incastellamento nasce per ragioni diverse, soprattutto perché in quel periodo
vengono meno le migrazioni. C’erano piuttosto lotte interne che dissolsero molti regni,
oppure iniziative di colonizzazione che necessitavano di strutture militari su cui
poggiarsi. Inoltre, erano legate all’esigenza dei grandi proprietari terrieri di garantire il
potere locale, erigendo un castello per accogliere la popolazione da proteggere in caso
di guerre, in cambio di un’egemonia sugli uomini e sulle loro terre, creando quella che
viene chiamata una SIGNORIA. Il signore aveva potere su un territorio preciso e le
persone che ci abitavano. Aveva ricevuto i poteri da un principe o ne disponeva già di
fatto. C’erano le signorie ecclesiastiche (abazia) o laiche. C’erano inoltre signorie che
sostituivano quasi del tutto i poteri dello stato.
Perché si forma questa organizzazione territoriale in molte regioni europee?
Nell’impero carolingio, che si disgregò con i figli di Ludovico, alla morte di Carlo il
Calvo (877) l’impero cessò di fatto di esistere, e il suo territorio venne smembrato
in regni, contee, marche e ducati, a capo delle stesse famiglie che erano state
installate da Carlo grazie agli scambi per le campagne militari. Queste famiglie
avevano progressivamente abbandonato la successione paritaria tra i figli per adottare
una trasmissione di patrimonio che privilegiava un figlio (il primogenito): l’aristocrazia
si organizzò in LIGNAGGIO. Le strategie successorie determinarono la vita dei castelli.
Mentre a livello centrale si instaurava un’idea di monarchia, a livello locale si struttura
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Lo slancio delle città dopo il Mille ebbe luogo contemporaneamente alla formazione del
sistema signorile nelle campagne, per questo non si può parlare di “Europa comunale”
o “Europa feudale” una civiltà comunale si ebbe in alcune zone ristrette dell’Europa
centro-occidentale dove a partire dal XI secolo comparve una nuova forma di
organizzazione politica autonoma della città: il COMUNE. Ebbe origine dalle condizioni
di debolezza dei poteri superiori, soprattutto nel regno italico. Questa nascita
comportò una nuova magistratura di cui i componenti prendeva il nome di
CONSULES, che esercitavano il governo della città dal palazzo comunale. Erano eletti
periodicamente da un’assemblea a cui partecipavano tutti i titolari di diritti politici
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La città medioevale per vari autori è stata interpretata come uno stato d’animo, la sua
essenza non stava solo nell’autogoverno, L’URBANITÀ è un modo di pensare e di
essere, una forma di civilizzazione in particolare europea.
Secondo Fernand Braudel durante l’ultima parte del Medioevo le città europee
passarono sotto tutela, dopo essersi imposte sullo stato. Questo rappresenta
l’adattamento del potere monarchico nelle 3 grandi monarchie europee: Francia,
Inghilterra e Spagna. Iniziato nel XII secolo il rafforzamento e accentramento del
potere monarchico proseguì quando questi 3 regni estesero il loro dominio diretto a
spese dei signori locali o acquisendo nuovi territori. A questo scopo vennero utilizzati
nuovi soldati di tipo MERCENARIO che sostituirono progressivamente gli eserciti
feudali dai vassalli fedeli al sovrano. Con la sostituzione dei vincoli vassallatico-
beneficiari per nuove logiche amministrative e burocratiche inizia il lungo processo di
costruzione chiamato FORMAZIONE DELLO STATO MODERNO.
Le città europee non dovettero solo arruolarsi allo stato monarchico. Nel XIV e XV
secolo c’erano anche modelli alternativi allo stato retto dal sovrano: in Germania le
città che si resero indipendenti alla fine del Medioevo furono centinaia, in Italia alcuni
tra i maggiori comuni come Milano Firenze e Venezia si trasformarono in signorie
territoriali in grado di governare stati regionali stabiliti. C’erano anche REPUBBLICHE
ARISTOCRATICHE come Genova, Lucca o Venezia, che rappresenteranno un percorso
simbolico nell’evoluzione dello stato occidentale.
La vita urbana richiese conoscenze sempre più specializzate e tecniche, un numero
crescente di burocrati, professionisti e lavoratori alfabetizzati. Oltre al latino si
regolarizzò le parlate volgari. Contribuì a questo slancio culturale la riscoperta degli
antichi: un fenomeno che percorse tutti i secoli del tardo Medioevo, dal XIV
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La storia della prima espansione europea inizia nel Regno di Portogallo la cui
popolazione poco numerosa trovò verso l’Atlantico la sua via d’espansione. Nel 1415 la
flotta conquistò la citta marocchina di CEUTA che era il terminale delle vie carovaniere
trans-sahariane e sembrava garantire buoni rifornimenti per due merci di scambio che
erano molto richieste in Europa; l’oro e gli schiavi. L’oro svolgeva una funzione
economica insostituibile e la sua scarsità dovuta all’esaurirsi delle miniere europee e
al suo continuo defluire verso Oriente per i traffici mercantili costituiva una limitazione
allo sviluppo economico del continente.
Nel corso del primo ‘400 alcune spedizioni marittime portoghesi pianificate da
ENRICO IL NAVIGATORE con l’appoggio dell’”ordine militare di Cristo” esplorarono la
costa africana occidentale fino al Golfo di Guinea e oltre il loro obiettivo era
instituire una nuova rete di scali per acquisire oro e schiavi neri da inviare a Lisbona.
Dopo la metà del secolo divenne prevalente verificare se a differenza della geografia
dell’epoca l’oceano Atlantico e l’oceano Indiano fossero collegati, se fosse così si
sarebbe aperta la strada per raggiungere via mare le Indie: il luogo da cui proveniva
un prodotto estremamente richiesto in Occidente, le SPEZIE. La loro provenienza dalle
ignote isole delle spezie, che si ritenevano vicine al giardino dell’Eden, caricava questi
prodotti di un prezzo elevato per la loro ricercatezza. Inoltre, nell’immaginario europeo
l’ASIA rappresentava un mondo fantastico. La sua superiorità economica comprovata
dalla qualità dei prodotti che vi provenivano era qualcosa di accertato nella cultura
europea che era fortemente attratta dalle leggende che circolavano sull’Oriente. Nel
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L’idea che le scoperte spagnole e portoghesi di fine ‘400 siano dipese da una
supremazia tecnologica europea della CARAVELLA è stata scartata dopo aver
scoperto che già tra 1405 e 1433 alcune spedizioni cinesi avevano esplorato l’oceano
Indiano e la costa africana orientale spingendosi fino al Capo di Buona Speranza.
Anche la scienza della navigazione araba di fine ‘400 secondo i manuali di un
navigatore sarebbe stata nettamente superiore a quella occidentale. Ma la tecnologia
da sola può essere un vantaggio solo si ci sono le condizioni e le motivazioni che
spingano a concretizzarlo i cinesi si procuravano spezie ad un presso accessibile e non
avevano interesse ad imporsi in un mercato esteso e difficile, mentre gli europei si.
Il motore delle scoperte europee furono l’audacia e la bramosia di ricchezza. Ciò che
rese possibile la creazione di vasti imperi d’oltremare furono altri due fattori: la
supremazia militare e la determinazione degli europei ad imporre la propria
cultura. Nel suo secondo viaggio in India Vasco da Gama (portoghese) adottò la
strategia di presentarsi agli indiani armati e con cannoni, sparando a chiunque si
opponesse. l’artiglieria portoghese era poi incomparabilmente più distruttiva di quella
a disposizione dei locali o dei mercanti musulmani, apparendo per gli indiani invasori
avidi e spietati. In virtù di accordi o di conflitti locali i portoghesi conquistarono una 50
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Nell’America settentrionale a
partire dagli inizi del ‘600 francesi
e inglesi avevano creato lungo la
costa atlantica a colonie di
popolamento che nel corso del
secolo si infoltirono raccogliendo
scozzesi, tedeschi, olandesi, e
comunità di religioni diverse. Si
trattava in larga parte di
agricoltori che si fecero largo a
spese dei nativi americani, che
praticavano la caccia e
un’agricoltura itinerante. Agli inizi
del ‘700 le 13 colonie inglesi con una popolazione di 250 mila persone circa aveva
raggiunto una fisionomia economica abbastanza evidente nella parte settentrionale
prevaleva il podere agricolo e le attività manifatturiere, in quella meridionale le grandi
piantagioni agricole a manodopera schiavista per la produzione di riso, indaco e
tabacco. Le colonie francesi nella regione del QUEBEC dimostrarono minore capacità
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Recentemente la tesi secondo la quale le conquiste della prima età moderna sarebbe
state l’effetto di una supremazia economica e tecnologica europea è stata attaccata,
argomentato che agli inizi dell’800 la CINA era sullo stesso piano dell’Europa
occidentale in termini di efficienza produttiva e ricchezza prodotta. Solo la rivoluzione
industriale avrebbe creato un gap economico e tecnologico tra Europa e resto del
mondo.
Già nel 1770 gli europei, però, avevano sottomesso metà delle terre emerse abitabili,
oltre ad avere il primato per aver combattuto la prima guerra “mondiale” cioè la
GUERRA DEI SETTE ANNI combattuta dagli inglesi e dai francesi, oltre che in Europa
in India, America con eserciti reclutati sul posto.
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Molte delle idee che avevano agitato il cristianesimo fra 3/400 si ritrovano nell’opera di
MARTIN LUTERO: che ebbe a disposizione un medium infinitamente più potente per
diffondere le sue idee a differenza di Wyclif o Hus: la stampa a caratteri mobili.
Lutero nacque nel 1483 in Germania, a vent’anni decise di farsi monaco agostiniano,
fatto sacerdote conseguì il titolo dottorale in teologia e iniziò ad insegnare a
Wittenberg in Sassonia trovò la soluzione all’angoscia che lo tormentava: poiché tutti
hanno peccato è solo la grazia di Dio che può giustificarci cioè salvarci gratuitamente.
Il 31 ottobre 1517 affisse alla porta del duomo di Wittenberg le 95 TESI in cui spiega
che la salvezza dell’uomo non deriva dalle buone opere o dall’intermediazione della
Chiesa ma solamente dalla grazia divina, alla quale si perviene grazie fede e alla
lettura delle Scritture. Le idee di Lutero cominciarono a circolare sui fogli da stampa,
smontando tutti i presupposti su cui si basava la Chiesa cattolica fino a delegittimare i
7 sacramenti affermando che solo 2 sono presenti nel Vangelo.
Il papa all’inizio non fece nulla, per due anni la sua attenzione fu tra l'altro rivolta
all’elezione dell’imperatore: CARLO D’ASBURGO che aveva ereditato un numero
straordinario di regioni e più di qualcuno, come il re di Francia avversario, temeva che
la nomina ad imperatore del SACRO ROMANO IMPERO fosse eccessiva.
nel 1520 il papa decise di scomunicare Lutero il quale rispose con una serie di scritti
che richiamavano la nobiltà tedesca a insorgere contro Roma: questi scritti si diffusero
in migliaia di copie e il messaggio cominciò ad essere ascoltato: alle classe popolari
parlava della libertà assoluta del cristiano, ai proprietari e ai contadini spiegava che il
sacerdozio e la Chiesa non dovevano esistere e dunque nemmeno i tributi
ecclesiastici, ai principi e signori tutto questo li faceva pensare alla possibilità di
appropriarsi dei beni della Chiesa. Le idee di Lutero liberarono forze profonde della
società tedesca, facendo prendere le armi prima ai cavalieri imperiali contro i
vescovi-principi, e poi i contadini invocando giustizia sociale. Lutero e i capi del
movimento appoggiarono la repressione violenta dei MOTI (GUERRA DEI
CONTADINI – 1524) e nell'aprile del 1525 Lutero pubblicò “l'Esortazione alla pace a
proposito dei dodici articoli dei contadini di Svevia”. in questo scritto, con cui
dimostrava di aver scelto ormai definitivamente l'alleanza coi signori feudali, egli
prendeva le distanze da quel movimento, esortando i principi tedeschi alla
soppressione delle "bande brigantesche ed assassine dei contadini” con esso Lutero
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In ogni caso le monarchie inglesi francesi e spagnole non erano “nazionali” in quanto
questo all’epoca non c’erano sentimenti d’identità collettiva paragonabili a quelli che
si svilupperanno in seguito: il singolo individuo tendeva piuttosto ad identificarsi nel
villaggio o nella città d’origine. Si rafforzò il senso di devozione al sovrano quale padre
di tutti a cui Dio aveva affidato il compito di garantire il benessere dei sudditi e di
salvaguardare la loro fede, e in alcuni gruppi sociali superiori come l’aristocrazia o i
funzionari della burocrazia cominciò a formarsi l’idea di condividere riferimenti
linguistici e culturali, tradizioni comuni.
L’autorevolezza crescente del re fu resa possibile dalla soluzione ad un problema
antichissimo dell’istituzione monarchica: come porre rimedio al vuoto che si viene a
creare quando muore un sovrano furono precisate regole di successione dinastica,
ammettendo od escludendo la discendenza femminile (legge salica) e si evitò quasi
ovunque la soluzione della monarchia elettiva tranne nello stato della Chiesa dove
l’assemblea elettiva del papa cominciò ad essere chiusa a chiave (CONCLAVE). Si
affermò l’idea che solo il corpo naturale del re fosse mortale mentre la sua essenza
mistica restasse integra fino all’incoronazione del nuovo sovrano. Insistendo sul diritto
divino del re si rinforzò l’idea della FEDELTÀ DINASTICAnel senso di devozione alla
sua famiglia: una sovranità policentrica detta MONARCHIA COMPOSITA.
L’idea che uno stato retto da un re rappresentasse la soluzione migliore per reggere
una società complessa non è scontata il pensiero degli antichi, le poleis greche o la
repubblica romana esaltavano la dimensione politica cittadina più consona al singolo
individuo dove erano possibili sistemi di governo che consentivano una partecipazione
più larga come quello REPUBBLICANO. L’esempio di città come Firenze, Venezia o
Genova. Il principio dell’autonomia locale guidò l’unione dei cantoni svizzeri che a
partire dalla fine del XIII secolo si affrancarono alla tutela imperiale e si
autogovernarono con proprie istituzioni prima che il ‘500 provocasse guerre di
religioni.
Quale ruolo ha avuto la guerra nel processo di trasformazione degli stati europei?
secondo il sociologo Charles Tilly è la guerra che ha fatto lo stato, così come è lo
stato che ha fatto la guerra. Nel ‘400 dopo secoli giunsero a maturazione due
cambiamenti fondamentali nell’arte della guerra. L’abbattimento delle mura di
Costantinopoli da parte degli ottomani grazie a bombarde fuse sul posto e degli ultimi
castelli inglesi sul continente nel corso della guerra dei cent’anni che consacrò
l’ARTIGLIERIA come fattore strategico decisivo, oltre alla CAVALLERIA PESANTE.
Le GUERRE D’ITALIA (1494-1559) può considerarsi la prima guerra europea
moderna, di cui all’origine ci fu la diversa velocità con la quale gli stati si stavano
trasformando. Nella seconda metà del XV secolo le maggiori potenze europee
rafforzarono la propria sovranità
• ENRICO VII TUDOR riformò il sistema fiscale inglese e si dotò di un potente
strumento di controllo politico dell’opposizione: il tribunale della Camera stellata
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Nella sua continua metamorfosi lo stato era soggetto a crisi ricorrenti dovute anche al
contesto delle relazioni internazionali:
• in Francia dopo la fine delle guerre di religione si fu per mezzo secolo una
sovranità regia molto debole, a cui posero rimedio due grandi PRIMI
MINISTRI: Richelieu e Mazarino.
• In Russia dopo una fase di crescente instabilità che culminò con l’era dei torbidi
vari zar si contesero il paese invaso da eserciti nemici, fino all’ascesa di
MICHELE ROMANOV (1613) che riuscì a ristabilire l’ordine interno.
La sovranità incerta o minacciata era presente in vari stati, e finì col caso più
clamoroso: la messa a morte del re inglese per atto del suo parlamento nel 1649.
Nella prima metà del ‘600 un nuovo conflitto internazionale sconvolse il continente: le
irrisolte divisioni religiose e la crescente aggressività di varie entità nazionali come
l’Austria asburgica condussero allo scoppio della GUERRA DEI TRENT’ANNI
(1618-48) che provocò devastazioni in tutta l’Europa centrale ne furono protagonisti
eserciti di dimensioni imponenti, come quello del re di Svezia GUSTAVO ADOLFO:
aveva un esercito misto composto da militari di leva e mercenari, tra i quali spiccava
la figura dei MOSCHETTIERI. Si apriva l’età dei grandi eserciti permanenti composti
da soldati con armi standardizzate. Dopo la conclusione della guerra e la PACE DI
WESTFALIA nel 1648ci fu una nuova accelerazione del processo di consolidamento
istituzionale degli stati e di rafforzamento dell’autorità sovrana.
Dal medioevo l’economia europea non rimase immobile: dopo la crisi di metà ‘300 la
ripresa economica era proceduta lentamente nel XV secolo e con maggiore velocità
nel XVI. Agli inizi del ‘500 le aree più ricche e avanzate d’Europa erano le Fiandre e
l’Italia centro-settentrionale, finchè gli inglesi e olandesi cominciarono ad esportare
nuovi prodotti tessili in Oriente sottraendo quote di mercato alle vecchie economie
mediterranee. I manufatti venivano spesso prodotti nelle campagne utilizzando il
lavoro a domicilio dei contadini secondo il sistema PROTOINDUSTRIALE (di
produzione decentrata) che faceva capo ad un mercante-imprenditore. (forma di
intensificazione produttiva).
La scoperta di nuove rotte intercontinentali contribuì all’emergere delle nuove
economie atlantiche. Fu il SECOLO D’ORO per l’Inghilterra e l’Olanda. L’indicatore più
significativo per evidenziare il grado di maturità di un’economia preindustriale è la
quota di popolazione che vive entro le mura cittadine e che si considera non impiegata
nell’agricoltura. Tra il ‘500 e il ‘700 la percentuale di questi due paesi si raddoppio.
Paesi Bassi e Inghilterra avevano tratti comuni: entrambi controllavano un impero
coloniale, avevano migliorato l’assetto agrario (polder / recinzioni e bonifiche)
disponevano di un’agricoltura sviluppata e integrata con l’allevamento che permetteva
buone rese ed esportazioni. Cominciarono ad utilizzare il CARBONE come fonte di
energia (quello vegetale nei Paesi Bassi quello minerale in Inghilterra) ed entrambi
avevano sistemi politici non assolutistici e società dinamiche aperte alla mobilità
sociale dal basso. Avevano quindi caratteristiche che gli studiosi a posteriori hanno
identificato come fondamentali per l’avvio della rivoluzione industriale.
La caratteristica essenziale della prima rivoluzione industriale fu L’INNOVAZIONE
TECNOLOGICA in 3 settori decisivi:
• LA MACCHINA A VAPORE ideata da un inglese, cominciò ad essere utilizzata
nel 1712 per drenare l’acqua nelle miniere di carbone dove gli scarti venivano
usati come combustibile della stessa. Fu una MACROINVENZIONE destinata a
creare nuove strade nella tecnologia, sulla quale fu possibile investire perché
sfruttava una risorse disponibile in grandi quantità e a prezzo basso. All’inizio i
macchinari consumavano enormi quantità di minerale, fu solo grazie a vari
perfezionamenti (microinvenzioni) che fu possibile renderla più efficiente. Il salto
di qualità si ebbe con IL CONDENSATORE SEPARATO: un dispositivo introdotto
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3. Il processo di costruzione dello stato che si alimentava di guerre (tra cui anche i
conflitti interni al continente che grazie al perfezionamento tra ‘600/700 dipese
anche dal fatto che eserciti sempre più grandi e flotte più potenti servivano ad
ampliare i possedimenti extra continentali)
Le guerre intraeuropee come altra faccia del processo di espansione coloniale
europea.
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Nel 1810 per assicurarsi un erede maschio sposò MARIALUISA figlia dell’imperatore
Francesco d’Asburgo riprese la più classica politica assolutistica: quella matrimoniale.
La RESTAURAZIONE del vecchio regime monarchico operata dal congresso di Vienna
(1814-15) dopo la sua caduta e il suo esilio a Sant’Elena fu il completamento del
processo intrapreso da Napoleone. Al tempo stesso il regime napoleonico fu
assolutamente nuovo, qualcosa che anticipò i caratteri delle società e degli stati dei
secoli a seguire. Fu nuova l’arma dell’esercito di massa basato sulla leva generale
obbligatoria, i PLEBISCITO (consultazione diretta del popolo su questioni di notevole
importanza politica), l’uso della propaganda attraverso i mezzi di informazione, l’uso
pubblico della storia (carolingia, romana) per accrescere e mantenere il consenso.
Al culmine della sua espansione nel 1811 l’impero francese superava quello di Carlo
Magno. Nell’impero e negli stati vicini Napoleone impose il modello amministrativo e
sociale che si era evoluto in Francia durante i 10 anni della rivoluzione: uno stato
gerarchico e centralizzato basato su criteri razionali che utilizzava a fine amministrativi
la statistica, la scuola superiore e università pubbliche, e dove scomparso il principio di
rappresentanza era l’apparato amministrativo ad assumere il ruolo di istituzione
rappresentativa della nazione. Questa piramide gerarchica si reggeva secondo regole
precise e uniformi, e da qui la necessità di una codificazione omogenea del diritto: IL
CODICE NAPOLEONICO del 1804.
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Nel contesto della rivoluzione, la discussione dei diritti e il disegno di una costituzione
portarono a coinvolgere tutti gli strati sociali: la necessità di garantire a tutti la libertà
religiosa era argomento di dibattiti tenuti nel parlamento e sfociarono in una serie di
manifesti, AGREEMENT OF THE PEOPLE, che chiedeva libertà religiosa, uguaglianza
davanti alla legge e diritto di voto per tutti i maschi adulti possessori di terre. La
seconda gloriosa rivoluzione portò lo stato britannico alla forma di una monarchia
costituzionale la dichiarazione dei diritti (Bill of Rights 1689) sottoscritta dai nuovi
sovrani garantì definitivamente alcuni diritti fondamentali come quelli di parola,
espressione, sicurezza.
Il pensiero del filosofo JOHN LOCKE appartenente ai whig sosteneva dal punto di vista
religioso la necessità della separazione tra le Chiese e lo stato, il suo pensiero politico
era invece basato sull’idea di stato quale garante dei diritti naturali degli uomini
riassumibili nella forma di PROPRIETÀ che comprendeva la vita, la libertà e il
patrimonio. lo stato essendo basato sul consenso popolare non poteva essere
arbitrario (che dipende dalla volontà del singolo senza riferimento alla legge,
ingiustificato) nel caso di rivolte. questa formulazione dei diritti ha fornito le basi
tradizionali al LIBERALISMO (considerato nell’ambito della società del tempo e delle
sue concezioni – nello stesso periodo l’Inghilterra avrebbe acquisito il monopolio della
vendita degli schiavi africani)
Agli inizi del ‘700 si era giunti ad una definizione abbastanza compiuta di cosa fossero
i diritti naturali (individuali, innati ed eguali per tutti gli uomini) e ilimiti oltre il quale
non potevano spingersi i sovrani, dando quindi una prima forma concreta alla nozione
di STATO DI DIRITTO. Ma i principi su cui si basavano i diritti erano sostenuti in modo
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Ci furono anche contraddizioni come sullo schiavismo o sugli ebrei, o sulla condizione
della donna. Ma è innegabile che il merito del pensiero dei Lumi nell’aprire la strada a
processi di eguaglianza civile durano ancora oggi.
Il progetto illuminista fu promosso con nuovi meccanismi di diffusione culturale:
l’espansione economica stava aumentando il numero di persone in grado di leggere e
scrivere favorendo MEDIA come teatro, musica, la letteratura soprattutto nella forma
del romanzo. Si imposero nuove forme di comunicazione come i giornali la mania della
lettura si diffuse ovunque: sia nelle accademie, che in nuove istituzioni informali come
i CAFFÈ dove era possibile leggere i giornali e libri o come la società di lettura dove
potevano essere ammessi anche membri della classe media. Le società filantropiche
come la massoneria che aveva carattere segreto, ebbero nell’eguaglianza e nella
solidarietà i propri principi ispiratori. Uno dei più potenti veicoli di diffusione
dell’illuminismo fu il SALOTTO: quasi sempre gestito da una donna, era l’occasione
per conversare e scambiare opinioni anche politiche tra persone di estrazione sociale
diversa.
Furono gli illuministi a indicare questa nuova realtà sociale con l’espressione di
OPINIONE PUBBLICA per indicare la nascita di spazi di espressione aperta e
egualitaria contrapposta al potere monarchico e assolutistico.
Prima della rivoluzione francese i cambiamenti reali nella vita degli stati e delle
persone a cui condusse l’illuminismo erano contenuti, fu nell’ambito
dell’ASSOLUTISMO ILLUMINATO cioè nella politica influenzata dalle idee dei Lumi
portata avanti da sovrani, che non accettarono però di condividere il proprio potere,
che alcuni risultati vennero raggiunti nel contesto della sua politica di sottomissione
della Chiesa cattolica allo stato (GIUSEPPINISMO) l’imperatore Giuseppe II d’Asburgo
abolì con LA PATENTE DI TOLLERENZA le discriminazioni religiose nei confronti dei
protestanti e ortodossi ed emancipò gli ebrei. Eliminò la servitù della gleba nei suoi
territori e con un nuovo codice penale introdusse vari elementi innovativi ma anche
autoritari e punitivi. La pena di morte ad esempio non venne eliminata in quanto
ingiusta e inutile (secondo quanto aveva sostenuto CESARE BECCARIA nel suo Dei
delitti e delle pene – 1764) ma perché la popolazione se ne dimentica più in fretta
rispetto a pene lunghe e afflittive.
Una prima realizzazione della concezione illuministica dei diritti si ebbe con la
Dichiarazione dei diritti della Virginia del 1776 e la Dichiarazione d’indipendenza
americana del 4 luglio 1776 veniva affermato inequivocabilmente il carattere naturale
e universale di alcuni diritti fondamentali (la vita, la libertà, la proprietà, la tolleranza
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Escluse dai diritti politici e mantenute in uno stato di subordinazione legale rispetto al
marito alle donne americane rimase la cura della famiglia nata secondo l’ideale
repubblicano. Peggio ancora fu la condizione degli schiavi e dei nativi americani
rappresentando la più grande contraddizione con i principi fissati sulla dichiarazione.
La costituzione del 1787 e i primi dieci emendamenti del 1791 ribadirono i principi
dell’eguaglianza civile, giuridica e religiosa ma per la trasformazione di queste
affermazioni in norme effettive si sarebbe dovuto aspettare l’abolizione della schiavitù
in tutti gli stati, il suffragio femminile ecc.
Rispetto al Regno Unito, ai Paesi Bassi o anche ai vari paesi dove le riforme dell’età dei
Lumi avevano introdotto qualche principio di carattere universale, la situazione dei
diritti in Francia (il paese in cui era nato il movimento illuministico) era alla fine del
‘700 arretrata. Il fatto che le idee più avanzate circolassero liberamente e che la figura
del sovrano o della monarchia stessa godesse di un discredito crescente non facevano
che accentuare la distanza tra il sistema monarchico e le aspettative dell’opinione
pubblica. La RIVOLUZIONE recuperò questo ritardo la dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino approvata dall’Assemblea nazionale nel 1789
rimane uno dei stati fondamentali della storia dell’Europa. Composta da 17 articoli la
Dichiarazione fu il frutto della mediazione tra diverse componenti di pensiero e
numerosi progetti che vedono il marchese La Fayette o l’eroe dell’indipendenza
americana Thomas Jefferson. Come i bills americani; si affermava la natura universale
e intangibile di diritti come la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza
all’oppressione, la presunzione di innocenza, la libertà di opinione, anche religiosa, di
espressione e di stampa. Introduceva anche nuovi elementi a carattere politico come
la separazione dei poteri, l’affermazione che la sovranità risiede essenzialmente nella
nazione.
Il nuovo rapporto tra soggetti, diritti e comunità politica aveva nel concetto di
CITTADINANZA il suo fulcro. Questo distingueva una cittadinanza passiva che copriva
tutti i componenti della nazione e assicurava loro i diritti fondamentali, e una
cittadinanza attiva che dava la possibilità di accedere ai diritti politici (come il diritto al
voto). La costituzione in ogni caso non si curava affatto della condizione della donna.
Con i GIACOBINI che affermavano l’incongruenza palese tra l’affermazione
dell’eguaglianza naturale degli esseri umani e il suffragio censitario costituirono buona
parte della loro crescente fortuna politica tanto che la giornata rivoluzionaria del 1792
coincide con il suffragio universale. La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del
cittadino approvata dalla Convezione montagnarda nell’estate del 1793
privilegiava il diritto di eguaglianza aprendo la strada all’enunciazione di diritti sociali
quali il diritto al lavoro, all’assistenza, all’istruzione che trovavano per la prima volta
posto in un documento costituzionale. Questa prospettiva innovativa, che rimase
inattuata perché l’entrata in vigore della costituzione fu rinviata al termine della
guerra, comportò l’assunzione della DIFFERENZA come nuovo termine di paragone dei
diritti.
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• Due casi interessanti che indicano un’evoluzione del concetto di nazione sono
quello tedesco (dalla seconda metà del ‘400 entra in uso l’espressione sacro
romano impero della nazione tedesca, anche se era pieno di entità politiche
diverse che componevano l’impero) e quello olandese (la lotta di indipendenza
che portò le province settentrionali dei Paesi Bassi ad affrancarsi dalla
dominazione spagnola).
Questi concetti erano le prime forme di IDENTITÀ COLLETTIVAche cominciò a
formarsi attorno al concetto di nazione di alcuni ceti sociali quali l’aristocrazia di
governo, intellettuali, funzionari pubblici, uomini di Chiesa, ecc. che tra il XVI e il XVII
secolo iniziarono a pensarsi e dichiararsi inglesi, francesi, spagnoli ecc. Questo
processo procedette dove l’apparato statale e la successione dinastica avevano
maggiore stabilità quindi appunto in Inghilterra Francia e Spagna alle quali ci si
riferisce col termine MONARCHIE NAZIONALI.
Ci si chiede in quale misura le due rivoluzioni del ‘600 abbiano contribuito a sviluppare
un sentimento proto nazionale inglese: a differenza della lotta che portò alla nascita
della Repubblica delle Province Unite, la Grande Rivoluzione fu un conflitto tra parti di
uno stesso paese che coinvolse un paese diverso suddito (Scozia) e dove ebbe un
ruolo importante l’insurrezione dell’Irlanda da secoli sottomesso alla corona. Quanto
alla Gloriosa rivoluzione essa si concluse con la cacciata di un re britannico e la
chiamata al trono di una dinastia olandese e poi tedesca. Per uscire da questa
situazione gli storici preferiscono concludere che in Inghilterra, a differenza che
altrove, si sia assistito alla formazione di uno stato prima che di una nazione.
Anche la nazione ebbe il suo primo vero laboratorio di sviluppo fuori dall’Europa, con
l’indipendenza delle tredici colonie americane che rappresentò per l’opinione pubblica
illuminata europea una rivelazione inattesa destinata a diventare nell’800 un
MODELLO ARCHETIPICO di nascita di una nazione. Sia nella Dichiarazione di
indipendenza che nella costituzione la parola nazione era assente o usata in forma
neutra: i concetti chiave erano quelli di popolo, stati liberi e indipendenti, unione. Si
trattava di concetti che si rifacevano al pensiero politico europeo dei whig che aveva
guidato la Gloriosa rivoluzione al principio rousseauiano di VOLONTÀ GENERALE: i
principi che avevano trovato la possibilità di affermarsi perché erano stati fatti propri
e rielaborati in modo originale dagli americani.
Negli anni del 1760 si sviluppa un importante cambiamento di sensibilità che era
intervenuto nella cultura europea: l’inizio del primo ROMANTICISMO dove ebbe
successo “i canti di Ossian” un’epopea dell’antico popolo delle Highlands scozzesi
contata da un raccoglitore e traduttore di canti popolari che fece esplodere in tutta
Europa la mania per le poesie e le tradizioni popolari. Questa epopea era inventata ma
questo non importava in quanto dietro al gusto per i culti i canti e le lingue arcaiche
c’era un rifiuto verso l’egemonia culturale francese, ereditario del pensiero classico e
l’estetica neoclassica. Un’Europa che si autodefiniva più antica, autentica e popolare di
quella urbana che si riuniva nei salotti parigini o nei club londinesi.
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L’idea della nazione era che questa esistesse già da secoli ma che avesse bisogno di
essere riconfigurata, e questo venne fatto in primo luogo dagli INTELLETTUALI:
componenti delle classi superiori, oltre ai ceti popolari e quelli rurali il cui
coinvolgimento negli ideali della nazione creò vari problemi.
La nazione divenne oggetto di un’opera di propaganda da parte di associazioni e
partiti politici. Nei paesi sottoposti a dominazione straniera si diffusero società segrete
come la CARBONERIA ITALIANA che aveva come ideale l’armonia tra le nazioni
europee.
Il liberalismo fu il movimento che in modo più consapevole si adoperò nel XIX secolo
per la promozione dello stato nazionale: l’idea che lo stato non debba prevaricare la
libertà dell’individuo, una concezione della sovranità popolare mediata da un sistema
rappresentativo, il libero esercizio delle libertà civili fondamentaliqueste idee trovarono
il loro completamento nell’idea di comunità politica nazionale.
Per tutta la prima metà del secolo invece si opposero all’idea di nazione il pensiero
conservatore che mantenne punto di riferimento la restaurazione, e il pensiero
socialista e comunista che vedeva nella costruzione delle nazioni solo una
affermazione dello stato nazionale borghese; era invece il concetto di classe e lotta di
classe i punti di riferimento identitari per i proletari di tutto il mondo, a prescindere
dalla loro appartenenza nazionale.
Nelle monarchie che erano state confermate a Vienna il nazionalismo funzionò da
acceleratore del processo di trasformazione dello stato: la sua mobilitazione ideologica
favorì la centralizzazione e gerarchizzazione dell’apparato statale con un forte
controllo da parte delle élite di governo. Le due prime nazioni a comparire in Europa
effettivamente dopo il 1815 sono la Grecia e il Belgio. Questi esempi alimentarono le
speranze dei liberali europei. in una larga fascia di territori crebbero le aspettative di
dar vita a stati indipendenti e sovrani. i moti che scoppiarono e furono repressi nel
1830-31 in Italia e in Polonia e il fallimento della primavera dei popoli del 1848
frustarono queste speranze. Da un lato la rivoluzione europea del 1848-49 convinse
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Più complessa fu l’unificazione tedesca che portò alla luce una contraddizione insita
nel nazionalismo: se ogni nazione è di per sé libera e naturalmente indipendente chi
ne stabilisce i confini? Quale sorte tocca ai territori contesi fra popoli? Se la nazione
tedesca coincideva con l’Europa germanofona essa avrebbe dovuto includere non solo
l’Austria ma anche tutte le regioni in cui si parlava tedesco. Con OTTO VON
BISMARCK e tre successive guerre contro la Danimarca, l’Austria e la Francia prese
forma il nuovo impero tedesco e aveva come sovrano ereditario un re di Prussia. Era
un insieme di autoritarismo e forza militare, completamente diverso dal sacro romano
impero che aveva una vocazione multiculturale e plurireligiosa.
Il decennio che va dall’unificazione italiana (1861) a quella tedesca (1871) segna il
passaggio dal nazionalismo di emancipazione e integrazione che reinventava popoli
europei come soggetti politici, all’ideologia di uno stato centralizzato e burocratico : il
pensiero liberale e democratico che aveva dato vita al nazionalismo lasciò posto a
ideologie illiberali, militati e aggressive che dagli anni 1880 furono l’inizio della destra
conservatrice e antidemocratica del ‘900.
Tuttavia, l’equilibrio europeo stabilito dal congresso di Vienna riuscì a reggere per un
periodo lungo, mentre la competizione tra gli stati cominciò a farsi sentire a fine ‘800
quando cominciò la corsa per l’occupazione coloniale.
Per affermarsi sulle altre ogni nazione doveva mettere a tacere quindi eliminare il
nemico interno: i comunisti e i socialisti che credevano nella solidarietà
internazionalista, l’opinione pubblica liberale o cattolica che cominciò a considerare le
guerre come un’opzione estrema. Oltre agli ebrei che rappresentavano un ottimo
bersaglio contro cui indirizzare il nazionalismo aggressivo (antisemitismo) dovuta
alla teoria lingua dell’indo europeizzazione e della nuova concezione scientifica della
razza che venne utilizzata per giustificare l’esistenza di popoli ariani più puri rispetto
ad altri.
Da soggetto culturale e politico la nazione comincia a caricarsi di valenze biologiche,
della questione delle razze. Il XIX secolo è passato alla storia come il secolo delle
nazioni, per quanto riguarda la costruzione della nazione politica invece fu un
fallimento: nel 1990 sarebbero soltanto 18 gli stati liberi e indipendenti, due di questi
sotto il controllo di grandi imperi russo e austro-ungarico che al loro interno
contenevano diversi popoli che chiedevano autonomia.
CAP. 15: La perdita del primato
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Agli inizi del 1918 il potere sembrava ancora nelle mani della Germania il trattato di
pace di Brest-Litovsk tra Germania e Russia tolse a quest’ultima la Polonia, gli
stati baltici e tutte le conquiste sul Caucaso posteriori al 1878: Finlandia e Ucraina ne
approfittarono per dichiararsi indipendenti e i tedeschi acquisirono importanti bacini di
produzione agraria.
Ad occidente le forze tedesche che erano tornate ad essere superiori per numero
ripresero ad avanzare e bombardare Parigi. Alla metà di luglio 1918 il territorio
europeo controllato dagli austro-tedeschi raggiunse la sua massima estensione.
Nei successivi 110 giorni gli imperi centrali persero la guerra i motivi che posero fine
alla guerra sono semplici: le potenze dell’intesa e i loro alleati, in primo gli Stati Uniti,
che nel 1918 cominciarono a mettere in campo truppe addestrate ed equipaggiate,
costituivano un blocco industriale ed economico nettamente più potente della
Germania e dei suoi alleati. Il DENARO è sempre stato il fattore più importante in una
guerra, ancora di più se una guerra tecnologica.
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La promessa di Lenin di portare il paese fuori dalla guerra venne mantenuta a costo
della pace che portò alla perdita di colonie. Rimasti soli al potere i bolscevichi
introdussero un controllo della produzione e della distribuzione agricola per bloccare la
borsa nera (comunismo di guerra) e iniziarono a eliminare gli avversari a partire dai
socialisti rivoluzionari. Per due anni la guerra civile tra esercito del nuovo stato
centrale e vari governi insurrezionali (bianchi – anticomunisti) sorse in Russia. Guerre,
epidemie e carestie provocarono dai 10 ai 20 milioni di morti, e alla fine del 1920 ogni
dissenso fu messo a tacere la rivoluzione era diventata una dittatura
Nei due anni successivi vari territori vennero occupati dall’ARMATA ROSSA e nacque
L’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche.
Lenin morì nel 1924, e per porre rimedio all’arretratezza dell’economia e delle società
russe il suo successore Iosif Stalin abbandonò il progetto di esportare il comunismo
a occidente per concentrarsi su una politica di collettivizzazione delle campagne e un
piano quinquennale di industrializzazione forzata.
A occidente la fine della prima guerra mondiale portò a vari conflitti regionali, e anche
il problema dei prigionieri di guerra e delle popolazioni che dovettero abbandonare la
propria terra per rispettare i nuovi confini degli stati nazionali contribuì a creare una
situazione generale di instabilità sociale creando l’attenzione delle aspettative
sollevate dalla rivoluzione sovietica l’illusione di trasformare il regime zarista in una
repubblica popolare democratica finì subito, e allo stesso modo in Occidente svanì in
pochi anni l’illusione che la democrazia potesse formarsi.
Se il 1918 segnò il tramonto della monarchia come sistema politico-istituzionale, le
nuove democrazie parlamentari che sorsero in quell’anno in tutta Europa non
sopravvissero agli anni ’20. Le immature democrazie postbelliche basate su sistemi
elettorali proporzionali diedero vita a parlamenti frammentati e a brevi governi di
coalizione.
In Italia BENITO MUSSOLINI, leader socialista che nel 1915 era diventato
interventista, fondò nel 1919 a Milano i FASCI DI COMBATTIMENTO: un movimento
dai contenuti progressisti. Nel BIENNIO ROSSO degli scioperi e delle occupazioni
delle fabbriche (1920-21) il fascismo creò un nazionalismo sempre più aggressivo, a
favore dei reduci e di chi aveva paura del comunismo, facendo leva sull’idea che i
sacrifici della guerra non erano stati adeguatamente ripagati (la vittoria mutilata), e
utilizzando la violenza come strumento politico contro la sinistra.
Il partito fascista ebbe buoni risultati elettorali nel 1920, e portarono nel 1922
Mussolini al potere. Il suo governo conservatore si trasformò ben presto in una
dittatura. Come più tardi il nazismo, e come era già successo per il bolscevismo, anche
il fascismo prevalse perché seppe dare risposte nuove al cambiamento radicale del
panorama politico provocato dalla prima guerra mondiale l’uso politico della violenza,
l’eliminazione fisica degli avversari, i nuovi mezzi di comunicazione e la guida
carismatica come forma vincente di leadership sono alcuni dei caratteri che
contraddistinsero la transizione europea post 1918.
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Nel 1923 inoltre i francesi avevano invaso la regione mineraria di Ruhr come ritorsione
per i mancati pagamenti dei debiti di guerra questo contribuì ad un senso di
frustrazione dell’opinione pubblica fomentato dalla propaganda della DESTRA
NAZIONALISTA secondo la quale la resa era stata una pugnalata alle spalle da parte
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Il sistema capitalistico non venne abolito ma piegato alla logica del terzo reich dove
grandi gruppi industriali collaborarono con il nazismo che dimostrava di saper
risollevare il paese e rilanciare una politica di potenza.
Il benessere delle classi popolari non aumentò di molto ma nel 1939 la disoccupazione
era praticamente scomparsa, e questo creò ancora maggior consenso alla politica di
Hitler.
Il successo della politica economica tedesca degli anni Trenta era dovuto a delle
condizioni politiche e istituzionali inaccettabili per delle democrazie liberali:
l’abolizione dei sindacati, il controllo statale di alcuni settori, la possibilità di gestire la
finanza pubblica, il ricatto della violenza a cui potevano essere sottomessi i soggetti
economici.
Gli stessi elementi erano presenti nel fascismo di Mussolini che dopo un primo slanciò
dovette affrontare le conseguenze economiche negativa di una maldestra
rivalutazione della lira, e dopo la crisi del ’29 l’introduzione del sistema delle
corporazioni nel 1928 doveva servire a mediare tra capitale e lavoro inaugurando una
via tra liberismo e collettivizzazione. Ma solo con l’avvio del riarmo la situazione
dell’economia italiana diede segni di risveglio, ma non riuscì in ogni caso a colmare il
divario economico che c’era con i maggiori stati europei: il problema stava che il
paese era profondamente rurale e aveva un’industrializzazione fragile, di cui il duce
era a conoscenza e l’avrebbe dimostrato con il rifiuto ad entrare in guerra, e poi con le
condizioni in cui la guerra fu condotta.
Due momenti della vita dello stato nazista dimostrarono un’efficienza superiore: la
propaganda e la repressione, con grandi manifestazioni, il controllo totale della
stampa, del cinema, della radio, l’organizzazione delle Olimpiadi, queste azioni
crearono un sistema di manipolazione delle coscienze finalizzato alla rifondazione
nazista della nazione tedesca.
Rispetto al progetto di Mussolini che parlava anch’esso di razza italica, il progetto
hitleriano era fortemente razzista. C’era l’idea della superiorità del popolo ariano che
sarebbe stato il discendente diretto delle popolazioni indoeuropee giunte in Europa, e
per Hitler questa superiorità era la base della comunità nazionale tedesca e
legittimava le aspirazioni ad acquisire uno spazio vitale, che doveva andare verso est
dove si trovavano la razza inferiore slava e il nemico peggiore ovvero il comunismo
bolscevico.
La figura dell’ebreo rappresentava invece il collegamento tra le diverse cause che
impedivano alla Germania di raggiungere la sua naturale grandezza: la razza ebraica
era semitica e quindi inferiore, inoltre controllava la finanza mondiale ed era quindi
responsabile di aver gettato nella miseria il popolo tedesco, oltre che per le supposte
origini ebraiche di Marx, che stava alla base del comunismo.
Le LEGGI DI NORIMBERGA del 1935 emarginarono gli ebrei dalla vita economica e
sociale tedesca.
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La categoria del totalitarismo è stata invece ribaltata da alcuni storici che hanno
descritto la guerra novecentesca come uno scontro ideologico tra comunismo e
nazifascismo, allo stesso tempo ci sarebbe stato un nesso tra Stalin e Hitler: la politica
dei Gulag come quella dei Lager. Secondo questa impostazione lo sterminio degli ebrei
sarebbe solo la replica speculare ed eccessiva all’annientamento di interi gruppi sociali
(la borghesia dei kulaki) in Unione Sovietica, una risposta indirizzata contro un nemico
che aveva la stessa logica.
Non bisogna però ridurre il nazionalsocialismo ad una radice antibolscevica: prima che
anticomunisti, i movimenti della destra estrema erano antidemocratici e contrari
all’impianto politico culturale del liberalismo europeo, del parlamentarismo e la sua
idea di diritti civili come barriera fra individuo e stato fu proprio il fallimento del
liberalismo europeo dopo il 1918 con l’imposizione dei trattati di Versailles e
l’incapacità di mettere in campo un progetto di ripresa economica che il fascismo
prese potere, e i vari autoritarismi.
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Gli ebrei non rappresentavano più un problema, mentre Tito proseguiva le lotte
etniche e religiose nei Balcani.
Nella parte occidentale dove non era stato fatto prima della guerra il voto venne
allargato alle donne e si prestò grande attenzione ai diritti umani e sociali, con alcuni
paesi che fondarono una democrazia ex novo, o in Francia dando vita alla QUINTA
REPUBBLICA (1958). Altrove le forze tradizionali che erano uscite indenni dal
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• Banca mondiale
• Accordo per la liberalizzazione del commercio mondiale (Wto)
Si trattava di una nuova filosofia di collaborazione internazionale che aveva dato vita
all’Organizzazione delle nazioni unite (ONU).
La via della cooperazione internazionale si ripropose a vari livelli: nel 1951 Francia,
Germania ovest, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo fondarono la Comunità europea
del carbone e dell’acciaio (CECA): un mercato comune per due componenti basilari di
ripresa economica industriale che avevano avuto un ruolo simbolico nella storia
europea (il controllo delle regioni produttrici dell’Alsazia-Lorena e della Ruhr). In questo
modo si chiariva che ogni guerra tra Francia e Germania era diventata impensabile. Il
passo successivo per l’integrazione economica europea fu la firma a Roma nel 1957
tra gli stessi paesi dei trattati per la fondazione della
• Comunità economica europea (CEE): l’area all’interno della quale le barriere
doganali erano abolite
• E della Comunità europea dell’energia atomica (EURATOM)
• Nel blocco comunista era sorto nel 1949 il Consiglio di mutua assistenza
economica (COMECON): organo di coordinamento delle economie pianificate
comuniste
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Il fatto che l’Unione Europea non fosse in grado di attuare una politica estera e di
sicurezza comune come impegnava il Trattato di Maastricht aveva radici profonde:
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Nei paesi europei questa crisi si è manifestata nelle forme classiche di disoccupazione,
crisi bancarie, perdita di produttività, aumento delle fasce di popolazione a rischio
povertà.
La crisi ha avuto effetti prolungati in Europa e ha costretto gli stati europei ad
aumentare la spesa pubblica mettendo in luce le debolezze strutturali di alcuni
sistemi-paese. Le soluzioni per uscire dalla crisi tendono a ordinarsi secondo la
contrapposizione classica che ha segnato gran parte del XX secolo c’è chi propone
politiche di investimento pubblico a sostegno dei consumi e dell’occupazione, e chi
insiste sul ristabilimento della fiducia dei mercati, in primo luogo riducendo i deficit
pubblici.
Anche il quadro internazionale, all’inizio degli anni 10 del XXI secolo pone nuovi
interrogativi che sembrano destabilizzare alcune certezze raggiunte nel mondo
mediorientale e africano continuano a nascere nuovi focolai di
FONDAMENTALISMOISLAMISTA: la speranza occidentale che il consumismo e la
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