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INVOCAZIONE 7
Un brigante maltratta uno sventurato. In lode dell'Inviato Mubammad.
Una madre salva il suo bambino. Sulle virtù del primo califfo, il princi·
pe dei credenti Abii Bakr. Sulle virtù del secondo califfo, il principe dei
credenti 'Umar. Sulle virtù del terzo califfo, il principe dei credenti
'Uthman. Sulle virtù del principe dei credenti 'Ali. Contro i fanatici.
Dialogo tra 'Umar e Uways. Magnanimità di 'Ali con il suo assassino.
Confidenze di 'Ali con un pozzo. Estasi di Biliil. Sul sacrificio dei
compagni del profeta. Intercessione del profeta in favore del suo oopolo.
LE SETTE VALLI
CONCLUSIONE 211
Un re s'innamora del figlio del suo vtslr. Sul significato del libro. Il
discorso di un sapiente in punto di motte. Sentenza di Aristotele su
Alessandro. Un vecchio interroga un sufi. Le ultime parole di un veg
gente. La confessione di un sant'uomo. Shibli compare in sogno a un
asceta. Un maestro interroga gli angeli . Shaykh Mahna e un ebbro.
La speranza di un asceta. Ni:j:iim ai-Mulk in punto di morte. Salomone
interroga una formica. Shaykh Mahna e l'inserviente del bagno. Shibli
visita Junayd.
Sulle virtù del primo califfo, il principe dei credenti Abii Bakr
Contro i fanatici 90
Estasi d i Bilàl
NOTE
l Formula con cui si apre la prima sura del Corano, comunemente pre
messa anche a opere di non stretta ispirazione religiosa. Quasi ogni verso di
queste primissime pagine dell'Invocazione riecheggia, e talora parafrasa, un
preciso versetto coranico, cui di volta in volta si rinvia per una più puntua
le intelligenza del testo. Innumerevoli poi sono i motivi, i personaggi e le
storie che hanno ancora nel Corano la loro fonte immediata (il quale, com'è
noto, spesso rielabora materiali tratti da leggende rabbiniche o da testi della
tradizione biblica e cristiano-apocrifa), e che 'Aniir reinterpreta mistica
mente inserendosi, sotto questo aspetto, nella consolidata tradizione dell'ese
gesi allegorico-mistica del libro sacro, operazione che interessò i poeti non meno
di certe scuole teologiche. Così le storie di Giuseppe, di Gesù, di Alessan
dro, di Salomone o del biblico Faraone, come anche i motivi dell'infedeltà,
dell'idolatria, del destino ultra terreno, dei segni della natura, dei segreti del
cuore - per non citare che i più ricorrenti - vengono riciclati attraverso un
processo di arricchimento-approfondimento dei loro contenuti simbolici (pur
evidenti già nel Corano) divenendo vere e proprie « metafore d'uso ,., dei cli
ché letterari che si ritrovano in buona parte dei poeti mistici persiani.
2 « ... et spiritus ferebatur super aquas ,. (Genesi I, 2); cfr. Corano XI, 7.
Ha qui inizio un'ampia « sinfonia della creazione ,. di cui il Corano offre nu
merosi esempi (n, 164; VI , 95 sgg.; xxx, 20 sgg.), insistendo sul carattere di
« segni ,. della potenza divina che le creature cosmiche hanno agli occhi del
l'uomo. 'Aniir reinterpreta detta « sinfonia ,. infondendole una vitalità uma
nizzata: le creature dell'universo amano, cercano, si confondono, agiscono . . .
Esse non sono più o non soltanto dei « segni ,. pe r l'uomo, m a ne condivi
dono pienamente la sorte.
J Cfr. Corano xm, 2.
4 Le due lettere, kii/ (k) e nun (n), sono tratte dall'imperativo arabo
« kun! ,. (sii! ) , parola con la quale Dio dà inizio alla creazione. Cfr. Corano 1 1 ,
1 17: III, 47, XVI, 40.
5 Allusione al fuoco in cui Abramo, secondo una leggenda rabbinico-mu
sulmana, fu gettato dal ribelle Nimrud, di cui vi è un'eco nel Corano (XXI, 69).
6 Il « ponte ,. in questione allude al passaggio degli ebrei attraverso il Mar
Rosso. Cfr. Esodo XIV, 19 sgg.; Corano II, 50.
1 Il nemico di cui si parla è il . mitico Nimrud che, avendo rifiutato di ab
bracciare la fede di Abramo, ebbe il suo esercito distrutto da sciami di mo
scerini uno dei quali si introdusse nella sua testa e vi rimase quattrocento
anni.
8 Durante la fuga dalla Mecca, Maometto ebbe a rifugiarsi con il compa
gno Abii Bakr in una caverna e un ragno costrui con la sua tela una barriera,
cosi da farla sembrare impenetrata. L'episodio è narrato nel Corano (Ix, 40).
9 Allusione a un passo coranico in cui Salomone ordina l 'arresto delle sue
schiere di uomini, iinn e uccelli per permettere alle formiche di porsi al ri
paro (XXVII, 18) .
IO Gioco di parole tra tiis (formicaio) e !ii-sin, magiche sillabe dall'oscuro
significato poste all'inizio di una sura del Corano (la XXVII) dedicata alle for
miche.
Il Secondo una leggenda musulmana Gesù fu portato dagli angeli sino al
settimo cielo, ma di qui fu costretto a discendere al quarto perché, contravve
nendo all'ordine divino di lasciare ogni cosa sulla terra, aveva recato con sé
uno spillo.
12 L'immagine va riferita ai cieli.
Il Cfr. Corano VII, 54; xxxv, 13.
14 Cfr . Corano xxxix, 5 , ove le tenebre e il giorno si arrotolano e si sro
tolano come un foglio di pergamena.
15 Nella sura XXVII del Corano l 'upupa compare come l'uccello di cui si
serve Salomone per invitare la regina del regno (sud-arabico?) di Saba ad ab
bracciare la sua fede. Cfr. I Re x, 1-13, ove è nanato l 'episodio della visita
della regina di Saba a Salomone, ma non è fatta menzione dell'upupa.
16 Probabile allusione al cane dei Sette Dormienti (Corano xvm, 18). La
leggenda assai popolare nel mondo arabo preislamico dei sette giovani di Efeso
che si lasciarono murare vivi dentro una caverna durante la persecuzione anti
cristiana di Decio (249-251 d.C.) risvegliandosi tre secoli più tardi durante
l'impero di Teodosio (408-450 d.C.), entrò a far parte della rivelazione cora
nica ove è considerata segno della resurrezione finale. Sull'argomento si diffon
de Y. Moubarac in Le culte liturgique et populaire des VII dormants martyrs
d'Ephèse (Ahi al-kahf), trait d'union Orient-Occident entre l'Isliim et la Chré
tienté, d'après la documentation recueillie par Louis Massignon, Estratto da
« Studia Missionalia », Roma 1961 .
17 Secondo una leggenda che trova un'eco nel Corano (XXXVIII, 34) un
iinn, uno di quei curiosi « spiritelli ,. che secondo il Corano convivono con
le creature terrestri (retaggio di credenze pre-islamiche), riusci a sottrarre a
Salomone il suo magico sigillo e poté cosi regnare per quaranta giorni al suo
posto avendone assunto le sembianze. Salomone nel frattempo fu costretto a
mendicare finché un pesce non gli ebbe riportato il sigillo smarrito in mare
dal ;inn.
18 Vedi nota 9.
19 Allusione al miracolo della verga di Mosè. Cfr. Esodo IV, 3; Corano
xx, 20.
20 Accenno al diluvio universale. Cfr. Corano XI, 40.
21 Cfr. Corano xxvi, 155.
22 ! il vitello d'oro adorato dagli ebrei nel deserto. Cfr. Esodo xxxu, 1
sgg.; Corano II, 51 sgg.
23 Cioè il sole.
24 Cfr. Corano LXV, 7 e II, 286, in cui si accenna a un « peso ,. che Iddio
impone a ogni uomo, proporzionato alle sue forze, che si traduce in un impe
rativo a bene operare . Nel linguaggio di 'Attir il « peso ,. (biir) si traduce in
un'azione (kiir) cui nessuno può sottrarsi (momento necessario e universale)
eppure peculiare a ciascuna creatura (momento libero e individuale) quanto al
le modalità di realizzazione. S'intenda dunque « azione », (e i derivati « agire » ,
« attivo ,. ecc.) come azione spirituale o ricerca interiore, finalizzata al « ritor
no ,. dell'anima a Dio (cfr. Corano XI, 4; XXI, 35).
25 Cfr. Corano XXI, 3 1 .
26 Immagini tratte dalla mitologia cosmogonica persiana. Per un approfon
dimento si veda G. Messina Mito, leggenda e storia nella tradizione iranica
in « Orientalia » IV (1935) ove si può anche leggere in traduzione, un brano
del BNndahishn (La creazi one), opera pahlavica che tratta in particolare di co
IIIIOIOnia.
27 I tcolosi dell'lslim hanno distinto attribuiti posltlvt, riferibili all'affer
mulone dell'assoluta unità divina; e attributi nesativi, collesabili alla nega
lione di qualsiasi limite ali 'essere divino.
21 Gioco di parole: « Khik bar sar kardan ,. (Ricoprirsi la testa di polve-
re) asaume il sisnificato idiomatico di « disperarsi ,. o « umiliarsi " .
:19 Poetica rappresentazione del crepuscolo.
lO Cfr. Corano LVII, 3.
31 Letteralmente: « scrollarsi la vita di dosso ,., da non intendersi nel si
'nificato normale, bcnsl nel senso di uscire dalla dimensione fenomenica del
l'aistenza per calarsi nell'introspezione dell'anima, primo passo del lungo pro
caso verso il finale autoannientamento.
32 Allusione al passo coranico in cui Faraone, sommerso dalle acque del
Mar Rosso, mentre insegue gli ebrei in fuga, afferma di credere che non esi
Ili altro Dio « se non colui in cui credono i figli d'Israele ,. (x, 90). Cioè di
Dio non è dato conoscere che la manifestazione della sua potenza che mentre
c:ostrinse Faraone all'atto di fede, sancisce con la sua morte, dunque con il si
lenzio della parola, l'i mpossibilità dell'uomo a cogliere positivamente l'essen
za divina.
33 L'Islim distinsue tra il profeta (nabi) e l'inviato (rasiil) che è colui che
porta agli uomini una legge nuova, cosicché mentre tutti gli inviati sono an
che profeti, non vale la proposizione inversa. Il Corano riconosce sei inviati :
Adamo, Noè, Abramo, Mosè, Gesù e Mubammad.
34 Cfr. Corano L, 16, in cui è detto che Dio è più vicino all'uomo della
sua stessa vena siusulare.
35 Qui si allude al passo coranico di cui è detto alla nota 32, sintetizza
to nella parola « illi ,. ( = se non).
36 Alla monade divina è qui opposta la diade umana di spirito e materia:
di qui l'invito a « unificarsi ,., ossia a trascendere la scissione esistenziale per
attingere ali 'unità divina (tawbid). Lo stesso concetto è ribadito in Riimi che
c:osl cantava: « Via da me cacciai ogni Due, dei due mondi Un Solo vedo / Uno
cerco, Uno conosco, Uno canto, Uno contemplo! ,. (in Poesie mistiche, Mila
no 1980, trad. di A. Bausani, p. 63).
n Cioè di Adamo che con questo titolo (che significa « vicario " • « succes
sore •) compare nel Corano (11, 30) , e a cui vengono insegnati « tutti i nomi "
delle creature.
38 Qui è riecbcggiata la narrazione coranica della creazione di Adamo e
del peccato di superbia del Shaytin (o Iblis) ossia di Lucifero. Cfr. Corano
VII, 11 segg.
39 Gioco di parole che si è tentato di riprodurre nella traduzione.
40 Ismaele, progenitore della stirpe araba, è secondo il Corano la vttllma
sacrificale al posto di !sacco nella prova di fedeltà che Dio richiede ad Abra
mo. Cfr. Corano XXXVII, 102 sgg.; Genesi XXII, l sgg.
41 Cfr. Corano XXI, 80, XXXIV, 10.
42 Secondo il Corano non fu crocefisso Gesù, ma un suo sosia ( Iv, 157).
43 Il tema dell'opposizione parte-tutto non è nuovo nella poesia persiana:
già Ni,ir-i Khusraw (1004-1072) parla ad esempio nel Rau.ishami'i-niima (Libro
della luce) dell'essenza umana in termini di sintesi irripetibile tra « microco
smo ,. (il corpo) e « macrocosmo ,. (il cuore); e volendo risalire più addietro,
troviamo fin dalla pahlavica Bundahishn (La creazione) la concezione, sotto
stante a questo motivo, secondo la quale il corpo umano è un'immagine del
mondo (dr. A. Pagliara, « La letteratura della Persia preislamica ,. in A. Paglia
ra-A. Bausani, La letteratura persiana, Milano 1968, p. 84) . Ma è in l:lallij che il
motivo si ritrova espresso quasi con le stesse parole: « Trovo strano che in
me ciò che è Tutto sia portato da ciò che è solo parte, quando a causa del
fardello di questa mia parte, la terra diventa incapace di portare me " (in I det
ti di Al l:lalliii, a cura di G. Mandel, Genova 1980, pp. 57-58) .
44 Nel Corano è più volte ripresa la biblica tenzone tra Mosè e i maghi
del Faraone alla cui « magia negativa ,. è opposta la « magia positiva ,. del pro
feta (v11, 1 1 3 sgg.). Nell'Antico Testamento però è Aronne, non Mosè, che si
misura con i maghi egiziani (dr. Esodo VII, 9 sgg.).
45 Cfr. Corano L , 16; x, 6 1 .
46 Cfr. Corano xxi, 107.
-n Allusione alla notte del mi'riii ( ascensione) durante la quale Maometto
fu portato dalla moschea della Mecca sino in cielo presso la « moschea ulti-
ma "• ove poté contemplare in forma di vtstone i segni di Dio (Corano
xvii, l ) . L'episodio letto in chiave allegorica assurse ben presto a modello
dell 'esperienza mistica per gli asceti dell'lslàm. La leggenda popolare, impa
dronendosene , arricchl l'episodio di svariati elementi fantastici: svegliato da
Gabriele alla Mecca, Maometto vien fatto salire su un cavallo alato, Al-Buràq,
con cui raggiunge Gerusalemme e di qui, salenòo su una fulgida scala attra
verso gli otto cieli, raggiunge il paradiso ove riceve il Corano; quindi, sem
pre in compagnia di Gabriele che gli fa da guida, discende all'inferno per vi
sitarne le sette bolge. Finalmente ritorna alla Mecca dove si scontra con l'in
credulità dei suoi abitanti. Le innumerevoli leggende medievali arabo-musulma
ne che trattano del viaggio di Mubammad nell'oltretomba fornirono materia di
riflessione e di controversia ai sostenitori e agli avversari della tesi delle « fon
ti arabe di Dante ,. (per un'analisi sommaria dell'argomento si veda F. Ga
brieli, « Una divina commedia musulmana ,., in Storia e civiltà musulmana,
Napoli 1947, pp. 236-2,0) . Nella poesia persiana, il motivo dell'esplorazio
ne dell'oltretomba compare nel Sayr al-'ibiid ila '1-ma'iid (Viaggio dei servi [di
Dio] nell'aldilà) di Sanà'i (cfr. R.A. Nicholson, A persian /orerunner o/ Dan
te in « }ournal of the Bombay branch of the Royal Asiatic Society ,. XIX (1943),
pp. 1-,). Il suo nucleo essenziale, « il viaggio dell'anima verso Dio ,. , è iden
tico a quello del motivo « viaggio degli uccelli ,. che attraverso le epistole di
Avtcenna e di Al-Ghazàli giunge sino ad 'Attàr.
48 Direzione verso cui i musulmani si volgono per la preghiera. Inizial
mente era quella di Gerusalemme ma, dopo la rottura con la comunità ebraica
di Medina, Maometto scelse quella della Mecca nella cui moschea era collocata
la ka'ba, con la misteriosa pietra nera meta di pellegrinaggi sin da tempi preisla
mici. Qui il termine qibla non ha il significato tecnico appena illustrato, ma è
usato enfaticamente per sottolineare la centralità della figura del profeta.
49 Mubammad qui compare come luce creatrice, prima ipostasi divina, con
cepibile come lògos o principio organizzatore del creato, « guida ,. dell 'univer
so (cui, sul piano individuale, corrisponde l 'anima razionale nella medesima
funzione). La seconda ipostasi è costituita dai « due mondi ,., ossia il princi
pio spirituale e il principio materiale; ulteriori ipostasi sono le entità celesti
(empireo, trono, tavola e calamo, gli ultimi due essendo gli strumenti con i
quali è redatta la copia celeste del Corano, o « Madre del Libro ») e le entità
corporee (il mondo e Adamo) . Non è improbabile che la fonte prossima di
questa « metafisica della luce ,. sia da rintracciare in quel sostrato gnostico-neo
platonico comune a tante manifestazioni dello sciismo (specialmente ismailita)
e del sufismo. In proposito Corbin ricorda che « aussi bien !es Ismaéliens re
gardent-ils comme étant cles leurs , un bon nombre de maitres du soufisme ,. tra
i quali cita Sanà'i, 'Attiir, Rumi. Cfr. Histoire de la philosophie islamique 1,
des origines iusqu'à la mort d'Averroes ( 1 198), Paris 1964, p p . 139-140.
SO Allusione alle diverse posture della preghiera canonica musulmana:
qiyiim (posizione eretta), raku' (genuflessione) e suiud (prostrazione).
51 Cfr. Corano xv, 29.
52 Cfr. Corano XLVI, 29-30, ove si racconta la conversione dei iinn aii'Isliim.
53 Sorta di corona-rosario usato nei paesi musulmani per invocare in forma
di litania i nomi di Dio, facendo scorrere tra le mani i trentatré grani di cui
è formato per tre volte. Novantanove sono infatti gli epiteti coranici di Dio.
La tradizione ha poi ampliato il loro numero sino a cinquecento. Nell'imma
gine qui proposta, l 'accostamento atomi dell'universo - grani del tasbiiJ - no
mi di Dio si carica di mistiche risonanze, ricollegandosi al tema iniziale della
« sinfonia della creazione ,.,
L'apparizione d i Simurgh
I pretesti dell'usignolo
La principessa e i l derviscio
Khi:i:r e un sufi
I pretesti dell'oca
L'anello di r e Salomone
pretesti dell'huma 43
Il sultano Ma�mud
IO
pretesti deli'airone
12
13
Alessandro il Greco 57
14
Shaykh San'iin
NOTE
Della fortuna
Mai)miid e il taglialegna
Della ricerca
U n folle ignudo
De l pentimento
Un peccatore pentito
Un sufi a Baghdad
L'asceta e il libertino
Il discorso di 'Abbiisa
Deli'effeminatezza
Il re e il mendico innamorato
Della carne
Un becchino
Il principe e lo straccione
Malik Dinar
IO
Il ragno e l a mosca
L'ignaro e l'innamorato
Due inc05Cienti
Un discepolo innamorato
che rapiva gli acerbi. Il suo aspetto era pervaso di spirito : era
grazia nella grazia, incanto nell'incanto. Due esche ella incon
sapevolmente lanciava nel mondo : la prima di mielate parole.
che fluendo dalle sue labbra facevano cadere ali e piume agli
uccelli, l'altra di languidi sguardi che come frecce i suoi oc
chi scoccavano per avvelenare il sangue degli innamorati.
Ebbene, lo sguardo di quell'allievo esemplare cadde un gior
no su di lei. « Da questo momento », si disse, « io sarò il suo
discepolo, e lei il mio maestro », ed era già perduto nella bellez
za del suo volto. La schiava gli rapì il cuore e ne divenne l'esclu
sivo ornamento. Quel giovane pensava : « Il suo volto di lu
na può bastarmi, non mi servono altri maestri ! E se avrò bi
sogno di una guida, ebbene, l'amore è discepolo e la bellezza
è il suo maestro » .
Così egli abbandonò le lezioni del vecchio istitutore, non
sopportando neppure la sua presenza, mentre sempre più si
esasperava la passione per il nuovo maestro. Consumava il
giorno e la notte nell'adorazione di quell'idolo, dimentico or
mai dello studio, e cosi per la pena d'amore si ridusse a ra
metto di zafferano, divenendo giallo come il fiele. L'amore
annullò la ragione sino a rendere quel giovane sazio persino
di se stesso. Benché a lungo si fosse dedicato agli studi, bastò
un poco d'amore per disperdere al vento le sue migliori inten
zioni. La scienza delle cose esteriori gli aveva procurato fa
ma e superbia, l'amore gli portò fuoco e tormento. Chiun-
que s'incammini lungo la via della scienza, privo di autentico
amore, imparerà a desiderare onori e prebende, non altro!
Quel discepolo fu travolto dalla passione al punto di non
saper più distinguere una lucciola da una lanterna/9 e la not
te dal giorno. Ormai stremato e succube della pena amorosa,
cadde improvvisamente ammalato. Fu allora che il maestro
venne a conoscenza di quanto era accaduto tra lui e la schia
va, e nella sua saggezza decise di ricorrere a uno stratagem
ma: incise una vena sul polso della fanciulla e le sommini
strò una pozione che le provocasse il mestruo. Dopo breve
tempo quella schiava divenne gialla come l'oro e il dolce
melograno del suo volto assunse il colore dello zafferano.
Ogni grazia disparve dal suo aspetto e il suo volto perse fre
schezza. Della sua celebrata bellezza non rimase più nulla : la
coppa si ruppe e il coppiere si dileguò. E quanto uscì dal suo
corpo fu raccolto in un catino, sia il sangue dello svenamento
che quello mestruale.
Solo allora quel nobile maestro chiamò il suo pupillo, do
po aver ordinato alla schiava di nascondersi dietro una tenda.
Dapprima fece entrare il suo allievo, quindi gli presentò la
fanciulla. Il giovane guardò e riguardò il suo volto, in preda
a stupore, e si chiese come tanta bellezza fosse potuta incor
rere in così grande sventura. E il suo cuore si raffreddò per
la fanciulla e riprese a bruciare per il desiderio di conoscere.
Quando il maestro capì che il discepolo era finalmente libere ,
la sua pena si mutò in gaudio incontenibile. La passione per
la fanciulla si era finalmente placata nel suo prediletto e l'amo
re era morto. Il maestro ordinò che gli fosse portato quel ca
tino, e così parlò al suo discepolo : « Mio caro, cosa mai ha
agito in te? Il tuo tormento è ora svanito e la pace tornata
e se quella schiava fu a lungo il tuo unico oggetto d'amore,
ora allontana gli occhi da lei, giacché ben altro devi deside
rare! Sulla via di quell'amore s'era perduta la tua autentica
vocazione, ma dove sono ora finite la tua impudenza e la tua
protervia? Quell'idolo che suscitò in te un desiderio inestin
guibile, ti aveva trascinato nella più totale abiezione! Perché
il tuo volto fu reso giallo dalla passione, e perché una passio
ne così grande si è raffreddata così di colpo? Tu ora sei ritor
nato quello di un tempo, esattamente come la mia schiava,
sebbene la bellezza di lei sia scomparsa. Quello che i tuoi oc
chi più non vedono, ella lo ha perduto per sempre. Osserva
qui dentro, ne è pieno questo catino ! Proprio quando il suo
sangue si separò da lei, il tuo grande amore cominciò a raf
freddarsi. Con questa schiava tu hai pesato il vento e in ve
rità ti innamorasti di qualche goccia di sangue! Privo di sag-
gezza entrasti nella via, giacché ti innamorasti di un liquido
impuro ».
Fu cosi che quel discepolo fece atto di pentimento e ripre
se a studiare con zelo, tornando ad essere uomo d'azione.
Colui che adora le apparenze come può meditare sulle di
vine qualità ? La tua carne demoniaca è seguace dell'illusione,
ma la tua anima spirituale partecipa di quanto è reale. Di
mentica le apparenze per amore dei divini attributi, affinché
risplenda su di te il sole della conoscenza. Le apparenze sono
fatte di lacrime e sangue. Ma fino a quando tu vagherai tra
le apparenze in cerca dell'imperfezione? La vera bellezza risie
de nell'invisibile, li devi cercarla!
Il martirio di l:lallaj
Un discorso d i Junayd
Junayd, guida della fede e mare senza fondo, una notte ten
ne discorso a Baghdad. Cosi elevate furono le sue parole che il
cielo, assetato, si chinò sino ai suoi piedi. Junayd aveva un fi
glio adolescente, un ragazzo bello come il sole. Ebbene, qual
cuno gli mozzò la testa e la lanciò tra la folla che ascoltava il
sermone del padre. Al vederla Junayd non si scompose, ma
continuò a predicare alla folla e cosi disse: « Quella pentola
che in questa nobile sera ho messo sul fuoco degli antichi se
greti, deve pur cucinare una simile pietanza! E forse ne cuci
nerà di più, non certo di meno! » .44
12
Della morte
La morte di Socrate 47
13
Della felicità
Lo schiavo riconoscente
Il principe e il sufi
Shaykh Mahna
Il pipistrello e il sole
Della sottomissione
Il sogno di un asceta
Dell'ambizione
Il lamento d i u n folle
Un pipistrello
Dell'infedeltà
Il duello
18
Della temerarietà
'Amid
La carestia in Egitto
U n discepolo d i Bayazid
Il derviscio innamorato
Due acquaiuoli
20
Dell'orgoglio
un'estasi improvvisa » .
O tu , finché indugi nella vanità e nella presunzione resti
lontano, infinitamente lontano, dalla verità, e allora brucia il
tuo orgoglio, distruggi ogni arroganza! Tu sei ancora presen
te alla carne: ebbene, brucia codesta immonda presenza! O tu,
che a ogni istante sei di un diverso colore, sappi che alla ra-
dice di ogni tuo capello è in agguato un nuovo Faraone. Fin
ché di te resterà visibile sia pure un solo atomo, sopravvive
ra.nno anche i cento segni della tua ipocrisia. Solo sfuggendo
alle insidie del tuo essere diverrai nemico dei due mondi, e se
un giorno saprai annientare te stesso, risplenderai di luce ab
bagliante persino nelle profondità della notte. Se non desideri
far lega con Iblis, ricordati di non pronunciare mai la parola
« io », perché dall'egoismo discendono sciagure infinite.
L'educazione dell'iniziato
La barba dell'asceta
Dell'appagamento
La confessione di un asceta
Il sobrio e l'ubriaco
Un uomo innamorato
La guardia e l'ubriaco
MaJ:!miid e Ayiiz
Un discorso di Rabi'a
23
Del dolore
Zulaykha e Giuseppe
NOTE
La creazione di Adamo
Yiisuf-i Hamadin s
Uno stolto
Due innamorati
L'innamorato dormiente
Un guardiano innamorato
Un discorso di 'Abbisa
L'astrologo
Il desiderio di un asceta
Preghiera
Una notte Abii 'Ali Tiisi, la cui anima era un mare di inson
dabili misteri, si rivolse a uno dei suoi discepoli con queste
parole: « Struggiti senza tregua nel fuoco d'amore, fino a di
venire invisibile capello. Se saprai rendere te stesso simile a
un capello, un giorno potrai giocare con i riccioli dell'Amato.
Chiunque per amor suo divenga sottile come un capello. sarà
un giorno capello tra i suoi capelli . Se tu sei veggente dall'acu
ta vista, osserva a uno a uno i suoi capelli ! Colui che senza
rimorsi annienta se stesso, otterrà ben presto il premio del
l'immortalità ».
O cuore, se sei davvero sconvolto, attraversa senza indu
gio il #raf! Non angustiarti se a causa dell'olio della lanterna
vedrai il fuoco produrre fuliggine più nera delle piume di un
corvo. Quando l'olio s'incendia cessa all'istante di esistere/9
e sebbene questa via ti conduca attraverso lande infuocate, tu
alla fine diverrai degno delle parole del Corano. Se davvero
desideri giungere a quella remota stazione, sappi che dovrai
uscire da te stesso e salire sul Buraq 30 dell'inesistenza. O tu,
indossa l'abito dell'inesistenza, bevi d'un fiato il vino squisito
dell'annientamento! Getta il mantello di « ciò che fu » e rico
priti con quello di « ciò che non fu » , quindi infila il piede
nella staffa dell'annientamento e cavalca il tuo inesistente de
striero verso il nulla! Strappa gli occhi dalle tue orbite, aprili
finalmente e in loro versa il collirio dell'inesistenza ! Diminui
sci te stesso e poi ulteriormente riduciti, e dopo codesta di
minuzione scompari per sempre ! Solo così potrai camminare
in pace con la tua anima sino a raggiungere il mondo remoto
dell'inesistenza. Ma ricorda che se rimarrà sul tuo collo anche
solo un capello di questo mondo, non ti sarà dato vedere
neppure un capello dell'altro. Se vorrai conservare anche so-
lo la punta di un capello, dovrai attraversare sette mari di
sciagure !
Le falene . e la candela 3 1
Un discorso d i Majnun
Ancora l'araldo
Dopo che I:Iallaj venne arso dalle fiamme del rogo, un in
namorato si fece largo tra la folla reggendosi a un bastone, e
andò a sedersi nei pressi di quelle sacre ceneri. Quindi egli
tenne un sermone , con parole così infuocate che quelle ceneri
furono percorse da un brivido : « Sapete dirmi », esclamò,
« dov'è ora colui che poco fa gridava " lo sono Dio " ? ».39
O tu, sappi che quanto hai detto o udito, tutto ciò che hai
visto o conosciuto, non è che l'inizio della tua spirituale vi
cenda: annienta te stesso, il tuo posto non è tra queste tra
cotanti macerie! All'origine ritorna, all'origine ch'è autosuffi
ciente e inviolata! Che importa se ciò che è originato esiste
ancora o più non esiste? Il sole è verità imperitura, l'atomo
e l'ombra sono destinati a perire.
NOTE
La speranza d i u n asceta
NOTE
RINGRAZIAMENTO
Ben poco sappiamo della vita di Farid ad-din 'Attiir, neppure la da
ta precisa della sua nascita, avvenuta a Nishàpiir, nell'Iran nord-occi
dentale, tra la seconda e la quarta decade del secolo xn_ l La leggenda
in compenso si è impadronita di alcuni momenti decisivi della sua esi
stenza come, ad esempio, l'improvvisa conversione alla vita contem
plativa.
Un derviscio, si narra, sostò un giorno dinnanzi alla bottega di
'Attiir (che, come dice il suo nome, era figlio di uno speziale) e lo esor
tò ad abbandonare i beni terreni per seguire la via mistica. 'Anar,
sprezzante, gli chiese quale possesso avesse in tal modo conseguito e
quegli rispose: la vita. 'Attiir pretese allora una dimostrazione e il der
viscio, per tutta risposta, si sdraiò a terra e mori. Sconvolto da questa
esperienza, 'Attiir avrebbe lasciato gli affari per dedicarsi al consegui
mento della perfezione spirituale.
Non mancano in verità nella letteratura persiana esempi di poeti
dervisci erranti per il mondo, ma riesce difficile immaginare che un au
tore cosi prolifico (gli furono attribuite un centinaio di opere) potesse
condurre un'esistenza nomade. :B verosimile dunque che egli abbia tra
scorso i suoi anni nella bottega paterna, alternando il culto delle belle
lettere alla cura degli affari. Sicuramente intraprese alcuni viaggi allo
scopo di frequentare coloro che sembra siano stati i suoi maestri spi
rituali: Majd ad-dio Baghdiidi e Najm ad-dio Kubrà.2 Non minore
influenza esercitò su di lui la madre, di cui spesso è ricordata la pietas,
come ad esempio nel romanzesco Khusraw-niima. Intorno al 1222 egli
avrebbe incontrato a Nishàpiir il giovane Riimi cui donò, secondo la
tradizione, il manoscritto del suo Asriir-Niima, quasi un passaggio del
le consegne di cui è rimasta traccia in un verso di Riimi, che dice :
« 'Anar fu lo spirito e i suoi due occhi furono Sanà'i; noi dopo Sanii'i
e 'Attiir siamo venuti! » .
Incerte sono anche le circostanze della sua morte, probabilmente av
venuta nella città natale tra il 1230 e il 1 234, in concomitanza con
l'invasione mongola. Secondo una curiosa leggenda, un soldato dell'eser
cito mongolo gli mozzò la testa con un fendente, ma 'Attiir impertur
babile la raccolse e se la rimise sul collo : doveva portare a termine un
poema e la morte poteva quindi attendere.
Nell'arco secolare della sua vita, 'Anar fu testimone della lunga pa
rabola discendente della potenza selgiuchide, che doveva concludersi
nella prima metà del secolo xm con il trauma della conquista mongola.
I Selgiuchidi, dinastia di origine turca, avevano governato un territorio
vastissimo estendentesi dal confine indo-afghano alla Siria, ossia ai li
miti dell'occidente bizantino, e dall'Asia centrale ai deserti dell'Ara
bia, ove fronteggiava l'Egitto anti<aliffale dei Fatimidi. Essi avevano
ereditato con la presa di Baghdad ( ro,) le disperse membra del califfa
to abbaside, cosi ricostituendo dopo secoli l'unità politica , dell'Islàm
sunnita. Genti arabe, persiane, turche, indiane e bizantine avevano da
to vita a una civiltà cosmopolita e urbanizzata che favori un'eccezio
nale fioritura delle arti, di scuole e università (celebre la Ni�àmiya vo
luta dal visir N� al-Mulk a Baghdad) e un ampio sviluppo dei com
merci con l'occidente cristiano.3
:B questa l 'epoca in cui la teologia ortodossa riceve la sua definitiva
sistemazione ad opera della scuola asharita e di Al-Ghazali, ma è anche
il momento di maggior fortuna dei divulgatori della gnosi ismailita e
dell'istituzionalizzazione dei movimenti mistici.
II
III
IL MAN'!'IQ A'!'·'!'AYR: LOGICA DEGLI UCCELLI E MOTIVI FORMALI
Il motivo, platonizzante, dell'uccello-anima che, caduto dal nido po
sto sull'albero primevo, s'impiglia nella rete del corpo (una delle pri
missime immagini del poema) o del mondo è assai ricorrente nella poe
sia persiana insieme a quello, strettamente connesso, della Fenice-Si
murgh, uccello simbolo di Dio che nidifica sull'albero della vita, già pre
sente nella letteratura antica e medio-persiana. Le fonti coraniche del
motivo sono rintracciabili nella sura xxvii in cui Salomone, alla testa di
un'armata di uomini, jinn e uccelli, recita: « O gente, ci fu insegnato
il linguaggio degli uccelli ... », parole che secondo la critica persiana ispi
rarono ad 'Anar il titolo dell'opera. Tuttavia « mantiq » è termine dal
l'ampio spettro semantico (linguaggio, discorso, verbo, logica, dialetti
ca) per cui ci pare possibile, e forse più suggestivo, interpretare come
« Il verbo » o « La logica degli uccelli » che, con elegante ironia, indi
viduerebbe proprio nei filosofi, e nei razionalisti in genere, i principa
li destinatari del messaggio di 'At�r. Alla logica della ragione, in defi
nitiva, si opporrebbe una « logica » del cuore, la sola che può permet
tere agli uccelli di sondare i misteri del divino. La filosofia infatti di
viene oggetto di pesanti invettive nell'ultima sezione del poema, laddo
ve l'autore ci parla di se stesso e delle finalità della propria opera. E
concludendo una lunga apostrofe contro i filosofi, 'Anar esorta i vian
danti a « scegliere la scienza di Medina » e a « spargere sulla Grecia
la polvere dell'oblio » (Man#q a!-Tayr, edizione Mashkiir - d'ora in
poi abbreviato in MT, p. 291 , v. 15).
Nelle lettere arabe e persiane il linguaggio degli uccelli è l a lingua
esoterica per eccellenza, sin dalle prime opere in cui compare il tema
del viaggio degli uccelli, comunemente ritenute le fonti prossime del
MT. In primo luogo il breve trattato allegorico Risiilat a!-Tayr (Epi
stola degli uccelli) scritto in arabo da Avicenna, ove è descritto il viag
gio attraverso otto montagne di uno stormo di uccelli che, fuggiti dal
le gabbie in cui erano prigionieri, si dedicano alla ricerca del loro re che
abita oltre l'ultima vetta; quindi un'omonima opera del già ricordato
Al-Ghaziili, con la variante che gli uccelli individuano il re nell'araba
fenice. Si possono aggiungere i dialoghi allegorici che vedono come
protagonisti uccelli dell'enciclopedia araba degli Ikhwiin a�-Safi (Fra-
telli della Purità) del x secolo, di tendenza ismailita; il racconto 'Aql-i
surkh (L'intelletto rosso) del filosofo gnosticheggiante Suhravardì (mor
to nel I I9I ) e, del medesimo autore, Ghurbat al-Gharbiya (L'esilio oc
cidentale) , che tratta lo stesso argomento dell'Epistola di Avicenna.9
Il poema inizia con una canonica invocazione a Dio, al profeta Mao
metto e ai quattro califfi. Emergono sin dalle prime pagine i tratti tipici
di una « teologia negativa » giacché « tutto quanto di Lui tu dica, Egli
non è » (MT, p. 7, v. 14) e « di Lui non esiste altro segno che il non
segno » (MT, p. 8, v. 2). Anzi, ogni teologia pare condannata a risol
versi in sterile antropologia se « per quanto di Lui si dica, è di se stes
si che si parla » (MT, p. 7• v. 20). A colmare questo abisso di incomu
nicabilità, a mediare tra Dio e l'uomo, non è tanto la legge del profeta
quanto l'opera dello shaykh, maestro e guida spirituale degli eletti nel
cammino dalla legge rivelata (shari'at) alla verità nascosta (l}aqiqat),
protagonista solitario e spesso incompreso d i una « maieutica » del
cuore. L'upupa, che nel Corano è messaggera di Salomone .presso la re
gina di Saba (xxvn, 28), emerge come il Virgilio del poema attariano,
e, in questa veste, si propone alla moltitudine degli uccelli, prometten
do di guidarli nel lungo viaggio alla ricerca di Simurgh, il mitico re
che vive al di là dei confini del mondo. Ma gli uccelli esitano, ognuno
di loro accampa pretesti, ha un dubbio da esporre all'upupa che, ora
pazientemente ora duramente, risponde alle domande più o meno sin
cere.
Questi dialoghi sono sempre seguiti da racconti di carattere aneddo
tico che ne illustrano il tema principale. � questa la sezione più consi
stente del MT (circa i tre quinti dell'opera) e, data la varietà c la na
tura degli argomenti - la morte, l'ambizione, l'amore, l'appagamento
eccetera - ne costituisce la parte più didascalica.
L'ultima sezione del poema, che in alcuni manoscritti compare con
il titolo di Maqamat ar-Tuyur (Le stazioni degli uccelli), inizia con la
descrizione delle sette valli lungo cui si snoda la mistica via: ricerca,
amore, conoscenza, distacco, unificazione, stupore e annientamento, una
simbolica rappresentazione degli stadi attraverso i quali l'anima, con co
stante progressione, attinge la perfezione mistica (idea tipicamente gno
stica cui corrispondono i diversi gradi o livelli di iniziazione spirituale).
Finalmente gli uccelli partono, ma il loro viaggio è condensato in
pochi versi in cui è detto che di centomila solo trenta giungono, stre
mati, alla sospirata corte. In effetti la vicenda degli uccelli si configu
ra come una storia-cornice che si conclude con l 'incontro dei supersti
ti con Simurgh. Si-murgh, il « Trenta-uccelli », è in realtà lo specchio
dei trenta uccelli che giungono alla sua corte e così l'esplorazione atta
riana del « mare dell'anima » si compie nella scoperta della sua totale
identità con il Mare divino.
Non ci troviamo dunque di fronte a un poema narrativo, sebbene
questo elemento non sia assente, ma a un libro di carattere sapienziale,
in cui l'allegoria del viaggio degli uccelli lascia trasparire e a volte emer
gere chiaramente l'intento didascalico.
La « narrazione » attariana si distingue per le trame assai scarne e la
quasi staticità dell'azione ; minima è la caratterizzazione dei personag
gi, stilizzata e spesso simbolica la descrizione di luoghi e persone. Il vol
to dell'amata, per esempio, è sempre un volto di luna ( simbolo dell'uni
tà divina) celato da un fitto viluppo di riccioli neri (allusione alla plura
lità del mondo fenomenico) . La bocca è una fessura pressoché invisibi
le ( simbolo dell'inaccessibilità di Dio) entro cui si nascondono denti
splendenti come gli astri (i divini segreti ) .
Nell'epilogo 'AWir c i esorta a rileggere più volte i suoi versi per
ché << da questa velata sposa a uno a uno cadranno i veli, tra mille
moine ,. (MT, p. 288, v . .5) e ancora, quasi a ribadire il valore strumen
tale della sua arte: « i figli dell'illusione sono naufragati nella musica
dei miei versi, ma i figli della realtà hanno penetrato i miei segreti »
(MT, p. 287, v. 16). Fra i due poli ddl'essere, Realtà e Illusione, il lin
guaggio di 'Attir vuole instaurare, a volte soltanto suggerire, una cor
rispondenza biunivoca e cosl i termini, le immagini, le trame rivdano
spesso un'ambiguità di significati. Cosl gli amori terreni diventano me
tafore dd divino amore; la tirannia dei re mondani rimanda alla si
gnoria esclusiva e prepotente del Sovrano celeste; la trasgressione im
plicita nei deliri dell'innamorato rinvia alla blasfema follia dei sufi.
La tipologia dell'azione umana è dunque assunta a trasparente para
digma dell'esperienza mistica, l'Azione per eccellenza, in una prospet
tiva che se nega, com'è ovvio per un mistico, qualsiasi autonomia a de
stini e valori terreni, attribuisce loro una rilevante funzione in chiave
di ermeneutica spirituale. Qui il platonismo non è puro elemento for
male, bensl la -traduzione sul piano retorico di una complessa concezio
ne del mondo e nello stesso tempo l'indicazione « pratica » di un pos
sibile itinerario di salvezza. Il viandante di 'Anar legge, ma non giudica
la storia, e nella illusoria pluralità fenomenica sa scorgere i simboli di
un Reale arcano e ineffabile. « Il "conoscente" interroga tutto, anche le
esperienze più insignificanti, sul suo valore paradigmatico... indipenden
temente... dal significato o non significato che possano avere agli occhi
del "non-conoscente " ».Io
Per lui « agire » significa ricercare nella lunga teoria di questi sim
boli una direzione al cammino lungo la via del « ritorno » perché « è ne
cessario tornare all'Origine, pura e autosufficiente » (MT, p. 277, v. z),
ossia allo stato senza tempo della primitiva unione con Dio. Nel suo
incessante peregrinare, l'uomo della via è accompagnato da un intimo
dolore, che è pena amorosa e pena della separazione. E infatti se « agli
angeli è dato amore, non dolore ,., in quanto ignorano il dramma della
separazione, « il dolore non si addice che all'uomo ,. (MT, p. 76, v. x6),
ossia all'angelo « caduto » (idea qui implicita, che si ritrova nella filoso
fia isxnailita) . :t dunque questo dolore (funzionalmente vicino al plato
nico eros) che sprona e guida il viandante nel suo ritorno all'Amico
perduto. Questo non gli impedisce di innamorarsi di bellezze terrene
giacché il volto dell'amata è ai suoi occhi compiuta teofania. Così per
lei egli infrange la legge ed esce dal sentiero dell'ortodossia, abbando
na la fede tradizionale e si ubriaca col vino proibito. L'uomo di Dio,
secondo 'Attir, dovrà superare il bene e il male, la fede e l'empietà
perché l'ingiustizia del mondo è, nel Reale, perfetta giustizia e l'em
pietà dei viandanti serena pietà. Non importa dunque se il viaggio del
« ritorno ,. si compia lungo itinerari palesemente assurdi: il viandante
è chiamato a deviare, la logica della sua azione non è rintracciabile al
livello storico-fenomenico, giacché solo « ... se questa sarà empia ricer
ca, potrà dirsi azione e non effimera avventura » (MT, p. 1 14, v. 7).
In effetti, il messaggio di 'Attir sembra indirizzato soprattutto con
tro il dogmatismo e il legalismo di cui si ammanta la fede tradizionale
e in quest'ottica il ripudio dell'Islim di sbaykh $an'in diventa metafo
ra dell'autoliberazione, della ricerca di un rapporto più autentico con il
divino. In proposito l:lallii auspicava « ... che Dio veli ai tuoi occhi
l'apparenza della Legge e ti riveli il fondo reale dell'empietà. Perché
l'apparenza della Legge è empietà travestita, e il fondo reale dell'empie
tà è conoscenza manifesta ».11 Ma per arrivare a tanto, per carpire i
« segreti ,. della conoscenza, gli uccelli dovranno subire un radicale
mutamento, abbandonando movenze e discorsi femminei per assumere
una nuova identità virile, giacché l'alcova del cuore, che è descritta co
me lo specchio in cui l'Amico suole contemplarsi, è preclusa a chi non è
« uomo » sulla via d'amore. Qui maschile e femminile vanno intesi co
me categorie generali dello spirito e nello stesso tempo come modalità
metafisiche dell'anima umana _l2
Può sorprendere che nel MT realtà opposte e inconciliabili, quali, ad
esempio, l'esperienza del mistico e quella dell'uomo di mondo, siano
analizzate negli stessi termini (amore, stupore, ambizione, fortuna, do
lore, empietà, azione ecc. ), quasi fosse un codice in cui ogni cifra ha
doppia valenza e rinvia, implicitamente, al duplice piano significante
di realtà (spirituale) e illusione. Se quanto accade o agisce nel secondo
(la non-realtà) è immagine capovolta di ciò che avviene nel primo, il lin
guaggio bivalente di 'A��iir si piega alle esigenze di questa corrispon
denza metafisica, registrandone ogni aspetto con straordinaria precisione.
Man mano che si procede nella lettura, questo linguaggio così sa
pientemente ambiguo ingenera un'impressione di oscurità, di equivoco
sistematico. In realtà l'ambivalenza di molti termini chiave, la specu
lare opposizione dei contesti implicati, si traduce in una organizzazione
« caleidoscopica » del senso. Esemplare è il già ricordato racconto di
shaykh San'an, in cui gli elementi mitici e lessicali (pure · cifre di un co
dice simbolico complesso ma preciso) suggeriscono attraverso un gioco
di rimandi interni una lettura stratificata.
Questo linguaggio, ora allusivo ora scopertamente traslato, comun
que tendente a confondere, a suscitare una pluralità di significati, pare
funzionalmente connettersi con un programmatico invito alla « follia »,
all'uscita da sé per entrare nel Sé, stato spirituale che l'iniziato raggiun
ge nel superamento di ogni visione dualistica della realtà metafisica
(spirito-materia), etica (bene-male, fede-empietà), psicologica (pensante
pensato, io-tu). Questa rinuncia alla ragione è da interpretare non sol
tanto come un capovolgimento mistico dei valori o il luogo retorico del
la mistica autodenigrazione, ma anche come una originale gnoseologia
dello spirito. A questo sembrano volere condurci le innumerevoli « sto
rie di folli », le ripetute esortazioni a ripudiare la ragione, la stessa
definizione che 'Atçiir ci offre della sua opera: « questo mio libro è
compiuta follia, la ragione è totalmente estranea al mio sermone »
(MT, p. 292, v. 9).
In conclusione, il tentativo di destrutturare il pensiero razionale, per
sua natura dualizzante, sembra costituire il punto cruciale della soterio
logia di 'Atçiir, la condizione preliminare che i viandanti dovranno ne
cessariamente soddisfare per ottenere l'accesso al mistero dell'unità di
vina (taw�id): concezione sintetizzata con pitagorica efficacia nella for
mula « da due divieni Uno! » (MT, p. 9, v . 8). Così l'unione cui attin
gono i trenta uccelli superstiti che, sollevando l'ultimo velo d'illusio
ne, riconoscono nel volto di Simurgh il loro stesso volto, si risolve nel
l'autoidentificazione del soggetto con l'oggetto della lunga ricerca. Una
conclusione che autorizzava von Hammer a parlare di « radikaler Auti
smus » in un quadro di sostanziale solipsismo mistico, estraneo tanto
a una concezione panteistica quanto a quella di un Dio trascendente,
cioè alle due posizioni, tra loro alternative, che sono state di volta in
volta attribuite ad 'Attiir.U
Per descrivere l'u�ione mistica 'Atçiir ci offre le suggestive immagini
dell'ombra che si ricongiunge con il sole, della goccia che rientra nel
mare, cessando in quanto goccia di esistere. Il « ritorno » dell'anima si
configura come un processo di autoannientamento (fanii'), di definitiva
dissoluzione di ogni forma individuale di esistenza nell'eternità (baqii')
del Tutto originario. Questo « ritorno » si precisa inoltre come una
azione necessaria e universale giacché, più o meno coscientemente, « tut
ti agiscono, nessuno resta inattivo » (MT, p. ' v. ,).
'
Alla sua logica dualizzante, fonte di una strutturale incapacità a co-
gliere ciò che oltrepassa il dato fenomenico, l'uomo di 'Attiir dovrà
sostituire una logica totalmente nuova, conquistata attraverso un lun
go travaglio interiore. Egli è invitato a procedere oltre il bene e il ma
le, il tu e l'io, la realtà e l'illusione: non distinguerà più se stesso dal
l'Amato, come l:lalliij che sul patibolo grida: « Io sono Dio ». Un pen
siero, quindi, che continuamente trascende i termini di ogni contraddi
zione e ne postula una sintesi originaria pre-logica, vera coincidentia
oppositorum, di cui essi costituiscono le articolazioni negative e contin
genti.14
Questa logica della contraddizione non era estranea alla tradizione
mistica anteriore. Già in Biiyazid Bistiimi (di cui è famoso il detto: « Lo
de a Me! »), nota Corbin, c'era « une conscience de l'etre sous la for
me de Moi (ana'iya), la forme de Toi (antiya) e la forme de Soi (ho
wiya, l'ipséité, le Soi). Dans cette gradation de la conscience de l'etre,
le divin e l'humain s'unifient et se réciproquent dans un acte trascen
dent d'adoration et d'amour ,._1s Ed essa è anche sottesa alla « dialetti
ca del satanico » di Al-'Aziiqir, secondo cui Dio si incarna in Adamo e
in Satana, in una serie di profeti e nelle rispettive controfigure satani
che; teoria fatta propria nella sostanza dal contemporaneo l:lalliij per
il quale « le cose si conoscono attraverso i loro contrari ». 16
Per 'Attir, in definitiva, l'iniziato dovrà muovere un radicale attac
co ai presupposti della logica aristotelica, significativamente bollata nel
l'epilogo come sterile « scienza della polemica » (MT, 291 , v. 12), so
stituendovi gradualmente la visione unificante che è propria dell'« oc
chio del cuore ». Al ritorno dell'anima alla primitiva unione con Dio,
non può non corrispondere la ricomposizione di ogni scissione sul pia
no logico-cognitivo. Cosl nella concezione attariana, processo spiritua
le e processo conoscitivo manifestano una ineluttabile circolarità, si ri
solvono necessariamente in una reductio ad unum. « Uno dei temi prin
cipali [in 'Anar] è senza dubbio la tri-fasicità di tutto ciò che accade:
essere in Dio - essere separato da Dio - ritorno a Dio, un pensiero che
lega 'Attir tanto alla gnosi che alla tradizione religiosa iranica », osser
va LentzP
Analogamente, sul piano poetico, la reductio si traduce nell'assidua
ricerca di un linguaggio bivalente, che compendia e « unifica » al livel
lo del significante polarità semantiche e contestuali.
Cosl nel MT le scelte e i motivi stilistici si fanno veicolo di un com
plesso messaggio, piegandosi alle finalità di una ermeneutica (e di una
prassi) spirituale. Solo chiarendo il significato di queste ultime risulta
possibile cogliere appieno il valore espressivo di quelle scelte e la ric
chezza di un linguaggio che sarà ripreso e ulteriormente elaborato nella
poesia posteriore.
IV
NOTIZIA BIBLIOGRAFICA
Il massimo studioso occidentale dell'opera di 'Attir, H. Ritter, ha
sistemato la copiosa, e in parte ancora inedita, produzione attariana
suddividendola in tre gruppi di opere. Citiamo le principali tra quelle
sicuramente autentiche,IB collocate nel primo gruppo: il Divan o Can
zoniere, costituito da odi, quartine e altri componimenti di carattere mi
stico; Tadhqirat al-Awliya (Memoria dei santi), opera agiografica con
tenente le biografie spirituali di settantadue sufi; Khusraw-nama (Ro
manzo di Khusraw), poema di tono romanzesco; e ancora alcuni math-
navi mistici (poemi di caratteri didascalico in distici a rima baciata) tra
i quali ricordiamo: Ilahi-nama (Il libro divino), Pand-nama (Il libro dei
consigli), Asrar-nama (Il libro dei segreti), Mu�ibat-nama (Il libro delle
avversità) e il Man[iq a!-Tayr. Quest'ultimo conobbe vasta fortuna, te
stimoniata dalla diffusione delle sue redazioni manoscritte in un'area
compresa tra l'Asia minore e il subcontinente indiano. Citiamo i più
antichi: 1 ) due manoscritti del secolo vn dell'egira, copiati da Ibrahim
b. 'Avaz Maràghi e appartenenti al museo di Konya; 2) il manoscrit
to n. 443 della (ex) Biblioteca Reale di Teheran, copiato nel 731
( 1330·3 1) da Abii Bakr b. Mu}:!ammad Isfirayini; 3) il manoscritto
n. I l47 della Biblioteca del Parlamento di Teheran che risale all'837/4o
( 1433/36), che comprende anche altri mathnavi.
L'opera fu tradotta in urdu da Wajh ad-din, noto anche come
Wajdi, agli inizi del xviii secolo; una versione turca fu pubblicata a
Costantinopoli nel 1857. Dello stesso anno è la prima edizione critica
del testo persiano dovuta all'orientalista francese Garcin de Tassy (Man
tic Uttair ou Le langage des oiseaux, publié en persan par M. Garcin
de Tassy, Paris 1857) il quale ne curò anche la prima traduzione in
una lingua europea ( 1863). La presente traduzione è stata condotta sul
l'edizione critica curata da M.J. Mashkiir (Teheran 1968); in via sussi
diaria si è consultato anche il testo curato da S.S. Gawharin (Teheran
1969), che tuttavia si differenzia largamente dal primo per la disposi
zione del materiale testuale e per l'assenza di alcuni aneddoti.
In occidente il massimo studioso dell'opera attariana è, come abbia
mo detto, H. Ritter che ne ha raccolto e analizzato i motivi e le tema
tiche in Das Meer der Seele (Leiden 1955) facendo riferimento non so
lo al Man[iq af·Tayr, ma anche ad altri tre mathnavi del primo gruppo
(Ilahi-nama, Asrar-nama e Mulibat-nama). Un bilancio complessivo del mo
numentale lavoro di Ritter è tentato da W. Lentz in 'Affar als Allego
riker, pubblicato sulla rivista « Islam » xxxv ( 1 96o), in cui viene anche
compiuta una penetrante analisi strutturale della parabola di chiusura
del Man{iq at-Tayr. Un elenco completo di articoli, saggi e contributi va
ri su 'Anar è reperibile in J.D. Pearson, « Index Islamicus, 1906-1955·
A catalogue of articles on Islamic subjects in periodicals and other col
lective publications », Cambridge 1958. Supplementi sono usciti con ca
denza quinquennale.
NOTE