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S. Gasparri
ALESSANDRO LATROFA
1
Indice
La conquista longobarda e la formazione del regno .............................................................................................. 3
Il quadro territoriale ............................................................................................................................................. 3
La sorte delle élites e la fine della tassazione ..................................................................................................... 4
L’insediamento longobardo................................................................................................................................. 4
L’editto di Rotari e la corte regia ......................................................................................................................... 5
Cultura romana e cultura barbarica nel secolo VII .............................................................................................. 6
La società longobarda del secolo viii. il regno, le élites e l’inquadramento cattolico della popolazione ............ 7
Re, duchi e gastaldi............................................................................................................................................... 7
Le terre del re ....................................................................................................................................................... 8
Gli arimanni e l’esercito ........................................................................................................................................ 8
Le inchieste di Liutprando .................................................................................................................................... 9
Per la salvezza dell’anima ................................................................................................................................... 10
Le élites del regno ............................................................................................................................................... 10
Le grandi proprietà fondiarie ...............................................................................................................................11
I mercanti e il denaro: la famiglia di Totone ........................................................................................................11
I vertici dell’aristocrazia ...................................................................................................................................... 12
Roma e i longobardi. Dalle origini all’età di Liutprando ........................................................................................ 13
I primi contrasti.................................................................................................................................................... 13
Missionari orientali ed eretici: un mito da ridimensionare ................................................................................ 13
L’offensiva di Liutprando .................................................................................................................................... 14
L’attivismo di Gregorio III.................................................................................................................................... 14
I viaggi di papa Zaccaria ...................................................................................................................................... 15
Una situazione fluida ........................................................................................................................................... 15
Il passaggio dai longobardi ai carolingi .................................................................................................................. 16
Essendoci stato consegnato il popolo dei romani ............................................................................................. 16
Dagli interventi di Pipino alla conquista del regno ............................................................................................ 16
La superiorità militare dei franchi ....................................................................................................................... 16
I problemi interni di Desiderio ............................................................................................................................ 17
Sottomissione e rivolte ....................................................................................................................................... 17
La donazione di Carlo Magno e la costituzione di Costantino .......................................................................... 18
La conquista franca si consolida ......................................................................................................................... 18
La fase più dura dell’occupazione ...................................................................................................................... 19
Vassalli e signori................................................................................................................................................... 19
Narrare la caduta. La fine del regno longobardo fa propaganda e memoria...................................................... 20
La voce dei vincitori e quella dei vinti ................................................................................................................ 20
La propaganda papale: le lettere....................................................................................................................... 20
ITALIA LONGOBARDA INDICE
2
ITALIA LONGOBARDA
3
Ucciso Alboino nel 572 per intervento dei Bizantini, i Longobardi rallentarono; da questo momento possiamo
parlare di una guerra per bande. Questo carattere della loro presenza divenne rilevante quando nel 574
rimasero per 10 anni senza un re, ma obbedirono ai capi militari del popolo (duces). I diversi capi longobardi
guidarono i loro guerrieri verso ovest (Torino e Asti) e al di là degli appennini in Toscana; contemporaneamente
altre bande avevano creato due capisaldi a Spoleto e Benevento, iniziando la conquista del Centro-Sud.
Quando nel 584 venne eletto re Autari, buona parte dell’Italia era nelle loro mani, ma il quadro territoriale si
stabilizzò molto più tardi, con le conquiste di Agilulfo nel VII, che sottomise Padova, Mantova e Monselice, e
soprattutto con Rotari, che invase la Liguria e quasi tutto il Veneto costiero. Da questo momento, i limiti
territoriali rimasero pressoché inalterati fino all’età di Liutprando.
L’insediamento longobardo
La situazione determinata dal primo impatto dell’invasione longobarda fu senza dubbio transitoria. I rapporti
politici e sociali all’inizio del nuovo regno erano destinati a mutare rapidamente.
Uno dei problemi più pressanti per la storiografia è rappresentato dal come e dove i Longobardi si stanziarono.
L’idea di un’occupazione militare porta con sé l’idea dell’esistenza di quartieri separati per gli indigeni della
penisola e gli invasori; i secondi avrebbero occupato i luoghi più importanti della vecchia città romana oltre ai
luoghi strategicamente più favorevoli. Degno di nota è il fatto che questi gruppi avrebbero lasciato traccia di
sé non solo tramite sepolture di fattura longobarda, ma anche per l’elaborazione di tipi di edilizi particolari
costruendo un modello etnico dell’edilizia urbana che consente di trovare i Longobardi.
Altri studi hanno dimostrato che non si può parlare di una differenza nella natura del fenomeno urbano tra
città bizantine e città longobarde.
Un dato comunque è certo: le città mantennero la loro centralità nel regno fondato dai Longobardi. Tuttavia
viste le grandi difficoltà dell’archeologia urbana, dovuta alla fortissima continuità dei centri abitati urbani, è
fuori dalle città che troviamo la maggior parte dei reperti archeologici attribuiti ai Longobardi. L’idea che i pochi
invasori avessero potuto occupare il paese in modo capillare non è molto plausibile. Dobbiamo resistere quindi
alla tentazione di vedere l’intera presenza longobarda sotto l’esclusiva esigenza strategico-militare; queste
esigenze furono importanti, ma già nel VII secolo il processo di fusione tra indigeni e invasori dovevano essere
molto avanti. Tutt’oggi non risultano identificabili reti confinarie di castelli longobardi, ciò non vuol dire che
non ci fossero castra; ma questi castelli non sono sempre facilmente individuabili.
È indubbio invece che le vere fortificazioni confinarie dovettero essere di modesta entità. Processi di fusione,
invisibilità di insediamenti e la difficoltà di interpretare i corredi funerari (non solo gli oggetti circolavano tra le
due popolazioni, ma nelle tombe appaiono anche oggetti bizantini). L’interpretazione etnica dei corredi è stata
ormai decisamente superata a livello scientifico.
In conclusione le élite del nuovo regno dovette assumere caratteristiche etniche e culturali miste, anche se
essa tendeva a presentarsi come un'aristocrazia guerriera. Non bisogna pensare ai Longobardi come un
popolo a sé nel regno, la realtà nel VII secolo era infatti ben diversa.
Un altro aspetto importante dell’editto è l’imposizione di un sistema di multe per punire i reati, teso ad evitare
lo scatenamento di faide tra famiglie. La proibizione della faida è accompagnata dall’applicazione di diverse
riparazioni in base a quanto l’offeso è stato valutato.
Nei casi di reato più grave (politico, uccisione del dominus), l’editto prevedeva un pagamento diretto al re; nei
casi meno gravi il re incassava metà della multa. Siccome le multe erano molto alte, è praticamente certo che
venissero pagate mediante concessioni di terre. In questo modo il patrimonio del fisco aumentava, potendo
distribuire i terreni ai propri fedeli e alle reti clientelari. C’era quindi continuamente un flusso di terre in entrata
e in uscita, che alimentava in modo inesauribile la fonte di ricchezza e di potenza politica rappresentata dalla
curtis regia. I principali interessi dell’editto stanno altrove.
I fondamenti del potere pubblico che ricaviamo dall’editto di Rotari sono il possesso della terra fiscale e il
meccanismo giudiziario che produce le multe. Queste sono dunque le basi del regno longobardo.
Quando qualche anno prima dell’incoronazione di Ildeprando, Liutprando aveva deposto sulla tomba di san
Pietro una serie di oggetti simbolici legati alla sua fisionomia di re guerriero e di sovrano cattolico: un mantello,
un bracciale, una cintura, due spade (spatha e ensis), una corona d’oro e una croce d’argento. La lancia, vera
insegna della regalità, non viene inclusa, dato che questa sarebbe stata una forma di sottomissione del re a
san Pietro (e dunque il papa).
Le terre del re
I legami fra il centro e la periferia non erano facili: Il fatto stesso che le assemblee pavesi si svolgessero i primi
di marzo è la prova indiretta che i collegamenti materiali fra le diverse aree del regno per molti mesi erano
molto difficoltosi. Non era solo un problema di vie e trasporti, ma la stessa autorità del re che doveva imporsi
sulle periferie e, con essa doveva essere salvaguardato il godimento del patrimonio fondiario.
Nell’VIII secolo il re è ancora capace di imporre la sua giustizia anche al di fuori delle terre del re (Italia a nord
del Po), e la prova la troviamo in una serie di documenti pubblici che riportano gli esiti di inchieste giudiziarie
condotte da agenti regi (in Toscana e Spoleto) in territori periferici.
Nel 747 il messo regio Insario, inviato dal re Ratchis, fece un’inchiesta in Sabina, nel cuore del ducato spoletino
per tutelare i diritti del monastero di S. Maria di Farfa, che aveva ricevuto dal duca Lupo il possesso dell’intero
gualdo pubblico di S. Giacinto. Con la parola gualdo si intendeva un vasto complesso di beni pubblici, composto
da terre coltivate, incoltivate e boschive. Essendo una donazione cospicua, Insario doveva risolvere i numerosi
contrasti che erano sorti al momento del passaggio di proprietà del gualdo. Sulle terre del gualdo non troviamo
solo contadini, ma anche actores (agenti del fisco) evidentemente fedeli del re. Emerge un intrico fittissimo di
condizioni sociali diverse e di legami con il re, il duca di Spoleto e con il gastaldo di Rieti, il tutto fondato sullo
sfruttamento del gualdo di S. Giacinto, il cui passaggio a Farfa poteva mettere a rischio gli equilibri sociali.
L’intervento da parte di re Ratchis ci dà la prova della capacità regia di agire capillarmente, ma ci fa capire che
il valore economico fondamentale dei possessi fiscali periferici era quello di mantenere le gerarchie dei
funzionari locali che il re si era costruito negli angoli del regno, tramite lo sfruttamento delle terre e del surplus
prodotto.
Le curtes padane fornivano la maggior parte del sostentamento diretto del re e alla sua politica. Anche se
qualche piccolo trasferimento dalla periferia verso il centro c’era, esso doveva avere prevalentemente il
carattere di riconoscimento della supremazia regia, più che un valore economico in sé. Il regno longobardo,
come gli altri regni postromani, si basava sulla rendita fondiaria delle terre pubbliche e non sulle tasse. I legami
con la periferia venivano mantenuti installando a capo dei ducati più periferici dei duchi legati strettamente al
re: per esempio Liutprando nominò 4 nipoti a capo dei ducati di Chiusi, Spoleto e Benevento.
Le inchieste di Liutprando
Negli anni 713-717 re Liutprando ordinò l’esecuzione di una complessa inchiesta che ebbe pesanti strascichi,
relativa alla zona di confine tra le civitas Siena e Arezzo. Il problema era quello di stabilire l’appartenenza di
alcune parrocchie all’una o all’altra diocesi, e all’ambito territoriale di una o l’altra civitas. Nei diversi atti
giudiziari sfila una colorita folla di persone, tutti riconoscibili per il loro tenace attaccamento alla chiesa
episcopale alla quale sentivano di appartenere dalla nascita. Il più interessante di tutti è il resoconto
dell’inchiesta fatta dal notaio regio Gunteram, inviato a Siena nel 715. In esso tutti i testi dichiarano la loro
appartenenza alla chiesa aretina. L’azione del vescovo di Siena è sentita dagli interrogati come una violenza
per i modi e perché interviene a sconvolgere gli equilibri consolidati da generazioni. Uomini di chiesa e laici
dicono le stesse cose nelle righe d’inchiesta di Gunteram, dove riferiscono di essere legati alla chiesa di Arezzo,
dove sono stati battezzati loro e i figli; mentre il gastaldo senese voleva allontanarli per catturare la devozione
degli abitanti della zona.
Il conflitto è complicato perché le pievi contese sono in territorio senese, quindi sia il vescovo che il gastaldo
vogliono portarle sotto la dipendenza ecclesiastica di Siena. Di qui l’asprezza dell’intervento di minaccia per
intimidire i testimoni a non parlare a favore di Arezzo. Ma nemmeno la sentenza a favore di questa mise fine
al conflitto.
Il punto interessante però e la popolazione, che non è divisa tra Romani e Longobardi, ma risulta compatta e
unita nella difesa delle proprie tradizioni religiose. I laici sono definiti exercitales, ma una minoranza viene
definita uomini liberi. Gli exercitales erano uomini liberi che venivano mobilitati all’esercito, dunque godevano
di una certa condizione economica. I testi laici del giudicato erano gli arimanni-esercitali. L’unica differenza fra
i termini nella fonte è che exercitales era un termine più colto di arimanno. Gli arimanni non rappresentavano
quindi un gruppo particolare della popolazione del regno, né erano i discendenti diretti degli invasori.
Le leggi di Astolfo del 750 dimostrano che la scelta per l’esercito militare riguardava la ricchezza e non l’etnicità.
In conclusione possiamo dire che gli abitanti liberi del regno erano longobardi, o arimanni, nel caso in cui
fossero ricchi abbastanza per entrare nell’esercito.
C’è da chiedersi se i personaggi più ricchi citati nella legge rappresentino davvero il vertice della società del
regno. Probabilmente no, in quanto una ricchezza così misurata (7 case massaricie) è troppo scarsa per indicare
realmente l’aristocrazia. Le basi economiche di questa erano infatti più consistenti dato che potevano arrivare
a possedere intere curtes. Rispetto all’aristocrazia franca, quella longobarda era inferiore, ma il rapporto
aristocrazia-potere regio era lo stesso. I re Longobardi utilizzarono i doni come strumento di collegamento
clientelare con il ceto superiore della società.
Tali doni sono relativamente ben documentati nelle carte d’archivio. La presenza di numerosi donazioni da
parte dei duchi ai propri fedeli, autorizza a pensare che i re Longobardi agissero alla stessa maniera, e alcuni
indizi ci sono rivelatori. Ci sono 12 diplomi ritrovati in un archivio familiare, quello dei Ghittia; e dei documenti
di donazione ai privati, in un documento di Liutprando a favore di Piccone.
La modestia delle donazioni fa pensare ad una presenza capillare all’interno del regno, che andava al di là del
gruppo aristocratico; i documenti delle donazioni, inoltre, riguardano soprattutto le periferie come Spoleto e
la Toscana.
L’aristocrazia traeva buona parte della sua forza proprio dalla contiguità al potere regio. Il rapporto clientelare
dei gasindi era indubbio. Basta pensare che nei documenti di Ghittia, un parente aveva conservato un
documento relativo a una controversia sorta fra due civitates. Il patrimonio della famiglia quindi si era formato
all’ombra del re; e la posizione della famiglia risale al VII secolo. La tipologia di ricchezza, nella famiglia di Ghitta
emerge la terra come fattore decisivo; al tempo stesso tre carte fanno riferimento all’acquisto di un mundio di
uomini e donne, collegandoli all’attività di mercanti schiavisti. Dopo aver nominato i munimina (titoli di
proprietà di terre), si passa ai mobilia (oggetti di proprietà), dove figura il denaro (senza una misura), due anelli
d’oro, cucchiai d’argento, speroni d’argento e altro.
nel 788 in occasione della vendita di un appezzamento di terreno; altri sono ancora a Milano nel 796. E’ molto
poco, ma è dovuto agli usi notarili prevalenti, che fino alla prima età carolingia prediligono modi di designare
testo che solo di rado prevedono l’indicazione della professione.
L’età di Liutprando ci ha lasciato un testo, il patto commerciale fra il regno longobardo e i mercanti di
Comacchio, che risalivano i fiumi padani portando sale, spezie e tessuti preziosi.
Questo patto è del 715 e dimostra che l’aristocrazia longobarda dell’VIII secolo era dotata di ricchezze per poter
investire in simboli di prestigio nuovi o in oggetti di consumo di lusso.
Alla metà dell’VIII secolo non si può parlare ancora di mercanti longobardi direttamente implicati in tali traffici.
Ci viene incontro il resoconto di un placito tenuto a Cremona nell’851-52 da un inviato di Ludovico II, il
consiliarius Teoderico. Lo scopo del placito era dirimere una controversia fra il vescovo locale e gli abitanti della
città, che contestavano riscossioni ingiuste di tributi legati al commercio fluviale. Dallo sviluppo della vicenda
veniamo a sapere con certezza che al tempo in cui Carlo Magno e Pipino erano entrami i re dei Longobardi
(781-810), i Cremonesi effettuavano il loro commercio del sale e spezie che andavano a prendere a Comacchio
per poi rivenderlo all’interno del regno. I loro traffici dovevano essere iniziati in quegli anni, visto che solo
intorno agli anni 20 i cremonesi cominciarono a navigare su navi proprie.
Questo documento permette di datare in modo preciso all’età di Pipino l’avvio di un commercio padano di un
certo livello a opera di mercanti locali; e più o meno nello stesso periodo, i mercanti appaiono nelle
sottoscrizioni dei documenti.
Nelle carte appare anche qualche accenno alle operazioni di prestito di denaro, praticata particolarmente da
un gruppo familiare ben documentato nelle carte: quello lombardo di Totone di Campione. Nel 748 Arighis, il
padre di Totone, prestò un solido d’oro ad Alessandro di Sporticiana, contro l’interesse annuo derivante dallo
sfruttamento di un piccolo prato. La disponibilità di denaro è una caratteristica generale della famiglia Totone.
Da molti punti di vista è un gruppo familiare anomalo perché al centro della sua attività sono colture
specializzate e traffici di denaro o di persone. Nel 777 Totone fa una donazione pro anima al monastero di S.
Ambrogio di Milano e fonda uno xenodochio (centro di ricovero per pellegrini e bisognosi) a Campione. Nel
777 tutto il patrimonio viene posto sotto tutela di S. Ambrogio. Il patrimonio era costituito da massariis,
aldiones, oliveits e altri beni immobili e mobili. Totone poteva quindi vantare di un patrimonio la cui tipologia
era quella del gran possesso terriero, nonostante l’estensione era poco notevole.
Ci che manca nelle carte della famiglia è la prova di un rapporto col potere regio, che era la normalità per le
élites, tranne in casi di opposizione politica. Totone non faceva quindi parte dell’aristocrazia longobarda.
Essendo esente però da collegamenti col potere regio, Totone non risente dei cambi di regime, durante i quali
costruisce la maggior parte della sua fortuna fondiaria, mettendosi sotto la protezione dell’arcivescovo
milanese Tommaso e S. Ambrogio.
I vertici dell’aristocrazia
L’aristocrazia longobarda sembra avere una grande disponibilità di denaro. Il denaro circolava ai livelli massimi,
ed è da tenere assolutamente in conto, poiché anche quando non ci si riferisce a soldi materiali, la ricchezza è
misurata in denaro. Il caso più clamoroso è quello della corte di Alfiano, che è stimata per 8000 solidi.
Per stimare correttamente i valori dobbiamo tenere presente le multe previste dalla legge di Rotari: il massimo
è valutato per 900 solidi per i reati più gravi. Con Liutprando le cifre aumentano arrivando anche a mille soldi.
Le cifre riportate riguardanti la corte di Alfiano dimostrano che si trovava in un livello sociale altissimo.
voluto da re Autari nel 590; segno però di una precoce debolezza dell’arianesimo. Quanto ai missionari orientali
che sarebbero stati nel cuore del regno longobardo nella seconda metà del VII secolo, non hanno nessuna
prova del collegamento diretto con il papa.
L’intero obiettivo dei missionari sembrerebbe quello di sconfiggere “l’errore degli Aquileiesi” ossia l’eresia dei
Tre Capitoli, e non l’arianesimo. Come mai il papa avrebbe sostenuto delle missioni se esse non prendevano di
mira l’arianesimo, ma un’eresia in via d’estinzione? Nel 653 l’arianesimo era stato abolito ufficialmente da
Ariperto.
I motivi possono essere due: il primo è la mancanza stabile di una dinastia regia presso i longobardi (la religione
del re non coinvolgeva il popolo). Nonostante ciò il problema tricapitolino alla fine del VII secolo esisteva
ancora, mentre l’arianesimo era già scomparso da tempo. L’eresia dei 3 Capitoli aveva resistito più a lungo
nell’Italia del Nord-est, in particolare nella diocesi di Aquileia. Sostenere lo scarso rilievo dell’arianesimo e dei
Tre Capitoli nella seconda metà del VII secolo, vuol dire togliere plausibilità allo sforzo missionario del papato
verso i Longobardi. Non rimane dunque che prendere atto che il vuoto quasi completo delle fonti longobarde
e romane relative al periodo dal 626 e gli inizi dell’VIII secolo, esprime una rarefazione dei rapporti tra regno e
Chiesa di Roma.
Questo vuoto è riempito dalle vicende di Bobbio e da due lettere di papa Onorio.
L’offensiva di Liutprando
Che i vescovi toscani si sentissero più longobardi che ligi all’obbedienza romana lo dimostra il loro
atteggiamento tenuto in occasione di una delle crisi dell’VIII secolo. È quanto emerge dal messaggio di
Gregorio III dell’ottobre 740 per i vescovi toscani, nel quale il papa li incita a recarsi presso il loro re per perorare
la consegna delle città da loro occupate. Siamo così all’VIII secolo, che segna la svolta nei rapporti fra papi e
Longobardi. La nuova fase si rispecchia un una rinnovata attenzione da parte delle fonti, nelle quali ha un rilievo
l’età di Liutprando.
In Paolo Diacono, il primo riferimento diretto ai rapporti fra il re e la Chiesa di Roma chiama in causa il
patrimonio delle Alpi Cozie, confermate alla chiesa dal re. Le lunghe guerra fatte da Liutprando vengono
limitate come contro i romani o contro i ducati di Spoleto e Benevento.
Approfittando della crisi, la situazione era favorevole per Liutprando: gli eserciti dell’Esarcato, della Pentapoli
e di Venezia si erano ribellate all’Imperatore Leone III, eleggendo alla loro testa dei duchi indipendenti da
Bisanzio. Il papa però sperava in una riconciliazione. Gregorio infatti aveva insistito presso duca e patriarca
perché lo aiutassero a recuperare la città alla respublica e agli imperatori Leone e Costantino.
Nonostante il terremoto in atto, Liutprando restituì Sutri dopo pochi giorni. La donazione di Sutri che avvenne
nel 728, sarebbe stata la prima pietra sulla quale si sarebbe costruito il futuro Stato pontificio. Nel corso di
queste vicende, Liutprando risparmiò Roma trovando un accordo con Gregorio II. Come esito dell’accordo con
l’Esarca, Liutprando sottomise i duchi, ma una volta arrivato a Roma, al posto di consegnare il papa all’esarca,
depose in S.Pietro alcune delle insegne regali. Fu una prova dell’ascesa di Gregorio su Liutprando.
Apparentemente era tutto tornato come prima.
Dalla biografia di papa Zaccaria sappiamo che il re reagì alla fuga del duca a Roma, e poiché il papa non voleva
restituirlo, aveva occupato 4 città del ducato romano. Una volta che il re torna a palazzo a Pavia, il duca si
impadronì del nuovo ducato grazie all’esercito di Roma, senza restituire le 4 città occupate da Liutprando.
Nel 714, quando il re si sta mobilitando contro il ducato romano, muore Gregorio e gli succede Zaccaria.
Gregorio muore lasciando la crisi in pieno svolgimento a Zaccaria, che riuscirà a risolverla. Il suo pontificato è
interessante perché trapelano le prime novità: il ruolo dell’esercito romano, e i capitula.
I due regni rappresentavano due strutture politiche molto evolute, ma la differenza stava sul piano militare.
Entrambi i popoli basavano la loro forza militare sulla cavalleria pesante armata. Una differenza era la ricchezza
dell’aristocrazia franca rispetto a quella longobarda.
Due esemplari tipici di questo ceto emergono dalla documentazione lucchese. Nell’agosto 755, Gaiprando
donò alla chiesa di S. Frediano una casa con il massaro perché chiamato in guerra in Francia, con la speranza di
essere ricompensato nell’aldilà. Analogo è il comportamento del pisano Domnolino, che nel 769 concede a sua
sorella di disporre di una certa quantità di beni, anche se sotto il controllo del prete Lutfredo.
Ben diverso appariva l’addestramento e l’abitudine mentale alla guerra dei Franchi; che spiega lo stato di
guerra permanente in cui versava il regno franco e la sua aristocrazia.
Sottomissione e rivolte
Se la situazione interna del regno prima del 774 era quella descritta, è evidente che l’elemento primo della sua
disgregazione non risiedeva nel fatto di confrontarsi con il papa, andando contro la causa sancti Petri.
Un rifiuto generalizzato di combattere per Desiderio avrebbe dovuto lasciare tracce evidenti
nell'atteggiamento dei vescovi: che non è riscontrabile. Al contrario ci sono segnali evidenti di un
coinvolgimento delle gerarchie ecclesiastiche nella lotta anti-franca.
Quel poco che sappiamo del comportamento dell'episcopato lombardo va in senso diametralmente opposto.
Tutti i dati concordano nel delineare un episcopato compatto dietro i loro sovrani.
Tutto ciò appare strano se noi continuiamo a leggere la storia con l’ottica deformante della vecchia storiografia
italiana. Da tale documentazione si deduce come il ceto vescovile dell’VIII secolo fosse espressione diretta del
ceto dominante del regno. I suoi esponenti erano membri delle famiglie localmente potenti e ricche di terre,
uomini e denaro. Non erano vescovi allora a contrapporsi a Desiderio, ma una parte dell’aristocrazia. Il capo
dell’opposizione di Desiderio era un certo Ildeprando. Quando Desiderio si rinchiude a Pavia nel 773, Ildeprando
viene eletto a Roma come duca di Spoleto (dopo la morte di Teodicio).
L’elezione romana di Ildeprando rappresentò una mossa molto importante per il papa Adriano I.
Solennemente, in S.Pietro, gli Spoletini promisero di entrare al servizio della Chiesa romana, dopodiché furono
tonsurati more Romanorum; solo dopo ciò viene nominato duca Ildeprando. Gli Spoletini furono imitati dagli
abitanti di Fermo, Ancona, Osimo e Città del Castello; che dopo il ritorno dalle Chiuse si sottomisero al papa.
provvedimenti del capitolare del febbraio 776 significava escludere da una riconsiderazione di ciò che era
avvenuto negli ultimi anni una quota molto considerevole di transizioni.
Vassalli e signori
Fu solo tra il 3° e 4° decennio del IX secolo che arrivarono in Italia molto vassalli. Terminata la fase
dell’emergenza, le istituzioni vassallatico-beneficiarie dimostrarono un lento radicamento nella società
longobardo-italica. Un sondaggio fornisce meno di 10 nomi di vassalli tra l’801 e 814.
Nonostante questi numeri l’importanza delle istituzioni vassallatico-beneficiarie rimane innegabile. Le clientele
fra i liberi non avevano la specializzazione militare che il vassallaggio aveva assunto in ambito franco.
Fin dai primissimi tempi i Longobardi si erano inseriti all’interno delle nuove clientele. Pur essendo un
comportamento tipico degli immigrati, il vassallaggio si diffuse superando le barriere etniche.
Il caso più evidente è quello testimoniato da un contratto amiatino dell’809 tra i fratelli Boniperto e Leuperto
e il monaco di S.Salvatore. Probabilmente i fratelli non erano vassalli, infatti la presenza alternativa al canone
agrario sembra collocarli nel novero dei contadini dipendenti; ma non si può nascondere la tendenza italica
all’atto scritto potrebbe nascondere il rapporto nelle forme ritualizzate del vassaticum.
Sempre nelle campagne, molti uomini liberi verranno attratti nelle maglie della grande proprietà fondiaria, in
forte crescita. Uno dei documenti che ci mostra le difficoltà degli arimanni è una carta piacentina dell’832, che
affronta la questione della difesa della libertà personale di un gruppo parentale che doveva prestare le corvées
alla chiesa piacentina, ma che si sottraevano a quest’obbligo per paura di essere assimilato alla popolazione
servile.
L’Italia Longobarda entrò nel mondo franco conservando molte delle sue specificità. Tuttavia tali specificità
non intaccano un dato di fondo: il regno longobardo aveva assunto una fisionomia che aveva in comune molti
tratti col regno franco.
Il linguaggio papale in tutto l’epistolario è sempre molto enfatico, ma è chiaro che nel 756 e 770-71 deve
raggiungere dei vertici ineguagliati. Da parte ecclesiastica c’è quindi una persistenza del linguaggio politico che
appare saldissima. È probabile che tali radici risalgano alla seconda metà del VI secolo, epoca di Gregorio
Magno.
Il fatto che tale versione si trovi all’interno del codice 490 della Biblioteca capitolare di Lucca aggiunge
interesse a tutta la faccenda. Non si sa se questo sia il codice originario, ma ancora una volta se pure la
recensione longobarda fosse di origine romana la prospettiva non cambierebbe.
Frammenti di memoria
Tornando alla prospettiva longobarda si può trovare una memoria del 774. Infatti c’è un modo di datare tra la
fine dell’VIII e inizio IX secolo che appare interessante. In esso compare il riferimento alla conquista del regno
da parte di Carlo re dei Franchi.
Per necessità le carte registrano immediatamente i mutamenti di regime, anche senza nominare la conquista
come fatto, ma solo definendo Carlo come re d’Italia e patrizio dei romani.
Riferimento a fatti o situazioni precise si trovano anche altrove. Nel maggio del 774, il gasindio regio Taido fece
una donazione che costituisce il suo testamento. Le ingenti donazioni da lui fatte dovevano servire per i luoghi
santi e venerabili. Taido in quanto gasindio è un uomo di Desiderio, a lui personalmente legato. Le donazioni
fanno intendere il periodo di crisi che stava attraversando il regno.
Rimane il fatto che il 774 ha segnato in modo chiaro solo la datazione dei documenti toscani; altrove questo
non è successo, se non in minima misura. Nelle carte lucchesi la conquista di Carlo rimane costante fino alla
sua morte. A mano a mano che si scende al sud il ricordo della conquista comincia a sbiadire nelle datazioni.
Possiamo allora parlare di un modo di ricordare gli eventi del regno che si esprime tramite la recensione
longobarda del Liber.
Prospettive regionali
Dall’uso della terminologia politica e notarile come mezzo di riaffermazione di un’identità minacciata, torniamo
alla narrazione degli eventi della caduta del regno e alla costruzione di una prospettiva storica dei fatti del 774.
Va sottolineato che fra queste narrazioni l’unica con una visione alternativa sarebbe stata quella di Paolo
Diacono.
Pur nella povertà della “prospettiva longobarda”, si può individuare un altro testo dello stesso tipo della
recensione del Liber, la cui originalità risulta dal rimaneggiamento di un testo precedente. Si tratta della
Continuazione cassinese di Paolo Diacono, contenuta in un codice cassinese del XIV secolo. La Continuazione
cassinese è una sorta di premessa della “Storia dei Longobardi di Benevento” di Erchemperto, del secolo XI,
che inizia il suo racconto dopo il 774.
Esso consiste in una storia del regno a partire da Liutprando; si menzionano poi Ildeprando, e da Ratchis in poi
si segue il Liber Pontificalis. Torna così al centro dell’attenzione la vita di Stefano II. Siamo di fronte ad una
breve recensione longobardo-meridionale che narra in modo sintetico i fatti, rinviando i particolari al Liber
Pontificalis. Il codice contiene una memoria cassinese, che è anche memoria longobarda.
Nella Longobardia minore esiste un’altra versione fortemente filo – desideriana della fine del regno, che risale
a meno di un secolo dei fatti. Si tratta del prologo delle leggi del principe beneventano Adelchi II. Nel prologo
Carlo è presentato come un traditore invidioso. Siamo nell’866 e tutto il testo va visto anche nell’ottica di un
confronto politico tra Adelchi e l’imperatore Ludovico II.
Le fonti longobarde meridionali del IX secolo contengono delle brevi narrazioni dei fatti del 774 presentandoli
in modo neutro o anti-franco.