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François Menant
ALESSANDRO LATROFA
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Indice
Introduzione ............................................................................................................................................................. 3
Il tempo dei consoli (1100 – 1190) ............................................................................................................................. 4
Il quadro politico: l’Italia prima dei comuni ......................................................................................................... 4
Genesi e primo sviluppo dei comuni (Fine XI – prima metà XII secolo) ............................................................. 4
Il tentativo di restaurazione imperiale di Federico I (1158 – 1167) ...................................................................... 5
La vittoria dei comuni e la nascita di nuovi rapporti con l’Imperatore (1167 – 1190)......................................... 6
Élites e istituzioni nei comuni consolari ................................................................................................................... 7
Il gruppo dirigente................................................................................................................................................ 7
Le istituzioni .......................................................................................................................................................... 8
Le finanze comunali............................................................................................................................................. 10
Comune urbano ed autonomie locali ................................................................................................................. 12
Il tempo dei podestà (1190 – 1260) ......................................................................................................................... 14
Federico II e le città italiane ................................................................................................................................ 14
Le élites urbane nel XIII secolo ........................................................................................................................... 15
Il Popolo ............................................................................................................................................................... 19
Il Comune podestarile: caratteri e genesi .......................................................................................................... 21
I Comuni sotto il governo dei Podestà ............................................................................................................... 22
I Podestà ............................................................................................................................................................. 24
Dai governi di Popolo alle signorie cittadine (1260 – 1350) ................................................................................... 26
Il Popolo al potere............................................................................................................................................... 26
Magnati: identità, comportamento ed esclusione ........................................................................................... 28
Guelfi, ghibellini e fazioni locali.......................................................................................................................... 29
La nascita dei regimi signorili ..............................................................................................................................32
Società e istituzioni (fine XIII – metà XIV secolo).............................................................................................. 35
La crescita delle città: popolamento ed estensione dell’habitat ......................................................................... 39
Città antiche che crescono molto ...................................................................................................................... 39
La rete urbana..................................................................................................................................................... 40
Quanti abitanti? ................................................................................................................................................... 41
L’espansione dell’habitat e l’evoluzione demografica ..................................................................................... 42
Fattori della crescita e del ristagno ................................................................................................................... 43
La forma delle città: strategie e paesaggi dell’urbanizzazione ............................................................................ 45
Le lottizzazioni .................................................................................................................................................... 45
Gli interventi aristocratici nel tessuto urbano................................................................................................... 46
L’urbanesimo come problema primario dei governi comunali ........................................................................ 47
Benessere collettivo ........................................................................................................................................... 48
Strutturazione dello spazio e opere monumentali ........................................................................................... 49
L’ITALIA DEI COMUNI INDICE
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Introduzione
I secoli tra il 1100 e il 1250 sono, in Italia, la cornice di un periodo storico ben definito che si caratterizza per uno
sviluppo urbanistico che non ha eguali in Europa. Le città, mediamente molto più grandi di quelle degli altri
Stati, racchiudono in sé gran parte di tutta la ricchezza Europea dovuta alla fitta rete, commerciale e bancaria,
che sono state in grado di costruire, collegando agilmente estremi opposti del mondo conosciuto.
Queste risorse furono in gran parte reinvestite, permettendo ai cittadini di espandere i propri domini alle
campagne circostanti e di abbellirle con mura, palazzi e cattedrali.
Da un punto di vista politico, poi, nasce il modello di Repubblica cittadina che attraverserà lunghi periodi di
diverse sperimentazioni, fino ad arrivare ad un punto di maturità tale che anche altre realtà europee ne
seguiranno l’esempio ed il percorso; si sviluppa così un nuovo modello di mobilità sociale che trova nella
ricchezza e nella cultura i segni identificativi.
Le terre pontificie
A partire dal 754, ai papi viene costantemente riconosciuto il pieno controllo di una fascia di territori che taglia
diagonalmente la penisola al centro; nel 1197, approfittando però del vuoto di potere lasciato dalla morte di
Enrico VI, il papa Innocenzo III estende il proprio dominio anche sul ducato di Spoleto e sulle Marche,
spingendosi fino alla Romagna nel 1250
Venezia
Venezia rappresenta un’eccezione, sia da un punto di vista sociale che territoriale. Spinta iniziale alla
fondazione del nucleo urbano fu il ripiegamento di nuclei bizantini negli isolotti della laguna, conseguenza
dell’invasione longobarda. Il capo di questa comunità adotta il titolo bizantino Doge, pur essendo da questi
completamente affrancata dal 726.
Dal 993 poi, un accordo con Lotario ne garantisce l’autonomia e l’identità, che si affranca ancora di più a partire
dall’828, anno in cui un vescovo e le reliquie di San Marco arrivano in città.
Genesi e primo sviluppo dei comuni (Fine XI – prima metà XII secolo)
L’affermarsi del gruppo dirigente
Papa Gregorio VII fu promotore di una riforma che trasformò di molto le Chiese e, di conseguenza, le città: il
pontefice diventava un’importante figura politica cui si accompagnò, in moltissimi centri, la nascita di
movimenti popolari come la pataria che si scagliavano contro i preti concubinari.
Opponendosi allo scisma voluto da Enrico IV, molti Cives si organizzarono in totale autonomia, inquadrando
così la genesi dell’esperienza comunale al di fuori del controllo di autorità superiori: il Concordato di Worms
del 1122 riconosce al singolo capitolo cattedrale l’autonomia di elezione del vescovo.
Il regime comunale quindi è il punto di arrivo di un processo di ascesa di cittadini diventati ricchi grazia al
commercio, dall’usura e dalla monetizzazione di numerose attività intrattenute col clero; molti cittadini,
inoltre, iniziano ad investire nella proprietà fondiaria: specializzandosi nel diritto, questi cittadini riusciranno
ad entrare nella cerchia dei vescovi e, nel 1100, a mettersi a capo delle città, dando così ufficialmente inizio
all’era dei Comuni.
Nel 1159 Adriano IV muore. Il suo lascito è uno scisma interno alla Chiesa che causa l’elezione di due papi: da un
lato c’è Alessandro III, scelto dalla maggioranza dei cardinali, dall’altro invece Vittore IV.
Alessandro III, costretto a lasciare Roma, si allea immediatamente con i comuni ribelli mentre nel 1162 Milano,
città più ricca e popolosa d’Europa, è messa sotto assedio dalle truppe imperiali: ciò che rimane della città è
amministrato da un governatore imperiale fino al 1167 e tutte le terre circostanti furono sottoposte ad un duro
regime di prelievo forzoso.
Tutto il periodo che va dal 1166 al 1167 è caratterizzato da una massiccia presenza imperiale in Italia: i
rappresentanti di Federico si stanziano nei numerosi palazzi imperiali presenti in Toscana, e negli stessi anni
Ancona e Roma sono nuovamente attaccate ed assediate dal re.
Nuova
difesa e della creazioni di rapporti clientelari
con i Vescovi e con i monasteri. L’unione di
cultura di
questi due aspetti, apparentemente molto
lontani, genera una nuova cultura di governo
governo
che porta allo sviluppo di numerose attività
economiche quali il prestito ad interesse,
soggetti esterni
l’accumulazione di beni fondiari e alla gerarchia
feudale
l’acquisizione di decime che, in breve, porta combattono e
enormi ricchezze. gestiscono le
relazioni con la
Chiesa
I gruppi dirigenti si formano così secondo
canoni che variano a seconda delle città e si
basano sulle strutture sociali che esistevano prima e sulle reali possibilità economiche. Esempio pratico sono
città come Bergamo e Padova che si trovano fuori dalle principali rotte commerciali, quindi permettono
importanti sviluppi a città come Milano¸Piacenza e Lucca.
Ovunque si sviluppa una tendenza a creare uno spazio sociale in cui interessi, stili di vita e pratiche sociali
convergono fino a creare una nuova Aristocrazia urbana.
garantisce l’accesso a quell’élite che gestisce il potere cittadino e riesce ad appropriarsi di parte delle rendite
cittadine.
L’aristocrazia è comunque coinvolta in importanti pratiche commerciali e bancarie, a Piacenza, per esempio,
gestisce tutta la gamma economica della città, dalle banche alla produzione di tessuti. La potenza economica
della Milita, quindi, può anche essere rafforzata dalla presenza dei suoi membri al comando dell’Arte dei
mercanti.
Le istituzioni
Il quadro giuridico
Le autorità dei Comuni sentono molto presto la necessità di definire le regole della comunità per iscritto. Tutto
il diritto cittadino è basato in parte sui patti stipulati durante l’XI secolo tra il Vescovo e i Cives ed in parte sui
privilegi concessi dall’Imperatore: fanno quindi parte delle regole l’arbitrato del Vescovo di Pisa in merito
all’altezza delle torri cittadine, così come tutti i privilegi concessi da Enrico V a città come Torino, Bologna e
Cremona, come ad esempio esenzioni fiscali o affrancamento dai diritti di dogana.
I Comuni assumono quindi il controllo, più di fatto che di diritto, per tutto ciò che riguarda:
→ Giustizia
→ Fiscalità
→ Moneta
→ Esercito
→ Fortificazioni
→ Commercio
→ Dominio della campagna
effettivamente poteva partecipare alla vita politica del comune. tutto lascia pensare, infatti, che un numero
molto importante di cittadini non godesse di tutti i diritti, in particolare se cittadini da poco tempo, se troppo
poveri o se residenti al di fuori delle mura della città vecchia. I signori, al contrario, avevano l’obbligo di
risiedere in città e di partecipare alla sua difesa: nonostante godessero di una certa influenza nel comune, non
erano mai considerati diversamente dai cittadini normali.
La comunità cittadina è definita Populus, e sono riuniti tutti in questo gruppo dal solenne giuramento che fanno
al console, in risposta a quello che quest’ultimo deve effettuare nei confronti della città al momento della sua
nomina.
La volontà popolare è espressa dall’Assemblea generale dei cittadini, detta Arengo, che vota le leggi
preferibilmente all’unanimità, anche se si va delineando il concetto di maggioranza, ossia:
I consoli
Ciò che distingue questo periodo è la forma di governo: collegi di consoli, in carica per un anno, esercitano
tutti i poteri necessari alla città.
Sono inizialmente eletti a suffragio diretto, ma questo lascerà spazio ad una Poteri dei consoli
commissione, nominata dall’Arengo, che si occupa di designare quelli che
saranno gli elettori dei consoli 1: questa modalità di elezione nasce e si sviluppa Militari
principalmente a Venezia.
Giudiziari
ovviamente il consolato è
• Nomina una Amministrativi
Arengo commissione
di quattro
fondato su un numero molto
membri
elevato di diverse esigenze che Fiscali
devono essere conciliate tra Legislativi
Commissione • Nomina i 40
elettori
loro, quindi deve possedere
necessariamente un’autorità
esecutiva ristretta e rappresentativa.
• Eleggono
Elettori Una situazione abbastanza comune, che sottolinea la difficoltà
il Doge
per i consoli di separare la loro posizione pubblica dalla figura di
potenti signori, è il momento in cui devono effettuare dei
pagamenti a nome del Comune: se lo fanno sfruttando le proprie risorse personali dimostrano che il servizio
pubblico e gli interessi personali sono spesso strettamente legati tra loro.
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Processo di scrutini successivi
L’ITALIA DEI COMUNI ÉLITES E ISTITUZIONI NEI COMUNI CONSOLARI
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altre città sta nel fatto che qui il vescovo sta cercando di ritagliarsi un ruolo politico a livello europeo, formando
così un vero e proprio stato che supera di molto il concetto di città e contado.
Le finanze comunali
Si tratta di questioni ostiche che condizionano profondamente i rapporti tra i diversi gruppi sociali esistenti
all’interno dei vari Comuni.
Le spese
Le spese più pesanti sono ovviamente quelle militari: per
Spese ordinarie Spese straordinarie
tutto il XIII secolo praticamente tutti i Comuni del Nord –
Italia sono in un costante stato di guerra e tutti i soldati, Salari Guerra
per lo più cittadini, hanno diritto ad un’indennità
quotidiana per ogni giornata passata nella campagna Spese di Gestione Manutenzione
militare di turno.
Rientrano in questo capitolo di spesa anche i rimborsi dovuti per i cavalli morti in battaglia, che in alcuni casi
poteva diventare una voce molto pesante dato che, ad esempio, il cavallo del bolognese Brancaleone degli
Andalò valeva più di 100 lire. Anche l’impiego di mercenari contribuisce ad appesantire ulteriormente questa
voce di spesa e, per i comuni sul mare, vanno aggiunti i costi di armamento di flotte navali.
Tributi alle porte delle città Molti comuni sono importanti proprietari fondiari,
hanno cioè ereditato dei beni demaniali, e quindi
possono richiedere tributi per il guado di fiumi o per l’utilizzo del legname proveniente da foreste a volte anche
molto estese; in condizioni normali, queste risorse sono sfruttate tramite affitti o appalti, ma in caso di crisi
particolarmente gravi era possibile ricorrere alla vendita di ampie porzioni di territorio.
La ricchezza fondiaria varia molto da Comune a Comune: Firenze, Genova e Bologna ad esempio sono molto
povere da questo punto di vista, Perugia, al contrario, deve la stragrande maggioranza dei suoi introiti alle
enormi distese di frumento presenti nel suo contado e ai tributi derivanti dallo sfruttamento del lago
Trasimeno.
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Relativi ai terreni di pertinenza del Comune
L’ITALIA DEI COMUNI ÉLITES E ISTITUZIONI NEI COMUNI CONSOLARI
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Altra fonte di incasso importante è la confisca dei beni dei cittadini banditi: questo permette a molti comuni,
specialmente nel corso del XIII secolo, di entrare in possesso di capitali anche molto importanti. Queste
confische, poi, hanno anche l’ulteriore vantaggio di permettere un controllo molto efficace del Comune sul
contado, oltre ai beni materiali, infatti, il Comune eredita dai cittadini messi al bando anche tutti i suoi diritti
feudali, quindi i suoi vassalli e le sue masnade.
La fiscalità diretta
Nel regno d’Italia l’imposta diretta era limitata al fodro di 26 denari per Fuoco 3 , dovuti all’Imperatore in
occasione dei suoi soggiorni nelle città. Sotto Federico Barbarossa quest’usanza cambia e diventa una tassa
annuale e direttamente proporzionale alla ricchezza dei singoli individui.
Tutti i contribuenti sono divisi in due grosse categorie, la cui discriminante è il possesso di una coppia di buoi,
mentre i cittadini la cui ricchezza è notevolmente superiore sono sottoposti ad un regime fiscale differente.
In Italia centrale la tassazione diretta è sostituita da una colletta che i membri di una città effettuano
spontaneamente per affrontare una spesa imprevista.
Questo tipo di tassazione, quindi, è effettuata solo in casi particolari ed equamente suddivisa tra i cittadini
proporzionalmente alla loro disponibilità: questo introduce un nuovo approccio, il fodrum per libram,
l’allibramento, il cui funzionamento è legato indissolubilmente al censimento degli estimi, ossia una vera e
propria stima dei patrimoni di ogni cittadino.
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Unità fiscale di residenza
L’ITALIA DEI COMUNI ÉLITES E ISTITUZIONI NEI COMUNI CONSOLARI
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consolidamento del debito e nella creazione di Monti, ossia i titoli del debito: non possono essere rimborsati,
ma garantiscono una rendita pari al 5% della quota acquistata.
Venezia si muove diversamente, creando una Camera del Frumento destinata all’acquisto di cereali: prima
della fine del XIII secolo questa diventerà un organismo di gestione del debito dato che molti investitori, anche
forestieri, investono volentieri in questa attività, ricevendone sempre un guadagno regolare e senza rischi.
Fra tutte le tasse indirette la più pesante è senza dubbio la Gabella sul sale: dopo che i Comuni ottengono il
monopolio sulla gestione del sale, questo viene venduto ai cittadini ad un prezzo che garantisce loro della
marginalità di guadagno, fino a quando questi non sono costretti ad acquistarne una certa quantità a testa.
I borghi franchi
Per rompere questi fronti, i Comuni organizzano Borghi franchi, ossia villaggi fortificati che ottengono privilegi
in cambio di protezione militare: questi diventano immediatamente un elemento importantissimo per il
controllo del territorio, rappresentando però una forma minoritaria di occupazione del suolo, infatti per
Cremona che ne crea una ventina, moltissimi Comuni non ne fanno uso.
La fondazione di Borghi franchi aiuta a realizzare diversi obiettivi: accompagna una ristrutturazione agraria che
garantisce una valorizzazione dei suoli perché redistribuisce gli appezzamenti terrieri e permette di
organizzare l’economia di una regione attorno ad un centro dotato di infrastrutture commerciali. Fine di questi
villaggi era, quindi, suscitare paura nel nemico dato che contenevano una percentuale molto elevata di Milites
che compongono la rurale Militia urbana, i cui cavalieri sono sempre impegnati in spedizioni di rapina contro i
nemici del comune.
Da un punto di vista giudiziario tutte le cause più importanti sono discusse solo il città, e tutti gli statuti locali
devono conformarsi a quello del Comune di appartenenza. L’inferenza raggiunge il suo apice nel XIII secolo,
quando a capo delle comunità rurali vengono inviati dei podestà direttamente dai centri cittadini.
Il principio di responsabilità collettiva, comunque, permette di rispettare le esigenze di tutti: il Comune rurale
risponde per tutti quei contadini che non vogliono prendere in affitto i terreni dei cittadini, in questo modo è
possibile contrastare tutte quelle coalizioni di contadini che hanno come unico fine il danneggiamento degli
interessi della città per ottenere migliori condizioni contrattuali; allora tesso modo il comune rurale è
considerato corresponsabile di tutti i crimini commessi sul territorio.
Le multe, anche molto pesanti, sono riprese dalle usanze signorili e puniscono le colpe dei contadini:
l’ammontare è deciso dalle autorità urbane ed è suddiviso in parti uguali tra tutti i cittadini da parte delle
autorità rurali.
Queste terre, però, sono esentate dal prelievo fiscale, per questo motivo l’inurbamento dei contadini porta ad
un inasprimento fiscale nei confronti delle comunità rurali. Molti comuni finiscono quindi con l’indebitarsi con
gli abitanti delle città e finiscono col cedere i loro beni demaniali: i comuni lombardi perdono i loro canali di
irrigazione e molti contadini finiscono con l’essere assorbiti dalle città come semplici salariati.
La seconda Lega Lombarda (1226), Cortenuova (1237), La dominazione imperiale (1237 – 1245)
Nel 1226, in seguito alle imposizioni di Federico, Milano si impegna a rifondare la Lega Lombarda mentre
Cremona e le sue alleate si uniscono in una nuova coalizione che trova una spala molto forte il Ezzelino da
Romano: mentre la di Cremona è sottomessa all’Imperatore che impone e suoi uomini e detiene il comando
degli eserciti, in quella guidata da Milano si va a costituire un vero e proprio Rettorato, con funzioni più
diplomatiche che di comando, che fa circolare i propri podestà.
Nel 1226 le truppe della Lega bloccarono le chiuse dell’Adige all’altezza di Verona, bloccando così la via alle
truppe imperiali in arrivo e permettendo così il proseguimento del dibattito diplomatico che porterà, nel 1229,
ad un accordo tra l’Imperatore e papa Gregorio IX.
Al ritorno della crociata in cui era coinvolto, nel 1235 Federico II oltrepassa nuovamente le Alpi e nel 1237
sconfigge l’esercito della Lega a Cortenuova: il negoziato che ne deriva è ostacolato dall’intransigenza
dell’Imperatore e quindi non porta a nessun risultato. Il nuovo pontefice poi, Innocenzo IV, non fu meno ostile
a Federico del suo predecessore, tanto che per impedire un’egemonia imperiale finirà col deporlo nel 1245 in
occasione del Concilio di Lione.
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fenomeno per cui gli oppositori di un regime o di un governo sono costretti a riparare all’estero, dove continuano
in forma aperta o clandestina la loro attività di opposizione e di lotta
L’ITALIA DEI COMUNI IL TEMPO DEI PODESTÀ (1190 – 1260)
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Il termine più comune con cui questa viene indicata è Milites, ossia i cavalieri che formavano la milizia a cavallo:
tutti possiedono torri in città, condividono codici comportamentali e adottano uno stile di vita aristocratico.
In questo periodo storico il concetto di nobiltà è molto vario e dipende dalla zona presa in esame, ad ogni
modo ovunque è considerato un attributo secondario rispetto al potere e alla ricchezza da questi manovrati:
solo Milano, infatti, sembra dare ancora peso alla tradizione vassallatica mentre nel resto d’Italia diventa solo
un semplice attributo basato sulla reputazione: è nobile chi si comporta come tale.
I nuclei dirigenti, quindi, sono accomunati dallo stile di vita, ma non fanno parte di nessun gruppo elitario
basato su requisiti ereditari, quindi possono facilmente entrare in conflitto con tutti i gruppi esclusi dal governo
delle città.
Mestieri
Proprietà
Usura legati al Signorie
fondiaria
diritto
Si delinea così il percorso generico che le famiglie devono percorrere per completare la scalata sociale, e il caso
padovano è un ottimo esempio per mostrarlo: pur avendo la particolarità di rientrare in quelle città escluse
dalle grandi reti commerciali si riesce comunque ad accedere a grandi capitali, facendo ricorso al prestito ad
usura; in quelle città dove il commercio è fiorente, invece, l’usura diventa un semplice mezzo di
completamento del percorso di arricchimento.
Il primo podestà della città è il vescovo Gerardo Gisla che è celebre per l’importanza che ha dato all’aspetto
commerciale: tiene due fiere all’anno e rinuncia all’alleanza con Milano in favore di una nuova intesa con
Cremona, facilitando notevolmente l’accesso al Po.
Si assiste quindi alla nascita di una nuova nobiltà, in cui i cavalieri discendono da macellai e i magistrati da
famiglie che non hanno mai espresso neppure un console.
Segno tangibile del nuovo trend bolognese lo si ritrova nell’adozione di un nome di famiglia declinato
all’ablativo, come usanza dell’aristocrazia rurale.
Dal 1228, sotto la pressione politica del Popolo, mercanti e cambiatori sono ufficialmente considerati
aristocratici, quindi, come i Ghibellini, saranno banditi dalla città come i Magnati.
Un caso piacentino
Un esempio importante di ascesa di una famiglia popolare è dato dal caso piacentino della famiglia Scotti.
Citati per la prima volta nel 1170 come guardiani dei Navigli del Po, si conosce per certo l’origine del capostipite,
Rinaldo Scotti, console dei mercanti nel 1184.
Fondano una compagnia molto attiva nel genovese nel commercio di panni e aderiscono al partito guelfo
quando, alla fine degli anni ’40 del XIII secolo si ritrovano alla guida del Popolo.
Dopo aver aiutato Carlo d’Angiò a sottomettere Piacenza, diventano principali banchieri di papa Gregorio X.
L’ITALIA DEI COMUNI IL TEMPO DEI PODESTÀ (1190 – 1260)
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Alla fine del XIII secolo Alberto Scotti è il principale erede di questo impero economico: governa il partito
guelfo di Piacenza, la società dei mercanti e delle Arti e la compagnia commerciale. Sbocco naturale fu la presa
del potere in città, avvenuta nel 1290.
Venezia
Il precoce fissaggio delle regole onomastiche a Venezia rende molto più semplice la ricostruzione dei lignaggi
governativi della città. Nel corso degli anni le antiche e nobili famiglie veneziane hanno accumulato enormi
ricchezze, investite nell’acquisto di terreni sulla terraferma.
Anche qui, però, a partire dal 1225 inizia a sentirsi prepotentemente la pressione dei nuovi ricchi, già iniziate
nel 1171 con l’elezione a Doge di Sebastiano Ziani, il commerciante più ricco della città, seguito nel 1229 da
Giacomo Tiepolo: questo periodo è l’unico in cui molti veneziani saranno chiamati dalle città vicine come
podestà forestieri.
Solo a Venezia questo processo di mobilità coincide con l’integrazione dei nuovi ricchi nel Gran Consiglio,
organo che rappresentava le 36 Trentaccie, i quartieri in cui la città era divisa alla fine del XII secolo.
Nel 1297 la legge della serrata fissa un criterio d’accesso al Gran Consiglio, ammettendo tutti coloro i quali ne
hanno fatto parte negli ultimi 4 anni e fissando un criterio formale di elezione per i restanti. In breve
l’appartenenza al Consiglio diventa quindi ereditaria e adotta la nobiltà come criterio d’accesso, definendo in
questo modo una parte privilegiata di popolazione
Il Popolo
Senso originario del termine e sua evoluzione
Populus è il termine utilizzato fin dall’inizio del XII secolo per indicare tutti gli abitanti di un Comune, anche se
spesso è associato solo a tutti coloro i quali non fanno parte del gruppo dei Milites.
Populus è quindi l’insieme sociale e politico di tutti coloro i quali sono esclusi dal regime consolare.
Dalla fine del XII secolo in poi il Popolo riesce ad entrare nei governi di quasi tutti i Comuni, in particolar modo
in Lombardia e in Veneto dove si riunisce in organizzazioni che danno forma a ben precise rivendicazioni.
Quindi dalla fine degli anni ’60 il Popolo è inquadrato come corpo politico: nel 1169 a Vercelli si crea una societas
populi, corpo politico che mina a contrastare il potere della feudalità vescovile mentre nel 1175, a Cremona, il
Popolo si unisce spontaneamente alla Lega Lombarda contro Federico Barbarossa.
La crescita del popolo diventa quindi l’espressione politica della crescita economica delle città, cui
inevitabilmente consegue un elevato tasso di immigrazione, la moltiplicazione e l’arricchimento dei mercanti
e l’acquisizione diffusa di nuove tecniche (scrittura, contabilità, combattimento a cavallo) che permette
finalmente l’accesso ai governi cittadini.
Il Popolo è quindi composto da cittadini che hanno raggiunto elevati standard di istruzione, ricchezza e
autonomia sociale, senza tuttavia avere accesso al governo delle città.
Rivendicazioni e conquiste
Tra il 1197 e il 1216 Milano vara alcune misure che ci permettono di capire quali fossero le rivendicazioni del
Popolo:
→ Fissazione di un tasso di usura
→ Istituzione degli estimi
→ Diritto alla metà di tutti gli uffici comunali
→ Partecipazione all’elezione dei magistrati
→ Messa per iscritto delle consuetudini locali
Nel primo terzo del XIII secolo il Popolo riuscì ad entrare in quasi tutti i consigli cittadini italiani, e dove non
esprimeva rappresentanti riuscì a mettere in piedi un sistema di magistrature proprio; dopo il 1250 viene
notevolmente intensificato il programma politico, cominciando così a esercitare l’autorità pubblica
interamente, traendo notevoli benefici per tutti i membri. I vecchi Milites vengono inquadrati ora come
magnati, fine ultimo del Popolo è quello di estrometterli completamente dalla vita politica delle città.
Il caso milanese
Anche se le organizzazioni rappresentavano gruppi diversi, le loro finalità potevano essere condivise: è il caso
di Milano.
Qui l’associazione dominante rappresentava gli artigiani ed era nota come Credenza di Sant’Ambrogio, la cui
composizione mista trovava anche posto per notai e membri dell’élite consolare. In reazione alla sua
fondazione nacque un’associazione di Capitanei e Valvassores, che poteva contare sulle truppe d’assalto dette
Gagliardi. Una terza associazione, la Motta, era composta da gente posta alla base dell’aristocrazia consolare
(valvassori e mercanti), di fatto esclusi da parte dei loro privilegi.
Le tre associazioni hanno un ruolo all’interno del Comune, e grazie all’influenza della Credenza il Popolo diventa
presto l’elemento dominante di tutta la politica milanese del XIII secolo: nel 1212 riesce ad ottenere la metà dei
seggi e impone subito un regime fiscale più equo.
Dal 1221 il conflitto con i Milites è inevitabile, conosce una tregua nel 1225 per fare fronte comune contro
Federico II, ma riprende in modo acceso dal 1247 al 1258, quando viene stipulata la Pace di Sant’Ambrogio.
In questo periodo la Credenza consolida il potere della famiglia della Torre: nel 1240 Pagano della Torre è
nominato Anziano 5, mentre nel 1259 il privilegio tocca a Martino della Torre.
Dopo un duro scontro con la Motta che cercava di imporre la figura dei Marcellini, questa fu estromessa da
ogni incarico governativo, lasciando così i della Torre al comando dell’intero Comune.
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Capo della Credenza e, quindi, del Popolo
L’ITALIA DEI COMUNI IL TEMPO DEI PODESTÀ (1190 – 1260)
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L’idea della mobilità di questa figura nasce invece con la Lega Lombarda, dal 1175 infatti le città alleate si
scambiano i loro cittadini più illustri per governarsi a vicenda, rafforzando in questo modo la coesione tra di
loro.
La corsa al potere nei Comuni comincia a portare disordini civili quasi da subito, e quando questi diventano
incontenibili (1180 circa) il magistrato forestiero appare come unico rimedio possibile: negli annali di Genova
del 1190 è chiaramente descritto il modo in cui le grandi famiglie si contendessero il comando e come l’unico
modo per risolvere la questione fosse l’invitare un cittadino bresciano a gestire il Comune. Questa usanza si
generalizza alla fine del XII secolo in modo graduale, spesso infatti accade che il forestiero venga chiamato
solo in caso di conflitti interni poco gestibili, e una buona metà dei Comuni italiani hanno alternato Podestà del
luogo con quelli stranieri per molti anni.
A Siena, ad esempio, il primo Podestà è nominato nel 1199, ma il governo consolare fa la sua scomparsa ufficiale
solo nel 1212; a Genova nel 1217.
Se un Comune esprime un Podestà locale la motivazione può essere variabile:
→ I Milites hanno preso il comando
→ È necessario un arbitro
Spesso però i Podestà locali nominati potevano essere due, in modo da bilanciare il governo, così come
potevano essere due i consoli: questo rappresenta il vero confine tra le due forme di governo. I Podestà
potevano godere di poteri superiori rispetto ai consoli proprio perché la loro figura è gradita ad entrambi i
partiti giacché nasce come risposta ad un momento di crisi: è il caso di Milano dove, nel 1200, i Podestà in carica
erano addirittura tre per diventare dodici nel 1212, e sono espressi proporzionalmente tra le tre organizzazioni
esistenti (Credenza, Motta e Milites).
Nel caso in cui fossero in disaccordo, i Podestà potevano arrivare a dividere la città in due o più parti, creando
dei veri e propri sottogoverni. L’esperienza milanese dimostra che questo sistema a volte poteva anche
funzionare bene: nel 1203, infatti, due gruppi di Podestà, uno per il Popolo ed uno per la Militia, divisero il
governo come se ci fossero due città fino a quando il Popolo non riuscì ad emergere al punto di escludere gli
altri; in altri casi invece l’esitò è il blocco totale delle istituzioni, come nel caso di Pisa del 1200.
L’esperienza di Roma è molto simile, solo che qui l’esperienza parte dal Senato, e da un senatore che riesce a
prendere più potere rispetto ai suoi colleghi. La figura del senatore unico nasce nel 1191 e dal 1205 sostituisce
completamente il senato. Dalla metà del secolo, poi, questa figura viene ricoperta da un forestiero che risente
molto dell’influenza esterna, come nel caso di Carlo d’Angiò. Primo senatore unico forestiero fu il bolognese
Brancaleone degli Andalò che, nel 1252 fu chiamato dal Popolo, nel 1254 fu nominato capitano e rimase in carica
fino alla morte, avvenuta nel 1258. La figura del Capitano corrisponde alla nascita di un Regime del Popolo dato
che questo ottiene il monopolio decisionale sia sui 13 quartieri che sulle 13 Arti; di fatto una dittatura che
anticipa la figura di Cola di Rienzo.
questioni che doveva gestire, il Podestà forestiero è l’unico che può veramente garantire una netta
separazione tra interessi pubblici e privati, vero motore trainante di tutta la
politica del XII secolo. Valori espressi
Il Podestà doveva incarnare quei nuovi valori nati alla luce della nuova dal Podestà
configurazione dello spazio pubblico, la sua funzione, infatti, esprime tutte le
aspirazioni popolari che vogliono trasformare il Comune in uno spazio Senso dello Stato
collettivo libero dalle inferenze dei gruppi nobiliari. Tutto questo porta ad
innovazioni molto importanti, come ad esempio una regime fiscale rigido e
Bene comune
strutturato, una giustizia più equa e un impianto legislativo, figlio della
consuetudine, finalmente messo per iscritto.
Superamento degli
La circolazione di Podestà forestieri, poi, è anche un tassello fondamentale del interessi personali
delicato rapporto diplomatico esistente tra i Comuni alleati.
I Podestà
Reclutamento
Le prime città ad adottare questo sistema sono lombarde ed emiliane, si formano quindi due grosse reti di
circolazione tra Milano e Cremona che resistono anche
durante il periodo di assoggettamento a Federico II: Milano
Circolazione dei Podestà favorisce la circolazione tra i Comuni appartenenti alla Lega
Lombarda, Cremona, invece, tra quelli alleati all’Imperatore.
Milano Cremona
Da alcuni studi recenti, è stato consolidato il dato secondo cui
•Pavia •Parma
•Brescia •Reggio Emilia a Milano sono stati nominati 450 Podestà tra il 1175 ed il 1350;
•Bologna •Modena a Bologna 400 mentre a Brescia 350; questi dati sono però
•Vercelli viziati dalla figura del Capitano del Popolo che, dal 1250, fa in
•Genova modo che la durata del mandato podestarile si riduca a sei
mesi, quindi aumenta esponenzialmente il numero di
governatori nominati.
La circolazione podestarile conosce tre periodi principali in cui è possibile suddividere tutta l’esperienza:
→ Fino al 1260 la maggior parte dei Podestà ha origine lombarda, ma diventano emiliani nella seconda
metà del XIII secolo; alla fine del XIV secolo il primato spetta invece ai fiorentini.
→ Dal 1260 in poi si assiste ad un’agguerrita concorrenza tra le classiche circolazioni esistenti e le reti
costruite tra le grandi città guelfe e ghibelline: Bologna e Firenze iniziano ad avere un’importantissima
influenza che mette in ombra Milano e Cremona.
→ La terza fase va dalla fine del XIII a metà del XIV secolo: si assiste ad una scalata guelfa che vede Firenze
predominare su Bologna. Le reti lombarde sono in pieno subbuglio: Milano è diventata ghibellina
mentre Cremona è guelfa, le signorie iniziano ad affermarsi mettendo in seria discussione tutte le
alleanze esistenti.
La fine del periodo egemonico di Lombardia ed Emilia è soprattutto indice dell’evoluzione sociale dei Podestà:
questi, infatti, provengono tutti dalle grandi famiglie dell’aristocrazia urbana che occupano le cariche più
importanti all’interno del proprio Comune: i Rossi ed i Correggio da Parma, i Visconti ed i della Torre da Milano
solo per fare qualche esempio. Matteo da Correggio, ad esempio, discende da una famiglia di grandi
proprietari fondiari tra le più influenti a Parma: nel 1196 diventa Podestà di Bologna, nel 1208 di Pisa e nel 1210
dei Milites di Cremona.
Nonostante ciò, però, le famiglie aristocratiche non hanno il monopolio assoluto della carica che a volte è
espressa anche da quelle più modeste: è il caso dei Pietrasanta di Milano.
Il monopolio aristocratico è determinato da diversi fattori sociali e culturali: governo, guerra e diplomazia
restano ambiti dell’antico retaggio nobiliare feudale e spesso infatti gli statuti delle città prevedono che il
Podestà sia un Miles: la cultura giuridica è alla base del bagaglio tecnico di un Podestà e nella maggior parte dei
casi il suo studio è ancora appannaggio del solo ceto aristocratico. L’avvento del Popolo coincide solo in parte
con la fine di questo monopolio perché i Populares pagano la debolezza delle loro reti di relazione e la loro
scarsa capacità di influenza, oltre al fatto che il loro bagaglio culturale è ancora relativamente scarso.
Il mestiere di Podestà
Il Podestà diventa quindi un vero e proprio mestiere pagato molto bene; esige una forza di carattere elevata e
cognizioni tali da permettergli di venire a capo della crescente complessità degli apparati amministrativi. Ne
emerge quindi una figura politica completa molto simile a quella che fu dei consoli, pur non limitata al solo
ambito cittadino.
La figura del Podestà è quindi ora il fulcro della razionalizzazione amministrativa: quando acquisiscono un
nuovo incarico riprendono sempre l’azione politica avviata dai loro predecessori, in questo modo, all’interno
delle reti, si assiste alla nascita di un sistema amministrativo uniforme che genera una vera e propria cultura di
governo.
Nascono così delle vere e proprie famiglie di Podestà in cui i vari membri riescono ad alternarsi nell’acquisizione
di numerosissime cariche: esempio concreto di questo dato è la famiglia Burgo di Cremona che riesce ad
acquisire 97 incarichi, o i Correggio di Parma che si fermano a 60 (su 156 assegnate ad espressioni parmensi).
La figura del Podestà itinerante è un’esclusiva italiana che non ha eguali in nessun regno europeo.
Popolo e contado
A questo cambiamento burocratico consegue un inevitabile aumento del controllo delle campagne circostanti
i Comuni: i regimi del Popolo inaspriscono le condizioni rurali e lo sfruttamento del contado, sia per un attacco
diretto all’aristocrazia rurale, sia per il miglioramento dei foraggiamenti cittadini: i contadini erano costretti a
consegnare il grano in eccesso al Comune, ed erano sottoposti ad un pesantissimo trattamento fiscale in cui
comparivano moltissime tasse differenti, in particolar modo la gabella del sale, che obbligava ogni nucleo
familiare ad acquistarne mensilmente una determinata quantità.
A Perugia il ricorso alla tassazione contadina ha luogo solo in casi di particolari necessità; inoltre, se il contado
decide spontaneamente di consegnare il grano alla città, questo viene pagato a prezzo di mercato dal governo
L’ITALIA DEI COMUNI DAI GOVERNI DI POPOLO ALLE SIGNORIE CITTADINE (1260 –
1350)
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che poi lo rivende ai cittadini bisognosi ad un prezzo decisamente più basso. È evidente, in questa
organizzazione, che le vere vittime non sono i contadini che hanno comunque il loro ritorno, ma la nobiltà
rurale che perde un potenziale guadagno enorme.
Arti Arti
Arti Minori
Maggiori Mediane
Grandi mercanti Macellai Conciatori
Banchieri Cuoiai
Vendita della lana Calzolai Armaioli
Vendita della seta Mercanti di vino
Fabbri
Speziali e Medici Panettieri
Giudici e Notai Muratori Osti
Cambiatori Ferraioli
Pellicciai Rigattieri Falegnami
→ Podestà
→ Consiglio ristretto: 30 membri
→ Consiglio generale: 300 membri
Anche se i due consigli sono ormai svuotati da ogni potere, restano comunque in via rappresentativa perché
sono gli unici due consessi a cui i Magnati hanno accesso.
La signoria è quindi composta da:
→ Sei priori delle Arti: eletti ogni 2 mesi su base topografica tra le Arti Maggiori
→ Gonfaloniere di giustizia: responsabile delle armate comunali, scelto dalle Arti Maggiori a turnazione
tra i vari quartieri
→ Parte Guelfa: ha una sua specifica organizzazione e funge quasi da controllore dell’andamento del
regime. Il paradosso di quest’organizzazione sta nel fatto che la maggior parte dei Guelfi sono
Magnati, esclusi da qualsiasi altro incarico politico.
esplicitamente proibito ai magistrati di intervenire nel caso in cui un’azione violenta serva a ripagare un torto
subito, negli statuti di Parma del 1316 è addirittura tollerato l’omicidio purché non commesso in pubblico, se
non assolutamente necessario, come nel caso di Luca di Totto che racconta di esser stato costretto ad
eseguire una vendetta di fronte a centinaia di spettatori perché la folla era troppo debole per separare i
contendenti.
Due tra i più importanti autori del tempo, Boncompagno da Signa e Albertano da Brescia, hanno elaborato
interessanti teorie riguardo la rivalità fra famiglie. Il trattato del primo, de Amicitia, è del 1205 e spiega che
bisogna diffidare dei falsi amici, perché identifica e cataloga almeno 26 motivi diversi per cui questi potrebbero
tradire; il secondo invece, il Liber consolationis, è del 1246 e rappresenta un dialogo in cui i protagonisti
discutono sui vantaggi portati rispettivamente dalle faide, dalla giustizia comune e dalla pace basata sul
perdono.
Il tema della vendetta privata nei Comuni va a braccetto con la tematica, ben più ampia, della distinzione
necessaria tra Pubblico e Privato: la faida assume quindi un significato politico molto importante perché aiuta
a risolvere tutti quei conflitti in cui potrebbero trovarsi coinvolti i lignaggi cittadini per i motivi più svariati:
Incarichi nel Comune, ambizioni territoriali, profitti commerciali, eredità e anche scambio di donne. Un posto
di rilievo in questo elenco è occupato dai benefici ecclesiastici come episcopati, il capitolo della Cattedrale o
le cariche abbaziali nei monasteri.
La faida, infine, favorisce la formazione di gruppi solidali la cui somma fa il Comune stesso che si basa
sull’equilibrio di questi lignaggi, destinato purtroppo a rompersi verso la metà del XIII secolo a causa
dell’aumento di numerosità di queste famiglie. Sotto il regime di Popolo, lo stato assume quindi una nuova
configurazione in cui la faida non può più trovare posto.
L’ITALIA DEI COMUNI DAI GOVERNI DI POPOLO ALLE SIGNORIE CITTADINE (1260 –
1350)
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alleanza esistenti tra molti comuni e la Chiesa contro l’invadenza imperiale risalgono addirittura ai tempi della
Lega Lombarda e papa Alessandro III. In realtà i motivi di contrasto erano molto più complessi e non
riguardano solo la sfera prettamente politica.
Generalmente si ritiene che questa terminologia nasca a Firenze in seguito allo scontro tra Federico II e papa
Ottone IV, per poi diffondersi in tutta la penisola: in effetti, fino alla morte di Federico, la lotta col papato è un
tema importantissimo e coinvolge tutti i Comuni; lo schieramento con una delle due fazioni non annulla le
motivazioni interne che accendono conflitti locali e contrasti tra le città, ma la cornice generale è sempre il
confronto fra le due personalità principali che si concluderà solo con la morte di Federico e la condizione di
trono vacante da esso lasciata. Dopo di lui, infatti, salì al trono suo figlio Corrado IV che però morì pochi anni
dopo (1254) lasciando un erede (Corradino) di soli due anni; la reggenza del trono di Sicilia fu assunta allora dal
figlio bastardo di Federico, Manfredi, che nel 1258 riuscì ad ottenere il riconoscimento ufficiale di Re e riuscì
quindi a ricostruire tutta la rete ghibellina, destando le preoccupazioni di papa Urbano IV e del suo successore
Clemente IV. Entrambi trovarono nella figura di Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia Luigi IX, un rivale da
contrapporre a Manfredi attraverso la proclamazione di una vera e propria crociata che fu finanziata dai ricchi
banchieri guelfi fiorentini e senesi: Carlo parte allora dalla Provenza e raggiunge Roma nel 1263, qui viene
proclamato Re di Sicilia nel 1266 e poco dopo affronta e sconfigge l’esercito di Manfredi, che muore in
battaglia, presso Benevento. Nell’agosto del 1268, infine, Corradino tenta la riconquista, ma è sconfitto dalle
armate di Carlo a Tagliacozzo, viene quindi arrestato e in seguito giustiziato.
Durante il ventennio di dominio, Carlo I d’Angiò è considerato il capo del guelfismo italiano, tanto che riesce
ad imporre un’influenza tale nelle città del nord che per molti versi appare come una vera e propria signoria
che permette la costruzione di una solida rete commerciale con il regno del sud Italia fino al 1282, quando una
sommossa investe la Sicilia (Vespri siciliani) e la libera dal dominio angioino, permettendo la conquista
dell’isola da parte di Pietro d’Aragona, genero del defunto
Manfredi.
Dopo la morte di Federico II, comunque, si assiste
all’evoluzione più importante dei termini Guelfo e Ghibellino
perché, non avendo più un vero nemico da combattere, il
papa può sviluppare in tranquillità la propria politica
respingendo con facilità tutte le pretese autoritarie dei re
angioini. In questo contesto, quindi, il concetto di guelfo
inizia a rappresentare il sostegno all’egemonia militare
dell’asse angioino – fiorentina. I termini perdono quindi il
loro valore legato al problema del governo dei territori
italiani ma iniziano a qualificare una determinata città in un
modo o nell’altro, diventano quindi i nomi dei due partiti che rappresentano solo in sede locale la loro ragion
d’essere.
Reclutamento
Per inquadrare un cittadino nella fazione guelfa o ghibellina è necessario prendere in considerazione diversi
elementi che generalmente dipendono da idee, credenze e identità sociali che cambiano, anche notevolmente,
a seconda del luogo o del periodo preso in esame.
A Cremona, ad esempio, a decidere le sorti del Comune sono solo una ventina di famiglie che lasciano la città
in piena dominazione federiciana nel 1247. Forti dell’appoggio del papa, resteranno sempre la colonna
portante della fazione guelfa cremonese e riusciranno a rientrare in città e prenderne il potere solo nel 1267,
stringendo così un ‘alleanza col Popolo.
A Parma la situazione è analoga: un gruppo di famiglie lascia il Comune controllato da Federico e riesce a
rientrare e a riconquistarlo nel 1247 dando anche qui il potere al Popolo.
L’ITALIA DEI COMUNI DAI GOVERNI DI POPOLO ALLE SIGNORIE CITTADINE (1260 –
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Questa netta distinzione appare molto più sfumata a Firenze: parlando di schieramenti, infatti, la prima cosa
da analizzare è la figura dei Milites e il loro ruolo all’interno della fazione ghibellina. Se pur vero che la maggior
parte di essi era ghibellina, fuori da Firenze la realtà è molto più variegata dato che l’influenza ghibellina è forte
in quest’ambito sociale, ma non è mai esclusivo. Il lato guelfo fiorentino è guidato da aristocratici, ma tra le
sue file sono numerosi anche gli appartenenti al Popolo.
Anche se apparentemente ben definita, le fazioni guelfe e ghibelline fiorentine ruotano essenzialmente
attorno a due grandi famiglie: i Buondelmonti per i primi e gli Uberti per i secondi; il Popolo è sostanzialmente
neutrale e viene corteggiato da entrambe le fazioni nel momento in cui riesce a salire al potere nel 1244: in un
primo momento parteggerà per i ghibellini, ma dal 1250 in poi resterà un saldo alleato della fazione guelfa.
La parte guelfa quindi, e in modo minore anche quella ghibellina, è composta da nuclei di Milites che ha saputo
coniugare le tradizioni familiari con uno spirito di parte, affiancati da cittadini di ogni livello culturale e sociale
che ha deciso di schierarsi per i motivi più disparati, tra cui anche un vero senso di credo politico, per opporsi
al governo in carica o per clientelarismo.
Un ultimo criterio connotativo lo si trova nello spiritualismo: tutti i guelfi fiorentini provavano una venerazione
per la Vergine, in particolare le donne che formano così un’appartenenza di genere unica. I guelfi sono quindi
indicati come i buoni cristiani, a differenza dei ghibellini che spesso rappresentano l’eretico a causa delle loro
azioni che cercano di resistere all’azione politica del papa.
La divisione in fazioni
La fine del XIII secolo è il momento storico in cui le parti si dividono in fazioni, pur conservando la divisione
madre in guelfi e ghibellini. Quindi a Firenze troviamo una divisione tra Guelfi bianchi e Guelfi neri; Capelletti
e Barbarasi a Cremona.
Guadralda Donati: secondo alcuni per questioni di estetica, l’Amidei doveva essere molto brutta, a differenza
della Donati che è ricordata come una donna molto affascinante; secondo altri, invece, per mero vantaggio
economico. Ad ogni modo, in seguito a questo affronto Buondelmonte viene ucciso dalla famiglia Amidei il
giorno di Pasqua del 1215: questo episodio degenererà in una guerra di fazione che porterà a divisioni talmente
profonde da creare i Guelfi ed i Ghibellini.
Più o meno un secolo dopo, a Firenze sono saldamente al comando i guelfi che però presto si troveranno di
fronte ad una nuova scissione, stavolta in Guelfi bianchi e Guelfi neri: causa scatenante è stavolta una rissa
avvenuta tra giovani dopo una bevuta: le famiglie in questione sono i Cerchi ed i Donati: ricchi magnati e
banchieri i primi, cercano di vivere ed ottenere lo stesso rispetto di cui godono i secondi che invece sono una
nobile famiglia di antico lignaggio; dopo vari incidenti, esacerbati dall’allontanamento della famiglia Cerchi dal
gruppo dei maganti in favore di un avvicinamento al Popolo, il 16 dicembre 1296 un funerale degenera a causa
del fatto che un membro di una delle due famiglie si è alzato mentre tutti gli altri erano ancora seduti,
scatenando così il sospetto che volesse far qualcosa ai danni dell’altra. La faida che ne deriva si allarga anche
ad altre famiglie, fino a coinvolgere anche i ricchi Pazzi che arrivano alle armi nel 1298. Arrestati dal Podestà,
un gruppo di Cerchi viene avvelenata in carcere: ovviamente i sospetti cadono sulla famiglia Donati.
Questo tipo di situazioni mettono in luce un fenomeno ricorrente, ossia le bande armate giovanili.
Tuttavia, la realtà è molto meno prosaica e molto più politica: tutti gli amici dei Donati appartengono alla
fazione dei Guelfi neri, mentre i Cerchi sono importanti esponenti dei Guelfi bianchi che da lungo tempo sono
stati estromessi dal centro di potere.
Questa frattura interna nel Comune di Firenze avrà importanti conseguenze: papa Bonifacio VIII appoggerà i
Guelfi neri che riceveranno il potere sulla città direttamente dalle mani di Carlo di Valois, fratello del re filippo
IV il Bello, in accordo con Corso Donati; di contro i Cerchi e tutti i Guelfi bianchi, tra cui Dante Alighieri, saranno
cacciati da Firenze nel 1301.
Primi signori
coloro i quali tentano di imporre il proprio potere personale sui
Comuni: godono dell’appoggio di chi si identifica, in un modo o
nell’altro, con i vecchi partiti, e, giunti al potere, tentano di modificare
il meno possibile le vecchie impostazioni delle istituzioni spingendo Ezzelino da Romano
invece verso un riconoscimento da parte degli angioini di Napoli o del Uberto Pallavicino
re di Germania.
Famiglia Este
Alcuni dei primi signori provengono dalla nobiltà feudale, più spesso, Famiglia da Carrara
invece, sono componenti della vecchia aristocrazia consolare; molti Guglielmo da Monferrato
appartengono a famiglie di Podestà, infatti una forma di accesso al della Torre
potere relativamente semplice era l’appartenenza a qualsiasi ruolo
Rossi
potesse vantare relazioni privilegiate con l’Universitas mercatorumi.
Dovara
Per quanto riguarda i Ghibellini o, più generalmente, gli appartenenti
alla Militia, il loro obiettivo principale era l’eliminazione di tutto ciò che
di conflittuale era rimasto nella loro posizione, pur mantenendo viva l’aspirazione all’ottenimento del titolo di
vicario imperiale.
Le signorie nascono quindi dall’instabilità della politica comunale: in un ambiente in cui il signore si appoggia
ai Milites e alla nobiltà rurale, o al Popolo dove è questo a detenere il potere, la formazione di una signoria
garantiva vantaggi generici a tutti:
L’ITALIA DEI COMUNI DAI GOVERNI DI POPOLO ALLE SIGNORIE CITTADINE (1260 –
1350)
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→ I nobili rurali, infatti, vi si riconoscono meglio grazie alla maggiore autonomia di cui possono disporre
rispetto ad un governo di tipo podestarile, nonostante continuino ad essere oggetto di diffidenza da
parte dei nuovi signori.
→ I mercanti apprezzano notevolmente la pace che le signorie riescono a garantire perché favorisce
notevolmente il commercio e soprattutto grazie all’impegno dimostrato dai signori nel preoccuparsi
della politica economica
→ I livelli più bassi della società non hanno molto da perdere rispetto al regime comunale dato che sono
comunque esclusi dal potere decisionale
Precursori
Il regime signorile nasce alla fine della prima metà del XIII secolo nel nord est italiano: negli anni ’30, infatti,
Ezzelino da Romano si impone su tutta la marca trevigiana.
Città sotto il dominio di
Ezzelino da Romano Ezzelino era l’erede di una grande famiglia veneta che dispone di castelli e
moltissimi rapporti clientelari con le campagne; ha saputo sfruttare al meglio le
Verona guerre di Federico II di cui ha anche sposato la figlia e, soprattutto, ha saputo
Vicenza cavalcare tutte le guerre civili scoppiate all’interno dei Comuni: in questo modo
riesce a dominare quasi tutte le città del Veneto che governa in modo
Padova autoritario.
Treviso A causa delle sue ripetute crudeltà, nel 1259 gli viene scatenata contro una vera
e propria crociata, in cui troverà la morte, guidata da Uberto Pallavicino.
Uberto, dal canto suo, riesce a costituire uno stato speculare a quello di Ezzelino
Città sotto il dominio
nella pianura del Po, al confine tra l’Emilia e la Lombardia. Il suo potere deriva
di Uberto Pallavicino
nettamente dall’adesione al partito imperiale, tanto sotto Federico che sotto
Manfredi, al punto da raggiungere il titolo di Vicario generale del Sacro Romano Piacenza
Impero in Lombardia. Parma
Per tutti gli anni ’50 del XIII secolo, quindi, quasi tutta la Pianura Padana era Pavia
divisa sotto il dominio di Ezzelino e di Uberto, entrambi ghibellini e rivali; dopo
la morte di Ezzelino le ambizioni di Uberto aumenteranno al punto di diventare Cremona
capitano generale del popolo di Milano e infine Podestà di Brescia, Parma, Novara,
Bergamo, Tortona ed Alessandria. Mai nessuno era riuscito a riunire così tanti comuni sotto lo stesso stemma.
Questa corsa però non permise di consolidare base su cui costruire un regno, quindi le prime fragilità emersero
praticamente subito a causa dell’ondata di riconquista guelfa che spazzerà via l’esperienza di Uberto, che
morirà in guerra nel 1269.
La diffusione generale del regime signorile nelle città del Nord (seconda metà del XIII secolo)
Il cambiamento di regime a Milano è graduale ed è portato avanti dalla famiglia della Torre che, dal 1240,
riuscirono a moltiplicare la loro presenza all’interno delle magistrature del Popolo, assumendone velocemente
le funzioni direttive. La Pace di sant’Ambrogio del 1258 assicura una tregua tra Popolo e Milites e un governo
nelle mani dei primi: alla nomina di Uberto a capitano del popolo di Milano, Martino della Torre ottiene il titolo
di anziano del Popolo, riuscendo così a conservare i suoi privilegi nonostante la caduta di Uberto: dopo questo
episodio, la famiglia della Torre si rivela essere l’unica proprietaria della città.
Dopo questo esempio, il potere signorile inizia a diffondersi per tutta l’Italia del Nord: il marchese Guglielmo
da Monferrato, ad esempio, si impone in molte città del Nord – Ovest (Alessandria, Asti, Tortona, Ivrea) e,
come Uberto prima di lui, cerca di ingrandire il proprio territorio diventando capitano generale di Milano, ma
come per Uberto il suo tentativo si rivelerà fallimentare e morirà nel 1292 imprigionato ad Alessandria
Nel 1257 Guglielmo Boccanegra riesce ad essere nominato capitano del comune e del popolo di Genova,
riuscendo a restare tuttavia al potere solo fino al 1262.
L’ITALIA DEI COMUNI DAI GOVERNI DI POPOLO ALLE SIGNORIE CITTADINE (1260 –
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La morte di Ezzelino da Romano aveva lasciato nelle città sotto il suo controllo un vuoto governativo che
permise l’ascesa di nuove famiglie: a Verona una nuova dinastia signorile si forma sotto il simbolo della famiglia
della Scala: tra loro Mastino della Scala era riuscito a diventare luogotenente di Ezzelino a Verona, quindi alla
sua morte si fa prontamente nominare Podestà della città, lasciando il titolo al fratello Roberto al momento
della sua morte, nel 1277.
Da Ferrara la famiglia Este riesce ad estendere la propria influenza anche su Modena e Reggio mentre, a
Mantova, la famiglia Gonzaga riesce ad imporsi nel 1328 grazie al riconoscimento del titolo di vicario imperiale.
Quasi nessuno di essi riesce ad estendere il suo dominio su più di una città, per cui le dimensioni dei territori
sono minuscole; accade così che la concorrenza di un castellano vicino possa costituire una minaccia per
queste piccole signorie urbane.
L’ITALIA DEI COMUNI DAI GOVERNI DI POPOLO ALLE SIGNORIE CITTADINE (1260 –
1350)
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→ L’orientamento a investire nella terra i capitali commerciali e bancari che si intensifica alla fine del XIII
secolo e serve a stabilizzare le fortune in modo tale da mettere al riparo i grandi guadagni ricavati dal
mercato;
→ Le ricchezze tendono a concentrarsi all’interno di alcuni grandi lignaggi, i quali verso il 1300 possono
disporre anche di più della metà del reddito di una città;
→ L’irrigidimento dei gruppi dominanti si esprime anche attraverso la diffusione di strutture familiari
larghe e coese: si tratta di compagini sociali che condividono le attività commerciali, le faide, le scelte
politiche o la residenza. Questa è in epoca infatti in cui si moltiplicano le formazioni dei clan familiari,
fenomeno corrispondente a un momento dell’evoluzione aristocratica;
→ Un ulteriore fattore è dato dall’avvento dei governi signorili, che mette fine spesso a lunghe vicende
di dissanguamento politico, favorendo così il rafforzamento di alcune famiglie vicine al potere.
In generale si può dire che questa stabilizzazione della scorta sembra essere il carattere dominante della fase
finale del periodo in questione. L’élite urbana prende allora la forma di un patriziato con stabilità e privilegi.
Questi fenomeni di selezione di gruppi di potere non sono separabili dal processo di genesi delle signorie
riflesso dalla chiusura sociale politica.
I conti di Savoia sono insediati in un territorio comitale antico, che allargano nel XIII secolo annettendo signorie
e comuni, come quello di Torino. Gli altri tentativi di raggruppamento delle città sotto un’unica autorità hanno
per la maggior parte vita breve. Iniziano con la violenza e finiscono con la violenza. Tuttavia queste costruzioni
signorili, anche se effimere, esprimono una tendenza di fondo destinata a durare, rappresentata
dall’affermazione graduale delle metropoli nelle regioni: Milano in Lombardia o Firenze in Toscana.
Come avviene a Milano con i Visconti, anche Firenze si avvia a formare uno stato territoriale approfittando
della sproporzione tra le sue dimensioni e quelle delle piccole città che la circondano.
L’ITALIA DEI COMUNI DAI GOVERNI DI POPOLO ALLE SIGNORIE CITTADINE (1260 –
1350)
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Dopo il 1310, il doge è eletto a vita da una commissione formata in seno al Gran consiglio, alla fine di una serie
di elezioni e sorteggi. Capo della Repubblica, egli è legato da un giuramento prestato al momento
dell’assunzione della carica che definisce e limita i poteri.
L’arengo raccoglie tutti i cittadini, ma come dappertutto esso perde ogni ruolo effettivo tra il XII e il XIII secolo
a vantaggio dei consigli. Nel XIII secolo il Gran consiglio diventa l’organo più importante, dal quale tutti gli altri
derivano.
Nel 1297 la serrata fissa le condizioni di ingresso nel Gran consiglio, che poi diventeranno ereditarie,
determinando la formazione della nobiltà veneziana. Nasce così, almeno temporaneamente, il Minor consiglio
che assiste il doge nei suoi compiti e nelle sue deliberazioni ordinarie.
La signoria è quindi formata dal doge, dai 6 membri del Minor consiglio e dai 3 capi della Quarantia, organo
supremo dello stato che prende parte a tutti i consigli. Creata nel 1179, è formata da
Signoria di 40 membri eletti per un anno dal Gran Consiglio per occuparsi di questioni tecniche
Venezia di alto livello: dalla giustizia alla fiscalità, dalle finanze alla monetazione. È divisa in
3 sezioni, i cui responsabili sono detti capi della Quarantia. È un organismo
Doge essenziale, ma poi perderà la sua autonomia a vantaggio dei pregadi: il consiglio dei
pregati è chiamato così perché i suoi membri vengono convocati individualmente
6 membri del alle riunioni da un messo e non collettivamente dal suono di una campana. Questo
Minor Consiglio
consiglio appare verso il 1229 ed è formato da 60 membri eletti per anno a cui si
3 capi della aggiungono i responsabili dei principali uffici di amministrazione: si occupa di
Quarantia amministrazione politica estera e commercio. Il suo ruolo diventa sempre più
importante tant’è che si trasformerà in Senato.
Infine il consiglio del Dieci viene creato nel 1310, con la funzione di scoprire e reprimere le minacce contro lo
Stato.
La direzione degli affari è attribuita ai soli membri del Gran consiglio che costituiscono un’aristocrazia chiusa.
L’accesso a tutti i consigli e a tutte le magistrature avviene mediante elezione da parte del Gran consiglio. La
qualità di cittadino semplice è riservata a quelle famiglie che non esercitano le arti meccaniche da 3
generazioni.
Il commercio, le professioni liberali, le imprese marittime costituiscono le sole attività che permettono
l’accesso a cariche pubbliche. Ma non c’è e non ci sarà mai a Venezia un Popolo come forza politica.
L’ITALIA DEI COMUNI DAI GOVERNI DI POPOLO ALLE SIGNORIE CITTADINE (1260 –
1350)
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Quasi - Città
la stessa storia di Macerata e Viterbo, ossia nascono dalla fusione di due
grandi Castra cui sono state costruite delle mura attorno; ognuna di esse,
tuttavia, tenta di estendere la propria influenza sui territori circostanti,
creandosi così un contado che viene però quasi sempre conteso dalle Cuneo
La rete urbana
L’Italia centro settentrionale è quindi la zona più urbanizzata d’Europa, tanto che nel 1300 conta all’incirca 13
milioni di abitanti facenti parte di una popolazione
Urbanizzazione Europea
europea che, sul totale, è stimata attorno agli 80
milioni.
6
Piccole organizzazioni ecclesiastiche che comprendono diversi villaggi e il cui arciprete risiede nel borgo
L’ITALIA DEI COMUNI LA CRESCITA DELLE CITTÀ: POPOLAMENTO ED ESTENSIONE
DELL’HABITAT
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Quanti abitanti?
Le fonti demografiche e le loro analisi
Calcolare il numero di abitanti di una città medievale è un’impresa incredibilmente difficile a causa della quasi
totale mancanza di fonti scritte, anche in Italia dove sono comunque molto più diffuse che nel resto d’Europa
ma mai complete, probabilmente perché mai finalizzate ad un vero e proprio censimento.
Tutta la documentazione a noi pervenuta, infatti, elenca sempre un determinato settore della popolazione con
finalità quasi sempre amministrative. Si trattava, quasi sempre, di elencare tutti i maschi adulti non indigenti
per:
→ Calcolare lo stato patrimoniale, e quindi la capacità contributiva, degli abitanti
→ Ufficializzare un trattato di alleanza con un altro comune su cui tutti gli uomini dovevano giurare
Altre liste piuttosto comuni sono quelle che censiscono i soldati o che elencano i banditi.
Per effettuare un calcolo più o meno preciso è quindi necessario procedere per estrapolazione di dati, fissando
così ogni uomo ad un coefficiente specifico che si possa rapportare al resto della famiglia: nei documenti fiscali,
ad esempio, sappiamo che venivano censiti solo i capofamiglia, quindi un coefficiente verosimile è fissato a
4,5, mentre per quanto riguarda la lista di soldati, questo scende a 3,5 perché era plausibile che nello stesso
elenco comparissero più elementi appartenenti allo stesso fuoco, per esempio il padre e il figlio maggiore.
A questo calcolo, poi, è necessario sommare il notevole numero di stranieri, di religiosi e, soprattutto, di
mercanti che, passando molti anni fuori dal Comune per lavoro, non conducono una vita sociale tale da
giustificare la loro presenza all’interno di un qualsiasi elenco.
Un esempio molto valido ci viene fornito dal giuramento che i pisani dovettero sottoscrivere in occasione del
trattato di alleanza stipulato con Siena, Poggibonsi e Pistoia nel 1288: la lista dei convocati venne redatta
partendo da quelle presenti nelle parrocchie, verosimilmente già dal 1226, e comprende 4300 nominativi, cui
mancano, come abbiamo detto, mercanti e religiosi. La comparazione di questa lista, con una aggiornata
certamente del 1228, permette di calcolare una diminuzione del 20%: effettuate le correzioni, ed applicato un
coefficiente pari a 4, si può presumere che Pisa avesse tra i 22.000 e i 27.000 abitanti, cifra perfettamente
compatibile con l’estensione di 185 ettari che la città effettuò in questo periodo.
Anche Giovanni Villani tenta un esperimento simile con la Firenze del 1338, calcolando 90.000 bocche da
sfamare, cui però andrebbero integrate molte voci che il cronista non sembra considerare, quali religiosi, ricchi
in villeggiatura e bambini non svezzati; tenendo conto di questi fattori, un numero plausibile si assesta sulle
110.000 unità.
L’inurbamento
In città la popolazione aumenta soprattutto grazie al fenomeno dell’inurbamento: durante il XIII secolo ad
esempio, Firenze passa da 20.000 a 100.000 abitanti, mentre a Pisa oltre il 50% dei membri di una parrocchia
urbana è composta da nuovi immigrati.
Da sempre i ricchi proprietari fondiari avevano la tendenza a trasferirsi in città per far prosperare i propri affari,
e questo dato è sempre stato ampliamente documentato; in realtà però la maggior parte dei nuovi migranti
sono poveri contadini che vanno a popolare i sobborghi in cerca di un impiego: la migrazione fuori controllo,
quindi, si spiega sia col dinamismo dell’economia urbana che attira allo stesso modo ricchi e poveri, sia a causa
degli sconvolgimenti dell’economia agraria dovuti agli investimenti dei cittadini fuori città.
Cittadini e rurali
Nel 1300, quindi, il tasso di urbanizzazione italiano sfiora il 25%, percentuale decisamente più alta della media
europea e, in molti casi, anche dell’Italia moderna.
L’enorme divario tra cittadini e contadini è un importante fattore scatenante delle difficoltà economiche che
iniziano a scatenarsi per tutto il XIV secolo: troppe persone in città, troppi pochi contadini per produrre il cibo
necessario a sfamare tutti. La realtà dei fatti, ovviamente più complessa, vede un’economia completamente
inserita in un contesto mondiale in cui i contadini producono manufatti ed esportano cibo, importando poi il
grano dall’esterno, spesso anche da molto lontano. È il caso, ad esempio, di Milano che è caratterizzata da
campagne limitrofe incredibilmente fertili in cui i contadini mantengono un livello di produzione molto alto e
specializzato, che favorisce anche l’espansione dell’artigianato rurale.
Politiche di immigrazione
Era interesse dei Comuni tenere questo flusso migratorio sotto controllo costante, incoraggiandolo quando
c’era bisogno di soldati o contadini e per frenarlo quando lo squilibrio tra cittadini e contadini diventava troppo
elevato.
Era molto difficile respingere i migranti perché l’industria aveva costante bisogno di manodopera, quindi il
filtro si effettuava a livello di concessione della cittadinanza. Nel XIII secolo erano in vigore regolamenti ancora
molto accessibili alla cui base c’era generalmente un periodo di residenza di almeno 10 anni e l’espletamento
degli obblighi fiscali e militari; col passare del tempo, però, queste regole diventano più stringenti man mano
che i Comuni realizzano che l’inurbamento offre opportunità, adottando così la politica demografica ad
elastico, che alterna fasi di apertura ad altre di estrema chiusura o, addirittura, di allontanamento. Da questo
momento in città sono ammesse solo le élite rurali, tutti gli altri sono scoraggiati a diventare cittadini con
misure di ogni tipo, tra cui importanti richieste economiche per ottenere il diritto di risiedere entro le mura.
Spostamenti da lontano
Gli stranieri che arrivavano da lontano non erano moltissimi, ma si tratta comunque di un dato che non può
essere trascurato perché ricco di conseguenze sociali, economiche e culturali.
In generale tutti i comuni accettano ben volentieri gli stranieri che intendono insediarsi in campagna,
fenomeno che favorisce lo spostamento di moltissimi lombardi nelle Marche o in Abruzzo; per quanto riguarda
la città, è richiesta qualche padronanza tecnica utile alla comunità. un discorso a parte va fatto per le categorie
ultra specializzate, come ad esempio i bergamaschi che a Genova entrano come scaricatori di porto. Non sono
pochi, infine, gli stranieri che arrivano in città per sparire in un sottobosco di popolazione instabile, dedita a
lavori umili quali prostitute, prestatori su pegno, ebrei o soldati di ventura.
Gli inizi del declino demografico nell’ultimo trentennio del XIII secolo
A partire dal XIII secolo, però, il declino subentra alla crescita: a Prato, per esempio, attorno al 1339 si passa da
3400 fuochi circa a 3200, mentre a Firenze la popolazione non è più cresciuta dopo essersi stabilizzata sui
110.000 abitanti nel 1338. A Bologna, nel 1308, si assiste ad un calo drastico della popolazione, probabilmente
dovuto alla cacciata dei ghibellini, a Roma, invece, si assiste ad una crescita del numero delle case abbandonate
e gli affitti calano anche del 30%; il Palatino risulta essere completamente abbandonato ed il trasferimento del
papa ad Avignone non fa che accentuare questa tendenza.
La costruzione
Il processo di lottizzazione serviva a rispondere alla domanda immobiliare sempre crescente, quasi mai
sostenuta da un’offerta decente: le operazioni della Chiesa modificano sostanzialmente le condizioni generali
dell’offerta abitativa urbana. Le case costruite, di norma, appartengono al cittadino che l’ha edificata, quindi
questi hanno la possibilità di affittarle a terzi, dando così luogo ad un processo di Proprietà dissociata.
In centro iniziano a svilupparsi abitazioni composte
Chiesa da due o tre piani, mentre in periferia troviamo case
Cittadino di un solo piano, generalmente divise tra loro da un
Affitta il terreno di
cui resta proprietario Locatario
Crea la casa di cui piccolo giardino; le particelle difficilmente superano
a prezzi irrisori e per mantiene la
periodi molto lunghi Paga un affitto molto i 6 metri di lunghezza in strada e i 10 di profondità. I
prorpietà e er la elevato con contratti
ed obbliga a
costruire una casa
quale percepirà un generalmente molto materiali utilizzati sono sempre semplici ed
affitto da un terzo brevi economici: legno, malta e mattoni; le tegole, dello
stesso materiale dei mattoni, sono obbligatorie per
ridurre il rischio di incendi.
Alla fine del XIII secolo, la maggior parte delle persone dispone di un appartamento molto piccolo, spesso
consistente in una sola camera, d’altra parte sembra che gli affitti non siano ancora considerati un vero e
proprio mercato dato che non sono noti casi di imprenditori che investano in immobili con questa finalità.
Disponiamo oggi di pochissimi dati relativi al mercato immobiliare fuori Roma, ma solo di poche informazioni
molto generiche, come nel caso di Piacenza: qui abbiamo una trentina di atti redatti tra il 1203 e il 1256, ma le
descrizioni e i prezzi sono talmente vari che risulta impossibile essere precisi in merito.
A Firenze la questione non è molto diversa, con l’aggravante che non esistono registrazioni antecedenti al XIII
secolo, quindi un confronto è proprio impossibile. Possiamo però notare che il tasso di mobilità era molto
elevato perché gli inurbati raramente trascorrevano molto tempo nella stessa casa o nello stesso quartiere,
dando l’impressione di essere persone arrivate in città da poco, e quindi ancora in fase di ambientamento.
Tutto il mercato immobiliare si basa più su necessità familiari che non economiche, quindi i prezzi tengono
molto conto delle relazioni sociali o clientelari esistenti tra venditore ed acquirente, senza contare il grosso
settore della beneficienza: se il venditore è un monastero, ad esempio, abbiamo visto che la finalità non è tanto
l’alienazione per denaro del bene, quanto la conquista di una nuova famiglia di fedeli, quindi i prezzi sono
essenzialmente a loro favore; anche gli aristocratici hanno bisogno fondamentalmente di numerose abitazioni
da assegnare a cadetti e a clienti vari.
Torri e logge
Venezia è un caso unico nel suo genere perché, non avendo guerre interne, non dispone di torri, altrove invece
sono un contributo determinate dell’aristocrazia all’arredo
urbano.
Tutti gli scontri tra famiglie girano attorno alle torri, dato che
spesso erano assediate e fornivano un’altra posizione da cui
poter scagliare frecce ed altri proiettili; la competizione per la
torre più alta le porta ad avere dimensioni incredibili che le
rendono molto fragili e poco funzionali, quindi destinate a
scomparire: esempi ancora oggi tangibili di questa realtà si
trovano a San Gimignano e a Bologna.
L’ITALIA DEI COMUNI LA FORMA DELLE CITTÀ: STRATEGIE E PAESAGGI
DELL’URBANIZZAZIONE
47
Nonostante la torre da guerra non sia in alcun modo abitabile, la forma delle aristocratiche torri – casa è
profondamente influenzata da queste per sottolineare il prestigio della famiglia che l’ha edificata: nascono
quindi vere e proprie società di torri che permettono la condivisione delle spese di costruzione e
manutenzione tra le famiglie alleate. La costruzione di ogni torre indica quindi un processo di solidarietà tra
più famiglie e le società che ne derivano sono tutte regolarmente costituite di fronte ad un notaio con diritti e
doveri di ogni membro ben definiti.
Anche le logge sono tratti distintivi dell’architettura aristocratica di questo periodo: si tratta di piccole
costruzioni aperte dove si incontrano i membri delle famiglie alleate per chiacchierare durante il tempo libero.
Nella Firenze del 1200 se ne contano una quindicina, mentre a Pavia, intorno al 1330, praticamente ogni famiglia
aristocratica ne ha una.
Arnolfo ridisegna completamente la città rifacendo le mura e ridisegna le vie che collegano nuove piazze e
quartieri.
Esistono poi anche casi minori, come ad esempio Portovenere, fondata da Genova come un porto di sua
pertinenza nel 1136, che in questo periodo creano nuove vie e fissano le regole per l’edificazione delle nuove
case.
Benessere collettivo
Il miglioramento delle condizioni di vita: l’igiene
Tutti i governi comunali erano estremamente attenti alla salute pubblica, soprattutto dopo l’inizio della
stagione delle grandi epidemie, dalla fine del XIII secolo in poi: bisognava coniugare il concetto di salute con
quello di bellezza urbana.
Garantire l’igiene pubblica in questi agglomerati urbani è un’attività incredibilmente difficile, soprattutto
perché le dimensioni erano tali, e gli abitanti tanti, da rendere problematica la gestione delle faccende più
banali come lo stoccaggio dei rifiuti, la fornitura di acqua potabile e lo scolo delle acque nere; infatti, anche
nelle descrizioni più dettagliate in nostro possesso, non è mai fatto nessun riferimento alle norme igieniche
adottate.
La pulizia generale della città si basava sullo sforzo collettivo dei cittadini, considerati responsabili del decoro
del pezzo di strada su cui affacciava la loro casa. I regolamenti principali prevedevano il divieto tassativo di
gettare rifiuti ed escrementi dalle finestre, l’abbandono di carcasse di animali per strada, limitazioni
sull’allevamento e transito dei maiali. Tutte queste norme sono spesso molto elementari, a Bassano, ad
esempio, è vietato defecare ed orinare in mezzo alla strada: l’esigenza di mantenere pulito il suolo pubblico è
però in netto contrasto con i limiti strutturali e le esigenze dell’igiene personale dato che in città è altresì
vietato installare latrine in casa, per ridurre il rischio di contaminare l’acqua potabile.
Le attività produttive devono essere regolamentate per ridurre al minimo le possibilità di inquinamento
industriale, quindi tutti i mestieri più inquinanti sono raccolti nello stesso punto ai margini della città: nel 1252
Bologna concentra tutte le attività a sud, in prossimità del fiume Savena, salvo poi spostarle tutta a nord, nei
pressi del Reno, nel 1259.
La maggior parte delle città si dota di un sistema fognario che incanala gli scarichi di tutte le case: Parma lo
prevede nei suoi statuti già nel 1255, anche se nel 1308 non ce n’è ancora nessuno collegato; Boccaccio, nel suo
Decameron, ci racconta che a Firenze erano molto frequenti le discariche a cielo aperto, il cui contenuto era
riutilizzato dai contadini per concimare i terreni.
L’acqua
I lavori più impegnativi sono tutti relativi al trasporto dell’acqua, la cui disponibilità e abbondanza può
addirittura decretare il successo di un governo. Pozzi e fontane sono i luoghi chiave dell’aristocrazia, è qui
infatti che i signori si riuniscono.
Durante tutto l’alto medioevo sono ancora utilizzati gli antichi acquedotti romani, ma ora soddisfano solo una
minima parte del fabbisogno d’acqua collettivo: a partire dal XII secolo si procede quindi con la costruzione di
nuove strutture che, oltre a garantire l’accesso all’acqua potabile, arricchiscono il paesaggio urbano con
fontane. A partire dalla seconda metà del XIII secolo l’edilizia idraulica conosce un periodo di grande splendore,
soprattutto in Lombardia dove, grazie all’abbondanza d’acqua presente, è possibile sperimentare costruzioni
avveniristiche, come ad esempio i Navigli che rendono navigabile Milano.
In Umbria e nelle zone montane della Toscana, al contrario, l’impresa è veramente ardua e
l’approvvigionamento d’acqua impone opere monumentali, come nel caso di Siena, la cui conformazione
collinare rende estremamente difficile il trasporto dei liquidi: tra il 1287 e il 1355, i Nove che governano Siena
elaborano un sistema viario razionalizzato, un uso migliore di ambienti comuni e palazzi che finalmente hanno
una destinazione chiara, e soprattutto ingegnano un sistema in grado di portare l’acqua in città tramite
condotte ricoperte di mattoni che collegano le falde alla base della collina su cui sorgeva la città con le fontane
presenti nelle piazze. Nonostante ciò l’acqua in città continuava ad essere insufficiente, ma almeno non era
più necessario doverla reperire al di fuori delle mura cittadine.
Bologna conosce la sua svolta nel 1274 con la grande cacciata dei ghibellini dalla città: la confisca dei loro palazzi
permette l’ingrandimento della piazza su cui affacciavano e la costruzione del palazzo dei notai; viene inoltre
costruita un’enorme cattedrale intitolata a San Petronio.
A Firenze una grande piazza viene aperta di fronte alla chiesa di Santa Croce in modo abbastanza semplice
perché questa era costruita dai francescani nel 1225 al di fuori delle mura, a differenza dell’altra grande piazza
creata in corrispondenza di Santa Maria Novella. L’accesso a queste due grandi piazze è garantito dalla
costruzione di due grandi strade che arrivano alle porte della città.
In linea di massima si può affermare che molte città si impegnano nella costruzione di grandi piazze con le
finalità più disparate: possono avere infatti una funzione civica o ospitare un mercato o ancora, nel caso della
piazza della cattedrale, una finalità religiosa: a Bologna, ad esempio, la piazza collegata alla cattedrale non si
sviluppa perché conserva ancora un’intimità religiosa mentre l’enorme piazza Maggiore è funzionale per tutte
le necessità politiche ed amministrative, in particolar modo dopo la cacciata dei ghibellini e la relativa
costruzione della basilica di San Petronio. Sono presenti qui anche molti edifici commerciali e il palazzo dei
notai che rendono possibili tutte le transazioni. Il vero mercato è però situato in prossimità della Porta
Ravegnana dove è possibile trovare generi alimentari e mercanzie di vario tipo, come stoffe e cambiatori.
I palazzi pubblici
Il vero simbolo del Comune non è tanto la piazza principale, quanto il Palazzo comunale.
Prima dell’adozione di un edificio specifico, i consoli si riunivano nel palazzo del vescovo, il che ha anche un
valore simbolico dato che rappresenta un po’ il passaggio di testimone che c’è stato fra queste due istituzioni.
L’importanza del palazzo ha origini romane e rappresenta il vero e proprio centro del potere supremo: non è
infatti un caso che l’adozione di un palazzo comunale avvenga più o meno ovunque in concomitanza con
l’arrivo dei primi Podestà. Il governo dei consoli, infatti, era basato sul consenso e sull’equilibrio di varie forze
politiche che non presupponevano una precisa identità della magistratura; il Podestà, invece, fonda la sua
autorità sul prestigio personale, quindi ha bisogno di un luogo fisico in cui identificare la sua persona e la sua
funzione.
Subito dopo la Pace di Costanza, quindi, i palazzi iniziano ad essere costruiti in tutte le città del nord Italia;
entro gli anni ’30 del XIII secolo quasi tutti i Comuni ne sono dotati.
In Lombardia tutti i palazzi sono strutturalmente molto simili tra loro e, funzionalmente, ricordano i palazzi
regi del passato: tutti hanno un pianterreno aperto sulla piazza caratterizzato da alte arcate e destinato alle
assemblee, spesso anche i commercianti hanno la possibilità di esporre qui la propria merce; al primo piano c’è
una sala chiusa accessibile tramite una scala esterna e i tribunali; non manca quasi mai, a corredo, un balcone
da cui il Podestà può parlare al popolo e una torre.
Molti palazzi originariamente erano fatti in legno, quindi all’inizio del XIII secolo devono essere ricostruiti in
pietra, assumendo così l’aspetto definitivo che conservano ancora oggi, e è molto simbolico il fatto che questi
vengano sempre costruiti abbastanza distanti dal palazzo del vescovo, per sottolineare la distinzione tra i due
poteri.
Le funzioni di questi edifici diventano solo simboliche con l’avvento delle signorie, dato che queste eliminano
tutti i governi comunali: già nel 1288, ad esempio, a Milano il broletto assume solo funzioni giudiziarie.
In Toscana i palazzi occupano spazi multipli perché assumono funzioni multiple: sono palazzi comunali, palazzi
del Podestà, palazzi del capitano del Popolo e anche luoghi dove svolgere le ordinarie operazioni
amministrative: non rappresenta più il popolo nella sua interezza, ma solo l’élite di questo, diventando un vero
e proprio simbolo di dominio di una parte della popolazione sull’altra. Rispetto alla Lombardia, quindi, deve
necessariamente variare anche il loro aspetto estetico: appaiono quindi più come fortezze, chiuse all’esterno
con un pian terreno cieco dominato da una torre che doveva necessariamente essere la più alta della città.
La magnificenza signorile
Tuttavia l’ideale di bene comune non è totalmente abbandonato, solo che adesso i grandi lavori devono
sottolineare l’importanza del signore e suscitare ammirazione e gratitudine nei suoi confronti.
Tutti i cronisti e i cantori dell’epoca tessono le lodi dei vari signori, dei Visconti a Milano, di Azzone a Como,
Scaligeri a Verona, Gonzaga a Mantova, Este a Ferrara e così via…
Si vengono così a costituire numerosissimi gruppi che aspirano ad una vita comunitaria basata sull’amore verso
il prossimo, passando così ad una vita pura e serena quanto più vicina possibile a quella degli apostoli.
L’esempio più importante, in questo senso, è quello di San Francesco che trascorre innumerevoli ore in
preghiera solitaria fino ad abbandonare la vita da cavaliere festaiolo in favore di una radicale forma di povertà
che lo porta a rinunciare a tutti i beni del padre per mettersi al servizio degli ultimi, malati e soli.
Il monachesimo benedettino
La Regola di San Benedetto esce molto presto dai monasteri per diffondere tra i laici una nuova forma di
ispirazione alla povertà, al lavoro e al ritiro dal mondo. Prima constatazione di ciò la si trova nella formazione
dell’ordine cistercense, monaci votati ad una profonda solitudine che formano relazioni intense con molti
Comuni che, in casi estremi, arrivano anche ad identificarsi col proprio monastero cistercense.
Su richiesta del Comune, si formano così tre monasteri importantissimi:
→ Chiaravalle milanese
→ Chiaravalle della Colomba, nei pressi di Piacenza
→ Sant’Andrea di Sestri Levante
Questi monasteri sono l’esempio tangibile del potere attrattivo che hanno i Comuni sulla vita ascetica dei
monaci, così, tar il XIII ed il AIV secolo, anche molti altri monasteri rurali si trasferiscono in città. La loro
influenza sui laici, però, ha molti limiti perché i monaci si insediano generalmente nei quartieri più antichi e
poveri, e qui conducono una vita modesta e molto ritirata dato che comunque la loro vocazione non è
assolutamente quella della predicazione e, quindi, della coltura della Fede nei cittadini.
Tuttavia accanto a molti monasteri non è difficile trovare laici che si definiscono Conversi, ossia gente comune
che condivide le scelte di vita dei cistercensi e cerca di attuarle, ponendosi quindi a metà strada tra il
monachesimo e il mondo. Si tratta per lo più di persone provenienti dalle grandi famiglie cittadine che finiscono
col fare da intermediari tra il monastero e la città.
proprio ambiente sociale. Tutte queste associazioni si raggrupperanno sotto il nome di Terz’ordine, perché
preceduto dai Fratelli e dalle Sorelle, e saranno ufficialmente riconosciute dal papa solo alla fine del XIII secolo.
La prima regola venne assegnata dal papa nel 1220 – 1221 agli ordini che prenderanno il nome di Ordine della
penitenza, ma la maggior parte degli altri resteranno ad uno stadio embrionale ed informale. Alcuni di questi
gruppi, detti i Disciplinati, introducono la pratica della flagellazione che assume una dimensione di massa nel
1260, quando migliaia di flagellanti gira per le città predicando la conversione.
Fra questi gruppi spiccano gli Umiliati, laici molto vicini agli ordini monastici: possono sposarsi ma vivono in
comunità in penitenza, e diventano molto famosi nella lavorazione della lana. Appaiono in Lombardia nel 1175
e si diffondono soprattutto nelle grandi città; quasi subito sono condannati per eresia assieme ai Valdesi, ma
la maggior parte di loro rientrerà in pace con la Chiesa nel 1201. A questo punto si organizzano in un triplice
ordine:
→ Religioso: canonici e monache
→ Laico: vivono in comunità
→ Coppie: la cui regola prefigura quella dei Terziari
Questa dimensione di fraternità e penitenza, infine, la si ritrova nelle Confraternite, che costituiscono un
importante elemento della religiosità cittadina.
L’eresia si diffuse immediatamente nelle città: tra il 1180 e il 1260 moltissimi cittadini milanesi, piacentini e
cremonesi aderiscono o al catarismo o al valdismo. Tutti, senza distinzioni sociali, si avvicinano o quanto meno
simpatizzano per queste tesi che riescono a crescere fino ad arrivare a fondare due nuove Chiese vere e
proprie.
La repressione inizia seriamente solo dopo che, nel 1260, nella maggior parte delle città i Guelfi salgono al
potere e riescono a cacciare i Ghibellini: arrivano quindi gli inquisitori che assumono il controllo delle
confraternite e riescono a sradicare ovunque le eresie.
Tutto l’impegno repressivo è attentamente pianificato: il Concilio Laterano IV del 1215 nasce la vera
inquisizione, affidata ai Domenicani, che si dota di propri statuti. Dal 1230 ogni città avrà un inquisitore stabile
che si occuperà della caccia agli eretici, facendoli abiurare o condannandoli a pene di gravità crescente, fino ad
arrivare al rogo.
La reazione a questa ondata repressiva è molto forte, sia da parte delle autorità laiche che non possono
accettare uan giustizia sommaria che, oltretutto, non possono controllare, sia da parte della società cittadina
che simpatizza per gli eretici e non riesce ad accettare le misure estreme degli inquisitori. Il culmine dello
scontro si raggiunge nel 1252 sulla strada che va da Como a Milano: Pietro da Verona, inquisitore domenicano,
è assassinato.
Anche se osteggiata da più fronti, la repressione è molto efficace, tanto che alla fine del XIII secolo valdesi e
catari iniziano a scomparire.
l’insegnamento superiore si svolge in luoghi che di fatto sfuggono al duro controllo del clero, le Università in
cui il Diritto ricopre un ruolo privilegiato, in particolar modo a Bologna che per prima è ricollegata alla
riscoperta del Diritto romano. Fino agli anni ’30 del XII secolo, infatti, soprattutto
a Pavia era insegnato il Diritto longobardo che però conoscerà ben presto un Fondamenti del
periodo di rapido declino. Diritto
La definizione dei tre capisaldi del Diritto ne determinano una rapida rinascita, e Diritto Romano
al Diritto Romano si affiancano presto il Diritto Canonico, cioè il Diritto della
Chiesa, e il Diritto Consuetudinario, ossia quello studio necessario ad
Diritto Canonico
armonizzare al meglio le consuetudini, ossia gli usi diffusi in ogni regione, e gli
statuti delle città che accolgono le decisioni dei magistrati. Anche se assume un
Diritto
ruolo decisamente inferiore, è ancora vivo ed importante il Diritto Feudale che Consuetudinario
regola i rapporti tra signori e vassalli.
Le fonti su cui si basano i giuristi del XIII secolo per studiare il Diritto Romano è il Corpus iuris civilis voluto da
Giustiniano tra il 533 ed il 554, ed in particolar modo il Digesto, una delle 4 parti in cui questo è suddiviso.
Questo manoscritto fu riscoperto a Pisa nel 1070 e da qui rinascerà la prima fase della giurisprudenza
bolognese sotto l’attento occhio di Inerio, magister e fondatore dell’Università di Bologna, si occuperà di
scrivere su questo testo numerosissime glosse in cui discuterà delle possibili applicazioni, spiegando i passaggi
più complessi. Ad Inerio succederanno i Quattro dottori di Bologna che stabilizzeranno l’insegnamento del
Diritto e svolgeranno nel contempo attività di consulenza giuridica: il caso più celebre, in questo senso, fu la
collaborazione di questi con l’Imperatore Federico I Barbarossa nella definizione degli Iura regalia, testo
fondamentale su cui si baserà tutta la politica di Federico nel tentativo di ristabilire il proprio dominio sui
Comuni a partire dal 1158.
Accursio fu un giurista attivo in una fase ancora successiva; il suo contributo più importante fu l’aver riunito in
un unico testo tutte le glosse dei suoi predecessori, ormai discordanti, più volte in contraddizione e quindi
difficili da interpretare. L’opera, che prese il nome di Magna Glossa, ebbe un successo enorme, tanto che
divenne impossibile studiare il testo di Giustiniano senza avere accanto questa guida di riferimento.
Il diritto canonico
Il Diritto Canonico è il Diritto della Chiesa, fondato sulle sacre scritture, sugli scritti dei Padri della Chiesa e su
tutte le decisioni prese in occasione di Sinodi e Concili, non si limita ad essere il codice legislativo del clero, ma
serve anche a regolamentare tutto ciò che ruota attorno ad esso, come ad esempio il sacramento del
Matrimonio.
Dal 1140, a Bologna, si iniziano a raccogliere collezioni di canoni in testi unici che prendono il nome generico di
Decretum; il più celebre e completo, Concordia discordantium canonum, viene redatto dal monaco camaldolese
Graziano e raccoglie più di 3500 canoni ordinati in forma logica che diventeranno presto la normativa di
riferimento ufficiale del papa. Quest’opera fu tanto importante che restò l’unico testo di riferimento fino al
1234, anno in cui Gregorio IX ordinò a Raymond de Penafort di redigere un elenco di decreti che affiancheranno
l’opera di Graziano nello studio del Diritto Canonico.
Da questo momento in poi i vescovi inizieranno a scrivere le loro decisioni, permettendo così alla Chiesa di
munirsi di un importantissimo archivio giuridico che dovrà regolamentare la vita dei fedeli.
L’istituzione universitaria
Vera innovazione di questo secolo è la nascita dell’Università. Questa si differenzia dagli Studia perché non si
limita ad indicare un semplice ciclo di studi superiore, ma una vera e propria istituzione basata du privilegi
accordati. La prima Università infatti, quella di Bologna, si basa su privilegi accordati dall’Imperatore nel 1158
che prevedevano l’esenzione di studenti e docenti dalla normale giurisdizione del Vescovo.
A differenza della altre Università che si sviluppano più o meno nello stesso periodo, Bologna è particolare
perché nel 1230 è ancora gestita da studenti che si organizzano in Due Università, una per gli Italiani e una per
i residenti oltralpe, ciascuna delle quali divisa in Nazioni, il cui riferimento diretto è il Comune che ha tutto
l’interesse a favorirle a causa dell’indotto economico che rappresentano.
Gli studenti sono generalmente giovani adulti provenienti da famiglie benestanti che iniziano col frequentare
la Facoltà delle Arti dove completano una formazione di base che, in seguito, apre la strada a studi più specifici.
Prima dell’affermazione di Bologna, il Diritto era studiato in modo approfondito a Pavia e Pisa, ma questi Studia
avevano un livello di approfondimento molto ridotto che si limitava a fornire le basi necessarie a formare le
competenze necessarie al Comune.
A partire dal XIII secolo si affianca a Bologna anche l’Università di Padova, che a ben vedere nasce da una vera
e propria scissione di magister fuoriusciti dalla sede emiliana, mentre, nel 1348, si fonda lo Studium fiorentino,
in contrapposizione a quello rivale pisano, che diventerà il nucleo centrale della futura Università di Firenze.
Nel sud Italia, l’unico grande centro degno di nota è l’Università di Napoli voluta nel 1224 da Federico II.
Il notariato
Un notaio ogni cento abitanti
Qualsiasi attività svolta tra il XII ed il XIV secolo ci è nota perché registrata dall’atto di un notaio, il cui lavoro
consisteva appunto nel redigere contratti di qualsiasi natura: questo ruolo viene assegnato da un’autorità
pubblica, generalmente un rappresentante dell’Imperatore, dal Comune o da un collegio di notai, a tecnici
della scrittura del Diritto Privato.
I Notai erano spesso associati alla figura dei giudici ed erano assunti quasi sempre dall’aristocrazia; a partire
dal XII secolo, però, le carriere iniziano a separarsi e a seguire due percorsi differenti sia da un punto di vista
professionale che tecnico.
Già dal 1200 i notai sono estremamente numerosi, ovviamente il primato tocca a Bologna, sede delle principali
scuole, che ne conta 1300 su una popolazione di 50.000 abitanti seguita da Milano con 1500, stima però
fortemente sopravvalutata. Questi numeri sono destinati a crescere in modo esponenziale nel corso del XIII
secolo, il che lascia supporre che la loro cerchia si allargò, uscendo dal mondo aristocratico: sono presenti nel
circoli delle Militie o nelle case dei sobborghi fiorentini. Questa evoluzione è naturale, e in buona parte dovuta
anche al loro sovrannumero che, alla lunga, finì col penalizzare il loro peso sociale, fino a diventare accessibile
a chiunque; questo processo troverà l’apice nel momento in cui il collegio dei notai aderirà al Popolo.
I Collegi dei notai, corrispettivo delle Arti per le libere professioni, fanno la loro comparsa nel XII secolo e hanno
la funzione di regolare e controllare l’operato degli associati, i valutarne l’accesso tramite esame che deve
valutare la capacità di scrittura e la conoscenza del Diritto dei candidati.
Il mestiere di notaio
Fino alla metà del XII secolo, i notai redigono gli atti su pergamena e consegnano una copia ad ognuno dei
contraenti; gli originali che sono arrivati fino a noi sono numerosissimi e costituiscono un’importante massa
documentaria che permettono a storici contemporanei di analizzare a fondo l’economia e la società del
periodo.
Quando iniziano a diffondersi i registri la documentazione notarile diventa incredibilmente più ricca: i registri
sono composti da fascicoli composti da minute, versioni ridotte dell’atto completo, che contengono i dati
essenziali sufficienti a dare valore legale al contratto.
I primi registri completi giunti a noi risalgono al XIII secolo, e rappresentano i primi che fanno uso della carta al
posto della pergamena. Non esiste una discriminante ufficiale, quindi il numero dei documenti in nostro
possesso dipende essenzialmente dal caso: ad Asti non esistono registri medievali, mentre a Lucca, Siena o
Firenze se ne contano centinaia. La diffusione di questi documenti è fondamentale perché contengono
numerosissime micro transazioni di valore minimo che non avrebbero mai prodotto un documento ufficiale
che potesse pervenire fino ai giorni nostri.
I notai e la cultura
Il ruolo del notaio all’interno del Comune, però, va al di là del semplice compito professionale, diventando
quindi una figura intermedia tra il tecnico e il dotto: pratico della scrittura, ha un bagaglio culturale che gli
permette di affacciarsi al mondo degli intellettuali, diventando così un vero ponte tra letterati ed illetterati, in
particolar modo tra cittadini e contadini.
La figura che incarna al meglio questo aspetto è Cola di Rienzo, protagonista di un interessante tentativo di
affermazione del Popolo romano: figlio di un taverniere e di una lavandaia, riuscì ad emergere negli studi
diventando un notaio.
Il notaio cronista
La formazione del notaio e il contesto sociale in cui si colloca gli permette anche di lavorare per la nobile finalità
di scrivere la storia del proprio tempo e del proprio Comune. molti notai, infatti, hanno lasciato testimonianze
scritte in cui spiegano le ragioni delle loro decisioni: considerandosi cittadini capaci, sentono il dovere morale
di conservare la storia della città, aiutati dal loro lavoro che li ha abituati a scrivere atti ufficiali.
Solo l’élite notarile inizia però a rivestire il ruolo di cronista perché è più vicina al governo del Comune e quindi
informata da fonti certe.
Esistono addirittura casi in cui la cronaca diventa un vero e proprio incarico ufficiale: a Genova i notai comunali
sono incaricati di redigere gli annuari, mentre a Padova ci sono notai che annotano tutti gli eventi significativi
della città; ad Asti il notaio Alfieri scrive nel 1292 una storia della città mentre a Venezia, il doge Dandolo, si
assume un compito analogo.
perché qui si forma una spaccatura anche tra i notai: Rolandino è quindi al capo della fazione popolare mentre
il suo principale rivale, Salatiele si schiera con i Milites dando così origine ai primi Intellettuali di regime.
La cultura dei notai ha molte applicazioni politiche, sono infatti opera loro la maggior parte dei prologhi dei
testi legislativi prodotti in questo periodo, testi che cercano di fissare i principi del diritto attraverso riflessioni
sulla natura umana, come ad esempio il prologo agli statuti di Bologna del 1288 che si rivela essere un vero e
proprio capolavoro di retorica notarile.
La scrittura documentaria
Contare, controllare, conservare la memoria
L’Italia dei Comuni ha un primato europeo sulla produzione di documenti destinati a finalità pratiche, come
contratti, contabilità pubblica e privata e redazione scritta delle sentenze dei processi: esiste una vera e propria
passione per la scrittura che porta ad una fiorente produzione di libri di ragione in campo umanistico e libri di
contabilità in campo commerciale.
Una vera cultura comunale si afferma a partire dalla metà del XII secolo, rafforzata molto dalla necessità di
inventare nuovi metodi di affermazione: l’attività documentaria di questo periodo è molto florida ed essenziale
per il funzionamento di una macchina amministrativa sempre più complicata.
Come per i Comuni, anche l’amministrazione pontificia si sviluppa allo stesso modo, tanto che dal pontificato
di Innocenzo III in poi si stabilizza la tradizione archivistica del Vaticano. Tra il 1198, anno di incoronazione del
papa citato, al 1378 vengono registrati qui più di 300.000 atti: copie di lettere inviati a migliaia di destinatari
sparsi in tutto il mondo cristiano.
Anche i Comuni iniziano un’importante opera di archiviazione: attestano i propri titoli fondiari, i privilegi
acquisiti, più tutta una serie di nuovi incartamenti riguardanti accordi diplomatici, estimi, liste di soggetti
sottoposti a corvées, condannati e combattenti
Nasce così il concetto di governo di liste che viene consolidato nella seconda Giuramenti: liste di cittadini che
devono sottoscriverli
metà del XIII secolo con la salita al potere del Popolo ed il consequenziale
perfezionamento delle tecniche amministrative. Le autorità popolari, infatti, Militare: elenco di uomini abili al
servizio
cercano in ogni modo di controllare tutti gli aspetti societari possibili per
garantire equità, riducendo l’influenza dei potenti e, dove possibile, Associazionismo: elenco di iscritti
alle varie associazioni (Popolo, le
promulgando norme contro di loro. Arti)
Banditi
Questo processo è evidente in particolar modo a Bologna dove i notai sono
chiamati in massa per mettere in piedi questo enorme meccanismo censorio:
un esempio molto valido del suo funzionamento lo possiamo trovare nell’analisi dei registri degli uomini banditi
per debiti. Il Bandito è un uomo soggetto a particolari restrizioni da parte dell’autorità pubblica per i motivi più
disparati, generalmente per debiti o per motivazioni politiche: in genere un bandito era esiliato dal Comune e
i suoi possedimenti venivano sequestrati o distrutti. Esisteva però una forma di bando molto più tenue
riservata a reati minori, ad esempio per i debitori insolventi: una procedura pubblica sostituisce la forza del
privato e il debitore viene iscritto in una lista di banditi. Queste liste erano aggiornate quotidianamente
dall’officium bannitorum, questa procedura permetteva al creditore di esigere quanto dovuto per due volte
prima di diventare esecutivo e procedere con l’esilio. Una volta pagato il debito il nome veniva cancellato dalla
lista e il reato era considerato estinto.
I documenti fiscali
Diventa necessario che tutti i cittadini contribuiscano, per come possono, alle finanze della città, per rendere
possibile ed egualitario questo processo vengono prodotte liste apposite, dette Estimi. Dal secondo quarto
del XIII secolo iniziano ad essere stilate liste molto dettagliate elencanti beni ed entrate di ogni singolo
contribuente, dando così origine ai primi catasti.
Creare queste liste richiede un notevole lavoro perché diventano sempre più precise e dettagliate, tanto che
spesso gli uffici comunali riescono a ricostruire posizioni patrimoniali semplicemente confrontando l’elenco
dei debitori con quello dei creditori. Si formano liste dei proprietari delle abitazioni che risultano essere le più
complete, probabilmente anche solo per questioni ideologiche, dato che i governi erano molto più propensi a
tassare i proprietari fondiari piuttosto che gli uomini d’affari; per questo motivo, le verifiche sulla consistenza
dei patrimoni riguardava sempre ed esclusivamente i meni immobili.
Da questa presa di coscienza prende piede un nuovo genere letterario, il trattato di governo, spesso indicato
più semplicemente come letteratura per Podestà. Tra i titoli più importanti vanno ricordati l’Oculus Pastoralis,
una raccolta di discorsi di Podestà, o il Liber de regimine civitatum di Giovanni da Viterbo, o il già citato Tresor
di Brunetto Latini.
“…la vita degli uomini colti consiste più nel parlare che nell’agire…”
Questo sviluppo è molto attivo per tutto il XIII secolo, e tocca principalmente tre aspetti:
→ La scrittura: l’arte di scrivere lettere
→ La parola: l’eloquenza, l’arte di presiedere e dirigere assemblee, persuadendo chi vi partecipa
→ Le immagini: la pittura monumentale
La pratica dell’eloquenza
Qualsiasi visitatore europeo avesse visitato un Comune italiano, sarebbe stato colpito dal gusto e dalla tecnica
del discorso in pubblico tipico di queste città.
Albertano da Brescia commentava questo gusto italiano nel libro citato, De arte loquendi et tacendi, il cui titolo
è già abbastanza esplicativo: consigliava i momenti migliori in cui parlare o tacere, sottolineando l’importanza
di quest’ultimo aspetto.
L’arte della parola è una delle maggiori qualità politiche degli italiani che nel XIII secolo raggiunge il suo apice:
il primo atto di un Podestà, subito dopo il suo insediamento, è un discorso in cui elogia i cittadini e il lavoro del
suo predecessore, annunciando poi il suo programma e il suo modo di governare.
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Retorica e organizzazione
L’ITALIA DEI COMUNI LINGUAGGI E MEMORIA DELLA COMUNITÀ
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La funzione del cancelliere comunale incaricato di scrivere le lettere ufficiali, il Dictator, diventa imprescindibile
ovunque e quasi sempre affidata a retori di indiscussa fama.
I cittadini cronisti traducono in discorsi il coinvolgimento appassionato nella realtà cittadina e il senso
dell’azione che la trasforma. Insieme al notaio i mercanti – scrittori sono l’altro grande tipo di cronista
dell’epoca comunale: essi si sforzano di giustificare ciò che scrivono. La storiografia comunale nasce insieme
al comune stesso. I cronisti delineano una storia concentrata sul dominio politico della classe dirigente e
orientata dal doppio tema dell’affermazione del comune all’esterno e della difesa e del consolidamento delle
sue istituzioni all’interno.
Viaggi e missioni
Oltre ai commercianti, gli altri grandi viaggiatori sono i missionari, e il testo arrivato a noi che racconta meglio
questa esperienza è Viaggio in Oriente di Giovanni da Pian del Carpine. Si tratta di un monaco francescano
perugino che ha passato gran parte della sua vita in missione in oriente per conto di Innocenzo IV presso il
Khan mongolo.
I panni di lana
Le stoffe, e in modo particolare i drappi di lana, sono le merci di maggior valore nel commercio medievale. Le
lane ordinarie sono fornite dall’allevamento ovino autoctono, tanto che proprio in questo periodo iniziano a
delinearsi gli itinerari della transumanza. Le lane più fini vengono dalla penisola iberica e dal Maghreb, le
migliori in assoluto dall’Inghilterra.
Il ciclo di trasformazione consiste in un processo che dalla lana grezza porta il prodotto a filo, tessitura e
follatura, seguono poi le rifiniture e solo alla fine il processo di tintura.
Il tessitore è in genere un uomo ed è il fulcro di tutto il ciclo della lana: è il detentore di una tecnica difficile e di
attrezzi costosi.
Il principale centro di produzione tessile, fino alla metà del XIII secolo è Milano, ma Firenze la supera dopo il
1300.
Le altre stoffe
I tessuti a base di cotone, più delle volte mischiato ad altre fibre, costituiscono l’altro grande settore della
produzione tessile. Il cotone grezzo viene importato, in balle, dal Medio oriente, oppure dalla Puglia e dalla
Sicilia, attraverso la mediazione dei mercanti genovesi e veneziani.
I tessuti misti si affermano rapidamente, come ad esempio il fustagno 8, oppure tessuti di solo lino o canapa,
mentre il tessuto di lusso per antonomasia è la seta: durante il XIII secolo le importazioni di quest’ultima
aumentano grazie al consolidamento della famosa via della seta, che in breve porterà anche ad un’introduzione
delle tecniche e alla coltura del baco da seta, particolarmente attivo a Lucca che in breve diventa la città della
seta italiana.
La metallurgia
La penisola dispone di importanti miniere di ferro, in questo modo la produzione metallurgica diventa la
specializzazione di alcune città come Milano, Brescia e Bergamo, Trento, le città venete, Pisa e Genova.
Nel XIII secolo nascono e prime attività che si occupano della fabbricazione dell’acciaio nella regione
bergamasca, che diventerà il nucleo centrale di un’intensa attività di esportazione del prodotto in Italia e
all’estero.
Edilizia
L’insieme delle costruzioni urbane è ad opera di lavoratori specializzati: muratori, carpentieri, conciatetti.
L’edilizia è l’attività economicamente più importante dopo il settore tessile grazie ai grandi cantieri che
combinano le competenze di nuclei diversi di lavoratori specializzati: ogni specialista rimane un maestro
autonomo e responsabile pagato a cottimo.
A livello dei grandi cantieri, progetto e direzione dei lavori sono affidati ad architetti o ingegneri, mentre il
trasporto dai luoghi di estrazione o dai boschi viene svolto da contadini obbligati da corvée o in generale dai
rustici.
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un ordito di cotone e una trama di lino
L’ITALIA DEI COMUNI LA PRODUZIONE E I SUOI ATTORI
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Si intensifica inoltre la produzione di mattoni e tegole. A partire dal XIII secolo, interi quartieri delle città del
centro e del nord della penisola cominciano ad assumere l’aspetto uniforme che proprio l’uso regolare di questi
materiali rende possibile.
Il lavoro
Il lavoro in bottega e in famiglia
L’artigiano italiano lavora da solo o con alcuni compagni e apprendisti, la produzione è per lo più su
commissione perché i prodotti devono essere venduti il prima possibile. La cornice familiare quindi si rivela
essenziale perché i tempi di lavorazione assumono quindi un valore importantissimo: l’artigiano e il piccolo
commerciante in generale esercitano la propria attività nella casa dove risiedono, e il contributo di donne e
bambini diventa essenziale. Il lavoro notturno è vietato a causa dei rischi di incendio.
Le Arti
A partire dagli anni trenta e quaranta del XII secolo, gli artigiani dello stesso settore si organizzano all’interno
di specifiche associazioni, le Arti, che controllano il modo di lavorare e la qualità della
produzione, proteggono i loro membri contro la concorrenza esterna, favoriscono la
solidarietà reciproca e forme di devozione collettiva, riuniscono maestri e operai. Fabbri
Alcune Arti sembrano essere il naturale proseguimento dei mestieri tipici dell’Alto
Medioevo, in alcuni casi, addirittura, riprendono le caratteristiche del periodo romano,
Coltellieri
in particolar modo a Roma e Pavia.
All’inizio dell’esperienza comunale, tutti i mestieri erano controllati dal Vescovo o dal
vassallo di riferimento a cui andavano pagati tutti i tributi ordinari. Bisognerà Fabbricanti di
ferri grossi
attendere la prima metà del XII secolo per vedere la nascita delle prime associazioni,
che nascono come vere e proprie confraternite votate alla solidarietà tra gruppi di
persone che fanno lo stesso lavoro. Fabbricanti di
aghi
Nel 1228, a Bologna, le Arti sono ormai consolidate e suddivise in 23 diverse
associazioni che, legate al Popolo, riescono ad arrivare al potere. L’organizzazione è Fabbricanti di
diventata talmente estesa e complessa che molte di queste devono necessariamente chiavi e
chiodi
dividersi in sottogruppi, detti membri, che a loro volta si suddividono in diverse
specializzazioni, come ad esempio i fabbricanti di ferri grossi che racchiudono i fabbri
Fabbricanti di
veri e propri, come ad esempio i fabbricanti di spade. serrature
Artigianato rurale
L’artigianato rurale è rivolto a trasformare le materie prime locali, gli artigiani consegnano dei prodotti semi-
lavorati che poi vengono rifiniti in città. Le attività artigianali in campagna sono parte integrante del lavoro
contadino e non sottraggono tempo alle attività agricole, anzi offrono possibilità importanti di impiego
temporaneo nei periodi nei quali la manodopera è sovrabbondante. In questo modo i contadini acquisiscono
delle capacità che gli permettono l’emigrazione in città.
Attorno a Firenze e a Siena alla metà del XIII secolo appare già definito il contratto di mezzadria che prevede
che tutte le colture siano raggruppate in un medesimo fondo dove sorge la casa del mezzadro e la sua famiglia.
Tutti i prodotti sono divisi a metà tra quest’ultimo e il proprietario così come gli investimenti. Ben presto la
campagna passa in mano ai cittadini che ne fanno uno strumento di elevazione sociale e una fonte di
approvvigionamento del mercato urbano.
La moneta
Battere moneta è uno degli attributi della regalità, appropriarsene significa per i comuni rafforzare in modo
significativo la loro indipendenza.
Dopo la pace di Costanza tutte le città importanti aprono la propria zecca in cui si coniano principalmente
monete in argento. L’Italia del sud fa parte dell’area monetaria bizantina e musulmana, un’area trimetallica (i
normanni emettono i tarì d’oro un quarto di dinar musulmano e i follari ereditati dai bizantini). Il ritorno all’oro
avviene con l’Augustalis di Federico II. Genova e Firenze emettono rispettivamente il genovino e il fiorino, a
Milano troviamo lo zecchino.
Ogni città utilizza i suoi denari per il commercio al dettaglio, il piccolo credito, i salari degli operai e degli
impiegati. Esistono due ambiti paralleli di circolazione monetaria:
→ la moneta grossa: stabile, di riferimento
→ la moneta piccola che subisce spesso l’inflazione e un forte bisogno di pezzi circolanti.
Il credito locale
Il prelievo fiscale obbliga molti contribuenti cittadini a indebitarsi, e il ricorso abituale dei comuni al prestito
favorisce l’ammontare dei crediti che rischia di rappresentare un valore che supera quello delle specie
monetarie circolanti.
Fino alla fine del XIII secolo il prestito è attività lecita. Sono considerati di tipo usuraio i prestiti che comportano
un interesse più elevato. Il divieto ecclesiastico dell’usura influenza progressivamente le pratiche. Alla fine del
XIII secolo e all’inizio del XIV i prestiti diventano clandestini.
Alla fine del XIII secolo gli ebrei cominciano ad insediarsi nei comuni dell’Italia centro-settentrionale, essi
stipulano contratti con i comuni che garantiscono loro la libertà di culto in cambio dell’impegno a svolgere i
servizi relativi al credito a favore degli abitanti.
I prestiti sono di tre tipi:
→ il prestito semplice in denaro o in frumento
→ il prestito su ipoteca
→ vendita anticipata del raccolto ad un prezzo più basso.
Queste operazioni produssero un trasferimento massiccio della proprietà rurale dai contadini ai cittadini.
Questi grandi debitori in genere non pagano interesse e inoltre rimborsano di rado per intero le somme
ricevute. Ma i banchieri sono largamente ripagati dei profitti sui trasferimenti delle entrate pontificie e nel caso
dell’Inghilterra dalle esenzioni sulle tasse di esportazione e dalla concessione di alcune entrate regie.
Le piccole compagnie sono relativamente specializzate mentre le grandi compagnie praticano
congiuntamente l’attività di banca, quella di commercio e la produzione tessile. Il destino delle compagnie
appare legato a quello dei sovrani debitori.
Firenze rimane la capitale economica italiana e europea.
Inghilterra
Le attività principali degli italiani qui sono: il commercio della lana e l’alta finanza.
I banchieri per esempio prestano grosse somme al sovrano inglese in cambio di sgravi sulle tasse di
esportazione della lana.
Bruges
È lo snodo degli scambi tra i Baltico, Inghilterra, valle del Reno e regioni meridionali.
Le principali compagnie fiorentine fissano delle rappresentanze a Bruges, che diventa per loro impulso il
grande polo bancario d’Europa del nord-ovest. Gli usurai provenienti dalla penisola, dal canto loro, sono
presenti a Bruges già nella seconda metà del Duecento.
Il mediterraneo occidentale
Le flotte di Venezia, Genova e Pisa avevano assunto il controllo militare del mediterraneo occidentale e grazie
alle crociate riuscirono a fare altrettanto nella parte orientale.
Gli scambi tra i paesi islamici sono assicurati ormai da navi cristiane, per lo più italiane. Fino alla conquista turca
del XV secolo, il mediterraneo sembra un lago italiano.
Le isole tirreniche
Sardegna e Corsica sono le prime terre sottomesse a uno sfruttamento di tipo coloniale da parte dei pisani e
dei genovesi: la Sardegna entra nell’orbita politica, economica e religiosa di Pisa, mentre la Corsica cade nei
campi di influenza di entrambe le città rivali, tuttavia a dominare è soprattutto Genova. Analoga alla Sardegna
la ricchezza è costituita dalle miniere d’argento.
L’economia meridionale assume una nuova configurazione, sempre di più le città settentrionali acquistano
beni di consumo al sud, soprattutto il grano, in cambio essi smerciano cotone e panni di lana. Le campagne
meridionali si orientano allora verso la monocoltura cerealicola o altre forme di sfruttamento estensivo.
Genova e Pisa sviluppano reazioni intense e concludono trattati con le città portuali di Linguadoca e Provenza.
Le flotte delle due città avevano appoggiato alcune operazioni della riconquista cristiana della penisola iberica
e delle isole Baleari. I genovesi proseguono la loro espansione stabilendosi nei porti dell’Africa del Nord. Essi
però cominciano a sentire la concorrenza dei catalani nel mediterraneo occidentale e, dopo il 1250, il loro spazio
di espansione cambia perimetro, rivolgendosi verso il mar nero.
L’oriente
Sono tre i grandi fronti commerciali aperti al commercio italiano nel mediterraneo orientale:
→ Egitto musulmano
→ Sira franca
→ Costantinopoli e impero bizantino.
I mercanti italiani diventano indispensabili ai loro regimi assicurando entrate cospicue. Nel corso del XIII secolo
però i prodotti molto meno costosi e voluminosi come cotone, frumento o allume, cominciarono a occupare
una spazio importante nelle importazioni.
Il sale prodotto indispensabile destinato a diventare monopolio statale, costituisce un’arma economica
preziosa per coloro che ne dispongono, come i veneziani.
L’Egitto
Esso è il paese più importante economicamente nel mondo musulmano occidentale, per i livelli della sua
produzione agricola, per la densità demografica e per lo sviluppo del suo commercio.
Alessandria costituisce lo sbocco principale della rotta marittima per l’estremo oriente, si può acquistare l’oro,
il lino e l’allume. I mercanti cristiani hanno accesso solo ad Alessandria, lo stato sulle transazioni percepisce un
diritto di circa il 10% del valore delle merci è questo l’ammontare della tassa doganale nel mondo bizantino e
musulmano.
Ad Alessandria, ciascuna delle tre grandi città italiane ha un suo fondaco, esso è costituito da un insieme di
edifici riservati ai mercanti di ogni città, sottoposto al controllo egiziano.
La Siria franca
È una stretta fascia di terra divisa in piccoli stati governati da dinastie franche. Beirut e Antiochia sono i due
porti più attivi della zona. Nell’ultimo terzo del secolo XIII il commercio verso la Siria si sposta a nord verso
Lajazzo.
L’accesso diretta all’estremo oriente reso possibile dalla pace mongola ha avuto conseguenze omeopatiche
sulla salute complessiva dei commerci. Nella via della seta circolano pochi prodotti il cui prezzo altissimo può
sostenere i relativi costi di trasporto.
Sono Astrakhan e Tabriz i luoghi abituali di incontro tra mercanti occidentali e orientali a meno che questi ultimi
non si spingano fino a Trebisonda sul Mar Nero o a Lajazzo sul mediterraneo.