Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
L'unione civile è la formazione sociale costituita da due persone maggiorenni dello stesso sesso mediante dichiarazione di fronte all'ufficiale di
stato civile ed alla presenza di due testimoni (art. 1, commi 1-2, Legge n. 76/2016).
Unioni civili
di Alessandro Torroni
{prodotti_altalexpedia}
La stessa Corte costituzionale, il cui intervento sul punto è stato sollecitato da alcuni Tribunali territoriali9, con una sentenza che costituisce una
pietra miliare sul punto, la n. 138 del 15 aprile 2010, dopo aver chiarito al p.to 8 del considerato in diritto che: «L’art. 2 della Costituzione
dispone che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge
la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale», e che: «per formazione
sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona
nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico.», statuisce che: «In tale nozione è da annoverare anche
l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere
liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con
i connessi diritti e doveri».
Anche per i Giudici della Consulta tuttavia: «[…] spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di
garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di
specifiche situazioni […]».10
La Cassazione, richiamando tra l’altro anche la sentenza 138 della Corte costituzionale, è giunta a conclusioni simili con la sentenza del 15
marzo 2012, n. 4184, nella quale pur ritenendo inammissibile il matrimonio omosessuale poiché non riconosciuto dalla nostra Costituzione,
tuttavia: « a prescindere dall’intervento del legislatore in materia, quali titolari del diritto alla “vita familiare” e nell’esercizio del diritto
inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia e del diritto alla tutela giurisdizionale di specifiche situazioni, [ le coppie
omosessuali ] possono adire i giudici comuni per far valere, in presenza appunto di “specifiche situazioni”, il diritto ad un trattamento
omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata e, in tale sede, eventualmente sollevare le conferenti eccezioni di
illegittimità costituzionale delle disposizioni delle leggi vigenti […] ».
In questo modo, come giustamente fu valutato dalla dottrina, è stato dato avvio alla formazione di una giurisprudenza che, per quanto non
necessariamente uniforme, avrebbe comportato un progressivo aumento di livello di tutela giuridica delle coppie omosessuali, sopperendo in modo
sempre più efficacie all'inerzia del legislatore.11
Evidentemente fra le due principali scelte normative cui si è accennato nel paragrafo introduttivo14, il legislatore italiano ha preferito optare per la
regolamentazione delle unioni civili, senza perciò impiantare all’interno del nostro Ordinamento giuridico le c.d. “nozze gay”.
Ciò è confermato in primis dal mancato richiamo nel comma 1 all’articolo 29 della Costituzione, e in secundis dai commi successivi che dettano
le regole per la costituzione e la registrazione delle unioni civili.
Con il matrimonio tuttavia, le unioni civili condividono diverse norme, prime fra tutte quelle che dettano le cause impeditive (co.4), quali: a) la
sussistenza, per una delle parti, di un vincolo matrimoniale o di un’unione civile; b) l’interdizione per infermità di mente di una delle parti; c)
l’esistenza, fra le parti, dei rapporti di parentela o di affinità di cui all’articolo 87 co. 1 del Codice civile15; d) la condanna definitiva di una delle
parti per omicidio consumato o tentato nei confronti di chi sia coniugato o unito civilmente con l’altra parte.
La sussistenza di anche una sola di queste cause comporta automaticamente la nullità dell’unione civile (co.5), che può essere impugnata da
ciascuna delle parti, dai loro ascendenti prossimi, dal P.M. e da chiunque ne abbia interesse legittimo e attuale (co.6).
Come il matrimonio, l’unione può altresì essere impugnata non solo quando il consenso sia stato estorto con violenza o timore ingenerato da
terzi16, ma anche quando tale consenso sia effetto di errore essenziale su qualità personali dell’altro partner (co.7). Per errore essenziale deve
intendersi un fatto decisivo ai fini del consenso, riguardante l’esistenza di una malattia fisica o psichica tale da impedire lo svolgimento della vita
comune, ovvero taluna delle circostanze di cui all’articolo 122 comma 3, nn. 2, 3 e 4 del Codice civile, cui lo stesso comma 7 della legge 76 fa
rinvio. Manca tuttavia il richiamo al n. 1 del comma 3 dell’articolo 122 del Codice civile, nel quale viene indicato come errore essenziale anche
quello che riguardi: «l’esistenza […] di un’anomalia o deviazione sessuale tali da impedire lo svolgimento della vita coniugale».
Un’omissione che sembra reggersi su un inaccettabile pregiudizio, ovvero sull’idea che l’orientamento sessuale possa qualificarsi come
un’anomalia o una deviazione sessuale con la conseguenza che, potenzialmente, tutte le unioni omosessuali sarebbero impugnabili per errore.17
E’ bene rammentare in ogni caso che, ove la coppia abbia coabitato per un anno dalla cessazione della violenza, o delle cause che hanno
determinato il timore, ovvero dalla scoperta dell’errore essenziale, l’azione non può essere più proposta.
2.2 Rapporti personali
Per quel che concerne i rapporti personali tra gli uniti civilmente, il comma 11 ricalca quasi fedelmente il disposto di cui all’articolo 143 del Codice
civile, recante “Diritti e doveri reciproci dei coniugi”. Se da un lato infatti con l’unione civile sorgono obblighi reciproci all’assistenza morale e
materiale, alla coabitazione nonché alla contribuzione ai bisogni comuni in relazione alle proprie sostanze, dall’altro lato manca del tutto il
riferimento all’obbligo di fedeltà da un lato, e di collaborazione nell’interesse della famiglia dall’altro.
L’assenza di un così importante obbligo coniugale quale quello della fedeltà, nell’ambito di un nuovo istituto che è stato modellato proprio sulla
base del matrimonio, qual è appunto l’unione civile, verrebbe giustificato in dottrina ed in giurisprudenza, poiché riconducibile al più ampio vincolo
di reciproca assistenza morale e, in generale, dal complesso dei doveri personali nascenti con l’unione.18
E’ stato anche sostenuto in dottrina che strettamente collegata al dovere di fedeltà è la presunzione di paternità.19 Sulla base di tale assunto, se
dunque la fedeltà è prescritta al fine di evitare la c.d. turbatio sanguinis, risulta superfluo imporla ad una coppia omosessuale, incapace per natura
alla procreazione.
Ciò per cui invece non si comprendono le ragioni, è l’assenza dell’obbligo alla collaborazione nell’interesse della famiglia anche per gli uniti
civilmente. Se infatti per “famiglia” deve intendersi “qualunque formazione sociale ove si svolga la personalità degli individui che la
compongono”, si può forse negare che gli uniti civilmente creino “famiglie” separate e distinte rispetto a quelle di origine?
Ad ogni modo, nonostante l’assenza di detti obblighi tipicamente coniugali, non è esclusa una forma di tutela in termini di risarcimento del danno
derivante dalla loro violazione.20
2.3. Rapporti patrimoniali
Per quanto riguarda i rapporti patrimoniali fra gli uniti civilmente, la disciplina dettata dal comma 13, dopo aver imposto il regime patrimoniale
legale (ossia quello della comunione), effettua un mero rinvio alla disciplina codicistica. Così, anche per gli uniti civilmente si applicano le norme in
materia di convenzioni matrimoniali21; le norme in materia di comunione legale, comunione convenzionale e separazione dei beni; le norme in
materia di fondo patrimoniale, con il quale gli uniti civilmente possono destinare determinati beni, con tutti i limiti e le regole di cui agli articoli 167
e ss. del Codice civile, a far fronte ai bisogni dell’unione; nonché le norme in materia di impresa familiare.
Dispone inoltre lo stesso comma 13, che: «[…] Le parti non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto
dell’unione civile […]», in perfetta coerenza con quanto disposto dall’articolo 160 del Codice civile per gli sposi.
Seguono una serie di diposizioni sconnesse fra di loro, sintomo di una redazione disomogenea e frettolosa, che regolano diversi aspetti della
materia sempre con la tecnica del rinvio, la quale consente di affermare che la stragrande maggioranza della disciplina sulle unioni civili è ricalcata
sulla disciplina del matrimonio.
Si passa così dall’applicabilità alle unioni civile degli ordini di protezione di cui all’articolo 342 ter del Codice civile, al rilievo della violenza come
causa di annullabilità dell’unione, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1436 del Codice civile22; dal diritto alla corresponsione delle indennità
previste dagli articoli 2118 e 2120 del Codice civile in favore dell’unito superstite, alle disposizioni in materia di alimenti (articoli 433 e ss. del
Codice civile).
In materia di amministrazione di sostegno che abbia quale beneficiario una parte di un’unione civile, il comma 15 prevede espressamente che il
giudice tutelare, nella scelta dell’amministratore, debba preferire, ove possibile, l’altra parte.
Si applicano inoltre, ai sensi del comma 19, gli articoli 116 co.1, 146, 2647, 2653 co.1 n.4 e 2659 del Codice civile.
2.4. Rapporti successori
Dal punto di vista successorio, la disciplina di cui al comma 21 rinvia alle norme del Codice civile per quel che concerne: l’indegnità (articoli da
463 a 466 del Codice civile), la tutela dei legittimari (articoli da 536 a 564 del Codice civile), la disciplina sulle successioni legittime (articoli da
565 a 586 del Codice civile), la collazione (articoli da 737 a 751 del Codice civile) e il patto di famiglia (articoli da 768 bis a 768 octies del
Codice civile).
Ai sensi del co. 25, restano altresì fermi i diritti dell’ex unito civilmente superstite, previsti dagli articoli 9 co.2 e 9 bis della l. 1° dicembre 1970,
n.898, relativi all’assegno divorzile e alla pensione di reversibilità, ove ne ricorrano i presupposti.
E’ importante notare che tali rinvii sono operati esclusivamente per le coppie unite civilmente, non anche per i conviventi, per i quali poco è
cambiato dopo l’entrata in vigore della legger 76.
Il comma 20 viene definito “clausola di salvaguardia”, nella misura in cui prescrive l’automatica applicabilità delle disposizioni di legge23 che si
riferiscano al matrimonio o che contengano le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra
persone dello stesso sesso, al fine di garantire l’effettiva tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi che sorgono dall’unione civile.24
Disposizione, questa, che tuttavia non si applica alla legge 4 maggio 1983, n. 184 recante la disciplina sulle adozioni, per le quali pertanto «resta
fermo quanto previsto e consentito dalle norme vigenti».
2.5. La stepchild adoption
Originariamente il disegno di legge S. 14 – 17° Legislatura sulle unioni civili prevedeva la possibilità per un partner di adottare il figlio minore
dell’altro partner. Per ragioni di carattere etico, ma soprattutto politico, tale norma è stata tolta per consentire la approvazione della legge.
Come accennato, l’adozione è consentita solo ed esclusivamente con le forme ed entro i limiti stabiliti dalle norme vigenti.
De iure condendo è stata prospettata in dottrina la necessità di una riforma della legge 184, in considerazione soprattutto del fatto che negli ultimi
anni s’è assistito ad una notevole evoluzione giurisprudenziale nel senso di reputare ininfluente l’orientamento sessuale in relazione al rapporto
genitoriale.25
Più semplicemente è intervenuta la Corte di cassazione con Sentenza n. 12962 pubblicata il 22 giugno 2016, con la quale ha consentito ad una
coppia omosessuale unita civilmente di ricorrere alla c.d. stepchild adoption ai sensi dell’articolo 44 lett. b) della l. n. 184 del 4 maggio 1983.
Nello specifico i Giudici della suprema Corte hanno stabilito che: «[…] non determina in astratto un conflitto di interessi tra il genitore
biologico e il minore adottando, ma richiede che l'eventuale conflitto sia accertato in concreto dal giudice […]». Secondo la Cassazione,
inoltre, questa adozione «[…] prescinde da un preesistente stato di abbandono del minore e può essere ammessa sempreché, alla luce di
una rigorosa indagine di fatto svolta dal giudice, realizzi effettivamente il preminente interesse del minore […]».
Si tratta di una forzatura (o – se si preferisce – di un’evoluzione) del testo di legge, che in effetti nel fare riferimento alle leggi vigenti non richiama
l’orientamento giurisprudenziale sopra ricordato, ma che in effetti può giustificarsi, secondo alcune recenti sentenze26, quando sussista il c.d. best
interest, ovverossia “l’interesse migliore” del minore a vedersi riconosciuta una relazione già consolidatasi in fatto con il “genitore sociale”.27
Sostanzialmente dunque, ciò che emerge in maniera lampante all’esito della recente evoluzione giurisprudenziale è che viene spostata l’attenzione
dal diritto alla genitorialità (della coppia) all’interesse alla genitorialità (del minore).28
E’ peculiare che non si applichi la disciplina della separazione, quale fase prodromica al divorzio30, quasi a voler rimarcare una differenziazione tra i
due istituti, in controtendenza rispetto agli obiettivi della legge stessa. Peraltro in contraddizione con sé stesso, il co. 25 rinvia alle disposizioni del
Codice di procedura civile che disciplinano il procedimento di separazione personale dei coniugi.
Da ultimo, un elemento di “discriminazione al contrario” che la novella del 2016 comporta, è ravvisabile nella disposizione di cui al combinato
disposto dei co. 26 e 27, in materia di intervenuta sentenza di rettificazione del sesso nell’unione civile e nel matrimonio.
Infatti, nel primo caso, ove cioè uno degli uniti civilmente muti sesso, l’unione civile si scioglie, mentre nel secondo caso, ove cioè a mutare sesso
sia uno dei due coniugi, il matrimonio non si scioglie, ma qualora risulti l’intenzione dei coniugi di non sciogliere il vincolo, si trasforma
automaticamente in unione civile.
3. Conclusioni
Al termine di questa breve panoramica occorre chiedersi se la legge 76 del 2016 abbia introdotto o meno una nuova istituzione di diritto privato
con le unioni civili. Se cioè la disciplina normativa sopra ripercorsa conferisca o meno all’unito civilmente uno status di diritto privato.31
Fin dai primi commenti alla legge infatti, la dottrina si è interrogata se considerare o meno l’unione civile come un “matrimonio di serie B”. Tale
dubbio è sorto in primis in considerazione del fatto che manchi, tra i doveri reciproci, l’obbligo di fedeltà. Inoltre non è data possibilità agli uniti
civilmente di ricorrere all’adozione, ai sensi di quanto stabilito dal co. 20 penultimo periodo. In terzo luogo la disciplina dettata al co. 25 nei casi di
scioglimento dell’unione, rinvia espressamente alla disciplina dettata dalla L. 898/1970 in materia di divorzio, con ciò rendendo molto più
semplificato l’iter dello scioglimento.
Come si è argomentato, tuttavia, l’obbligo di fedeltà viene imposto all’articolo 143 del Codice civile, come obbligo dei coniugi al fine di favorire la
certezza della paternità: un obbligo dunque – quello di fedeltà – concepito al fine di prestare maggior tutela ai figli piuttosto che ai coniugi.
In secondo luogo, riguardo al tema dell’adozione di un bambino da parte di una coppia omosessuale unita civilmente, la Corte di cassazione ha
colmato con assoluta evidenza la lacuna legislativa.
Da ultimo, il fatto che lo scioglimento dell’unione civile non sia subordinato alla previa disciplina della separazione personale trova giustificazione nel
discorso che si faceva in premessa, ribadito anche dalla Corte costituzionale nella famosa sentenza n. 138 del 15 aprile 2010, in relazione al fatto
che fondamento costituzionale dell’unione civile è l’articolo 2, e non il 29.
Alla luce di quanto scritto dunque, appare irragionevole dare risposta negativa alla domanda iniziale.