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Unioni civili

L'unione civile è la formazione sociale costituita da due persone maggiorenni dello stesso sesso mediante dichiarazione di fronte all'ufficiale di
stato civile ed alla presenza di due testimoni (art. 1, commi 1-2, Legge n. 76/2016).

Unioni civili
di Alessandro Torroni
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1. Breve panoramica storico – comparatistica. L’evoluzione della giurisprudenza


2. La disciplina legislativa: la legge 20 maggio 2016, n. 76, art. 1 co. 1 - 35
2.1. Costituzione
2.2. Rapporti personali
2.3. Rapporti patrimoniali
2.4. Rapporti successori
2.5. La stepchild adoption
2.6. Lo scioglimento
3. Conclusioni

1. Breve panoramica storico – comparatistica. L’evoluzione della giurisprudenza


La disciplina sulle unioni civili trova oggi cittadinanza nel nostro Ordinamento giuridico ed è regolata dai commi da 1 a 35 dell’unico articolo della
Legge 20 maggio 2016, n.76 recante “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”.1
Questa legge costituisce il frutto di un lungo e travagliato iter di carattere politico-normativo, caratterizzato da un’iniziale reticenza nel
riconoscimento giuridico dei nuovi “modelli familiari”. Come noto infatti, non solo il matrimonio è istituto “riservato” alle coppie eterosessuali2, ma
anche la convivenza c.d. more uxorio, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza è stata concepita fino a non molto tempo fa solamente tra persone
di sesso diverso.3
L’epocale svolta deriva anche da pressioni da parte di organismi internazionali, prima fra tutte la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che ha
condannato l’Italia per la mancante legislazione sulle unioni civili, in violazione dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della
C.E.D.U.4
Negli altri paesi europei infatti, trovano da tempo riconoscimento, disciplina e tutela giuridica le convivenze omosessuali, sia attraverso le vere e
proprie “nozze gay”, sia anche attraverso le c.d. registered partnerships (ovverossia unioni registrate) produttive dei medesimi effetti del
matrimonio5.
La prima legge che si è occupata del fenomeno è stata quella danese, nell’ormai lontano 1989, e successivamente il modello è stato seguito da tutti
i paesi europei, tra i quali merita accennare all’esperienza di Francia e Gran Bretagna.
Nell’Ordinamento giuridico francese è in vigore dal 1999 la legge che ha instaurato il c.d. PACS (cioè il Pacte civil de solidarité ovvero
letteralmente il “patto civile di solidarietà”) con il quale diviene convivenza more uxorio anche quella tra persone dello stesso sesso. Tale
normativa tra l’altro richiama proprio il Civil Partnership Act britannico, nel quale sono contenute definizioni, condizioni e regole generali della
intera materia.6
Anche fuori dai confini europei esistono paesi che hanno optato per la regolamentazione del matrimonio fra persone dello stesso sesso, ed in
particolare il riferimento è al Canada (nel 2005), al Sud Africa (nel 2006) e all’Argentina (nel 2010). Anche negli Stati Uniti d’America, dopo una
storica pronuncia della Corte Suprema7 che ha reso incostituzionali le leggi statali che vietino le nozze gay, queste sono state di fatto legalizzate in
tutto il paese in base al quattordicesimo emendamento della Costituzione U.S.A. che tutela i diritti civili.
In Italia l’evoluzione dell’istituto è stata possibile soprattutto grazie alla giurisprudenza, di merito e legittima, che di fatto ha aperto a prospettive di
tutela delle convivenze omosessuali ancor prima che entrasse in vigore la legge 76. In particolare però, la tecnica con la quale i Giudici hanno
sempre affrontato la delicata materia, è stata quella di operare un rinvio al legislatore: è a quest’ultimo infatti, e non al Giudice, a cui compete
modificare l’Ordinamento giuridico italiano per adattarlo ai continui mutamenti sociali.8

La stessa Corte costituzionale, il cui intervento sul punto è stato sollecitato da alcuni Tribunali territoriali9, con una sentenza che costituisce una
pietra miliare sul punto, la n. 138 del 15 aprile 2010, dopo aver chiarito al p.to 8 del considerato in diritto che: «L’art. 2 della Costituzione
dispone che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge
la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale», e che: «per formazione
sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona
nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico.», statuisce che: «In tale nozione è da annoverare anche
l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere
liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con
i connessi diritti e doveri».
Anche per i Giudici della Consulta tuttavia: «[…] spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di
garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di
specifiche situazioni […]».10
La Cassazione, richiamando tra l’altro anche la sentenza 138 della Corte costituzionale, è giunta a conclusioni simili con la sentenza del 15
marzo 2012, n. 4184, nella quale pur ritenendo inammissibile il matrimonio omosessuale poiché non riconosciuto dalla nostra Costituzione,
tuttavia: « a prescindere dall’intervento del legislatore in materia, quali titolari del diritto alla “vita familiare” e nell’esercizio del diritto
inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia e del diritto alla tutela giurisdizionale di specifiche situazioni, [ le coppie
omosessuali ] possono adire i giudici comuni per far valere, in presenza appunto di “specifiche situazioni”, il diritto ad un trattamento
omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata e, in tale sede, eventualmente sollevare le conferenti eccezioni di
illegittimità costituzionale delle disposizioni delle leggi vigenti […] ».
In questo modo, come giustamente fu valutato dalla dottrina, è stato dato avvio alla formazione di una giurisprudenza che, per quanto non
necessariamente uniforme, avrebbe comportato un progressivo aumento di livello di tutela giuridica delle coppie omosessuali, sopperendo in modo
sempre più efficacie all'inerzia del legislatore.11

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2. La disciplina legislativa: la legge 20 maggio 2016, n. 76, art. 1 co. 1 - 35
L’auspicato intervento legislativo entrato in vigore il 5 giugno 2016 è stato redatto seguendo una tecnica normativa in voga nei sistemi di common
law, cioè quella di un unico articolo composto da una pluralità di commi, nel caso di specie 69.12
Il co. 1 definisce l’unione civile tra persone dello stesso sesso come «specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della
Costituzione», annoverandola in tal modo fra quelle tutelate dalla Repubblica perché in essa vi si svolge la personalità degli individui che la
compongono.
2.1. Costituzione
Possono costituire un’unione civile due persone maggiorenni dello stesso sesso, mediante dichiarazione dinnanzi ad un ufficiale di stato civile ed alla
presenza di (almeno) due testimoni.
Questo è quanto disposto dal co. 2 della l. 76, che però va integrato con le disposizioni dettate dal d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5, recante “Norme
di adeguamento delle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni alla nuova
disciplina delle unioni civili”. Detto decreto legislativo ha introdotto gli articoli dal 70 bis al 70 quinquesdecies del D.P.R. 3 novembre 2000, n.
396.
La costituzione dell’unione civile avviene mediante l’iscrizione del relativo atto, sottoscritto dalle parti, dai testimoni e dall’ufficiale di stato civile, nel
registro delle unioni civili.13

Evidentemente fra le due principali scelte normative cui si è accennato nel paragrafo introduttivo14, il legislatore italiano ha preferito optare per la
regolamentazione delle unioni civili, senza perciò impiantare all’interno del nostro Ordinamento giuridico le c.d. “nozze gay”.
Ciò è confermato in primis dal mancato richiamo nel comma 1 all’articolo 29 della Costituzione, e in secundis dai commi successivi che dettano
le regole per la costituzione e la registrazione delle unioni civili.
Con il matrimonio tuttavia, le unioni civili condividono diverse norme, prime fra tutte quelle che dettano le cause impeditive (co.4), quali: a) la
sussistenza, per una delle parti, di un vincolo matrimoniale o di un’unione civile; b) l’interdizione per infermità di mente di una delle parti; c)
l’esistenza, fra le parti, dei rapporti di parentela o di affinità di cui all’articolo 87 co. 1 del Codice civile15; d) la condanna definitiva di una delle
parti per omicidio consumato o tentato nei confronti di chi sia coniugato o unito civilmente con l’altra parte.
La sussistenza di anche una sola di queste cause comporta automaticamente la nullità dell’unione civile (co.5), che può essere impugnata da
ciascuna delle parti, dai loro ascendenti prossimi, dal P.M. e da chiunque ne abbia interesse legittimo e attuale (co.6).
Come il matrimonio, l’unione può altresì essere impugnata non solo quando il consenso sia stato estorto con violenza o timore ingenerato da
terzi16, ma anche quando tale consenso sia effetto di errore essenziale su qualità personali dell’altro partner (co.7). Per errore essenziale deve
intendersi un fatto decisivo ai fini del consenso, riguardante l’esistenza di una malattia fisica o psichica tale da impedire lo svolgimento della vita
comune, ovvero taluna delle circostanze di cui all’articolo 122 comma 3, nn. 2, 3 e 4 del Codice civile, cui lo stesso comma 7 della legge 76 fa
rinvio. Manca tuttavia il richiamo al n. 1 del comma 3 dell’articolo 122 del Codice civile, nel quale viene indicato come errore essenziale anche
quello che riguardi: «l’esistenza […] di un’anomalia o deviazione sessuale tali da impedire lo svolgimento della vita coniugale».
Un’omissione che sembra reggersi su un inaccettabile pregiudizio, ovvero sull’idea che l’orientamento sessuale possa qualificarsi come
un’anomalia o una deviazione sessuale con la conseguenza che, potenzialmente, tutte le unioni omosessuali sarebbero impugnabili per errore.17
E’ bene rammentare in ogni caso che, ove la coppia abbia coabitato per un anno dalla cessazione della violenza, o delle cause che hanno
determinato il timore, ovvero dalla scoperta dell’errore essenziale, l’azione non può essere più proposta.
2.2 Rapporti personali
Per quel che concerne i rapporti personali tra gli uniti civilmente, il comma 11 ricalca quasi fedelmente il disposto di cui all’articolo 143 del Codice
civile, recante “Diritti e doveri reciproci dei coniugi”. Se da un lato infatti con l’unione civile sorgono obblighi reciproci all’assistenza morale e
materiale, alla coabitazione nonché alla contribuzione ai bisogni comuni in relazione alle proprie sostanze, dall’altro lato manca del tutto il
riferimento all’obbligo di fedeltà da un lato, e di collaborazione nell’interesse della famiglia dall’altro.
L’assenza di un così importante obbligo coniugale quale quello della fedeltà, nell’ambito di un nuovo istituto che è stato modellato proprio sulla
base del matrimonio, qual è appunto l’unione civile, verrebbe giustificato in dottrina ed in giurisprudenza, poiché riconducibile al più ampio vincolo
di reciproca assistenza morale e, in generale, dal complesso dei doveri personali nascenti con l’unione.18

E’ stato anche sostenuto in dottrina che strettamente collegata al dovere di fedeltà è la presunzione di paternità.19 Sulla base di tale assunto, se
dunque la fedeltà è prescritta al fine di evitare la c.d. turbatio sanguinis, risulta superfluo imporla ad una coppia omosessuale, incapace per natura
alla procreazione.
Ciò per cui invece non si comprendono le ragioni, è l’assenza dell’obbligo alla collaborazione nell’interesse della famiglia anche per gli uniti
civilmente. Se infatti per “famiglia” deve intendersi “qualunque formazione sociale ove si svolga la personalità degli individui che la
compongono”, si può forse negare che gli uniti civilmente creino “famiglie” separate e distinte rispetto a quelle di origine?
Ad ogni modo, nonostante l’assenza di detti obblighi tipicamente coniugali, non è esclusa una forma di tutela in termini di risarcimento del danno
derivante dalla loro violazione.20
2.3. Rapporti patrimoniali
Per quanto riguarda i rapporti patrimoniali fra gli uniti civilmente, la disciplina dettata dal comma 13, dopo aver imposto il regime patrimoniale
legale (ossia quello della comunione), effettua un mero rinvio alla disciplina codicistica. Così, anche per gli uniti civilmente si applicano le norme in
materia di convenzioni matrimoniali21; le norme in materia di comunione legale, comunione convenzionale e separazione dei beni; le norme in
materia di fondo patrimoniale, con il quale gli uniti civilmente possono destinare determinati beni, con tutti i limiti e le regole di cui agli articoli 167
e ss. del Codice civile, a far fronte ai bisogni dell’unione; nonché le norme in materia di impresa familiare.
Dispone inoltre lo stesso comma 13, che: «[…] Le parti non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto
dell’unione civile […]», in perfetta coerenza con quanto disposto dall’articolo 160 del Codice civile per gli sposi.
Seguono una serie di diposizioni sconnesse fra di loro, sintomo di una redazione disomogenea e frettolosa, che regolano diversi aspetti della
materia sempre con la tecnica del rinvio, la quale consente di affermare che la stragrande maggioranza della disciplina sulle unioni civili è ricalcata
sulla disciplina del matrimonio.
Si passa così dall’applicabilità alle unioni civile degli ordini di protezione di cui all’articolo 342 ter del Codice civile, al rilievo della violenza come
causa di annullabilità dell’unione, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1436 del Codice civile22; dal diritto alla corresponsione delle indennità
previste dagli articoli 2118 e 2120 del Codice civile in favore dell’unito superstite, alle disposizioni in materia di alimenti (articoli 433 e ss. del
Codice civile).
In materia di amministrazione di sostegno che abbia quale beneficiario una parte di un’unione civile, il comma 15 prevede espressamente che il
giudice tutelare, nella scelta dell’amministratore, debba preferire, ove possibile, l’altra parte.
Si applicano inoltre, ai sensi del comma 19, gli articoli 116 co.1, 146, 2647, 2653 co.1 n.4 e 2659 del Codice civile.
2.4. Rapporti successori
Dal punto di vista successorio, la disciplina di cui al comma 21 rinvia alle norme del Codice civile per quel che concerne: l’indegnità (articoli da
463 a 466 del Codice civile), la tutela dei legittimari (articoli da 536 a 564 del Codice civile), la disciplina sulle successioni legittime (articoli da
565 a 586 del Codice civile), la collazione (articoli da 737 a 751 del Codice civile) e il patto di famiglia (articoli da 768 bis a 768 octies del
Codice civile).
Ai sensi del co. 25, restano altresì fermi i diritti dell’ex unito civilmente superstite, previsti dagli articoli 9 co.2 e 9 bis della l. 1° dicembre 1970,
n.898, relativi all’assegno divorzile e alla pensione di reversibilità, ove ne ricorrano i presupposti.
E’ importante notare che tali rinvii sono operati esclusivamente per le coppie unite civilmente, non anche per i conviventi, per i quali poco è
cambiato dopo l’entrata in vigore della legger 76.

Il comma 20 viene definito “clausola di salvaguardia”, nella misura in cui prescrive l’automatica applicabilità delle disposizioni di legge23 che si
riferiscano al matrimonio o che contengano le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra
persone dello stesso sesso, al fine di garantire l’effettiva tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi che sorgono dall’unione civile.24
Disposizione, questa, che tuttavia non si applica alla legge 4 maggio 1983, n. 184 recante la disciplina sulle adozioni, per le quali pertanto «resta
fermo quanto previsto e consentito dalle norme vigenti».
2.5. La stepchild adoption
Originariamente il disegno di legge S. 14 – 17° Legislatura sulle unioni civili prevedeva la possibilità per un partner di adottare il figlio minore
dell’altro partner. Per ragioni di carattere etico, ma soprattutto politico, tale norma è stata tolta per consentire la approvazione della legge.
Come accennato, l’adozione è consentita solo ed esclusivamente con le forme ed entro i limiti stabiliti dalle norme vigenti.
De iure condendo è stata prospettata in dottrina la necessità di una riforma della legge 184, in considerazione soprattutto del fatto che negli ultimi
anni s’è assistito ad una notevole evoluzione giurisprudenziale nel senso di reputare ininfluente l’orientamento sessuale in relazione al rapporto
genitoriale.25
Più semplicemente è intervenuta la Corte di cassazione con Sentenza n. 12962 pubblicata il 22 giugno 2016, con la quale ha consentito ad una
coppia omosessuale unita civilmente di ricorrere alla c.d. stepchild adoption ai sensi dell’articolo 44 lett. b) della l. n. 184 del 4 maggio 1983.
Nello specifico i Giudici della suprema Corte hanno stabilito che: «[…] non determina in astratto un conflitto di interessi tra il genitore
biologico e il minore adottando, ma richiede che l'eventuale conflitto sia accertato in concreto dal giudice […]». Secondo la Cassazione,
inoltre, questa adozione «[…] prescinde da un preesistente stato di abbandono del minore e può essere ammessa sempreché, alla luce di
una rigorosa indagine di fatto svolta dal giudice, realizzi effettivamente il preminente interesse del minore […]».
Si tratta di una forzatura (o – se si preferisce – di un’evoluzione) del testo di legge, che in effetti nel fare riferimento alle leggi vigenti non richiama
l’orientamento giurisprudenziale sopra ricordato, ma che in effetti può giustificarsi, secondo alcune recenti sentenze26, quando sussista il c.d. best
interest, ovverossia “l’interesse migliore” del minore a vedersi riconosciuta una relazione già consolidatasi in fatto con il “genitore sociale”.27
Sostanzialmente dunque, ciò che emerge in maniera lampante all’esito della recente evoluzione giurisprudenziale è che viene spostata l’attenzione
dal diritto alla genitorialità (della coppia) all’interesse alla genitorialità (del minore).28

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2.6. Lo scioglimento
L’unione civile tra persone dello stesso sesso, come il matrimonio, si scioglie ope legis quando viene dichiarata la morte presunta di una delle parti
(co. 22), nonché nei casi previsti dal co. 23, il quale fa espresso rinvio alla l. 1° dicembre 1970, n. 898.29
Particolarmente interessante è la disposizione di cui al co. 24, con la quale il legislatore ha introdotto un’anomala ipotesi di scioglimento volontario
dell’unione civile. In ogni caso il procedimento di scioglimento è regolato mediante il rinvio alla procedura del divorzio.

E’ peculiare che non si applichi la disciplina della separazione, quale fase prodromica al divorzio30, quasi a voler rimarcare una differenziazione tra i
due istituti, in controtendenza rispetto agli obiettivi della legge stessa. Peraltro in contraddizione con sé stesso, il co. 25 rinvia alle disposizioni del
Codice di procedura civile che disciplinano il procedimento di separazione personale dei coniugi.
Da ultimo, un elemento di “discriminazione al contrario” che la novella del 2016 comporta, è ravvisabile nella disposizione di cui al combinato
disposto dei co. 26 e 27, in materia di intervenuta sentenza di rettificazione del sesso nell’unione civile e nel matrimonio.
Infatti, nel primo caso, ove cioè uno degli uniti civilmente muti sesso, l’unione civile si scioglie, mentre nel secondo caso, ove cioè a mutare sesso
sia uno dei due coniugi, il matrimonio non si scioglie, ma qualora risulti l’intenzione dei coniugi di non sciogliere il vincolo, si trasforma
automaticamente in unione civile.
3. Conclusioni
Al termine di questa breve panoramica occorre chiedersi se la legge 76 del 2016 abbia introdotto o meno una nuova istituzione di diritto privato
con le unioni civili. Se cioè la disciplina normativa sopra ripercorsa conferisca o meno all’unito civilmente uno status di diritto privato.31
Fin dai primi commenti alla legge infatti, la dottrina si è interrogata se considerare o meno l’unione civile come un “matrimonio di serie B”. Tale
dubbio è sorto in primis in considerazione del fatto che manchi, tra i doveri reciproci, l’obbligo di fedeltà. Inoltre non è data possibilità agli uniti
civilmente di ricorrere all’adozione, ai sensi di quanto stabilito dal co. 20 penultimo periodo. In terzo luogo la disciplina dettata al co. 25 nei casi di
scioglimento dell’unione, rinvia espressamente alla disciplina dettata dalla L. 898/1970 in materia di divorzio, con ciò rendendo molto più
semplificato l’iter dello scioglimento.
Come si è argomentato, tuttavia, l’obbligo di fedeltà viene imposto all’articolo 143 del Codice civile, come obbligo dei coniugi al fine di favorire la
certezza della paternità: un obbligo dunque – quello di fedeltà – concepito al fine di prestare maggior tutela ai figli piuttosto che ai coniugi.
In secondo luogo, riguardo al tema dell’adozione di un bambino da parte di una coppia omosessuale unita civilmente, la Corte di cassazione ha
colmato con assoluta evidenza la lacuna legislativa.
Da ultimo, il fatto che lo scioglimento dell’unione civile non sia subordinato alla previa disciplina della separazione personale trova giustificazione nel
discorso che si faceva in premessa, ribadito anche dalla Corte costituzionale nella famosa sentenza n. 138 del 15 aprile 2010, in relazione al fatto
che fondamento costituzionale dell’unione civile è l’articolo 2, e non il 29.
Alla luce di quanto scritto dunque, appare irragionevole dare risposta negativa alla domanda iniziale.

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1 La legge è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 118 del 21 maggio 2016, vigente a far data dal 5 giugno 2016.
2 Come espressamente risulta sia dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo all’articolo 12, sia dalla Dichiarazione universale dei diritti umani all’articolo 16, n.1, e
come confermato implicitamente dalle norme del codice civile che parlano di marito e di moglie. Anche la giurisprudenza di legittimità ha peraltro avuto modo di
affermare che la diversità di sesso dei coniugi è tra i requisiti minimi indispensabili per ravvisare l’esistenza del matrimonio: cfr. Corte di cassazione, sentenze n. 7877
del 2000, n. 1304 del 1990 e n. 1808 del 1976.
3 In questo senso cfr. in dottrina: D’ANGELI, La famiglia di fatto, Milano 1989, p. 250; in giurisprudenza: Corte di Cassazione 23 aprile 1966, n. 1041 e, più di recente
anche Corte di Cassazione 8 giugno 1993, n. 6381, nella quale è scritto che: «La convivenza more uxorio tra un uomo ed una donna in stato libero non costituisce
causa di illiceità e quindi di nullità di un contratto attributivo di diritti patrimoniali dall'uno a favore dell'altra o viceversa solo perché il contratto sia collegato a detta
relazione, in quanto tale convivenza, ancorché non disciplinata dalla legge, non è illecita non potendo considerarsi di per sé contraria né a norme imperative, non
esistendo norme di tale natura che la vietino; né all'ordine pubblico, che comprende i principi fondamentali informatori dell'ordinamento; né al buon costume, inteso -
naturalmente a norma delle disposizioni del codice civile (v. articoli 1343 e 1354 di tale codice - come il complesso dei principi etici costituenti la morale sociale in un
determinato tempo e in un determinato luogo».
4 Nella sentenza del 21 luglio 2015, Causa Oliari e altri contro Italia (Ricorsi nn. 18766/11 e 36030/11), al p.to 165: «[…] la Corte ribadisce di aver già ritenuto che le
coppie omosessuali abbiano la stessa capacità delle coppie eterosessuali di instaurare relazioni stabili e che si trovino in una situazione significativamente simile a
una coppia eterosessuale per quanto riguarda l’esigenza di riconoscimento giuridico e di tutela della loro relazione (si vedano Schalk e Kopf, […], e Vallianatos, […]).
Ne consegue che la Corte ha già riconosciuto che le coppie omosessuali necessitano di riconoscimento giuridico e tutela della loro relazione».
5 In particolare in alcuni paesi è stato introdotto un vero e proprio matrimonio omosessuale, e precisamente in Islanda, Norvegia, Svezia, Finlandia, Danimarca,
Irlanda, Gran Bretagna, Olanda, Belgio, Lussemburgo, Francia, Spagna e Portogallo. In altri paesi invece hanno disciplinato le unioni civili, e precisamente l’Estonia, la
Germania, la Svizzera, l’Austria, il Liechtenstein, la Repubblica Ceca, l’Ungheria, la Croazia, la Slovenia, la Grecia e l’isola di Cipro. Fonte: Il corriere della sera, in
www.corrieredellasera.it.
6 Per un approfondimento maggiore cfr. OBERTO, I diritti dei conviventi. Realtà e prospettive tra Italia ed Europa, Padova 2012, pp. 222 e ss.
7 Il riferimento è alla pronuncia del 26 giugno 2015, caso Obergefell v. Hodges.
8 In questo senso, uno per tutti: Corte di appello di Firenze, 30 giugno 2008, nella quale i Giudici scrivono che è il legislatore che deve: «[…] farsi interprete del mutato
sentire del corpo sociale e legiferare nel senso auspicato dai reclamanti […]».
9 In particolare Tribunale di Venezia, 3 aprile 2009 e Corte di appello di Trento, 29 luglio 2009.
10 Già in passato è accaduto infatti che la Corte costituzionale è dovuta intervenire su specifiche questioni a tutela del convivente (etero o omosessuale che fosse),
come ad esempio nella sentenza n. 404 del 7 aprile 1988, in materia di successione nel contratto di locazione. Tale pronunzia additiva di accoglimento ha dichiarato
incostituzionale l’articolo 6 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (recante “Disciplina delle locazioni di immobili urbani”) nella parte in cui non prevede tra i successibili
nella titolarità del contratto di locazione, in caso di morte del conduttore, il convivente more uxorio. La motivazione va ricercata nella ratio del medesimo articolo 6,
che: «esprime il dovere collettivo di impedire che delle persone possano rimanere prive di abitazione», concependo il diritto all’abitazione come: «fondamentale
diritto sociale» che lo Stato è tenuto a garantire a tutela della dignità umana.
11 In questo senso CHIOVINI – WINKLER, Dopo la Consulta e la Corte di Strasburgo, anche la Cassazione riconosce i diritti delle coppie omossessuali, in
Giustizia Civile, fasc.7-8, 2012, pag. 1707.
12 Tale modo di normare probabilmente deriva da uno scarso potere di Governo, ed era evidentemente volto ad evitare emendamenti che allungassero l’iter
legislativo. La legge, seppur unitariamente concepita, va separata in due fondamentali tronconi: il primo contenente la regolamentazione delle unioni civili tra persone
dello stesso sesso (commi da 1 a 35); il secondo recante la disciplina delle convivenze (commi da 36 a 69).
13Per un miglior approfondimento cfr. anche BENANTI, Richiesta e costituzione dell’unione civile ai sensi del d.lgs. n. 5/2017, in Familia, 27 marzo 2017.
14 Cfr. la nota 5.
15 L’articolo 87 co.1 del Codice civile recita: «Non possono contrarre matrimonio [né unione civile tra persone dello stesso sesso] fra loro: 1. Gli ascendenti e i
discendenti in linea retta; 2. I fratelli e le sorelle germani, consanguinei o uterini; 3. Lo zio e la nipote, la zia e il nipote; 4. Gli affini in linea retta; il divieto sussiste anche
nel caso in cui l’affinità deriva da matrimonio dichiarato nullo o sciolto o per il quale è stata pronunziata la cessazione degli effetti civili; 5. Gli affini in linea collaterale
in secondo grado; 6. L’adottante, l’adottato e i suoi discendenti; 7. I figli adottivi della stessa persona; 8. L’adottato e i figli dell’adottante; 9. L’adottato e il coniuge
dell’adottante, l’adottante e il coniuge dell’adottato».
16 Nella violenza si danno minacce specificamente dirette a far celebrare il matrimonio (o l’unione civile) non voluto; nel timore il matrimonio (o l’unione civile) non
viene imposto, ma appare come l’unica via per sottrarsi alla situazione oggettiva cui altrimenti andrebbe incontro, e quindi come la scelta del male minore. Cfr. sulla
differenza anche SESTA, Manuale di diritto di famiglia, V Ed. Padova 2013, p. 43.
17 Con le medesime parole cfr. PRISCO, Sulla disciplina delle unioni civili e delle convivenze, in Rassegna di diritto civile 3/2016, p.1085.
18 Per la dottrina cfr. PRISCO, op. cit. p. 1086 e ss., secondo la quale: «[…] si potrebbe giustificare la riconduzione della condotta infedele alla più generale violazione
del vincolo di solidarietà che lega le parti dell’unione […]». Per la giurisprudenza cfr. Corte di cassazione 18 settembre 1997, n. 9287, la quale in un significativo
passaggio spiega che: «[…] la nozione di fedeltà coniugale va avvicinata a quella di lealtà, la quale impone di sacrificare gli interessi e le scelte individuali di ciascun
coniuge che si rivelino in conflitto con gli impegni e le prospettive della vita comune. In questo quadro la fedeltà affettiva diventa componente di una fedeltà più
ampia che si traduce nella capacità di saper sacrificare le proprie scelte personali a quelle imposte dal legame di coppia e dal sodalizio che su di esso si fonda».
19 Sul punto cfr. a chiare lettere GAZZONI, Manuale di diritto privato, XVIII ed. Napoli 2017, pag. 323; ma per un’ampia trattazione, cfr. FALLETTI, Le radici del
dovere di fedeltà alla luce delle recenti evoluzioni del diritto di famiglia, in Questione giustizia 2/2017, pag. 143.
20 Cfr. sul punto Corte di cassazione 20 giugno 2013, n. 15481, in cui i supremi Giudici scrivono che: «[…] il rispetto della dignità e della personalità, nella sua
interezza, di ogni componente del nucleo familiare assume i connotati di un diritto inviolabile, la cui lesione da parte di altro componente della famiglia, così come da
parte del terzo, costituisce il presupposto logico della responsabilità civile, non potendo chiaramente ritenersi che diritti definiti come inviolabili ricevano diversa
tutela a seconda che i loro titolari si pongano o meno all'interno di un contesto familiare […]».
21 L’articolo 165 c.c. non è richiamato dal comma in esame poiché ai sensi del comma 2 indica espressamente fra i requisiti degli uniti civilmente la maggiore età.
22 Da sottolineare che la norma parla di annullabilità del contratto poiché evidentemente quello stipulato dagli uniti civilmente davanti all’ufficiale di Stato civile ed
alla presenza di due testimoni, è un vero e proprio contratto. Cosa assolutamente diversa è invece il matrimonio, che da un punto di vista squisitamente giuridico è
qualificabile come atto.
23 Leggi di qualunque genere: leggi dello Stato, provvedimenti amministrativi, regolamenti, finanche contratti collettivi di lavoro.
24 La circolare del 5 agosto 2016, il Ministero dell’Interno chiarisce che, in conseguenza dell’entrata in vigore della l. n. 76 del 2016 (e, in particolare alla luce del citato
comma 20), gli artt. 29 e 30 del d.lg. n. 286 del 1998, in materia di ricongiungimento familiare e di permesso di soggiorno per motivi familiari, si estendono anche alle
parti delle unioni civili tra persone dello stesso sesso. In PRISCO, op. cit. nota 29 a pag. 1090.
25 In dottrina cfr. sul punto GAZZONI, op cit., il quale scrive a pag. 433 che: «Potrebbe pertanto porsi un problema di disparità di trattamento e quindi di
incostituzionalità, atteso che, da un lato, la disciplina della convivenza prescinde ora, a seguito della l. 76, dalla eterosessualità della coppia, e, dall’altro, il diritto alla
vita familiare ex art. 2 della Costituzione potrebbe giustificare l’aspirazione della coppia alla genitorialità». In giurisprudenza cfr. Corte di cassazione 11 gennaio 2013,
n. 601 che nega la dannosità ex se dell’inserimento di un minore in un contesto di famiglia omosessuale.
26 Cfr. sul punto: Tribunale minorile di Bologna, 6 luglio 2017 e 20 luglio 2017.
27 Genitore sociale è colui che ha instaurato con il minore non figlio suo (dunque il partner del genitore biologico, un legame familiare di fatto, significativo e
duraturo. Significativo su tale questione è lo studio di BELELLI, La filiazione nella coppia omosessuale, in RESCIGNO – CUFFARO (a cura di), Unioni civili e
convivenze di fatto: la legge, in Giurisprudenza Italiana - Luglio 2016, pag. 1819 e ss.
28 Sul punto cfr. anche Tribunale di Napoli 28 giugno 2016, il quale stabilisce che: «L’idea che l’omosessualità del genitore possa di per sé essere “dannosa” per il
minore e, dunque, possa incidere sulla costituzione o sul mantenimento di un rapporto di genitorialità, è stata osteggiata dalla giurisprudenza già all’indomani della
riforma sull’affido condiviso, là dove si è osservato che nella valutazione dei termini dell’affidamento il giudice debba guardare all’interesse del minore, non potendo il
dato dell’omosessualità del genitore, quale “circostanza giuridicamente neutra”, essere dirimente nella determinazione del provvedimento».
29 In particolare l’unione si scioglie anche a causa della condanna per uno dei reati elencati all’art. 3 n. 1 della l. sul divorzio, o l’assoluzione da essi: per vizio totale di
mente (lett. a); per estinzione del reato (lett. c); per mancanza di pubblico scandalo (lett. d); ovvero per annullamento o scioglimento dell’unione dichiarato da una
sentenza estera, o per nuovo matrimonio celebrato all’estero da una delle parti (lett. e).
30 Anche se in dottrina è stata prospettata la necessità di un’estensione alle unioni civili della disciplina in materia di separazione personale tra coniugi: cfr. in
particolare OBERTO, Regimi patrimoniali delle unioni civili, in RESCIGNO – CUFFARO (a cura di), Unioni civili e convivenze di fatto: la legge, in Giurisprudenza
Italiana - Luglio 2016, pag. 1806 e ss.
31 Lo status giuridico di una persona fisica può essere definito come «[…] presupposto di una sfera di capacità e quindi di una serie aperta di poteri e doveri, o di
rapporti […]»: così SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, IX ed. Napoli 2012, pag. 23 e ss.

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