“Il settore dei servizi costituisce un elemento chiave del funzionamento del
mercato interno”.1
Con questa affermazione si apre la Comunicazione interpretativa
concernente la libera circolazione di servizi elaborata dalla Commissione nel
1993, con la quale quest’ultima fa propria la giurisprudenza della Corte di
Giustizia, evolutasi a partire dagli anni ’702, per realizzare una effettiva libertà di
circolazione di servizi in ambito comunitario. Come prevede l’art. 3 del Trattato
istitutivo della Comunità Europea (d’ora innanzi il Trattato), l’azione della
Comunità comporta tra l’altro, allo scopo di realizzare gli obiettivi previsti
all’art. 2 del Trattato, “un mercato interno caratterizzato dalla eliminazione, fra
gli Stati membri, degli ostacoli alla libera circolazione delle merci, delle persone,
dei servizi, dei capitali”3.
La disciplina della libertà di prestazione di servizi è contenuta negli artt. da
59 a 66 del Trattato; in virtù del richiamo fatto dall’art. 66, sono tuttavia
1
Comunicazione interpretativa della Commissione 93/C, in GUCE C-334 del 9/12/93, pag. 3.
2
Sent. CGCE del 3/12/74, C-33/74 van Binsbergen, Racc., pag. 1299.
3
Ai sensi dell’art. 2 del Trattato “La Comunità ha il compito di promuovere,..., uno sviluppo
armonioso ed equilibrato delle attività economiche nell’insieme della Comunità, una crescita
sostenibile, non inflazionistica e che rispetti l’ambiente, un elevato grado di convergenza dei
risultati economici, un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, il miglioramento
del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra gli Stati
membri”.
9
applicabili alla materia dei servizi anche gli artt. da 55 a 58, che sono situati nel
capo relativo al diritto di stabilimento.
Ai sensi dell’art. 60 comma 1, “sono considerati come servizi le prestazioni
fornite normalmente dietro retribuzione, in quanto non siano regolate dalle
disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle
persone”; in particolare, i servizi comprendono “a) attività di carattere
industriale; b) attività di carattere commerciale; c) attività artigiane; d) attività
delle libere professioni”4. Questa elencazione è comunque puramente
esemplificativa5. La definizione di servizio che viene data dalle norme del
Trattato ha dunque una natura residuale; in sostanza, l’art. 60 porta a considerare
come «servizi» tutte le attività economiche che non ricevono una apposita
disciplina in altre parti del Trattato. Da ciò derivano alcuni problemi
interpretativi incrementati dalla peculiarità di un settore che si presenta nel suo
complesso sfuggente e con contorni che talvolta male si prestano ad essere
tratteggiati con precisione6.
Tale impostazione, se da un lato comporta una elevata disomogeneità di
contenuti delle attività ricomprese nel concetto di servizio, causa questa delle
difficoltà che si riscontrano nel realizzare una disciplina uniforme dei servizi,
dall’altro è funzionale alle caratteristiche della realtà economica in cui si
inserisce il Trattato: innanzitutto perché tiene conto del “carattere
complementare delle prestazione di servizi rispetto alle altre prestazioni
contemplate dalle disposizioni sulla libera circolazione delle merci, dei capitali e
delle persone”, ed inoltre perché “potranno rientrare in futuro in tale definizione
tutte quelle prestazioni che attualmente non si riscontrano nella vita economica o
che non vengono effettuate dietro compenso, se e quando sarà dato riscontrarle o
4
Art. 60 comma 2.
5
Cfr. DRAETTA, Commento all’art. 60, in QUADRI, MONACO e TRABUCCHI (a cura di),
Trattato istitutivo della C.E.E.. Commentario, MI, 1965, Vol. I, pag. 479.
6
Cfr. GREPPI, La disciplina giuridica internazionale della circolazione dei servizi, NA, 1994,
pag. 13.
10
si pretenderà per esse un compenso”7. Aspetto, quest’ultimo, molto importante
soprattutto in un’epoca come quella attuale in cui, grazie (o a causa, a seconda
dei punti di vista) allo sviluppo tecnologico e alla diffusione dell’informatica, si
riscontra un elevato tasso di natività, così come di mortalità, delle professioni.
7
Per entrambe le citazioni v. DRAETTA, op. cit., pag. 479.
8
Disciplina contenuta negli artt. da 48 a 51.
9
Così DRAETTA, op. cit., pag. 479.
10
Così TIZZANO (a cura di), Professioni e servizi nella C.E.E., PD, 1985, pag. 13.
11
Id. Il corsivo è aggiunto.
11
questo dover sopportare tutti i costi che uno stabile insediamento ed
organizzazione nello Stato membro (ovvero negli Stati membri) di destinazione
della prestazione comporterebbe12. In sostanza, ciò che distingue la libertà di
prestazione di servizi dalla libertà di stabilimento, non è tanto l’oggetto
dell’attività svolta, che può anche essere la stessa13, ma le modalità con le quali
essa si svolge.
Non sembra perciò corretto sostenere che la libertà di prestazione di servizi è
doppiata dalla libertà di stabilimento oppure che si è in presenza di una evidente
asimmetria tra le due libertà; asimmetria individuabile, secondo chi sostiene
queste ipotesi, nel fatto che “les entreprises industrielles n’ont jamais accès à la
liberté de prestation de services alors que les entreprises de services peuvent
avoir accès à l’une quelconque des deux libertés” dal momento che “elles
peuvent offrir leurs services soit à partir d’un établissement agissant dans le pays
où se trouve leur client, soit depuis leur pays d’origine”14. Queste affermazioni
non trovano riscontro né nella lettera del Trattato, dal momento che il comma 2
dell’art. 60 comprende tra i servizi “le attività di carattere industriale”, né tanto
meno nella realtà economica, soprattutto nel settore dei beni destinati alla
produzione (macchinari, impianti, ecc.) in cui alla fornitura del bene è
complementare la prestazione dei servizi di installazione, montaggio, riparazioni,
manutenzioni15.
In terzo luogo, è necessario che la prestazione rivesta un carattere
transnazionale, nel senso cioè che “deve trattarsi di una situazione i cui elementi
12
Cfr. DRAETTA, Commento all’art. 59, op. cit., pag. 470.
13
Cfr. RASCAZZO, La Comunità europea e l’accordo generale sugli scambi di servizi: affinità
e differenze di metodi e di obiettivi, in SACERDOTI e VENTURINI (a cura di), La
liberalizzazione multilaterale dei servizi e i suoi riflessi per l’Italia, MI, 1997, pag. 183, in part.
pag. 192.
14
Così BERR, Perplexités juridiques à propos du marché commun des services, RMC, 1993,
pag. 448.
15
La stessa direttiva 96/71/CE, che sarà oggetto del presente studio nei capitoli successivi,
all’art. 3 comma 2 considera servizi, seppur implicitamente, “i lavori di assemblaggio iniziale
e/o di prima installazione di un bene,…, necessari per mettere in funzione il bene fornito”.
12
non si esauriscono all’interno di un solo Stato membro”16. Carattere, questo, che
può trovare manifestazione in molteplici modi:
i) spostamento del prestatore del servizio in uno Stato membro diverso da quello
in cui è stabilito; è l’ipotesi tipica del libero professionista (medico, avvocato)
che si reca nel paese del destinatario del servizio;
ii) spostamento del destinatario del servizio nello Stato membro in cui è stabilito
il prestatore; è questa l’ipotesi del turista che usufruisce dei servizi, appunto
turistici, nel paese in cui si reca17;
iii) situazione in cui a spostarsi è il servizio, mentre prestatore e destinatario non
si spostano dallo Stato membro in cui sono stabiliti; in tale ipotesi rientrano,
ad esempio, i servizi bancari, finanziari, assicurativi, consulenze professionali
prestate per corrispondenza o con altri mezzi di comunicazione a distanza18 o
ancora la diffusione transfrontaliera via cavo di programmi televisivi19;
iv) situazione in cui prestatore e destinatario del servizio sono stabiliti nello
stesso Stato membro ed insieme si spostano per raggiungere il luogo dove la
prestazione deve essere fornita; è il caso delle guide turistiche che si spostano
insieme ai gruppi di turisti nel paese da visitare20.
16
Così TESAURO, Diritto comunitario, PD, 1995, pag. 368.
17
Cfr. sentenza CGCE del 31/1/1984, cause riunite 286/82 e 26/83 Luisi e Carbone, Racc. pag.
377. Al p.to 10 la Corte precisa che, mentre lo spostamento del prestatore è espressamente
previsto dall’art. 60, lo spostamento del destinatario “ne costituisce il necessario complemento
che risponde allo scopo di liberalizzare ogni attività retribuita e non regolata dalle disposizioni
relative alla libera circolazione delle merci, delle persone e dei capitali”.
18
Cfr. sent. CGCE del 25/7/1991, C-76/90 Säger, Racc. pag. I-4221.
19
Cfr. sent. CGCE del 26/4/1988, C-325/85 Bond van Adverteerders, Racc. pag. 2085.
13
definitiva dell’intero sistema del mercato comune”21. Ai sensi dell’art. 60 comma
3, infatti, “il prestatore può, per l’esecuzione della sua prestazione, esercitare, a
titolo temporaneo, la sua attività nel paese ove la prestazione è fornita, alle stesse
condizioni imposte dal paese stesso ai propri cittadini”.
Il Trattato, tuttavia, non si limita a vietare le discriminazioni basate sulla
nazionalità; l’art. 59 dispone infatti che “le restrizioni alla libera prestazione di
servizi…sono gradatamente soppresse durante il periodo transitorio nei confronti
dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunità che non sia
quello del destinatario della prestazione”.
Il regime transitorio a cui fa riferimento l’art. 59 è scaduto il 31/12/1969; in
vista di questa gradualità temporale con la quale la liberalizzazione della
prestazione di servizi, così come delle altre materie previste dal Trattato, doveva
realizzarsi, il “legislatore” comunitario ha introdotto, anche in materia di servizi,
il cosiddetto «obbligo di stand-still». L’art. 62 dispone che “gli Stati membri non
introducono nuove restrizioni alla libertà effettivamente raggiunta,…, al
momento dell’entrata in vigore del presente Trattato”22. Tale previsione realizza
in sostanza “il congelamento delle restrizioni esistenti al momento dell’entrata in
vigore del Trattato”; aspetto, questo, che costituisce “il primo passo,
necessariamente interlocutorio ed incompleto, della liberalizzazione: il livello da
cui muovere nel processo di smantellamento degli ostacoli agli scambi”23.
Bisogna inoltre sottolineare che il divieto di restrizioni discriminatorie ha
una “portata sostanziale e non solo formale”, nel senso che “sono vietate anche
quelle restrizioni che, pur non discriminatorie sul piano formale in quanto
colpiscono anche i cittadini, in fatto si risolvono in una restrizione per gli
20
Cfr. sentenze. CGCE del 21/2/1991, C-154/89 Commissione c. Francia, C-180/89
Commissione c. Italia, C-198/89 Commissione c. Grecia, rispettivamente in Racc. pag. I-659,
pag. I-709, pag. I-727.
21
Così TESAURO, op. cit., pag. 370.
22
Lo stesso obbligo è previsto agli artt. 12, 31 e 32, per quanto riguarda la circolazione delle
merci, e all’art. 53, per quanto riguarda il diritto di stabilimento.
14
stranieri, spesso più vistosa”24. La Corte di giustizia è perentoria nel sostenere
che costituiscono violazione degli artt. 59 e 60 “non solo le discriminazioni
palesi, basate sulla cittadinanza del prestatore, ma anche qualsiasi forma di
discriminazione dissimulata che, sebbene basata su criteri in apparenza neutri,
produca in pratica lo stesso risultato”25. In particolare, discriminazioni
dissimulate sono state individuate nell’obbligo, imposto dal datore di lavoro che
invii temporaneamente i propri lavoratori nello Stato membro di destinazione
della prestazione, di versare la quota di contributi a carico dei datori in tale Stato
membro; questa imposizione, non discriminatoria dal punto di vista formale in
quanto colpisce anche i prestatori nazionali, provoca comunque un onere
supplementare per il prestatore di servizi, già tenuto a versare i contributi nel
paese di stabilimento, di fatto discriminandolo rispetto ai datori di lavoro del
paese in questione26.
Ancora, è stato dichiarato incompatibile con gli articoli del Trattato esigere
che i lavoratori distaccati dall’impresa nello Stato membro di destinazione della
prestazione, siano in possesso di un permesso di lavoro rilasciato dall’autorità di
quest’ultimo27, anche qualora essi non siano cittadini di uno Stato membro, ma
siano comunque regolarmente residenti nello Stato membro di stabilimento
dell’impresa e, qui, titolari di un regolare permesso di lavoro28.
Il divieto di discriminazione sancito dall’art. 60 comma 3 non è però
assoluto; comportamenti discriminatori anche nella forma sono infatti legittimi
se, e solo se, rientrano nelle fattispecie previste all’art. 5629 (applicabile anche
23
Così, per entrambe le citazioni, FORLATI PICCHIO, Tecniche giuridiche per il superamento
degli ostacoli agli scambi intracomunitari, in STEFANI (a cura di), Mercato comune e
neoprotezionismo, PD, 1987, pag. 132.
24
Così TESAURO, op. cit., pag. 374.
25
Sent. CGCE del 3/2/1982, cause riunite 62-63/81 Seco e Desquenne&Giral, Racc. pag. 223,
p.to 8.
26
Cfr. sent. Seco, cit., p.to 9.
27
Cfr. sent. CGCE del 27/3/1990, C-113/89 Rush Portuguesa, Racc. pag. I-1417.
28
Cfr. sent. CGCE del 9/8/1994, C-43/93 Vander Elst, Racc. pag. 3803.
29
“Normative nazionali che non si applicano indistintamente alle prestazioni di servizi di
qualsiasi origine sono compatibili con il diritto comunitario solo se possono rientrare in una
15
alla libera prestazione di servizi in virtù del rinvio effettuato dall’art. 66),
secondo il quale le norme del Trattato lasciano “...impregiudicata l’applicabilità
delle disposizioni legislative, regolamentari, amministrative che prevedano un
regime particolare per i cittadini stranieri e che siano giustificate da motivi di
ordine pubblico, pubblica sicurezza e di sanità pubblica30. Da sottolineare che la
Corte ha stabilito che “scopi di natura economica non possono costituire motivi
di ordine pubblico ai sensi dell’art.56”31.
La Corte ha però precisato che uguaglianza di trattamento “non può
significare che tutta la legislazione nazionale applicabile ai cittadini di uno Stato
membro e relativa normalmente all’attività permanente delle persone in esso
stabilite possa essere applicata integralmente e allo stesso modo alle attività di
carattere temporaneo esercitate da persone stabilite in altri Stati membri”32. Se
così fosse, essendo tali persone già soggette alla legislazione del loro Stato di
stabilimento, si verrebbe a “privare di effetti la nozione stessa di mercato unico
nel campo dei servizi”33.
La Corte ha confermato che l’art. 59 prescrive “non solo l’eliminazione di
qualsiasi discriminazione nei confronti del prestatore in ragione della sua
cittadinanza [salvo i motivi ex art. 56] ma altresì “la soppressione di qualsiasi
restrizione alla libera prestazione di servizi imposta per il motivo che il
prestatore è stabilito in uno Stato membro diverso da quello nel quale la
deroga espressamente contemplata come l’art. 56 del Trattato”, Sent. CGCE 25/7/91, C-288/89
Gouda, Racc. pag. I-4007, p.to 11.
30
Per i problemi di interpretazione dei concetti di ordine pubblico e pubblica sicurezza, v.
RUGGIERO e DE DOMINICIS, commento all’art. 56 del Trattato, in MONACO, QUADRI,
TRABUCCHI (a cura di), op. cit., pag.437. Gli AA. sostengono che “...non si può,...,
contrapporre la nozione di ordine pubblico a quella di pubblica sicurezza. Si tratta in realtà di
una endiadi che vuole esprimere un unico concetto generale nel cui ambito vengono a
distinguersi l’interesse della tutela dello Stato come unità politica [concetto di ordine pubblico] e
l’interesse della tutela della pace sociale e della incolumità collettiva [concetto di sicurezza
pubblica]. Non sembrano esserci problemi interpretativi relativamente alla nozione di sanità
pubblica.
31
Sent. Bond van Adverteerders, cit., p.to 34. Sent. Gouda, cit., p.to 11.
32
Sent. CGCE 10/7/91, C-294/89 Commissione/Francia, Racc. pag. I-3591, p.to 26.
33
Cfr. RASCAZZO, op. cit., pag. 203.
16
prestazione viene fornita”34, “anche qualora essa si applichi indistintamente ai
prestatori nazionali ed a quelli degli altri Stati membri, allorché essa sia tale da
vietare od ostacolare in altro modo le attività del prestatore stabilito in un altro
Stato membro ove fornisca legittimamente servizi analoghi”35.
Siamo in sostanza di fronte all’applicazione, nel settore dei servizi, del
principio del mutuo riconoscimento delle legislazioni nazionali, attraverso il
quale la Corte mira ad eliminare tutte le forme di discriminazione “de facto”36,
estendendo ai servizi la politica anti restrizioni già sperimentata con successo nel
settore delle merci.
34
Sent. Gouda, cit., p.to 10.
35
Sent. Säger, cit., p.to 12.
36
Cfr. RASCAZZO, op. cit., pag. 195.
37
Programma adottato dal Consiglio il 18/12/1961, GUCE del 15/1/1962.
38
Cfr. TESAURO, op. cit., pag. 372.
17
contesto normativo favorevole ad un allargamento degli scambi di merci”39; una
scelta, in sostanza, funzionale alla struttura dei sistemi economici dell’epoca.
Questa volontà trova manifestazione anche nelle parti del Trattato che non
disciplinano direttamente il settore delle merci; infatti, “sia con le norme sul
diritto di stabilimento che con quelle sulla circolazione di servizi, il Trattato si
propone di raggiungere una effettiva libertà di circolazione delle merci: il diritto
di stabilimento, infatti, permette agli operatori economici la creazione di una rete
di succursali e filiali in tutti gli Stati membri per meglio rappresentarvi e
vendervi i propri prodotti, mentre i tecnici delle società produttrici possono
venire liberamente, in base alle norme sulla libera circolazione dei servizi ad
effettuare riparazione o a prestare consulenza nel paese di vendita”40.
Conseguentemente le attenzioni delle istituzioni comunitarie verso il settore dei
servizi sono passate in secondo piano41 o si sono manifestate relativamente a
quegli aspetti della circolazione dei servizi strumentali alla circolazione delle
merci. Inoltre, “i servizi tendono ad essere altamente regolamentati, e
regolamentazioni e standard differenti inibiscono il commercio e la concorrenza
all’interno della Comunità”42.
Nel frattempo, però, nella realtà economico-produttiva si sono verificati
radicali cambiamenti favoriti dal progresso tecnologico, dall’enorme diffusione
dell’informatica, dallo sviluppo di nuovi mezzi di comunicazione. In tutti gli
Stati avanzati il settore dei servizi ha conosciuto una evoluzione travolgente,
realizzando livelli di sviluppo superiori a quelli delle merci43. Ma, a fronte di
questo progresso all’interno dei singoli Stati, ed in particolar modo all’interno dei
singoli Stati membri della Comunità, a livello comunitario gli scambi di servizi
39
Così GREPPI, op. cit., pag.13.
40
Così DRAETTA, Commento all’art.59, op. cit., pag.469.
41
Cfr. GREPPI, op. cit., pag. 13.
42
Così RASCAZZO, op. cit., pag. 185.
43
Cfr. BERR, op. cit., pag. 447: “le secteur des services connait un developpement beaucoup
plus rapide et important que celui de la production de biens matériels.”
18
con carattere di transnazionalità hanno continuato ad essere un fenomeno, se non
marginale, comunque limitato44.
In tale contesto, è stata “la giurisprudenza della Corte a rivelarsi ancora una
volta determinante”45, al fine della realizzazione del mercato interno. Attraverso
la sua attività interpretativa, che si è col tempo trasformata in una giurisprudenza
oramai costante, ed affrontando il problema applicando alla circolazione dei
servizi gli stessi principi che aveva in passato utilizzato nel campo della libera
circolazione delle merci46, essa ha sopperito alla latitanza del legislatore
comunitario.
L’impulso iniziale si è avuto con la sentenza Van Binsbergen47, in occasione
della quale la Corte ha rilevato che l’applicazione dell’art. 59, subordinato nel
corso del periodo transitorio all’emanazione di direttive, non è più sottoposto,
dopo la scadenza di questo termine, ad alcuna condizione. Conseguentemente, gli
artt. 59 e 60 del Trattato “hanno efficacia diretta e possono venir fatti valere
dinanzi ai giudici nazionali”.
L’attività interpretativa della Corte si è sviluppata attorno a due principi: da
un lato, essa ha confermato il divieto di restrizioni alla libera circolazione di
servizi; dall’altro, ha regolato il regime delle deroghe al divieto stesso.
Quanto al primo aspetto, “secondo la Corte, la nozione di restrizione alla
libera circolazione dei servizi va oltre al divieto di discriminazione”48. Con la sua
giurisprudenza essa ha confermato che l’art. 59 prescrive, non solo
44
Cfr. ANNABOLIS, La libre circulation des services dans l’Union européenne: évolution et
perspectives, RMUE 2/1994, pag. 173, in part. pag. 174. L’A. evidenzia come, a fronte dello
spazio che il settore dei servizi rappresenta all’interno dei singoli Stati membri il (64,6% in
termini di PIL e il 60,3% in termini di impiego), a livello di scambi intracomunitari la quota
parte relativa ai servizi sia solo del 18,4%.
45
Così TESAURO, op. cit., pag. 372.
46
Cfr. TESAURO, op. cit., pag. 381. L’A. sottolinea che la Corte “ha applicato anche alla
materia dei servizi la formula Cassis de Dijon utilizzata in tema di misure restrittive degli
scambi di merci”; la formula a cui fa riferimento l’A. è stata elaborata dalla Corte nella sent. del
20/2/1979, C-120/78 Rewe Zentrale, Racc. pag. 649.
47
Cit., p.ti 23-27.
48
Comunicazione interpretativa della Commissione, cit., pag. 1.
19
l’eliminazione di qualsiasi discriminazione nei confronti del prestatore in ragione
della sua cittadinanza, ma anche:
i) la soppressione di qualsiasi restrizione alla libera prestazione di servizi
imposta per il motivo che il prestatore è stabilito in uno Stato membro diverso
da quello nel quale la prestazione viene fornita49; nonché
ii) la soppressione di qualsiasi restrizione, anche qualora essa si applichi
indistintamente ai prestatori nazionali ed a quelli degli altri Stati membri,
allorché essa sia tale da vietare o da ostacolare in altro modo le attività del
prestatore stabilito in un altro Stato membro, ove fornisca legittimamente
servizi analoghi50.
Relativamente al secondo aspetto, la Corte ha ritenuto necessario verificare
in concreto se una disposizione nazionale contiene restrizioni alla libera
prestazione di servizi e, in caso affermativo, verificare se esse possono essere
giustificate. Le conclusioni a cui si arriva, alla luce delle decisioni della Corte,
sono che “le restrizioni sono compatibili con l’art. 59 unicamente qualora sia
provato che”51:
a) “sussistono nel settore di attività considerato, esigenze imperative connesse
all’interesse generale che giustificano restrizioni alla libera prestazione dei
servizi”52. Fra le esigenze imperative individuate dalla Corte, il cui
perseguimento può dar luogo a restrizioni non incompatibili con l’art. 59, si
trovano la tutela dei consumatori53, la tutela dei lavoratori54, la deontologia
professionale55, la protezione della proprietà industriale56, la valorizzazione
49
Sent. Gouda, cit., p.to 10.
50
Sent. Säger, cit., p.to 12.
51
Comunicazione interpretativa della Commissione, cit., pag. 3.
52
Sent. Commissione c. Italia, cit., p.to 18.
53
Sent. del 4/12/1986, C-220/83 Commissione c. Francia, Racc. pag. 3663, p.to 20.
54
Sent. CGCE del 17/12/1981, C-279/80 Webb, Racc. pag. 3305, p.to 19; sent. Seco, cit., p.to
14; sent. Rush Portuguesa, cit., p.to 18.
55
Sent. Van Binsbergen, cit., p.to 12.
56
Sent. CGCE del 18/3/1980, C-62/79 Coditel, Racc. pag. 881.
20
delle ricchezze storiche e la miglior diffusione del patrimonio storico, artistico
e culturale57, l’onorabilità, l’indipendenza e il funzionamento della giustizia58;
b) “che tale interesse non è già garantito dalle norme dello Stato in cui il
prestatore è stabilito”59. La Corte ritiene infatti che le condizioni previste dallo
Stato membro di destinazione “non possono aggiungersi a condizioni legali
equivalenti già soddisfatte nello Stato di stabilimento e che le autorità di
controllo dello Stato destinatario devono tener conto degli esami e delle
verifiche già effettuate nello Stato membro di stabilimento”60;
c) “e che lo stesso risultato non potrebbe essere ottenuto mediante provvedimenti
meno incisivi”61. Per non essere incompatibile con l’art. 59 è necessario che la
restrizione sia “«proporzionata» e «giustificata», cioè indispensabile,
obiettivamente necessaria, idonea a raggiungere l’obiettivo ed infine non
eccessiva”. Si sottolinea, in particolare, che una restrizione è eccessiva “se lo
stesso risultato può essere ottenuto tramite norme che ostacolino in misura
minore gli scambi o siano meno drastiche”62.
57
Sentenze del 26/2/1991, cit.
58
Sent. Van Binsbergen, cit., p.to 14.
59
Sent. Commissione c. Italia, cit., p.to 18.
60
Sent. CGCE del 4/12/1986, C-205/84 Commissione c. Germania, Racc. pag. 3755, p.to 47.
61
Sent. Commissione c. Italia, cit., p.to 18.
62
Entrambe le citazioni da Comunicazione interpretativa della Commissione, cit., pag.5.
21
mercato unico il libero movimento del fattore lavoro rappresenta una delle
quattro libertà fondamentali perseguite dalla Comunità e trova nel Trattato
specifica disciplina agli artt. da 48 a 51.
I fenomeni migratori sono una logica conseguenza di situazione di disparità
di sviluppo fra aree economiche diverse, dovuti alla razionale costante ricerca di
migliori condizioni di lavoro, e quindi di vita, se non semplicemente alla ricerca
di un lavoro. Le ripercussioni socioeconomiche che le migrazioni, soprattutto a
carattere transnazionale (intracomunitario, nel nostro caso), comportano, sono
tali da provocare atteggiamenti di chiusura e di rifiuto da parte dei paesi di
destinazione, il cui grado sarà direttamente correlato alla situazione
congiunturale che l’economia del paese in questione sta affrontando. In questo
contesto l’attenzione delle istituzioni comunitarie è stata da sempre concentrata
nel garantire l’effettività della libertà prevista dal Trattato ispirandosi ai principi
di divieto di discriminazione basata sulla nazionalità e di uguaglianza di
trattamento di tutti i lavoratori degli Stati membri63.
Con il completamento del mercato interno, nel quale i mercati nazionali sono
sempre più integrati, e particolarmente con la completa realizzazione della libertà
di prestazione di servizi e di stabilimento, una nuova forma di mobilità si è
sviluppata e si accentuerà prevedibilmente in futuro64; infatti, il modo più
naturale per una impresa di esercitare il diritto di effettuare una prestazione di
servizi sul territorio di uno Stato membro diverso da quello in cui è stabilita, è di
inviarvi il proprio personale al fine di realizzare la prestazione richiesta65. Questa
pratica, a cui è stato generalmente attribuito il nome di «distacco temporaneo di
63
L’art. 48 prevede da un lato che “la libera circolazione dei lavoratori....implica l’abolizione di
qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per
quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro”, e dall’altro che “essa
importa il diritto...di [svolgere] un’attività di lavoro, conformemente alle disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative che disciplinano l’occupazione dei lavoratori nazionali”.
64
Cfr. Le marché interieur et la mobilité temporaire des travailleurs dans le cadre d’une
prestation des services, ES, 2/1992, pag. 41.
65
Cfr. MARTIN, La libre circulation des personnes dans l’U.E., Bruxelles, 1994, pag. 101.
22
lavoratori»66, presenta particolari problemi giuridici relativi principalmente alla
determinazione della legislazione in materia di lavoro applicabile alle imprese
che inviano un lavoratore a svolgere un lavoro temporaneo in uno Stato
membro67 diverso da quello in cui il lavoratore svolge abitualmente la sua
attività.
Tale forma di mobilità presenta delle caratteristiche particolari che la
distinguono dalla mobilità tradizionale propria dei fenomeni migratori.
Innanzitutto si tratta di una «mobilité dans l’emploi»68, non alla ricerca di un
lavoro ma a compimento delle obbligazioni derivanti dall’esistenza di un
contratto di lavoro; in secondo luogo è una mobilità che si realizza nell’interesse
e su iniziativa del datore di lavoro, non del lavoratore; infine è una mobilità
avente un marcato carattere strumentale, visto che si produce per rendere
possibile la prestazione del servizio, senza costituire un fine in se stessa. In ogni
caso è una mobilità che può dar luogo a conflitti di legge, che dovranno trovare
soluzione attraverso l’applicazione delle regole di diritto internazionale privato69.
Tale mobilità è per sua stessa natura temporanea in quanto i lavoratori in
questione ritornano nel loro paese di origine una volta realizzata la prestazione
prevista, senza perciò mai accedere direttamente al mercato del lavoro dello
Stato membro di destinazione.
66
Nel contesto giuridico italiano questa formula è usata per definire fattispecie diverse da quella
in questione; approfondisce questo aspetto BALANDI, La direttiva comunitaria sul distacco dei
lavoratori: un passo in avanti verso il diritto comunitario del lavoro, di prossima pubblicazione
in Quaderni di diritto del lavoro e relazioni insustriali. V. anche CASAS-BAAMONDE,
Desplazamientos temporales de trabajadores e interpretaciòn judicial del Convenio de Roma,
RL, 1994-I, pag. 3, la quale evidenzia che non esiste una definizione esatta e uniforme di cosa
sia un distacco temporaneo. La formula in questione riceve nelle altre lingue le seguenti
traduzione: in francese si parla di “detachément temporaire de travailleurs”; in spagnolo si usa la
formula di “desplazamientos temporales de trabajadores” mentre in lingua inglese il lavoratore
distaccato viene definito posted worker o seconded worker.
67
V. in questo senso DOC. COM(91) 230 def., pag. 2.
68
Così A. LYON-CAEN, Le droit, la mobilité et les relations du travail: quelques perspectives,
RMC, 1991, pag. 108.
69
Cfr. CARRASCOSA GONZÁLEZ e RODRÍGUEZ-PIÑERO ROYO, Desplazamientos
temporales de trabajadores en la Comunidad Europea y ley aplicable al contrato de trabajo,
RL,1993-II, pag. 383.
23