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Le case a volte sono come dei corpi, involucri che li rivestono come derma supplementare. Ma i corpi dovrebbero
essere sempre delle case, luoghi da abitare per scelta, con consapevolezza, dove stabilire biunivoche
corrispondenze. Sarebbe interessante dunque riuscire ad abitare un corpo come si abita una casa ben abitata.
Il valore della corporeità nella ricerca pedagogica concerne il:
- Conoscere “il” corpo -> corpo e identità
- Comunicare “con” il corpo -> corpo e comunicazione
- Educare ed insegnare “il” e “con” il corpo -> corpo e didattica
CORPO E Disabilità
Un’esperienza della corporeità, altrettanto difficile e complessa, seppur determinata da ragioni assolutamente
diverse, è quella che riguarda il “corpo investito dalla disabilità” soprattutto quando questa sopraggiunge a causa di
traumi e incidenti che comportano minorazioni fortemente invalidanti. Il corpo del disabile è per antonomasia il
luogo dei pregiudizi, di paure e di isolamento. Spesso è un corpo da cui rifuggire, scappare, perché sconosciuto e
quindi difficilmente comprensibile attraverso la comune lente interpretativa di una società che attribuisce enorme
valore agli aspetti estetici e edonistici della corporeità. Nonostante in questo ambito il peso del pregiudizio sia
ancora forte sono stati fatti molti progressi. L’OMS nel 1980 pubblicò l’international classification of impairments,
disabilities and handicaps (ICIDH) distinguendo:
- Menomazione: intesa come perdita o anormalità di una struttura o funzione psicologica, fisiologica o anatomica
- Disabilità: intesa come qualsiasi limitazione o perdita (conseguente a menomazione)
- Handicap: inteso come condizione di svantaggio conseguente ad una menomazione o ad una disabilità è relativo
alle condizioni di vita e di lavoro, quindi nella realtà in cui l’individuo è collocato.
È evidente che tale documento puntava a classificare le diverse tipologie di disabilità in rapporto alle facoltà e
funzioni compromesse. (il problema principale è quanto pesa la mia disabilità nel contesto in cui vivo – livello di
funzionamento sociale). Quindi è importante la costruzione sociale che costruiamo su di esse che fa la differenza. Nel
2001 l’OMS pubblica un documento dal titolo: international classification of functioning disabilities and Health (ICF)
allo scopo di fornire un quadro di riferimento e un linguaggio unificato per descrivere lo stato di una persona. Il
nuovo documento elimina i termini “impairment” ed “handicap” che indicano qualcosa che manca, per sostituirli con
l’espressione FUNCTIONING. L’ ICF non riguarda solo le persone disabili ma riguarda tutti ha un uso universale.
Il corpo cyborg:
La relazione identitaria che si costruisce per il tramite del corpo risulta uno snodo significativo per costruire utili
relazioni con il mondo. Tale rapporto diviene tuttavia incerto e complesso se includiamo nella relazione
Io-mondo non solo la corporeità ma anche le tecnologie. In rapporto con la realtà si costruisce sempre più spesso
nella stretta coesistenza tra corpo-macchina-mondo. In un’epoca come la nostra la conoscenza della realtà si
struttura nella profonda consapevolezza che non sono più “Io da solo a conoscere il mondo attraverso il mio corpo”
toccando, vedendo, sentendo, percependo ma la conoscenza è frutto di molteplici interazioni e rappresentazioni,
anche di matrice tecnologica, che rendono il reale virtuale e soprattutto, pericolosamente, trasformano il virtuale in
reale. Da molto tempo il rapporto uomo-macchina costituisce un versante di ricerca interessante che evidenzia il
valore delle macchine e delle tecnologie nella nostra vita; tali studi viaggiano nella direzione di valutare progressi e
limiti dell’intelligenza artificiale e della realtà virtuale, aprendo la strada a ricerche avanzate nell’ ambito della:
Cibernetica: nasce intorno alla metà del secolo scorso quando biologi e ingegneri provarono a sviluppare modelli
teorici comuni per macchine e sistemi biologici nel tentativo di realizzare “macchine intelligenti” ovvero sistemi
artificiali capaci di riprodurne comportamenti compatibili. (l’intelligenza dell’utilizzatore sta nella modalità di
utilizzazione del mezzo, la relazione con la macchina).
Robotica: è una scienza che studia i comportamenti degli esseri intelligenti, cercando di sviluppare macchine (robot),
dotate di dispositivi atti a percepire l’ambiente circostante e a interagire con esso eseguendo compiti specifici.
Nella robotica, branca dell’ingegneria, confluiscono molte discipline sia di natura umanistica (biologia, fisiologia,
linguistica e psicologia) sia scientifica (automazione, elettronica, fisica, informatica, matematica e meccanica).
Sviluppi applicativi ulteriori della robotica consentirebbero di realizzare sistemi bionici per collegare il sistema
biologico (es. sistema nervoso dell’essere umano) a sistemi robotici per mezzo di interfacce neurali, al fine di
ripristinare, ad es., funzionalità motorie e sensoriali in persone disabili o vittime di traumi (la protesi di mano
cibernetica).
Corpo spazio e comunicazione – Altro modo attraverso il quale il corpo comunica messaggi è rappresentato dalla
motricità e dal modo di occupare lo spazio: la prossemica. Essa studia appunto le modalità di uso dello spazio da
parte dell’uomo, ovvero i rapporti spaziali che questo crea, i gesti, le posture assunte dal suo corpo nella
comunicazione interpersonale. La prossemica si fonda sulla consapevolezza che il corpo attraverso lo spazio parla e
parla anche quando non vogliamo ascoltarlo; parla per precise convenzioni culturali, ma parla anche in base a
profondi radicamenti biologici. Lo spazio parla anche quando non vogliamo ascoltarlo. Il nostro modo di occupare un
posto a sedere o di entrare in un luogo reca un significato. Secondo la teoria di Hall la distanza emotiva e sociale tra
le persone correla con la distanza fisica tuttavia non va dimenticato che l’occupazione dello spazio è anche
estremamente influenzata dalla cultura dei soggetti osservabili. Il codice che regola lo spazio è sempre presente in
tutte le culture, ma le distanze sono differenti. Oggi ad esempio che per motivi sanitari stiamo mantenendo spazi
distanziati non a caso viene definita “distanza sociale”. Ciò a riprova del fatto che lo ‘spazio fisico’ correla con lo
‘spazio sociale’.
Un terzo modo inoltre attraverso cui il corpo si esprime è la gestualità e i modi di fare. Il campo di ricerca che si
occupa dei gesti ha trovato l’interesse di molti studiosi tra i quali spicca Desmond morris che in uno studio specifico
gesti: origini e distribuzione, ha elaborato una sorta di mappa dei gesti. il contatto con realtà diverse rende evidente
le diversità nel linguaggio del corpo delle diverse culture. ad esempio molti gesti familiari nella nostra cultura non
esistono in altri paesi e viceversa o un gesto che in una parte del mondo è amichevole in un’alta potrebbe essere
addirittura offensivo. Ci sono modi di fare che sono specifici in una determinata area/ paese e altri universali come
un sorriso.
2. Corpo e comunicazione
Il corpo quindi è utilizzato come strumento di comunicazione interpersonale. La comunicazione umana si specifica,
da quelle delle altre specie animali, proprio perché è in grado di ricorrere a forme di espressione che utilizzano il
linguaggio simbolico (verbale, digitale, astratto) assieme ad altre forme di espressione più analogiche (corporee,
spaziali, mimico-gestuali, ecc.). La specie umana è l’unica capace di integrare il “linguaggio delle parole” con il
“linguaggio del corpo”; sarebbero proprio tali forme espressive “miste” e consapevoli responsabili di una più efficace
comunicazione.
Il processo di comunicazione negli anni è stato analizzato da diverse prospettive teoriche, centrate soprattutto sugli
aspetti informazionali della comunicazione come il modello matematico della comunicazione di shannon e weawer
che descrive il processo di comunicazione semplicemente come un flusso di informazioni che da un emittente
raggiunge il destinatario.
La comunicazione però non va considerata come un dispositivo artificiale di scambio di informazioni ma come una
peculiare forma di espressione di un corpo che comunica ad altri copri con le forme che gli sono più peculiari.
L’approccio teorico, che meglio descrive ed interpreta le dinamiche della comunicazione interpersonale in ambito
relazionale e psicoterapeutico, è il modello pragmatico-sistemico (Paul Watzlawick) che riconosce alla
comunicazione caratteristiche di complessità, organicità e circolarità. La comunicazione risulta contraddistinta:
- dallo scambio circolare di informazioni a carattere concreto (pragmatico) che costituiscono il contenuto della
comunicazione
- dalle indicazioni sulle modalità con cui le stesse devono essere interpretate che investono l’aspetto più intrinseco
della relazione.
Secondo Watzlawick (Psicologo e filosofo austriaco) il secondo aspetto (relazione) esplicita e qualifica il primo
(contenuto) anzi talvolta finisce per essere radicalmente più importante. I soggetti possono quindi metacomunicare,
ossia chiarirsi sui principi e le modalità che istituiscono la comunicazione.
La malattia oncologica
Il copro è il tramite, più immediato ed evidente, con il quale si entra nel mondo della comunicazione /relazione con
l’altro perché è l’oggetto che prima di noi parla di noi.
Il corpo è infatti uno strumento potente per potersi raccontare ma anche per stimolare negli altri la possibilità di
inventare e costruire storie su di noi. Il corpo comunica perché si narra e si fa narrare. Il copro malato addirittura
potenzia la sua funzione comunicativa sia nel soggetto che vive la malattia, sia in coloro che della malattia sono
testimoni, e ciò risulta evidente anche dall’ aumento di narrazioni autopathografiche (storie di malattie narrate dai
pazienti). Tra le patologie, prevalentemente corniche ed invalidanti che maggiormente incoraggiano la dimensione
narrativa troviamo il cancro. Il cancro non tanto nell’ esperienza del singolo ma nella percezione sociale,
rappresenta una condizione di sofferenza estrema connessa soprattutto all’ imprevedibilità dei suoi sviluppi e all’
impossibilità di prefigurare prospettive di piena guarigione, sollecita incessantemente la riflessione del malato sul
senso stesso di questa esperienza. Tali riflessioni sono connesse anche all’ esito di alcune terapie soprattutto
chirurgiche, che spesso portano alla perdita di organi e apparati con conseguenti limitazioni nella vita personale e
relazionale, basti pensare ad interventi come mastectomia o isterectomia che vengono vissute come delle vere e
proprie mutilazioni della femminilità o della propria identità di genere.
Il corpo che si ammala di cancro è dunque un corpo le cui ferite, raccontano storie di sofferenza non sola fisica ma
sempre e comunque anche psicologica. Nelle storie di cancro, tuttavia, oltre alla paura è presente spesso anche il
desiderio di contrastare "attivamente" la malattia. Ciò risulta documentato da una recente indagine promossa che
offre dati significativi, di fronte ad una diagnosi di tumore, delle reazioni soggettive più comuni e diffuse. A tal
proposito, si evince che "per il-36,8% degli intervistati è la paura il sentimento più comune, per il 33,56 la voglia di
reagire, seguono, la depressione, la rabbia, i sentimenti di impotenza, la rassegnazione. Per tale motivo, non
sorprende anche l'utilizzo dell'umorismo e dell'autoironia, frequentemente presenti nelle storie dei pazienti.
Inoltre, scrivendo della propria malattia, i pazienti intrecciano positivamente la loro storia a quella di altre persone
che condividono la medesima condizione, facendo sì che il dolore, può insegnare, e quel frammento di vita ritenuto
inutile può aiutare chi seguirà e saprà di non essere solo. Infatti il vissuto della malattia viene spesse percepito come
un'occasione di crescita in senso riflessivo e formativo, in grado di attribuire senso a questa particolare esperienza.
Ciò fa parte del potere terapeutico del racconto che aiuta il paziente in quella "difficilissima impresa che è la
trasformazione radicale della sua identità. Lo sviluppo identitario si compie in senso profondamente relazionale
anche nell'esperienza della malattia oncologica. In questo senso, la dimensione relazionale e sistemica, propria di
ogni patologia, nel caso di specie del cancro non può essere compresa e gestita se non attraverso approcci di cura
olistici che presuppongono una più ampia presa in carico del paziente e che possono richiedere il supporto della
Psiconcologia (riguarda le risposte psicologiche alla malattia e alle terapie), di interventi di counseling o, nei casi più
estremi, anche d’accompagnamento all'ultima fase della vita.
II Judo educativo
il Judo è un'arte marziale giapponese basata sul "principio della flessibilità", della non-opposizione alla forza
dell'avversario e la sua trasformazione in proprio vantaggio. Di fronte a un avversario più forte si avrebbe
facilmente la peggio se, alla sua superiore energia, si opponesse resistenza. Invece di resistere, è meglio
assecondare la sua stessa forza fino ad assorbirne lo slancio e a fargli perdere l'equilibrio una volta esaurita la
spinta. Per questo il judo non può essere semplicemente considerato un tipo di lotta sportiva o una tecnica di
autodifesa, ma assume significati e valori più profondi, che comportano un esercizio di educazione mentale e fisica.
La diffusione del Judo si deve principalmente al Professor Jigoro Kano' che fa conoscere la disciplina in Europa.
Con il passare degli anni il judo si trasforma e diventa competizione dove il risultato diventa fondamentale e dove la
vittoria diventa prevaricazione sull'avversario, mettendo in secondo piano, l'aspetto educativo della disciplina che
era ed è alla base della straordinaria diffusione del Judo in tutto il mondo. Fortunatamente, molti maestri hanno
saputo mediare tra la agonistica e le finalità educative che la disciplina impone. Il judo può e deve intervenire, in
maniera significativa, nel processo educativo dei giovani, insegnando loro comportamenti, capacità di controllo e
rispetto degli altri, anche se sconfitti.
Le 8 qualità essenziali alle quali ogni judoista dovrebbe mirare durante la pratica e la vita di lutti i giorni sono:
l'educazione, il coraggio, la sincerità, l'onore, la modestia, il rispetto, il controllo di sé, l'amicizia.
Il rispetto delle regole e delle gerarchie legate al judo fa sì che si apprenda a essere responsabili nei confronti degli
altri accettando. sconfitte, controllandosi nella vittoria, aiutando i compagni più giovani e inesperti. Proprio
relativamente a questo ultimo aspetto fondamentale risulta nel judo il ruolo dell'Uke ovvero di colui il quale si
presta affinché il compagno esegua il movimento o applichi la tecnica in modo corretto, l'uke si mette
generosamente a disposizione affinché l'altro impari trasmettendo il valore della collaborazion. Il Judo aiuta, quindi,
a crescere attraverso una comprensione profonda del valore della relazione inter-soggettiva (tra compagni e
maestro) ed intra-soggettiva (tra corpo e mente).
Il judo persegue obiettivi di natura apprenditiva e formativa che consentono al soggetto di migliorare:
• attenzione e concentrazione
• controllo di sé e dell'ambiente;
• ragionamento
• immaginazione
Relativamente all’ immaginazione, il Judo esercita una spiccata capacità di "immaginazione" soprattutto ideativo-
motoria; creando situazioni sempre nuove spinge il soggetto alla simulazione soggettiva ovvero alla previsione di
comportamenti, gesti, circostanze rispetto alle quali c'è una costante richiesta di modificazione e riadattamento
funzionale degli schemi di azione. Per tali ragioni il Judo viene considerato une sport tipicamente "situazionale"
ovvero un'attività nella quale la capacità di controllo di sé e dell'ambiente, diventa strategica. Il judo educativo,
infatti, investendo molto sulla "comprensione della situazione", finisce per favorire una forte competenza auto-
orientativa: il piccolo atleta posto in una situazione che muta continuamente è costretto a produrre sempre più
sofisticate capacità di osservazione, di comprensione, di ragionamento, di simulazione e, naturalmente, di
previsione del comportamento dell'avversario. Sembrerebbe anche favorire un decremento di comportamenti
violenti, di atteggiamenti antisociali e di bullismo, oltre a diminuire sensibilmente l'uso del linguaggio scurrile. In
sintesi il Judo educativo è una disciplina in grado di far maturare competenze ed atteggiamenti socio-relazionali
efficaci tali da produrre un ampliamento del bagaglio di esperienze comportamentali e motorie che trovano
impiego ed applicazione in molte circostanze della vita. Il Judo rende la pratica motoria e sportiva un'occasione di
crescita e di sviluppo fisico, cognitivo, emotivo e sociale.
Corpo e postura
Il corpo esprime un linguaggio, a volte complicato, a volte facilmente leggibile. La questione risiede nel fatto che noi
vediamo soltanto ciò che conosciamo e per questo non siamo sempre bravi a riconoscere il linguaggio corporeo. La
posturologia è una branca afferente alla medicina che si prefigge lo scopo di leggere questo tipo di linguaggio,
osservando ciò che il corpo esprime, ragionando sulle sue manifestazioni, senza fermarsi al sintomo o al disturbo
principale. Un esempio può essere rappresentato da un paramorfismo molto comune cioè l'atteggiamento
scoliotico. In passato l'opinione prevalente di medici e specialisti era quella di fare ricorso a busti e a corsetti, cioè
ad ausili terapeutici atti a "riparare" ovvero a ripristinare la postura corretta che si era persa. Nel tempo tale
approccio si è rivelato spesso inadeguato se non addirittura controproducente. Il motivo di tale inadeguatezza
risiedeva nella parzialità e settorialità dell'approccio stesso: guardare solo alla schiena preoccupandosi
esclusivamente della scoliosi senza chiedersi il perché. Prendendo al contrario guardando al problema, in un'ottica
più ampia ed olistica, nella complessità della sua manifestazione, magari si poteva scoprire che tale scoliosi era
imputabile, ad esempio, ad un difetto della visione che, producendo una inclinazione del capo. Oppure era riferibile
ad un disallineamento della mandibola che finiva per determinare un compenso a livello della schiena. Un esperto
in posturologia assume invece rispetto a tale evento, un atteggiamento diverso tendente a comprendere il perché
di un siffatto fenomeno, cercando di andare alle cause della manifestazione del sintomo. I principi teorici che la
posturologia assume possono essere in sintesi riferiti alla "teoria del caos" secondo la quale "piccole variazioni nelle
condizioni iniziali producono grandi variazioni nel comportamento a lungo termine in un sistema".