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“ALCUNE METODOLOGIE DI INTERVENTO

PER LE ANOMALIE DELLO SVILUPPO


SOCIALE”

PROF.SSA GENEROSA MANZO


Università Telematica Pegaso Alcune metodologie di intervento per
le anomalie dello sviluppo sociale

Indice

1 IL GIOCO: UN APPROCCIO EDUCATIVO E TERAPICO -------------------------------------------------------- 3


2 METODOLOGIA DI INTERVENTO ------------------------------------------------------------------------------------- 5
2.1. PRIMO APPROCCIO: APPROCCIO INTERATTIVO ---------------------------------------------------------------------------- 5
3 L’APPROCCIO INTERATTIVO E L’APPROCCIO DELL’INSEGNAMENTO PROGRAMMATO: LA
SINTESI ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 17
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 20

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)

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1 Il gioco: un approccio educativo e terapico

Lavorando con soggetti colpiti da un disturbo generalizzato dello sviluppo, autismo o ritardo

mentale, ci si può abilmente rendere conto che aspetti e metodi come la modalità di gioco centrata

sull’ipotesi di poter insegnare i primi comportamenti di reciprocità sociale, portano a modalità di

intervento educativo e terapeutico che possono essere facilmente messe a disposizione dei genitori,

degli insegnanti e dei terapisti.

Rilevanza notevole negli interventi educativi ha il ruolo svolto con i bambini e i genitori

all’interno delle sedute di trattamento e valutazione, le esperienze degli educatori e terapisti possono

essere aggiunte a quelle delle mamme e dei papà che interagiscono e che vivono con il proprio

bambino avente difficoltà nello sviluppo sociale e nell’acquisizione dell’intersoggettività.

L’approccio del gioco suggerito ai genitori è molto utile e può essere ritenuto importante

per soggetti che hanno tra i due e i cinque anni, in questo caso, tale approccio può essere

considerato prioritario per introdurre al più tradizionale approccio educativo.

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Questo approccio è molto utile anche per gli insegnanti e gli educatori, i quali denotano e

scoprono in tal modo, l’importanza per l’insegnamento dei momenti di gioco, che in precedenza

venivano invece svolti solo come semplici modi per riempire utilmente il tempo.

Il gioco incrementa inoltre, l’efficacia e l’utilità del tradizionale intervento psicomotorio,

riportando l’azione del soggetto adulto su solide basi scientifiche e di conoscenza reale e permettere

di aprire la stanza della terapia all’attiva partecipazione dei genitori.

Tale approccio è particolarmente usato per l’autismo e per la difficoltà sociale in esso

presente. esso applicato all’autismo vede un grande sviluppo anche grazie all’incontro con una

serie di linee guida fondamentali dell’approccio scientifico al trattamento. Tra essi importanza

notevole hanno le linee guida provenienti dagli studi della Newson e di Schopler.

Elizabeth Newson, studiosa dello sviluppo infantile normale è stata effettivamente la prima a

mostrare la relazione tra difficoltà dell’autismo e difficoltà nella dotazione innata del bambino ad

interagire con la madre in un dialogo intersoggettivo. Ciò ha fatto leva sull’importanza di spingersi

verso la collaborazione con i genitori fin dal momento della diagnosi1.

Anche l’approccio TEACCH di Schopler e collaboratori è stato centrale nello sviluppo

dell’approccio del gioco. Tale approccio apprende dalla filosofia TEACCH a rispettare la natura dei

bambini e a prestare notevole attenzione all’organizzazione degli spazi2.

1
Newson E., Newson J., Toys and playthings, New York, Pantheon, 1979.
2
Schopler E., Autismo, in famiglia, Trento, Erickson, 1998.

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2 Metodologia di intervento

2.1. Primo approccio: approccio interattivo

Questo approccio mette al centro la libera interazione con il bambino.

Se si immagina un bambino piccolo coi problemi di sviluppo sociale, si denotano difficoltà

serie in campo sociale e comunicativo, è difficile da gestire, non è obbediente ed ha frequenti crisi

di rabbia. Tuttavia, si vuole trasmettere a tale soggetto qualcuna delle abilità che non possiede.

Vivendo con il bambino una determinata situazione ambientale, ad esempio in una casa, in una

stanza con dei giochi o in un altro luogo di vita, si cercherà di proporgli delle attività. In realtà, si

potrà osservare quello che il bambino fa in maniera spontanea, e si noterà quello che fa più spesso

valorizzando le sue azioni con la propria presenza, vicinanza e approvazione. Si cercherà di dare un

senso ai suoi movimenti e ai suoi atti, o dicendogli a parole quello che sta facendo e il significato di

tale azione, o facendo con lui l’azione, modellando e proponendo delle modifiche a quello che fa

spontaneamente per avvicinarlo progressivamente a ciò che si vuole che faccia3.

3
Xaiz C., Micheli E., Gioco e interazione sociale nell’autismo. Cento idee per favorire lo sviluppo
dell’intersoggettività, Trento, Erickson, 2001.

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Se il bambino cambia interesse, bisogna seguirlo accantonando quello che si aveva

intenzione di proporgli, e ci si dedicherà a ciò che ha mostrato voler fare con il suo comportamento.

L’ambiente accogliente e la disponibilità dell’educatore o del genitore ad adattarsi ai suoi

movimenti spontanei creeranno una sorta di fiducia reciproca, offrendo al bambino la possibilità di

esprimere ciò che in lui era presente a livello potenziale, ma sommerso o bloccato nella sua

manifestazione.

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Tale approccio possiede i seguenti vantaggi:

 Seguendo gli interessi del bambino, il tempo viene usato per svolgere delle attività

piacevoli e non sprecato in conflitti;

 Seguendo i suoi interessi, è più probabile che il bambino sia motivato a svolgere queste

attività e che quindi sia più motivato ad imparare;

 L’apprendimento avviene gradualmente, perché il bambino seguirà a poco a poco con

fiducia il modello dell’adulto e in seguito accetterà di provare cose nuove. In questo modo

l’apprendimento potrà essere stabile e mantenersi nel tempo;

 Il non esercitare pressioni sul bambino comporta una situazione di agio e favorisce

l’emergere delle sue capacità e abilità, perché esse non sono bloccate da tensione o da

problemi relazionali o emotivi;

 Il non esercitare pressioni evita che il bambino si difenda rifiutando il modello che gli

viene proposto4.

4
Xaiz C., Micheli E., op.cit., p.6.

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Tuttavia, come ogni approccio, anche questo ha degli effetti non solo positivi, ma anche negativi.

Ecco gli effetti negativi di tale approccio:

 Non avendo chiaro cosa e come si vuole insegnare è più facile che il bambino si lasci

andare a stereotipie o comportamenti ripetitivi e che si sprechino quindi le occasioni di

apprendimento;

 Il bambino può accondiscendere ad attività che suscitano in lui forte agitazione o

eccitazione e alle quali non è in grado di resistere, cadendo poi nell’ansia o nei

comportamenti problema;

 Se il bambino non ha la dotazione di abilità necessaria per svolgere determinate azioni, ed

è questa, non un blocco emotivo, la ragione per cui non esprime certi comportamenti, il

nono fargli pressioni o il seguire la sua inclinazione non lo aiuteranno ad imparare;

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 Facilmente l’adulto finisce per immaginare che il bambino abbia la capacità di un

bambino normale e attribuisce significati a comportamenti che in realtà sono solo la

semplice manifestazione di un deficit o di un disturbo nello sviluppo5.

Come si può notare, tale approccio ha dei punti di forza e alcuni di debolezza. Tuttavia, se

svolto con attenzione, preparazione ed umanità, porta chi lo applica a maturare una buona capacità

di stare con il bambino, di accettare le sue difficoltà e spesso di offrire esperienze di gioco positive.

Affinché esso sia utile, è però fondamentale essere capaci di riconoscere e controllare il rischio di

attribuire ai comportamenti del bambino dei significati che in realtà il suo sistema cognitivo ed

emotivo non può elaborare né padroneggiare.

Tale approccio è praticato spontaneamente da molte mamme nei momenti in cui riescono a

dedicare del tempo a loro figlio, ma soprattutto da terapisti che hanno una formazione nel settore

della psicomotricità e da psicoterapisti che usano il gioco come parte della seduta terapeutica.

Purtroppo, le caratteristiche dell’autismo e delle difficoltà di sviluppo fanno si che a lungo

termine l’efficacia terapeutica di questo approccio sia molto scarsa. L’autismo, infatti, non è un

blocco emotivo o un problema di fiducia nell’altro, ma è la mancanza di abilità di comprendere e

inviare messaggi, di usare gli oggetti e di riferirsi ad un’altra persona. Questo disturbo porta spesso i

bambini a stati di estrema frustrazione , confusione, sofferenza; in questa condizione, esperienze di

comportamento libero possono diventare causa di una reale angoscia.

Inoltre, ciò che il bambino fa in una data situazione può non trasferirsi automaticamente ad

altri contesti o luoghi. Tante ricerche mostrano infatti che, le persone con autismo imparano di più

5
Xaiz C., Micheli E., op.cit., p.6.

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di quanto l’ambiente è appositamente strutturato per facilitare il loro apprendimento e quando i

comportamenti insegnati sono organizzati in modo tale che il bambino sappia bene cosa aspettarsi e

che le difficoltà siano graduate e si presentino una alla volta.

Invece, un aspetto estremamente positivo di questo approccio consiste nel limitare

l’intervento solo a certi oggetti o attività. Dato che anche i bambini con autismo apprendono più

facilmente ciò che per loro è motivante, e difficilmente apprendono ciò che è imposto da altri,

assecondare le loro attività spontanee può essere utile.

In una certa misura, quindi, questo approccio prudente può anche aggirare la loro tendenza

a non accettare le richieste e l’eccessiva pressione sociale. A volte, la presenza di una forte

passività, che li porta a fare meccanicamente ciò che viene loro richiesto senza però stimolare un

apprendimento, fa capire che è meglio seguire i pochi interessi del bambino in modo da rendere

l’apprendimento meno meccanico.

Secondo approccio: l’insegnamento programmato

Se si immagina di lavorare con un bambino con problemi nello sviluppo sociale, dopo una

dettagliata valutazione, si individuano in lui le abilità presenti in maniera soddisfacente,

distinguendo quelle presenti in maniera saltuaria ma non in modo insufficiente e quelle totalmente

deficitarie. Individuati quindi, i comportamenti e le abilità apprese che si rivelano eccessive e

disturbanti: stereotipie, aggressività, ecc.

Dopo aver fatto questo è necessario effettuare un piano delle priorità e decidere quali abilità

si vogliono insegnare. È necessario classificare i comportamenti bersaglio e quelli da insegnare,

incrementare e da diminuire o estinguere.

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Le priorità possono essere decise sulla base di considerazioni di sviluppo ( insegnare prima

quello che è normalmente viene prima nello sviluppo) o di valutazioni funzionali (insegnare ciò che

è maggiormente necessario nella vita).

Altro step in questa ipotesi è quello di strutturare le sedute in modo da chiedere al bambino

di svolgere certi comportamenti, guidandolo fisicamente o verbalmente, attraverso i suggerimenti o

la dimostrazione. Ogni volta che il comportamento che si richiede al soggetto viene svolto, il

bambino riceverà una ricompensa.

È importante durante l’insegnamento prendere nota del numero dei comportamenti adeguati

e del numero di comportamenti problema che ha manifestato, e paragonare costantemente i risultati

con una misura iniziale per avere sempre un controllo che permetta di sapere se si sta procedendo

nella giusta direzione.

Una volta che sono stati raggiunti i singoli obiettivi, essi devono essere concatenati in modo

da costruire degli insiemi comportamentali sempre più ampie significativi che verranno quindi

applicati alle situazioni reali.

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I vantaggi di tale approccio sono:

 L’utilizzo scientificamente e razionalmente programmato di tecniche basate su leggi

dell’apprendimento, effettivamente funzionanti negli organismi ha una reale efficacia,

purchè il metodo sia applicato adeguatamente;

 L’uso del tempo e delle energie sono finalizzati alle reali necessità di apprendimento del

bambino;

 Diminuiscono i comportamenti pericolosi, disturbanti e negativi anche per la relazione

adulto-bambino;

 Si rispettano la necessità e i limiti del ragazzo, che ha bisogno di imparare le abilità che

non possiede. L’adulto si fa carico, quindi della responsabilità di insegnare certe abilità

senza immaginare che esse preesistano;

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 Si crea una relazione positiva fra il soggetto adulto e il bambino, tale relazione si basa sul

raggruppamento di risultati positivi;

 Quando il bambino inizia ad apprendere e ad usare ciò che ha appreso, si instaura un

circolo virtuoso di motivazione intrinseca6.

L’introduzione di questa modalità di intervento ha condotto in molte aree come in quelle

dell’autonomia e della capacità lavorative, delle abilità cognitive e linguistiche, a una rivoluzione di

portata storica. Grazie a tale linea di intervento, molte persone disabili hanno compiuto notevoli e

sostanziali progressi verso l’indipendenza.

Ecco, invece, i difetti di tale metodo:

6
Xaiz C., Micheli E., op.cit., p.6.

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 Richiede molto tempo e molta cura, ed è quindi molto faticoso. Quando i limiti del

bambino sono tali da richiedere passi piccolissimi, a volte l’impegno profuso non

raggiunge risultati visibili;

 Non è intuitivo: richiede cioè l’uso di tecniche e di definizioni degli obiettivi

frequentemente artificiose, padroneggiate solo da esperti che poi non sono realmente

presenti nell’attività di insegnamento;

 Se viene applicato, porta enorme dispendio di tempo a fronte di risultati irrilevanti;

 A volte, le abilità apprese in questo modo restano strettamente legate alla situazione di

suggerimento o di richiesta e non diventano spontanee, neanche con lunghi processi di

generalizzazione programmata;

 Questa linea è meno efficace quando si vogliono insegnare non singoli comportamenti,

ma abilità in aree maggiormente legate alla funzione, allo scopo, ai rapporti e alle

relazioni, alla variabilità e alla flessibilità;

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 A volte, potenzialità personali basate su insoliti funzionamenti o punti di forza diversi

vengono oscurate da un tentativo di normalizzazione inconsapevolmente effettuato da un

pianificatore rigido e poco sensibile.7

È comunque vero che nel lavoro educativo usato nel trattamento dell’autismo tale metodo ha

dato buoni risultati in molte aree, soprattutto risultati descritti con precisione, e quindi controllabili.

La linea seguita da una delle più diffuse correnti riabilitative dell’autismo, la “ Applied

behaviour analysis”, di cui uno degli esponenti più noti e Ivar Lovaas, è la più vicina a tale

approccio.

La versione più radicale, degli anni Sessanta-Settanta, di questa linea di intervento ha però

suscitato molti dubbi, che hanno reso necessari adattamenti e versioni più flessibili. I fattori che

l’hanno messa in discussione sono:

 La sempre maggiore conoscenza dello sviluppo normale e del funzionamento peculiare

delle persone autistiche;

 La scoperta di processi cognitivi tipici dell’autismo e l’enfasi sugli aspetti più legati alla

comunicazione spontanea, al gioco e alla socialità;

 La necessità sempre più frequente di un intervento precoce con bambini piccoli;

7
Xaiz C., Micheli E., op.cit., p.6.

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 La necessità sempre più frequente di un intervento precoce con bambini piccoli;

 La necessità di coinvolgere nel trattamento dei genitori, insegnanti, nonni e baby-sitter.8

Effettivamente anche se la conoscenza di questo approccio è ancora oggi essenziale per il

trattamento dell’autismo e degli altri disturbi generalizzati dello sviluppo, si stanno via via

diffondendo nuove e più aggiornate modalità di intervento. L’approccio di queste ultime è infatti

più dinamico e interattivo e pone enfasi sulla facilitazione dell’esercizio di abilità già possedute,

sulla necessità di un ambiente strutturato e sull’uso di protesi visive.

8
Xaiz C., Micheli E., op.cit., p.6.

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3 L’approccio interattivo e l’approccio


dell’insegnamento programmato: la sintesi

È proprio nell’insegnamento di abilità di relazioni reciproca e di comunicazione che i

due tipi di approccio si possono semplicemente incontrare in una sorta di matrimonio9. Sia nel

campo della comunicazione sia in quello delle prime abilità sociali si cerca di incentivare la

motivazione ad incontrare l’altro e a riferirsi ad esso, ad inviare messaggi, a scoprire e utilizzare

funzioni e scopi.

Quello che si insegna non è facilmente definibile come un’azione, un gesto, un’operazione,

ma invece, come una scoperta e una costruzione di significati.

Tutto questo vale sia se si insegna ad un bambino piccolo a guadare assieme ad un'altra

persona un oggetto che si muove, sia quando si insegna ad un adolescente con abilità di

conversazione.

È possibile indicare e spiegare in cosa consista una sintesi tra le due posizioni.

L’insegnante, i genitori e il terapista hanno in mente nel modo più definito ed operativo

possibile i comportamenti che desiderano insegnare. Si pongono quindi mete ed obiettivi ed

esercitano una vera e propria attività di valutazione delle abilità del bambino che permette loro di

giudicare quali attività sono utili, alla portata del bambino, e quali sono oggi al di sopra delle sue

possibilità di apprendimento.

9
Mirenda P.L.,Donnellan A., Issues in curriculum development. In D.J. Cohen, A. Donnellan e R. Paul (a cura di) ,
Handbook of autism and pervasive developmental disorders, New York, Wiley, 1987.

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Essi possiedono inoltre, un bagaglio tecnico flessibile di modalità di insegnamento valide e

collaudate; hanno capacità di problem solving; sanno modificare il percorso di intervento in base

all’osservazione costante del complesso insieme di comportamenti, cognizioni ed emozioni su cui

lavorano.

Lo spazio e il tempo del lavoro sono ben strutturati, ed il controllo di tale struttura è nelle

mani del soggetto adulto, che decide quali materiali utilizzare e in quali quantità; decide i tempi;

stabilisce e comunica in maniera chiara le regole. Tutto questo con rigore e flessibilità.

Anche il processo di osservazione del bambino è ciò che si percepisce del suo interesse, del

suo modo di accettare o respingere una proposta guidano l’attività. Essa deve partire da qualcosa

che è già almeno in parte significativa per il bambino, da lui conosciuto, amato e desiderato.

Il modo di funzionare del bambino è rispettato durante la scelta delle attività, dei modi e dei

tempi dell’intervento, affinché esso diventi piacevole e faccia scattare in lui la motivazione ad

apprendere. Il programma della seduta è flessibile nei contenuti, infatti, l’educatore dispone di un

ventaglio di attività che mirano alle mete e agli obiettivi che si sono scelti, che però deve anche

permettere di volta in volta delle modifiche a seconda dei desideri espressi dal bambino. In questo

modo, il bambino può diventare soggetto di una relazione e condividerla con piacere.

La capacità empatica dell’adulto ha una rilevanza notevole, bisogna infatti saper sentire le

emozioni del bambino, il suo modo di viverle e tollerarle. Nel caso dei bambini con autismo, non è

sufficiente avere delle vaghe idee su come si emozionano, ma occorre una sensibilità legata alla

conoscenza specifica di un modo di funzionare diverso. I principi dell’apprendimento e le tecniche

del rinforzo si applicano non in una serie programmata di prove , ma a seconda di ciò che accade di

bello durante la seduta.

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Un obiettivo importante potrebbe essere quello di rinforzare i comportamenti spontanei del

bambino d che si avvicinano alle mete prestabilite10.

La sintesi dei due approcci richiede quindi alla mentalità scientifica di guidare

l’organizzazione degli obiettivi; dei mezzi per favorire l’apprendimenti, dello spazio e dei tempi

delle attività, del monitoraggio, dei risultati raggiunti o dei problemi incontrati. Richiede invece alla

sensibilità, all’empatia all’esperienza da parte dell’adulto delle proprie emozioni e di quelle del

bambino, al senso di protezione e affetto verso di lui di guidare la relazione, l’attenzione che egli si

riserva, il rispetto dei suoi desideri e del suo modo di funzionare.

10
Xaiz C., Micheli E., op.cit., p.6.

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Bibliografia

 Mirenda P.L.,Donnellan A., Issues in curriculum development. In D.J. Cohen, A. Donnellan

e R. Paul (a cura di) , Handbook of autism and pervasive developmental disorders, Wiley,

New York 1987

 Newson E., Newson J., Toys and playthings, Pantheon, New York 1979

 Schopler E., Autismo, in famiglia, Erickson, Trento 1998

 Xaiz C., Micheli E., Gioco e interazione sociale nell’autismo. Cento idee per favorire lo

sviluppo dell’intersoggettività, Erickson, Trento 2001

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