D aisy Jones & The Six: un gruppo rock diventato leggenda. I loro concerti
hanno riempito gli stadi di tutto il mondo, le loro canzoni hanno infiammato le
notti di un’intera generazione. Il loro mito è la favola di un’ascesa folgorante,
dalle prime esibizioni nei locali underground al successo planetario. È l’incarnazione
stessa di un’epoca in cui sesso, droga e rock’n’roll sembravano inscindibili. È la sintesi
di un’alchimia perfetta: quel magnetismo unico tra Billy Dunne – il frontman della band,
carismatico e tormentato – e Daisy Jones, splendida cover girl e cantautrice dal talento
naturale, spirito libero e inafferrabile.
Eppure, il 12 luglio 1979, dopo un concerto memorabile, il gruppo si è sciolto per
sempre. Nessuno ha mai saputo perché… Fino a oggi.
Ex musicisti e manager, giornalisti e famigliari: sono stati tutti testimoni, e adesso, a
quarant’anni di distanza, sono finalmente pronti a raccontare la verità. Ma ognuno ha la
propria versione dei fatti.
Quella che rivive attraverso le loro voci è una storia di ragazzi di vent’anni, amici e
amanti, fratelli e rivali; idoli sul palco, anime fragili a riflettori spenti. Una storia di notti
folli e albe smarrite, sogni troppo grandi da afferrare e demoni troppo forti da
annientare, passioni che accendono il sangue nelle vene e stelle che brillano fino a
incendiare il cielo. Perché una canzone non è mai soltanto una semplice canzone. C’è
la vita, nella musica. Ed è impossibile dire con certezza dove finisca l’una e abbia inizio
l’altra.
L’autrice
DAISY JONES (cantante, Daisy Jones & The Six): Da casa mia potevo
scendere a piedi sullo Strip. Avevo più o meno quattordici anni, ero stufa di
restare sempre in casa, volevo fare qualcosa di diverso. Non ero abbastanza
grande per poter entrare nei bar e nei locali, ma ci andavo lo stesso.
Ricordo che un giorno chiesi una sigaretta a un roadie dei Byrds. Imparai
in fretta che, se non portavi il reggiseno, la gente ti credeva più grande. E
certe volte mi allacciavo una bandana sulla testa come le ragazze più cool.
Volevo mescolarmi alle groupie sui marciapiedi, con le loro canne e le loro
fiaschette e altro ancora.
E così una sera chiesi una siga a quel roadie davanti al Whisky a Go Go.
Era la prima volta che fumavo, ma finsi di essere un’esperta. Trattenni la
tosse e tutto il resto e cominciai a flirtare al meglio delle mie capacità. A
ripensarci adesso, mi sento morire di imbarazzo: chissà quant’ero maldestra.
Ma a un certo punto un tizio si avvicina e dice: «Dobbiamo entrare a
montare gli ampli». E il roadie si volta verso di me e domanda: «Vieni?» E
fu così che entrai per la prima volta al Whisky.
Quella notte restai fuori fino alle tre o alle quattro. Non lo avevo mai fatto
prima. Ma era come se avessi improvvisamente cominciato a esistere. A
essere parte di qualcosa. Quella sera passai da zero a cento in un colpo solo.
Bevvi e fumai tutto quello che mi capitò a tiro.
Rientrai a casa ubriaca e fatta e crollai a letto. Sono abbastanza sicura
che i miei non si fossero neanche accorti della mia assenza.
Il giorno seguente mi alzai, e la sera successiva uscii e rifeci tutto da
capo.
Dopo un po’ i buttafuori dello Strip cominciarono a riconoscermi e
lasciarmi entrare dove volevo. Il Whisky, il London Fog, il Riot House.
Nessuno badava alla mia età.
DAISY : Scoprii sesso e amore sulla mia pelle. Imparai che gli uomini
prendono ciò che vogliono senza sentirsi in debito, e che certe persone
vogliono solo un pezzo di te.
Credo ci fossero certe ragazze (le Plaster Casters, alcune delle GTOs) di
cui forse gli uomini non si approfittavano, non lo so. Ma per me gli inizi
furono difficili.
Persi la verginità con… non importa chi. Era più vecchio di me, un
batterista. Eravamo nell’atrio del Riot House, e lui mi invitò a salire per fare
due tiri. Disse che ero la ragazza dei suoi sogni.
Ero attratta da lui principalmente perché gli piacevo. Desideravo che
qualcuno mi vedesse come se fossi speciale. Avevo un disperato bisogno di
catturare l’interesse di un’altra persona.
Ancora prima di rendermene conto eravamo sul suo letto. Lui mi chiese se
sapessi cosa stavo facendo, e io dissi sì anche se la risposta era no. Ma tutti
non facevano che parlare di amore libero e del fatto che il sesso fosse una
bella cosa. Se eri cool, al passo con i tempi, il sesso ti piaceva.
Per l’intera durata della faccenda fissai il soffitto in attesa che lui finisse.
Sapevo che avrei dovuto dimenarmi, ma rimasi perfettamente immobile,
troppo impaurita per muovermi. L’unico suono nella stanza era lo strofinio
dei nostri vestiti sul copriletto.
Non avevo idea di cosa stessi facendo, o del perché stessi facendo cose
che in realtà non avrei voluto fare. A questo punto della mia vita ho
accumulato un bel po’ di terapia, e quando dico un bel po’ non esagero. E
sono arrivata a capire. A vedere me stessa con chiarezza. Volevo stare con
quegli uomini, con quelle stelle del rock, perché non vedevo altri modi di
essere importante. E immaginavo che per poter restare con loro dovevo
soddisfarli.
Appena finito, lui si alzò. E io mi riabbassai il vestito. «Se vuoi, puoi
pure tornare giù dalle tue amiche», disse lui. In realtà non avevo amiche, ma
capii che mi stava dicendo di togliermi di torno. E così feci.
Lui non mi rivolse mai più la parola.
SIMONE JACKSON (stella della disco): Ricordo che una sera vidi Daisy sulla
pista da ballo del Whisky. Era impossibile non notarla. Attirava lo sguardo
come una calamita. Se il resto del mondo era argento, Daisy era oro.
SIMONE: La portavo con me ovunque andassi. Non avevo mai avuto una
sorella.
Ricordo… era la sera dei disordini sul Sunset Strip, quando tutti
andammo al Pandora’s per protestare contro la polizia e il coprifuoco. Io e
Daisy ci unimmo alla protesta, poi incontrammo un gruppo di attori e
proseguimmo la serata al Barney’s Beanery. Dopodiché andammo da
qualcuno. Daisy si addormentò fuori nel patio, e non rientrammo a casa fino
al pomeriggio successivo. Daisy doveva avere una quindicina d’anni, io
diciannove. Ricordo che continuavo a pensare: Ma sono l’unica a
preoccuparsi per questa ragazza?
Tra l’altro, a quei tempi ci facevamo tutte di amfetamine, Daisy compresa,
malgrado fosse così giovane. Se volevi restare magra e passare la notte
sveglia, qualcosa dovevi prendere. Più che altro benzedrina e bifetamina.
DAISY : Le pillole dietetiche erano una soluzione facile. Così facile che non
parevano nemmeno una scelta. E all’inizio non ti sembrava neanche di essere
fatta. Girava anche molta coca. Se qualcuno ce l’aveva, un tiro lo facevi. La
gente non la considerava neppure una dipendenza. Non proprio.
DAISY : Dopo due settimane che stavo da Simone, un giorno tornai a casa per
prendere qualche altro vestito.
«Sei stata tu a rompere la macchina del caffè stamattina?» chiese mio
padre.
«Papà, non abito più qui», risposi.
DAISY : Le superiori non furono facili. Sapevo che per ottenere un bel voto
dovevi fare quello che ti dicevano. Ma sapevo anche che molte delle cose
che ci dicevano di fare erano stronzate. Ricordo che un giorno ci venne
assegnato un compito sulla scoperta dell’America da parte di Colombo, e io
scrissi che, in realtà, Colombo l’America non l’aveva scoperta. Era la
verità, eppure presi 3.
«Ma ho ragione io!» protestai.
«Sì, ma sei andata fuori tema» rispose la prof.
DAISY : Si dice che io non abbia finito le superiori, ma non è vero. Quando
salii sul palco per ritirare il diploma, c’era Simone ad applaudirmi. Era così
orgogliosa di me. E cominciai a sentirmi fiera anch’io. Quella sera sfilai il
diploma dalla custodia, lo piegai e cominciai a usarlo come segnalibro per
La valle delle bambole.
DAISY : Misi le mie cose in valigia, salii in macchina e tornai a casa dei
miei. Quando entrai dalla porta, mia madre era al telefono, la sigaretta in
bocca.
«Ciao, sono tornata», annunciai.
«Abbiamo comprato un divano nuovo», disse lei, e poi riprese la sua
telefonata.
DAISY : In quella fase avevo un paio di storie, una con Wyatt Stone dei
Breeze. E per Wyatt non provavo le stesse cose che lui provava per me.
Una sera ci stavamo facendo una canna sul tetto del suo condominio, che
dava su Santa Monica Boulevard, e a un certo punto Wyatt mi fa: «Ti amo da
morire, e non capisco perché per te non sia lo stesso».
«Ti amo per quanto sia preparata ad amare chiunque», gli risposi, ed era
la verità. In quel momento non ero disposta a essere vulnerabile con nessuno.
Lo ero già stata troppo quando ero troppo giovane. Non volevo più esserlo.
Quella notte, dopo che Wyatt era andato a letto, io non riuscivo a
prendere sonno. A un certo punto vedo un foglio di carta con una canzone che
lui sta scrivendo, e capisco subito che parla di me. C’è una ragazza dai
capelli rossi, ci sono gli orecchini a cerchio che a quei tempi portavo
sempre.
E il ritornello dice che io ho un cuore grande ma vuoto d’amore. Leggo e
rileggo le parole, pensando: Non è vero. Non mi aveva capita per niente. Ci
rifletto un po’, poi prendo carta e penna e butto giù qualcosa.
«Il tuo ritornello dovrebbe assomigliare a questo» gli dissi il giorno dopo
quando si svegliò. «Big eyes, big soul / Big heart, no control / But all she
got to give is tiny love.» Occhi grandi, grande anima, nessun controllo, ma
tutto quello che ha da dare è poco amore.
«Ripetilo» disse Wyatt afferrando carta e penna.
«È soltanto un esempio» ribattei. «Scrivitela da solo, la tua canzone.»
SIMONE: «Tiny Love» fu il più grande successo dei Breeze. E Wyatt finse di
averla scritta da solo.
BILLY DUNNE (cantante, The Six): Quando papà se ne andò, io avevo sette
anni e Graham cinque. Uno dei miei primi ricordi fu quando ci disse che si
sarebbe trasferito a vivere in Georgia. Gli chiesi se potevo andarci anch’io,
e lui disse no.
Ma ci lasciò una vecchia chitarra Silvertone, e io e Graham litigavamo di
continuo per suonarla. Strimpellare quella chitarra era praticamente la sola
cosa che facevamo. Nessuno ci insegnò, imparammo tutto da soli.
Poi, più avanti negli anni, capitava che certi giorni restassi a scuola fino a
tardi per pasticciare con il pianoforte in sala musica.
Alla fine, avevo circa quindici anni, nostra madre mise da parte i soldi e
ci regalò una vecchia Stratocaster per Natale. Graham ne fece una malattia, e
così gliela lasciai. Io mi tenni la Silvertone.
GRAHAM DUNNE (chitarra solista, The Six): A quel punto avevamo una
chitarra a testa, e così ci mettemmo a scrivere canzoni. Io avrei voluto la
Silvertone, ma capivo che per Billy aveva un significato più profondo, e così
presi la Strat.
BILLY : I miei idoli erano Dylan e Lennon. The Freewheelin’ Bob Dylan e A
Hard Day’s Night. Quei due album erano… Quei due uomini erano le mie
guide.
Nel 1967, i due fratelli, non ancora ventenni, arruolarono Warren Rhodes
alla batteria, Pete Loving al basso e Chuck Williams alla chitarra ritmica.
BILLY : Warren ci piacque subito. E con Pete fu facile: andava alla nostra
stessa scuola, ed era il bassista del gruppo liceale che aveva suonato al
ballo di fine anno. Quando si sciolsero, gli dissi: «Vieni a suonare con noi».
Pete era un tipo che non si faceva problemi di alcun genere: a lui interessava
solo il rock.
Poi arrivò Chuck. Chuck aveva qualche anno più di noi, e veniva da fuori
città. Ma Pete lo conosceva e garantì per lui. Chuck era un po’ un damerino:
mascella squadrata, capello biondo e tutto il resto. Ma lo mettemmo alla
prova e scoprimmo che alla chitarra ritmica era meglio di me.
Io volevo essere il cantante, e adesso potevo farlo con alle spalle una
band di quattro persone.
WARREN : Suonavamo alle feste private e in qualche bar. Andò avanti così
per circa sei mesi, forse un po’ di più. Venivamo pagati in birra. Il che non è
poi così male, quando non hai ancora l’età legale per bere alcolici.
GRAHAM: Non sempre suonavamo nei locali, come dire, più di classe. A
volte scoppiava una rissa per un motivo qualsiasi, e la paura era quella di
essere vittime del fuoco incrociato. Una sera stavamo suonando in un cesso
di posto quando un tizio nelle prime file, forse strafatto di chissà cosa,
comincia a prendere a pugni la gente. Io insisto a farmi i fatti miei, suonando
i miei giri di chitarra, quando a un tratto mi accorgo che il tizio sta puntando
su di me!
E poi succede tutto con la rapidità di un fulmine. Bam, il tizio finisce
lungo disteso, abbattuto da Billy.
Aveva fatto la stessa cosa quando eravamo bambini. Un giorno stavo
andando all’emporio e un ragazzino mi aveva teso un agguato per rubarmi le
poche monete che avevo. Ma Billy era arrivato di corsa in mio aiuto e
l’aveva asfaltato.
WARREN : A quei tempi sapevi che non ti conveniva parlare male di Graham
quando Billy era nei paraggi. Sai, agli inizi Graham non era un granché come
chitarrista. Ricordo che un giorno io e Pete provammo a dire a Billy: «Forse
dovremmo sostituire Graham». E Billy rispose: «Provate a ripeterlo e io e
Graham sostituiremo voi». [Ride] E la cosa non mi dispiacque affatto, devo
dire. D’accordo, mi dissi, non ficcherò più il naso in queste faccende. Non
mi ha mai dato più di tanto fastidio il fatto che Billy e Graham
considerassero i Six il loro gruppo. Mi piaceva essere un batterista
mercenario. Il mio obiettivo era solo quello di divertirmi suonando in una
buona band.
BILLY : Venimmo scelti per suonare a una festa di nozze. Era un’occasione
importante: significava che ci sarebbe stato, che so, un centinaio di persone a
sentirci. All’epoca dovevo avere diciannove anni.
All’audizione per gli sposi ci eravamo presentati con la nostra canzone
migliore. Era un brano lento un po’ folk che avevo scritto io, si intitolava
«Nevermore». Mi vergogno solo a pensarci, davvero. Ai tempi scrivevo
canzoni di protesta, testi sui Nove di Catonsville e roba simile. Mi credevo
Dylan. Ma avevamo ottenuto la serata.
Siamo più o meno a metà concerto quando vedo questo cinquantenne che
balla con una ventenne o giù di lì e penso: Ma non si rende conto che sta
facendo la figura del vecchio maniaco?
E a un tratto riconosco mio padre.
GRAHAM: Nostro padre era lì con una ragazza più o meno della nostra età.
Credo di essermene reso conto prima ancora di Billy. L’avevo riconosciuto
dalle foto che nostra madre teneva in una scatola da scarpe sotto il letto.
BILLY : Non ci potevo credere. A quel punto erano dieci anni che se n’era
andato. Per quanto ne sapevamo, viveva in Georgia. E invece quello stronzo
era lì, nel bel mezzo della pista da ballo, ignaro che sul palco c’erano i suoi
figli. Era passato talmente tanto tempo dall’ultima volta che ci aveva visti
che non ci aveva riconosciuti. Né di faccia, né sentendoci cantare. Niente.
Quando finimmo di suonare, lo osservai scendere dalla pista da ballo
senza degnarci di un’occhiata. Voglio dire, devi essere un vero psicopatico
per non riconoscere i tuoi figli quando te li ritrovi davanti. Com’è possibile?
In base alla mia esperienza, a un certo punto entra in gioco la biologia.
Incontri il ragazzo, capisci che è tuo figlio e gli vuoi bene. È così che
funziona.
GRAHAM: Tra l’altro, sembrava uno stronzo ubriacone. Meglio perderlo che
trovarlo.
BILLY : La festa era finita, gli altri stavano mettendo via gli strumenti e io
avevo bevuto qualche birra di troppo… e a un certo punto vedo questa
cameriera nel bar dell’albergo. [Sorride] Era bellissima. Capelli scuri
lunghi fino alla vita, grandi occhi castani. E io ho un debole per gli occhi
castani. Ricordo che indossava un ridottissimo vestito azzurro. Era piccola,
e anche questo mi piaceva.
Ero nell’atrio dell’albergo, diretto verso il furgone, e lei stava servendo
un cliente al bar. Bastava guardarla per capire che era un tipo che non si
faceva mettere i piedi in testa da nessuno.
CAMILA DUNNE (moglie di Billy Dunne): Santo cielo, se era bello… Snello
ma muscoloso, che è sempre stata la mia combinazione preferita. E aveva
queste ciglia foltissime. E una gran sicurezza di sé. E un enorme sorriso.
Quando l’ho visto in quell’atrio, ricordo di avere pensato: Perché non posso
conoscere uno così?
BILLY : Andai dritto da lei in quel bar, reggendo l’ampli con una mano e la
chitarra con l’altra. «Signorina», le dissi, «gradirei avere il suo numero di
telefono, se non le dispiace.»
Lei era alla cassa, in piedi con una mano su un fianco. Rise e mi scoccò
una sorta di occhiata di traverso. Non ricordo le sue parole precise, ma disse
qualcosa come: «E se non fossi il mio tipo?»
Mi sporsi sul banco e risposi: «Mi chiamo Billy Dunne e sono il cantante
dei Dunne Brothers. Se mi dai il tuo numero, ti scrivo una canzone».
Quello la colpì. Non funziona con tutte, ma con le migliori di solito sì.
CAMILA : Tornai a casa e dissi a mia madre che avevo conosciuto qualcuno.
«Un bravo ragazzo?» chiese lei.
«Questo non lo so» risposi. [Ride] I bravi ragazzi non sono mai stati il
mio genere.
GRAHAM: Quando Camila iniziò a uscire insieme a noi, confesso che non
credevo che sarebbe durata più delle altre. Ma avrei dovuto capire che lei
era diversa. Per dire, la prima volta che la vidi fu a una nostra serata, e lei si
presentò con una maglietta di Tommy James. Sapeva distinguere la buona
musica.
BILLY : Ero già stato infatuato, e l’avevo chiamato amore. Ma con [Camila]
era qualcosa di completamente diverso. Con lei… il mondo aveva
finalmente un senso. Riusciva addirittura a farmi apprezzare me stesso.
Veniva ad assistere alle prove, ascoltava le mie canzoni e mi faceva
osservazioni utilissime. E in lei c’era una calma che… che nessun altro
possedeva. Quando ero con lei, sentivo che sarebbe andato tutto bene. Era
come seguire la stella polare.
Sai, io penso che Camila fosse nata soddisfatta. Non ce l’aveva con il
mondo come succede ad alcuni di noi. Io dicevo sempre che ero nato già a
pezzi. Ma lei era nata tutta intera. È da lì che viene il testo di «Born
Broken».
CAMILA : Quando presentai Billy ai miei genitori, ero un po’ nervosa. Hai
una sola possibilità per fare buona impressione, specialmente con i miei. Lo
vestii io stessa da capo a piedi, fino a scegliergli le calze. Gli feci mettere
l’unica cravatta che aveva.
I miei se ne innamorarono. Dissero che era affascinante. Ma mia madre
non era tanto tranquilla all’idea che mi fidassi di un musicista.
BILLY : Pete era l’unico che sembrava capire perché dovessi avere una
ragazza fissa. Un giorno stavamo preparando la roba per uno spettacolo e
Chuck disse: «Dille che non sei il tipo da accontentarsi di una sola. Le
ragazze lo capiscono». [Ride] Con Camila non avrebbe funzionato.
WARREN : Chuck era forte. Andava dritto al sodo. Aveva l’aria di uno che
non avesse mai avuto un solo pensiero interessante in tutta la sua vita, ma era
capace di sorprenderti. Fu lui che mi fece conoscere gli Status Quo. Li
ascolto ancora adesso.
Il 1° dicembre 1969, il Selective Service System degli Stati Uniti indisse
una lotteria per determinare l’ordine di leva del 1970. Billy e Graham
Dunne, nati entrambi in dicembre, ottennero numeri insolitamente alti.
Warren sfiorò di poco l’esclusione. Pete Loving finì a metà. Ma a Chuck
Williams, nato nell’aprile del 1949, venne assegnato il numero 2.
EDDIE LOVING (chitarra ritmica, The Six): Andavo d’accordo con tutti, ma
capivo che Billy e Graham volevano che seguissi lo stampino imposto da
loro, capisci? Suona questo, fai quello.
BILLY : Chuck era morto in Cambogia. Era laggiù da meno di sei mesi, credo.
A volte ti domandi perché una cosa del genere non sia successa a te, cosa
ti renda così speciale da risparmiarti la vita. Il mondo ha poco senso.
KAREN KAREN (tastiere, The Six): La prima volta che incontrai i Dunne
Brothers, Graham mi chiese come mi chiamavo.
«Karen», risposi.
«E di cognome?» fece lui.
Ma io credevo che mi avesse chiesto di nuovo il nome, come se la prima
volta non mi avesse sentito, e così ripetei: «Karen».
Lui si mise a ridere. «Karen Karen?» disse.
Da quel momento in poi cominciarono tutti a chiamarmi Karen Karen. A
proposito, il mio cognome è Sirko. Ma Karen Karen mi rimase appiccicato.
KAREN : Lasciai i Winters perché ero stufa che tutti quelli del gruppo
continuassero a provarci. Io volevo solo essere una musicista.
E Camila mi era simpatica. A volte, quando veniva a trovare Billy dopo
un concerto, passava il resto della serata con noi. Mi piaceva che Billy la
chiamasse o fosse sempre al telefono con lei. In generale, con loro si
respirava un’aria migliore.
CAMILA : Quando il gruppo era in tournée con i Winters, nei fine settimana li
raggiungevo dove suonavano e assistevo al concerto da dietro le quinte. Mi
facevo magari quattro ore di macchina, arrivavo al locale (di solito un lurido
stanzone pieno di gomme masticate e appiccicate dappertutto e pavimenti
collosi), davo il mio nome all’ingresso, venivo accompagnata sul retro, e
tutt’a un tratto ero una del gruppo.
Al mio arrivo, Graham, Eddie e tutti gli altri gridavano: «Camila!» E
Billy mi veniva incontro e mi abbracciava. E quando Karen si unì alla
band… fu il tassello finale. Questo è il mio posto, pensai.
GRAHAM: Karen Karen fu un grande acquisto. Con lei migliorò tutto. Ed era
anche molto bella. Oltre a essere piena di talento, voglio dire. Ho sempre
pensato che assomigliasse un po’ ad Ali MacGraw.
KAREN : Quando ho detto che apprezzavo il fatto che i membri maschili dei
Dunne Brothers non ci provassero con me, non mi riferivo a Graham Dunne.
Ma sapevo di piacergli tanto per il mio talento quanto per il mio aspetto,
sicché la cosa non mi infastidiva più di tanto. Anzi, la trovavo dolce. Oltre
tutto, Graham era sexy. Specialmente negli anni Settanta.
Personalmente, non ho mai capito perché Billy fosse considerato il sex
symbol del gruppo. Certo, aveva capelli scuri, occhi castani, zigomi alti e
tutto il resto. Ma a me un uomo piace quando è meno belloccio. Mi piace
quando ha un aspetto pericoloso, però in realtà è dolcissimo. E Graham era
tutto questo. Spalle larghe, petto villoso, capelli castano chiaro. Era
attraente, ma non troppo levigato.
Certo, Billy sapeva riempire un paio di jeans.
BILLY : Karen era semplicemente una gran musicista. Non c’era nient’altro
che contasse. Dico sempre che non mi importa se sei uomo, donna, bianco,
nero, gay, etero o qualsiasi cosa ci sia in mezzo: se suoni bene, suoni bene e
basta. La musica è una grande livellatrice, in questo senso.
KAREN : Gli uomini sono spesso convinti di meritare un distintivo per il solo
fatto di trattare noi donne come esseri umani.
BILLY : Certe sere Camila usciva con noi, ma il più delle volte restava a casa
e aspettava che mi facessi vivo io. All’epoca abitava ancora con i suoi, e io
la chiamavo ogni sera dopo un concerto in questo o quel posto.
KAREN : Poche settimane dopo che mi ero unita al gruppo, un bel giorno
dissi: «Abbiamo bisogno di un nuovo nome». Dunne Brothers non aveva più
senso.
BILLY : Avevamo un nostro pubblico, con quel nome. Non volevo cambiarlo.
WARREN : Uno dei motivi per cui il nome era perfetto era l’assonanza con
«sex». Ma non mi pare che ne abbiamo mai parlato. Era così ovvio che non
c’era bisogno di scendere nei dettagli.
GRAHAM: Il fatto che fosse molto simile a «sex» era una componente
fondamentale.
BILLY : Quella sera a Filadelfia ci esibimmo come The Six, e subito ci venne
offerta un’altra serata in città. Poi un’altra a Harrisburg. E un’altra ad
Allentown. Venimmo scritturati per il concerto di Capodanno in un bar di
Hartford.
Non guadagnavamo molto, ma ogni volta che tornavo a casa spendevo
tutto per uscire a cena con Camila. Andavamo in una pizzeria a pochi isolati
da casa dei suoi, o magari mi facevo prestare un po’ di soldi da Graham o
Warren per portarla in un bel ristorante. Lei continuava a ripetermi di
piantarla. «Se avessi voluto mettermi con un riccone, non avrei dato il mio
numero di telefono a un cantante che aveva appena suonato a un
matrimonio», diceva.
CAMILA : Billy aveva carisma, e io avevo un debole per quel genere di cose.
L’avevo sempre avuto. L’aria intensa e meditabonda. Molte delle mie amiche
erano alla ricerca di ragazzi che potessero permettersi un bell’anello. Io
invece volevo qualcuno di affascinante.
ROD REYES (manager, The Six): Billy Dunne era una rockstar. Lo si vedeva
subito. Era sicuro di sé, sapeva a chi rivolgersi tra il pubblico. Nei suoi
pezzi c’era un’emozione speciale.
Certi individui hanno una qualità unica. Se prendi nove uomini più Mick
Jagger e li metti in fila, anche uno che non ha mai sentito parlare dei Rolling
Stones sarebbe in grado di indicare Jagger e dire: «La rockstar è lui».
Billy aveva quel dono. E il gruppo aveva un bel sound.
ROD : Quando cominciai a lavorare con loro, portai alcune idee. Alcune
furono ben accolte, altre… un po’ meno.
GRAHAM: Rod mi disse che avrei dovuto dimezzare i miei assolo. Che erano
interessanti per chi amava il lato tecnico della chitarra, ma noiosi per
chiunque altro.
«Perché dovrei suonare per gente a cui non interessano i begli assolo?»
gli chiesi.
«Se vuoi diventare un grande, devi esserlo per tutti», mi rispose.
BILLY : Rod mi disse di smetterla di scrivere cose di cui non sapevo nulla.
«Non devi reinventare la ruota», disse. «Scrivi della tua ragazza.» In
assoluto il miglior consiglio professionale che abbia avuto in tutta la mia
carriera.
GRAHAM: Una sera, io e Billy stavamo per partire con il furgone, diretti nel
Tennessee, nel Kentucky o sa Dio dove. Camila era venuta a casa a salutarci.
Quando Rod accostò il furgone al marciapiede, Billy le stava dando un
bacio.
Le scostò i capelli dal volto e le baciò la fronte. Ma non era neanche un
vero bacio. Le posò semplicemente le labbra sulla pelle. In quel momento
pensai: Io non ho mai voluto bene a nessuno in questo modo.
BILLY : Scrissi «Señora» per Camila, e devo dire che piacque subito molto.
Presto, ai nostri migliori concerti la gente cominciò ad alzarsi dalle sedie, a
ballare, a cantare in coro.
CAMILA : Non avevo il cuore di dirgli che tecnicamente ero una «señorita».
Insomma, bisogna saper scegliere le proprie battaglie. E poi, dopo che me la
fece ascoltare… «Let me carry you / On my back / The road looks long /
And the night looks black / But the two of us are bold explorers / Me and
my gold señora.» Lascia che ti porti sulle spalle, la strada sembra lunga e la
notte buia, ma siamo due audaci esploratori, io e la mia señora d’oro.
Mi piacque subito da morire. Me ne innamorai.
ROD : A quel punto, i miei migliori contatti erano tutti a Los Angeles. Un bel
giorno, mi sembra fosse il ’72, dissi al gruppo: «Dobbiamo andare a ovest».
BILLY : Andai a casa dei genitori di Camila e la feci sedere sul bordo del
letto. «Vuoi venire con noi?» le chiesi.
«E cosa farei?» domandò lei.
«Non lo so», risposi.
«Vuoi semplicemente che ti segua ovunque vai?»
«Immagino di sì.»
Camila si prese un istante di tempo, poi disse: «No, grazie».
Le chiesi se potevamo stare insieme lo stesso, e lei ribatté: «Tornerai?»
Le dissi che non lo sapevo.
«In tal caso, no», fece lei. E mi lasciò.
CAMILA : Ero furiosa. Perché se ne stava andando. E così esplosi. Non
sapevo come altro reagire.
BILLY : Cosa avrei potuto dire? Lei non voleva venire, e io… io non potevo
restare.
BILLY : Camila aveva fatto la sua scelta, e c’era una parte di me che pensava:
D’accordo, sarò single. Vediamo se le piacerà.
ROD : Non erano tanto le donne a preoccuparmi, nel suo caso. Anche se ce
n’erano in abbondanza. Il problema era che, dopo ogni concerto, Billy si
stordiva al punto che dovevo svegliarlo a ceffoni il pomeriggio successivo.
CAMILA : Senza di lui stavo fisicamente male. E mi sarei… presa a calci.
Ogni giorno mi svegliavo in lacrime. Mia madre continuava a dirmi di
raggiungerlo. Di rimangiarmi tutto. Ma avevo la sensazione che fosse ormai
troppo tardi. Era andato avanti senza di me. Per poter realizzare i suoi sogni.
Com’era giusto che fosse.
EDDIE: L.A. era uno sballo. Ovunque ti girassi, eri circondato da gente che
amava suonare e divertirsi. Perché cavolo non siamo venuti prima? mi
chiesi. Le ragazze erano bellissime. Le droghe costavano poco.
GRAHAM: Cazzo, com’era sexy con quelle sue maglie a collo alto…
GRAHAM: «Farther from You» era una gran canzone. E si vedeva che Billy la
sentiva nel profondo. Billy non riusciva a nascondere le sue emozioni.
Capivi subito quando era felice e quando era triste.
Quella sera, durante il concerto al Troubadour, guardai Karen e la vidi
immersa nella musica, hai presente? Poi mi voltai verso Billy, che stava
cantando con tutta la passione che aveva in corpo, e pensai: Questo è il
miglior concerto che abbiamo fatto finora.
ROD : Vidi Teddy Price che ascoltava in fondo alla sala. Non lo conoscevo
ancora, ma sapevo che faceva il produttore per la Runner Records. Avevamo
alcuni amici in comune. Dopo il concerto mi raggiunse e disse: «Il mio
assistente aveva sentito il gruppo da P.J.’s. Gli avevo promesso che sarei
venuto ad ascoltarli».
WARREN : Teddy Price era brutto come il peccato. Una faccia che solo una
madre sarebbe riuscita ad amare. [Ride] Sto scherzando. Brutto lo era, però.
Ma mi piaceva il fatto che sembrava fregarsene.
KAREN : È la fortuna dell’essere un uomo: una brutta faccia non è la fine del
mondo.
BILLY : Gli strinsi la mano, e lui mi chiese se avessi altre canzoni come
quelle che aveva sentito. «Sì, signore», risposi.
«E come vedi questo gruppo di qui a cinque, dieci anni?» domandò.
«Come la band più famosa del mondo», risposi.
WARREN : Quella sera firmai le mie prime due tette. Mi si avvicina questa
tipa, si sbottona la camicia e dice: «Firmami». E io l’ho fatto. Lascia che te
lo dica: è un ricordo che ti porti dietro per il resto della vita.
CAMILA : Ero al settimo cielo per lui, se era vero. Ci aveva lavorato così
tanto.
Decisa a farsi un nome fuori dal giro del Sunset Strip, Daisy Jones
cominciò a scrivere canzoni. Armata solo di carta e penna (e priva di
qualsivoglia preparazione musicale) creò un canzoniere che presto incluse
più di un centinaio di abbozzi di brani.
Una sera dell’estate del ’72, Daisy andò a sentire i Mi Vida all’Ash
Grove. In quel periodo aveva una relazione con il cantante del gruppo, Jim
Blades. Sul finale del concerto, Jim la invitò sul palco per cantare una
versione di «Son of a Preacher Man» insieme al gruppo.
SIMONE: Daisy si era lasciata crescere i capelli e non aveva più il caschetto.
Portava sempre orecchini a cerchio e girava scalza. Era molto cool.
Quella sera all’Ash Grove eravamo sedute insieme in fondo alla sala. Jim
continuava a chiederle di salire sul palco, e lei continuava a dire di no. Ma
lui non si arrese, e alla fine Daisy accettò.
DAISY : Era una sensazione surreale. Tutta quella gente che mi guardava,
aspettandosi che succedesse qualcosa.
SIMONE: All’inizio era timida, il che mi sorprese. Poi però, a mano a mano
che la canzone andava avanti, la sentii sempre più coinvolta. Finché a un
tratto, più o meno sul secondo ritornello, si lasciò davvero andare.
Sorrideva. Era felice, su quel palco. E il pubblico non riusciva a staccarle
gli occhi di dosso. Alla fine, Jim smise praticamente di cantare e lasciò che
proseguisse da sola. E lei mandò tutti in visibilio.
JIM BLADES (cantante dei Mi Vida): Daisy aveva una voce incredibile. Era
rauca ma non stridula. Sembrava quasi che in gola avesse dei sassolini
attraverso i quali dovevano passare le note. Grazie a questa qualità, tutto ciò
che cantava diventava complesso, interessante e perfino imprevedibile.
Personalmente, non ho mai avuto una gran voce. Se le tue canzoni sono
buone, per fare il cantante non è necessario che tu abbia una gran voce. Ma
Daisy aveva il pacchetto completo, altroché.
Cantava sempre dal profondo della pancia. Ci vogliono anni per imparare
una cosa simile, ma Daisy lo faceva con naturalezza, sia che fosse seduta in
macchina al tuo fianco o che stesse piegando il bucato. Ogni volta che
suonavamo, cercavo di farla salire sul palco insieme a me, ma lei diceva
sempre di no. Fino a quella sera all’Ash Grove.
Penso che alla fine accettò di cantare davanti a un pubblico proprio per il
suo gran desiderio di diventare autrice. «La cosa migliore che possa capitare
alle tue canzoni è che le canti tu», le dissi. Il suo punto di forza era il fatto
che la gente non riusciva a non guardarla. E io le consigliai di sfruttarlo.
DAISY : Volevo far sentire le mie canzoni, e così iniziai a suonare qua e là nei
locali di L.A. Cantavo qualche brano, mi esibivo insieme a Simone.
SIMONE: Quando avevo conosciuto Daisy, ero io la più grande, la più saggia,
la più stilosa delle due. Ma all’inizio dei Settanta, Daisy mi aveva
surclassata.
Ricordo che un giorno ero nella sua stanza al Marmont, e a un certo punto
guardo nell’armadio a muro e vedo un assortimento di scialli e tutine firmate
Halston. «Quando li hai comprati, tutti questi Halston?» le chiesi.
«Oh, me li hanno mandati loro», rispose.
«Loro chi?» domandai.
«Qualcuno di Halston», fece lei.
E ai tempi non aveva ancora inciso niente. Né un album né un singolo. Ma
era su tutte le riviste, fotografata insieme alle rockstar. Era adorata da tutti.
Qualche Halston, però, me lo portai via.
DAISY : Andai agli studi Larrabee Sound per registrare il demo che voleva
Hank. Mi sembra fosse una canzone di Jackson Browne. Hank avrebbe
voluto che la cantassi in un tono molto dolce, ma io non la sentivo così. La
cantai come volevo io. Un po’ ruvida, un po’ ansimante. «Possiamo fare
anche una versione in cui vai liscia, magari in una tonalità più alta?» chiese
Hank.
«No», risposi. Poi presi la borsa e me ne andai.
SIMONE: Daisy non attribuisce alcun valore a tutto quello che le riesce
facile. Soldi, bellezza, perfino la voce. Quello che voleva era che la gente la
ascoltasse.
SIMONE: Si ubriacò nella vasca da bagno. L’unica cosa che potevo fare era
sollevarla di peso e metterla a letto una volta che avesse perso i sensi. E fu
quello che feci.
SIMONE: Daisy era una Carole King, una Laura Nyro. Che cavolo, avrebbe
potuto essere una Joni Mitchell. E loro volevano ridurla a un’Olivia
Newton-John.
BILLY : Era meraviglioso riavere Camila con me. Tenerla tra le braccia mi
dava una sensazione fantastica. Ci saremmo sposati, ero a L.A. e stavo
facendo un disco con mio fratello, e sembrava tutto perfetto.
WARREN : Graham e Karen avevano una stanza a testa vicino alla cucina.
Eddie e Pete si presero il garage. Billy e Camila vollero il sottotetto. E così
l’unica camera con bagno andò a me.
CAMILA : Tè freddo, tre fette di limone. Acqua tonica, due fette di lime.
Martini, due olive e una cipollina. Sono esigente, in fatto di drink. [Ride]
Sono esigente su un sacco di cose.
KAREN : Tutti pensano che Camila seguisse Billy ovunque andasse, che si
prendesse cura di lui, ma non era così. Camila era una forza della natura.
Otteneva sempre quello che voleva. O quasi sempre. Era persuasiva e un po’
prepotente, anche se in realtà non te ne accorgevi mai. Ma aveva le sue
opinioni, e sapeva come farsi valere.
Ricordo una mattina, doveva essere quasi mezzogiorno quando lei e Billy
scesero in salotto. Eravamo tutti rilassati, ancora con addosso i jeans della
sera prima. Ci saremmo dovuti presentare in studio solo molto più tardi.
«Avete voglia di una colazione in grande stile?» chiese Camila. «Pancake,
waffle, bacon, uova e tutto il resto?»
Ma Billy aveva sentito che io e Graham stavamo per andare a prendere un
hamburger e voleva venire con noi.
«Ve li faccio io, gli hamburger», disse lei.
D’accordo, dicemmo. Lei incaricò Billy di comprare la trita per gli
hamburger e bacon, e uova per il giorno dopo.
Poi accese la griglia, ma dopo un po’ rientrò per dirci che la carne che
aveva preso Billy non aveva un bell’aspetto, e che invece aveva preparato il
bacon. E già che c’era aveva messo in padella qualche uovo e, visto che
aveva tirato fuori le uova, aveva fatto anche i pancake.
Così, prima che ce rendessimo conto, era l’una e mezzo, stavamo
consumando un brunch e a tavola non c’era l’ombra di un hamburger. Era
tutto buonissimo, e nessuno tranne me si rese conto di quello che Camila
aveva fatto.
Era l’aspetto di lei che più amavo. Era tutt’altro che un timido fiorellino
di campo. Ma dovevi prestarle attenzione per capirlo.
EDDIE: Noi eravamo quasi sempre fuori, e così davo per scontato che
Camila avrebbe dato una mano con le faccende di casa, non so se mi spiego.
Un giorno le dissi: «Magari, mentre siamo fuori, potresti fare un po’
d’ordine».
WARREN : Fu allora che mi feci crescere i baffi. Certi uomini non stanno
bene con i baffi, ma io sì. Cominciai a lasciarmeli crescere mentre
incidevamo il primo album, e da allora non li ho più tagliati.
O meglio, una volta l’ho fatto, ma sembravo un gatto scuoiato, sicché me
li sono fatti ricrescere.
BILLY : Volevo assicurarmi che il nostro fosse il miglior album mai uscito
dalla notte dei tempi. [Ride] Diciamo che allora non ero molto bravo a
vedere le cose nella giusta prospettiva.
ARTIE SNYDER (tecnico del suono per The Six, SevenEightNine e Aurora):
Teddy considerava Billy il vero talento del gruppo. Non me lo disse mai
esplicitamente, ma nel corso degli anni io e lui abbiamo passato molto tempo
insieme nella stanza dei bottoni. E certe sere, dopo che i ragazzi del gruppo
erano tornati a casa, andavamo a bere qualcosa o a mangiare un hamburger.
Teddy era uno a cui piaceva mangiare. «Andiamo a farci un drink», gli
proponevi, e lui ribatteva: «Andiamo a farci una bistecca». Quello che
voglio dire è che lo conoscevo bene.
E lui in Billy aveva visto qualcosa. Gli chiedeva la sua opinione senza
mai chiederla agli altri; quando si rivolgeva al gruppo, era lui che guardava.
Non mi fraintendere, erano tutti ragazzi di talento. Ricordo che un giorno
usai una delle tracce di Karen per spiegare a un altro tastierista cos’avrebbe
dovuto fare. E un’altra volta sentii Teddy che diceva a un collega produttore
che un giorno Pete e Warren sarebbero diventati la miglior sezione ritmica
rock in circolazione. Lui credeva in tutti loro, ma fu su Billy che si
concentrò.
Una sera, mentre tornavamo alle rispettive auto, mi disse che Billy era
quello che possedeva ciò che non si può insegnare. E penso che sia vero. Lo
penso ancora oggi.
GRAHAM: Billy continuava a interrogarsi se non fosse il caso di fare un’altra
versione o giocare di più con il mixaggio. Teddy, invece, ci ripeteva di
continuo che voleva lasciare tutto il più grezzo possibile. Spendeva un sacco
di energie a cercare di fare in modo che Billy fosse semplicemente Billy.
BILLY : «Il vostro sound è una sensazione», mi disse un giorno Teddy. «Tutto
qui. Ed è infinitamente superiore a qualsiasi altra cosa.»
Ricordo di avergli chiesto: «Che sensazione?»
Le mie erano canzoni d’amore. Le cantavo con la voce un po’ rauca;
sotto, le chitarre ci davano dentro e i giri di basso erano molto blues. Mi
aspettavo che Teddy dicesse «come abbordare una ragazza al bar», «correre
in macchina con la capote abbassata» o cose simili. Un’immagine di
divertimento, magari, con un sottofondo di pericolo.
Invece lui rispose: «È qualcosa di ineffabile. Se potessi definirlo, non me
ne farei nulla».
Non l’ho mai dimenticato.
KAREN : Era una gran figata incidere un album in un vero studio. C’erano
tecnici che ti accordavano gli strumenti, gente che andava a prenderti il cibo
o una bustina d’erba. Ogni giorno c’erano un buffet per il pranzo e un altro
per la cena.
Un giorno stavamo registrando e a un certo punto arriva un tizio con una
decina di biscotti alle gocce di cioccolato. «Ne abbiamo già abbastanza, di
biscotti», dico io.
«Non come questi», fa lui. Erano corretti all’erba. Non so neanche chi li
avesse mandati.
EDDIE: «Just One More» venne scritta e incisa in un giorno, dopo che
qualcuno ci fece avere un vassoio di biscotti all’erba. La scrisse quasi tutta
Billy con il mio aiuto, e sembra che parli di una ragazza, del fatto di volere
andare a letto con lei un’ultima volta prima di rimettersi in viaggio. Ma in
realtà parla di quei biscotti, del fatto che li avessimo mangiati tutti e ne
volessimo ancora.
WARREN : Io ne mangiai tre e ne nascosi uno per dopo; così, quando Billy si
mise a scrivere la canzone sul fatto di volerne un altro, pensai: Cazzo, si è
accorto che ne ho nascosto uno!
BILLY : Avevo quella sensazione che provi quando… quando sai di vivere un
momento della tua vita che non dimenticherai mai.
BILLY : «When the Sun Shines on You» arriva alla fine. Guardo Rich. Anche
Graham e Teddy lo stanno fissando: abbiamo tutti gli occhi puntati su di lui.
E Rich fa un sorrisetto e dice: «Avete fatto un grande album».
E quando una cosa piaceva a Rich, era fatta. Fu come se l’ultimo
frammento di me che era ancora ancorato a terra si fosse improvvisamente
staccato, come se qualcuno avesse strappato la cordicella e io stessi
volando.
BILLY : Stava succedendo tutto molto in fretta, e io… Per anni sei uno sfigato,
e un bel giorno non lo sei più. Quando cominci a godere degli effetti del vero
successo, a vivere nel lusso e tutto il resto, devi fermarti e chiederti se lo
meriti davvero.
Chiunque non sia uno stronzo integrale risponderebbe di no. Perché è
vero, non te lo meriti. Quando quelli con cui sei cresciuto devono fare tre
lavori per sbarcare il lunario. O non sono mai tornati da oltreoceano, come il
nostro Chuck. Ovvio che non te lo meriti. E così devi impegnarti per
riconciliare le due cose. Avere tutto e non meritarlo. Oppure fai quello che
ho fatto io: ti rifiuti di pensarci.
Per questo non vedevo l’ora di andare in tournée. Quando sei in tournée,
non devi affrontare la vita reale. È un po’ come se la mettessi in pausa.
GRAHAM: Warren aveva qualche luce natalizia nella sua attrezzatura, perché
gli piaceva illuminare i suoi tom. Gli chiesi il permesso di usarle, e lui
provò a raccontarmi delle scemenze sul fatto che le aveva già imballate.
«Warren», gli dissi, «dammi quelle luci prima che racconti a tutti che razza
di stronzo sei.»
WARREN : Non era colpa mia se Billy e Camila avevano deciso di sposarsi a
notte fonda.
KAREN : Alla fine l’effetto fu strafigo. Quasi il posto in cui uno avrebbe
voluto sposarsi se avesse avuto tutto il tempo di programmarlo.
EDDIE: Avevo ancora uno scatto nella mia Polaroid, e così feci una foto. Ma,
senza volerlo, tagliai via le teste. Si vedono solo le gambe di Camila e i
capelli che le scendono sulla schiena. E una parte del petto di Billy. Nella
foto si tengono per mano, l’uno di fronte all’altra. Ero incavolatissimo per
avere tagliato via le teste. Ma ero anche sballato di brutto.
GRAHAM: Camila disse qualcosa sul fatto che avrebbe amato Billy in ogni
caso, qualsiasi cosa avesse fatto, e che con il bambino formavano una
squadra. Ma lo disse come se stesse parlando di una vera squadra sportiva.
Mi girai verso Pete e vidi che piangeva. Cercava di nasconderlo, però si
vedeva lontano un chilometro: aveva le lacrime agli occhi. Gli rivolsi
un’occhiata, come a dire: Sul serio? E lui scosse le spalle.
BILLY : Camila, ricordo le sue precise parole, disse: «Siamo una squadra,
adesso e per sempre. E tiferò sempre per noi». Ma nella mia testa sentivo
questa vocina ripetermi che non era giusto che diventassi padre. Non
riuscivo a farla tacere, era come… un’eco continua nella testa. Manderai
tutto a puttane. Manderai tutto a puttane.
GRAHAM: Insomma, sei cresciuto senza un padre, non hai la minima idea di
cosa dovresti fare e non hai nessuno a cui chiederlo.
Lo capii solo più tardi, con i miei figli. È come essere il primo della fila
e doversi fare strada con un machete. Bastava la parola papà, questa parola
che per noi equivaleva a dire stronzo, parassita, alcolizzato.
All’improvviso descriveva anche Billy. E lui doveva trovare il modo di
adattarla a se stesso. Io, se non altro, quando ci arrivai avevo l’esempio di
Billy a cui fare riferimento. Ma allora Billy non aveva nessuno.
KAREN : Si baciarono, e mi accorsi che Camila aveva gli occhi lucidi. Billy
la prese in braccio e la portò di corsa su per le scale tra le risate di tutti. Il
pastore lo pagai io, visto che Billy e Camila se n’erano scordati.
BILLY : Ricordo che ero a letto con Camila, subito dopo la cerimonia, e non
vedevo l’ora di andarmene. Non vedevo l’ora di salire sul pullman, perché
non… non riuscivo a guardarla. Sapevo che vedendomi bene in faccia
avrebbe capito cosa mi passava per la testa.
Non ero bravo a mentirle. Non so se sia un pregio o un difetto. La gente
pensa che mentire sia un male, ma… non lo so. A volte le menzogne
proteggono gli altri.
Rimasi disteso mentre sorgeva il sole e, quando sentii arrivare il pullman,
balzai giù dal letto e la salutai con un bacio.
CAMILA : Non volevo che se ne andasse. Ma al tempo stesso non gli avrei
mai permesso di restare.
GRAHAM: Era difficile capire cosa gli passasse per la testa, quel mattino sul
pullman.
EDDIE: Il primo concerto della tournée non andò bene, per nessun motivo
particolare; semplicemente, non eravamo in sintonia come avremmo dovuto.
Billy invertì due versi di «Born Broken», e Graham entrò in ritardo sul
bridge.
BILLY : Persi i sensi intorno alle tre o alle quattro del mattino, mi pare.
Quando li ripresi, ero nella vasca da bagno… e non ero solo. [Esita] C’era
una bionda distesa sopra di me. Sono imbarazzatissimo a dirlo, ma è la
verità.
Mi alzai e vomitai.
GRAHAM: Quando mi svegliai, vidi Billy che fumava una sigaretta nel
parcheggio. Camminava avanti e indietro e sembrava parlasse da solo, come
se fosse uscito di testa. Mi avvicinai e lui disse: «Ho combinato un casino.
Ho rovinato tutto».
Sapevo già cos’era successo. Avevo cercato di impedirlo, ma lui non me
l’aveva permesso. «Non farlo più, fratello», ribattei. «Tutto qui. Non farlo
più.»
Lui annuì e disse: «Okay».
BILLY : Chiamai Camila solo per sentire la sua voce. Sapevo che non potevo
confessarle cosa avevo combinato. Mi dissi che non l’avrei più fatto, e che
l’importante era quello.
CAMILA : Mi stai chiedendo se sapevo che mi sarebbe stato infedele, come
se fosse qualcosa che sai o non sai. Come se fosse bianco o nero. Ma non è
così. Ne hai il sospetto, poi ti passa. Poi torna di nuovo. Poi ti dai della
pazza. Poi ti domandi se la fedeltà è davvero la cosa più importante.
Mettiamola così: ho visto un sacco di matrimoni in cui tutti sono fedeli e
nessuno è felice.
BILLY : Alla fine della telefonata, Camila disse che doveva andare. «Okay»,
risposi, e ricordo che lei disse: «Okay, tesoro, noi ti amiamo».
«Noi?» domandai.
«Io e il piccolo», rispose lei.
E quello fu… Probabilmente riagganciai prima ancora di riuscire a
salutarla.
BILLY : Bere, stonarsi, scopare: è sempre la stessa cosa. Ci sono questi limiti
che non intendi oltrepassare, ma poi lo fai. E a un tratto hai la
pericolosissima consapevolezza che puoi infrangere le regole senza che il
mondo cessi all’istante di esistere.
Hai preso una linea di confine bella spessa e nera e l’hai resa grigia. E
ogni volta che la oltrepassi diventa sempre più chiara, finché un bel giorno ti
guardi intorno e pensi: Mi sembra che un giorno qui ci fosse una linea di
confine.
KAREN : Gliel’avevo detto, di non venire. Ma lei non mi aveva dato ascolto.
Voleva fare una sorpresa a Billy.
Si cominciava a vedere la pancia. Era al quinto mese o giù di lì.
Indossava un maxivestito molto largo, e portava i capelli raccolti
all’indietro.
GRAHAM: Vidi Camila e pensai: Oh, no. Riuscii ad avviarmi come se niente
fosse all’uscita, ma, una volta fuori dalla sua visuale, mi misi a correre.
Billy poteva essere solo sul pullman o in albergo: dovevo scegliere tra l’uno
o l’altro. Feci di corsa i due isolati che ci separavano dall’hotel.
Avrei dovuto scegliere il pullman.
KAREN : Lei lo trovò sul pullman. Una parte di me rimpiangeva di non essere
riuscita a fermarla in tempo, ma l’altra parte era contenta che venisse fuori
tutto.
EDDIE: Io non ero presente, ma seppi che Camila lo sorprese sul pullman
mentre si faceva fare… non so come altro dirlo… credo che il termine più
delicato sia sesso orale. Da una groupie.
BILLY : Era come giocare con il fuoco, ma quando poi mi bruciai, chissà
come rimasi sinceramente sorpreso.
Ricordo l’espressione di Camila. Era… non era tanto infuriata o ferita,
quanto davvero scioccata. Rimase impietrita, guardando la scena senza la
minima reazione. Mi fissò mentre mi rivestivo di gran fretta.
La ragazza si precipitò fuori dal pullman, come se non volesse farsi
coinvolgere nella scenata.
Quando la portiera si richiuse, guardai Camila e dissi: «Perdonami». Fu
la prima cosa che mi uscì di bocca, in realtà l’unica. E fu a quel punto che lei
sembrò metabolizzare del tutto quello che era successo, che stava
succedendo.
CAMILA : Mi pare di avergli detto qualcosa tipo: «Chi cazzo credi di essere
per farmi questo? Pensi che esista una donna al mondo migliore di quella che
hai?»
WARREN : Ero fuori a parlare con qualcuno dei tecnici, e colsi solo il finale
di straforo, attraverso il parabrezza. E mi parve di vedere Camila che lo
colpiva. Che gli dava una borsettata in testa. Poi li vidi scendere dal
pullman.
GRAHAM: Camila mi raggiunse e disse che sarebbe tornata a casa, che non
voleva saperne di queste stronzate. Mi chiese di tenere d’occhio Billy per il
resto della notte. Ero stufo di badare a Billy, ma a una donna come Camila
non si dice di no, specialmente quando è incinta. E così acconsentii.
E lei disse: «Quando si sveglia, dagli questa lettera».
ROD : Non conoscevo bene Camila, ma la sua decisione di restare con Billy
non era così difficile da comprendere. Si erano messi insieme quando lui era
ancora un bravo ragazzo. E quando si era resa conto che Billy stava andando
in pezzi, era troppo coinvolta per tirarsi indietro.
Se voleva che il suo bambino avesse un padre, doveva rimettere Billy in
carreggiata. Cosa c’è da non capire?
GRAHAM: Non sapevo più cosa fare. Non sapevo come aiutarlo o se fidarmi
di quello che mi diceva. Sinceramente, mi sentivo un idiota. Sono suo
fratello, mi dicevo, dovrei sapere di cosa ha bisogno. Dovrei essere sempre
in grado di capire quando è fatto e sta mentendo.
E invece non lo capivo. Ed ero… imbarazzato dalla mia stessa incapacità
di intuire cosa stava combinando.
EDDIE: Era una specie di conto alla rovescia per tutti, tipo: Mancano
sessanta giorni alla data in cui Billy dovrà mettere la testa a posto. Poi
quaranta. Poi venti.
GRAHAM: Da quel momento in poi fu una spirale. Una volta che Billy si mise
a sniffare eroina con Yates, cominciai a vivere nel terrore. Cercavo di
tenerlo d’occhio, di convincerlo a smettere.
ROD : Quando scoprii che si faceva con Yates, chiamai Teddy e gli dissi:
«Abbiamo un morto che cammina». Teddy promise di occuparsene di
persona.
EDDIE: Quando ormai mancavano dieci giorni alla data fatidica, e Billy era
arrivato al punto di dimenticarsi le parole delle canzoni durante i concerti,
ricordo di aver pensato che non ce l’avrebbe mai fatta a smettere.
CAMILA : Ero reduce da diciotto ore di travaglio con soltanto mia madre
accanto a me. Mi aspettavo che mio marito entrasse da quella porta e si
desse una regolata. Adesso mi rendo conto che da soli non se ne esce, che
non è così che vanno queste cose. Ma allora non lo sapevo, e pensavo che
funzionasse in quel modo.
Ebbene, la porta si aprì, ma dietro non c’era Billy. C’era Teddy Price.
Ero esausta, grondavo sudore per tutti gli ormoni che avevo in circolo, e
tenevo in braccio questa neonata di cui avevo appena fatto la conoscenza,
questa bambina identica a Billy. Decisi di chiamarla Julia.
Mia madre era pronta a riportarci con sé in Pennsylvania, e io ero tentata
di accettare. In quel momento, arrendersi sembrava più facile che cercare di
avere fiducia in Billy. Digli che crescerò questa bambina da sola, avrei
voluto dire a Teddy. Ma avevo il dovere di perseguire quello che volevo per
me e per mia figlia. E così dissi: «Fagli sapere che ha due scelte: o comincia
subito a essere un padre, oppure va a disintossicarsi. Immediatamente».
Teddy annuì e se ne andò.
BILLY : Attesi fuori dall’ospedale per quelle che mi parvero ore, continuando
a toccare il chiavistello sulla porta. Finalmente, Teddy riapparve e disse:
«Hai una bambina. È identica a te. Si chiama Julia».
Non sapevo come rispondere.
Teddy proseguì: «Camila dice che hai due scelte. Puoi muovere il culo,
andare su da loro e diventare un bravo marito e padre, oppure ti posso
accompagnare in un centro di recupero. A te la decisione».
Posai la mano sulla maniglia e in quel momento pensai: Posso sempre
fuggire.
Ma Teddy doveva avermi letto nel pensiero, perché soggiunse: «Camila
non ti ha lasciato altra scelta. Non ci sono alternative. Certa gente riesce a
reggere alcol e droga, tu no. La pacchia è finita, Billy».
Le sue parole mi fecero ripensare a quando ero un bambino di sei, sette
anni e avevo la passione delle automobiline della Matchbox. Era una vera
ossessione, la mia, ma nostra madre non aveva abbastanza soldi per
comprarcene molte. E così perlustravo i marciapiedi, nel caso qualche
bambino ne avesse persa una. In quel modo ne avevo raggranellata qualcuna.
E magari, quando giocavo con gli amichetti del quartiere, ne sgraffignavo un
paio. Oppure le rubavo direttamente in negozio. Finché un bel giorno, dopo
aver scoperto il mio bottino, mia madre mi aveva fatto sedere e mi aveva
chiesto: «Perché non puoi accontentarti di giocare con le tue come chiunque
altro?»
Non ho mai saputo risponderle, né allora né mai.
Non sono fatto a quel modo, tutto qui.
Quel giorno all’ospedale, ricordo che, mentre fissavo la porta, vidi uscire
un uomo che spingeva una sedia a rotelle su cui era seduta una madre con il
suo neonato. Lo guardai e… mi parve di vedere una persona che non sarei
mai riuscito a essere.
Continuavo a pensare di entrare in quell’ospedale e guardare mia figlia
sapendo che per lei sarei stato un padre di merda.
[Si commuove] Non era che non la volessi. La desideravo con tutte le mie
forze, non sai quanto. Era solo che… non volevo che mi conoscesse.
Non volevo… che la mia bambina dovesse cominciare la sua vita alzando
gli occhi su quest’uomo, su questo stronzo ubriaco e drogato, e chiedersi: E
questo è mio padre?
Era questo che provavo: ero imbarazzato all’idea che la mia bambina mi
vedesse.
E così fuggii. Non ne vado fiero, ma è la verità. Andai a disintossicarmi
per evitare di conoscere mia figlia.
CAMILA : Mia madre mi disse: «Tesoro, spero che tu sappia quello che fai».
Sai, ci ho riflettuto a lungo. Per decenni. E questa è la conclusione a cui
sono giunta. Il motivo per cui ho fatto quello che ho fatto è questo: non mi
sembrava giusto che fosse la parte più debole di lui a decidere della mia vita
e della mia famiglia.
La decisione spettava a me. E quello che volevo era una vita, una
famiglia, un matrimonio felice, una casa insieme a lui. Con l’uomo che
sapevo che era. E l’avrei ottenuto a tutti i costi.
BILLY : Non sono sicuro che entrai in clinica per le ragioni giuste. Vergogna,
imbarazzo, fuga e tutto il resto. Ma ci restai per le ragioni giuste.
Ci restai perché il secondo giorno il terapista del mio gruppo mi disse di
smettere di immaginare che mia figlia si vergognasse di me. Di cominciare a
pensare a come avrei dovuto comportarmi per renderla fiera di me. E quelle
parole mi restarono impresse. Non riuscivo a smettere di pensarci.
Lentamente, quella diventò la luce che mi chiamava alla fine del tunnel…
Immaginare mia figlia… [Si ferma, si ricompone] Immaginare me stesso
come un padre che mia figlia sarebbe stata orgogliosa di avere.
Cominciai a impegnarmi, giorno dopo giorno, per avvicinarmi sempre di
più a quell’uomo.
BILLY : Julia aveva sessantatré giorni quando la vidi per la prima volta. È
dura, ancora adesso, non… odiare me stesso per questo. Ma l’istante in cui
la vidi… mio Dio. [Sorride] Trovarmi con loro a quel tavolo da picnic… fu
come se qualcuno avesse imbracciato un’ascia e avesse fatto a pezzi la
crosta che mi ricopriva. Mi sentivo esposto, messo a nudo. Mi sembrava di
avvertire ogni singola cosa, di sentirla nel profondo delle terminazioni
nervose.
Avevo… avevo creato una famiglia. In modo accidentale, senza pensarci
e senza molte delle qualità che uno dovrebbe possedere per meritare una
famiglia, forse, ma l’avevo fatto comunque. E ora c’era questa minuscola,
nuova persona che aveva i miei stessi occhi e non sapeva chi ero stato, e per
la quale l’unica cosa importante era chi ero adesso.
Crollai in ginocchio, pieno di gratitudine per l’esistenza di Camila.
Era… era incredibile quello che le avevo fatto passare, ed era incredibile
che lei fosse ancora lì, pronta a darmi un’altra possibilità. Non lo meritavo,
e lo sapevo.
Le dissi che avrei passato il resto della nostra vita insieme a cercare di
darle il doppio di ciò che meritava. Non credo di avere mai fatto una
promessa con la stessa umiltà e con la stessa gratitudine che provavo quel
giorno nel profondo del cuore.
Tecnicamente, l’avevo sposata quasi un anno prima, ma fu allora che mi
promisi a lei. Adesso e per sempre. A lei e a mia figlia. Mi consacrai a loro,
a crescere quella bambina con tutto me stesso.
Mentre salivamo in macchina, Camila mi sussurrò: «Siamo noi, adesso e
per sempre. Non dimenticarlo mai più, d’accordo?»
Annuii, e lei mi baciò. E Graham ci riaccompagnò a casa.
Nel 1974, Daisy Jones era ormai in piena violazione di contratto con la
Runner Records per non essersi mai presentata alle sessioni di
registrazione al Record Plant di West Hollywood.
Simone Jackson, nel frattempo, aveva firmato con la Supersight
Records e stava ottenendo un buon successo internazionale con i suoi
brani R&B e dance, che in seguito sarebbero stati visti come progenitori
della disco. Le sue canzoni «The Love Drug» e «Make Me Move» erano ai
primi posti nelle classifiche delle discoteche francesi e tedesche.
Nell’estate del ’74, mentre Simone partiva per la sua tournée europea,
Daisy cominciava a sentirsi sempre più irrequieta.
EDDIE: A essere sinceri, ero sorpreso che Teddy non ne avesse parlato
prima. Quando avevo sentito il master, l’album mi era sembrato un po’ soft,
se non altro a livello di temi. Tutto quello che Billy aveva scritto riguardava
la sua famiglia.
Pete riassunse il problema nel modo migliore: «Il rock ’n’ roll parla della
prima notte di sesso con una ragazza, non di quando fai l’amore con tua
moglie». Ed era Pete a dirlo! Pete, che era uno zerbino tanto quanto Billy.
BILLY : Non ricordo di chi fu l’idea di un duetto. So solo che io non l’avrei
mai proposto.
GRAHAM: Pensavo che avremmo dovuto far cantare Karen. Aveva una
bellissima voce.
KAREN : La mia non era una voce solista. Se mi avessi chiesto di
accompagnare un ritornello l’avrei fatto, ma da sola non ci sarei mai riuscita.
KAREN : Teddy fece almeno dieci nomi prima che Billy finalmente si
arrendesse. Ero presente quando accadde.
Billy stava scorrendo la lista di Teddy, e non faceva che dire no. «No.
No. No. Tonya Reading? No. Suzy Smith? No.» Finché a un tratto domandò:
«Chi è Daisy Jones?»
E Teddy, eccitatissimo, rispose che sperava proprio che Billy glielo
chiedesse, perché secondo lui Daisy era quella giusta.
ROD : Teddy era un bravo produttore. Sapeva che Daisy Jones stava
cominciando a far parlare di sé nell’ambiente. Se la canzone fosse venuta
bene, sarebbe stato un gran successo.
DAISY : Avevo sentito parlare dei Six, ovviamente, con il fatto che eravamo
della stessa etichetta e tutto il resto. E avevo sentito i loro singoli alla radio.
Non avevo prestato molta attenzione al primo album, ma, quando Teddy
mi fece ascoltare SevenEightNine, ne fui travolta. Lo amai all’istante,
quell’album. Credo che suonai «Hold Your Breath» dieci volte di seguito.
La voce di Billy mi piaceva da morire. Aveva un che di malinconico. Di
vulnerabile. Mi dissi: Questa è la voce di un uomo che ne ha viste, di cose.
Trovavo molto evocativo quel suo sound spezzato. Io non ce l’avevo. La mia
voce era come un paio di bei jeans nuovi, ma quella di Billy era il paio che
continuavi a metterti da anni.
Riuscivo a vedere il potenziale di un duetto tra noi. E così ascoltai e
riascoltai la loro versione di «Honeycomb», e mi parve che mancasse
qualcosa. Poi lessi il testo e… sentii che mi parlava.
Era l’occasione di offrire qualcosa di mio, di dare un contributo. Non
vedevo l’ora di entrare in sala, perché sentivo di poter davvero essere utile.
BILLY : Quando Daisy arrivò, erano presenti tutti, anche se io avrei preferito
che ci fossimo solo io e Teddy.
EDDIE: Daisy Jones era la donna più bella che avessi mai visto. Occhi
enormi, labbra supercarnose. Ed era alta come me. Sembrava una gazzella.
WARREN : Non aveva né culo né tette. Il sogno del falegname, come si suol
dire. Piatta come una tavola, facile da inchiodare. Be’, non so se fosse poi
così facile da inchiodare. Probabilmente no. Visto il modo in cui gli uomini
reagivano incontrandola, era sempre lei ad avere il coltello dalla parte del
manico. Quando Pete la vide, rimase a bocca aperta.
KAREN : Era così bella che temevo di fissarla troppo. Ma poi pensai: Al
diavolo, probabilmente è tutta la vita che la fissano. Probabilmente pensa
che guardare significhi fissare.
DAISY : L’avevo provata per tutta la notte. E qualche giorno prima ero
passata dallo studio insieme a Teddy e l’avevo ascoltata un mucchio di
volte. Avevo un’idea abbastanza chiara di quello che volevo fare.
BILLY : «No grazie», rispose lei, e non aggiunse altro. Come se non avessi
niente di prezioso da offrirle.
KAREN : «Ragazzi», dissi, «non c’è bisogno che restiamo tutti a guardarla.»
Ma nessuno si mosse.
DAISY : Alla fine fui costretta a chiedere: «Potrei avere un po’ di spazio per
respirare?»
BILLY : Le parole erano sbagliate. Non aveva senso lasciare che continuasse
a cantare il testo sbagliato.
ROD : Ci stava provando. Billy era un tipo che faceva sembrare facili un
sacco di cose, ma la fatica di restare sobrio gliela potevi leggere in faccia.
KAREN : Con le sue canzoni, Billy cercava di convincersi che era tutto sotto
controllo, che di lì a qualche decennio sarebbe stato ancora sobrio e avrebbe
avuto ancora sua moglie e la sua famiglia.
E nel giro di un paio di minuti Daisy gli strappò via la tovaglia da sotto i
piatti.
KAREN : «Honeycomb» era nata come una canzone sul senso di sicurezza, e
ora era diventata una canzone sull’insicurezza.
CAMILA : Quando riversi la tua vita nella musica che fai, non riesci a essere
lucido riguardo a quella musica.
GRAHAM: Penso che Billy non si aspettasse una come Daisy, tutto qui.
ARTIE SNYDER : Quando montammo la versione con Daisy, le loro due voci
insieme erano così coinvolgenti che Teddy volle togliere quasi tutto il resto.
Mi fece attenuare la batteria, aumentare le tastiere ed eliminare i fraseggi più
elaborati di Graham.
Ci ritrovammo praticamente con una parte preponderante di chitarra
acustica e un accompagnamento percussivo di piano. Ma era il cantato ad
attirare quasi esclusivamente l’attenzione. La canzone stava tutta nella
relazione tra le due voci. Intendiamoci, era ancora bella mossa, il ritmo era
veloce, ma era tutto eclissato dal cantato. Billy e Daisy ti ipnotizzavano.
ROD : Teddy era al settimo cielo per il risultato finale. Piaceva anche a me,
ma Billy rizzava visibilmente il pelo ogni volta che la sentiva.
GRAHAM: Era sempre Billy a decidere, capisci? Era lui a scrivere i testi, a
comporre e arrangiare le canzoni. Se Billy andava a disintossicarsi, la
tournée finiva lì. Se Billy era pronto a tornare in studio, tutti dovevamo
presentarci a rapporto. Era Billy a condurre il gioco.
Per questo non gli fu facile mandare giù «Honeycomb».
EDDIE: Ragazzi, Billy non si rendeva conto di quanto fosse prepotente con
noi. Faceva sempre a modo suo, ma con l’arrivo di Daisy le cose
cambiarono.
DAISY : Non riuscivo a capire perché Billy ce l’avesse con me. Avevo
migliorato la sua canzone. Cosa c’era di male?
Qualche giorno dopo, tornai in sala d’incisione per ascoltare la versione
finale e lo incrociai. Gli sorrisi e lo salutai, ma lui mi rivolse solo un cenno
del capo. Come se, registrando la mia presenza, mi stesse già facendo un
gran favore. Non riuscì neanche a mostrare il minimo di cortesia che si usa
tra colleghi.
DAISY : Io indossavo quello che volevo quando volevo. Facevo quello che
volevo con chi volevo. E se qualcuno non gradiva, poteva andare affanculo.
DAISY : Karen era una di quelle persone con più talento in un dito di quanto
gran parte della gente ne abbia in tutto il corpo, e i Six la utilizzavano male.
Ma lei corresse la rotta. Lo fece con l’album successivo.
BILLY : Quando il disco stava per andare in stampa, dissi a Teddy: «Mi hai
fatto odiare la mia stessa canzone».
«Dovrai metterti d’impegno per scendere dal piedistallo», ribatté lui. «E
qualcosa mi dice che scalare le classifiche potrà alleviare l’offesa.»
BILLY : A volte la gente tornava a sentirci due o tre volte alla settimana. E
più il pubblico cresceva, più suonavamo.
ROD : Billy avrebbe dovuto invitare Daisy a qualcuno di quei concerti a L.A.
Glielo dissi anche. Ma certe cose gli entravano da un orecchio e uscivano
dall’altro.
KAREN : Graham mi fece un cenno con la testa e puntò gli occhi su di lei in
mezzo alla pista. Poi ci accorgemmo che l’aveva vista anche Billy.
EDDIE: Per tutto il periodo in cui suonammo al Whisky, quasi ogni sera Billy
aveva qualche osservazione da farmi su come avevo suonato. Era un
maniaco del controllo. Ma il fatto che Daisy si presentasse al Whisky, quello
non poteva controllarlo.
Ragazzi, quanto era bella. Indossava un miniabito microscopico. Allora le
donne non portavano il reggiseno, ed è un peccato che i tempi siano
cambiati.
BILLY : Salì sul palco a piedi nudi, e io pensai: Ma cosa credi di fare?
Mettiti le scarpe.
BILLY : Non ero concentrato su chi avrebbe aperto per noi. Quello su cui ero
concentrato era come restare sobrio per l’intera tournée. Era la prima che
facevo da quando mi ero disintossicato.
BILLY : Decisi di far venire lei e Julia in tournée. A quel punto, Camila era
incinta di due mesi dei gemelli. Sapevamo che con il passare del tempo non
sarebbe stata in grado di partecipare più di tanto, ma la volevo con me
all’inizio, per partire con il piede giusto.
DAISY : La prospettiva di una tournée era elettrizzante. Non avevo mai fatto
concerti in giro. Il mio album stava andando benino, stavo suscitando un
discreto interesse. E «Honeycomb» contribuiva alle vendite.
GRAHAM: Eravamo tutti contenti di avere Daisy con noi. Daisy sapeva
divertirsi. Era fantastica.
Eravamo nella fase in cui fai spot radiofonici e servizi fotografici e la tua
canzone continua a scalare le classifiche, a vendere sempre di più. La gente
cominciava a riconoscermi. Era da un po’ che Billy veniva fermato in giro,
ma adesso iniziava a succedere anche a me e Karen. Camminavi per strada e
incrociavi qualcuno con su la nostra maglietta.
Sicché non m’importava chi aggiungevano alla nostra tournée, a patto che
le cose continuassero ad andare come stavano andando.
KAREN : Eravamo tutti dietro le quinte, prima che Daisy entrasse in scena.
Daisy sta sniffando un paio di strisce, Warren si sta facendo massaggiare da
una groupie che è riuscita chissà come a intrufolarsi insieme a noi, Eddie e
Pete non so cosa stiano facendo, Billy se ne sta per i fatti suoi, e io e Graham
stiamo parlando. Credo proprio fosse quella serata… Graham si era regolato
la barba, e sotto tutta quella peluria si poteva vedere quanto era attraente.
A un certo punto bussano alla porta. Sono Camila e Julia, venute a dare la
buonanotte a Billy.
L’istante in cui Daisy le vede, ficca la coca in un cassetto, si pulisce il
naso e posa il bicchiere di brandy, whisky o qualunque cosa stia bevendo. Fu
la prima dimostrazione di consapevolezza che vidi in lei. La prima volta che
si comportò come se non vivesse su un pianeta a sé stante. Strinse la mano a
Camila e salutò Julia. Ricordo che la chiamò «pulcina».
Poi venne il suo turno, e uscì dal camerino dicendo: «Auguratemi buona
fortuna!»
Eravamo tutti troppo presi dalle nostre faccende per prestarle attenzione,
tutti tranne Camila. Lei le fece gli auguri, e fu sincera.
CAMILA : Quando conobbi Daisy Jones, non sapevo cosa pensare di lei. Mi
parve molto fuori, però anche molto dolce. Sapevo che a Billy non era
simpatica, ma ciò non significava che non potessi avere un’opinione tutta
mia.
Una cosa, comunque, era innegabile: era bellissima. Forse ancora più
bella che in fotografia.
DAISY : Quando uscii sul palco a Nashville ero emozionata. Di solito non
sono una che si agita, ma quella sera era qualcosa di fisico, qualcosa che
sentivo nelle terminazioni nervose. E forse avevo anche tirato un po’ troppo.
Entrai in scena aspettandomi una platea tutta per i Six. Invece molti volevano
vedere proprio me. Erano venuti per me.
Quella sera indossavo un vestito nero scollato sulla schiena con i miei
soliti braccialetti e orecchini a cerchio d’oro.
Prove a parte, era la prima volta che stavo su un palco da sola o, meglio,
sola con il gruppo che Hank mi aveva procurato. Era la prima volta che
sentivo un pubblico gridare per me. Tutta quella gente unita a formare un
unico organismo vivente. Un organismo vivente che tuonava e strepitava.
E una volta conosciuta quella sensazione, avrei voluto provarla sempre.
GRAHAM: Daisy fece un bel concerto. Aveva una gran voce, e le sue canzoni
non erano male. E sapeva tenere in pugno il pubblico. Quando entrammo in
scena noi, la platea era su di giri. Si stava già divertendo.
WARREN : Il profumo di erba era dappertutto. C’era una tale quantità di fumo
che le ultime file del pubblico si vedevano a malapena.
BILLY : Alla fine dissi: «Che ne dite se chiamo Daisy Jones e vi suoniamo
‘Honeycomb’?»
BILLY : La prima notte senza di loro fu difficile. Ricordo che ero seduto sul
balcone della mia suite dopo il concerto e ascoltavo il caos in strada,
provando una gran voglia di esserne parte. C’era una voce nella mia testa
che continuava a ripetere: Non ce la puoi fare, non riuscirai a restare
sobrio ancora a lungo.
Finii per telefonare a Teddy. Erano le prime ore del mattino, ma per lui
era l’ora di cena. Mi inventai una scusa qualsiasi per chiamarlo. [Ride]
Credo che finimmo per discutere se dovesse sposare Yasmine. Teddy temeva
che fosse troppo giovane, ma io gli dissi di farlo lo stesso. E, al termine
della telefonata, sentii di essere abbastanza stanco da addormentarmi. Sarei
sopravvissuto un altro giorno. Quando giunse il momento di salutarci, Teddy
chiese: «Adesso è tutto a posto, Billy?» E io risposi di sì.
Superata quella prima notte, cominciai a sentirmi un po’ meglio. Seguivo
la mia routine, mi tenevo alla larga dalle gozzoviglie. Alla fine del concerto
tornavo in camera ad ascoltare qualche disco oppure andavo in una tavola
calda a bere un decaffeinato e leggere il giornale. A volte venivano anche
Pete o Graham. Anche se, a dire il vero, Graham passava la maggior parte
del tempo a scodinzolare dietro a Karen.
Ma io continuai a comportarmi come se Camila e Julia fossero ancora con
me. A rigare dritto.
ROD : Appena prima di partire per la Svezia, avevo detto a Billy e Graham
che la Runner stava pensando di allungare la tournée dopo la fine delle tappe
europee. Gli avevo chiesto se fossero disposti ad aggiungere un paio di
settimane di concerti al loro rientro negli States.
Ma la cosa era fuori discussione. Camila avrebbe dovuto partorire
proprio intorno alla data del nostro rientro, e già così Billy temeva di non
farcela.
WARREN : Tutti avremmo voluto aggiungere altre date, ma senza Billy non
potevamo. Chitarristi e tastieristi potevi sempre rimpiazzarli per qualche
serata, ma Billy era insostituibile.
DAISY : Facevamo il tutto esaurito. E buona parte del merito si doveva a me.
Al tempo stesso, il loro album vendeva molto più del mio. Era giusto
così, visto che era un disco migliore, ma, per quanto riguardava i concerti,
tanti venivano a vedere me. E alcuni di quelli che non mi conoscevano prima
se ne andavano con la maglietta di Daisy Jones.
Ero eccitatissima. Ed ero al lavoro su alcune belle canzoni. Ce n’era una
in particolare: aveva una melodia semplicissima, niente di complesso, ma
era bella. Si intitolava «When You Fly Low», quando voli basso. Parlava di
quando ti sottovaluti, del fatto che certa gente cerchi di tarparti le ali. «They
want you humble / Want to atrophy that muscle / Want to stunt the hustle /
Get you to call uncle / To keep you flying low.» Ti vogliono umile, vogliono
atrofizzare quel muscolo, vogliono frenare la spinta, farti arrendere, farti
volare basso.
Era un po’ che dicevo a Hank che era giunto il momento di proporre un
nuovo album a Teddy, ma lui continuava a ripetermi di avere pazienza. Quasi
pensasse che stessi chiedendo troppo. Che non mi accontentassi di quello
che avevo.
La nostra relazione stava attraversando un brutto momento. Non mi sarei
mai dovuta mettere con uno come lui.
È una delle cose che non ti dicono quando ti raccomandano di stare alla
larga dalla droga. Non ti dicono: «La droga ti fa andare a letto con gli
stronzi». Ma dovrebbero farlo.
E io avevo lasciato che Hank si infilasse in ogni ambito della mia vita:
spesso si intrometteva tra me e Teddy, ed era lui a gestire i miei musicisti e i
miei soldi. E in più veniva a letto con me.
DAISY : Hank e alcuni dei tecnici erano partiti il giorno prima, ma io ero
rimasta con il gruppo. La mia versione era che volevo essere sul loro stesso
volo, ma la verità era semplicemente che non volevo fare il viaggio con
Hank.
EDDIE: Fu durante il volo che sentii Graham dire a Karen che avevano
rifiutato la proposta di un prolungamento della tournée. Non ne sapevo nulla.
Nessuno me l’aveva detto, e neanche a Pete.
Avevamo una canzone in classifica, e i concerti con Daisy facevano il
tutto esaurito. Erano un sacco di soldi per un sacco di gente. E tutti quanti –
il gruppo, i roadie, i nostri tecnici e quelli dei posti in cui suonavamo –
avremmo dovuto fare i bagagli solo perché Billy aveva messo incinta sua
moglie?
Per di più, non era neanche stato messo ai voti. Avevamo dovuto
scoprirlo quando ormai la decisione era già presa.
KAREN : Per gran parte di quel volo, io e Daisy restammo in coda a farci i
fatti nostri. Avevamo due posti l’uno di fronte all’altro, e sorseggiavamo i
nostri cocktail guardando fuori dal finestrino. Ricordo che a un certo punto
Daisy tirò fuori un portapillole, prese due pasticche e le ingoiò con un sorso
del suo drink.
Aveva cominciato a indossare una quantità di cerchietti sulle braccia, tutti
quelli che poteva. Ogni volta che si muoveva, i braccialetti tintinnavano. Lo
fecero anche in quel momento, mentre si rimetteva il portapillole in tasca, e
io dissi scherzando che era come avere dei tamburelli incorporati. La cosa le
piacque, e se la scrisse sulla mano con una penna.
Poi rimise la penna in tasca, tirò di nuovo fuori il portapillole, ne prese
due e se le mise in bocca.
«Daisy, ne hai appena prese due», le dissi.
«Davvero?» chiese lei.
«Sì.»
Si strinse nelle spalle e le mandò giù.
«Dai, non fare come certa gente», dissi.
KAREN : Mi sorprese, la facilità con cui lo fece. Con cui poteva darmi le sue
pillole e smettere di punto in bianco.
DAISY : Quando arrivai in albergo, Hank era già in camera mia. «Ho finito le
rosse», gli dissi. Lui annuì e prese il telefono. Al momento di andare a letto,
avevo un nuovo flacone. Era deprimente quanto fosse facile. Intendiamoci,
avevo bisogno di quelle pillole. Ma era tutto così noioso, così ripetitivo.
Avere sempre a disposizione tutti gli stupefacenti che volevi, senza che
nessuno te lo impedisse.
Quella notte, appena prima di prendere sonno (mi sembra di ricordare che
reggevo ancora in mano il bicchiere di brandy) mi sentii dire: «Hank, non
voglio più stare con te». In un primo momento pensai che ci fosse un’altra
donna nella stanza, che fosse stata lei a parlare, ma poi mi resi conto che ero
stata io. Hank mi disse di dormire. E più che addormentarmi, in quel
momento ebbi come la sensazione di scomparire.
La mattina dopo, al risveglio, ricordavo tutto. Ero imbarazzata, ma anche
in qualche modo sollevata per essere riuscita a esprimere ciò che provavo.
«Dovremmo parlare di quello che ho detto ieri sera», esordii rivolta a Hank.
«Non hai detto niente, ieri sera», ribatté lui.
«Ho detto che non voglio più stare con te.»
Scosse le spalle. «Ah, sì, ma quello lo dici ogni sera mentre ti
addormenti.»
Non ne avevo idea.
GRAHAM: Era abbastanza chiaro a tutti che Daisy doveva mollare Hank.
ROD : Il mondo è pieno di manager disonesti che fanno fare brutta figura a
tutti gli altri. Era chiaro come il sole che Hank si stava approfittando di
Daisy. Qualcuno avrebbe dovuto proteggerla.
«Daisy», le dissi, «se hai bisogno di aiuto, io sono qui.»
GRAHAM: Credo che Daisy si fosse resa conto di quello che Rod faceva per
noi, del modo in cui si prendeva cura di ogni cosa. Rod era il primo a dire
che noi avremmo dominato il mondo. Non ci suggeriva di accontentarci di
quello che avevamo e stare zitti. E poi… non per essere stronzi, ma… non ci
scopava, né ci imbottiva di droga al punto che non capivamo più niente.
«Scarica Hank e mettiti con Rod», le dissi. «Pensa lui a tutto.»
ROD : Facevo già molto per Daisy, tra l’altro. Avevo allertato Rolling Stone,
e loro avrebbero mandato Jonah Berg ad assistere a un concerto e passare un
po’ di tempo dietro le quinte con il gruppo. Era una potenziale copertina, e
io avevo voluto includere Daisy. Nessuno mi aveva chiesto di farlo. Avrei
potuto pretendere un servizio esclusivo sui Six, ma mi ero detto che sarebbe
tornato a vantaggio di tutti.
DAISY : Feci una stupidaggine. Alla fine delle prove litigai con Hank.
KAREN : Quel pomeriggio, Graham mi arrivò in camera con una delle mie
valigie. Chissà come, le mie cose erano finite insieme alle sue. Si presentò
alla porta reggendo la mia sacca da viaggio piena di reggiseni e mutande.
«Mi sa che questa è tua», disse.
Gliela presi di mano e alzai gli occhi al cielo. «Ah, scommetto che ti è
piaciuto infilare le mani nelle mie mutande», scherzai.
Ma lui scosse la testa e rispose: «Preferisco guadagnarmene il diritto nel
modo classico».
Scoppiai a ridere. «Ah, sparisci», gli dissi.
«Ai suoi ordini, signora», fece lui.
Tornò in camera sua. Ma subito dopo aver chiuso la porta, io… non lo so.
BILLY : Stavo uscendo dalla mia stanza per raggiungere Graham quando vidi
Hank Allen lasciare quella di Daisy, borbottando: «Maledetta stronza». Mi
parve che si stesse calmando, e in un primo momento pensai di lasciar
perdere. Ma a un tratto lo vidi fermarsi e girarsi, come se stesse per tornare
indietro. E capii all’istante che aveva cattive intenzioni. Lo si vede dalla
postura, hai presente? Mani strette a pugno, mascella contratta e tutto il resto.
Incrociai il suo sguardo, e per un attimo ci fissammo negli occhi. Scossi la
testa, come a dire: Sarebbe la mossa sbagliata. Lui continuò a fissarmi per un
po’, poi abbassò gli occhi a terra e se ne andò.
Quando si fu allontanato, bussai alla porta di Daisy. «Sono Billy», dissi.
Le ci volle qualche secondo, ma alla fine mi aprì. Indossava un vestito
blu scuro, di quelli che lasciano completamente scoperte le spalle. Sapevo
che tutti non facevano che parlare dei suoi occhi, ma quel giorno fu la prima
volta che li notai davvero. Erano di un blu intenso, il blu del mare. Non
l’azzurro delle acque costiere, il blu scuro che vedi nel bel mezzo
dell’oceano. Il blu delle acque profonde.
«Tutto bene?» le chiesi.
Sembrava triste, un’espressione che non le avevo mai visto. «Sì, grazie»,
rispose.
«Se hai bisogno di parlare…» dissi. Non sapevo bene come avrei potuto
darle una mano, ma immaginavo di dovergliela offrire comunque.
«No, è tutto a posto», assicurò lei.
DAISY : Solo in quell’istante mi resi conto del muro che Billy erigeva intorno
a sé quando era in mia presenza, adesso che a un tratto il muro non c’era più.
Come quando ti accorgi del rumore di un’auto soltanto a motore spento.
In quel momento lo guardai negli occhi e vidi il vero Billy.
E mi resi conto che quella che avevo visto fino ad allora era una sua
versione fredda e guardinga. Sarebbe bello conoscere questo Billy, mi dissi.
Ma l’istante successivo era tutto finito. La verità era apparsa per un secondo,
poi però si era dileguata con la stessa rapidità con cui era arrivata.
KAREN Per un paio di secondi restammo in silenzio. Poi gli chiesi: «Com’è
che non ci hai mai provato con me?»
Lo sentii bere un sorso di birra. «Non lo faccio mai, quando so di
mancare il bersaglio», rispose.
Mi uscì di bocca prima ancora che avessi deciso di dirlo: «Non credo
che lo mancheresti, Dunne».
E, non appena ebbi finito di parlare, sentii il suono della linea interrotta.
GRAHAM: Non ho mai corso più veloce di quanto feci quel giorno in quel
corridoio.
KAREN : Tre secondi dopo, e non sto esagerando, sento bussare alla porta. La
apro e mi vedo davanti Graham, ansimante. Una corsetta in corridoio ed era
senza fiato.
GRAHAM: Entrai in camera sua, mi chiusi la porta alle spalle, la presi tra le
braccia e la baciai, com’è vero Iddio.
Non capita spesso di svegliarsi una mattina e pensare: Questa sarà una
delle giornate più entusiasmanti della mia vita. Ma quel giorno fu così.
Quel giorno con Karen… fu uno di quei giorni.
WARREN : Ti dirò una cosa che non ho mai detto a nessuno. No, davvero, ti
piacerà.
Eravamo a Glasgow, dopo le prove, e io stavo facendo una delle mie
pause birra, vale a dire che mi ero fatto una birra e stavo sonnecchiando,
quando a un tratto mi sveglio al suono di Karen che se la sta spassando in
camera sua. Facevano un tale fracasso che non sono più riuscito a
riaddormentarmi.
Non ho mai scoperto chi fosse, ma l’avevo vista flirtare con il tecnico
delle luci, e credo proprio che avesse una storia con Bones.
BILLY : Uscii dalla camera di Daisy e cercai Graham per andare a pranzo
insieme, ma era scomparso.
DAISY : Il mio gruppo se n’era andato. Così, di punto in bianco. Non sapevo
cosa fare.
HANK ALLEN (ex manager di Daisy Jones): Voglio solo dire che dal 1974
al 1977 tra me e Daisy Jones ci fu una relazione puramente professionale,
relazione che venne troncata di comune accordo a causa di divergenze di
opinioni riguardo alla sua carriera. Continuo ad augurarle il meglio.
BILLY : Quando raggiunsi Rod, vidi che era già in modalità controllo danni.
«È davvero così grave, se Daisy salta un concerto?» gli domandai.
E in quel preciso istante mi resi conto che probabilmente Rod era
diventato anche il suo, di manager. Sicché per lui… be’, sì, sarebbe stato
grave.
ROD : Jonah Berg era tra il pubblico. Berg di Rolling Stone.
KAREN : Graham era sempre stato quello con cui parlavo di tutto. E quella
sera avrei voluto raccontargli del meraviglioso pomeriggio che avevo
passato. Come se volessi parlare di lui con lui.
EDDIE: Rod suggerì che Graham andasse in scena con Daisy e che
suonassero in versione acustica qualche canzone del suo album. Ma Graham
era distratto e così dissi: «Posso farlo io».
ROD : Spedii Eddie e Daisy sul palco senza avere la più pallida idea di cosa
sarebbe successo, e mentre li guardavo avvicinarsi al microfono mi
sembrava di stare sui carboni ardenti.
EDDIE: Daisy si sporse verso di me, mi diede un’idea di tempo e una tonalità
e mi disse di inventarmi qualcosa. Nient’altro. «Inventati qualcosa.» Feci del
mio meglio, ma sai, non è che si possa creare una canzone così al volo.
DAISY : Volevo fargli suonare qualcosa su cui potessi cantare il mio nuovo
testo: «When You Fly Low». Eddie attaccò e io intonai le prime battute,
cercando di entrare in sintonia con lui, ma c’era qualcosa che non andava.
«Okay, lasciamo perdere», dissi alla fine. Parlai direttamente nel microfono,
e udii il pubblico ridere con me. Mi sosteneva. Lo sentivo. Cominciai a
cantare a cappella, soltanto io, la mia voce e la canzone che avevo scritto.
Ci avevo lavorato sodo. L’avevo perfezionata. Non era rimasta neanche
una parola di troppo. E ora la stavo cantando da sola, segnando il tempo con
il tamburello e con i piedi.
EDDIE: Ero appena dietro di lei, e l’aiutavo battendo il tempo sulla cassa
della chitarra. Il pubblico era incantato. Ci mangiavano con gli occhi.
DAISY : Era elettrizzante cantare in quel modo. Cantare qualcosa che sentivo
dentro. Parole scritte da me, che appartenevano solo a me.
Guardavo la gente nelle prime file che mi ascoltava, mi sentiva. Cittadini
di un altro Paese, persone che non avevo mai visto in vita mia ma con cui ora
avvertivo un legame che non avevo mai provato con nessuno.
È questa la cosa che ho sempre amato della musica. Non tanto le note, il
pubblico o lo sballo, quanto proprio le parole, le emozioni e le storie, le
verità che ti escono di bocca.
La musica può scavare, capisci? Può affondarti una zappa nel petto e
scavare finché non trova qualcosa. Quella sera, quella canzone non fece che
rafforzare la mia volontà di pubblicare un album di materiale tutto mio.
BILLY : Stavo guardando Eddie e Daisy da dietro le quinte quando lei attaccò
«When You Fly Low». Era brava. Meglio… meglio di quanto pensassi.
BILLY : E Daisy cantò: «Oh, honey, I can wait / To call that home / I can
wait for the blooms and the honeycomb». Oh, tesoro, posso aspettare a
chiamarla casa, posso aspettare i fiori e il nido d’api.
KAREN : Hai presente quando si dice che una certa persona ti fa sentire come
se esistessi solo tu? Billy e Daisy erano entrambi così. Ma lo facevano l’uno
con l’altra. Era come se per ciascuno dei due esistesse solo l’altro. Come se
non si rendessero conto che c’erano migliaia di persone che li guardavano.
BILLY : Così rallentata, la canzone sembrava ancora più intima. Era più
dolce, più delicata. E io rimasi sorpreso dalla facilità con cui Daisy riusciva
a seguirmi dove la conducevo. Se rallentavo il tempo, lei aumentava
l’intensità. Se lo acceleravo, lei vi aggiungeva energia. Era facile suonare
bene con lei.
DAISY : Alla fine, Billy tenne la chitarra con una sola mano e con l’altra
prese la mia. La pelle dei suoi polpastrelli era coperta di calli. Ti graffiava
solo a toccarti.
DAISY : E poi Billy disse: «Signore e signori, siamo i Six!» E il resto del
gruppo si riversò sul palco e attaccò subito con «Hold Your Breath».
EDDIE: Torno sul palco e vedo che la mia chitarra è appoggiata da una parte
e che devo andarmela a prendere. E questo mi fa girare le palle. Non gli
basta dirmi come fare il mio lavoro e decidere quando possiamo andare in
tournée; adesso mi ruba anche lo strumento e prende il mio posto in scena. E
poi non si disturba neanche a restituirmi la chitarra? Capisci il mio punto di
vista?
BILLY : Non ricordo come mai Daisy rimase sul palco quella sera.
Probabilmente avevo immaginato che si sarebbe defilata, invece lei restò. E
va bene, pensai. Stasera va così. In fondo, l’intera serata si era sviluppata
all’insegna dell’improvvisazione.
WARREN : Giuro, quella sera Karen aveva l’aria di essere reduce da una gran
scopata. Ed ero convinto che Bones la stesse illuminando in modo
particolare.
EDDIE: Ne avevo le scatole piene del suo repertorio di finte gentilezze. Billy
era uno stronzo. Un pezzo di merda, un egoista. Spiace dirlo, ma è così che
la pensavo. E, a essere sincero, lo penso ancora adesso.
BILLY : Alla fine, appena prima dell’ultimo brano, gli picchiettai su una
spalla e dissi: «Grazie, amico. Volevo offrire lo spettacolo migliore, visto
che c’è in sala Rolling Stone».
BILLY : Al termine del brano pensai che quello fosse stato il miglior concerto
che avessimo mai fatto. Mi girai verso gli altri e dissi: «Ottimo lavoro,
ragazzi».
BILLY : Avrei dovuto capire la situazione e lasciar perdere, però non lo feci.
Non so bene cosa dissi, ma qualunque cosa fosse, evidentemente non avrei
dovuto dirla.
EDDIE: Billy mi si avvicinò e disse: «Non fare lo stronzo solo perché stasera
hai suonato male». E quella fu la goccia che fece traboccare il vaso, e sai
perché? Perché quella sera ero andato alla grande. Avevo suonato da Dio.
’Fanculo a Billy, allora. E fu proprio quello che feci. Lo mandai
affanculo.
E Billy rispose: «Datti una calmata, okay?»
EDDIE: Solo perché una cosa non ha importanza per Billy, non significa che
non ce l’abbia per me. Ero arcistufo che ci si aspettasse sempre che fossi
d’accordo con lui.
EDDIE: Distrussi la mia chitarra e uscii di scena. L’istante dopo me n’ero già
pentito. Era una Les Paul del ’68.
ROD : Sai, certi giorni cerchi solo di fare il tuo lavoro. E i musicisti possono
renderlo un divertimento o una tortura.
Billy arrivò in camerino mentre tutti gli altri si stavano già rilassando.
«Non attaccare briga, d’accordo?» gli dissi. «Jonah Berg arriverà da un
momento all’altro, e devi dare l’impressione che vada tutto alla grande.»
DAISY : Era stato un bel concerto. Bellissimo. Ero al settimo cielo dopo
quello show.
JONAH BERG (giornalista rock, Rolling Stone, 1971-1983): Quando conobbi
il gruppo, dopo il concerto di Glasgow, rimasi sorpreso dal cameratismo che
regnava dietro le quinte. In scena ci davano dentro di brutto, facendo a pezzi
le chitarre e tutto il resto. Ma nel backstage la situazione sembrava molto
tranquilla. Avevano tutti un’aria perfettamente normale. Il che è strano, per
delle rockstar.
Ma i Six non erano mai come te li aspettavi.
BILLY : Jonah era un tipo alla mano. Aveva un’aria un po’ trasandata.
Cominciammo a chiacchierare, gli offrii una birra e io mi stappai una Coca.
«Non bevi?» mi chiese.
«Non stasera», risposi.
Non volevo spiattellare la mia vita personale a un giornalista. Ero molto
protettivo riguardo a certe cose. A quello che avevo fatto passare ai miei
cari. Non c’era alcun bisogno di lavare quei panni sporchi in pubblico.
JONAH BERG: Quando intervisti una band, ti interessa parlare con tutti.
Perché chiunque può avere una bella storia da raccontare. Ma sei anche
perfettamente consapevole che ai lettori interessano personaggi come Billy e
Daisy, al massimo Graham e Karen.
KAREN : Mentre tutti gli altri parlavano con il pianista, presi Graham e lo
trascinai nel bagno delle signore.
DAISY : Alcune tra le serate migliori, a quei tempi, erano quelle in cui mi
stonavo al punto giusto. La quantità perfetta di coca, i tempi perfetti per le
pillole, la dose sufficiente di champagne per mantenermi frizzante.
KAREN : Quando io e Graham ci riunimmo al gruppo, mi sedetti con Daisy e
dividemmo una bottiglia di vino. O forse ne bevemmo una a testa?
GRAHAM: Non hai visto niente nella vita finché non hai visto Daisy Jones in
pelliccia che balla a piedi nudi su un pianoforte e canta «Mustang Sally».
EDDIE: Non era un gran bar. A quel punto, nella maggior parte dei locali, se
attaccavi qualche battuta di «Honeycomb» la gente ti riconosceva: «Cavolo,
siete voi?» Ma quelli lì non ne avevano idea.
KAREN : Al termine della canzone, Billy fece per scendere dal piano, ma
Daisy gli prese la mano e lo trattenne. «Conosci ‘Jackie Wilson Said’?»
chiesi al pianista. Lui scosse la testa. «Posso?» domandai. Il tipo si alzò per
cedermi il posto, e io attaccai a suonare.
GRAHAM: Daisy e Billy furono perfetti. L’intero locale era in piedi a ballare
e cantare insieme a loro. Perfino il tizio che Karen aveva scalzato dal piano
si era unito al ritornello: «Ding a ling a ling», hai presente?
JONAH BERG: Erano magnetici. È l’unico aggettivo che renda l’idea.
Magnetici.
DAISY : Ero rimasta indietro per infilarmi le scarpe. Credevo di essere sola,
ma poi vidi che Billy mi aveva aspettata. Se ne stava lì ingobbito con le
mani in tasca, guardandomi mentre mi rimettevo i sandali. «Voglio dare agli
altri il tempo di parlare con Jonah», disse.
Ci incamminammo più lentamente, parlando della passione comune per
Van Morrison.
EDDIE: Ero felice che ci fossimo sbarazzati di Jonah, felice di non dover più
fingere di sopportare Billy. Mi fumai un bong con Pete e andai a letto.
DAISY : Quando arrivammo davanti alla mia porta, chiesi a Billy: «Vuoi
entrare?»
Ero semplicemente contenta che stessimo parlando. Che cominciassimo
finalmente a conoscerci. Ma, quando glielo domandai, lui abbassò gli occhi
sul pavimento e rispose: «Non penso sia una buona idea».
Chiudendomi la porta alle spalle, sola in camera mia, mi sentii
profondamente stupida. Billy doveva aver pensato che ci stessi provando, e
questo mi riempiva di tristezza.
BILLY : Quando Daisy si sfilò la chiave di tasca, tirò fuori anche una bustina
di coca. Una volta in camera sua, avrebbe come minimo fatto un tiro. E io…
non volevo assistere.
Non potevo entrare in quella stanza.
DAISY : Per un momento mi ero illusa che potessimo essere amici, che Billy
potesse vedermi come una sua pari. Invece ero soltanto una donna con cui
avrebbe fatto meglio a non ritrovarsi da solo.
JONAH BERG: Dal mio punto di vista, gran parte dell’originalità e del pregio
di quel gruppo veniva dalla combinazione di Daisy e Billy. L’album solista
di Daisy era una bazzecola in confronto a quello che facevano i Six. E i Six
senza Daisy non si avvicinavano nemmeno a quello che diventavano con lei.
Daisy era una parte integrante, necessaria, irrinunciabile del gruppo.
Apparteneva a quella band.
E fu quello che scrissi.
JONAH BERG: Sapevo già come l’avrei intitolato ancora prima di finire di
scriverlo. I Six che dovrebbero essere Seven.
ROD : Era una gran copertina. Un bello scatto di tutti e sette sul palco, Billy e
Daisy che cantano nello stesso microfono, Graham e Karen che si guardano.
E tutti immersi nella musica. Nelle prime file del pubblico, quattro o cinque
spettatori con gli accendini accesi. E poi quel titolo.
ROD : Dopo qualche giorno, Billy si calmò. Quando salimmo sull’aereo che
ci avrebbe riportati a L.A., il suo atteggiamento era ormai diventato
ragionevole.
EDDIE: Quando uscì l’articolo, la tournée era finita. Stavamo rientrando tutti:
noi sette, Rod, i tecnici, i roadie…
WARREN : A un certo punto del volo, Billy era seduto accanto a me e stava
stendendo una lista di pro e contro riguardo alla decisione di accogliere
Daisy nel gruppo. Vedo Karen uscire da uno dei bagni con l’aria di una che è
appena stata scopata. Rossa in faccia, spettinata. Mi giro verso le file dietro
di me e chi ha misteriosamente abbandonato il suo posto? Bones.
EDDIE: Ero seduto nelle ultime file, e a un certo punto vedo Graham che si
alza, Karen che lascia il suo posto, Billy che va a parlare con loro. Cerco di
capire cosa cavolo stanno combinando, poi mi volto verso Daisy e le
chiedo: «Cosa pensi che stiano facendo?»
Ma lei è concentratissima su un libro, e mi risponde: «Lasciami in pace,
sto leggendo».
WARREN : Sbirciai Billy mentre compilava la sua lista, e notai che non ci
aveva messo molti contro, e che sembrava lambiccarsi il cervello per
trovarne uno.
«Non dimenticarti di scrivere Te lo fa rizzare tuo malgrado nella colonna
dei contro.»
Ribatté che stavo dicendo fesserie. «D’accordo, non vuoi la mia
opinione», feci io.
«Sì che la voglio», protestò. Io mi limitai a guardarlo, e alla fine ammise:
«E va bene, non la voglio».
Mi rilassai sul sedile, bevvi un sorso di Bloody Mary e ripresi a leggere
le istruzioni sul sacchetto per il vomito.
KAREN : Billy tornò da me e Graham con una lista di pro e contro. Era pian
piano giunto alla conclusione che voleva altre canzoni da classifica, e che
Daisy ce le avrebbe garantite.
«Potrebbe anche rifiutare», dissi. Era un’idea che non aveva mai sfiorato
né Billy né Graham. Ma Daisy faceva ancora più notizia di noi.
WARREN : Non riuscivo a capire perché Billy si stressasse tanto. Alla fine
avrebbe fatto quello che Teddy gli diceva di fare.
KAREN : È stato detto che Billy non volesse Daisy nel gruppo perché non era
disposto a condividere la gloria, ma io non credo che il motivo fosse quello.
Billy non era un insicuro da quel punto di vista. In realtà, era proprio quello
il suo problema. Il fatto di non essere intimidito dal talento altrui.
Penso semplicemente che Daisy… lo turbasse. In qualunque modo lo si
voglia interpretare.
GRAHAM: Ovviamente, Teddy era più che d’accordo con l’idea che Daisy si
unisse al gruppo.
BILLY : Teddy mi ricordò che al nostro primo incontro gli avevo detto che
volevo che i Six diventassero la band più importante del mondo. «Il modo
per farlo succedere», disse, «è che tu e Daisy cantiate insieme.»
BILLY : L’istante che varcai la soglia di casa, fu come se Daisy e la mia band
e la musica e gli strumenti e la tournée… fu come se avessero cessato di
esistere. Ero pronto ad andare a prendere il gelato alla fragola per Camila a
qualsiasi ora della notte e a giocare con il servizio da tè in miniatura di Julia
ogni volta che lei me lo chiedeva. La mia famiglia era l’unica cosa che
contava.
CAMILA : Quando tornò, Billy ebbe bisogno di un paio di giorni di
decompressione. Ma poi capii che era tornato sul serio. Che era davvero con
noi. E che era felice. Okay, pensai. Ci stiamo riuscendo. Stiamo facendo le
cose nel modo giusto.
ROD : Lasciai passare qualche giorno. Lasciai che la cosa si sedimentasse,
mi assicurai che Billy non cambiasse idea. Poi chiamai Daisy.
SIMONE: Quando Daisy arrivò dalla tournée, ero rientrata anch’io alla base.
E penso valga la pena di sottolineare che a quel punto Daisy era flippata di
brutto. Era costantemente strafatta. Ma che cavolo ti è successo là fuori?
pensai. Faceva fatica a stare da sola. Invitava gente di continuo nel suo
cottage, mi implorava di non riagganciare il telefono. Non le piaceva essere
sola. Non le piaceva la tranquillità.
DAISY : Quando Rod chiamò, avevo invitato un po’ di gente. Era il giorno del
servizio fotografico per la copertina di Cosmopolitan. In Europa mi avevano
intervistata, e quel pomeriggio avevamo scattato le foto.
Qualcuna delle ragazze della troupe era venuta da me per festeggiare, e
stavamo bevendo champagne rosé e preparandoci ad andare in piscina
quando squillò il telefono. «Pronto, parla Lola La Cava», risposi.
ROD : Daisy si faceva sempre chiamare Lola La Cava. C’erano troppi uomini
che la cercavano. Avevamo dovuto cominciare a fare i misteriosi riguardo ai
suoi spostamenti.
ROD : Sentii che faceva un tiro mentre le parlavo. Sono sempre stato molto
combattuto su questa questione quando si trattava dei miei musicisti, e con il
passare del tempo le cose non sono certo diventate più facili. Avrei dovuto
sorvegliarli oppure no? Erano fatti miei? Se sapevo che si facevano, avevo
il diritto di stabilire quando oltrepassavano il segno? E se ne avevo il
diritto, come potevo determinare quel quando?
Non sono mai riuscito a trovare una risposta.
SIMONE: Ero preoccupata. Non ero sicura che andare in tournée con una rock
band le avrebbe fatto un gran bene.
DAISY : Dissi a Simone che sarei passata a prenderla e che saremmo andate a
festeggiare.
DAISY : I miei non sapevano neanche che quella nel letto fossi io. Avevano
sentito qualcuno introdursi in casa e avevano chiamato la polizia. La
situazione venne chiarita, e loro dissero che non avrebbero sporto denuncia.
Ma a quel punto, tra la bustina di coca che avevo nel reggiseno e gli spinelli
nel portamonete, ero in un bel casino.
BILLY : Una notte, poche settimane dopo la fine della tournée, Camila mi
svegliò scuotendomi per le spalle e annunciò che erano cominciate le doglie.
Afferrai Julia e ci precipitammo in ospedale.
Mentre Camila sudava e strillava in quel letto, le presi la mano, le misi un
panno umido sulla fronte, le coprii il volto di baci e le tenni ferme le gambe.
Scoprimmo che dovevano farle un cesareo; mentre la portavano in sala
operatoria, le rimasi il più possibile vicino, stringendole la mano, e le dissi
che non c’era motivo di avere paura, che sarebbe andato tutto bene.
E poi vennero al mondo. Le mie gemelline. Susana e Maria. Due faccette
tutte schiacciate, due teste piene di capelli. Ma riuscii a distinguerle
all’istante.
Guardandole, mi resi conto che… [Esita] Mi resi conto che non avevo
mai visto un neonato. Che non avevo visto Julia appena nata.
Consegnai Maria alla madre di Camila, andai in bagno, chiusi la porta e
scoppiai in lacrime. Io… avevo bisogno di tempo per superare la vergogna.
Ma alla fine ce la feci. Non cercai di seppellirla sotto qualcos’altro.
Entrai in quel bagno, mi guardai allo specchio e la affrontai.
GRAHAM: Billy era un buon padre. Sì, era anche un ex tossico e si era perso
i primi mesi di vita della figlia. E questo per lui era fonte di vergogna. Ma si
stava rimettendo in piedi. Per le sue figlie. Stava sistemando le cose, e
migliorava di giorno in giorno. Era già molto più di quanto avesse mai fatto
qualsiasi altro uomo della nostra famiglia.
Non si drogava più, dava sempre la precedenza alle sue bambine,
avrebbe fatto, e faceva, qualsiasi cosa per i suoi cari. Era una brava persona.
Forse quello che voglio dire è che… se ti redimi, allora devi credere alla
tua redenzione.
BILLY : Mentre ero in ospedale, solo con Camila e le mie tre bambine, ci fu
un momento in cui mi dissi: Cosa ci faccio in tournée?
E così mi lanciai in un epico discorsone. «Mollo tutto, tesoro», dissi a
Camila. «Non voglio altro che la mia famiglia. Noi cinque. È tutto quello che
voglio o di cui ho bisogno.» Ed ero sincero. Probabilmente andai avanti per
dieci minuti buoni. «Non ho bisogno del rock ’n’ roll, ho solo bisogno di
voi.»
E Camila (che era reduce da un cesareo, bada bene), non lo dimenticherò
mai, ribatté: «Oh, Billy, piantala di blaterare. Ho sposato un musicista, e tu
farai il musicista. Se avessi voluto avere un’auto famigliare e il polpettone
pronto alle sei in punto, avrei sposato mio padre».
GRAHAM: Karen odiava tutti gli agrumi perché diceva che le lasciavano una
sensazione appiccicosa sui denti. Lo stesso motivo per cui non le piaceva il
seltz.
BILLY : Teddy venne a trovarci in ospedale. Portò un gran mazzo di fiori per
Camila e degli animali di peluche per le bambine. Quando se ne andò, lo
accompagnai all’ascensore, e lui disse che era fiero di me. Che ero davvero
riuscito a capovolgere la situazione. «L’ho fatto per Camila», dissi.
«Ci credo», rispose lui.
KAREN : I soldi c’erano, e volevo investirli bene; e così un giorno feci un bel
giro insieme a un’agente immobiliare, trovai una casa a Laurel Canyon e la
comprai.
Poco dopo, Graham vi si trasferì in via non ufficiale. Quella primavera e
quell’estate eravamo sempre insieme. Facevamo delle gran grigliate nel
patio, andavamo ogni sera a un concerto e la mattina dopo dormivamo fino a
tardi.
DAISY : Sembrava preoccupata per me. «Va’ pure», le dissi. «Ci rivediamo
presto.» Ero elettrizzata da quello che mi aspettava. Avrei fatto parte di un
gruppo.
GRAHAM: Avevo predisposto tutto. Mi ero accordato con Rod e Teddy. Billy
diceva di avere una gran voglia di rimettersi al lavoro. Dovevamo solo
stabilire una data di consegna ragionevole per l’album. E così indissi una
riunione.
EDDIE: Pete aveva trascorso l’intero periodo a Boston con Jenny. La loro
storia stava diventando seria.
Ma a me starmene a casa non piaceva. Quello che mi piaceva era girare il
mondo e suonare, non so se mi spiego. Sicché ero pronto a rimettermi al
lavoro. Perfino l’idea di avere a che fare con Billy non era poi così
tremenda, e ho detto tutto.
Quando Graham chiamò dicendo che era arrivato il momento di
ritrovarci, ero prontissimo. Chiamai Pete e gli dissi: «Sali sul primo volo
che trovi. Le vacanze sono finite».
ROD : «Voi sette siete destinati ad arrivare sempre più in alto», mi sembra di
aver detto. O qualcosa del genere.
DAISY : Non era facile interpretare i pensieri di Billy. Da quando mi era stato
proposto di entrare nel gruppo, non si era più fatto sentire. In realtà, nessuno
di loro mi aveva spiegato granché su come sarebbero andate le cose o su
quale fosse la sua opinione in merito. Volevo solo che tutto fosse
perfettamente chiaro. «Mi sto unendo ufficialmente al gruppo perché voglio
essere un membro di questa squadra», dissi. «Un membro importante. Spero
che siamo tutti d’accordo sul fatto che questo album appartiene a me allo
stesso modo che a chiunque altro nel gruppo. Allo stesso modo che a
Graham, o a Pete, o a Eddie, o a Karen…»
KAREN : «O a Billy», dice Daisy. Mi volto verso Billy per vedere come la
prende. Lui sta sorseggiando una bibita da un boccale da birra.
DAISY : «Mi avete chiesto di entrare nel gruppo perché quando suoniamo
insieme la nostra musica è migliore di quella che facciamo separati»,
proseguii. «Per questo motivo voglio poter dire la mia riguardo alla musica.
Voglio scrivere quest’album insieme a te, Billy.»
Teddy mi aveva detto che potevo scrivere il mio secondo disco, e quella
mi sembrava l’occasione giusta. Ciò che volevo era liberarmi di tutti i freni
e gli ostacoli. Volevo affrontare il pubblico a testa alta, come quando avevo
cantato «When You Fly Low» a cappella. Volevo cantare le canzoni che
sentivo nel cuore davanti alla gente.
Se i Six non mi volevano per questo, il loro premio di consolazione non
mi interessava.
GRAHAM: Daisy non voleva che Billy facesse una scenata ogni volta che lei
avesse tentato di dare il suo contributo, e per questo stava cercando di
mettere subito le cose in chiaro. Probabilmente avremmo dovuto farlo anche
noialtri fin dall’inizio, se volevamo davvero avere voce in capitolo.
Di sicuro, se Eddie avesse avuto anche solo la metà del coraggio di
Daisy, avrebbe risolto i suoi problemi con Billy anni prima.
KAREN : Billy era bravissimo nel farti credere di essere matto a pensare che
nel gruppo ci fossero degli squilibri, quando in realtà c’erano eccome. Non
si rendeva neanche conto del modo in cui tutti ruotavano intorno a lui.
ROD : Gli Eletti non sanno mai di esserlo. Credono che chiunque al mondo si
ritrovi srotolato davanti un tappeto d’oro.
GRAHAM: A un certo punto si fece sentire anche Pete. «Visto che ne stiamo
discutendo», disse, «d’ora in avanti voglio il completo controllo dei miei
giri di basso.»
BILLY : Dissi a Pete che mi stava bene che scrivesse i suoi giri. In realtà lo
faceva già da tempo.
EDDIE: Volevo dire la mia su quello che suonavo. Tutti gli altri stavano
parlando come se Billy cercasse di controllarli, e in effetti era così. Ma
quello che controllava sul serio ero io. «D’ora in poi i miei riff li scrivo io»
dissi.
BILLY : Pensai: Naturale che Eddie pianti la grana. Feci per ribattere, ma
Teddy allungò la mano e mi scoccò un’occhiata come a dirmi: Per il
momento non rispondere. Ascolta e basta.
Sapevamo entrambi che per alcuni è importante farsi sentire,
indipendentemente dal fatto che li si ascolti davvero.
BILLY : Non facevo che sentire lamentele. A un certo punto, pensai: Ma cosa
vi ho fatto, a parte farci arrivare dove siamo?
GRAHAM: Pensavo che Eddie non avesse tutti i torti. Come sarebbe cambiata
la nostra musica con l’arrivo di Daisy? Specialmente in fase di scrittura. Ma
ovviamente Billy lo prese come un attacco personale.
Quando hai tutto, se qualcun altro ottiene qualcosa pensi che l’abbia
rubata a te.
KAREN : Tutto quello che stava succedendo era ancora indefinito. Daisy
sarebbe stata un membro permanente dei Six? Personalmente non lo sapevo,
né lo sapeva Daisy. Non credo che lo sapesse neanche Billy.
DAISY : Ci stavo riflettendo da un po’, sul nome che avremmo dovuto avere e
su quello che credevo di meritare.
«Se siete tutti d’accordo su quello che ho detto e volete che diventi un
membro dei Six, lo farò», dissi. «Non c’è bisogno che compaia il mio nome.
Ma se la cosa è temporanea, allora dobbiamo pensare a un nome diverso.»
KAREN : «Che ne dici di The Six featuring Daisy Jones?» chiese Billy.
ROD : Era la dicitura con cui era uscito «Honeycomb», sicché capivo la sua
proposta.
BILLY : Mi aveva lasciato due scelte. Se non voleva che le avessi, non
avrebbe dovuto darmele.
ROD : Teddy capì che si stava creando una certa tensione. Aveva cercato di
non intervenire nella conversazione, ma a quel punto lo fece. «Vi chiamerete
Daisy Jones & The Six», disse. Nessuno ne fu particolarmente felice, ma
almeno erano tutti ugualmente insoddisfatti.
DAISY : Penso che Teddy volesse assicurarsi che il mio nome spiccasse. Ero
io ad attirare l’attenzione sul gruppo: il mio nome doveva essere in primo
piano.
BILLY : Teddy cercava di salvaguardare il nome dei Six. A Daisy non
volevamo promettere niente.
DAISY : Non credo che Billy si fosse davvero risentito per le mie richieste.
Erano tutte ragionevoli. A farlo incazzare era solo l’idea che io fossi
consapevole del potere che avevo; avrebbe preferito di gran lunga che non lo
sapessi o non lo usassi. Mi spiace, ma non è il mio stile. In realtà, non
dovrebbe essere lo stile di nessuno.
Billy era abituato troppo bene, perché tutti gli avevano sempre lasciato
fare quello che voleva. E io ero la prima persona che osava dirgli: «Io
dipendo da te tanto quanto tu dipendi da me». E questo spalancò le porte a
Pete, a Eddie e… be’, un po’ a tutti quanti.
ROD : Teddy disse che la Runner voleva che l’album fosse pronto per la fine
del ’78. Eravamo già in agosto. Dovevamo mettere da parte le divergenze
creative, gli egocentrismi e tutto il resto e tornare giù in miniera.
Nell’agosto del 1977, i sette membri del gruppo entrarono nello Studio 3
di Wally Heider per dare inizio alle registrazioni del loro terzo album.
KAREN : Hai idea di quanto sia facile rovinarsi la vita andando a letto con un
membro della propria band?
EDDIE: Io arrivai con Pete. A quel punto credo che fossimo gli unici due
rimasti a Topanga Canyon. Prima che lui tornasse dalla East Coast avevo la
casa tutta per me.
«Prevedo che sarà interessante», dissi mentre andavamo allo studio.
Lui mi suggerì di non prendere la cosa troppo sul serio. «È solo rock ’n’
roll», disse. «Non ha alcuna importanza.»
BILLY : A quel punto avevo una dozzina di canzoni, ed erano tutte a uno
stadio avanzato. Ma sapevo di non potermi presentare dicendo di avere già
scritto l’intero album, come avevo fatto con i primi due. Non potevo.
DAISY : Eravamo tutti seduti, e io feci girare il mio quaderno. «Qui dentro ci
sono un sacco di buoni spunti», dissi. Avevo pensato di farlo leggere e poi
parlarne insieme.
KAREN : Magari sto facendo del revisionismo, ma penso che, quando Billy
suonò «Aurora», fu chiaro a tutti che avremmo potuto costruirci intorno un
album.
GRAHAM: Eravamo tutti d’accordo sul fatto che «Aurora» fosse un magnifico
punto di partenza: cazzo, era una gran canzone. A quel punto, Daisy cominciò
a proporre idee sull’album nel suo complesso.
EDDIE: Billy non voleva che lavorassimo a quel pezzo senza di lui. Ma non
voleva neanche che Daisy si mettesse a scrivere canzoni da sola. Sicché
doveva scegliere: andare con Daisy e mettersi a scrivere insieme a lei o
restare con noi e lavorare all’arrangiamento del pezzo.
E scelse Daisy.
DAISY : Quando aprii la porta, vidi che Billy era già lì, pronto a mostrarmi il
suo quaderno. Neanche un ciao. «Ecco, leggi», disse.
BILLY : Le confessai la verità. «Ho già scritto gran parte dell’album», dissi.
«Vuoi darci un’occhiata per vedere dove possiamo intervenire insieme? Se
magari ci sono dei vuoti che possiamo riempire con del materiale nuovo o
qualcosa che hai già scritto?»
DAISY : La cosa non avrebbe dovuto sorprendermi. Con lui non sarebbe mai
stato facile, giusto? Quello che feci, mi pare, fu prendere una delle bottiglie
di vino che avevo visto sul banco, stapparla, buttarmi sul divano e
cominciare a bere. «È fantastico che tu abbia già scritto un mucchio di
canzoni, Billy», dissi. «Le ho scritte anch’io. Ma quest’album lo faremo
insieme.»
DAISY : «Allora, anche tu», ribattei. E gli sbattei in faccia il mio quaderno.
Si vedeva benissimo che non aveva nessuna voglia di leggerlo. Ma sapeva di
doverlo fare.
BILLY : Lessi le sue cose, e non erano male, ma non andavano bene per noi.
Usava una quantità di metafore bibliche. E così, quando mi chiese cosa ne
pensavo, glielo dissi. «Dovremmo usare il mio materiale come struttura
portante, e affinarlo insieme.»
Daisy era stravaccata sul divano con i piedi sul tavolino, e la sua posa già
mi infastidiva. E a quel punto disse: «Non ho intenzione di cantare tutto un
album su tua moglie, Billy».
DAISY : Aveva quel suo sorrisetto saputo, quello che faceva quando pensava
di essere più intelligente di chiunque altro. Giuro che mi dà ancora gli
incubi, quella sua maledetta espressione. «Tu credi che tutti scrivano di
droga solo perché non ti puoi fare», gli dissi.
E lui: «Continua pure a ingoiare pillole e scriverci sopra canzoni, e
vedrai che fine farai».
Gli gettai addosso le sue pagine. «È un vero peccato che non possiamo
essere tutti morigerati e scrivere canzoni interessanti come colla da
tappezzeria. Oh, ecco una canzone su quanto amo mia moglie! E un’altra! E
un’altra ancora!»
Lui cercò di dirmi che mi sbagliavo, ma io insistetti: «Sono tutte canzoni
su Camila. Non puoi continuare a chiedere scusa a tua moglie e costringere il
gruppo ad accompagnarti».
DAISY : «Buon per te che ti sei creato un’altra dipendenza», proseguii. «Ma
non è un mio problema, non è un problema della band e nessuno ha voglia di
sentirlo.» Glielo si poteva leggere in faccia: sapeva che avevo ragione.
BILLY : Si credeva così brillante solo perché aveva capito che avevo
sostituito la mia dipendenza. Come se non lo sapessi, che mi aggrappavo
all’amore per le mie ragazze per non ricadere negli eccessi. E questo mi fece
imbestialire ancora di più, che lei pensasse di conoscermi meglio di quanto
conoscessi me stesso.
«Vuoi sapere qual è il tuo problema?» dissi. «Credi di essere una
poetessa, ma sai solo parlare di droga, non hai nient’altro da dire.»
DAISY : Andai dritta verso la mia auto, sempre più incazzata a ogni passo che
facevo. Ai tempi avevo una Mercedes Benz rosso ciliegia. Mi piaceva da
morire, quella macchina. Finché non la distrussi lasciandola in folle in cima
a una collina.
In ogni caso, quel giorno mi incammino verso la Benz, ho già le chiavi in
mano e sto per mettere la maggior distanza possibile tra me e Billy, quando
mi rendo conto che, se me ne vado, lui non farà altro che scrivere l’album da
solo. E così faccio dietrofront e dico: «Neanche per sogno, stronzo».
BILLY : Forse quella fu la prima volta in cui mi resi conto che al mondo non
esiste… non c’è nessuno più attaccato di Daisy al proprio lavoro. Daisy ci
teneva più di chiunque altro. Era pronta a metterci l’anima. Malgrado tutte le
difficoltà che cercavo di crearle.
Pensai anche a Teddy, a quando mi aveva detto che grazie a lei avremmo
riempito gli stadi. E così le dissi: «D’accordo». E ci stringemmo la mano.
BILLY : Non era così facile pensare di scrivere insieme dopo esserci detti
quello che ci eravamo detti.
DAISY : Mi ripresi le chiavi e gli dissi che, se aveva tanta voglia di guidare,
potevamo andare con la sua auto.
BILLY : «‘Tiny Love’ sei tu?» domandai. E lei cominciò a raccontarmi della
storia con Wyatt e di come le erano venuti quei versi: «Big eyes, big soul /
Big heart, no control / But all she got to give is tiny love». Adoravo il
ritornello di quel pezzo. L’avevo sempre amato.
DAISY : Billy mi stava ascoltando. Mi ascoltò per tutto il tragitto fino al
ristorante, mentre guidava. Forse per la prima volta da quando ci siamo
conosciuti.
DAISY : Mi faceva ridere il fatto che per Billy avessi bisogno di una
motivazione per voler dire la mia sull’arte che creavo. «Ottimo, allora»,
dissi. «Adesso che ci sei arrivato, magari puoi smetterla di comportarti
come una testa di cazzo.»
DAISY : Era disposto a scrivere con me. Quello fu il messaggio che recepii.
DAISY : «Che cos’ha di così speciale Camila che non riesci a scrivere
d’altro?» domandai.
Lui rimase a lungo in silenzio.
«Coraggio, adesso che hai fatto rispondere me, non puoi sottrarti», dissi.
«Un attimo, ti spiace?» fece lui. «Non sto cercando di sottrarmi a niente.
Sto solo riflettendo sulla risposta.»
Lasciò passare un altro paio di minuti, poi riprese: «Penso di non essere
l’uomo che Camila crede che sia. Ma vorrei esserlo, lo vorrei tanto.
Restando accanto a lei, e sforzandomi ogni giorno di essere l’uomo che lei
vede, forse posso arrivarci vicino.»
DAISY : Pagavo il prezzo per le parti di se stesso che non gli piacevano.
DAISY : Finii il mio hamburger, lasciai giù un po’ di soldi e mi alzai. «Dove
stai andando?» chiese Billy.
«Torniamo da Teddy», risposi. «Scriveremo la canzone su quelli che
rincorrono gli incubi.»
DAISY : Mentre tornavamo da Teddy, mi fece sentire una melodia che gli
girava in testa. Eravamo fermi a un semaforo, e lui picchiettava le dita sul
volante e canticchiava.
BILLY : Avevo in mente un ritmo alla Bo Diddley. Era una cosa che volevo
provare.
BILLY : Continuava a girarmi intorno. Voleva farmi vedere quello che aveva
scritto. Alla fine sbottai: «Ti vuoi levare dalle palle?»
Poi mi resi conto che, considerato quanto l’avevo trattata male in passato,
dovevo mettere in chiaro che le avrei parlato nello stesso modo che avrei
riservato a Graham o a Karen. E così le dissi: «Per favore, puoi levarti dalle
palle? Va’ a prendere un doughnut o qualcos’altro».
«Ho già mangiato un hamburger», rispose lei. Fu allora che realizzai che
Daisy mangiava solo una volta al giorno.
DAISY : Dal punto di vista della struttura, i suoi versi erano meglio dei miei.
Ma non aveva ancora trovato un bel ritornello, e io invece pensavo di
esserci arrivata. Gli mostrai la parte che mi piaceva di più di ciò che avevo
scritto e gliela cantai con la melodia che mi aveva fatto sentire. Glielo lessi
in faccia: si era reso conto che suonava bene.
BILLY : Fu un lungo tira e molla, con quella canzone. Ne parlammo per ore,
sperimentando melodie con la chitarra.
DAISY : Credo che la versione finale non contenga nemmeno uno dei versi
originari.
DAISY : Teddy entrò dalla porta ed esclamò: «Cosa diavolo fate ancora qui?
È quasi mezzanotte».
DAISY : «A proposito», mi domandò Teddy, «sei per caso entrata in casa mia
e hai usato il costume da bagno di Yasmine?»
«Sì», ammisi.
«Preferirei che non lo rifacessi», disse lui.
BILLY : Stavo per togliere il disturbo, ma a un tratto pensai: Perché non gli
facciamo sentire quello che abbiamo scritto? E così Teddy si sedette sul
divano e noi davanti a lui.
Cominciai a dire: «Non è ancora la versione finale, l’abbiamo giusto
buttata giù eccetera eccetera…»
DAISY : Era come se avessimo stabilito tutti insieme di non parlare del fatto
che Billy aveva bisogno dell’approvazione di Teddy come un figlio ha
bisogno di quella di un padre.
KAREN : «Aurora» era una grande canzone con una bellissima struttura di
base, e ci divertimmo tutti un mondo a darle corpo.
Billy aveva una concezione più spartana delle tastiere, ma io volevo
provare suoni più ricchi, più di atmosfera. E così, quando ci mettemmo al
lavoro su «Aurora», inserii quelle toniche e quinte sostenute. Per mantenere
un po’ di dinamicità, spezzavo un po’ gli accordi tematici, ma tenevo il
pedale per rendere gran parte dei bassi, passando dallo staccato al legato.
Le variazioni di tastiera portarono Pete a variare quelle di basso. A quel
punto è il basso a farti battere il piede, mentre la chitarra ritmica fa viaggiare
il tutto.
GRAHAM: Billy passò dallo studio, non ricordo più che giorno era, e disse
che voleva sentire quello che avevamo pensato per «Aurora».
EDDIE: Gliela suonammo. In realtà non eravamo ancora organizzati per farlo,
non avevamo registrato niente, ma la suonammo per lui.
BILLY : Quell’arrangiamento non mi sarebbe venuto in mente neanche in un
milione di anni. Mentre ascoltavo, riuscivo a malapena a mantenere una
maschera di neutralità. Era tutto strano, sbagliato, fastidioso. Come quando
cerchi di infilarti le scarpe di un altro.
Ogni singola cellula del mio corpo mi stava dicendo: Questo non sono io.
Così non va bene. Devo intervenire all’istante.
KAREN : No, non gli piaceva proprio. [Ride] Gli faceva schifo.
BILLY : Mi fece salire sulla sua auto e andammo a pranzo, o forse a cena. Ero
immerso nei miei pensieri, continuavo a sentire la mia canzone che veniva
rovinata.
L’istante in cui ci sedemmo a tavola feci per parlare, ma Teddy alzò la
mano per fermarmi. Prima voleva ordinare. Scelse praticamente tutto quello
che c’era di fritto sul menu. Se una cosa era coperta di pastella, Teddy la
mangiava.
«Okay, sputa il rospo», disse quando la cameriera si fu allontanata.
«Secondo te suona bene?» chiesi.
«Secondo me sì», rispose.
«Non credi che dovrebbe essere un po’ meno… congestionata?» insistetti.
«Sono musicisti di talento», disse Teddy. «Esattamente come te. Lascia
che ti mostrino quello che da solo non riesci a vedere nel tuo materiale.
Aspetta che mettano giù tutte le tracce. A quel punto tu e io potremo togliere
dove sarà necessario, addolcire e tutto il resto. E, se saremo costretti a farli
tornare uno alla volta per sovraincidere, faremo anche quello. Se necessario,
potremo cambiare la canzone pezzo per pezzo. Ma la spina dorsale? Sì,
penso che stiano facendo un ottimo lavoro.»
Ci riflettei, e sentii una gran pressione sul petto. Ma alla fine mi arresi.
«E va bene, mi fido di te.»
E Teddy ribatté: «Bene. Ma devi fidarti anche di loro».
ROD : Quando tornò, Billy aveva poche, semplici osservazioni da fare. Tutte
costruttive.
GRAHAM: Non saremmo mai arrivati alla prima versione di quella canzone
se le cose fossero andate come voleva Billy. Però, con il coinvolgimento di
tutti, ci stavamo evolvendo.
DAISY : La suonammo per intero, dalla prima all’ultima nota. Tutti insieme,
un sacco di volte. Come una vera band.
A un certo punto guardai Billy, scambiai un sorriso con lui e pensai: Sta
succedendo davvero. Facevo parte di un gruppo. Ero una di loro. Noi sette e
la nostra musica.
BILLY : Quando cominciammo a cantare, mi ci volle un po’ per scaldarmi, ma
Daisy ci arrivò subito. Era proprio… Daisy era un vero talento naturale. Se
te la ritrovavi contro, una come lei era davvero fastidiosa. Ma se giocava
nella tua squadra… accidenti. Un fenomeno.
DAISY : Sapevo che avrebbe sfondato. Sono convinta di averlo saputo fin da
allora.
DAISY : Qualche giorno dopo, mi sembra che fosse il fine settimana, ero al
Marmont e stavo dando una scorsa al mio quaderno quando trovai una
canzone di Billy tra le mie. Una di quelle che aveva scritto per l’album:
«Midnights». Mi sembra che allora si intitolasse ancora «Memories».
Dovevo averla presa per errore a casa di Teddy. La rilessi, probabilmente
una decina di volte di fila.
Era fin troppo sdolcinata, tutta sui ricordi felici di Billy con Camila. Ma
lì in mezzo c’erano dei bei versi. E così cominciai a scribacchiarci sopra. A
sperimentare.
DAISY : Gli risposi che era un ottimo pezzo. «Aveva solo bisogno di un
pizzico di tristezza.»
BILLY : «Capisco cosa intendi», ribattei, «ma non riesco a capire cos’hai
scritto.» Lei perse la pazienza e mi strappò il foglio di mano.
DAISY : A quanto pareva, gliela dovevo leggere io. Feci per recitare il primo
verso, ma poi mi resi conto che era un’idiozia. «Suonala come l’hai scritta»,
gli dissi.
BILLY : Mi fermò posando la mano sul manico della chitarra. «Ho capito»,
disse. «Ricomincia dall’inizio e ascolta.»
BILLY : Quella che era una canzone sui ricordi più belli divenne una canzone
su quello che riesci e non riesci a ricordare. Bisognava ammetterlo, era più
sottile, più complessa. Molto più aperta alle interpretazioni.
Era simile a quello che mi ero prefisso di fare scrivendola, solo… [Ride]
Era meglio di quello che mi era venuto fuori, francamente.
DAISY : In realtà, non avevo cambiato molto. Avevo solo aggiunto l’elemento
di ciò che non ricordi per dare risalto a quello che ricordi. E l’avevo
modificata per includere una seconda voce.
BILLY : La facemmo sentire agli altri giù allo studio. Io, lei e una chitarra, nel
salottino.
EDDIE: «Bella», dissi. «Mi metto subito al lavoro sulla mia parte.»
«Be’, la tua parte è già scritta», fece Billy. «È quella che ho appena
suonato.»
«Fammici lavorare un po’», insistetti.
«Non c’è da lavorarci», ribatté lui. «Io e Daisy l’abbiamo scritta e
riscritta. Dammi retta, suonala come l’ho suonata io.»
«Non voglio suonarla come l’hai suonata tu», protestai.
Lui mi diede una pacca sulla spalla e disse: «Va bene così. Suonala come
l’ho suonata io».
EDDIE: La cambiai un po’. La sua versione non era perfetta. Non c’era un
unico modo di suonarla, quella canzone, e così la modificai. E funzionava
meglio. Sapevo come avrei dovuto suonare i miei riff, sapevo come avrebbe
funzionato. Si era detto che tutti potevamo dire la nostra, e fu quello che feci.
KAREN : Allora non mi accorsi delle tensioni tra Eddie e Billy per quel
pezzo. Ne sarei stata messa al corrente più avanti da entrambi, ma al
momento ero… distratta.
GRAHAM: Sai cos’è una delle cose più belle al mondo? Fare l’amore con la
tua ragazza nello sgabuzzino dello studio mentre gli altri registrano, in un
silenzio così assoluto che potresti sentir cadere uno spillo.
Quello sì che era fare l’amore. La sensazione di amare. Di essere le
uniche due persone al mondo che contano. Io e Karen. Sentivo di poterle
mostrare quanto l’amavo, in quello sgabuzzino, senza dire una parola.
WARREN : Essere fieri di aver previsto che Eddie avrebbe lasciato il gruppo
è come essere fieri di aver previsto il sorgere del sole il giorno prima di un
disastro nucleare. Ottima intuizione, amico. Ma non ti eri accorto che il
mondo stava per finire?
DAISY : A fine giornata, mentre usciva, Billy mi disse: «Grazie per come hai
trasformato questa canzone».
Io risposi qualcosa di generico, tipo: «Figurati».
Ma Billy si fermò e mi posò una mano sul braccio con aria risoluta. «Sul
serio. L’hai resa una canzone migliore», disse.
Io… Significava molto per me. Moltissimo. Forse troppo.
BILLY : Stavo cominciando a capire, grazie a Teddy, che a volte quando
collabori con qualcuno ottieni cose artisticamente più profonde. Non è
sempre così. Ma con Daisy… lo era.
Dovevo riconoscerlo. Con lei, allora, lo era.
DAISY : Sentivo davvero di capirlo. E penso che lui capisse me. Sai, in quei
casi, quando si crea quel genere di rapporto tra due persone, è un po’ come
scherzare con il fuoco. Perché è una bella sensazione, essere capiti. Ti senti
in sintonia, ti senti a un livello che nessun altro riesce a raggiungere.
KAREN : Penso che le persone troppo simili tra loro non vadano bene l’una
per l’altra. Una volta ero convinta che due anime gemelle dovessero essere
uguali. Pensavo di dover cercare una persona come me.
Ormai non credo più nell’anima gemella, e non cerco più nulla. Me se ci
credessi, direi che l’anima gemella è quella persona che ha in sé tutto quello
che tu non hai, e che ha bisogno di quello che hai. Non una persona che porta
dentro le tue stesse sofferenze.
ROD : Stavamo registrando «Chasing the Night». Il gruppo ci aveva lavorato
durante il giorno e, visto che al momento non c’era bisogno di lei, Daisy se
ne andò.
DAISY : Avevo invitato un po’ di gente nel mio cottage. Amici attori e un paio
di conoscenze dello Strip. Una festicciola in piscina.
ROD : Le avevo detto di tornare più tardi, per registrare qualche versione
delle parti vocali sue e di Billy. Avrei dovuto essere più severo nel fissare
dei paletti riguardo agli orari di lavoro. In realtà, non avevamo orari
prestabiliti. Era tutto un po’ caotico.
Ma Daisy avrebbe dovuto ripresentarsi in studio per le nove.
ARTIE SNYDER : Era divertente lavorare con Billy e Graham, quando erano
solo loro due. A volte avevano un linguaggio tutto loro. Ma avevo la
sensazione di capire dove volevano arrivare. Comunque, mi chiedevo come
facessero. Se io avessi dovuto lavorare con mio fratello, ne sarei uscito
pazzo.
DAISY : Non sentivo i tagli sotto i piedi. Mi sa che non sentivo praticamente
niente.
BILLY : Non potevo restare. Non potevo, perché guardando Daisy, bagnata
fradicia, sanguinante e stonata al punto da reggersi in piedi a malapena,
quello che pensavo non era: Grazie al cielo non mi faccio più.
Era: Lei sì che si sa divertire.
ROD : Stavo prendendo un telo per Daisy quando vidi Billy voltarsi e
andarsene. Eravamo venuti con la mia macchina, sicché non sapevo bene
dove fosse diretto. Cercai di incrociare il suo sguardo, ma lui mi vide
soltanto all’ultimo momento, appena prima di scomparire dietro l’angolo. Mi
fece solo un piccolo cenno del capo, e io capii. Gli ero comunque
riconoscente per avermi accompagnato.
Billy sapeva prendersi cura di se stesso, ed era quello che stava facendo.
BILLY : Dissi a Rod che me ne andavo e gli chiesi se non gli dispiaceva
tornare in taxi, visto che eravamo lì con la mia macchina. Lui fu molto
comprensivo. Capiva il motivo per cui me ne dovevo andare.
Rientrato a casa, mi infilai a letto accanto a Camila e provai un gran
sollievo. Ma non riuscivo a prendere sonno. Continuavo a chiedermi cosa ne
sarebbe stato di me se avessi tolto di mano il bicchiere di whisky a
quell’uomo e me lo fossi scolato.
Avrei riso con gli altri e cantato una canzone? Mi sarei tuffato nudo in
piscina insieme a un mucchio di sconosciuti? Sarei finito in bagno a vomitare
l’anima, guardando qualcuno che si annodava il laccio e si faceva una pera?
Invece ero disteso nel buio e nel silenzio spezzato solo dal russare di mia
moglie. La verità è che sono una di quelle persone che sopravvivono
malgrado i propri istinti. Gli istinti mi stavano dicendo di correre incontro al
caos, ma la parte migliore del mio cervello mi aveva rispedito a casa dalla
mia donna.
DAISY : Non ricordo di avere visto Billy, quella sera. E nemmeno Rod. Non
so neanche come feci ad arrivare al mio letto.
BILLY : Sapevo che non sarei mai riuscito a addormentarmi, e così mi alzai e
scrissi una canzone.
ROD : Il giorno dopo, quando Billy arriva in studio, sono già tutti lì. C’è
perfino Daisy. È relativamente lucida, e sta bevendo un caffè.
DAISY : Mi sentivo in colpa. Non era mia intenzione saltare una sessione in
studio, ovviamente.
Perché mi conciavo in quel modo? Non riesco a spiegarlo. Vorrei poterlo
fare. Mi odiavo per questo, detestavo me stessa eppure continuavo a farlo,
finendo per odiarmi ancora di più. Non esistono spiegazioni logiche.
BILLY : Non è su Daisy. È sul fatto che quando sei sobrio ci sono cose che
non puoi toccare, che non puoi avere.
KAREN : Dopo che Billy ce la cantò per la prima volta, guardai Graham e
dissi: «Questa canzone è…»
E lui, senza bisogno di sentirmi finire: «Sì».
KAREN : «Dancing barefoot in the snow / Cold can’t touch her, high or
low»: la donna che danza scalza nella neve senza che il freddo la sfiori è
Daisy Jones.
BILLY : Avevo voluto scrivere una canzone su una donna sfuggente come
sabbia che ti scorre tra le dita. Un’allegoria di tutte le cose che non potevo
avere e non potevo fare.
KAREN : Daisy non conosce la musica, non sa neanche i nomi degli accordi, è
completamente all’oscuro di qualsiasi tecnica vocale. Se quello che le viene
naturale non funziona, la devi togliere dalla canzone.
DAISY : La mia unica speranza a quel punto era che qualcuno mi salvasse da
me stessa. Chiedo cinque minuti di pausa, e Teddy mi suggerisce di fare due
passi per schiarirmi le idee. Esco e faccio il giro dell’isolato, ma riesco
solo a peggiorare le cose perché continuo a pensare: Non ce la faccio,
naturale che non ce la faccio e via dicendo. E alla fine mi arrendo. Salgo in
macchina e parto. Non sapevo come risolvere il problema, e così me ne
andai.
BILLY : L’avevo scritta per lei, quella canzone. Perché fosse lei a cantarla,
voglio dire. Per questo mi fece arrabbiare il modo in cui si arrese.
Certo, capivo la sua esasperazione. Daisy ha un talento elettrizzante, nel
senso che quando le sei vicino lo avverti proprio come una scossa. Ma non
sapeva controllarlo. Non era in grado di usarlo a comando, capisci? Doveva
sperare di trovarlo già pronto.
Ma arrendersi così era sbagliato. Specialmente dopo solo un paio d’ore
di tentativi. È questo il problema di quelli che non devono impegnarsi per
ottenere qualcosa: non sanno impegnarsi.
DAISY : Quella sera sono nel mio cottage con Simone, sto preparando la cena
e sento bussare alla porta. Vado ad aprire e mi ritrovo davanti Billy Dunne.
DAISY : Ero imbarazzata dal fatto che Simone gliel’avesse offerto, perché
sapevo che Billy mi considerava già una tossica e un’ubriacona. Avrei fatto
di tutto perché non pensasse che stavo cercando di traviarlo.
DAISY : «Devi cantare questa canzone», mi disse. Ribattei che non credevo
di avere la voce giusta. Facemmo un po’ di tira e molla, parlando del
significato del pezzo e dei possibili modi in cui avrei potuto affrontarlo,
finché a un tratto Billy disse che parlava di me. Che l’aveva scritta pensando
a me. Che la donna impossibile ero io. «She’s blues dressed up like rock ’n’
roll / Untouchable, she’ll never fold»: il blues vestito da rock ’n’ roll,
intoccabile e irriducibile, ero io. E in quel momento mi scattò qualcosa nella
testa.
BILLY : Non ho mai detto a Daisy che la canzone era su di lei, nel modo più
assoluto. Non avrei mai potuto farlo, perché non era vero.
DAISY : Era la chiave di volta. Ma gli ripetei ugualmente che non ero sicura
di avere la voce giusta.
BILLY : Le dissi che la canzone aveva bisogno di energia grezza. Che doveva
dare l’impressione di sfrigolare sotto la puntina. Che doveva sembrare
elettrica. Come se cantarla fosse una questione di vita o di morte.
DAISY : Il mattino dopo mi ripresento in studio e vedo che il resto del gruppo
non c’è. Ci sono solo Billy, Teddy, Rod e Artie al mixer. E capisco fin da
subito che… che andrà in modo diverso.
BILLY : Le dissi qualcosa come: «Devi cantarla con una forza e a un volume
tali da perdere il controllo della voce. Lascia che si spezzi, lasciati andare».
Le diedi il permesso di cantare male. Pensa a come si canta quando si
tiene la radio al massimo del volume. Quando non ci si sente, non si ha paura
di darci dentro, perché non si teme più il momento in cui la voce si spezza e
l’intonazione cede. Daisy aveva bisogno di quel tipo di libertà. Per
arrivarci, devi essere completamente sicura di te stessa, e Daisy in realtà
non lo era. Cantava sempre bene, ma chi è sicuro di se stesso accetta di
cantare male, non bene.
«Se questo pezzo lo fai cercando di cantare sempre bene, sei finita», le
dissi.
DAISY : «Questa canzone non vuole essere graziosa», disse Billy. «Non devi
cantarla come se lo fosse.»
ROD : Rientro in sala e vedo Daisy in cabina con le luci soffuse, un inalatore
Vicks, una tazza fumante di tè, un mucchietto di caramelle per la gola,
fazzoletti di carta, un’enorme caraffa d’acqua e non so cos’altro, sembrava
che ci fosse di tutto in quella cabina.
Daisy si siede e subito Billy balza in piedi, esce dalla sala mixer e rientra
in cabina. Le porta via la sedia, le alza il microfono. «Devi stare in piedi e
cantare così forte da farti tremare le ginocchia», le dice.
Daisy sembrava terrorizzata.
ROD : Non avevo intenzione di toglierle la roba più leggera per poi vederla
lanciarsi su quella più pesante.
DAISY : Bevvi qualche sorsata, guardai Billy attraverso il vetro e dissi nel
microfono: «Okay, vuoi che canti male, giusto?» Lui annuì. «E nessuno mi
giudicherà se finirò per strillare come un gatto?»
E non dimenticherò mai quello che rispose Billy. Si piegò in avanti sul
microfono e disse: «Se tu fossi un gatto, i tuoi strilli attirerebbero di corsa
tutti gli altri gatti». E l’idea mi piacque. Il fatto che se fossi stata me stessa,
me la sarei cavata.
E così aprii la bocca, feci un gran respiro e mi lanciai.
BILLY : Nessuno gliel’ha mai detto, e ancora oggi esito a farlo, ma… i primi
due tentativi furono terribili. Davvero orribili, tanto che mi stavo già
pentendo di quello che le avevo detto. Ma continuammo a incoraggiarla.
Quando una persona si assume dei rischi, e sei stato tu a convincerla, non
osi fare niente che possa destabilizzarla.
E così continuai a ripetere: «Bene, bene». E solo più avanti, credo
fossimo arrivati al terzo take, le dissi di scendere di un’ottava.
ROD : Eravamo al quarto o quinto take, mi sembra al quinto. E a un tratto
accadde una magia. E non è un termine che uso alla leggera. Magia. Avevo la
sensazione di assistere a qualcosa che poteva succedere solo poche volte nel
corso di una vita. Fenomenale. Quello che si sente sul disco è il quinto take
dall’inizio alla fine, senza tagli.
ROD : Per tutta la durata del pezzo non staccò mai gli occhi da Billy. E lui
idem, annuendo a tempo. Alla fine della canzone, Teddy si mise ad
applaudire. E l’espressione di Daisy, la gioia che vi si leggeva, era come
quella di una bambina a Natale. Davvero. Era così fiera di se stessa.
Si sfilò le cuffie, le lanciò via, si precipitò fuori dalla cabina e, non sto
scherzando, si tuffò dritta tra le braccia di Billy. Lui la sollevò da terra e per
qualche istante la fece roteare in aria. E avrei giurato di averlo visto
annusarle i capelli prima di rimetterla giù.
DAISY : Un pomeriggio Camila passò dallo studio con le bambine mentre
stavamo registrando.
GRAHAM: Le avevo chiesto come mai non le portasse più spesso. Di tanto in
tanto passava, ma solo per lasciare qualcosa per Billy, e senza mai fermarsi
più di un minuto. Non si tratteneva mai. E in quel periodo c’era sempre un
sacco di gente nello studio.
Ovviamente, la volta che decide di restare un po’, una delle gemelle
comincia a piangere senza alcun motivo apparente. E non la smetteva più.
Non ricordo se fosse Susana o Maria. Billy la prese in braccio e cercò di
calmarla, ma lei niente. Ci provai io, ci provò Karen. Ma, qualunque cosa
facessimo, era inutile.
Alla fine Camila dovette portarle fuori entrambe.
KAREN : Uscii a fare due passi con Camila e le bambine. «Come vanno le
cose?» le chiesi.
E lei… si lasciò andare. Cominciò a parlare, come se le parole le
uscissero spontaneamente dalla bocca. Le gemelle non dormivano e Julia ne
era gelosa e Billy non era mai a casa… Poi all’improvviso si bloccò, smise
di spingere il passeggino e disse: «Ma di cosa mi lamento? Amo la mia
vita».
CAMILA : Com’è che dice la frase? Le giornate sono lunghe, ma gli anni sono
corti? Chiunque sia stato a inventarla, di sicuro era una madre di tre figlie
sotto i tre anni. Di ora in ora sei più stanca e nervosa, ma quando posi la
testa sul guanciale scoppi di felicità. Crescere dei figli è un duro lavoro. Ma
ero felice di farlo.
Siamo tutti bravi in qualcosa. Io ero brava a fare la madre.
KAREN : Quello che Camila mi disse quel giorno fu più o meno: «Sto
vivendo la vita che voglio». E lo disse con una naturalezza speciale.
GRAHAM: Mentre Camila e le gemelle erano fuori, Billy fece sedere Julia in
sala mixer. La sistemò lì insieme ad Artie, Teddy e agli altri mentre noi
registravamo le nostre parti.
Julia si divertì un mondo, in quella saletta. Era graziosissima, con le
cuffie sulle orecchie e il suo minuscolo vestitino. Ai tempi aveva ancora i
capelli biondi. Aveva le gambette così corte che quando si sedeva non
riusciva neanche a piegarle, le teneva dritte davanti a sé.
KAREN : Decisi di dire a Camila di Graham. Avevo bisogno del suo aiuto per
capire cosa fare.
Non… A lui non l’avevo mai detto, ma una mattina avevo visto una lettera
di sua madre sul comodino. Non avrei voluto ficcare il naso, ma la lettera
era lì, e se ne scorgeva chiaramente qualche riga. Le righe in cui sua madre
gli diceva che, se davvero amava la ragazza con cui stava, avrebbe fatto
meglio a ufficializzare la cosa. E questo mi aveva spaventata.
GRAHAM: Volevo una famiglia. Non subito, però sì, volevo quello che aveva
mio fratello.
KAREN : «Cosa penseresti se ti dicessi che vado a letto con Graham?» chiesi
a Camila.
Lei si sfilò gli occhiali scuri e mi guardò negli occhi. «Se me lo dicessi?»
«Sì, se.»
CAMILA : Le dissi che se aveva una storia con Graham, ma non provava le
stesse cose che provava lui… be’, mi sembra di averle detto di farla finita.
KAREN : Mi pare di ricordare che disse: «Se fai soffrire Graham, ti uccido».
«Non hai paura che sia Graham a far soffrire me?» ribattei.
E lei: «Se fosse Graham a spezzarti il cuore, ucciderei anche lui, lo sai.
Ma sappiamo entrambe che Graham non lo farà. Sappiamo entrambe quale
piega prenderà questa storia».
Mi misi un po’ sulla difensiva, ma Camila non era tipo da fare marcia
indietro. Era bravissima a capire quello che avresti dovuto fare, e non aveva
alcun problema a dirtelo. Era molto irritante, perché alla fine aveva sempre
ragione lei. E te lo ricordava: «Te l’avevo detto». Facevi qualcosa che lei ti
aveva detto di non fare e alla fine, malgrado il fastidio che provavi, ti
ritrovavi lì ad aspettare il suo «Te l’avevo detto». E lei piazzava sempre il
colpo nel momento in cui avevi le difese abbassate.
CAMILA : Per l’intero tragitto di ritorno fino a casa, [Julia] non fece che
ripetere: «Daisy Jones può essere la mia migliore amica?»
BILLY : Quando Daisy mi fece leggere «A Hope Like You», pensai subito:
Potrebbe diventare una ballata per voce e piano. Era una canzone d’amore
molto triste. Sul volere qualcuno che sai di non poter avere sapendo che non
smetterai mai di volerlo.
«Come la senti?» le chiesi.
Lei me ne canticchiò una parte e io… la sentii. Sentii subito come
avrebbe dovuto essere.
ROD : In quel periodo sembrava che arrivassero con del materiale nuovo ogni
giorno.
KAREN : Era una fase un po’ maniacale, quel periodo. Un sacco di gente
nello studio, una quantità di canzoni che entravano e uscivano. Registrare,
registrare, registrare. Risentire ogni parte mille volte, cercando di
migliorarla di continuo.
C’era così tanto da fare, un mucchio di cose di cui occuparci. Ma la
mattina arrivavamo in studio ancora stravolti dalla notte prima. Alle dieci
del mattino eravamo come zombi. Finché il caffè e la coca non facevano
effetto.
ROD : L’album che stava cominciando a prendere forma era la fine del
mondo. Volevo essere sicuro che la Runner fosse preparata a investirci dei
soldi veri, perché quel disco meritava un grande lancio.
Cominciai a fare pressione su Teddy perché decidessero di stamparne un
numero enorme di copie. Volevo un singolo da classifica. Volevo che venisse
trasmesso in radio, dalle stazioni rock e pop. Volevo una tournée con le
contropalle. Stavo diventando molto ambizioso. Volevo una partenza a razzo.
Tutti sapevano che la coppia Daisy-Billy sul palco avrebbe fatto vendere
biglietti e dischi. Lo sentivi nell’aria. E Teddy si assicurò di avere
l’appoggio di tutti. Si avvertiva l’eccitazione perfino negli uffici della
Runner.
DAISY : Io e Billy scrivemmo quattro canzoni nel giro di una settimana o due.
In realtà i pezzi erano sette, ma solo quattro finirono sull’album.
ROD : Tirarono fuori «Please», «Young Stars», «Turn It Off» e «This Could
Get Ugly» nello spazio di una settimana.
BILLY : Eravamo ormai arrivati al punto in cui potevamo andare avanti per un
bel po’ ad aggiustare e affinare. Avevamo abbastanza fiducia in noi stessi
per insistere anche quando qualcosa non veniva subito bene. «Young Stars»
si sviluppò in questo modo.
DAISY : «Tell you the truth just to watch you blush / You can’t handle the hit
so I hold the punch.» Direi la verità solo per vederti arrossire, ma tu non
reggeresti e così mi trattengo. Quella canzone finì per penetrare molto a
fondo, forse fin troppo. «I believe you can break me / But I’m saved for the
one who saved me.» Tu mi puoi spezzare, ma mi conservo per lei che mi ha
salvato.
BILLY : Be’, a volte è difficile dire di cosa parla una canzone. Certe volte
non sai nemmeno tu perché hai scritto questo o quel verso, o come ti è venuto
in mente, o cosa può significare.
DAISY : Le canzoni che stavamo scrivendo insieme… [Esita] L’impressione
che cominciavo ad avere era che molte delle cose che Billy scriveva
riguardavano quello che provava nel profondo. Mi sembrava chiaro che
c’erano cose inespresse che venivano espresse da quello che scrivevamo.
BILLY : «This Could Get Ugly»… Quello fu un caso in cui la musica venne
prima delle parole. Io e Graham avevamo trovato un giro di chitarra che ci
piaceva, e la canzone si sviluppò da quello. Andai sul serio da Daisy e le
chiesi: «Hai niente per questa musica?»
DAISY : Mi era venuta quest’idea: che quando le cose si mettono male, in
realtà è un bene. Volevo scrivere un pezzo sulla certezza di avere capito tutto
di qualcuno, anche se quel qualcuno non lo sa.
BILLY : «This Could Get Ugly» era sua tanto a livello di idea quanto di
esecuzione, ed era… eccellente.
Daisy aveva scritto qualcosa che avrei potuto scrivere io, tranne che
sapevo che non ci sarei mai riuscito. Non mi sarebbe mai venuto in mente un
testo simile. Il che è quello che chiediamo all’arte, giusto? Esprimere
qualcosa che ci sembra sia sempre vissuto dentro di noi? Prendere un pezzo
del nostro cuore e mostrarcelo? È come se ti venisse presentata una parte di
te stesso. E con quel pezzo Daisy aveva fatto esattamente questo. Quanto
meno per me.
Potevo solo farle i miei complimenti. Non cambiai una sola parola.
EDDIE: Quando arrivarono in studio con «This Could Get Ugly», pensai:
Fantastico, un altro pezzo in cui non ho spazio per provare cose nuove.
Non mi piaceva la persona in cui mi stava trasformando quella situazione.
Di solito non sono un piantagrane. In qualsiasi altra situazione non lo ero.
Ma mi stavo davvero stufando, capisci? Di andare al lavoro ogni mattina
sentendomi un cittadino di seconda classe. Sono cose che ti fanno venire
strane idee, chiunque tu sia.
Lo dissi a Pete. «Cittadino di seconda classe, albergo di prima classe»,
gli dissi.
KAREN : Decisamente, erano diventati un club di cui noi non facevamo parte,
Daisy e Billy. Perfino alla Runner Records la parola d’ordine era far sì che
fossero felici. Equilibrati.
WARREN : Tutto quello che non le andava di fare, Daisy lo evitava. Arrivava
in studio stravolta, ma si comportavano tutti come se fosse la gallina dalle
uova d’oro.
EDDIE: È un grosso impegno, fare in modo che Billy resti sobrio e Daisy
equilibrata. Per quanto mi riguarda, dubito che Teddy Price si sarebbe
impegnato più di tanto per assicurarsi che non mettessi piede in un bar.
GRAHAM: Era l’unico testo scritto da me che mi piaceva sul serio. Non
avevo mai scritto canzoni: era sempre stato Billy a farlo. Ma di tanto in tanto
buttavo giù qualche verso. E ora, finalmente, avevo scritto un pezzo di cui
ero fiero.
Parlava del fatto che, malgrado ormai sia io che Karen vivessimo nel
lusso, con lei sarei stato felice di abitare in una catapecchia. Mi ero ispirato
alla vecchia casa di Topanga Canyon, quella che un tempo occupavamo tutti
insieme e dove Pete e Eddie continuavano a stare.
Il riscaldamento funzionava a malapena, l’acqua calda non c’era quasi
mai, una delle finestre era sfondata e via andare, ma se io e lei fossimo
rimasti insieme non aveva importanza. «There’s no water in the sink / And
the bathtub leaks / But I’ll hold your warm body in a cold shower / Stand
there with you and waste the hours.» Non c’è acqua nel lavandino e la
vasca perde, ma stringerò il tuo corpo caldo sotto una doccia fredda e
resterò là con te per ore.
KAREN : La cosa mi metteva un po’ a disagio. Non avevo mai promesso
niente a Graham riguardo al nostro futuro, e temevo che lui invece ne
vedesse uno. Sfortunatamente, a quei tempi tendevo a fuggire dai problemi
che non volevo affrontare.
GRAHAM: Era la prima vera canzone che avessi mai scritto, e l’avevo scritta
per la donna che amavo. E Billy era così immerso nelle sue stronzate che non
sapeva neanche di chi si trattasse, e nemmeno me lo chiese. Lesse il pezzo in
una trentina di secondi e disse: «Magari sul prossimo album, che ne dici?
Questo è praticamente chiuso».
Io lo avevo sempre sostenuto. Non l’avevo mai abbandonato. L’avevo
sempre difeso su tutto.
BILLY : Ci eravamo ripromessi che per quell’album non avrei detto a nessuno
come fare il suo lavoro. Sicché non avevo intenzione di farmi dire da
nessuno cosa avrei dovuto cantare. Se non bisogna oltrepassare i confini, non
li deve oltrepassare nessuno.
ARTIE SNYDER : Sarebbe stato molto più semplice, per me, sistemarli in una
cabina ciascuno e isolarne le voci. Il fatto che usassero un solo microfono
rendeva il mio lavoro dieci volte più difficile.
Se Daisy aveva un’area più debole, non potevo sovrainciderla senza
perdere anche Billy. E fare avanti e indietro tra diversi take era quasi
impossibile.
Dovevamo registrare un’enorme quantità di take per ottenerne uno in cui
erano entrambi perfetti. Il resto del gruppo se ne andava, ma Daisy e Billy e
Teddy e il sottoscritto rimanevamo lì fino alle ore piccole. In più, quel
sistema limitava molto la pulizia delle tracce. A dire il vero, ero abbastanza
incazzato. Ma Teddy non mi diede manforte.
BILLY : Quando hai levigato tutti i nodi e lisciato tutti i graffi di una musica,
non c’è più emozione, giusto?
ROD : Questa l’ho sentita da Teddy, sicché non posso giurare sulla sua
attendibilità. Ma ci fu un’occasione in cui Billy e Daisy fecero mattina in
studio per le sovraincisioni di «This Could Get Ugly».
Teddy mi raccontò che, a un certo punto, si erano ormai fatte le ore
piccole, Billy non staccò gli occhi di dosso a Daisy per tutta la durata di un
take. Alla fine si accorse che Teddy lo stava guardando e distolse lo sguardo
all’istante, facendo finta di niente.
DAISY : Erano solo le undici del mattino, ma io ero già stonata. Billy si era
messo alla tastiera, e io mi sedetti accanto a lui. Mi mostrò le note e io ne
suonai qualcuna, cercando di capire la chiave giusta. I pochi versi che Billy
aveva già scritto… li ricordo ancora testualmente. «Nothing I wouldn’t do /
To go back to the past and wait for you.» Non c’è nulla che non farei per
tornare al passato e aspettarti. Lui li cantò, seduto accanto a me.
DAISY : Le nostre labbra si sfiorarono. Sentii le sue solo nel senso che mi
parve quasi di sentirle. Ma poi lui si ritrasse.
Mi guardò. E la sua espressione era così gentile, quando me lo disse.
«Non posso», sussurrò.
Sentii il cuore sprofondare nel petto. E non per modo di dire. Lo sentii
letteralmente sprofondare.
DAISY : Dopo avermi respinta, riportò gli occhi sulla tastiera, e capii che
cercava di fingere che non fosse accaduto nulla. Probabilmente per il mio
bene, anche se credo che pensasse soprattutto a se stesso. Era straziante, la
menzogna che stava cercando di far passare. Avrei preferito che mi
insultasse, piuttosto di vederlo così teso e immobile.
BILLY : Volevamo entrambi fingere che non fosse accaduto nulla. Speravo con
tutte le mie forze che uno dei due si alzasse e se ne andasse.
BILLY : Alla fine fui io a dovermene andare. Le dissi che avremmo ripreso a
scrivere in settimana, salii in macchina e tornai a casa da Camila.
«È ancora presto», fece lei.
«Volevo stare un po’ con te», risposi.
DAISY : Andai al mare. Non so per quale motivo. Da qualche parte dovevo
andare, e così proseguii fino alla fine della strada. Fino alla spiaggia.
Parcheggiai, e a un tratto provai vergogna e imbarazzo e mi sentii stupida
e sola e patetica e sleale e una persona orribile. E poi andai su tutte le furie.
Ero furiosa con lui. Per essersi tirato indietro, per avermi messa in
imbarazzo, perché non provava quello che avrei voluto che provasse. O
forse perché sospettavo che in realtà lo provasse, ma non volesse
ammetterlo. Comunque la si voglia mettere, ero arrabbiata. Non era una
reazione ragionevole, ma in fondo quale reazione lo è? Per quanto fosse
irragionevole, ero livida di rabbia. La sentivo bruciarmi nel petto.
Stiamo parlando di quello che probabilmente era il primo uomo della mia
vita che mi capiva davvero, che aveva un sacco di cose in comune con me…
e che malgrado tutto ciò non mi amava.
E quando trovi quella persona rara che sa davvero chi sei e malgrado ciò
non ti ama…
Ero fuori di me dalla rabbia.
BILLY : Era ancora presto. Guardai Camila e proposi: «Perché non saliamo in
macchina e andiamo da qualche parte?»
«Dove?» chiese lei.
Mi rivolsi a Julia. «Se potessi fare quello che vuoi, cosa faresti in questo
momento?»
Lei non esitò un istante. «Disneyland!» gridò. E così caricammo la
macchina e andammo tutti a Disneyland.
BILLY : Guardavo Julia e Camila sulla giostra nelle tazze da tè, le guardavo
girare. Le gemelle dormivano nel passeggino. Cercavo di togliermi dalla
testa ciò che era successo quella mattina e mi sembrava di impazzire,
perché… be’, non era semplice, ovviamente.
E a un tratto mi resi conto di una cosa. Che non era importante, cosa
provavo per Daisy. La storia è quello che hai fatto, non quello che hai quasi
fatto o che hai pensato di fare. E io ero fiero di quello che avevo fatto.
DAISY : Le azioni di Billy giustificavano davvero la mia canzone?
Probabilmente no. Anzi, no di certo. Ma la questione è questa: l’arte non
deve niente a nessuno.
Le canzoni parlano di sensazioni, non di fatti. La libera espressione di sé
riguarda ciò che si prova vivendo, non la rivendicazione di questa o
quell’emozione. Ho il diritto di essere in collera con lui? Ha fatto qualcosa
di male? Chi se ne frega? Io soffro, quindi scrivo.
DAISY : Quella sera, quando tornai a casa, chiamai Simone a New York. Era
un mese, forse di più, che non ci vedevamo.
Ed era una delle rarissime serate che passavo da sola, senza circondarmi
di gente e festeggiare chissà cosa con chissà chi. Ero sola nel mio cottage.
C’era un tale silenzio che mi feriva le orecchie.
Chiamai Simone e le dissi: «Mi sento sola».
SIMONE: Colsi una gran tristezza nella sua voce. Il che è raro, con Daisy,
anche solo per il fatto che è quasi sempre su di giri per questa o quella
droga. Ti rendi conto di quanta tristezza devi provare per essere triste
quando sei fatta di coca e dexedrina? Ma se avesse saputo quante volte
pensavo a lei, non si sarebbe sentita così sola.
CAMILA : Sento che Billy si alza a notte fonda e solleva la cornetta. Ero
quasi sicura che stesse chiamando Teddy, ma non del tutto.
Lo udii dire: «Daisy se ne deve andare».
E in quel momento capii. Chiaro che capii.
GRAHAM: Credevo che avesse il terrore di non essere più la stella del
gruppo. Voglio dire, sapevo che i rapporti tra Billy e Daisy erano delicati.
Ma ai tempi credevo ancora che la musica riguardasse solo la musica.
Però in realtà non è mai così. Se lo fosse, scriveremmo canzoni sulle
nostre chitarre. Invece no, scriviamo canzoni sulle donne.
Le donne ti rovinano, capisci? Tutti ci facciamo del male a vicenda,
immagino, ma le donne sembrano sempre capaci di riprendersi, l’hai notato?
Le donne restano sempre in piedi.
ROD : Quel giorno Daisy non si sarebbe dovuta presentare.
DAISY : Ero sbronza. A mia discolpa, erano le cinque del pomeriggio o giù di
lì. Non è l’ora dell’aperitivo in tutto il mondo? No, lo so. Mi rendo conto
che è assurdo. Che almeno mi si riconosca il merito di sapere quanto sono
pazza.
BILLY : Quando scrivi una canzone che potrebbe o non potrebbe riguardare
qualcuno di preciso, puoi stare certo che quel qualcuno non te ne chiederà
conferma. Perché nessuno vuole fare la figura dello stronzo convinto di
essere al centro di tutto.
DAISY : «Dammi una sola ragione per cui non dovremmo registrarla», dissi.
E quando lui fece per rispondere, lo interruppi: «Ti do io cinque buoni
motivi per farlo».
DAISY : «Non c’è un solo motivo per non registrare questo pezzo», insistetti.
«A meno che non sia qualcos’altro a darti fastidio.»
BILLY : «Non c’è niente che mi dia fastidio, ma per me è no», ribattei.
WARREN : Sono fuori sul retro a farmi una canna e a un tratto avverto la mano
di Daisy su una spalla e mi sento trascinare all’indietro.
EDDIE: Pete era in cabina con Teddy. Io ero andato in bagno. Quando uscii,
era venuto fuori anche Pete. A vedere cosa stava succedendo.
BILLY : Li trovai tutti nel salottino. Cosa cazzo sta succedendo? pensai.
BILLY : Ero talmente furioso che non sentivo neanche più ribollire il sangue
nelle vene. Ero raggelato, impietrito, e lo sentivo defluire come una vasca da
bagno che veniva svuotata.
KAREN : La sua voce era gutturale. In parte perché era chiaramente ubriaca o
fatta o chissà cosa. E la sua voce era ruvida. Ma la combinazione delle due
cose… Era una canzone rabbiosa, e lei la cantava in modo rabbioso.
EDDIE: Era rock ’n’ roll puro! Quanta rabbia, ragazzi. Fenomenale. Quando
spiego alla gente cosa si prova a fare un album rock, racconto di quel giorno.
Di quando ero davanti alla ragazza più bella del mondo e la ascoltavo
sputare fuori l’anima, sentendo che stava quasi per perdere la testa. Ma nel
modo migliore possibile.
WARREN : Vuoi sapere quando mi convinse? Quando capii che era una gran
canzone? Quando cantò: «When you think of me, I hope it ruins rock ’n’
roll». Quando pensi a me, spero che rovini il rock ’n’ roll.
BILLY : Alla fine rimasero tutti zitti. E io mi dissi: Okay, bene, non è
piaciuta.
DAISY : «Chi pensa che questo pezzo dovrebbe fare parte dell’album, alzi la
mano», dissi. E Karen la fece scattare all’istante.
KAREN : Volevo suonarlo, quel pezzo. Volevo scatenarmi sul palco con una
canzone così.
DAISY : Avevano tutti le mani alzate tranne Graham e Billy. E a quel punto
l’alzò anche Graham.
Mi voltai verso Billy in fondo alla stanza. «Sei contro uno», dissi. Lui
annuì, rivolto a me e a tutti gli altri, e uscì dal salottino.
KAREN : Chissà perché, ricordo che Billy diceva di volere una copertina con
tutti noi in barca.
BILLY : Pensavo che avremmo dovuto avere un’immagine del sorgere del
sole. Avevamo già deciso che si sarebbe intitolato Aurora, mi sembra.
WARREN : Pensavo che sarebbe stato bello fare la foto di copertina sulla mia
barca. Sarebbe stata una figata.
KAREN : Arrivammo tutti lassù in jeans e maglietta. Era quello che ci aveva
detto Rod: «Vestitevi normalmente». Poi arriva Daisy, in pantaloncini di
jeans, canottiera bianca e senza reggiseno. Ha i suoi enormi cerchi alle
orecchie, i braccialetti ai polsi. La canottiera è bianca e sottilissima, e si
vedono chiaramente i capezzoli. E a un tratto mi diventa chiarissimo: La
copertina sarà il seno di Daisy.
KAREN : Se vogliamo essere prese sul serio come musiciste, perché usiamo i
nostri corpi?
DAISY : Se ho voglia di girare a seno nudo, sono cavoli miei. Lascia che ti
dica una cosa: quando arriverai alla mia età, sarai contenta di essertele fatte
fotografare ai tempi.
GRAHAM: Da quanto mi pareva di capire, era dal giorno di «Regret Me» che
Billy e Daisy non si rivolgevano la parola.
BILLY : Non c’era niente da dire.
FREDDIE MENDOZA : Billy era vestito di jeans, e Daisy aveva una camicetta
che a malapena poteva dirsi tale. E la foto era tutta lì. La camicia di jeans di
lui e la canottierina di lei.
Disposi il gruppo sulla strada, lungo il guardrail tra la carreggiata e la
scarpata del canyon. Dietro di loro, a una trentina di metri di distanza, c’era
il profilo di una montagna con dietro il sole che stava per sorgere.
Vedendoli tutti e sette schierati nelle varie pose, mi resi subito conto che
avremmo ottenuto qualcosa di speciale. Voglio dire, era un’antologia di
elementi americani in un’unica immagine, giusto? La strada, la polvere, la
terra. La band sull’orlo di un dirupo, alcuni di loro trasandati, altri
bellissimi. Il deserto e le foreste delle Santa Monica Mountains, con gli
alberi sullo sfondo di terra rossiccia. E il sole che illumina tutto.
E poi ci sono Billy e Daisy, giusto?
Non facevano che mettersi ai lati opposti del gruppo, e io insistevo a
mescolarli. A un certo punto, vidi che Daisy si sporgeva in avanti per
guardare Billy, e continuai a scattare. Quando faccio i miei servizi, cerco
sempre di non attirare l’attenzione. Cerco di restare sullo sfondo, e lasciare
che i miei soggetti facciano quello che vogliono. E così continuai a scattare
mentre Daisy guardava Billy e tutti gli altri erano rivolti verso di me, verso
l’obiettivo. E a un certo punto, per una frazione di secondo, Billy si gira
verso Daisy mentre lei lo sta ancora guardando. I loro sguardi si incontrano,
e io catturo il momento.
Questa è già una copertina, mi dico. Non appena mi rendo conto di
avere qualcosa di buono, mi sento più libero, capisci? Mi sento pronto a
sperimentare, a muovere i miei soggetti, a pretendere di più, perché a quel
punto se anche s’incazzano non è più un problema, giusto? E così dissi:
«Fantastico, ragazzi. Adesso saliamo in cima alla montagna».
BILLY : A quel punto eravamo lì da un paio d’ore, a scattare foto sotto il sole
a picco. Ero pronto a togliere il disturbo.
GRAHAM: «Ci andremo in macchina, non a piedi», dissi. Ci fu un po’ di tira
e molla con il fotografo, ma poi finalmente fu deciso che avevo ragione io.
BILLY : Ci vuole un bel coraggio a infilarsi nel mio gruppo, usurpare il mio
album, piazzarsi al centro della mia copertina e poi interrompermi quando
sto cercando di rispondere a una domanda.
GRAHAM: Ero in cima a una montagna con la donna che amavo, e stavamo
realizzando la copertina di un album che sapevo avrebbe avuto un enorme
successo. Giuro, ancora oggi quando sono un po’ giù ripenso a quel giorno.
Ci penso per ricordarmi che non sai mai cosa ti aspetta di bello dietro
l’angolo. Ma ripensando a quel giorno è anche dura non ricordare che spesso
dietro l’angolo ci sono cose brutte.
DAISY : Era una boccetta di coca, quella che avevo in tasca. Cos’altro poteva
essere, se non droga?
BILLY : Hai presente quando non riesci a fare a meno di controllare dov’è
una persona? Anche se continui a ripeterti che non te ne importa niente? Io…
era come se cercassi costantemente di non guardarla. [Ride] Giuro, quel
fotografo beccò gli unici due momenti della giornata in cui la stavo
guardando. E finirono entrambi sulla copertina del disco, uno davanti e
l’altro dietro.
EDDIE: Billy e Daisy sono sempre stati convinti di essere le persone più
interessanti del mondo. E quella copertina per loro ne era la conferma.
DAISY : Non avevo più niente da fare. Le mie parti vocali le avevo registrate,
la copertina era fatta, le date della tournée non erano ancora state decise.
«’Fanculo, vado a Phuket», mi dissi. Avevo bisogno di fare un viaggio per
schiarirmi le idee.
BILLY : Mi presi una breve vacanza, ma poi tornai in studio con Teddy e
passammo l’album al setaccio, un secondo dopo l’altro, un brano dopo
l’altro, continuando a remixare fino a raggiungere la perfezione. Per circa tre
settimane, io, Teddy e Artie passammo più o meno venti ore al giorno in sala
mixer.
Ogni tanto sovraincidevo qualche parte, quando ci pareva che un giro non
fosse perfetto o magari volevamo aggiungere un piano honky-tonk, un dobro
o qualche colpo di spazzola alla batteria. Roba semplice.
DAISY : I primi giorni del viaggio in Thailandia, la mia unica intenzione era
quella di rilassarmi. Mi ero messa in mente di rifugiarmi da sola chissà dove
e riflettere su me stessa. Ovviamente le cose non andarono così. Ero lì da
due giorni e già mi sembrava di impazzire di noia. Ero quasi sul punto di
tornare a casa cinque giorni prima.
DAISY : Nel corso dei giorni successivi dissi tutto a Nicky. Gli aprii il mio
cuore. Amavamo la stessa musica, la stessa arte, le stesse pillole. Mi
sembrava che lui fosse l’unico al mondo in grado di capirmi. Gli confidai
quanto mi sentissi sola e quanto fosse stato difficile realizzare quell’album.
E quello che provavo per Billy. Non gli nascosi nulla. Mi aprii e lasciai che
si riversasse tutto fuori. E lui mi ascoltò.
«Mi crederai una pazza», dissi a un certo punto.
«Daisy mia», rispose lui, «tutto in te mi sembra perfettamente sensato.»
Sembrava disposto ad accettare ogni aspetto di me, qualsiasi cosa gli
rivelassi. L’accettazione è una droga potente. Dovrei saperlo, visto che le ho
provate tutte.
SIMONE: Arrivai in Thailandia stanca morta e in preda al jet lag, presi uno
scassato pullman per l’albergo e mi registrai. Poi chiesi il numero di stanza
di Lola La Cava, e… Daisy non c’era. Se n’era andata.
DAISY : L’ho sempre detto, gli italiani ci sanno fare con i capelli.
WARREN : Io ero reduce da una gran sbornia, e le due caffettiere negli uffici
della Runner erano vuote. «In che senso non c’è caffè?» chiesi alla segretaria
all’ingresso.
«La macchina è guasta», rispose lei.
«Be’, vorrà dire che in riunione non sarò molto pimpante», feci.
«Sei una sagoma», disse lei. E sembrava vagamente arrabbiata, come se
mi fosse sfuggito qualcosa. E io ero lì che facevo fatica a stare in piedi.
«Aspetta… non è che siamo andati a letto insieme, vero?»
A quanto pareva, no.
EDDIE: Siamo solo al primo pezzo, «Chasing the Night», e Billy ha già
cambiato la mia frase di chitarra. Ha cambiato la mia cazzo di frase.
BILLY : Non credo che mi fossi reso conto, fino al momento in cui ci
sedemmo ad ascoltarlo tutti insieme, di quante cose io e Teddy avevamo
cambiato.
BILLY : Con il senno di poi, posso capire perché fossero arrabbiati. Ma non
mi pento del lavoro fatto su quell’album. I risultati parlano da soli.
KAREN : È complicato. Era il nostro album migliore perché Billy era stato
costretto a coinvolgerci fin da subito a livello di composizioni e
arrangiamenti? Penso di sì. Era il nostro album migliore perché alla fine
Billy aveva ripreso le redini del progetto? Perché Teddy sapeva quando
convincerlo ad ascoltare nuove idee e quando invece lasciargli il controllo
totale? Oppure era il migliore solo perché c’era Daisy? Non ne ho idea. Ho
passato un sacco di tempo a pensarci e non ne ho la minima idea.
Ma quando sei parte di qualcosa di grande, come quell’album finì per
diventare… vuoi sapere se ne sei stata parte integrante. Vuoi credere che
senza di te non sarebbe accaduto. Billy non si sforzava mai di farti sentire
parte integrante di qualcosa.
BILLY : Sono problemi comuni a tutti i gruppi. Hai idea di quanto sia difficile
mettere d’accordo tutta quella gente su qualcosa di così soggettivo?
DAISY : Quando gli dissi che sarei dovuta tornare a L.A., Nicky non fu molto
comprensivo. La band doveva incontrare la stampa e partecipare alla
campagna di lancio. Dovevamo prepararci per la tournée. Lui lo sapeva fin
da quando ci eravamo conosciuti. Ma quello che disse fu: «Non andare.
Resta qui. Il gruppo non ha alcuna importanza». E questo mi ferì, perché per
me la band era tutto. Questa cosa, che mi sembrava incarnasse tutto il mio
valore, lui non la considerava nemmeno. Provo imbarazzo ad ammettere che
per poco non mi convinse. Che riuscì quasi a non farmi partire.
Simone bussò alla porta, e lui disse: «Non aprire».
«È Simone», ribattei. «Non posso non aprirle.» Lo feci e me la vidi
davanti, l’espressione furiosa, e non dimenticherò mai le sue parole:
«Prendi-la-tua-cazzo-di-valigia-e-sali-immediatamente-sul-taxi». Non
l’avevo mai vista così. E dentro di me scattò qualcosa.
Nella tua vita deve esserci almeno una persona che non ti darebbe mai un
cattivo consiglio. Potrà essere in disaccordo con te, potrà anche spezzarti il
cuore a più riprese. Ma dev’esserci almeno una persona sempre pronta a
dirti la verità.
Una persona che, quando sei nella merda, prende le tue cose, le ficca in
una valigia e ti porta via dal principe italiano.
KAREN : Quando si ripresenta dal mese di vacanza, Daisy sembra aver perso
cinque chili, e lei non aveva cinque chili da perdere. In più si è tagliata i
capelli, porta un diamante al dito ed è diventata principessa.
BILLY : Rimasi a bocca aperta, e dico sul serio, gli occhi sgranati e tutto il
resto, quando seppi che si era sposata.
JONAH BERG: Il programma era che passassi un po’ di tempo insieme a loro
mentre provavano.
In verità, sentivo un certo legame con la band, poiché sapevo che era stato
il mio articolo a spingerli a incidere insieme. Sulle prime temevo che non
fosse un buon album e che questo avrebbe creato imbarazzo. Ma quando lo
ascoltai, rimasi sbalordito. I testi erano importanti. I brani erano equamente
divisi tra Billy e Daisy, ma alcuni di quelli più potenti erano firmati da
entrambi. E così arrivai immaginando che Billy e Daisy avessero stabilito
una profonda intesa professionale.
KAREN : Era quasi impercettibile, ma, se prestavi attenzione, fin dal primo
giorno di prove ti rendevi conto che Billy e Daisy non si rivolgevano mai la
parola.
GRAHAM: Eravamo tutti sul palco e stavamo discutendo della scaletta dei
concerti, ma Billy e Daisy non si parlavano. Ricordo che Billy suggerì che
non suonassimo più «Honeycomb», anche se era ancora un gran successo.
Suggerì di suonare i pezzi di Aurora, con magari un paio di aggiunte.
Daisy mi guardò e chiese: «Tu che ne pensi, Graham? Io credo che il
pubblico se l’aspetti. E non vogliamo deluderlo». Non capivo perché si
rivolgesse a me.
Prima ancora che potessi risponderle, Billy mi guardò e disse: «Ma è un
brano lento, e non dobbiamo dimenticarci che suoneremo in strutture più
grandi. Abbiamo bisogno di materiale adatto ai grandi numeri». Stavo per
chiedergli se intendesse scartare pure «A Hope Like You», visto che anche
quello è un pezzo lento, ma Billy mi anticipò e tagliò corto: «Bene, allora è
deciso».
E Daisy ribatté: «Be’, gli altri cosa ne pensano?»
Il tutto senza mai scambiarsi un’occhiata. E noi lì a guardarli mentre si
parlavano senza rivolgersi la parola.
DAISY : Ero pronta a dimenticare quello che era successo tra me e Billy. Ero
una donna sposata, e cercavo di concentrarmi su Nicky. Stavo davvero
provando a far funzionare le cose tra noi.
Nicky aveva finalmente acconsentito a raggiungermi. Era arrivato da
Roma e si era sistemato nel mio cottage al Marmont.
Eravamo perfino usciti a cena con i miei. Non capitava quasi mai che
cenassi con loro, ma gli avevo chiesto se volevano conoscere Nicky e loro
ci avevano invitato da Chez Jay. Nicky fu incredibilmente amabile e gentile,
e li conquistò. Si esibì nel classico repertorio di «Sì, signora Jones, no,
signor Jones», e loro lo apprezzarono. Poi, non appena fummo a bordo della
mia auto, mi chiese: «Come fai a sopportarli?» E io feci il sorriso più grande
che si fosse mai visto su un essere umano.
Mi piaceva essere sposata. Mi piaceva l’idea di formare una squadra, di
essere legata a una persona. Avevo qualcuno che ogni giorno mi chiedeva
com’era andata la giornata.
DAISY : C’erano ovviamente molti segnali che la mia fosse stata una scelta
sbagliata. Niccolò si drogava addirittura più di me. Ero io a dirgli di darsi
una calmata. Ero io a non volermi fare di eroina. Ero io a notare quanto
stavamo spendendo con le mie carte di credito. E lui si sentiva
profondamente minacciato da Billy. Era geloso di tutti gli uomini con cui ero
stata, o a cui avessi voluto bene, o che vedeva come qualcuno con cui forse
sarei potuta andare a letto. Sulle prime, lo attribuii al fatto che eravamo
ancora sposi novelli.
Si dice che il primo anno di matrimonio sia il più difficile, e ai tempi me
ne preoccupavo. Se solo qualcuno mi avesse detto che l’amore non è una
tortura… Perché per come lo vedevo allora, l’amore era qualcosa che
doveva trafiggerti e spezzarti il cuore e farlo battere all’impazzata. Era
bombe e lacrime e sangue. Allora non sapevo che in realtà avrebbe dovuto
farti sentire più leggera, non più pesante. Non sapevo che avrebbe dovuto
addolcirti. Pensavo che l’amore fosse guerra. Non sapevo che avrebbe
dovuto… che avrebbe dovuto essere pace. Ma forse, anche se l’avessi
saputo, forse non ero pronta ad accoglierlo o dargli il giusto valore.
Io volevo droga, sesso, sofferenza. Erano quelle le cose che desideravo.
All’epoca pensavo che l’altro tipo di amore… pensavo che fosse per un
altro genere di persona. Credevo sinceramente che quel tipo di amore non
esistesse per donne come me. Era riservato a donne come Camila. Ricordo
benissimo di avere pensato tutto questo.
BILLY : Ero stanco di venire trattato come se fossi io il suo problema. Era lei
a essere il mio. E avevo solo cercato di darle il mio giubbotto.
KAREN : Era seduto su uno dei divani che c’erano nell’angolo, di fianco al
frigo delle birre. Era sempre vestito in giacca e maglietta.
GRAHAM: Assistevo alla scena, alla rissa che stava per scoppiare, e mi
chiedevo: A che punto intervengo?
Temevo che Billy gli mollasse un cazzotto.
KAREN : Non avresti mai pensato, a prima vista, che Niccolò fosse un tipo
tosto. Era così pieno di smancerie, e non era per niente muscoloso. In più era
una specie di principe o roba simile. Ma in quel momento lo vidi gonfiare il
petto e… insomma, Billy è un tipo che incute soggezione, ma guardando
Niccolò avevi la sensazione che fosse fuori controllo.
WARREN : Esiste un codice, quando due maschi fanno a botte. Niente colpi
alle palle. Niente calci. Niente morsi. Ecco, Niccolò era uno che avrebbe
potuto morderti. Lo si vedeva subito.
BILLY : Avrei potuto stenderlo? Forse. Ma non credo volesse fare a botte più
di quanto lo volessi io.
DAISY : Non sapevo bene cosa fare. Credo di essere rimasta ferma ad
aspettare che accadesse.
BILLY : Non ci potevo credere. Che lei potesse… Mi ero fidato di lei quando
tutto mi suggeriva di non farlo, ma adesso basta. Mi ero stufato. Daisy era
esattamente quella che sospettavo che fosse. E io ero stato un idiota a
illudermi del contrario. Alzai le braccia e risposi: «E va bene, amico. Non
mi sentirai più nemmeno fiatare».
EDDIE: Non riuscivo a crederci. Qualcuno aveva dato una regolata a Billy
Dunne.
KAREN : Fu quel pomeriggio, o forse il giorno dopo, che Jonah Berg si
presentò alle prove. Ero sulle spine, e credo che lo fossimo un po’ tutti.
Perché Billy e Daisy non si guardavano nemmeno. Provammo «Young Stars»
per tutto il pomeriggio, e loro continuarono a evitarsi, anche quando
cantavano insieme, armonizzando.
GRAHAM: Continuavo a pensare: Fate uno sforzo almeno finché questo non
se ne va.
KAREN : In quel caso direi che toccava a Daisy sistemare le cose. Ma lei non
aveva intenzione di farlo.
ROD : Era troppo tardi per farlo. Jonah era già lì, stava assistendo alle prove.
DAISY : Non capivo perché Billy facesse tante storie. Avremmo potuto
benissimo comportarci bene davanti a Jonah Berg.
JONAH BERG: Dopo qualche brano fanno una pausa e vengono a salutarmi
alla spicciolata. Andai fuori a fumare una sigaretta con Warren, immaginando
che potesse essere la strada migliore per capire cosa stava succedendo. «Sii
sincero con me», gli dissi. «Qui c’è sotto qualcosa.»
«Non c’è sotto niente», rispose lui, scrollando le spalle come se non
sapesse a cosa mi riferivo. E io gli credetti. Conclusi che non era successo
nulla di particolare, che quello era il loro modo di lavorare. Semplicemente,
Billy e Daisy non andavano d’accordo. Probabilmente fin dall’inizio.
BILLY : Mi sembra che quella sera Jonah volesse offrire da bere a tutti, ma io
avevo promesso a Camila che sarei tornato presto per aiutarla a fare il
bagnetto alle bambine. Gli chiesi se si poteva fare la sera dopo, e la cosa
non sembrò creargli alcun problema.
EDDIE: Tutti avremmo dovuto dare la precedenza alla band, e invece Billy
snobba la prima serata al bar con Rolling Stone.
DAISY : Mi dissi che era una buona notizia il fatto che Billy non ci fosse.
Avrei potuto cominciare l’intervista con il piede giusto, senza dovermi
preoccupare della sua presenza.
JONAH BERG: Mi faceva piacere che Daisy fosse così disponibile. Capita fin
troppo spesso che questo o quel membro di un gruppo non voglia parlare
davvero. Daisy mi facilitava il compito di trovare una storia da raccontare.
ROD : Daisy non voleva tornare a casa. Hai presente quando sei con qualcuno
e capisci che questa persona vuole semplicemente stare fuori, non importa a
fare cosa – divertirsi, lavorare o quant’altro –, solo per non dover rientrare e
affrontare quello che l’attende?
Daisy era così, quando era sposata con Niccolò.
JONAH BERG: Quella sera uscimmo tutti insieme, tutti tranne Billy. Prima
andammo a sentire i Bad Breakers sullo Strip. Capii subito che Karen e
Graham avevano una storia, e così domando: «State insieme, voi due?» E
mentre Graham risponde sì, Karen dice no.
KAREN : Non sarebbe mai durata tra me e Graham, non sarebbe mai… Avevo
solo bisogno che la nostra storia esistesse in un vuoto pneumatico nel quale
la vita reale non aveva importanza, in cui il futuro non contava, in cui l’unica
cosa che avesse valore era quello che provavamo quel giorno, capisci?
JONAH BERG: Warren sembrava impegnato a provarci con tutte le donne che
incrociava. Eddie Loving mi aveva attaccato un gran bottone sulle
accordature o qualcosa del genere. Pete si era allontanato con la sua ragazza.
E così decisi di concentrarmi su Daisy. Fra l’altro, era quella con cui più mi
interessava parlare.
A questo punto ci tengo a dire una cosa: a quei tempi c’era un sacco di
gente che si imbottiva di tutte le droghe su cui riusciva a mettere le mani.
Non era una novità. E un giornalista poteva fare una quantità di allusioni
sulle pagine di una rivista come Rolling Stone. Potevi insinuare qualsiasi
cosa su quello che faceva la gente. Ma c’erano anche persone, là fuori, che
non si stonavano per divertimento. Che si facevano perché senza la droga
non riuscivano a reggere. E, per come la vedevo io, le dipendenze
farmacologiche di quelle persone erano… off limits. Molti miei colleghi la
pensavano in modo diverso. Molti di loro si comportavano e scrivevano in
modo diverso.
Di sicuro, nel corso degli anni mi ero trovato in situazioni nelle quali mi
sentivo obbligato (o forse farei meglio a dire che lo ero) a rivelare i vizi di
certe persone per vendere più copie. Per questo motivo, quando mi sembrava
che la persona che stavo intervistando avesse un serio problema di droga,
preferivo non prendere nota di quello che osservavo e non parlarne con
nessuno. In stile «Non vedo, non sento, non parlo», per quanto mi riguardava.
Quella sera, io e Daisy eravamo in fondo alla sala quando mi voltai verso
di lei e vidi che si passava il dito sulle gengive. Sulle prime pensai che fosse
coca, ma poi mi resi conto che sniffava amfetamine. Ma non mi sembrava il
tipo che si drogasse per divertimento, è questo che voglio dire. E mi pareva
di riscontrare una differenza significativa tra la Daisy che avevo conosciuto
durante la tournée dell’anno prima e quella di adesso. Era più frenetica,
meno eloquente. Più triste, forse. No, non più triste. Meno gioiosa.
«Vuoi uscire?» mi chiese. Annuii, uscimmo nel parcheggio e ci sedemmo
sul cofano della mia auto. «E va bene, Jonah, cominciamo», disse lei.
«Fammi le tue domande.»
«Se non vuoi che sia un’intervista ufficiale perché al momento non sei…
nello stato d’animo giusto, devi dirlo chiaramente», la avvertii.
«No, procediamo», ribatté lei.
Le avevo dato un’esplicita via d’uscita, e lei l’aveva rifiutata. Non
sentivo di avere altri obblighi, e così le chiesi: «Che problemi ci sono tra te
e Billy?»
E lei mi raccontò tutto.
DAISY : Io non avrei dovuto dire quello che dissi. Ma poi Billy non avrebbe
dovuto fare quello che fece.
BILLY : Il giorno dopo, quando arrivo alle prove, sono già tutti lì. «Quand’è
che ci prendiamo un po’ di tempo per parlare?» mi chiede Jonah.
«Fammi capire quando anche Daisy è libera», gli rispondo.
E lui fa: «Be’, se a te va bene, volevo fare due chiacchiere in privato». Fu
allora che cominciai a preoccuparmi. Il modo in cui l’aveva detto… Avevo
una strana sensazione, come se Daisy avesse combinato qualcosa. La guardai
e vidi che era al microfono e parlava con qualcuno. E vidi che si era messa
di nuovo un paio di minuscoli shorts, malgrado il freddo che faceva nello
studio. Mettiti i pantaloni, che cazzo, pensai. Hai freddo, smettila di
vestirti come se qui dentro facesse caldo. Lo sai benissimo che si gela. Ma
sapevo che i suoi bollori e sudori erano dovuti alla droga che aveva in
corpo.
JONAH BERG: Non avrei mai, per nessun motivo, concesso a Daisy di
ritrattare le sue affermazioni. C’erano state persone che me l’avevano
chiesto, e io avevo sempre rifiutato di farlo. Per questo sono molto chiaro
all’inizio, quando comincio a registrare. Mi assicuro che la gente sappia
cosa sta facendo quando parla con me.
A Daisy avevo dato un mucchio di vie d’uscita, ma lei non le aveva
volute. A un certo punto, la questione dell’integrità cessa di essere un mio
problema e diventa un problema suo.
BILLY : Passiamo la mattinata a provare; io e Daisy non riusciamo ad
armonizzare nel modo giusto sull’ultimo verso della canzone, ma non voglio
litigare con lei di fronte a Jonah. D’altra parte, non voglio neanche cantare
così male in sua presenza. Ci manca solo che esca un articolo in cui si dice
che dal vivo siamo un disastro. E così, alla prima pausa, chiedo a Graham di
fare da intermediario con Daisy, e lui accetta. E per il resto di quella prova,
io e Daisy comunicammo tramite mio fratello.
GRAHAM: Insomma, cos’avrei dovuto fare per stare al passo con le loro
stronzate? Chi non rivolgeva la parola a chi, quando e per quale
stramaledetto motivo? Avevo già i miei, di problemi. Mi si stava spezzando
il cuore, ero innamorato di una donna che cominciavo a pensare non mi
amasse, ma non l’avevo detto a nessuno e non mi vedevi andare in cerca di
intermediari per tirarmi fuori da quella situazione di merda, giusto?
BILLY : A fine giornata, vado al bar con Jonah; sono lì seduto al tavolo,
picchiettando il dito sulla bottiglietta di ketchup, quando lui fa: «Daisy mi ha
detto che hai trascorso la prima tournée dei Six a tradire tua moglie, bere e
imbottirti di droga, forse addirittura di eroina. Dice che ormai hai smesso,
ma che quando è nata tua figlia eri in un centro di recupero».
WARREN : Non penso di essere molto in alto nella classifica delle brave
persone. Ma non si va in giro a spiattellare le storie altrui.
DAISY : Feci talmente tante stupidaggini in quel periodo. In pratica, per tutti
gli anni Settanta. Feci del male agli altri e a me stessa. Ma quell’intervista è
sempre stata una delle cose di cui mi sono più pentita. Non solo per Billy,
anche se mi sentivo in colpa per avere tradito le sue confidenze. No, il
rimorso che provo è dovuto al fatto che avrei potuto causare sofferenze ai
suoi cari.
E questo… [esita] non avrei mai voluto farlo. Davvero.
BILLY : Sai, una delle cose che impari nel programma di recupero è che
l’autocontrollo è l’unica forma di controllo che abbiamo. Che tutto quello
che puoi fare è assicurarti che le tue azioni siano sensate, poiché non puoi
controllare quelle degli altri. Per questo non feci ciò che avrei voluto fare.
Non afferrai la bottiglietta del ketchup e non la scaraventai contro la finestra.
Non allungai il braccio sul tavolo e non strozzai Jonah Berg. Non salii in
macchina, non mi precipitai da Daisy e non cominciai a insultarla. Non feci
niente di tutto questo.
Guardai Jonah negli occhi, con il fiato che mi bruciava in gola, il petto
che mi si gonfiava e sgonfiava. Mi sentivo come un leone, come se potessi
sbranarlo. Ma poi chiusi gli occhi, contemplai il retro delle mie palpebre e
dissi: «Ti prego, non pubblicare quella roba».
JONAH BERG: Era la conferma che era tutto vero, ma gli dissi: «Se puoi
darmi qualcos’altro di cui scrivere, non lo farò». Te l’ho detto, non mi piace
rivelare segreti quando sono tristi. Ho cominciato a fare il giornalista per
scrivere di rock, non per raccontare storie deprimenti. Dammi le rockstar
che vanno a letto con le groupie, dammi le stronzate che hai combinato
mentre eri fatto di PCP. Perfetto. Ma non mi è mai piaciuto pubblicare storie
avvilenti. Famiglie che vanno in pezzi e roba simile. «Dammi qualcosa di
rock», dissi. In quel modo, pensai, saremmo usciti tutti vincenti.
E Billy mi fa: «Che ne dici di questo: non sopporto Daisy Jones».
JONAH BERG: Quando Billy disse: «Un talento come quello di Daisy è
sprecato per una persona come Daisy», pensai: Accidenti, questo sì che è un
gran pezzo. A mio modo di vedere, era una storia molto più interessante.
Che cosa venderà più copie: la rivelazione che Billy Dunne è un ex alcolista
redento, oppure che i due cantanti solisti del gruppo del momento si
detestano?
Non c’era partita. Il mondo era pieno di gente come Billy Dunne. Quanti
uomini si erano persi la nascita della figlia, avevano tradito la moglie e tutto
il resto? Spiace dirlo, ma è il mondo in cui viviamo. Però non erano in molti
a essere creativamente in sintonia con qualcuno che disprezzavano. Quello sì
che era affascinante.
L’idea piacque da morire al mio direttore. Ne fu letteralmente entusiasta.
Spiegai al fotografo cos’avrei voluto in copertina, e lui rispose che
sarebbe stato un fotomontaggio facile da realizzare con le immagini che
aveva. Poi tornai a New York e scrissi il pezzo in ventiquattr’ore. Non mi
succede mai di essere così veloce, però in quel caso fu facilissimo. E quegli
articoli sono sempre i migliori: quelli che potresti giurare si siano scritti da
soli.
GRAHAM: Lo scopo di quella serata con Jonah Berg era che scrivesse un
pezzo sulla mossa brillante di accogliere Daisy nel gruppo. E lui invece va a
scrivere che Billy e Daisy si detestano.
EDDIE: La sensazione era che quei due stronzi avessero permesso alle loro
cazzate private di rovinare la band, la musica e tutto il duro lavoro che ci
avevamo messo.
WARREN : Vidi la copertina e non potei fare a meno di ridere. Jonah Berg
pensa sempre di essere un passo avanti a tutti, mentre in realtà è due passi
indietro.
KAREN : Se anche ci fosse stata una sola possibilità che Billy e Daisy
accantonassero le loro meschinità e si mettessero seriamente a lavorare
insieme per la tournée, credo che quell’intervista la escluse del tutto. Temo
che non restasse più molto su cui fare marcia indietro.
ROD : Riesci a pensare a un titolo che ti faccia venire più voglia di vedere
Daisy Jones & The Six dal vivo?
BILLY : Non mi importava che Daisy fosse infuriata con me. Non me ne
fregava niente.
DAISY : Facemmo entrambi cose che non avremmo dovuto fare. Quando una
persona dichiara che il tuo talento è sprecato, e lo dice a un giornalista ben
sapendo che lui lo pubblicherà, non ti fa venire molta voglia di ricucire i
rapporti.
BILLY : Non puoi rivendicare alcuna superiorità morale, quando vai in giro a
pugnalare alle spalle le persone e le loro famiglie.
NICK HARRIS (critico rock): Era l’album che la gente aspettava da tempo.
Tutti volevano sapere cosa succedeva mettendo Billy Dunne e Daisy Jones
insieme per un album intero.
E la loro risposta fu Aurora.
JIM BLADES (cantante dei Mi Vida): Il giorno in cui uscì Aurora avevo un
concerto al Cow Palace, mi sembra. Mandai un roadie a comprarlo per
poterlo ascoltare subito. Ricordo che ero lì seduto, prima di salire sul palco,
ad ascoltare «This Could Get Ugly» e fumare, e ricordo di aver pensato:
Com’è che non mi è mai venuto in mente di chiederle di unirsi alla mia, di
band?
Era chiaro che ci avrebbero eclissati tutti quanti.
E quella copertina. Quella copertina era il perfetto rock estivo
californiano.
JONAH BERG: Aurora era un album perfetto. Era esattamente quello che tutti
avremmo voluto che fosse, ma superava le nostre aspettative. Una band
elettrizzante aveva realizzato un album tosto, coraggioso, orecchiabile dalla
prima all’ultima nota.
JONAH BERG: Quello con Billy e Daisy fu il numero di Rolling Stone più
venduto negli anni Settanta.
NICK HARRIS: Hai sentito il disco, hai letto di Billy e Daisy su Rolling
Stone e adesso vuoi vederli con i tuoi occhi.
Devi vederli con i tuoi occhi.
LA TOURNÉE MONDIALE DI AURORA
1978-1979
ROD : Era ora di metterci in strada. Nel vero senso della parola.
KAREN : Sui pullman regnava una strana atmosfera. Ebbene sì, avevamo due
pullman. Uno era blu, l’altro bianco. Avevano entrambi la scritta: DAISY
JONES & THE SIX, ma sullo sfondo di uno c’era la camicia di jeans di Billy e
su quello dell’altro la canottiera di Daisy. I pullman erano due perché
avevamo una quantità di maestranze, ma anche perché Billy e Daisy non
volevano essere costretti a guardarsi in faccia.
ROD : Se andavi a un concerto di Daisy Jones & The Six pensando che quei
due si odiassero, potevi trovarne prove in abbondanza. Ma se ci andavi
pensando che ci fosse sotto qualcosa, che forse l’odio mascherava
qualcos’altro, potevi trovare prove anche di quello.
KAREN : Pian piano Daisy diventò una con cui preferivamo non avere niente
a che fare. E, a dire il vero, nella maggior parte dei casi non ce n’era
bisogno. Lei non ci chiedeva niente di particolare. I guai sorgevano soltanto
quando perdeva a tal punto il controllo della situazione da diventare un
problema per tutti. Come quando per poco non diede fuoco al Chelsea.
DAISY : Eravamo all’Omni Parker House di Boston. Nicky si addormentò
mentre fumava e il suo cuscino prese fuoco. Venni svegliata dal calore sulla
faccia. Le fiamme mi bruciacchiarono i capelli, e dovetti usare l’estintore
che trovai nell’armadio a muro. Ma la cosa lasciò Nicky assolutamente
imperturbabile.
GRAHAM: Ogni tanto strascicava una parola, e a un certo punto scivolò sui
gradini del palco, mi pare in Oklahoma. Ma Daisy sapeva come far sembrare
tutto semplice divertimento.
WARREN : Mi sembra che stessimo suonando negli Stati del Sud quando
cominciammo a capire che Daisy stava… non so, perdendo colpi. Iniziava a
dimenticare le parole delle canzoni.
EDDIE: New Orleans, autunno del ’78. Pete mi si avvicina durante il sound
check e mi dice: «Jenny vuole che ci sposiamo».
«Bene, allora sposala», rispondo.
E lui: «Sì, penso proprio che lo farò».
DAISY : Quando sei sempre fatta, le cose le capisci più lentamente del
dovuto. Ma cominciai a rendermi conto che Nicky non pagava mai niente,
che non aveva soldi suoi. E che continuava a comprare coca. «Per me basta,
ne ho tirata a sufficienza», dicevo, ma lui ne voleva sempre dell’altra. E
voleva che la sniffassi anch’io.
Una mattina eravamo sul pullman. Mi sembra fosse dicembre o giù di lì.
Eravamo sdraiati in fondo, tutti gli altri erano davanti. Dovevamo essere nel
Kansas, perché quando guardai fuori dal finestrino non vidi altro che
pianure. Niente colline, e anche poche tracce di civiltà. Non appena mi
svegliai, Nicky mi offrì un tiro. E a un tratto ebbi un pensiero fugace: E se
non lo facessi? E così dissi: «No, grazie».
E Nicky rise e ribatté: «No, dai». Mi ficcò il cucchiaino sotto il naso, e io
tirai.
Poi mi voltai verso il corridoio e vidi che Billy era salito a bordo per
chissà quale motivo, e stava parlando con Warren, mi sembra. Ma aveva
visto la scena. E per un attimo incrociai il suo sguardo, e provai una gran
tristezza.
BILLY : Facevo di tutto per non salire sul pullman bianco. Sul pullman bianco
non c’era niente di buono per me.
CAMILA : La mia vita, il mio matrimonio non si esaurivano nel fatto che mio
marito fosse in una band. Non sto dicendo che i Six non fossero un fattore
importante, poiché ovviamente lo erano. Ma la nostra era una famiglia, e
quando Billy tornava a casa ci aspettavamo che lasciasse il suo lavoro fuori
dalla porta. E lui lo faceva.
Quando ripenso alla fine degli anni Settanta, è vero che penso al gruppo,
alle canzoni e a… a quello che stavamo passando in quel periodo. Ma penso
soprattutto a quando Julia imparò a nuotare. E alla prima parola di Susana,
che sembrava «Mimia» e nessuno riusciva a capire se volesse dire
«mamma», «Julia» o «Maria». O a Maria che cercava costantemente di tirare
i capelli al suo papà. O al gioco che Billy faceva con loro: «Chi si prende
l’ultimo pancake?» Si metteva a preparare i pancake, le bambine li
mangiavano e all’improvviso lui gridava: «Chi si prende l’ultimo pancake?»
e la prima ad alzare la mano vinceva. Ma poi, comunque andassero le cose,
lui le convinceva sempre a dividerlo in tre.
Sono queste le cose che ricordo meglio.
ROD : Quel Natale fu la prima volta dopo molto tempo (molto, moltissimo
tempo) che non avevo impegni di lavoro. Che potevo godermi la vita. Che
non avevo una rockstar in crisi da salvare o una clausola a cui adempiere o
qualunque altra cosa.
Presi in affitto una baita insieme a un certo Chris. Frequentavamo gli
stessi ambienti, e ci vedevamo ogni volta che tornavo in città. Trascorremmo
le feste insieme a Big Bear. Ci cucinavamo la cena, stavamo a mollo nella
Jacuzzi, giocavamo a carte. A Natale io gli regalai un maglione e lui
un’agenda. E in quel momento pensai: Voglio la normalità.
EDDIE: Durante le feste, Pete chiese a Jenny di sposarlo, e lei rispose di sì.
Ero davvero felice per lui. Lo abbracciai forte. «Devo capire quando dirlo
agli altri», fece lui. «Non so come la prenderanno.»
«Cosa stai dicendo?» domandai. «Nessuno può avere niente in contrario
al fatto che ti sposi.»
«No, lascio il gruppo», rispose.
«Lasci il gruppo?» ripetei.
«Alla fine della tournée mollo tutto.»
Eravamo nel tinello dei nostri genitori. «In che senso, molli tutto?»
domandai.
«Te l’avevo detto che non sarei andato avanti per sempre», rispose lui.
«No, non me l’hai mai detto», ribattei.
«Te l’avrò ripetuto un migliaio di volte. Che queste sono cose senza
importanza.»
«Hai intenzione di rinunciare a tutto per Jenny? Sul serio?» domandai.
«Non proprio per Jenny», rispose. «Lo faccio per me. Per poter andare
avanti con la mia vita.»
«In che senso?»
«Non ho mai desiderato far parte di un gruppo di soft rock, lo sai. Sono
salito sul treno e ci ho viaggiato per un po’. Ma la mia stazione è vicina.»
BILLY : Non credo di essermi reso conto di quanto di lei fosse scomparso
finché non cominciò a riapparire.
DAISY : Quei primi mesi dopo aver lasciato Nicky, ripresi consapevolezza di
me stessa sul palco. Del mio rapporto con il pubblico. Cominciai a darmi
delle regole su quando andare a letto e quando svegliarmi. E su quando e
come drogarmi. La sera solo coca, solo sei dexedrine alla volta, o comunque
il numero che avevo stabilito, solo champagne e brandy.
Quando ero in scena cantavo con convinzione, cosa che avevo smesso di
fare da tempo. Ero coinvolta nell’esibizione. Volevo che andasse bene. E mi
piaceva…
Mi piaceva cantare con quelle persone.
BILLY : Disse: «Grazie a tutti quelli che hanno ascoltato questa canzone, che
l’hanno capita e che l’hanno cantata insieme a noi. L’abbiamo fatta per voi.
Per quelli che non riescono a dimenticare qualcuno o qualcosa».
DAISY : Non c’era un significato recondito, se non quello di dare voce a chi è
disperato. Io lo ero, riguardo a molte cose. Ero disperata, ma in qualche
modo ero anche più me stessa.
È strano. All’inizio, penso, ti droghi per attenuare le emozioni, per
sfuggirle. Ma dopo un po’ cominci a capire che sono le droghe a renderti
insopportabile la vita, a intensificare ogni emozione. Sono le droghe a
intensificare le sofferenze o ad amplificare i bei momenti. E così la
disintossicazione comincia davvero a somigliare a una riscoperta della tua
lucidità mentale.
E quando riscopri la tua lucidità, è solo una questione di tempo prima che
cominci a intuire i motivi per cui volevi fuggire.
EDDIE: Non glielo dissi mai, a Graham e Karen, che sapevo della loro
storia. Ma trovavo strano che la tenessero così segreta. Sarebbero stati tutti
felici per loro. O magari si era trattato di un’unica scopata. Certe volte i miei
ricordi sono così vaghi che mi chiedo se una cosa non l’abbia immaginata.
Però, in questo caso non credo. Non penso che mi sarei inventato una storia
del genere.
GRAHAM: Hai presente quando hai la sensazione che ci sia qualcosa che non
va in una persona, ma non riesci a capire di che si tratta? E quando glielo
chiedi, lei reagisce come se non sapesse di cosa stai parlando? Ti sembra di
ammattire. Senti, nel profondo, che la persona che ami non sta bene, ma lei
pare normale. Perfettamente normale.
KAREN : Per un bel po’ non disse niente. Andava avanti e indietro nella
stanza senza fiatare. «Non la voglio», feci io, «una gravidanza.»
GRAHAM: Credevo che fosse semplicemente combattuta, e così le dissi:
«Riflettiamoci su. Un po’ di tempo ce l’abbiamo, giusto?»
KAREN : Mi accusò di non sapere quello che dicevo, che se avessi interrotto
la gravidanza me ne sarei pentita per il resto dei miei giorni. Semplicemente
non capiva.
Non temevo di pentirmi di non aver voluto un figlio. Quello che temevo
era di pentirmi di averlo avuto.
Avevo paura di mettere al mondo qualcuno senza desiderarlo. Avevo
paura di vivere la mia vita con la sensazione di essermi ancorata al pontile
sbagliato. Di essere spinta a fare qualcosa che sapevo di non desiderare. Ma
Graham non voleva ascoltarmi.
GRAHAM: La discussione si fece accesa, e io me ne andai su tutte le furie.
Ne avremmo riparlato quando ci fossimo calmati. Su argomenti del genere
non si può litigare.
KAREN : Non avrei cambiato idea. Sono stata giudicata male ogni volta che
l’ho detto, ma continuerò a ripeterlo: non ho mai voluto diventare madre.
Non ho mai desiderato avere figli.
BILLY : Aveva smussato gli eccessi. Era più rilassata. Senza Niccolò, era…
più facile parlarci.
DAISY : Era notte ed eravamo in volo per New York, dove dovevamo
partecipare al Saturday Night Live. Rich ci aveva permesso di usare il jet
della Runner. Credo che fossero quasi tutti addormentati. Billy era sul lato
opposto dell’aereo rispetto a me, ma le nostre poltrone si guardavano. Io
indossavo un vestitino ridottissimo, ma a bordo faceva freddo e a un certo
punto presi una coperta e mi ci avvolsi. Vidi che Billy mi stava guardando, e
poi scoppiò a ridere.
KAREN : Scommisi con Warren che Daisy non avrebbe avuto il reggiseno, e
vinsi duecento cocuzze.
GRAHAM: Le prove di «Turn It Off» andarono molto bene. Idem «This Could
Get Ugly».
NICK HARRIS: Quando Daisy Jones & The Six la suonarono al Saturday
Night Live, «Turn It Off» era ormai una canzone che nel Paese conoscevano
quasi tutti. Era il Disco dell’Anno.
Daisy indossava jeans stinti neri e una canottiera di raso rosa.
Naturalmente ha i braccialetti ai polsi, ed è scalza. Ha i capelli di un rosso
luminoso. Si mette a ballare sul palco, cantando a pieni polmoni e battendo il
tamburello. Ha l’aria di divertirsi un mondo. Billy Dunne è nella sua divisa
classica: jeans su jeans. È al microfono e la guarda, e pare divertirsi anche
lui. Sembrano tutti e due nel loro elemento, insieme su quel palco.
La band aggredisce il pezzo con una precisione e una freschezza che non
ti aspetteresti da qualcuno che l’ha suonato così tante volte.
E Warren Rhodes è da applausi, il classico esempio di come un batterista
può tenere insieme un gruppo. Era scatenato, dietro i suoi tamburi. Se
riuscivi a distogliere gli occhi da Daisy e Billy, ti cadevano su di lui che
pestava sui tom.
Poi, a mano a mano che il brano procede e le parole diventano più
pungenti, Billy e Daisy sembrano immergersi l’uno nell’altra. Si portano
davanti allo stesso microfono e cantano guardandosi in faccia. E questa
canzone appassionata su quanto vorresti dimenticare qualcuno… pare che se
la stiano cantando a vicenda.
GRAHAM: Daisy e Billy avevano qualcosa che nessun altro aveva. E quando
lo tiravano fuori, quando stabilivano un rapporto… Era ciò che ci rendeva
grandi. E quello fu uno di quei momenti in cui ti dicevi che il loro talento
giustificava qualunque stronzata.
WARREN : Tra un brano e l’altro, Billy mi disse che aveva una proposta per
«A Hope Like You». L’idea mi piacque, e gli risposi che, se anche gli altri
erano d’accordo, io ci stavo.
EDDIE: «This Could Get Ugly» era andata benissimo in prova, ma all’ultimo
minuto Billy cambia rotta e vuole fare «A Hope Like You». Una ballata. E
vuole mettersi lui alle tastiere al posto di Karen. Solo lui e Daisy sul palco.
BILLY : Volevo sorprendere tutti quanti. Volevo fare qualcosa di inaspettato.
Pensavo che potesse essere una cosa davvero memorabile.
GRAHAM: Successe tutto così in fretta. Siamo pronti a uscire di nuovo sul
palco e suonare «This Could Get Ugly», e un attimo dopo sono solo Billy e
Daisy, e la canzone è un’altra.
BILLY : Provateci voi, a suonare una canzone come quella con una donna
come Daisy sapendo che tua moglie ti vedrà. Provateci. E poi ditemi se non
ci si sente impazzire.
ROD : Fu un’esibizione elettrizzante. Loro due insieme che cantavano l’uno
per l’altra. Sembrava che si stessero strappando il cuore dal petto in diretta
tivù. Sono momenti che non accadono spesso. Se quel sabato sera li stavi
guardando, sapevi di avere assistito a qualcosa di importante.
EDDIE: Io e Pete facemmo baldoria con la band di SNL. A un certo punto non
mi sentivo più il naso, e Pete vomitò in una tuba.
BILLY : Per educazione, andai al bar insieme a tutti gli altri, ma non potei
trattenermi troppo a lungo. Le feste di SNL non sono l’ideale, se vuoi restare
sobrio.
Rientrai in albergo e parlai un po’ al telefono [con Camila], ma molte
cose rimasero non dette. Aveva visto la trasmissione, e probabilmente stava
cercando di capire come digerire il tutto. Ci girammo intorno per un po’, poi
lei disse che era stanca. «Ti amo, sei la mia ‘Aurora’», le dissi; rispose che
mi amava anche lei, e riagganciammo.
CAMILA : Chiunque tu scelga nella vita, ne resterai ferita. È la natura del
rapporto di coppia. La persona che ami, chiunque essa sia, prima o poi ti
spezzerà il cuore. Billy Dunne ha spezzato il mio a più riprese. E io so di
avere spezzato il suo. Però sì, quella sera, guardando SNL… quella fu una
delle volte in cui il mio cuore si incrinò.
Ma continuai a scegliere la fiducia e la speranza. Perché lo consideravo
degno di entrambe.
DAISY : Alla festa di SNL ero seduta in un séparé insieme a Rod, e a un certo
punto vidi un gruppetto di ragazze che andava in bagno a tirare, e venni
assalita da una gran noia. La mia vita mi annoiava profondamente. Le
amfetamine e la coca e tutta la serie: era come guardare un film per la
centesima volta. Sai già quando arriveranno i cattivi, sai già cosa farà l’eroe.
Ero talmente annoiata che avrei voluto morire. Volevo qualcosa di vero,
tanto per cambiare. Qualcosa di reale. E così presi un taxi, tornai in albergo
e bussai alla porta di Billy.
BILLY : Alla fine mi alzo dal letto e vado ad aprire in mutande. «Cosa vuoi?»
chiedo. Poi sollevo gli occhi e vedo che è Daisy.
DAISY : Avevo solo bisogno di dire quello che dovevo dire. Ora o mai più, e
«mai più» non potevo accettarlo. Non potevo più vivere così.
BILLY : Non sapevo come aiutare un’altra persona. Ma volevo farlo. Volevo
aiutare qualcuno come Teddy aveva fatto con me. Gli dovevo molto, gli ero
così riconoscente per avermi convinto a disintossicarmi. E volevo fare lo
stesso per qualcun altro. Volevo fare lo stesso per lei. Volevo che Daisy
stesse bene, che non fosse più in pericolo. Lo desideravo… io… sì, lo
desideravo con tutte le mie forze.
DAISY : Gli feci una domanda che mi stava tormentando da un paio di mesi.
«Non hai paura che non riusciremo mai più a scrivere niente di simile?»
GRAHAM: Teddy significava molto per molte persone. Non dimenticherò mai
il momento in cui vidi, durante la cerimonia funebre, Billy tenere per mano
Yasmine cercando di consolarla. Perché sapevo che lui stesso era
inconsolabile.
Ogni uomo ha bisogno di avere un altro uomo da ammirare. Nel bene e
nel male, io avevo Billy. Billy aveva Teddy, ma adesso Teddy non c’era più.
BILLY : Persi il controllo della realtà. Tutto mi sembrava privo di senso. Non
riuscivo ad accettare il fatto che Teddy non ci fosse più. Che fosse… morto.
E per un po’ credo che morii anch’io dentro. So che sembra esagerato, ma la
sensazione era quella. Come se il mio cuore fosse diventato di pietra.
Oppure… hai presente quelli che si fanno congelare criogenicamente? Che si
infilano nel ghiaccio nella speranza che un giorno o l’altro torneranno in
vita? Ecco, fu quello che accadde alla mia anima. Si raggelò.
Non ero in grado di affrontare la realtà. Non da sobrio. Non senza l’aiuto
di un drink o… E così abbandonai. Mi ritirai dalla vita. Non avevo altro
modo di affrontare il dolore, se non quello di morire dentro. Perché se
avessi cercato di restare vivo, se in quel periodo avessi cercato di vivere,
probabilmente ne sarei morto.
DAISY : La morte di Teddy fu decisiva. Mi dissi che smettere di farmi non
aveva senso. Razionalizzai la cosa. Hai presente: Se l’universo avesse
davvero voluto farmi smettere, non avrebbe ucciso Teddy. Si può
giustificare qualsiasi cosa. Se sei abbastanza narcisista da pensare che
l’universo complotti a tuo favore o sfavore, e nel profondo lo siamo tutti,
puoi convincerti che qualsiasi cosa sia un segno di questo o di quello.
EDDIE: Pensavo che la cosa migliore che potessimo fare fosse rimetterci in
tournée. Dieci, undici anni prima, io e Pete avevamo perso un cugino in un
incidente d’auto, e quello che ci aveva detto nostro padre era stato:
«Lavorate per superare il dolore». Da allora è sempre stato il mio motto.
Pensavo anche che una cosa del genere avrebbe potuto persuadere Pete a
restare. Ma in realtà non fece che rafforzarlo nella sua decisione di mollare.
CAMILA : «Devi riprendere la tournée, Billy», gli dissi. «Veniamo anche noi,
se vuoi. Ma devi farlo. Stare a casa a rimuginare ti sta uccidendo.»
GRAHAM: Quando succede una tragedia, ti sembra che il mondo sia finito,
ma poi ti rendi conto che non finisce mai. Che va avanti. Che niente è in
grado di farlo finire.
E io continuavo a pensare al fatto che per me e Karen la vita, insomma…
stava appena cominciando.
KAREN : Ero molto grata a Rod per averci rimessi in carreggiata. Per avere
impedito che ci ribaltassimo.
DAISY : Quella prima serata, mi sembra che fossimo in Ohio, ero imbarazzata
anche solo a farmi vedere da Billy. Perché gli avevo detto che volevo
smettere, ma poi non l’avevo fatto. Anzi, ero sprofondata ancora più in
basso.
KAREN : Informai Graham che avevo deciso di abortire. Lui mi diede della
pazza, io ribattei che non lo ero. Mi chiese di non farlo.
«Hai intenzione di uscire tu dal gruppo per crescere il bambino?» gli
domandai. Lui non mi rispose, e la cosa finì lì.
KAREN : Da quel giorno e fino alla fine della tournée, Camila rimase con noi.
Faceva avanti e indietro in aereo, a volte con tutte e tre le bambine, ma quasi
sempre con Julia. Mi pare che Julia avesse cinque anni, all’epoca.
DAISY : Esibirsi ogni sera cominciò a diventare una specie di tortura. Una
cosa era cantare insieme a Billy quando stavo con un altro, quando ancora
non sapevo cosa provavo, quando avevo menzogne dietro le quali
nascondermi. La negazione della realtà è come una vecchia coperta. Era
piacevole avvoltolarmici dentro e dormire. Ma lasciando Nicky, cantando
quella canzone in diretta tivù insieme a Billy, dicendogli che volevo smettere
di farmi… me l’ero strappata di dosso, e ormai non potevo più rimettermela.
E questo mi stava uccidendo. La vulnerabilità, la sofferenza. Il fatto di dover
uscire sul palco ed esibirmi con lui.
Mentre cantavamo «Young Stars», pregavo che Billy mi guardasse e
riconoscesse quello che ci stavamo dicendo. E quando cantavamo «Please»,
lo imploravo di prestarmi attenzione. Facevo fatica a mettere rabbia in
«Regret Me», perché la maggior parte delle volte non la provavo. Non più.
Ero solo triste. Terribilmente triste.
E tutti volevano rivedere «A Hope Like You» come l’avevamo fatta a
SNL, e noi ci sforzavamo di accontentarli. E ogni sera era una pugnalata che
mi sventrava.
Sedermi accanto a lui e sentire il profumo del suo dopobarba. Vedere le
sue grandi mani dalle nocche gonfie che suonavano il piano e cantare dal
profondo del cuore che avrei voluto che mi amasse come lo amavo io.
Passavo le ore del giorno cercando di medicarmi le ferite, ma era come
se ogni sera le riaprissi di nuovo.
DAISY : Avevo rincorso quella vita con tutte le mie forze. Il desiderio di
esprimermi, di farmi sentire, di dare gioia agli altri con le mie parole. Ma
ormai era diventato un inferno che io stessa avevo creato, una gabbia che io
stessa avevo eretto e in cui mi ero rinchiusa. Arrivai a rimpiangere di avere
riversato il mio cuore e il mio dolore nella musica, poiché significava che
non sarei mai riuscita a lasciarmi tutto alle spalle. E che avrei dovuto
continuare a cantare rivolta a lui, una sera dopo l’altra, senza più poter
nascondere quello che provavo o quanto soffrivo a stargli accanto.
Era un grande spettacolo, certo. Ma era anche la mia vita.
EDDIE: Pete non voleva sentire ragioni. Warren mi consigliò di parlarne con
Billy, di chiedere a lui di farlo ragionare. Come se Pete potesse dare retta a
Billy quando non dava retta a me, suo fratello.
EDDIE: Graham si mette di mezzo, ed è già un periodo in cui sta dando sui
nervi a tutti da quanto è teso. Comunque sia, anche lui dice che dovremmo
parlarne con Billy. Io ripeto che, se Pete non dà retta a me, di sicuro non
darà retta a Billy, ma Graham nemmeno mi ascolta. E così, quando ci
fermiamo a una tavola calda alle porte di Chicago, mi si avvicina Billy.
«Che succede?» chiede. «Di cosa dobbiamo parlare?»
In quel momento stavo cercando il bagno, pensando ai fatti miei. «Niente,
lascia perdere», risposi.
«È la mia band», disse lui. «Ho il diritto di sapere cosa succede nella mia
band.»
Quello mi fece incazzare. «La band è di tutti», ribattei.
«Sai benissimo cosa intendevo», fece lui.
E io: «Sì, sappiamo tutti cosa intendi».
CAMILA : Non sta a me raccontare cosa accadde quel giorno. Dico solo che
hai il dovere di stare accanto agli amici nei momenti difficili. E tenerli per
mano nelle situazioni più dure. La vita sta tutta in chi ti tiene per mano, e in
chi scegli di tenere per mano.
ROD : In realtà cominciò come tutti gli altri concerti. Ormai era diventata
un’arte. I riflettori si accesero, la band uscì sul palco, Graham attaccò con
«This Could Get Ugly» e la folla cominciò a gridare.
BILLY : Camila era dietro le quinte sul lato del palco. Julia era con lei. Le
gemelle erano in albergo con la baby-sitter. Ricordo di aver guardato dietro
le quinte e averla vista lì con Julia in braccio. I capelli le arrivavano ormai
fin quasi alla vita. Normalmente erano castani, ma durante l’estate si erano
schiariti e sembravano quasi dorati. Avevano entrambe i tappi nelle
orecchie, grosse protuberanze arancioni che spuntavano ai lati della testa. Io
e Camila ci sorridemmo. Aveva un bellissimo sorriso. Aveva i canini piatti.
Curioso, vero? Di solito i canini sono appuntiti, ma i suoi erano piatti, e le
regalavano un sorriso perfetto. Una linea retta. Mi tranquillizzava sempre, il
suo sorriso.
E quella sera a Chicago, quando Camila mi sorrise da dietro le quinte…
per quel breve momento mi dissi: Andrà tutto bene.
GRAHAM: Ero come un sonnambulo, quella sera. Ero lì, ma in realtà non
c’ero.
KAREN : Volevo solo arrivare alla fine e tornarmene in albergo. Volevo solo
un po’ di quiete. Non avevo voglia… di essere su quel palco, vedere
Graham che mi guardava e sentire la sua disapprovazione.
EDDIE: Siamo tutti lì a suonare come Billy vuole che suoniamo, giusto? Non
c’è bisogno di avvertirci che potremmo fare un pezzo che è un anno che non
facciamo.
DAISY : Cosa rispondi a una folla urlante? Dici di no? Non credo proprio.
BILLY : Quando la sentii cantare i miei versi originari, cantare il futuro mio e
di Camila… Avevo talmente tanti dubbi nel cuore. Dubitavo di me stesso,
che sarei riuscito a mantenermi sulla retta via. Ma poi… [Inspira a fondo]
Quelle parole. Quel piccolo gesto. Per un breve momento, Daisy non mi
ricordò che avrei potuto fallire. Cantò quei versi come se sapesse che ce
l’avrei fatta. E stiamo parlando di Daisy. Di Daisy. Fino a quel momento non
mi ero reso conto di quanto ne avessi bisogno. Ed era una cosa che avrebbe
dovuto farmi sentire meglio, ma era anche una sofferenza.
Perché se fossi stato l’uomo che volevo essere, se fossi riuscito a dare a
Camila la vita che le avevo promesso… be’, al tempo stesso avrei perso
qualcosa.
KAREN : Lui non aveva dovuto passare quello che avevo passato io. Sapevo
che stava soffrendo, ma che diritto aveva di insultarmi?
EDDIE: Bloccai la mano di Karen appena prima che gli mollasse un ceffone.
GRAHAM: Billy non mi diede retta. «È importante», gli dissi. «Per una volta,
ti prego, stammi a sentire».
BILLY : Non potevo concentrarmi su nient’altro. Una voce mi stava
chiamando, dicendomi di bere. Ed era quello che avrei fatto. Non potevo
aiutare nessuno. Non potevo fare niente per nessuno.
BILLY : Graham mi afferrò per la camicia e disse: «Dopo tutto quello che ho
sempre fatto per te, non hai cinque cazzo di minuti per parlare con me?» Gli
presi la mano, gliela scostai e gli dissi di andarsene. E lui lo fece.
GRAHAM: Non dovresti passare così tanto tempo con tuo fratello, punto e
basta. Non dovresti andare a letto con qualcuno della tua band, non dovresti
lavorare con tuo fratello, e se avessi potuto tornare indietro, c’erano un
sacco di stronzate che avrei fatto in modo diverso.
WARREN : Dopo il concerto, mi feci una canna insieme a Eddie, Pete e Rod.
Tutti gli altri erano scomparsi.
GRAHAM: Capivo i motivi per cui non potevamo avere un figlio, davvero.
Ma il fatto di averlo perso mi faceva sentire profondamente solo. Ed ero
l’unico a pensare che avevamo perso qualcosa. Ero l’unico a provarne
dolore. Per questo ero furioso con lei.
KAREN : Lui aprì la porta, e io rimasi lì sulla soglia e pensai: Perché sono
venuta? Non c’era niente che potessi dirgli per porre rimedio alla
situazione.
GRAHAM: Come faceva a non vedere il futuro che vedevo io?
KAREN : «Tu non mi capisci», gli dissi. «Vuoi che sia qualcuno che non
sono.»
«Non mi hai mai amato come ti amavo io», disse lui.
Erano vere entrambe le cose.
GRAHAM: Sentivo il tepore del suo corpo, ma per qualche motivo ricordo
che le sue mani erano fredde. Non so per quanto tempo restammo abbracciati
così.
KAREN : A volte penso che, se fossi stata nei panni di Graham, forse anch’io
avrei voluto un figlio. Se avessi saputo che qualcun altro l’avrebbe
cresciuto, che qualcun altro avrebbe rinunciato ai suoi sogni, che qualcun
altro si sarebbe sacrificato per tenere tutto insieme mentre io continuavo a
fare quello che volevo e tornavo a casa nei fine settimana… forse allora sì
che avrei voluto un figlio.
Anche se in realtà non lo so. Non ne sono del tutto sicura.
Quello che sto dicendo, suppongo, è che non ce l’avevo con Graham
perché non mi capiva. E, in fin dei conti, credo che nemmeno lui ce l’avesse
con me per quello che desideravo.
BILLY : Mi sedetti al bar e ordinai una tequila liscia. Quando arrivò, sollevai
il bicchiere, feci roteare il liquore, lo annusai. Poi si avvicinarono due
donne e mi chiesero l’autografo. Dissero che io e Daisy eravamo la cosa più
incredibile che avessero mai visto. Firmai due tovagliolini di carta, e dopo
un po’ se ne andarono.
DAISY : Rientrai in albergo a notte fonda. Non ricordo cosa avessi fatto.
Ricordo solo che volevo evitare Billy. Probabilmente avevo vagato a piedi
per la città. Quando entrai nell’atrio, ero ancora stonata, e puntai decisa a
destra, verso il bar. Ricordo di avere pensato che volevo solo perdere
conoscenza.
Ma evidentemente non mi rendevo conto di cosa stavo facendo, perché mi
ritrovai nell’ascensore. E va bene, mi dissi, prenderò qualche rossa e andrò
a letto. Ma, arrivata davanti alla mia porta, non riuscii a infilare la chiave
nella serratura. Provai e riprovai, però non c’era niente da fare.
Probabilmente stavo anche facendo un gran baccano.
Poi mi parve di sentire una voce di bambina.
DAISY : Okay.
DAISY : Sì.
AUTRICE: Ed eri seduta sul pavimento del corridoio. Non riuscivi ad aprire
la porta della tua camera.
DAISY : Sì.
DAISY : Dovevi avere cinque anni o giù di lì. Hai un’ottima memoria.
AUTRICE: In realtà, me n’ero completamente dimenticata, ma sentendotelo
raccontare mi è tornato in mente. Mia madre però non me ne ha mai parlato,
chissà perché.
AUTRICE: Sì, continua così. Io sono Julia, mia madre è Camila. Come
abbiamo fatto fino a questo punto.
BILLY : «A volte hai bisogno di schiarirti un po’ le idee», dissi al tizio seduto
accanto a me.
«Ma che problemi può avere uno come te?» chiese lui.
Volle sapere quanti soldi avevo, e glielo dissi. Gli spiattellai l’ammontare
netto del mio patrimonio.
«Perdonami se non provo compassione», commentò.
Annuii. Capivo il suo punto di vista. Tornai a sollevare il bicchiere e me
lo portai alle labbra.
DAISY : «Quello che devi capire», disse Camila, «è che non ho intenzione di
rinunciare a lui. Non gli permetterò di lasciarmi. Lo aiuterò a superare
questa fase, così come l’ho aiutato con il resto. Noi siamo superiori a queste
cose. Siamo superiori a te.»
Julia si infilò sotto le coperte su un lato del letto, e io mi girai a
guardarla.
«Preferirei che Billy non si fosse innamorato di un’altra», proseguì
Camila. «Ma sai cos’ho deciso un bel po’ di tempo fa? Ho deciso che non ho
bisogno dell’amore perfetto, di un marito perfetto, di figli perfetti, di una vita
perfetta e tutto il resto. Quello che voglio è il mio amore, mio marito, le mie
figlie, la mia vita. Io non sono perfetta. Non lo sarò mai, e non mi aspetto che
tutto il resto lo sia. Ma per essere forte, un rapporto non dev’essere a tutti i
costi perfetto. Per cui, se hai intenzione di aspettare che si rompa qualcosa,
devi… devi sapere che quel qualcosa non sarò io. E che non posso
permettere che sia Billy. Il che significa che sarai tu.»
BILLY : Il tizio al bar, quello con la compagna che aveva un debole per me,
continuava a guardarmi. Aveva un bicchiere colmo di birra, che sorseggiava
con l’aria di chi è indifferente a cosa sta bevendo.
Lo guardai con la coda dell’occhio… e poi lo feci.
Bevvi un sorso, più o meno mezzo dito di liquore.
Poi strinsi le dita sul bicchiere. Come se qualcuno volesse strapparmelo
di mano.
«Ma forse mi sbagliavo», disse il tizio. «Forse anche uno come te può
essere incasinato.» Mi dissi: Posa il bicchiere. Mettilo giù.
BILLY : Solo che non riuscivo a posarlo, quel bicchiere. Le mie dita non se ne
staccavano. Quanto vorrei che quest’uomo me lo togliesse di mano prima
che possa finirlo, pensai. Che me lo togliesse di mano e lo scaraventasse
dall’altra parte del locale.
DAISY : Per un po’ rimasi zitta, cercando di elaborare quello che Camila mi
stava dicendo. «Credo che tu te ne debba andare», riprese lei. «Ma
qualunque sarà la tua decisione, Daisy, sappi che faccio il tifo per te. Che ti
disintossichi, che ti prenda cura di te stessa: è per questo che tifo.»
«Perché ti importa di me?» le chiesi alla fine.
«Penso che a metà mondo importi di te», disse.
Scossi la testa. «Io piaccio alla gente, ma non conto niente per nessuno.»
«No, ti sbagli», ribatté lei. Per un attimo rimase zitta, poi proseguì: «Vuoi
sapere una cosa che a Billy non ho mai detto? ‘A Hope Like You’ è la mia
canzone preferita. Non la mia preferita dei Six: la mia preferita in assoluto.
Mi fa ripensare al mio primo grande amore. Si chiamava Greg, e pur
sapendo, fin dall’inizio, che non mi avrebbe mai amata come io amavo lui, lo
avevo voluto lo stesso. E, come avevo previsto, lui mi spezzò il cuore. La
prima volta che ho sentito quella canzone, le tue parole mi hanno riportata a
quei momenti. Mi hanno riportata al mio primo amore. Con tutte le sue
sofferenze, le speranze, le tenerezze. Tu l’hai reso ancora nuovo e reale. Hai
scritto una bellissima canzone sul desiderio di possedere qualcosa che sai di
non poter avere, ma che vuoi ugualmente. Mi importa di te, Daisy, perché
quando ti guardo vedo un’autrice fantastica che soffre della stessa cosa di
cui soffre l’uomo che amo. Entrambi credete di essere anime perse, mentre in
realtà siete quello che tutti cercano.»
Assorbii le sue parole, le lasciai penetrare a fondo. Poi dissi: «Quella
canzone non… non parla di Billy, se è questo che pensavi. Parla del
desiderio di avere una famiglia, dei figli. E della consapevolezza di non
esserci portata. Della sensazione di essere troppo incasinata per meritarlo.
Ma lo desidero lo stesso, e poi osservo te e quello che sei, e so che è tutto
ciò che io non potrò mai essere.»
Camila mi guardò per un momento, e poi disse la cosa che mi cambiò la
vita. «Non darti per vinta così presto, Daisy», disse. «Tu sei un sacco di
cose che non sai ancora di essere.» Quelle parole mi colpirono. Il fatto che
quello che ero non fosse ancora stabilito del tutto. Che ci fosse ancora
speranza. Che una donna come Camila Dunne pensasse che ero…
Che Camila Dunne mi giudicasse degna di essere salvata.
BILLY : Il tizio abbassò gli occhi sulla mia mano e parve guardare la fede.
«Sei sposato?» chiese, e io annuii. Scoppiò a ridere e disse che la sua
ragazza ci sarebbe rimasta malissimo. Poi domandò: «Avete figli?» Restai
un po’ spiazzato, e annuii di nuovo, in silenzio. «Hai qualche foto?» fece lui,
e io pensai alle fotografie di Julia, Susana e Maria che avevo nel
portafoglio.
E posai il bicchiere.
Non fu facile. Fu una lotta, un centimetro dopo l’altro, e abbassando la
mano verso il banco mi sembrava di affondarla nel cemento fresco. Ma ce la
feci. Posai quel bicchiere.
DAISY : Erano le prime ore del mattino quando Camila sollevò Julia dal mio
letto e mi prese la mano. Io gliela strinsi, e lei disse: «Buonanotte, Daisy».
«Buonanotte», risposi. Julia era abbandonata contro il suo petto,
addormentata. Poi cambiò leggermente posizione e affondò la testa
nell’incavo del collo di Camila, come se fosse il luogo più sicuro e più
morbido del mondo.
BILLY : Mi sfilai di tasca il portafoglio e gli mostrai le foto delle mie figlie.
E mentre lo facevo, lui mi prese il bicchiere e lo allontanò.
«Bellissime bambine», disse.
«Grazie», risposi.
E lui: «Ti fa venire voglia di andare avanti e continuare a lottare, vero?»
«Sì, è vero», annuii.
Lui mi guardò, e io guardai il bicchiere, e… mi sentii abbastanza forte da
allontanarmi. Ma non sapevo per quanto tempo mi sarei sentito così, perciò
misi un biglietto da venti sul banco e dissi: «Grazie».
«Di niente», fece lui. Poi prese il mio venti, me lo restituì e disse: «Offro
io, okay? Così saprò di aver fatto qualcosa per qualcuno».
Mi ripresi i soldi e ci stringemmo la mano.
E poi me ne andai.
DAISY : Le aprii la porta e lei uscì con Julia nel corridoio illuminato. «Senza
offesa», disse, «ma spero di non rivederti più.» Sinceramente, un po’ mi ferì,
ma capivo cosa voleva dire. Quando arrivò davanti alla sua porta, si girò a
guardarmi, e fu solo allora che mi resi conto di quanto fosse tesa. Mentre
infilava la chiave nella serratura, le tremavano le dita.
Poi varcò la soglia della stanza e scomparve.
WARREN : Mi sveglio il giorno dopo e Daisy non c’è più, Graham e Karen
non si rivolgono la parola e a un certo punto Billy sale sul pullman bianco e
annuncia che si prende una pausa dalla tournée. Sicché Rod è costretto a
cancellare il resto delle date.
ROD : Senza Billy o Daisy non potevamo portare a termine nessuna tournée.
ROD : Di Daisy non c’era traccia. Billy stesso non voleva più andare avanti.
Pete si era già chiamato fuori. Eddie non voleva più saperne di suonare con
Billy. Graham e Karen non si rivolgevano la parola. Andai da Graham e gli
dissi: «Prova a far ragionare Billy».
E Graham ribatté che a Billy non avrebbe «detto un cazzo».
Se la situazione precipita a questo punto, io cosa farò? mi chiesi. Il
pensiero di ricominciare da capo con qualcun altro, di prendere un’altra
banda di persone incasinate e cercare di dar loro una carriera… non lo so.
BILLY : Non ho mai saputo il motivo preciso per cui Daisy se ne andò. Cosa
fosse successo quella sera, durante quel concerto, che le fece prendere
quella decisione. Ma, per quanto mi riguarda, non ero in grado di scrivere un
buon album senza Teddy. E non ero in grado di scrivere un album di
successo senza Daisy. Però non potevo più lavorare con nessuno dei due, e
non ero disposto a pagarne il prezzo, neanche un millesimo di quanto avevo
già pagato.
E così salii sul pullman e annunciai a tutti: «È finita, ragazzi. È tutto
finito».
E nessuno di loro, né Graham né Karen, né Eddie né Pete, nemmeno
Warren o Rod, cercò di convincermi del contrario.
PETE LOVING: Non ho molto da dire, in realtà. Non ce l’ho con nessuno. Ho
dei bellissimi ricordi di tutti. Ma quella parte della mia vita è finita. Oggi ho
una ditta di installazioni di prati artificiali. Io e Jenny viviamo in Arizona. I
nostri figli sono adulti. Abbiamo una bella vita.
È davvero tutto quello che ho da dire. Ho quasi settant’anni, ma continuo
a guardare al futuro, capisci? Non mi guardo indietro. Puoi pure citarmi nel
tuo libro, ma temo che, per quanto mi riguarda, sia tutto qui.
ROD : Ho comprato casa a Denver. Per un po’ Chris ha vissuto con me. Per
qualche anno siamo stati bene. Poi lui se n’è andato, e io ho conosciuto
Frank. La mia vita è fatta di piccole cose. Faccio l’agente immobiliare. Ho il
meglio dei due mondi: una vita semplice con delle storie incredibili sui bei
tempi andati.
Ciao ragazze,
ho bisogno del vostro aiuto.
Quando me ne sarò andata, lasciate un po’ di tempo a vostro padre. Poi,
per piacere, ditegli di chiamare Daisy Jones. Il numero è sulla mia agenda,
nel secondo cassetto del comodino.
Dite a vostro padre che, come minimo, mi devono una canzone.
Vi voglio bene,
Mamma
CHASING THE NIGHT
Coraggio, tesoro
Prova a pensarci
Riesci davvero a stare senza?
Impossible woman
Let her hold you
Let her ease your soul
Donna impossibile
Lascia che ti stringa a sé
Che rassereni la tua anima
Ti farà correre
Nella direzione sbagliata
Ti chiamerà
Per le ossessioni sbagliate
Oh, lei punta
Alla tua redenzione
Ti farà tornare
In confessione
Provo a spegnere,
Ma tu, baby, mi riaccendi
Provo a spegnere,
Ma tu, baby, mi riaccendi
Provo a spegnere,
Ma tu, baby, mi riaccendi
Provo a spegnere,
Ma tu, baby, mi riaccendi
PLEASE
Please me
Please release me
Touch me and taste me
Trust me and take me
Please me
Please release me
Relieve me and believe me
Maybe you can redeem me
Accontentami
Ti prego, lasciami andare
Toccami e assaggiami
Credimi e prendimi
Accontentami
Ti prego, lasciami andare
Liberami e credimi
Forse puoi redimermi
So che mi vuoi
So che vuoi stringermi
So che vuoi mostrarmi
So che vuoi conoscermi
A curse, a cross
Costing me all costs
Knotting me up in all of your knots
An ache, a prayer
Worn from wear
Daring what you do not dare
Tu mi puoi spezzare
Ma mi conservo per lei che mi ha salvato
Sembriamo giovani stelle
Solo perché le vecchie cicatrici non si vedono
Tu mi puoi spezzare
Ma mi conservo per lei che mi ha salvato
Sembriamo giovani stelle
Solo perché le vecchie cicatrici non si vedono
Tu mi puoi spezzare
Ma mi conservo per lei che mi ha salvato
Sembriamo giovani stelle
Solo perché le vecchie cicatrici non si vedono
REGRET ME
Regret me
Regret setting me free
Regret me
I won’t go easily
Regret it
Regret saying no
Regret it
Regret letting me go
Rimpiangimi
Rimpiangi di avermi lasciata andare
Rimpiangimi
Un giorno lo rimpiangerai
Prima di andare farò sì che accada
MIDNIGHTS
Aurora, Aurora
Aurora, Aurora
Aurora, Aurora
Aurora, Aurora
AURORA
Aurora, Aurora
Aurora, Aurora
Aurora, Aurora
Aurora, Aurora
RINGRAZIAMENTI
QUESTO libro non esisterebbe senza l’entusiasmo della mia agente, Theresa
Park. Theresa, è stata la tua passione per l’idea a trasformare questo libro in
realtà. Sono onorata di averti al timone della mia carriera, e sbalordita dai
risultati. Grazie di incoraggiarmi a correre rischi e puntare alla luna.
Più ancora di qualsiasi altro mio libro, Daisy Jones & The Six ha avuto
bisogno di tutto l’aiuto possibile. Tanto per cominciare, mio fratello Jake ha
dovuto insegnarmi ad avere buon gusto in fatto di musica. Grazie, Bear, per
avermi dato una regolata.
Alex: non è stato facile decidere a che punto ringraziarti, poiché la tua
mano è presente in ogni aspetto di questa storia. Hai avuto l’idea insieme a
me, mi hai insegnato la teoria musicale, hai ascoltato Rumours con me, hai
litigato con me su Lindsey Buckingham e Christine McVie, hai lasciato un
lavoro per restare di più a casa, sei diventato il genitore primario e hai letto
il libro più o meno nove milioni di volte. Quando scrivo di amore, scrivo di
te. Siamo in pista da dieci anni, e sono ancora pazza di te.
E per finire, il pezzo forte del mio mondo: Lilah Reid. Ti sono davvero
grata per come mi hai cambiata, mia minuscola capitana, e questo libro e la
sua anima più profonda sono testimonianza di cosa provo a essere tua madre.
Ci sono moltissimi modi di stare al mondo, e a volte penso di scrivere solo
per mostrartene alcuni. Ma farò in modo, a qualsiasi costo, che tu conservi
quel cuore combattivo, caparbio, curioso, sempre pronto a offrire a tutti i
suoi Cheerios, perché sei più unica che rara.
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trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in p ubblico, o utilizzato in alcun
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dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non p otrà avere alcuna forma diversa da quella in
cui l’op era è stata p ubblicata e le condizioni incluse alla p resente dovranno essere imp oste
anche al fruitore successivo.
Questa è un’op era di fantasia. Nomi, p ersonaggi, luoghi e avvenimenti sono frutto
dell’immaginazione dell’autrice o usati in modo fittizio. Qualsiasi rassomiglianza con fatti o
località reali o p ersone, realmente esistenti o esistite, è p uramente casuale.
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COPERTINA || GRAFICA DI CAROLINE TEAGLE JOHNSON. FOTO © STOCKSY. | ART DIRECTOR: FRANCESCO
MARANGON | GRAPHIC DESIGNER: LAURA DE MEZZA
« L’AUTRICE» || FOTO © DEBORAH FEINGOLD
Sommario
Copertina
L’immagine
Il libro
L’autrice
Frontespizio
NOTA DELL’AUTRICE
LA GROUPIE. DAISY JONES. 1965-1972
L’ASCESA DEI. SIX. 1966-1972
LA IT GIRL. 1972-1974
DEBUTTO. 1973-1975
FIRST. 1974-1975
SEVEN EIGHT NINE. 1975-1976
LA TOURNÉE DEI NUMERI. 1976-1977
AURORA. 1977-1978
LA TOURNÉE MONDIALE DI AURORA. 1978-1979
CHICAGO STADIUM. 12 luglio 1979
ALLORA E OGGI. 1979-Oggi
UN’ULTIMA COSA PRIMA DI ANDARE. 5 novembre 2012
CHASING THE NIGHT
RINCORRENDO LA NOTTE
THIS COULD GET UGLY
SE SI METTESSE MALE
IMPOSSIBLE WOMAN
DONNA IMPOSSIBILE
TURN IT OFF
SPEGNI
PLEASE
TI PREGO
YOUNG STARS
GIOVANI STELLE
REGRET ME
RIMPIANGIMI
MIDNIGHTS
NOTTI
A HOPE LIKE YOU
UNA SPERANZA COME TE
AURORA
AURORA
RINGRAZIAMENTI
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