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Il libro

D aisy Jones & The Six: un gruppo rock diventato leggenda. I loro concerti
hanno riempito gli stadi di tutto il mondo, le loro canzoni hanno infiammato le
notti di un’intera generazione. Il loro mito è la favola di un’ascesa folgorante,
dalle prime esibizioni nei locali underground al successo planetario. È l’incarnazione
stessa di un’epoca in cui sesso, droga e rock’n’roll sembravano inscindibili. È la sintesi
di un’alchimia perfetta: quel magnetismo unico tra Billy Dunne – il frontman della band,
carismatico e tormentato – e Daisy Jones, splendida cover girl e cantautrice dal talento
naturale, spirito libero e inafferrabile.
Eppure, il 12 luglio 1979, dopo un concerto memorabile, il gruppo si è sciolto per
sempre. Nessuno ha mai saputo perché… Fino a oggi.
Ex musicisti e manager, giornalisti e famigliari: sono stati tutti testimoni, e adesso, a
quarant’anni di distanza, sono finalmente pronti a raccontare la verità. Ma ognuno ha la
propria versione dei fatti.
Quella che rivive attraverso le loro voci è una storia di ragazzi di vent’anni, amici e
amanti, fratelli e rivali; idoli sul palco, anime fragili a riflettori spenti. Una storia di notti
folli e albe smarrite, sogni troppo grandi da afferrare e demoni troppo forti da
annientare, passioni che accendono il sangue nelle vene e stelle che brillano fino a
incendiare il cielo. Perché una canzone non è mai soltanto una semplice canzone. C’è
la vita, nella musica. Ed è impossibile dire con certezza dove finisca l’una e abbia inizio
l’altra.
L’autrice

TAYLOR JENKINS REID vive a Los Angeles. Dopo un inizio di


carriera nel mondo del cinema, ha esordito nella narrativa; è
autrice di sei romanzi che hanno conosciuto un successo
crescente negli Stati Uniti e all’estero. Daisy Jones & The Six,
nominato libro dell’anno dalle testate più prestigiose di Stati
Uniti e Gran Bretagna, dove ha conquistato i vertici delle
classifiche, è ora in corso di pubblicazione in oltre 20 Paesi e
diventerà una serie tv.
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Taylor Jenkins Reid

DAISY JONES & THE SIX


Traduzione di Stefano Bortolussi
Per Bernard e Sally Hanes, un’onesta storia d’amore, se mai ne è esistita una.
NOTA DELL’AUTRICE

QUESTO libro è il tentativo di ricostruire con esattezza l’ascesa al successo


della celebre rock band degli anni Settanta Daisy Jones & The Six, e ciò che
in seguito condusse all’improvviso, famigerato scioglimento, avvenuto in
piena tournée il 12 luglio 1979 a Chicago.
Nel corso degli ultimi otto anni ho condotto interviste individuali con i
membri attuali e passati del gruppo, così come con famigliari, amici ed
esponenti dell’élite discografica che li attorniavano ai tempi. La storia orale
che segue è stata redatta e adattata a partire da quelle conversazioni, così
come da e-mail, trascrizioni e testi di canzoni attinenti all’argomento. (I testi
completi dell’album Aurora sono raccolti in fondo al libro.)
Se è vero che miravo a un ritratto esauriente, devo ammettere che è stato
impossibile. Alcuni potenziali soggetti da intervistare sono stati difficili da
rintracciare; certi sono stati più disponibili di altri; e altri ancora,
sfortunatamente, hanno declinato il mio invito.
Questo libro rappresenta la prima e unica occasione in cui i membri del
gruppo hanno parlato della loro storia comune. Va anche detto, tuttavia, che a
volte, sia su questioni importanti che secondarie, le versioni di uno stesso
evento differiscono.
Spesso la verità sta nel mezzo, senza che nessuno la rivendichi.
LA GROUPIE
DAISY JONES
1965-1972

Daisy Jones è nata nel 1951 ed è cresciuta sulle colline di Hollywood a


Los Angeles, California. Figlia di Frank Jones, noto pittore britannico, e
Jeanne LeFevre, modella francese, Daisy comincia a farsi conoscere nei
tardi anni Sessanta, giovane teenager sulla scena del Sunset Strip.

ELAINE CHANG (biografa e autrice di Daisy Jones: Fiore selvaggio): È


questo l’aspetto tanto accattivante di Daisy Jones, fin da prima che
diventasse «Daisy Jones».
Daisy è una ragazzina bianca e ricca cresciuta a L.A. È bellissima, fin da
bambina. Ha due meravigliosi occhi azzurri, o meglio, blu cobalto. Uno dei
miei aneddoti preferiti che la riguardano è quello dell’azienda produttrice di
lenti a contatto colorate che negli anni Ottanta creò una tinta chiamata Daisy
Blue. Daisy ha una massa di capelli ramati, folti, ondulati e voluminosi. E
zigomi che sembrano quasi gonfi, da quanto sono marcati. E poi quella voce
incredibile che lei non coltiva, per cui non prende nemmeno una lezione. È
nata con tutti i soldi del mondo, accesso a ciò che vuole (artisti, droga, locali
notturni), qualsiasi cosa a sua disposizione.
Ciò nonostante, non ha nessuno. Non ha fratelli o sorelle, non ha una
famiglia allargata a Los Angeles. Ha due genitori talmente immersi nel loro
mondo da essere praticamente indifferenti alla sua esistenza. Anche se,
quando si tratta di farla posare per gli amici artisti, non si tirano indietro.
Per questo esistono così tanti ritratti e fotografie di Daisy da bambina: gli
artisti che frequentavano i Jones vedevano Daisy, vedevano quanto era bella,
e volevano immortalarla. Ma è significativo che non ci sia nemmeno un
ritratto di Daisy a opera di Frank Jones. Lui è troppo preso dai suoi nudi
maschili per prestare attenzione alla figlia. E così, in generale, Daisy Jones
trascorre un’infanzia solitaria.
In realtà era un tipo molto socievole ed estroverso: spesso chiedeva di
farsi tagliare i capelli solo perché le era simpatico il parrucchiere, si offriva
di portare fuori i cani dei vicini, e in casa si scherzava sulla volta in cui
aveva provato a preparare una torta di compleanno per il postino. Stiamo
dunque parlando di una ragazzina alla disperata ricerca di contatto umano.
Però nessuno è davvero interessato a lei per quello che è, men che meno i
suoi genitori. E questo la fa soffrire. Ma la fa anche crescere fino a diventare
un’icona.
Tutti noi amiamo le persone attraenti e ferite. E non si potrebbe essere più
palesemente feriti e più classicamente belli di Daisy Jones.
Sicché è naturale che Daisy cominci a trovare se stessa sul Sunset Strip.
In quel luogo così scintillante e famigerato.

DAISY JONES (cantante, Daisy Jones & The Six): Da casa mia potevo
scendere a piedi sullo Strip. Avevo più o meno quattordici anni, ero stufa di
restare sempre in casa, volevo fare qualcosa di diverso. Non ero abbastanza
grande per poter entrare nei bar e nei locali, ma ci andavo lo stesso.
Ricordo che un giorno chiesi una sigaretta a un roadie dei Byrds. Imparai
in fretta che, se non portavi il reggiseno, la gente ti credeva più grande. E
certe volte mi allacciavo una bandana sulla testa come le ragazze più cool.
Volevo mescolarmi alle groupie sui marciapiedi, con le loro canne e le loro
fiaschette e altro ancora.
E così una sera chiesi una siga a quel roadie davanti al Whisky a Go Go.
Era la prima volta che fumavo, ma finsi di essere un’esperta. Trattenni la
tosse e tutto il resto e cominciai a flirtare al meglio delle mie capacità. A
ripensarci adesso, mi sento morire di imbarazzo: chissà quant’ero maldestra.
Ma a un certo punto un tizio si avvicina e dice: «Dobbiamo entrare a
montare gli ampli». E il roadie si volta verso di me e domanda: «Vieni?» E
fu così che entrai per la prima volta al Whisky.
Quella notte restai fuori fino alle tre o alle quattro. Non lo avevo mai fatto
prima. Ma era come se avessi improvvisamente cominciato a esistere. A
essere parte di qualcosa. Quella sera passai da zero a cento in un colpo solo.
Bevvi e fumai tutto quello che mi capitò a tiro.
Rientrai a casa ubriaca e fatta e crollai a letto. Sono abbastanza sicura
che i miei non si fossero neanche accorti della mia assenza.
Il giorno seguente mi alzai, e la sera successiva uscii e rifeci tutto da
capo.
Dopo un po’ i buttafuori dello Strip cominciarono a riconoscermi e
lasciarmi entrare dove volevo. Il Whisky, il London Fog, il Riot House.
Nessuno badava alla mia età.

GREG MC GUINNESS (ex concierge, Continental Hyatt House): Ah, non so


proprio da quanto Daisy girasse intorno all’Hyatt House prima che la
notassi. Ma ricordo la prima volta che la vidi. Ero al telefono, e a un tratto
vedo entrare questa ragazza altissima e magrissima, con la frangetta. E gli
occhi blu più grandi e rotondi che avessi mai visto. E ragazzi, che sorriso.
Enorme. Era a braccetto di un tizio, non ricordo chi.
Molte delle ragazze che a quei tempi frequentavano lo Strip erano
giovani, ma cercavano di sembrare più mature. Daisy però lo era e basta.
Non dava l’impressione di cercare di essere alcunché. Se non se stessa.
Dopo quella sera, la rividi spesso in albergo. Rideva sempre. In lei non
c’era niente di cinico, quanto meno ai tempi in cui la conoscevo io. Era come
guardare Bambi mentre imparava a camminare. Era molto ingenua e
vulnerabile, ma si capiva che aveva qualcosa di speciale.
Ero un po’ in pensiero per lei, a essere sincero. C’erano molti uomini, in
quell’ambiente, a cui le ragazze piacevano… giovani. Rockstar trentenni che
andavano a letto con adolescenti. Non sto dicendo che lo approvassi, solo
che era così che andavano le cose. Quanti anni aveva Lori Mattix quando
stava con Jimmy Page? Quattordici? E Iggy Pop e Sable Starr? Lui ne ha
fatto addirittura una canzone. Vantandosene.
E Daisy la guardavano tutti: cantanti, chitarristi, roadie. Ogni volta che la
vedevo, cercavo di assicurarmi che non avesse problemi. La tenevo
d’occhio. Mi piaceva molto. Era decisamente migliore di tutto quello che le
succedeva intorno.

DAISY : Scoprii sesso e amore sulla mia pelle. Imparai che gli uomini
prendono ciò che vogliono senza sentirsi in debito, e che certe persone
vogliono solo un pezzo di te.
Credo ci fossero certe ragazze (le Plaster Casters, alcune delle GTOs) di
cui forse gli uomini non si approfittavano, non lo so. Ma per me gli inizi
furono difficili.
Persi la verginità con… non importa chi. Era più vecchio di me, un
batterista. Eravamo nell’atrio del Riot House, e lui mi invitò a salire per fare
due tiri. Disse che ero la ragazza dei suoi sogni.
Ero attratta da lui principalmente perché gli piacevo. Desideravo che
qualcuno mi vedesse come se fossi speciale. Avevo un disperato bisogno di
catturare l’interesse di un’altra persona.
Ancora prima di rendermene conto eravamo sul suo letto. Lui mi chiese se
sapessi cosa stavo facendo, e io dissi sì anche se la risposta era no. Ma tutti
non facevano che parlare di amore libero e del fatto che il sesso fosse una
bella cosa. Se eri cool, al passo con i tempi, il sesso ti piaceva.
Per l’intera durata della faccenda fissai il soffitto in attesa che lui finisse.
Sapevo che avrei dovuto dimenarmi, ma rimasi perfettamente immobile,
troppo impaurita per muovermi. L’unico suono nella stanza era lo strofinio
dei nostri vestiti sul copriletto.
Non avevo idea di cosa stessi facendo, o del perché stessi facendo cose
che in realtà non avrei voluto fare. A questo punto della mia vita ho
accumulato un bel po’ di terapia, e quando dico un bel po’ non esagero. E
sono arrivata a capire. A vedere me stessa con chiarezza. Volevo stare con
quegli uomini, con quelle stelle del rock, perché non vedevo altri modi di
essere importante. E immaginavo che per poter restare con loro dovevo
soddisfarli.
Appena finito, lui si alzò. E io mi riabbassai il vestito. «Se vuoi, puoi
pure tornare giù dalle tue amiche», disse lui. In realtà non avevo amiche, ma
capii che mi stava dicendo di togliermi di torno. E così feci.
Lui non mi rivolse mai più la parola.

SIMONE JACKSON (stella della disco): Ricordo che una sera vidi Daisy sulla
pista da ballo del Whisky. Era impossibile non notarla. Attirava lo sguardo
come una calamita. Se il resto del mondo era argento, Daisy era oro.

DAISY : Simone divenne la mia migliore amica.

SIMONE: La portavo con me ovunque andassi. Non avevo mai avuto una
sorella.
Ricordo… era la sera dei disordini sul Sunset Strip, quando tutti
andammo al Pandora’s per protestare contro la polizia e il coprifuoco. Io e
Daisy ci unimmo alla protesta, poi incontrammo un gruppo di attori e
proseguimmo la serata al Barney’s Beanery. Dopodiché andammo da
qualcuno. Daisy si addormentò fuori nel patio, e non rientrammo a casa fino
al pomeriggio successivo. Daisy doveva avere una quindicina d’anni, io
diciannove. Ricordo che continuavo a pensare: Ma sono l’unica a
preoccuparsi per questa ragazza?
Tra l’altro, a quei tempi ci facevamo tutte di amfetamine, Daisy compresa,
malgrado fosse così giovane. Se volevi restare magra e passare la notte
sveglia, qualcosa dovevi prendere. Più che altro benzedrina e bifetamina.

DAISY : Le pillole dietetiche erano una soluzione facile. Così facile che non
parevano nemmeno una scelta. E all’inizio non ti sembrava neanche di essere
fatta. Girava anche molta coca. Se qualcuno ce l’aveva, un tiro lo facevi. La
gente non la considerava neppure una dipendenza. Non proprio.

SIMONE: Il mio produttore mi regalò una casa a Laurel Canyon. Voleva


portarmi a letto. Io gli dissi di no, e lui me la comprò lo stesso. Daisy venne
a stare da me.
Per sei mesi condividemmo lo stesso letto, per cui posso darvi una notizia
di prima mano: quella ragazza non dormiva mai. Potevano essere le quattro
del mattino e, mentre io cercavo di prendere sonno, lei teneva la luce accesa
per leggere.

DAISY : Soffrivo di insonnia da un bel pezzo, fin da bambina. Alle undici di


sera ero ancora in piedi; dicevo di non essere stanca, e i miei mi sgridavano
e mi spedivano a letto. E così ero sempre in cerca di cose da fare in silenzio,
nel cuore della notte. Mia madre aveva una quantità di romanzi d’amore, e io
li leggevo tutti. Alle due del mattino, mentre i miei se la spassavano con gli
amici al pianterreno, io me ne stavo seduta a letto a leggere Il dottor Zivago
o I peccati di Peyton Place.
Con il passare del tempo, divenne un’abitudine. Leggevo di tutto,
qualunque cosa trovassi in casa. Thriller, noir, fantascienza.
Più o meno nello stesso periodo in cui andai a stare da Simone, un giorno
trovai una scatola di biografie storiche abbandonata sul ciglio della strada di
Beachwood Canyon. Le divorai tutte in men che non si dica.

SIMONE: Lo confesso, Daisy è il motivo per cui ho cominciato a dormire con


la mascherina. [Ride] Ma poi ho proseguito perché mi dava un’aria chic.

DAISY : Dopo due settimane che stavo da Simone, un giorno tornai a casa per
prendere qualche altro vestito.
«Sei stata tu a rompere la macchina del caffè stamattina?» chiese mio
padre.
«Papà, non abito più qui», risposi.

SIMONE: Le dissi che poteva stare da me a condizione che andasse a scuola.

DAISY : Le superiori non furono facili. Sapevo che per ottenere un bel voto
dovevi fare quello che ti dicevano. Ma sapevo anche che molte delle cose
che ci dicevano di fare erano stronzate. Ricordo che un giorno ci venne
assegnato un compito sulla scoperta dell’America da parte di Colombo, e io
scrissi che, in realtà, Colombo l’America non l’aveva scoperta. Era la
verità, eppure presi 3.
«Ma ho ragione io!» protestai.
«Sì, ma sei andata fuori tema» rispose la prof.

SIMONE: Era molto intelligente, però i suoi insegnanti non sembravano


rendersene conto.

DAISY : Si dice che io non abbia finito le superiori, ma non è vero. Quando
salii sul palco per ritirare il diploma, c’era Simone ad applaudirmi. Era così
orgogliosa di me. E cominciai a sentirmi fiera anch’io. Quella sera sfilai il
diploma dalla custodia, lo piegai e cominciai a usarlo come segnalibro per
La valle delle bambole.

SIMONE: Il mio primo album fu un fiasco, la casa discografica mi scaricò e il


produttore ci cacciò di casa. Trovai lavoro come cameriera e mi trasferii da
mia cugina a Leimert Park. Daisy fu costretta a tornare dai genitori.

DAISY : Misi le mie cose in valigia, salii in macchina e tornai a casa dei
miei. Quando entrai dalla porta, mia madre era al telefono, la sigaretta in
bocca.
«Ciao, sono tornata», annunciai.
«Abbiamo comprato un divano nuovo», disse lei, e poi riprese la sua
telefonata.

SIMONE: La bellezza di Daisy veniva tutta da sua madre. Jeanne era


splendida. Ai tempi ebbi modo di vederla diverse volte. Occhi grandi,
labbra carnose. Molto sensuale. La gente non faceva che dire che Daisy era
identica a sua madre. Era vero che le somigliava, ma io mi guardavo bene
dal dirglielo.
«Tua mamma è bellissima», ricordo che osservai un giorno.
«Sì, bellissima e niente altro», fu la sua risposta.

DAISY : Quando ci cacciarono da casa di Simone, fu la prima volta che mi


resi conto che non potevo andare avanti in quel modo, facendo affidamento
sugli altri. Dovevo avere intorno ai diciassette anni, e fu la prima volta che
mi interrogai sui miei obiettivi.

SIMONE: A volte, quando Daisy stava da me, la sentivo cantare sotto la


doccia o mentre lavava i piatti. Una canzone di Janis Joplin o Johnny Cash.
Le piaceva cantare «Mercedes Benz». Era più brava di chiunque altro. Io
stavo cercando di ottenere un secondo contratto, prendendo lezioni di canto,
impegnandomi di brutto, e lei lo faceva così, senza il minino sforzo. Avrei
voluto odiarla, per questo. Ma odiare Daisy non è così facile.

DAISY : Uno dei miei ricordi preferiti è quando… io e Simone eravamo in


macchina, probabilmente sulla BMW che avevo allora, e stavamo
percorrendo La Cienega. Adesso in quel punto c’è un enorme centro
commerciale, ma ai tempi c’era ancora il Record Plant. Non so dove
stessimo andando, forse da Jan’s per un panino. Ma stavamo ascoltando
Tapestry, e a un certo punto parte «You’ve Got a Friend». Ci mettemmo
entrambe a cantare a squarciagola insieme a Carole King, ma io prestavo
anche attenzione alle parole, le sentivo nel profondo. Quella canzone mi ha
sempre ispirato gratitudine per lei, per Simone.
Ti dà una pace speciale sapere che hai una persona al mondo che farebbe
qualsiasi cosa per te, e per la quale tu faresti qualsiasi cosa. Lei è stata la
prima con cui abbia avuto un rapporto simile. In quel momento, ascoltando
quella canzone in macchina, gli occhi mi si riempirono di lacrime. Mi voltai
verso Simone e aprii la bocca per parlare, ma lei si limitò ad annuire e disse
solo: «Anch’io».

SIMONE: Era la mia missione, quella di convincere Daisy a fare qualcosa


con la voce che aveva. Ma Daisy faceva solo quello che voleva lei.
Ormai era diventata molto sicura di sé. Quando l’avevo conosciuta era
ancora un po’ ingenua, ma… [Ride] Diciamo che la sua scorza si era
indurita.

DAISY : In quella fase avevo un paio di storie, una con Wyatt Stone dei
Breeze. E per Wyatt non provavo le stesse cose che lui provava per me.
Una sera ci stavamo facendo una canna sul tetto del suo condominio, che
dava su Santa Monica Boulevard, e a un certo punto Wyatt mi fa: «Ti amo da
morire, e non capisco perché per te non sia lo stesso».
«Ti amo per quanto sia preparata ad amare chiunque», gli risposi, ed era
la verità. In quel momento non ero disposta a essere vulnerabile con nessuno.
Lo ero già stata troppo quando ero troppo giovane. Non volevo più esserlo.
Quella notte, dopo che Wyatt era andato a letto, io non riuscivo a
prendere sonno. A un certo punto vedo un foglio di carta con una canzone che
lui sta scrivendo, e capisco subito che parla di me. C’è una ragazza dai
capelli rossi, ci sono gli orecchini a cerchio che a quei tempi portavo
sempre.
E il ritornello dice che io ho un cuore grande ma vuoto d’amore. Leggo e
rileggo le parole, pensando: Non è vero. Non mi aveva capita per niente. Ci
rifletto un po’, poi prendo carta e penna e butto giù qualcosa.
«Il tuo ritornello dovrebbe assomigliare a questo» gli dissi il giorno dopo
quando si svegliò. «Big eyes, big soul / Big heart, no control / But all she
got to give is tiny love.» Occhi grandi, grande anima, nessun controllo, ma
tutto quello che ha da dare è poco amore.
«Ripetilo» disse Wyatt afferrando carta e penna.
«È soltanto un esempio» ribattei. «Scrivitela da solo, la tua canzone.»

SIMONE: «Tiny Love» fu il più grande successo dei Breeze. E Wyatt finse di
averla scritta da solo.

WYATT STONE (cantante, The Breeze): Perché me lo chiedi? È acqua


passata. Chi si ricorda più?

DAISY : Stava cominciando a diventare un’abitudine. Un giorno stavo


facendo colazione da Barney’s Beanery con un tizio, un
regista/sceneggiatore. Ai tempi ordinavo sempre champagne a colazione, ma
al mattino ero sempre stanca per colpa dell’insonnia. Per cui avevo bisogno
di caffè, però ovviamente non potevo bere solo caffè perché ero ancora
troppo eccitata dalle amfetamine. E non potevo neanche bere solo
champagne, perché mi avrebbe dato sonnolenza. Capisci il problema. E così
ordinavo champagne e caffè. Nei locali in cui i camerieri mi conoscevano,
chiamavo la mia ordinazione Up and Down. Qualcosa per tirarmi su,
qualcosa per tenermi giù. Il tizio lo trovò spassoso, ne prese nota su un
tovagliolino e se lo infilò in tasca. «Un giorno o l’altro lo userò», disse. E io
pensai: Cosa diavolo ti fa pensare che un giorno o l’altro non sia io a
volerlo usare? Ma poi naturalmente piazzò la scena nel suo film successivo.
Era così che andavano le cose a quei tempi. Da me ci si aspettava solo
che fossi l’ispirazione per la grande idea di questo o quell’uomo.
Be’, che andassero affanculo.
Fu per questo che cominciai a scrivere le mie cose.

SIMONE: Ero l’unica a incoraggiarla a trovare la sua strada usando il talento


che aveva. Tutti gli altri cercavano solo di sfruttarlo a proprio vantaggio.

DAISY : Essere la musa di qualcuno non mi interessava.


Io non sono una musa.
Io sono quel qualcuno.
Fine della storia.
L’ASCESA DEI
SIX
1966-1972

I Six si formarono alla metà degli anni Sessanta a Pittsburgh,


Pennsylvania, come un gruppo di blues rock chiamato Dunne Brothers.
Billy e Graham Dunne erano stati cresciuti dalla madre, Marlene, dopo
che il padre, William Dunne Sr., se n’era andato di casa nel 1954.

BILLY DUNNE (cantante, The Six): Quando papà se ne andò, io avevo sette
anni e Graham cinque. Uno dei miei primi ricordi fu quando ci disse che si
sarebbe trasferito a vivere in Georgia. Gli chiesi se potevo andarci anch’io,
e lui disse no.
Ma ci lasciò una vecchia chitarra Silvertone, e io e Graham litigavamo di
continuo per suonarla. Strimpellare quella chitarra era praticamente la sola
cosa che facevamo. Nessuno ci insegnò, imparammo tutto da soli.
Poi, più avanti negli anni, capitava che certi giorni restassi a scuola fino a
tardi per pasticciare con il pianoforte in sala musica.
Alla fine, avevo circa quindici anni, nostra madre mise da parte i soldi e
ci regalò una vecchia Stratocaster per Natale. Graham ne fece una malattia, e
così gliela lasciai. Io mi tenni la Silvertone.

GRAHAM DUNNE (chitarra solista, The Six): A quel punto avevamo una
chitarra a testa, e così ci mettemmo a scrivere canzoni. Io avrei voluto la
Silvertone, ma capivo che per Billy aveva un significato più profondo, e così
presi la Strat.

BILLY : Nacque tutto da lì.

GRAHAM: Billy cominciò ad appassionarsi alla scrittura, ai testi. Non faceva


che parlare di Bob Dylan. Io propendevo più per Roy Orbison.
Eravamo dei sognatori: volevamo diventare i nuovi Beatles. Ma a quei
tempi tutti volevano essere i Beatles. Prima i Beatles, poi gli Stones.

BILLY : I miei idoli erano Dylan e Lennon. The Freewheelin’ Bob Dylan e A
Hard Day’s Night. Quei due album erano… Quei due uomini erano le mie
guide.

Nel 1967, i due fratelli, non ancora ventenni, arruolarono Warren Rhodes
alla batteria, Pete Loving al basso e Chuck Williams alla chitarra ritmica.

WARREN RHODES (batteria, The Six): Un batterista ha bisogno di un gruppo.


Non è come essere un cantante o un chitarrista: non puoi suonare da solo. Le
ragazze non ti dicono: «Oh, Warren, suonami l’accompagnamento di batteria
di ‘Hey Joe’».
E io volevo entrare in quel mondo. Ascoltavo gli Who, i Kinks, gli
Yardbirds, roba del genere. Sognavo di essere Keith Moon e Ringo e Mitch
Mitchell.

BILLY : Warren ci piacque subito. E con Pete fu facile: andava alla nostra
stessa scuola, ed era il bassista del gruppo liceale che aveva suonato al
ballo di fine anno. Quando si sciolsero, gli dissi: «Vieni a suonare con noi».
Pete era un tipo che non si faceva problemi di alcun genere: a lui interessava
solo il rock.
Poi arrivò Chuck. Chuck aveva qualche anno più di noi, e veniva da fuori
città. Ma Pete lo conosceva e garantì per lui. Chuck era un po’ un damerino:
mascella squadrata, capello biondo e tutto il resto. Ma lo mettemmo alla
prova e scoprimmo che alla chitarra ritmica era meglio di me.
Io volevo essere il cantante, e adesso potevo farlo con alle spalle una
band di quattro persone.

GRAHAM: Migliorammo in pochissimo tempo. In realtà non facevamo altro


che provare.
WARREN : Tutti i santi giorni. Mi svegliavo, prendevo le bacchette e andavo
nel garage di Billy e Graham. Se la sera, quando andavo a letto, mi
sanguinavano i pollici, voleva dire che era stata una buona giornata.

GRAHAM: Cos’altro c’era da fare? Nessuno di noi aveva la ragazza, tranne


Billy. Volevano tutte uscire con Billy. E giuro, era come se Billy si
innamorasse di una ragazza nuova ogni settimana. Era sempre stato così.
In seconda elementare aveva invitato fuori la maestra. La mamma diceva
sempre che era nato donnaiolo. Sarebbe stata la sua rovina, scherzava.

WARREN : Suonavamo alle feste private e in qualche bar. Andò avanti così
per circa sei mesi, forse un po’ di più. Venivamo pagati in birra. Il che non è
poi così male, quando non hai ancora l’età legale per bere alcolici.

GRAHAM: Non sempre suonavamo nei locali, come dire, più di classe. A
volte scoppiava una rissa per un motivo qualsiasi, e la paura era quella di
essere vittime del fuoco incrociato. Una sera stavamo suonando in un cesso
di posto quando un tizio nelle prime file, forse strafatto di chissà cosa,
comincia a prendere a pugni la gente. Io insisto a farmi i fatti miei, suonando
i miei giri di chitarra, quando a un tratto mi accorgo che il tizio sta puntando
su di me!
E poi succede tutto con la rapidità di un fulmine. Bam, il tizio finisce
lungo disteso, abbattuto da Billy.
Aveva fatto la stessa cosa quando eravamo bambini. Un giorno stavo
andando all’emporio e un ragazzino mi aveva teso un agguato per rubarmi le
poche monete che avevo. Ma Billy era arrivato di corsa in mio aiuto e
l’aveva asfaltato.

WARREN : A quei tempi sapevi che non ti conveniva parlare male di Graham
quando Billy era nei paraggi. Sai, agli inizi Graham non era un granché come
chitarrista. Ricordo che un giorno io e Pete provammo a dire a Billy: «Forse
dovremmo sostituire Graham». E Billy rispose: «Provate a ripeterlo e io e
Graham sostituiremo voi». [Ride] E la cosa non mi dispiacque affatto, devo
dire. D’accordo, mi dissi, non ficcherò più il naso in queste faccende. Non
mi ha mai dato più di tanto fastidio il fatto che Billy e Graham
considerassero i Six il loro gruppo. Mi piaceva essere un batterista
mercenario. Il mio obiettivo era solo quello di divertirmi suonando in una
buona band.

GRAHAM: Ormai suonavamo abbastanza regolarmente da essere noti in città.


E Billy aveva cominciato a entrare nel ruolo del cantante solista. L’aspetto
ce l’aveva, capisci? Ce l’avevamo tutti. Smettemmo di tagliarci i capelli.

BILLY : Io ero sempre in jeans, con cinturoni di cuoio e fibbie enormi.

WARREN : Graham e Pete iniziarono a vestirsi con magliette aderenti. «Vi si


vedono i capezzoli», gli dicevo. Ma a loro piaceva.

BILLY : Venimmo scelti per suonare a una festa di nozze. Era un’occasione
importante: significava che ci sarebbe stato, che so, un centinaio di persone a
sentirci. All’epoca dovevo avere diciannove anni.
All’audizione per gli sposi ci eravamo presentati con la nostra canzone
migliore. Era un brano lento un po’ folk che avevo scritto io, si intitolava
«Nevermore». Mi vergogno solo a pensarci, davvero. Ai tempi scrivevo
canzoni di protesta, testi sui Nove di Catonsville e roba simile. Mi credevo
Dylan. Ma avevamo ottenuto la serata.
Siamo più o meno a metà concerto quando vedo questo cinquantenne che
balla con una ventenne o giù di lì e penso: Ma non si rende conto che sta
facendo la figura del vecchio maniaco?
E a un tratto riconosco mio padre.

GRAHAM: Nostro padre era lì con una ragazza più o meno della nostra età.
Credo di essermene reso conto prima ancora di Billy. L’avevo riconosciuto
dalle foto che nostra madre teneva in una scatola da scarpe sotto il letto.

BILLY : Non ci potevo credere. A quel punto erano dieci anni che se n’era
andato. Per quanto ne sapevamo, viveva in Georgia. E invece quello stronzo
era lì, nel bel mezzo della pista da ballo, ignaro che sul palco c’erano i suoi
figli. Era passato talmente tanto tempo dall’ultima volta che ci aveva visti
che non ci aveva riconosciuti. Né di faccia, né sentendoci cantare. Niente.
Quando finimmo di suonare, lo osservai scendere dalla pista da ballo
senza degnarci di un’occhiata. Voglio dire, devi essere un vero psicopatico
per non riconoscere i tuoi figli quando te li ritrovi davanti. Com’è possibile?
In base alla mia esperienza, a un certo punto entra in gioco la biologia.
Incontri il ragazzo, capisci che è tuo figlio e gli vuoi bene. È così che
funziona.

GRAHAM: Billy si informò su di lui chiedendo in giro tra gli invitati.


Scoprimmo che nostro padre abitava poco lontano da Pittsburgh. Conosceva
la famiglia della sposa o qualcosa del genere. Billy ribolliva di rabbia.
«Non ci ha neanche riconosciuti», continuava a ripetere. In realtà, io ho
sempre pensato che ci avesse riconosciuti, ma che non sapesse cosa dire.

BILLY : Ti dà fastidio l’idea che tuo padre se ne freghi di te al punto da non


volerti neanche salutare. Ma la mia non era autocommiserazione. Non me ne
stavo seduto in un angolo a chiedermi: Perché non mi vuole bene? Era più…
Fino a che punto può far schifo il mondo? Fino al punto in cui certi padri
non amano i loro figli.
Mi fece capire cosa non sarei dovuto diventare, questo te lo posso
garantire.

GRAHAM: Tra l’altro, sembrava uno stronzo ubriacone. Meglio perderlo che
trovarlo.

BILLY : La festa era finita, gli altri stavano mettendo via gli strumenti e io
avevo bevuto qualche birra di troppo… e a un certo punto vedo questa
cameriera nel bar dell’albergo. [Sorride] Era bellissima. Capelli scuri
lunghi fino alla vita, grandi occhi castani. E io ho un debole per gli occhi
castani. Ricordo che indossava un ridottissimo vestito azzurro. Era piccola,
e anche questo mi piaceva.
Ero nell’atrio dell’albergo, diretto verso il furgone, e lei stava servendo
un cliente al bar. Bastava guardarla per capire che era un tipo che non si
faceva mettere i piedi in testa da nessuno.
CAMILA DUNNE (moglie di Billy Dunne): Santo cielo, se era bello… Snello
ma muscoloso, che è sempre stata la mia combinazione preferita. E aveva
queste ciglia foltissime. E una gran sicurezza di sé. E un enorme sorriso.
Quando l’ho visto in quell’atrio, ricordo di avere pensato: Perché non posso
conoscere uno così?

BILLY : Andai dritto da lei in quel bar, reggendo l’ampli con una mano e la
chitarra con l’altra. «Signorina», le dissi, «gradirei avere il suo numero di
telefono, se non le dispiace.»
Lei era alla cassa, in piedi con una mano su un fianco. Rise e mi scoccò
una sorta di occhiata di traverso. Non ricordo le sue parole precise, ma disse
qualcosa come: «E se non fossi il mio tipo?»
Mi sporsi sul banco e risposi: «Mi chiamo Billy Dunne e sono il cantante
dei Dunne Brothers. Se mi dai il tuo numero, ti scrivo una canzone».
Quello la colpì. Non funziona con tutte, ma con le migliori di solito sì.

CAMILA : Tornai a casa e dissi a mia madre che avevo conosciuto qualcuno.
«Un bravo ragazzo?» chiese lei.
«Questo non lo so» risposi. [Ride] I bravi ragazzi non sono mai stati il
mio genere.

Nell’estate e nell’autunno del 1969, i Dunne Brothers cominciarono a


esibirsi sempre più spesso a Pittsburgh e nelle vicinanze.

GRAHAM: Quando Camila iniziò a uscire insieme a noi, confesso che non
credevo che sarebbe durata più delle altre. Ma avrei dovuto capire che lei
era diversa. Per dire, la prima volta che la vidi fu a una nostra serata, e lei si
presentò con una maglietta di Tommy James. Sapeva distinguere la buona
musica.

WARREN : Noialtri stavamo giusto cominciando a pucciare il biscotto, mentre


Billy si stava già ritirando dal mercato. Noi ce la spassavamo con le
pollastre e lui se ne stava là seduto a farsi una canna, bevendo una birra per
tenersi occupato.
Un giorno uscii dalla camera da letto di una ragazza chiudendo la cerniera
dei calzoni e vidi Billy sul divano che guardava Dick Cavett alla tele.
«Fratello, devi mollare la tua tipa», gli dissi. Insomma, Camila ci piaceva,
era sexy e tutto il resto, e ti diceva le cose in faccia, però…

BILLY : Ero già stato infatuato, e l’avevo chiamato amore. Ma con [Camila]
era qualcosa di completamente diverso. Con lei… il mondo aveva
finalmente un senso. Riusciva addirittura a farmi apprezzare me stesso.
Veniva ad assistere alle prove, ascoltava le mie canzoni e mi faceva
osservazioni utilissime. E in lei c’era una calma che… che nessun altro
possedeva. Quando ero con lei, sentivo che sarebbe andato tutto bene. Era
come seguire la stella polare.
Sai, io penso che Camila fosse nata soddisfatta. Non ce l’aveva con il
mondo come succede ad alcuni di noi. Io dicevo sempre che ero nato già a
pezzi. Ma lei era nata tutta intera. È da lì che viene il testo di «Born
Broken».

CAMILA : Quando presentai Billy ai miei genitori, ero un po’ nervosa. Hai
una sola possibilità per fare buona impressione, specialmente con i miei. Lo
vestii io stessa da capo a piedi, fino a scegliergli le calze. Gli feci mettere
l’unica cravatta che aveva.
I miei se ne innamorarono. Dissero che era affascinante. Ma mia madre
non era tanto tranquilla all’idea che mi fidassi di un musicista.

BILLY : Pete era l’unico che sembrava capire perché dovessi avere una
ragazza fissa. Un giorno stavamo preparando la roba per uno spettacolo e
Chuck disse: «Dille che non sei il tipo da accontentarsi di una sola. Le
ragazze lo capiscono». [Ride] Con Camila non avrebbe funzionato.

WARREN : Chuck era forte. Andava dritto al sodo. Aveva l’aria di uno che
non avesse mai avuto un solo pensiero interessante in tutta la sua vita, ma era
capace di sorprenderti. Fu lui che mi fece conoscere gli Status Quo. Li
ascolto ancora adesso.
Il 1° dicembre 1969, il Selective Service System degli Stati Uniti indisse
una lotteria per determinare l’ordine di leva del 1970. Billy e Graham
Dunne, nati entrambi in dicembre, ottennero numeri insolitamente alti.
Warren sfiorò di poco l’esclusione. Pete Loving finì a metà. Ma a Chuck
Williams, nato nell’aprile del 1949, venne assegnato il numero 2.

GRAHAM: Chuck venne chiamato. Ricordo che eravamo seduti al tavolo


della sua cucina quando ci disse che sarebbe partito per il Vietnam. Io e
Billy continuavamo a pensare a come avrebbe potuto evitarlo, ma lui disse
che non era un codardo. L’ultima volta che lo vidi fu a una serata in un bar
vicino alla Duquesne. «Quando hai finito, torni con noi», gli dissi.

WARREN : Per un po’ fu Billy a suonare le parti di Chuck, ma a un certo


punto venimmo a sapere che Eddie Loving [il fratello minore di Pete] era
diventato un bravo chitarrista, e lo invitammo a un’audizione.

BILLY : Chuck era insostituibile. Ma facevamo sempre più concerti, e io non


avevo voglia di suonare la chitarra ritmica mentre cantavo. E così lo
chiedemmo a Eddie, pensando che avrebbe potuto aiutarci per un po’.

EDDIE LOVING (chitarra ritmica, The Six): Andavo d’accordo con tutti, ma
capivo che Billy e Graham volevano che seguissi lo stampino imposto da
loro, capisci? Suona questo, fai quello.

GRAHAM: Era passato solo qualche mese quando un ex vicino di casa di


Chuck ci diede la notizia.

BILLY : Chuck era morto in Cambogia. Era laggiù da meno di sei mesi, credo.
A volte ti domandi perché una cosa del genere non sia successa a te, cosa
ti renda così speciale da risparmiarti la vita. Il mondo ha poco senso.

Alla fine del 1970, i Dunne Brothers tennero un concerto al Pint di


Baltimora. Tra il pubblico c’era Rick Marks, il cantante dei Winters.
Colpito dal sound aggressivo della band e dalle qualità di Billy, Marks
offrì loro il ruolo di supporter per qualche data della tournée dei Winters
nel Nordest.
I Dunne Brothers si unirono ai Winters, e presto cominciarono a subire
l’influenza della loro musica e il fascino della loro tastierista, Karen
Karen.

KAREN KAREN (tastiere, The Six): La prima volta che incontrai i Dunne
Brothers, Graham mi chiese come mi chiamavo.
«Karen», risposi.
«E di cognome?» fece lui.
Ma io credevo che mi avesse chiesto di nuovo il nome, come se la prima
volta non mi avesse sentito, e così ripetei: «Karen».
Lui si mise a ridere. «Karen Karen?» disse.
Da quel momento in poi cominciarono tutti a chiamarmi Karen Karen. A
proposito, il mio cognome è Sirko. Ma Karen Karen mi rimase appiccicato.

BILLY : Karen aggiungeva un altro livello, un che di rigoglioso, alla musica


dei Winters. Cominciai a pensare che forse anche noi avevamo bisogno di
una cosa simile.

GRAHAM: Io e Billy stavamo cominciando a pensare… magari non abbiamo


bisogno di qualcuno come Karen. Forse abbiamo bisogno proprio di Karen.

KAREN : Lasciai i Winters perché ero stufa che tutti quelli del gruppo
continuassero a provarci. Io volevo solo essere una musicista.
E Camila mi era simpatica. A volte, quando veniva a trovare Billy dopo
un concerto, passava il resto della serata con noi. Mi piaceva che Billy la
chiamasse o fosse sempre al telefono con lei. In generale, con loro si
respirava un’aria migliore.

CAMILA : Quando il gruppo era in tournée con i Winters, nei fine settimana li
raggiungevo dove suonavano e assistevo al concerto da dietro le quinte. Mi
facevo magari quattro ore di macchina, arrivavo al locale (di solito un lurido
stanzone pieno di gomme masticate e appiccicate dappertutto e pavimenti
collosi), davo il mio nome all’ingresso, venivo accompagnata sul retro, e
tutt’a un tratto ero una del gruppo.
Al mio arrivo, Graham, Eddie e tutti gli altri gridavano: «Camila!» E
Billy mi veniva incontro e mi abbracciava. E quando Karen si unì alla
band… fu il tassello finale. Questo è il mio posto, pensai.

GRAHAM: Karen Karen fu un grande acquisto. Con lei migliorò tutto. Ed era
anche molto bella. Oltre a essere piena di talento, voglio dire. Ho sempre
pensato che assomigliasse un po’ ad Ali MacGraw.

KAREN : Quando ho detto che apprezzavo il fatto che i membri maschili dei
Dunne Brothers non ci provassero con me, non mi riferivo a Graham Dunne.
Ma sapevo di piacergli tanto per il mio talento quanto per il mio aspetto,
sicché la cosa non mi infastidiva più di tanto. Anzi, la trovavo dolce. Oltre
tutto, Graham era sexy. Specialmente negli anni Settanta.
Personalmente, non ho mai capito perché Billy fosse considerato il sex
symbol del gruppo. Certo, aveva capelli scuri, occhi castani, zigomi alti e
tutto il resto. Ma a me un uomo piace quando è meno belloccio. Mi piace
quando ha un aspetto pericoloso, però in realtà è dolcissimo. E Graham era
tutto questo. Spalle larghe, petto villoso, capelli castano chiaro. Era
attraente, ma non troppo levigato.
Certo, Billy sapeva riempire un paio di jeans.

BILLY : Karen era semplicemente una gran musicista. Non c’era nient’altro
che contasse. Dico sempre che non mi importa se sei uomo, donna, bianco,
nero, gay, etero o qualsiasi cosa ci sia in mezzo: se suoni bene, suoni bene e
basta. La musica è una grande livellatrice, in questo senso.

KAREN : Gli uomini sono spesso convinti di meritare un distintivo per il solo
fatto di trattare noi donne come esseri umani.

WARREN : Fu più o meno in quel periodo che cominciammo ad avere


l’impressione che Billy bevesse un po’ troppo. Se la spassava insieme al
resto del gruppo, ma, quando noi ci ritiravamo con le ragazze che avevamo
cuccato, lui continuava a bere da solo.
Ma il mattino dopo sembrava a posto, e poi a quei tempi eravamo tutti un
po’ fuori. Tranne forse Pete, che a Boston aveva conosciuto una certa Jenny e
passava ore al telefono con lei.

GRAHAM: Qualunque cosa Billy faccia, la fa fino in fondo. Ama con


passione, beve con passione. Anche il modo in cui spende i suoi soldi: è
come se gli bruciassero le tasche. È uno dei motivi per cui gli dicevo di
andarci piano con Camila.

BILLY : Certe sere Camila usciva con noi, ma il più delle volte restava a casa
e aspettava che mi facessi vivo io. All’epoca abitava ancora con i suoi, e io
la chiamavo ogni sera dopo un concerto in questo o quel posto.

CAMILA : Quando non aveva i soldi, chiamava a carico del destinatario,


appena rispondevo diceva: «Billy Dunne ama Camila Martinez», e poi
riagganciava prima che mi venisse addebitato un centesimo. [Ride] Mia
madre alzava gli occhi al cielo, ma io lo trovavo dolcissimo.

KAREN : Poche settimane dopo che mi ero unita al gruppo, un bel giorno
dissi: «Abbiamo bisogno di un nuovo nome». Dunne Brothers non aveva più
senso.

EDDIE: Lo dicevo anch’io, che avremmo dovuto cambiare nome.

BILLY : Avevamo un nostro pubblico, con quel nome. Non volevo cambiarlo.

WARREN : Non riuscivamo a decidere che nome darci. Qualcuno, mi pare,


suggerì Dipsticks. Io avrei preferito Shaggin’.

EDDIE: «Non riusciremo mai a mettere d’accordo sei persone su un unico


nome», disse Pete.
E io feci: «Che ne dite di The Six?»

KAREN : Mi chiamò un impresario di Filadelfia, la mia città natale. Disse che


i Winters si erano ritirati da un festival e mi chiese se volessimo sostituirli.
«Certo che sì», risposi, «ma non ci chiamiamo più Dunne Brothers.»
E lui: «Be’, cosa metto sul volantino?»
«Non ne sono ancora sicura», dissi, «ma ci saremo tutti e sei.»
Mi piacque subito come suonava: The Six.

WARREN : Uno dei motivi per cui il nome era perfetto era l’assonanza con
«sex». Ma non mi pare che ne abbiamo mai parlato. Era così ovvio che non
c’era bisogno di scendere nei dettagli.

KAREN : Non ho mai pensato a nessuna assonanza.

BILLY : «Sex»? No, quello non c’entrava.

GRAHAM: Il fatto che fosse molto simile a «sex» era una componente
fondamentale.

BILLY : Quella sera a Filadelfia ci esibimmo come The Six, e subito ci venne
offerta un’altra serata in città. Poi un’altra a Harrisburg. E un’altra ad
Allentown. Venimmo scritturati per il concerto di Capodanno in un bar di
Hartford.
Non guadagnavamo molto, ma ogni volta che tornavo a casa spendevo
tutto per uscire a cena con Camila. Andavamo in una pizzeria a pochi isolati
da casa dei suoi, o magari mi facevo prestare un po’ di soldi da Graham o
Warren per portarla in un bel ristorante. Lei continuava a ripetermi di
piantarla. «Se avessi voluto mettermi con un riccone, non avrei dato il mio
numero di telefono a un cantante che aveva appena suonato a un
matrimonio», diceva.

CAMILA : Billy aveva carisma, e io avevo un debole per quel genere di cose.
L’avevo sempre avuto. L’aria intensa e meditabonda. Molte delle mie amiche
erano alla ricerca di ragazzi che potessero permettersi un bell’anello. Io
invece volevo qualcuno di affascinante.

GRAHAM: Intorno al ’71 ottenemmo qualche serata a New York.


EDDIE: New York era… era lì che capivi di essere diventato qualcuno.

GRAHAM: Una sera suonavamo in un bar sulla Bowery, e fuori in strada a


fumare una sigaretta c’è un certo Rod Reyes.

ROD REYES (manager, The Six): Billy Dunne era una rockstar. Lo si vedeva
subito. Era sicuro di sé, sapeva a chi rivolgersi tra il pubblico. Nei suoi
pezzi c’era un’emozione speciale.
Certi individui hanno una qualità unica. Se prendi nove uomini più Mick
Jagger e li metti in fila, anche uno che non ha mai sentito parlare dei Rolling
Stones sarebbe in grado di indicare Jagger e dire: «La rockstar è lui».
Billy aveva quel dono. E il gruppo aveva un bel sound.

BILLY : Quando Rod venne da noi a presentarsi dopo il concerto al


Wreckage… quella fu la svolta.

ROD : Quando cominciai a lavorare con loro, portai alcune idee. Alcune
furono ben accolte, altre… un po’ meno.

GRAHAM: Rod mi disse che avrei dovuto dimezzare i miei assolo. Che erano
interessanti per chi amava il lato tecnico della chitarra, ma noiosi per
chiunque altro.
«Perché dovrei suonare per gente a cui non interessano i begli assolo?»
gli chiesi.
«Se vuoi diventare un grande, devi esserlo per tutti», mi rispose.

BILLY : Rod mi disse di smetterla di scrivere cose di cui non sapevo nulla.
«Non devi reinventare la ruota», disse. «Scrivi della tua ragazza.» In
assoluto il miglior consiglio professionale che abbia avuto in tutta la mia
carriera.

KAREN : Rod mi disse di indossare camicie scollate. «Te lo sogni», risposi,


e la cosa finì lì.
EDDIE: Rod cominciò a procurarci serate su tutta la East Coast, dalla Florida
al Canada.

WARREN : Te lo dico io qual è il momento migliore per un musicista rock.


Tutti pensano che sia quando arrivi in cima, ma non è così. A quel punto hai
solo pressioni e aspettative. Il bello è quando agli occhi di tutti sei destinato
a qualcosa di grande, quando sei un fascio di potenzialità. Cazzo, le
potenzialità sono gioia pura.

GRAHAM: Più giravamo e suonavamo, più ci davamo ai bagordi. E Billy non


era esattamente… Be’, gli piaceva essere al centro dell’attenzione.
Specialmente delle attenzioni femminili. Ma, quanto meno, all’epoca erano
solo attenzioni.

BILLY : Era un equilibrio delicato. Amare qualcuno a distanza, mentre eri


sempre in giro. Le ragazze venivano a trovarci dietro le quinte, ed ero io
quello che volevano conoscere. E io ero… non sapevo ancora bene cosa
fosse un vero rapporto di coppia.

CAMILA : Cominciammo a litigare, Billy e io. Ammetto che quello che


volevo ai tempi era poco realistico. Volevo una rockstar, ma volevo anche
che fosse sempre disponibile. E quando lui non poteva fare esattamente ciò
che desideravo, andavo su tutte le furie. Ero giovane, e lo era anche lui.
Certe volte litigavamo al punto che per qualche giorno non ci parlavamo.
Poi uno dei due chiamava l’altro, chiedeva scusa e si risistemava tutto. Io lo
amavo, e sapevo che per lui era lo stesso. Non era un rapporto facile. Ma,
come mia madre mi ripeteva spesso: «Non ti sono mai interessate le cose
facili».

GRAHAM: Una sera, io e Billy stavamo per partire con il furgone, diretti nel
Tennessee, nel Kentucky o sa Dio dove. Camila era venuta a casa a salutarci.
Quando Rod accostò il furgone al marciapiede, Billy le stava dando un
bacio.
Le scostò i capelli dal volto e le baciò la fronte. Ma non era neanche un
vero bacio. Le posò semplicemente le labbra sulla pelle. In quel momento
pensai: Io non ho mai voluto bene a nessuno in questo modo.

BILLY : Scrissi «Señora» per Camila, e devo dire che piacque subito molto.
Presto, ai nostri migliori concerti la gente cominciò ad alzarsi dalle sedie, a
ballare, a cantare in coro.

CAMILA : Non avevo il cuore di dirgli che tecnicamente ero una «señorita».
Insomma, bisogna saper scegliere le proprie battaglie. E poi, dopo che me la
fece ascoltare… «Let me carry you / On my back / The road looks long /
And the night looks black / But the two of us are bold explorers / Me and
my gold señora.» Lascia che ti porti sulle spalle, la strada sembra lunga e la
notte buia, ma siamo due audaci esploratori, io e la mia señora d’oro.
Mi piacque subito da morire. Me ne innamorai.

BILLY : Incidemmo un demo di «Señora» e «When the Sun Shines on You».

ROD : A quel punto, i miei migliori contatti erano tutti a Los Angeles. Un bel
giorno, mi sembra fosse il ’72, dissi al gruppo: «Dobbiamo andare a ovest».

EDDIE: La California era il centro del mondo, capisci?

BILLY : Pensai solo: C’è qualcosa dentro di me che ha bisogno di farlo.

WARREN : Io ero pronto. «Saliamo sul furgone e partiamo», dissi.

BILLY : Andai a casa dei genitori di Camila e la feci sedere sul bordo del
letto. «Vuoi venire con noi?» le chiesi.
«E cosa farei?» domandò lei.
«Non lo so», risposi.
«Vuoi semplicemente che ti segua ovunque vai?»
«Immagino di sì.»
Camila si prese un istante di tempo, poi disse: «No, grazie».
Le chiesi se potevamo stare insieme lo stesso, e lei ribatté: «Tornerai?»
Le dissi che non lo sapevo.
«In tal caso, no», fece lei. E mi lasciò.
CAMILA : Ero furiosa. Perché se ne stava andando. E così esplosi. Non
sapevo come altro reagire.

KAREN : Camila mi telefonò prima che partissimo per la tournée. Mi disse


che si era lasciata con Billy. «Credevo che lo amassi», osservai.
«Non ha neanche cercato di farmi cambiare idea!» ribatté lei.
«Se lo ami, glielo devi dire», insistetti.
E lei: «È lui che se ne sta andando! È lui che deve sistemare le cose».

CAMILA : Amore e orgoglio non vanno d’accordo.

BILLY : Cosa avrei potuto dire? Lei non voleva venire, e io… io non potevo
restare.

GRAHAM: Facemmo i bagagli e salutammo nostra madre. A quel punto si era


risposata con il portalettere. Certo, so benissimo che si chiamava Dave, ma
ho continuato a chiamarlo «il portalettere» fino al giorno della sua morte,
perché era quello che faceva per lavoro: consegnava la posta in ufficio. Era
il portalettere.
Comunque sia, lasciammo nostra madre con il portalettere e montammo
sul furgone.

KAREN : Attraversammo il Paese, dalla Pennsylvania alla California, facendo


concerti a ogni tappa.

BILLY : Camila aveva fatto la sua scelta, e c’era una parte di me che pensava:
D’accordo, sarò single. Vediamo se le piacerà.

GRAHAM: Durante quel viaggio Billy sbarellò completamente.

ROD : Non erano tanto le donne a preoccuparmi, nel suo caso. Anche se ce
n’erano in abbondanza. Il problema era che, dopo ogni concerto, Billy si
stordiva al punto che dovevo svegliarlo a ceffoni il pomeriggio successivo.
CAMILA : Senza di lui stavo fisicamente male. E mi sarei… presa a calci.
Ogni giorno mi svegliavo in lacrime. Mia madre continuava a dirmi di
raggiungerlo. Di rimangiarmi tutto. Ma avevo la sensazione che fosse ormai
troppo tardi. Era andato avanti senza di me. Per poter realizzare i suoi sogni.
Com’era giusto che fosse.

WARREN : Quando arrivammo a L.A., Rod ci prese qualche stanza all’Hyatt


House.

GREG MC GUINNESS (ex concierge, Continental Hyatt House): Ah, mi


piacerebbe poter dire che ricordo quando i Six vennero a stare da noi, ma
non è così. A quei tempi succedevano talmente tante cose, giravano talmente
tanti gruppi che era difficile tenere il conto. Ricordo che più avanti conobbi
Billy Dunne e Warren Rhodes, ma non allora.

WARREN : Rod riscosse qualche favore, e noi cominciammo a suonare in


locali più grandi.

EDDIE: L.A. era uno sballo. Ovunque ti girassi, eri circondato da gente che
amava suonare e divertirsi. Perché cavolo non siamo venuti prima? mi
chiesi. Le ragazze erano bellissime. Le droghe costavano poco.

BILLY : Facemmo qualche concerto a Hollywood. Al Whisky, al Roxy, da


P.J.’s. Avevo appena scritto una nuova canzone intitolata «Farther from You».
Parlava di quanto mi mancava Camila, di quanto mi sentivo lontano da lei.
Quando arrivammo sullo Strip, la sensazione fu quella di essere sulla
strada giusta.

GRAHAM: Cominciammo tutti a vestirci in modo più ricercato. A L.A.


dovevi dare il meglio di te. Iniziai a mettermi camicie sbottonate fino al
petto. Credevo di essere sexy come pochi.

BILLY : In quel periodo indossavo quasi esclusivamente… com’è che lo


chiamano oggi? Smoking canadese? Ero praticamente sempre in jeans dalla
testa ai piedi, camicia e pantaloni.
KAREN : Se indossavo minigonne, stivali e tutto il resto mi sembrava di non
riuscire a concentrarmi sulla musica. Voglio dire, quel look mi piaceva, ma
più che altro portavo jeans e dolcevita.

GRAHAM: Cazzo, com’era sexy con quelle sue maglie a collo alto…

ROD : Quando cominciarono ad attirare l’attenzione, ottenni di farli suonare


al Troubadour.

GRAHAM: «Farther from You» era una gran canzone. E si vedeva che Billy la
sentiva nel profondo. Billy non riusciva a nascondere le sue emozioni.
Capivi subito quando era felice e quando era triste.
Quella sera, durante il concerto al Troubadour, guardai Karen e la vidi
immersa nella musica, hai presente? Poi mi voltai verso Billy, che stava
cantando con tutta la passione che aveva in corpo, e pensai: Questo è il
miglior concerto che abbiamo fatto finora.

ROD : Vidi Teddy Price che ascoltava in fondo alla sala. Non lo conoscevo
ancora, ma sapevo che faceva il produttore per la Runner Records. Avevamo
alcuni amici in comune. Dopo il concerto mi raggiunse e disse: «Il mio
assistente aveva sentito il gruppo da P.J.’s. Gli avevo promesso che sarei
venuto ad ascoltarli».

BILLY : Siamo dietro le quinte, e Rod arriva insieme a un tipo grande e


grosso in giacca e cravatta. «Billy», mi dice, «ti presento Teddy Price.»
E la prima cosa che Teddy dice, con quel suo marcato accento da alta
società britannica, è questa: «Sei davvero bravo a scrivere di quella
ragazza».

KAREN : Guardando Billy insieme a Teddy, ti sembrava quasi di vedere un


cane che aveva appena trovato il suo padrone. Voleva compiacerlo, e voleva
quel contratto. Era una cosa che gli trasudava da tutti i pori.

WARREN : Teddy Price era brutto come il peccato. Una faccia che solo una
madre sarebbe riuscita ad amare. [Ride] Sto scherzando. Brutto lo era, però.
Ma mi piaceva il fatto che sembrava fregarsene.

KAREN : È la fortuna dell’essere un uomo: una brutta faccia non è la fine del
mondo.

BILLY : Gli strinsi la mano, e lui mi chiese se avessi altre canzoni come
quelle che aveva sentito. «Sì, signore», risposi.
«E come vedi questo gruppo di qui a cinque, dieci anni?» domandò.
«Come la band più famosa del mondo», risposi.

WARREN : Quella sera firmai le mie prime due tette. Mi si avvicina questa
tipa, si sbottona la camicia e dice: «Firmami». E io l’ho fatto. Lascia che te
lo dica: è un ricordo che ti porti dietro per il resto della vita.

La settimana successiva, Teddy si recò nella sala prove nella San


Fernando Valley, dove il gruppo aveva preparato sette canzoni. Pochi
giorni dopo, i Six furono invitati negli uffici della Runner Records e
presentati all’amministratore delegato Rich Palentino, che offrì loro un
contratto di registrazione e edizione. Teddy Price avrebbe prodotto
personalmente il loro album.

GRAHAM: Firmammo intorno alle quattro del pomeriggio, e ricordo che


uscimmo sul Sunset Boulevard, tutti e sei insieme, con il sole negli occhi e la
sensazione che Los Angeles avesse spalancato le braccia e ci avesse detto:
Benvenuti, ragazzi.
Qualche anno fa ho visto una T-shirt con la scritta: HO GLI OCCHIALI
SCURI PERCHÉ IL MIO FUTURO È TROPPO LUMINOSO , e mi sono detto:
Questo stronzo non sa cosa significa. Non si è mai ritrovato sul Sunset
Boulevard con il sole negli occhi, i suoi cinque migliori amici accanto a sé
e un contratto discografico nella tasca dei jeans.

BILLY : Quella sera, mentre gli altri festeggiavano al Rainbow, io mi


allontanai e andai a cercare una cabina telefonica. Prova a immaginare: hai
realizzato il tuo sogno più pazzesco ma dentro senti un gran vuoto. Non
significava niente, se non potevo condividerlo con Camila. E così la
chiamai.
Mentre ascoltavo il segnale di libero, il cuore mi batteva all’impazzata.
Mi appoggiai le dita sul polso e lo sentii palpitare. Quando Camila rispose,
fu come coricarsi a letto dopo una lunga giornata. Già solo all’udire la sua
voce mi sentii meglio. «Mi manchi», le dissi. «Non credo di poter vivere
senza di te.»
«Mi manchi anche tu», rispose.
«Cosa stiamo facendo? Noi due dovremmo essere insieme», proseguii.
E lei: «Sì, lo so».
Restammo in silenzio per qualche secondo, poi dissi: «Se avessi un
contratto discografico, mi sposeresti?»
E lei: «Cosa?»

CAMILA : Ero al settimo cielo per lui, se era vero. Ci aveva lavorato così
tanto.

BILLY : Lo ripetei: «Se avessi un contratto discografico, mi sposeresti?»


«Avete ottenuto un contratto?» chiese lei.
E in quel momento capii. Capii che Camila era la mia anima gemella. La
prima cosa a cui aveva pensato era il disco. «Non hai risposto alla mia
domanda», insistetti.
«Avete ottenuto un contratto, sì o no?» ripeté lei.
«Mi vuoi sposare, sì o no?» feci io.
Per un po’ non disse nulla. «Sì», rispose poi.
E io feci lo stesso.
Si mise a gridare, eccitatissima. «Raggiungimi qui e sposami, tesoro», le
dissi.
LA IT GIRL
1972-1974

Decisa a farsi un nome fuori dal giro del Sunset Strip, Daisy Jones
cominciò a scrivere canzoni. Armata solo di carta e penna (e priva di
qualsivoglia preparazione musicale) creò un canzoniere che presto incluse
più di un centinaio di abbozzi di brani.
Una sera dell’estate del ’72, Daisy andò a sentire i Mi Vida all’Ash
Grove. In quel periodo aveva una relazione con il cantante del gruppo, Jim
Blades. Sul finale del concerto, Jim la invitò sul palco per cantare una
versione di «Son of a Preacher Man» insieme al gruppo.

SIMONE: Daisy si era lasciata crescere i capelli e non aveva più il caschetto.
Portava sempre orecchini a cerchio e girava scalza. Era molto cool.
Quella sera all’Ash Grove eravamo sedute insieme in fondo alla sala. Jim
continuava a chiederle di salire sul palco, e lei continuava a dire di no. Ma
lui non si arrese, e alla fine Daisy accettò.

DAISY : Era una sensazione surreale. Tutta quella gente che mi guardava,
aspettandosi che succedesse qualcosa.

SIMONE: All’inizio era timida, il che mi sorprese. Poi però, a mano a mano
che la canzone andava avanti, la sentii sempre più coinvolta. Finché a un
tratto, più o meno sul secondo ritornello, si lasciò davvero andare.
Sorrideva. Era felice, su quel palco. E il pubblico non riusciva a staccarle
gli occhi di dosso. Alla fine, Jim smise praticamente di cantare e lasciò che
proseguisse da sola. E lei mandò tutti in visibilio.

JIM BLADES (cantante dei Mi Vida): Daisy aveva una voce incredibile. Era
rauca ma non stridula. Sembrava quasi che in gola avesse dei sassolini
attraverso i quali dovevano passare le note. Grazie a questa qualità, tutto ciò
che cantava diventava complesso, interessante e perfino imprevedibile.
Personalmente, non ho mai avuto una gran voce. Se le tue canzoni sono
buone, per fare il cantante non è necessario che tu abbia una gran voce. Ma
Daisy aveva il pacchetto completo, altroché.
Cantava sempre dal profondo della pancia. Ci vogliono anni per imparare
una cosa simile, ma Daisy lo faceva con naturalezza, sia che fosse seduta in
macchina al tuo fianco o che stesse piegando il bucato. Ogni volta che
suonavamo, cercavo di farla salire sul palco insieme a me, ma lei diceva
sempre di no. Fino a quella sera all’Ash Grove.
Penso che alla fine accettò di cantare davanti a un pubblico proprio per il
suo gran desiderio di diventare autrice. «La cosa migliore che possa capitare
alle tue canzoni è che le canti tu», le dissi. Il suo punto di forza era il fatto
che la gente non riusciva a non guardarla. E io le consigliai di sfruttarlo.

DAISY : Avevo la sensazione che fondamentalmente mi stesse dicendo che


alla gente non fregava niente di quello che cantavo, a patto che potesse
incollarmi gli occhi addosso. Mi faceva imbestialire, Jim.

JIM: Se ricordo bene, Daisy mi lanciò addosso il suo rossetto. Ma poi,


quando si fu calmata, mi chiese consiglio su dove avrebbe potuto fare
qualche serata.

DAISY : Volevo far sentire le mie canzoni, e così iniziai a suonare qua e là nei
locali di L.A. Cantavo qualche brano, mi esibivo insieme a Simone.

GREG MC GUINNESS: Daisy usciva un po’ con tutti.


Tipo quella volta che Tick Yune e Larry Hapman si presero a botte
davanti a Licorice Pizza, e Tick squarciò il sopracciglio a Larry. Fu una
scena pazzesca. Io c’ero. Ero andato a comprare The Dark Side of the
Moon, quindi di che periodo stiamo parlando? Fine ’72, inizio ’73? Guardo
fuori e vedo che Tick ha immobilizzato Larry con una presa al collo. E tutti
dicevano che se le stavano dando per Daisy.
E avevo anche sentito dire che sia Dick Poller che Frankie Bates le
avevano proposto di registrare un demo, ma che lei aveva rifiutato.
DAISY : All’improvviso tutti cercavano di convincermi a registrare un demo.
Un sacco di uomini che volevano farmi da manager. Ma io sapevo cosa
significava veramente; L.A. è piena di uomini in costante attesa che qualche
ingenua si beva le loro balle.
Hank Allen era il meno untuoso di tutti. Era quello che riuscivo a
tollerare meglio.
A quel punto non stavo più con i miei, mi ero trasferita al Chateau
Marmont. Avevo un cottage sul retro. E Hank era perennemente alla mia
porta, mi lasciava un messaggio dopo l’altro. Era l’unico che non parlava
solo di me, ma anche delle mie canzoni.
«E va bene», dissi, «se vuoi essere il mio manager, fa’ pure.»

SIMONE: Quando avevo conosciuto Daisy, ero io la più grande, la più saggia,
la più stilosa delle due. Ma all’inizio dei Settanta, Daisy mi aveva
surclassata.
Ricordo che un giorno ero nella sua stanza al Marmont, e a un certo punto
guardo nell’armadio a muro e vedo un assortimento di scialli e tutine firmate
Halston. «Quando li hai comprati, tutti questi Halston?» le chiesi.
«Oh, me li hanno mandati loro», rispose.
«Loro chi?» domandai.
«Qualcuno di Halston», fece lei.
E ai tempi non aveva ancora inciso niente. Né un album né un singolo. Ma
era su tutte le riviste, fotografata insieme alle rockstar. Era adorata da tutti.
Qualche Halston, però, me lo portai via.

DAISY : Andai agli studi Larrabee Sound per registrare il demo che voleva
Hank. Mi sembra fosse una canzone di Jackson Browne. Hank avrebbe
voluto che la cantassi in un tono molto dolce, ma io non la sentivo così. La
cantai come volevo io. Un po’ ruvida, un po’ ansimante. «Possiamo fare
anche una versione in cui vai liscia, magari in una tonalità più alta?» chiese
Hank.
«No», risposi. Poi presi la borsa e me ne andai.

SIMONE: Subito dopo firmò con la Runner Records.


DAISY : L’unica cosa che mi interessava era scrivere canzoni. Cantarle
andava bene, ma non volevo essere un fantoccio da palco, non volevo
interpretare le parole altrui. Volevo fare le mie cose. Volevo cantare la mia
roba.

SIMONE: Daisy non attribuisce alcun valore a tutto quello che le riesce
facile. Soldi, bellezza, perfino la voce. Quello che voleva era che la gente la
ascoltasse.

DAISY : Firmai con la Runner, ma non lessi il contratto.


Non avevo voglia di leggere quanto avrei dovuto pagare Tizio o Caio o
cosa ci si aspettava da me. Volevo solo scrivere canzoni e stonarmi.

SIMONE: Le fissarono un incontro alla casa discografica, e io andai da lei e


l’aiutai a decidere cosa mettersi e quali canzoni portare. Quella mattina,
quando uscì per recarsi all’incontro, camminava a mezzo metro da terra.
Ma qualche ora dopo, non ricordo quante, si presentò a casa mia, e capii
subito che qualcosa non andava. «Che succede?» le chiesi. Lei si limitò a
scuotere la testa e mi passò accanto senza rispondere. Andò in cucina, prese
la bottiglia di champagne che avevamo comprato per festeggiare, la stappò e
andò in bagno. La seguii e vidi che stava riempiendo la vasca. Poi si spogliò
e si immerse in acqua. Bevve un sorso di champagne a canna.
«Parlami, dimmi cos’è successo», insistetti.
«Non gliene frega niente di me», rispose. A quanto pareva, all’incontro le
avevano dato una lista di canzoni che volevano farle incidere, roba presa dal
loro catalogo. Genere «Leaving on a Jet Plane».
«E le tue canzoni?» chiesi.
«Le mie canzoni non sono piaciute», rispose.

DAISY : Avevano sfogliato il mio intero canzoniere e non avevano trovato un


solo brano, neanche uno, che secondo loro avrei dovuto incidere.
«Che ne dite di questo?» continuavo a chiedere. «O di questo? O di
questo?»
Ero seduta al tavolo della sala riunioni con Rich Palentino e sfogliavo il
mio canzoniere, sempre più nel panico. Non le avranno lette, pensavo.
Continuavano a ripetere che le canzoni non erano pronte. Che io non ero
ancora matura per fare l’autrice.

SIMONE: Si ubriacò nella vasca da bagno. L’unica cosa che potevo fare era
sollevarla di peso e metterla a letto una volta che avesse perso i sensi. E fu
quello che feci.

DAISY : La mattina dopo ritornai al Marmont, mi sdraiai in piscina e cercai


di togliermi l’intera faccenda dalla testa. Vedendo che non funzionava, fumai
qualche sigaretta e mi feci un paio di strisce in camera. A un certo punto
arrivò Hank e cercò di calmarmi.
«Tiramene fuori», gli dissi, e lui cominciò a insistere che non mi
conveniva.
«Invece sì!» ribattei.
«Invece no», fece lui.
Mi infuriai al punto che mi precipitai fuori dal cottage prima che Hank
potesse fermarmi. Salii in macchina e andai dritta alla Runner Records. Fu
solo nel parcheggio che mi resi conto di avere addosso solo il reggiseno del
bikini e i jeans. Proseguii fino all’ufficio di Rich Palentino e strappai il
contratto davanti ai suoi occhi. Lui si mise a ridere. «Hank mi ha chiamato
per avvertirmi», disse. «Tesoro, non è così che funzionano i contratti.»

SIMONE: Daisy era una Carole King, una Laura Nyro. Che cavolo, avrebbe
potuto essere una Joni Mitchell. E loro volevano ridurla a un’Olivia
Newton-John.

DAISY : Tornai al Marmont. Avevo pianto, e avevo la faccia rigata di


mascara. Hank mi aspettava seduto sui gradini dell’ingresso. «Perché non ci
dormi sopra?» mi chiese.
«Non ci riuscirei», risposi. «Ho troppa coca e dexedrina in corpo.»
Disse di avere qualcosa per me, e io pensai che stesse per darmi un
Quaalude. Come se quello potesse risolvere tutto. Invece mi diede un
Seconal. Dormii come un sasso e, quando mi svegliai, mi sentivo molto
meglio. Niente mal di testa, niente. Per la prima volta nella mia vita avevo
dormito come un neonato.
Da allora cominciai a farmi di dexedrina per affrontare la giornata e di
rosse per dormire la notte. E champagne per mandarle giù.
La dolce vita, giusto? Peccato che la dolce vita non sia mai stata una
buona vita. Ma sto correndo troppo.
DEBUTTO
1973-1975

I Six si stabilirono a Los Angeles, prendendo in affitto una casa sulle


colline di Topanga Canyon, e si prepararono a incidere il loro primo
album. Teddy si mise al lavoro ai Sound City Studios, una sala di
registrazione di Van Nuys, insieme a una squadra di specialisti tra cui il
tecnico del suono Artie Snyder.

KAREN : Quando ci trasferimmo in quella casa, pensai: Che cesso di posto.


Era vecchia e cadente, con una porta d’ingresso divelta dai cardini e finestre
di vetri colorati tutte scheggiate. La odiai a prima vista. Ma una o due
settimane dopo arrivò Camila. Percorse il vialetto d’accesso sotto gli alberi,
scese dalla macchina e disse: «Accidenti, che figata di posto». E da quel
momento la casa cominciò a piacermi.

CAMILA : Era circondata da cespugli di rosmarino. Fantastico.

BILLY : Era meraviglioso riavere Camila con me. Tenerla tra le braccia mi
dava una sensazione fantastica. Ci saremmo sposati, ero a L.A. e stavo
facendo un disco con mio fratello, e sembrava tutto perfetto.

WARREN : Graham e Karen avevano una stanza a testa vicino alla cucina.
Eddie e Pete si presero il garage. Billy e Camila vollero il sottotetto. E così
l’unica camera con bagno andò a me.

GRAHAM: La stanza di Warren aveva un gabinetto. Lui la chiamava «camera


con bagno», ma non era vero. Aveva solo un gabinetto in un angolo.
BILLY : Teddy era un animale notturno, e così andavamo in studio nel tardo
pomeriggio e ci stavamo fino a tarda notte, certe volte fino al mattino dopo.
Quando registravamo, il mondo esterno cessava di esistere. Sei in questo
studio buio, e lì dentro non pensi ad altro che alla musica.
Io e Teddy… eravamo totalmente immersi. Provavamo a registrare a
velocità accelerate, su tonalità diverse, qualsiasi cosa. Io sperimentavo
strumenti nuovi. In quello studio perdevo la cognizione del tempo. Ma poi
tornavo a casa e trovavo Camila addormentata e avvolta nelle lenzuola.
Ancora un po’ ubriaco, mi infilavo a letto accanto a lei.
In quel periodo, erano sempre le mattine che passavo con Camila. Allo
stesso modo in cui molte coppie escono a cena alla fine di una lunga giornata
di lavoro, io e lei uscivamo a colazione. E tra le mie mattine preferite
c’erano quelle in cui non andavo neanche a letto. Camila si svegliava,
salivamo in macchina e scendevamo a fare colazione a Malibu, lungo la
PCH.
Lei ordinava sempre la stessa cosa: tè freddo, niente zucchero, tre fette di
limone.

CAMILA : Tè freddo, tre fette di limone. Acqua tonica, due fette di lime.
Martini, due olive e una cipollina. Sono esigente, in fatto di drink. [Ride]
Sono esigente su un sacco di cose.

KAREN : Tutti pensano che Camila seguisse Billy ovunque andasse, che si
prendesse cura di lui, ma non era così. Camila era una forza della natura.
Otteneva sempre quello che voleva. O quasi sempre. Era persuasiva e un po’
prepotente, anche se in realtà non te ne accorgevi mai. Ma aveva le sue
opinioni, e sapeva come farsi valere.
Ricordo una mattina, doveva essere quasi mezzogiorno quando lei e Billy
scesero in salotto. Eravamo tutti rilassati, ancora con addosso i jeans della
sera prima. Ci saremmo dovuti presentare in studio solo molto più tardi.
«Avete voglia di una colazione in grande stile?» chiese Camila. «Pancake,
waffle, bacon, uova e tutto il resto?»
Ma Billy aveva sentito che io e Graham stavamo per andare a prendere un
hamburger e voleva venire con noi.
«Ve li faccio io, gli hamburger», disse lei.
D’accordo, dicemmo. Lei incaricò Billy di comprare la trita per gli
hamburger e bacon, e uova per il giorno dopo.
Poi accese la griglia, ma dopo un po’ rientrò per dirci che la carne che
aveva preso Billy non aveva un bell’aspetto, e che invece aveva preparato il
bacon. E già che c’era aveva messo in padella qualche uovo e, visto che
aveva tirato fuori le uova, aveva fatto anche i pancake.
Così, prima che ce rendessimo conto, era l’una e mezzo, stavamo
consumando un brunch e a tavola non c’era l’ombra di un hamburger. Era
tutto buonissimo, e nessuno tranne me si rese conto di quello che Camila
aveva fatto.
Era l’aspetto di lei che più amavo. Era tutt’altro che un timido fiorellino
di campo. Ma dovevi prestarle attenzione per capirlo.

EDDIE: Noi eravamo quasi sempre fuori, e così davo per scontato che
Camila avrebbe dato una mano con le faccende di casa, non so se mi spiego.
Un giorno le dissi: «Magari, mentre siamo fuori, potresti fare un po’
d’ordine».

CAMILA : «Ma certo», risposi. Ma poi non feci un bel niente.

GRAHAM: Eravamo molto presi. Billy scriveva di continuo. Eravamo


costantemente al lavoro su questo o quell’elemento. Dentro e fuori dallo
studio, a volte dormivamo là.
E così, spesso, io e Karen stavamo svegli fino al sorgere del sole,
impegnati su un riff o una melodia.

WARREN : Fu allora che mi feci crescere i baffi. Certi uomini non stanno
bene con i baffi, ma io sì. Cominciai a lasciarmeli crescere mentre
incidevamo il primo album, e da allora non li ho più tagliati.
O meglio, una volta l’ho fatto, ma sembravo un gatto scuoiato, sicché me
li sono fatti ricrescere.

GRAHAM: Incidere un album, specialmente il primo, ti risucchia un bel po’


di energia. Billy diventò leggermente ossessivo, e credo sia per questo che
cominciò a sniffare ogni giorno. Noi facevamo magari un tiro o due quando
eravamo in studio, ma lui voleva restare sempre su di giri.

BILLY : Volevo assicurarmi che il nostro fosse il miglior album mai uscito
dalla notte dei tempi. [Ride] Diciamo che allora non ero molto bravo a
vedere le cose nella giusta prospettiva.

EDDIE: Billy assunse il controllo di quell’album, e Teddy lo lasciò fare.


Billy scriveva le canzoni e le parti di quasi tutti. Arrivava in studio con
già in testa i pezzi di chitarra e di tastiera e quello che voleva dalla batteria.
Con Pete allentava un po’ la presa, gli lasciava un po’ più di libertà. Ma con
il resto di noi era lui a dettare il sound e noi a obbedire.
Io guardavo gli altri, chiedendomi se qualcuno avrebbe mai detto
qualcosa. Però nessuno fiatava. Sembrava che importasse solo a me. Ma,
ogni volta che cercavo di dire la mia, Teddy prendeva le parti di Billy.

ARTIE SNYDER (tecnico del suono per The Six, SevenEightNine e Aurora):
Teddy considerava Billy il vero talento del gruppo. Non me lo disse mai
esplicitamente, ma nel corso degli anni io e lui abbiamo passato molto tempo
insieme nella stanza dei bottoni. E certe sere, dopo che i ragazzi del gruppo
erano tornati a casa, andavamo a bere qualcosa o a mangiare un hamburger.
Teddy era uno a cui piaceva mangiare. «Andiamo a farci un drink», gli
proponevi, e lui ribatteva: «Andiamo a farci una bistecca». Quello che
voglio dire è che lo conoscevo bene.
E lui in Billy aveva visto qualcosa. Gli chiedeva la sua opinione senza
mai chiederla agli altri; quando si rivolgeva al gruppo, era lui che guardava.
Non mi fraintendere, erano tutti ragazzi di talento. Ricordo che un giorno
usai una delle tracce di Karen per spiegare a un altro tastierista cos’avrebbe
dovuto fare. E un’altra volta sentii Teddy che diceva a un collega produttore
che un giorno Pete e Warren sarebbero diventati la miglior sezione ritmica
rock in circolazione. Lui credeva in tutti loro, ma fu su Billy che si
concentrò.
Una sera, mentre tornavamo alle rispettive auto, mi disse che Billy era
quello che possedeva ciò che non si può insegnare. E penso che sia vero. Lo
penso ancora oggi.
GRAHAM: Billy continuava a interrogarsi se non fosse il caso di fare un’altra
versione o giocare di più con il mixaggio. Teddy, invece, ci ripeteva di
continuo che voleva lasciare tutto il più grezzo possibile. Spendeva un sacco
di energie a cercare di fare in modo che Billy fosse semplicemente Billy.

BILLY : «Il vostro sound è una sensazione», mi disse un giorno Teddy. «Tutto
qui. Ed è infinitamente superiore a qualsiasi altra cosa.»
Ricordo di avergli chiesto: «Che sensazione?»
Le mie erano canzoni d’amore. Le cantavo con la voce un po’ rauca;
sotto, le chitarre ci davano dentro e i giri di basso erano molto blues. Mi
aspettavo che Teddy dicesse «come abbordare una ragazza al bar», «correre
in macchina con la capote abbassata» o cose simili. Un’immagine di
divertimento, magari, con un sottofondo di pericolo.
Invece lui rispose: «È qualcosa di ineffabile. Se potessi definirlo, non me
ne farei nulla».
Non l’ho mai dimenticato.

KAREN : Era una gran figata incidere un album in un vero studio. C’erano
tecnici che ti accordavano gli strumenti, gente che andava a prenderti il cibo
o una bustina d’erba. Ogni giorno c’erano un buffet per il pranzo e un altro
per la cena.
Un giorno stavamo registrando e a un certo punto arriva un tizio con una
decina di biscotti alle gocce di cioccolato. «Ne abbiamo già abbastanza, di
biscotti», dico io.
«Non come questi», fa lui. Erano corretti all’erba. Non so neanche chi li
avesse mandati.

EDDIE: «Just One More» venne scritta e incisa in un giorno, dopo che
qualcuno ci fece avere un vassoio di biscotti all’erba. La scrisse quasi tutta
Billy con il mio aiuto, e sembra che parli di una ragazza, del fatto di volere
andare a letto con lei un’ultima volta prima di rimettersi in viaggio. Ma in
realtà parla di quei biscotti, del fatto che li avessimo mangiati tutti e ne
volessimo ancora.
WARREN : Io ne mangiai tre e ne nascosi uno per dopo; così, quando Billy si
mise a scrivere la canzone sul fatto di volerne un altro, pensai: Cazzo, si è
accorto che ne ho nascosto uno!

GRAHAM: Erano bei momenti. Ci divertivamo un sacco.

BILLY : Avevo quella sensazione che provi quando… quando sai di vivere un
momento della tua vita che non dimenticherai mai.

GRAHAM: La sera prima dell’ultima sessione, tornai a casa e trovai Karen


che guardava il canyon appollaiata sulla balaustra della terrazza. Warren era
su una sedia da giardino, e stava intagliando un cucchiaio di plastica
cercando di ricavarne una specie di sottile albero di Natale.
Karen si girò verso di me e disse: «Peccato avere l’acqua fino alle
caviglie, avrei voluto fare una passeggiata».
«Cos’avete preso?» domandai. «Ce n’è anche per me?»

KAREN : Era mescalina.

WARREN : Quella sera, quando io, Graham e Karen prendemmo il peyote,


ricordo di avere pensato che, se anche l’album fosse stato una merda, me la
sarei cavata lo stesso. Mi sarei guadagnato da vivere intagliando cucchiai. Il
ragionamento non aveva molto senso, ovviamente, ma l’idea mi rimase in
testa. Non bisogna mai puntare tutto su una carta sola.

GRAHAM: Finimmo di registrare in novembre, mi sembra.

EDDIE: Finimmo intorno a marzo.

GRAHAM: Passò probabilmente un altro mese, o due, durante i quali Billy e


Teddy si chiusero nello studio per il mixaggio.
Ogni tanto passavo di lì e ascoltavo quello che facevano. Avevo le mie
idee, e Billy e Teddy mi davano sempre retta. Ma quando ci fecero sentire il
mix finale, rimasi a bocca aperta.
EDDIE: Nessuno, a parte Teddy e Billy, poteva entrare nello studio.
Passarono mesi su quel mix. E un bel giorno, finalmente, lo potemmo
ascoltare.
Era fenomenale. «Cazzo, che sound», dissi a Pete.

BILLY : Lo presentammo a Rich Palentino nella sala riunioni della Runner.


Ero nervosissimo, continuavo a battere il piede sotto il tavolo. Era la nostra
occasione. Se a Rich non fosse piaciuto, temevo che sarei esploso.

WARREN : Per noi, all’epoca, Rich era un vecchio incravattato. Questo


stronzo di un capitalista è qui a giudicarmi? pensavo. Sembrava il classico
agente governativo.

GRAHAM: Mi costrinsi a non guardare Rich, chiusi gli occhi e ascoltai. E in


quel momento pensai: Non gli piacerà mai.

BILLY : «When the Sun Shines on You» arriva alla fine. Guardo Rich. Anche
Graham e Teddy lo stanno fissando: abbiamo tutti gli occhi puntati su di lui.
E Rich fa un sorrisetto e dice: «Avete fatto un grande album».
E quando una cosa piaceva a Rich, era fatta. Fu come se l’ultimo
frammento di me che era ancora ancorato a terra si fosse improvvisamente
staccato, come se qualcuno avesse strappato la cordicella e io stessi
volando.

NICK HARRIS (critico rock): Il loro primo album fu un dignitoso ingresso in


scena. Era un disco severo e stringato, una sorta di album blues rock senza
fronzoli di un gruppo che sapeva scrivere canzoni d’amore e aveva
perfezionato l’arte delle allusioni lisergiche. Un pizzico di folk, molta
orecchiabilità, un bel po’ di spavalderia, riff aggressivi, batteria potente e la
magnifica voce di Billy Dunne, rauca e al tempo stesso insinuante.
Era un debutto promettente.
Dopo una sessione fotografica per la copertina, alcune anteprime per gli
addetti ai lavori e un’intervista con Creem, l’aspettativa per l’album
cominciò a crescere e la Runner Records e Rod Reyes iniziarono a
programmare una tournée in trenta città.

BILLY : Stava succedendo tutto molto in fretta, e io… Per anni sei uno sfigato,
e un bel giorno non lo sei più. Quando cominci a godere degli effetti del vero
successo, a vivere nel lusso e tutto il resto, devi fermarti e chiederti se lo
meriti davvero.
Chiunque non sia uno stronzo integrale risponderebbe di no. Perché è
vero, non te lo meriti. Quando quelli con cui sei cresciuto devono fare tre
lavori per sbarcare il lunario. O non sono mai tornati da oltreoceano, come il
nostro Chuck. Ovvio che non te lo meriti. E così devi impegnarti per
riconciliare le due cose. Avere tutto e non meritarlo. Oppure fai quello che
ho fatto io: ti rifiuti di pensarci.
Per questo non vedevo l’ora di andare in tournée. Quando sei in tournée,
non devi affrontare la vita reale. È un po’ come se la mettessi in pausa.

EDDIE: Stavamo per imbarcarci in una grande tournée, non so se mi spiego.


Saremmo stati intervistati nei posti più fighi, avremmo avuto il nostro
pullman. Era una bella sensazione. Una gran bella sensazione.

BILLY : La notte prima della partenza, io e Camila eravamo a letto, avvolti


nelle lenzuola. Lei si era lasciata crescere i capelli. Dio, mi ci sarei potuto
perdere, in quei capelli.
Avevano sempre un sentore di terra o di erba, come le sue mani. Le
piaceva raccogliere rametti di rosmarino, frantumarli tra le dita e poi
passarseli tra i capelli. Ancora oggi, ogni volta che sento profumo di
rosmarino, mi ritrovo all’istante stupido e giovane, in quella casa nel canyon
insieme al mio gruppo e alla mia ragazza.
Quella notte, la notte prima della partenza, non riuscivo a smettere di
annusarle i capelli. E fu allora, appena prima che me ne andassi in tournée,
che Camila me lo disse.

CAMILA : Ero incinta di sette settimane.

KAREN : Camila voleva avere figli, ma io ho sempre saputo che i bambini


non facevano parte del mio futuro. Penso che sia una cosa che si prova
oppure no. Che si sente nel profondo.
E che se non c’è, non la si possa aggiungere.
E che se c’è, non la si possa togliere.
E in Camila c’era.

BILLY : In un primo momento ne fui felice. Almeno penso. O… [Esita]


Cercavo con tutte le mie forze di esserlo. Penso che sapessi… No, ero
felice. Ma avevo una tale paura che non riuscivo a vedere altro.
Cominciai a concentrarmi su qualsiasi cosa potesse aiutarmi a
razionalizzare. Decisi che avremmo dovuto sposarci immediatamente.
Avevamo in programma di farlo dopo la tournée, ma in quel momento decisi
che dovevamo farlo subito. Non so perché fosse così importante… ma…
[Esita] L’istante in cui seppi che Camila era incinta, pensai che dovevamo
fare di tutto per essere una vera famiglia.

CAMILA : Karen conosceva un sacerdote. Si fece dare il numero da un’amica,


lo chiamammo nel cuore della notte e lui si presentò.

EDDIE: Erano le quattro del mattino.

CAMILA : Karen decorò il portico sul retro.

KAREN : Appesi strisce di carta stagnola ai rami degli alberi. [Ride]


Oggigiorno non sembra più una grande idea, dal punto di vista ambientale.
Ma, devo dire, l’effetto era molto grazioso. Le strisce ondeggiavano al vento
e riflettevano il chiaro di luna.

GRAHAM: Warren aveva qualche luce natalizia nella sua attrezzatura, perché
gli piaceva illuminare i suoi tom. Gli chiesi il permesso di usarle, e lui
provò a raccontarmi delle scemenze sul fatto che le aveva già imballate.
«Warren», gli dissi, «dammi quelle luci prima che racconti a tutti che razza
di stronzo sei.»

WARREN : Non era colpa mia se Billy e Camila avevano deciso di sposarsi a
notte fonda.

KAREN : Alla fine l’effetto fu strafigo. Quasi il posto in cui uno avrebbe
voluto sposarsi se avesse avuto tutto il tempo di programmarlo.

BILLY : Mentre Camila si preparava, andai in bagno e mi guardai allo


specchio. Continuavo a ripetermi che ce l’avrei fatta. Ce la posso fare. Ce la
posso fare. Scesi nel patio e poi arrivò anche Camila, in maglietta bianca e
jeans.

KAREN : Aveva un top giallo a uncinetto. Era incantevole.

CAMILA : Non ero per niente nervosa.

EDDIE: Avevo ancora uno scatto nella mia Polaroid, e così feci una foto. Ma,
senza volerlo, tagliai via le teste. Si vedono solo le gambe di Camila e i
capelli che le scendono sulla schiena. E una parte del petto di Billy. Nella
foto si tengono per mano, l’uno di fronte all’altra. Ero incavolatissimo per
avere tagliato via le teste. Ma ero anche sballato di brutto.

GRAHAM: Camila disse qualcosa sul fatto che avrebbe amato Billy in ogni
caso, qualsiasi cosa avesse fatto, e che con il bambino formavano una
squadra. Ma lo disse come se stesse parlando di una vera squadra sportiva.
Mi girai verso Pete e vidi che piangeva. Cercava di nasconderlo, però si
vedeva lontano un chilometro: aveva le lacrime agli occhi. Gli rivolsi
un’occhiata, come a dire: Sul serio? E lui scosse le spalle.

WARREN : Pete non smise un secondo di piangere. [Ride] Mi faceva morire,


quel ragazzo.

BILLY : Camila, ricordo le sue precise parole, disse: «Siamo una squadra,
adesso e per sempre. E tiferò sempre per noi». Ma nella mia testa sentivo
questa vocina ripetermi che non era giusto che diventassi padre. Non
riuscivo a farla tacere, era come… un’eco continua nella testa. Manderai
tutto a puttane. Manderai tutto a puttane.

GRAHAM: Insomma, sei cresciuto senza un padre, non hai la minima idea di
cosa dovresti fare e non hai nessuno a cui chiederlo.
Lo capii solo più tardi, con i miei figli. È come essere il primo della fila
e doversi fare strada con un machete. Bastava la parola papà, questa parola
che per noi equivaleva a dire stronzo, parassita, alcolizzato.
All’improvviso descriveva anche Billy. E lui doveva trovare il modo di
adattarla a se stesso. Io, se non altro, quando ci arrivai avevo l’esempio di
Billy a cui fare riferimento. Ma allora Billy non aveva nessuno.

BILLY : La voce continuava a dire: Tu non hai un padre, come puoi


diventarlo?
Quella voce… [Esita] Fu l’inizio di un brutto periodo. Non ero più me
stesso. No, non è vero. Non mi piace metterla in questi termini: sei sempre te
stesso. Sei sempre tu. Solo che a volte sei… sei uno stronzo.

KAREN : Si baciarono, e mi accorsi che Camila aveva gli occhi lucidi. Billy
la prese in braccio e la portò di corsa su per le scale tra le risate di tutti. Il
pastore lo pagai io, visto che Billy e Camila se n’erano scordati.

BILLY : Ricordo che ero a letto con Camila, subito dopo la cerimonia, e non
vedevo l’ora di andarmene. Non vedevo l’ora di salire sul pullman, perché
non… non riuscivo a guardarla. Sapevo che vedendomi bene in faccia
avrebbe capito cosa mi passava per la testa.
Non ero bravo a mentirle. Non so se sia un pregio o un difetto. La gente
pensa che mentire sia un male, ma… non lo so. A volte le menzogne
proteggono gli altri.
Rimasi disteso mentre sorgeva il sole e, quando sentii arrivare il pullman,
balzai giù dal letto e la salutai con un bacio.

CAMILA : Non volevo che se ne andasse. Ma al tempo stesso non gli avrei
mai permesso di restare.

GRAHAM: Il mattino dopo, quando mi svegliai, trovai Billy già davanti al


pullman, che parlava con Rod.

BILLY : Era tutto pronto, il pullman percorse il vialetto e in quel momento


Camila scese in giardino dal portico, ancora in camicia da notte. Era corsa
giù a darmi l’ultimo saluto. Agitò la mano, e io feci lo stesso, ma… riuscivo
a malapena a guardarla.

GRAHAM: Era difficile capire cosa gli passasse per la testa, quel mattino sul
pullman.

BILLY : Quella sera arrivammo a Santa Rosa e cominciammo a prepararci per


la serata all’Inn of the Beginning. Ma io non ero nello spirito giusto.

EDDIE: Il primo concerto della tournée non andò bene, per nessun motivo
particolare; semplicemente, non eravamo in sintonia come avremmo dovuto.
Billy invertì due versi di «Born Broken», e Graham entrò in ritardo sul
bridge.

KAREN : Personalmente non ero troppo preoccupata. Ma si capiva che Billy e


Graham ci erano rimasti male.

BILLY : Dopo il concerto tornammo in albergo, e le ragazze cominciarono a


riversarsi nella stanza. Avevamo un bar completo, e io bevvi più del dovuto.
Avevo il bicchiere in una mano e la bottiglia di Cuervo nell’altra e
continuavo a versare, un drink dopo l’altro.
Ricordo che Graham mi disse di andarci piano. Ma avevo troppe cose
che mi frullavano in testa.
Sarei diventato padre, ero sposato, mia moglie mi aspettava a L.A., il
gruppo aveva appena suonato malissimo, il nostro album era in uscita e non
avevamo idea di come sarebbe andato.
La tequila metteva a tacere un po’ tutto.
E così, quando Graham mi disse di smetterla, non lo ascoltai. Poi
ovviamente c’era la coca, e feci qualche tiro. Poi qualcuno cacciò fuori dei
Quaalude, e ne presi una manciata.

WARREN : Occupavamo due stanze adiacenti di un motel, e io ero in un


angolo e ci stavo dando dentro con una squinzia. Un bel tipino, portava un
foulard a mo’ di camicia. A un certo punto lei salta su e chiede dov’è sua
sorella. Non sapevo neanche che ce l’avesse, una sorella.
«Mi sa che è con Billy», gridò qualcuno.

BILLY : Persi i sensi intorno alle tre o alle quattro del mattino, mi pare.
Quando li ripresi, ero nella vasca da bagno… e non ero solo. [Esita] C’era
una bionda distesa sopra di me. Sono imbarazzatissimo a dirlo, ma è la
verità.
Mi alzai e vomitai.

GRAHAM: Quando mi svegliai, vidi Billy che fumava una sigaretta nel
parcheggio. Camminava avanti e indietro e sembrava parlasse da solo, come
se fosse uscito di testa. Mi avvicinai e lui disse: «Ho combinato un casino.
Ho rovinato tutto».
Sapevo già cos’era successo. Avevo cercato di impedirlo, ma lui non me
l’aveva permesso. «Non farlo più, fratello», ribattei. «Tutto qui. Non farlo
più.»
Lui annuì e disse: «Okay».

BILLY : Chiamai Camila solo per sentire la sua voce. Sapevo che non potevo
confessarle cosa avevo combinato. Mi dissi che non l’avrei più fatto, e che
l’importante era quello.
CAMILA : Mi stai chiedendo se sapevo che mi sarebbe stato infedele, come
se fosse qualcosa che sai o non sai. Come se fosse bianco o nero. Ma non è
così. Ne hai il sospetto, poi ti passa. Poi torna di nuovo. Poi ti dai della
pazza. Poi ti domandi se la fedeltà è davvero la cosa più importante.
Mettiamola così: ho visto un sacco di matrimoni in cui tutti sono fedeli e
nessuno è felice.

BILLY : Alla fine della telefonata, Camila disse che doveva andare. «Okay»,
risposi, e ricordo che lei disse: «Okay, tesoro, noi ti amiamo».
«Noi?» domandai.
«Io e il piccolo», rispose lei.
E quello fu… Probabilmente riagganciai prima ancora di riuscire a
salutarla.

KAREN : Io e Camila eravamo diventate amiche. Non mi piaceva che Billy mi


mettesse nella posizione di dover scegliere tra dire tutto a Camila o mentirle.

BILLY : Bere, stonarsi, scopare: è sempre la stessa cosa. Ci sono questi limiti
che non intendi oltrepassare, ma poi lo fai. E a un tratto hai la
pericolosissima consapevolezza che puoi infrangere le regole senza che il
mondo cessi all’istante di esistere.
Hai preso una linea di confine bella spessa e nera e l’hai resa grigia. E
ogni volta che la oltrepassi diventa sempre più chiara, finché un bel giorno ti
guardi intorno e pensi: Mi sembra che un giorno qui ci fosse una linea di
confine.

GRAHAM: Divenne una successione di cose sempre uguali: arrivi in città,


provi, suoni, festeggi, sali sul pullman. E quando cominciammo a ingranare,
meglio suonavamo più festeggiavamo. Hotel, ragazze, droga. A ciclo
continuo. Hotel, ragazze, droga. Per tutti, ma soprattutto per Billy.

WARREN : Avevamo una regola: ciascuno di noi aveva cinque fiammiferi.


Era così che invitavamo la gente al dopoconcerto. Chi riceveva il
fiammifero entrava. Potevamo darli a qualsiasi ragazza che vedevamo tra il
pubblico. Ovviamente cercavamo di evitare i tipi strani.
ROD : Lascia che ti dica cosa significa fare il manager di un gruppo rock.
Eravamo sempre in viaggio, roadie, tecnici e compagnia cantante. E nessuno,
non un solo membro della band, che si chiedesse come facevamo ad avere
sempre il serbatoio pieno.
Era la fine del ’73, in piena crisi petrolifera, e la benzina scarseggiava. Io
e il tour manager distribuivamo mazzette ai benzinai come se ne andasse
della nostra vita, e io cambiavo la targa a giorni alterni.
Ma nessuno di loro se ne accorgeva, perché erano troppo impegnati a
scopare, bere e strafarsi.

KAREN : In quella tournée, Billy si trasformò in una persona che non


riconoscevo più. Si addormentava sul pullman abbracciato a una ragazza, le
invitava a venire con noi da una città all’altra.

EDDIE: Aveva addirittura incaricato un roadie di tenersi pronto a portargli


tequila e Quaalude a qualsiasi ora della notte.

KAREN : L’album stava andando abbastanza bene, e la tournée venne


prolungata. Un giorno ne stavo parlando al telefono con Camila e lei chiese:
«Karen, secondo te dovrei raggiungervi?»
«No, resta lì», mi affrettai a rispondere.

WARREN : Ti farò un breve riassunto di quella prima tournée: io scopavo,


Graham si stonava, Eddie si ubriacava, Karen non ce la faceva più, Pete
stava ore al telefono con la sua ragazza e Billy faceva tutt’e cinque le cose
insieme.

EDDIE: Dopo il concerto di Ottawa, ero dietro le quinte a bere un paio di


birre con i ragazzi dei Midnight Dawn. C’erano anche Graham e Karen. Pete
aspettava l’arrivo di Jenny, la sua tipa, che ci stava raggiungendo in
macchina da Boston. Non l’avevo ancora vista, perché Pete era sempre stato
un tipo molto riservato. Tanto per capirci, la ragazza che aveva alle
superiori non aveva mai conosciuto i nostri genitori. Sicché ero contento di
conoscere finalmente Jenny e capire come mai Pete ne facesse una malattia.
E all’improvviso ti vedo arrivare questa stangona dai lunghi capelli
biondi, vestita con un abitino minuscolo e scarpe dal tacco altissimo, due
gambe che le arrivano al collo, e penso: Ci credo che Pete è fissato con lei.
E subito dietro c’è Camila.

CAMILA : Volevo fargli una sorpresa. Mi mancava, e mi annoiavo. E stavo


cominciando… a innervosirmi. Mi ero sposata, ero incinta di sei mesi e
passavo gran parte del tempo da sola in un’enorme, vecchia casa a Topanga
Canyon. C’erano un sacco di ragioni per cui li avevo raggiunti.
Ma sì, certo, una di queste era controllare se andava tutto bene. Vedere
cosa stava combinando Billy.

KAREN : Gliel’avevo detto, di non venire. Ma lei non mi aveva dato ascolto.
Voleva fare una sorpresa a Billy.
Si cominciava a vedere la pancia. Era al quinto mese o giù di lì.
Indossava un maxivestito molto largo, e portava i capelli raccolti
all’indietro.

GRAHAM: Vidi Camila e pensai: Oh, no. Riuscii ad avviarmi come se niente
fosse all’uscita, ma, una volta fuori dalla sua visuale, mi misi a correre.
Billy poteva essere solo sul pullman o in albergo: dovevo scegliere tra l’uno
o l’altro. Feci di corsa i due isolati che ci separavano dall’hotel.
Avrei dovuto scegliere il pullman.

KAREN : Lei lo trovò sul pullman. Una parte di me rimpiangeva di non essere
riuscita a fermarla in tempo, ma l’altra parte era contenta che venisse fuori
tutto.

EDDIE: Io non ero presente, ma seppi che Camila lo sorprese sul pullman
mentre si faceva fare… non so come altro dirlo… credo che il termine più
delicato sia sesso orale. Da una groupie.

BILLY : Era come giocare con il fuoco, ma quando poi mi bruciai, chissà
come rimasi sinceramente sorpreso.
Ricordo l’espressione di Camila. Era… non era tanto infuriata o ferita,
quanto davvero scioccata. Rimase impietrita, guardando la scena senza la
minima reazione. Mi fissò mentre mi rivestivo di gran fretta.
La ragazza si precipitò fuori dal pullman, come se non volesse farsi
coinvolgere nella scenata.
Quando la portiera si richiuse, guardai Camila e dissi: «Perdonami». Fu
la prima cosa che mi uscì di bocca, in realtà l’unica. E fu a quel punto che lei
sembrò metabolizzare del tutto quello che era successo, che stava
succedendo.

CAMILA : Mi pare di avergli detto qualcosa tipo: «Chi cazzo credi di essere
per farmi questo? Pensi che esista una donna al mondo migliore di quella che
hai?»

WARREN : Ero fuori a parlare con qualcuno dei tecnici, e colsi solo il finale
di straforo, attraverso il parabrezza. E mi parve di vedere Camila che lo
colpiva. Che gli dava una borsettata in testa. Poi li vidi scendere dal
pullman.

CAMILA : Lo costrinsi a fare una doccia prima di rivolgergli ancora la


parola.

BILLY : Volevo che mi lasciasse. [Esita] Ci ho pensato a fondo, e… le mie


intenzioni erano quelle. Speravo che mi lasciasse andare.
Quella sera, uscito dalla doccia, ci sedemmo in camera. Sentivo che mi
stava passando la sbronza, e la sensazione non mi piaceva. Feci un tiro di
coca, e ricordo che Camila mi guardò e chiese: «Cosa stai cercando di
fare?»
Non lo disse in tono esasperato. La sua era una vera domanda. Cosa stavo
cercando di fare? Non sapevo come risponderle. Mi limitai a scuotere le
spalle, e ricordo ancora quanto mi sentii stupido in un momento come quello
a fare spallucce, con una donna come lei. La donna che portava in grembo
mio figlio. E io lì a tirare su le spalle come un ragazzino di dieci anni.
Lei mi guardava in faccia, in attesa di una risposta che io non avevo. E
alla fine disse: «Se credi che intenda stare a guardare mentre ti rovini la vita,
sei fuori di testa». E uscì dalla stanza.

GRAHAM: Camila mi raggiunse e disse che sarebbe tornata a casa, che non
voleva saperne di queste stronzate. Mi chiese di tenere d’occhio Billy per il
resto della notte. Ero stufo di badare a Billy, ma a una donna come Camila
non si dice di no, specialmente quando è incinta. E così acconsentii.
E lei disse: «Quando si sveglia, dagli questa lettera».

BILLY : Mi sveglio con la nausea e un tremendo mal di testa. Ho la


sensazione che mi sanguinino gli occhi. Karen è in piedi davanti a me con un
biglietto in mano e l’aria incazzata. Prendo il biglietto e lo leggo. È la
calligrafia di Camila. Dice così: Hai tempo fino al 30 novembre, dopodiché
sarai una brava persona per il resto dei tuoi giorni. Intesi?
La data prevista del parto era il 1° dicembre.

CAMILA : Credo che mi rifiutassi di accettare che fosse davvero indegno


come sosteneva di essere.
Non sto dicendo che quello che aveva fatto non fosse reale. Lo era,
eccome. Lo era in tutto e per tutto. Non mi ero mai sentita tanto smarrita e
impaurita in vita mia. Stavo male, ogni giorno che passava. E non avrei
neanche saputo dire quale parte di me stesse peggio. Avevo fitte al cuore, mi
sembrava che lo stomaco mi si rivoltasse come un guanto, mi pulsava la
testa. Eccome, se era reale.
Ma questo non significava che dovessi accettarlo.

ROD : Non conoscevo bene Camila, ma la sua decisione di restare con Billy
non era così difficile da comprendere. Si erano messi insieme quando lui era
ancora un bravo ragazzo. E quando si era resa conto che Billy stava andando
in pezzi, era troppo coinvolta per tirarsi indietro.
Se voleva che il suo bambino avesse un padre, doveva rimettere Billy in
carreggiata. Cosa c’è da non capire?

BILLY : Come un idiota mi dissi: Okay, fino al 30 novembre mi sfogo e mi


tolgo ogni sfizio. Faccio tutto in un colpo solo. Per non doverlo più rifare.
A volte mi domando se i tossici siano poi così diversi da chiunque altro,
se non siano semplicemente più bravi a mentire a se stessi. Io ero bravissimo
a farlo.

KAREN : Non smise di combinare casini.

ROD : La tournée venne prolungata di nuovo quando ottenemmo qualche data


come gruppo di supporto per Rick Yates. Era un’ottima pubblicità. L’album
stava andando benino e «Señora» stava scalando le classifiche.
Ma è vero, Billy era fuori di testa. Dopo essere stato colto in flagrante da
Camila, cominciò a darci dentro il doppio di prima. Coca e donne e alcol e
tutto il resto.
A essere sinceri, pensavo che la situazione fosse gestibile. Non era il
massimo, ma era controllabile.
Mi dicevo che, finché si fosse tenuto alla larga dalla roba più pesante,
tipo benzodiazepine o eroina, forse sarebbe andato tutto bene.

GRAHAM: Non sapevo più cosa fare. Non sapevo come aiutarlo o se fidarmi
di quello che mi diceva. Sinceramente, mi sentivo un idiota. Sono suo
fratello, mi dicevo, dovrei sapere di cosa ha bisogno. Dovrei essere sempre
in grado di capire quando è fatto e sta mentendo.
E invece non lo capivo. Ed ero… imbarazzato dalla mia stessa incapacità
di intuire cosa stava combinando.

EDDIE: Era una specie di conto alla rovescia per tutti, tipo: Mancano
sessanta giorni alla data in cui Billy dovrà mettere la testa a posto. Poi
quaranta. Poi venti.

BILLY : Eravamo a Dallas, dove avremmo suonato prima di Rick Yates. E


Rick ai tempi sniffava eroina. Devo provarla almeno una volta, mi dissi.
Era assolutamente sensato, a mio modo di vedere: una volta provata
l’eroina, sarebbe stato più facile darmi una ripulita. In più, non mi sarei
bucato. L’avrei solo tirata. E in passato avevo già fumato oppio. Come tutti
gli altri. E così, quando mi ritrovai con Rick dietro le quinte del Texas Hall
e lui mi offrì un tiro di ero… lo feci.
ROD : Ai miei ragazzi dico sempre di stare alla larga dalle benzo e dall’ero.
La gente non crepa stando sveglia, succede quando si addormenta. Vedi Janis
Joplin, Jimi Hendrix, Jim Morrison. I tranquillanti uccidono.

GRAHAM: Da quel momento in poi fu una spirale. Una volta che Billy si mise
a sniffare eroina con Yates, cominciai a vivere nel terrore. Cercavo di
tenerlo d’occhio, di convincerlo a smettere.

ROD : Quando scoprii che si faceva con Yates, chiamai Teddy e gli dissi:
«Abbiamo un morto che cammina». Teddy promise di occuparsene di
persona.

GRAHAM: I consigli, le prediche o perfino le catene non sono mai riusciti a


fermare nessuno che non avesse già intenzione di smettere da solo.

EDDIE: Quando ormai mancavano dieci giorni alla data fatidica, e Billy era
arrivato al punto di dimenticarsi le parole delle canzoni durante i concerti,
ricordo di aver pensato che non ce l’avrebbe mai fatta a smettere.

BILLY : Il 28 novembre, Teddy viene a sentirci suonare a Hartford. A fine


concerto ce lo ritroviamo dietro le quinte.
«Cosa ci fai qui?» gli chiedo.
«Adesso torni a casa», risponde lui; poi mi afferra per un braccio e
praticamente non mi lascia più andare finché non siamo a bordo dell’aereo.
E lì mi dice che Camila è entrata in travaglio.
Atterriamo, Teddy mi carica in macchina e mi accompagna all’ospedale.
Si ferma in seconda fila in sosta vietata, di fronte all’ingresso. «Va’ su da
loro, Billy», mi dice.
A quel punto, dopo tutto quel viaggiare, non avrei dovuto fare altro che
varcare quella doppia porta… eppure non ce la feci. Non potevo vedere per
la prima volta mio figlio in quello stato.
Teddy scese dall’auto e salì al posto mio.

CAMILA : Ero reduce da diciotto ore di travaglio con soltanto mia madre
accanto a me. Mi aspettavo che mio marito entrasse da quella porta e si
desse una regolata. Adesso mi rendo conto che da soli non se ne esce, che
non è così che vanno queste cose. Ma allora non lo sapevo, e pensavo che
funzionasse in quel modo.
Ebbene, la porta si aprì, ma dietro non c’era Billy. C’era Teddy Price.
Ero esausta, grondavo sudore per tutti gli ormoni che avevo in circolo, e
tenevo in braccio questa neonata di cui avevo appena fatto la conoscenza,
questa bambina identica a Billy. Decisi di chiamarla Julia.
Mia madre era pronta a riportarci con sé in Pennsylvania, e io ero tentata
di accettare. In quel momento, arrendersi sembrava più facile che cercare di
avere fiducia in Billy. Digli che crescerò questa bambina da sola, avrei
voluto dire a Teddy. Ma avevo il dovere di perseguire quello che volevo per
me e per mia figlia. E così dissi: «Fagli sapere che ha due scelte: o comincia
subito a essere un padre, oppure va a disintossicarsi. Immediatamente».
Teddy annuì e se ne andò.

BILLY : Attesi fuori dall’ospedale per quelle che mi parvero ore, continuando
a toccare il chiavistello sulla porta. Finalmente, Teddy riapparve e disse:
«Hai una bambina. È identica a te. Si chiama Julia».
Non sapevo come rispondere.
Teddy proseguì: «Camila dice che hai due scelte. Puoi muovere il culo,
andare su da loro e diventare un bravo marito e padre, oppure ti posso
accompagnare in un centro di recupero. A te la decisione».
Posai la mano sulla maniglia e in quel momento pensai: Posso sempre
fuggire.
Ma Teddy doveva avermi letto nel pensiero, perché soggiunse: «Camila
non ti ha lasciato altra scelta. Non ci sono alternative. Certa gente riesce a
reggere alcol e droga, tu no. La pacchia è finita, Billy».
Le sue parole mi fecero ripensare a quando ero un bambino di sei, sette
anni e avevo la passione delle automobiline della Matchbox. Era una vera
ossessione, la mia, ma nostra madre non aveva abbastanza soldi per
comprarcene molte. E così perlustravo i marciapiedi, nel caso qualche
bambino ne avesse persa una. In quel modo ne avevo raggranellata qualcuna.
E magari, quando giocavo con gli amichetti del quartiere, ne sgraffignavo un
paio. Oppure le rubavo direttamente in negozio. Finché un bel giorno, dopo
aver scoperto il mio bottino, mia madre mi aveva fatto sedere e mi aveva
chiesto: «Perché non puoi accontentarti di giocare con le tue come chiunque
altro?»
Non ho mai saputo risponderle, né allora né mai.
Non sono fatto a quel modo, tutto qui.
Quel giorno all’ospedale, ricordo che, mentre fissavo la porta, vidi uscire
un uomo che spingeva una sedia a rotelle su cui era seduta una madre con il
suo neonato. Lo guardai e… mi parve di vedere una persona che non sarei
mai riuscito a essere.
Continuavo a pensare di entrare in quell’ospedale e guardare mia figlia
sapendo che per lei sarei stato un padre di merda.
[Si commuove] Non era che non la volessi. La desideravo con tutte le mie
forze, non sai quanto. Era solo che… non volevo che mi conoscesse.
Non volevo… che la mia bambina dovesse cominciare la sua vita alzando
gli occhi su quest’uomo, su questo stronzo ubriaco e drogato, e chiedersi: E
questo è mio padre?
Era questo che provavo: ero imbarazzato all’idea che la mia bambina mi
vedesse.
E così fuggii. Non ne vado fiero, ma è la verità. Andai a disintossicarmi
per evitare di conoscere mia figlia.

CAMILA : Mia madre mi disse: «Tesoro, spero che tu sappia quello che fai».
Sai, ci ho riflettuto a lungo. Per decenni. E questa è la conclusione a cui
sono giunta. Il motivo per cui ho fatto quello che ho fatto è questo: non mi
sembrava giusto che fosse la parte più debole di lui a decidere della mia vita
e della mia famiglia.
La decisione spettava a me. E quello che volevo era una vita, una
famiglia, un matrimonio felice, una casa insieme a lui. Con l’uomo che
sapevo che era. E l’avrei ottenuto a tutti i costi.

Billy entrò in un centro di recupero nell’inverno del 1974. Il gruppo


cancellò le poche date restanti della tournée.
Gli altri membri si presero una vacanza. Warren comprò una barca e la
mise all’ancora al largo di Marina del Rey. Eddie, Graham e Karen
restarono nella casa di Topanga Canyon, mentre Pete si trasferì
temporaneamente sulla East Coast per stare con la sua ragazza, Jenny
Manes. Camila prese una casa in affitto a Eagle Rock e vi si stabilì con la
sua piccola.
Dopo sessanta giorni di clinica, Billy Dunne conobbe finalmente sua
figlia Julia.

BILLY : Non sono sicuro che entrai in clinica per le ragioni giuste. Vergogna,
imbarazzo, fuga e tutto il resto. Ma ci restai per le ragioni giuste.
Ci restai perché il secondo giorno il terapista del mio gruppo mi disse di
smettere di immaginare che mia figlia si vergognasse di me. Di cominciare a
pensare a come avrei dovuto comportarmi per renderla fiera di me. E quelle
parole mi restarono impresse. Non riuscivo a smettere di pensarci.
Lentamente, quella diventò la luce che mi chiamava alla fine del tunnel…
Immaginare mia figlia… [Si ferma, si ricompone] Immaginare me stesso
come un padre che mia figlia sarebbe stata orgogliosa di avere.
Cominciai a impegnarmi, giorno dopo giorno, per avvicinarmi sempre di
più a quell’uomo.

GRAHAM: Il giorno delle dimissioni di Billy, passai a prendere Camila e la


piccola e andammo insieme alla clinica.
Julia era la neonata più grassa che avessi mai visto. [Ride] È vero! «La
stai nutrendo a frappè?» chiesi a Camila. Aveva due guanciotte piene e una
pancia da bevitore di birra. Era adorabile.
Fuori dal centro c’era un piccolo tavolo da picnic sotto un ombrellone.
Camila vi si sedette con Julia in braccio, e io andai a prendere Billy. Era
vestito come l’ultima volta che l’avevo visto, a Hartford. Ma aveva messo su
qualche chilo, e aveva una faccia più sana.
«Pronto?» gli domandai.
«Sì», rispose lui, ma si capiva che non ne era del tutto sicuro.
Gli misi un braccio intorno alle spalle e gli dissi quello che immaginavo
avesse bisogno di sentire. «Sarai un padre fantastico.» Forse avrei dovuto
dirglielo prima. Non so perché non lo avevo fatto.

BILLY : Julia aveva sessantatré giorni quando la vidi per la prima volta. È
dura, ancora adesso, non… odiare me stesso per questo. Ma l’istante in cui
la vidi… mio Dio. [Sorride] Trovarmi con loro a quel tavolo da picnic… fu
come se qualcuno avesse imbracciato un’ascia e avesse fatto a pezzi la
crosta che mi ricopriva. Mi sentivo esposto, messo a nudo. Mi sembrava di
avvertire ogni singola cosa, di sentirla nel profondo delle terminazioni
nervose.
Avevo… avevo creato una famiglia. In modo accidentale, senza pensarci
e senza molte delle qualità che uno dovrebbe possedere per meritare una
famiglia, forse, ma l’avevo fatto comunque. E ora c’era questa minuscola,
nuova persona che aveva i miei stessi occhi e non sapeva chi ero stato, e per
la quale l’unica cosa importante era chi ero adesso.
Crollai in ginocchio, pieno di gratitudine per l’esistenza di Camila.
Era… era incredibile quello che le avevo fatto passare, ed era incredibile
che lei fosse ancora lì, pronta a darmi un’altra possibilità. Non lo meritavo,
e lo sapevo.
Le dissi che avrei passato il resto della nostra vita insieme a cercare di
darle il doppio di ciò che meritava. Non credo di avere mai fatto una
promessa con la stessa umiltà e con la stessa gratitudine che provavo quel
giorno nel profondo del cuore.
Tecnicamente, l’avevo sposata quasi un anno prima, ma fu allora che mi
promisi a lei. Adesso e per sempre. A lei e a mia figlia. Mi consacrai a loro,
a crescere quella bambina con tutto me stesso.
Mentre salivamo in macchina, Camila mi sussurrò: «Siamo noi, adesso e
per sempre. Non dimenticarlo mai più, d’accordo?»
Annuii, e lei mi baciò. E Graham ci riaccompagnò a casa.

CAMILA : Secondo me bisogna avere fiducia in qualcuno prima che se la


meriti. Altrimenti che fiducia è?
FIRST
1974-1975

Nel 1974, Daisy Jones era ormai in piena violazione di contratto con la
Runner Records per non essersi mai presentata alle sessioni di
registrazione al Record Plant di West Hollywood.
Simone Jackson, nel frattempo, aveva firmato con la Supersight
Records e stava ottenendo un buon successo internazionale con i suoi
brani R&B e dance, che in seguito sarebbero stati visti come progenitori
della disco. Le sue canzoni «The Love Drug» e «Make Me Move» erano ai
primi posti nelle classifiche delle discoteche francesi e tedesche.
Nell’estate del ’74, mentre Simone partiva per la sua tournée europea,
Daisy cominciava a sentirsi sempre più irrequieta.

DAISY : Passavo le giornate a rosolarmi al sole e le serate a stonarmi. Avevo


smesso di scrivere canzoni: era inutile, visto che poi nessuno me le lasciava
incidere.
Hank passava a trovarmi ogni giorno, fingendo di preoccuparsi per me,
ma in realtà cercando di convincermi a presentarmi in studio, manco fossi
una specie di purosangue che non voleva correre.
Finché, un bel giorno, bussa alla mia porta Teddy Price. Immagino che
l’avessero incaricato di occuparsi di me, di convincermi. Allora era tra i
quaranta e i cinquanta, il classico inglese fascinoso e un po’ paterno.
Apro la porta e me lo ritrovo davanti, e lui neanche mi saluta. «Basta con
le stronzate, Daisy», attacca subito. «Devi incidere quest’album, se non vuoi
che la Runner ti porti in tribunale.»
«Non me ne frega niente», ribattei. «Che si riprendano i loro soldi, se
vogliono, che mi facciano cacciare da qui. Andrò a vivere in una scatola di
cartone.» Ero molto irritante, a quei tempi. Non sapevo cosa significasse
soffrire sul serio.
«Vieni in studio, tesoro», ripeté Teddy. «Che cosa ti costa?»
«Voglio scrivere le mie canzoni», insistetti. Mi pare di ricordare che
incrociai addirittura le braccia davanti al petto come una bambina.
«Ho letto le tue cose», fece lui. «E alcune sono molto belle. Ma non c’è
neanche una canzone completa. Non hai niente di pronto per essere
registrato.» Se avessi adempiuto ai miei obblighi contrattuali con la Runner,
mi promise, mi avrebbe aiutata a sviluppare le canzoni al punto da poter
incidere un album di materiale tutto mio. «Un obiettivo a cui puntare tutti
insieme», lo definì.
«Voglio che le mie canzoni escano subito», ribattei.
Fu a quel punto che cominciò a seccarsi. «Vuoi essere una groupie di
professione?» chiese. «È questo che desideri? Perché, per come la vedo io,
in questo momento hai la possibilità di fare qualcosa. Magari però preferisci
farti mettere incinta da Bowie.»
Approfitto dell’occasione per mettere in chiaro una cosa: non sono mai
andata a letto con David Bowie. Almeno, non credo.
«Io sono un’artista», protestai. «O mi lasciate incidere l’album che
voglio, o non mi vedrete mai.»
«Daisy», rispose Teddy, «quelli che pretendono di ottenere le condizioni
ideali per fare arte non sono artisti. Sono stronzi.»
Gli sbattei la porta in faccia.
Ma più tardi, quello stesso giorno, riaprii il canzoniere e cominciai a
rileggerlo. Detestavo ammetterlo, ma capivo cosa intendeva Teddy. Avevo
scritto dei bei versi, però non avevo niente che filasse liscio dall’inizio alla
fine.
Il mio metodo di lavoro, a quei tempi, era buttare giù qualche verso su
una melodia che avevo in testa in quel momento e poi andare oltre. La
canzone veniva abbandonata dopo un paio di passaggi.
Seduta nel salottino del mio cottage con il canzoniere in grembo, lo
sguardo perso fuori dalla finestra, mi resi conto che, se non mi fossi messa
davvero d’impegno, se non fossi stata disposta a versare sangue, sudore e
lacrime per ottenere ciò che volevo, non sarei mai stata nessuno, non avrei
mai contato nulla.
Qualche giorno dopo, chiamai Teddy. «Va bene», gli dissi, «inciderò il
vostro album.»
«È il tuo album», rispose lui. E capii che aveva ragione. Perché
quell’album mi appartenesse, non era necessario che corrispondesse
esattamente a quello che volevo.

SIMONE: Il giorno dopo il mio rientro in città, andai a trovare Daisy al


Marmont e sul frigorifero in cucina vidi un foglio di carta con scribacchiato
sopra un testo.
«E questo cos’è?» domandai.
«È la canzone che sto scrivendo», rispose Daisy.
«Non ne hai già a decine?» le chiesi.
Lei scosse il capo. «Voglio che questa sia perfetta.»

DAISY : Fu una lezione importante, a quell’età: la differenza tra ottenere le


cose senza sforzo e guadagnarsele. Ero talmente abituata a ricevere che non
sapevo quanto il fatto di guadagnarsi qualcosa sia importante per la tua
anima.
Se ho un motivo per cui ringraziare Teddy Price… e sinceramente ne ho
in abbondanza… ma se dovessi sceglierne uno è il fatto che mi costrinse a
guadagnarmi qualcosa.
E fu quello che feci. Mi presentai allo studio, cercai di mantenermi
relativamente lucida e cantai le canzoni che mi diedero. Non le cantai
sempre come volevano loro. Su certi punti mi feci valere, e credo davvero
che l’album riuscì meglio anche grazie alla mia volontà di conservare parte
del mio stile. Ma in sostanza feci quello che mi chiesero di fare. Stetti al
gioco.
E alla fine, quando avevamo in mano dieci ballate ben confezionate,
Teddy mi chiese: «Che ne pensi?»
E io gli dissi che pensavo di avere fatto un disco che non corrispondeva
esattamente alla mia visione, ma che forse aveva qualità tutte sue. Dissi che
lo sentivo mio e al tempo stesso non mio, e che non avevo idea se fosse
bellissimo, orribile o una via di mezzo. Teddy rise e disse che mi ero
espressa come una vera artista, e la cosa mi riempì di piacere.
Gli chiesi come avremmo dovuto intitolarlo e lui rispose che non lo
sapeva. «Voglio chiamarlo First» decisi. «Perché ho intenzione di farne
molti altri.»
NICK HARRIS: First di Daisy Jones uscì all’inizio del 1975. La casa
discografica la vendeva come un’emula di Dusty Springfield. In copertina
c’è lei che si guarda allo specchio su uno sfondo giallo pallido.
Il materiale non era certo rivoluzionario, ma, con il senno di poi, sotto la
superficie si possono già sentire la grinta e il mordente.
Il primo singolo era una cover di «One Fine Day» più complessa di quasi
tutte quelle che l’avevano preceduta, e il secondo, una versione di «My Way
Down», fu accolto con favore.
In realtà, era un album leggerino, tuttavia fece il suo dovere. La gente
cominciò a riconoscere il suo nome. Daisy partecipò ad American
Bandstand, e Circus pubblicò una doppia pagina in cui era ritratta con gli
orecchini a cerchio, che poi divennero il suo marchio di fabbrica.
Era bellissima e interessante, e non le mandava a dire. La musica non era
ancora del tutto formata, ma… si capiva che Daisy Jones avrebbe fatto
strada. Che il suo momento stava per arrivare.
SEVEN EIGHT NINE
1975-1976

Disintossicato di fresco e accasato con Camila e la sua bambina appena


nata, Billy Dunne riprese a scrivere canzoni. Quando ebbe raccolto
abbastanza materiale, i Six tornarono in studio per realizzare il loro
secondo album. Da giugno a dicembre del 1975 registrarono i dieci brani
che avrebbero costituito SevenEightNine. Ma, quando ebbero finito, Teddy
li informò che Rich Palentino non era ancora sicuro che l’album
contenesse un singolo in grado di scalare le classifiche.

BILLY : Fu come se ci avesse tagliato le gambe. Eravamo pronti a uscire con


quell’album. Ne eravamo fieri.

EDDIE: A essere sinceri, ero sorpreso che Teddy non ne avesse parlato
prima. Quando avevo sentito il master, l’album mi era sembrato un po’ soft,
se non altro a livello di temi. Tutto quello che Billy aveva scritto riguardava
la sua famiglia.
Pete riassunse il problema nel modo migliore: «Il rock ’n’ roll parla della
prima notte di sesso con una ragazza, non di quando fai l’amore con tua
moglie». Ed era Pete a dirlo! Pete, che era uno zerbino tanto quanto Billy.

GRAHAM: Dissi a Teddy che di potenziali singoli ne avevamo un mucchio.


«‘Hold Your Breath’, per esempio.»
«Troppo lento», rispose.
«E ‘Give In’?»
«Troppo hard.»
Continuavo a nominare brani, e Teddy continuava a dare ragione a Rich.
Le nostre canzoni erano belle, ma avevamo bisogno di qualcosa in grado di
trascendere il genere. Dovevamo puntare al primo posto. L’album d’esordio
era andato bene, ma se volevamo crescere dovevamo puntare più in alto.
«Certo», obiettai, «ma non significa necessariamente mirare ai primi posti
in classifica. Quelli sono riservati alla roba più banale.»
«Dovreste puntare a essere i numeri uno perché fate la musica più cazzuta
che c’è», ribatté Teddy.
Non aveva tutti i torti.

BILLY : Non ricordo di chi fu l’idea di un duetto. So solo che io non l’avrei
mai proposto.

EDDIE: Quando Teddy propose di trasformare «Honeycomb» in un duetto,


rimasi ancora più confuso di prima. Avrebbe preso la canzone più soft
dell’album, ci avrebbe aggiunto una parte vocale femminile e quello avrebbe
risolto il problema? Secondo me, non avrebbe fatto altro che rendere l’intero
album ancora più leggero.
«Cazzo, non voglio far parte di un gruppo di soft rock», dissi a Pete.

BILLY : «Honeycomb» è una canzone romantica, ma è anche malinconica.


L’avevo scritta pensando alla vita che avevo promesso a Camila. Lei
sognava di trasferirsi nel North Carolina, quando fossimo diventati più
vecchi, e di sistemarci là. Sua madre era cresciuta in quei posti, e Camila
desiderava una casa in riva al mare, circondata da un bel po’ di terra e con il
primo vicino a un chilometro di distanza.
«Honeycomb» parlava della promessa che le avevo fatto. Che un giorno
le avrei dato tutto questo. Una grande fattoria, un sacco di bambini. Un po’ di
pace e tranquillità dopo le tempeste che le avevo fatto affrontare. Non aveva
senso infilarci dentro un’altra voce.
Ma Teddy non era d’accordo. «Scrivi una parte femminile», disse.
«Scrivi quello che ti direbbe Camila.»

GRAHAM: Pensavo che avremmo dovuto far cantare Karen. Aveva una
bellissima voce.
KAREN : La mia non era una voce solista. Se mi avessi chiesto di
accompagnare un ritornello l’avrei fatto, ma da sola non ci sarei mai riuscita.

WARREN : Graham era sempre impaziente di riempire Karen di complimenti.


E io pensavo: Non succederà mai, fratello. Te lo puoi scordare.

BILLY : Teddy continuava a proporre cantanti dell’ambiente dance, ma l’idea


non mi piaceva.

KAREN : Teddy fece almeno dieci nomi prima che Billy finalmente si
arrendesse. Ero presente quando accadde.
Billy stava scorrendo la lista di Teddy, e non faceva che dire no. «No.
No. No. Tonya Reading? No. Suzy Smith? No.» Finché a un tratto domandò:
«Chi è Daisy Jones?»
E Teddy, eccitatissimo, rispose che sperava proprio che Billy glielo
chiedesse, perché secondo lui Daisy era quella giusta.

GRAHAM: L’avevo sentita cantare qualche mese prima al Golden Bear. Mi


era sembrata incredibilmente sexy. Aveva una voce rauca, fantastica. Ma mi
pareva che non c’entrasse nulla con il nostro album. Era più giovane, più
pop. «Perché non ci procuri Linda Ronstadt?» chiesi a Teddy. Ai tempi era
la preferita di tutti. Ma lui rispose che doveva essere qualcuno della nostra
etichetta. E che Daisy aveva un lato più commerciale che ci sarebbe tornato
utile.
Dovetti ammettere che non aveva tutti i torti.
«Se Teddy sta cercando di conquistare un pubblico nuovo, Daisy è una
scelta sensata», dissi a Billy.

BILLY : Teddy non demordeva. Daisy Daisy Daisy. E a un cento punto ci si


mise anche Graham. «E va bene», mi arresi. «Se questa Daisy ci vuole
provare, ci proveremo.»

ROD : Teddy era un bravo produttore. Sapeva che Daisy Jones stava
cominciando a far parlare di sé nell’ambiente. Se la canzone fosse venuta
bene, sarebbe stato un gran successo.
DAISY : Avevo sentito parlare dei Six, ovviamente, con il fatto che eravamo
della stessa etichetta e tutto il resto. E avevo sentito i loro singoli alla radio.
Non avevo prestato molta attenzione al primo album, ma, quando Teddy
mi fece ascoltare SevenEightNine, ne fui travolta. Lo amai all’istante,
quell’album. Credo che suonai «Hold Your Breath» dieci volte di seguito.
La voce di Billy mi piaceva da morire. Aveva un che di malinconico. Di
vulnerabile. Mi dissi: Questa è la voce di un uomo che ne ha viste, di cose.
Trovavo molto evocativo quel suo sound spezzato. Io non ce l’avevo. La mia
voce era come un paio di bei jeans nuovi, ma quella di Billy era il paio che
continuavi a metterti da anni.
Riuscivo a vedere il potenziale di un duetto tra noi. E così ascoltai e
riascoltai la loro versione di «Honeycomb», e mi parve che mancasse
qualcosa. Poi lessi il testo e… sentii che mi parlava.
Era l’occasione di offrire qualcosa di mio, di dare un contributo. Non
vedevo l’ora di entrare in sala, perché sentivo di poter davvero essere utile.

BILLY : Quando Daisy arrivò, erano presenti tutti, anche se io avrei preferito
che ci fossimo solo io e Teddy.

DAISY : Avevo intenzione di indossare uno dei miei Halston. Ma poi mi


svegliai tardi, smarrii le chiavi e la boccetta delle pillole, e la mattinata
andò via così.

KAREN : Si presentò con una camicia button-down da uomo indossata come


un vestito. Nient’altro. Ricordo che pensai: E i pantaloni dove sono?

EDDIE: Daisy Jones era la donna più bella che avessi mai visto. Occhi
enormi, labbra supercarnose. Ed era alta come me. Sembrava una gazzella.

WARREN : Non aveva né culo né tette. Il sogno del falegname, come si suol
dire. Piatta come una tavola, facile da inchiodare. Be’, non so se fosse poi
così facile da inchiodare. Probabilmente no. Visto il modo in cui gli uomini
reagivano incontrandola, era sempre lei ad avere il coltello dalla parte del
manico. Quando Pete la vide, rimase a bocca aperta.
KAREN : Era così bella che temevo di fissarla troppo. Ma poi pensai: Al
diavolo, probabilmente è tutta la vita che la fissano. Probabilmente pensa
che guardare significhi fissare.

BILLY : La vidi arrivare, mi presentai e le dissi: «È un piacere averti tra noi.


Grazie dell’aiuto». Le chiesi se voleva parlare della canzone o provare la
sua parte.

DAISY : L’avevo provata per tutta la notte. E qualche giorno prima ero
passata dallo studio insieme a Teddy e l’avevo ascoltata un mucchio di
volte. Avevo un’idea abbastanza chiara di quello che volevo fare.

BILLY : «No grazie», rispose lei, e non aggiunse altro. Come se non avessi
niente di prezioso da offrirle.

ROD : Andò dritta in cabina e cominciò subito a scaldare la voce.

KAREN : «Ragazzi», dissi, «non c’è bisogno che restiamo tutti a guardarla.»
Ma nessuno si mosse.

DAISY : Alla fine fui costretta a chiedere: «Potrei avere un po’ di spazio per
respirare?»

BILLY : Finalmente cominciarono tutti a sgusciare via. Restammo solo io,


Teddy e Artie.

ARTIE SNYDER : Le accesi il microfono in una delle cabine. Facemmo un


paio di prove, ma per qualche motivo il microfono non funzionava.
Mi ci vollero tre quarti d’ora per sistemarlo. Lei era in piedi accanto a
me, ogni tanto provava a cantare qualcosa o ripeteva: «Prova, prova, uno
due tre». Mi dava una mano. Billy era sempre più teso, lo sentivo nell’aria;
Daisy, invece, era tranquillissima. «Mi dispiace», le dissi, e lei rispose:
«Mettici tutto il tempo che serve, non ti preoccupare».
Daisy è sempre stata gentile con me. Dava sempre l’impressione che le
interessasse come stavo. Erano in pochi a farlo.
DAISY : Le parole di quella canzone le avevo lette praticamente un milione di
volte. Mi ero fatta un’idea di quello che volevo ottenere.
Billy la cantava in tono vagamente implorante, come se non credesse fino
in fondo alla sua stessa promessa. Questo mi piaceva molto. Trovavo che
rendesse il tutto più interessante. E così la mia idea era di cantare la parte
come se volessi credergli, ma non ci riuscissi completamente. Pensavo che
avrebbe aggiunto un altro livello di lettura.
Finalmente riuscimmo a far funzionare il microfono – Artie mi dà il
segnale, Billy e Teddy mi guardano – e io mi piazzai al microfono e
cominciai a cantare come se fossi convinta che Billy non avrebbe mai
comprato una casa accanto al nido d’api, che la cosa non si sarebbe mai
avverata. Era la mia interpretazione.
Le parole originali del ritornello erano: «The life we want will wait for
us / We will live to see the lights coming off the bay / And you will hold me,
you will hold me, you will hold me / Until that day». La vita che vogliamo
ci aspetterà, vivremo abbastanza per vedere le luci della baia e tu mi
stringerai, mi stringerai, mi stringerai fino a quel giorno.
La prima volta le cantai normalmente, ma la seconda le cambiai un po’.
«Will the life we want wait for us? / Will we live to see the lights coming
off the bay? / Will you hold me, will you hold me, will you hold me / Until
that day?»
Le trasformai tutte in domande.
Billy non mi lasciò neanche finire, balzò in piedi e premette il tasto
dell’interfono.

BILLY : Le parole erano sbagliate. Non aveva senso lasciare che continuasse
a cantare il testo sbagliato.

ARTIE SNYDER : Billy non avrebbe mai permesso a nessuno di interromperlo


in quel modo. Quando fu lui a farlo, rimasi sinceramente sorpreso.

BILLY : La canzone parlava di un lieto fine dopo un periodo tempestoso. In


quel contesto, il dubbio non mi sembrava indicato.
KAREN : Billy aveva scritto quella canzone per cercare di convincere se
stesso che il futuro con Camila fosse una certezza. Ma entrambi sapevano
che poteva ricaderci in qualsiasi momento.
Tanto per capirci, nel mese successivo alle dimissioni dalla clinica
ingrassò di cinque chili per colpa delle barrette di cioccolato che divorava
di notte. Poi, superata questa fase, ci fu quella della falegnameria. Andavi a
casa loro e lo trovavi ossessivamente al lavoro su un tavolo da pranzo di
mogano, circondato da queste orride sedie che aveva fabbricato con le sue
mani.
E non parliamo dello shopping. Ma il peggio fu la corsa. Per un paio di
mesi non fece altro che correre, non so quanti chilometri al giorno. Lo
vedevi passare in strada in pantaloncini sportivi e canottiera.

ROD : Ci stava provando. Billy era un tipo che faceva sembrare facili un
sacco di cose, ma la fatica di restare sobrio gliela potevi leggere in faccia.

KAREN : Con le sue canzoni, Billy cercava di convincersi che era tutto sotto
controllo, che di lì a qualche decennio sarebbe stato ancora sobrio e avrebbe
avuto ancora sua moglie e la sua famiglia.
E nel giro di un paio di minuti Daisy gli strappò via la tovaglia da sotto i
piatti.

ROD : Daisy ne fece qualche altra versione, e l’impressione era che le


venisse facile. Che non facesse la minima fatica. Che non fosse una
sofferenza.
Invece Billy, quando lasciò lo studio, era palesemente teso. «Non portare
il lavoro a casa», gli dissi. Ma il suo problema non era quello di portarsi il
lavoro a casa. Era quello di avere portato casa sua nel lavoro.

KAREN : «Honeycomb» era nata come una canzone sul senso di sicurezza, e
ora era diventata una canzone sull’insicurezza.

BILLY : Quella sera raccontai a Camila di come Daisy aveva cantato il


ritornello, con le domande.
Camila è indaffaratissima con Julia, e io le sto facendo una testa così con
le mie lamentele. «Non è la vita reale, Billy», taglia corto a un certo punto.
«È solo una canzone. Non te la prendere.» Per lei era tutto molto semplice e
avrei dovuto passarci sopra.
Ma io non ci riuscivo. Non mi andava che Daisy avesse trasformato quei
versi in domande, e non mi andava che si fosse sentita in diritto di farlo.

CAMILA : Quando riversi la tua vita nella musica che fai, non riesci a essere
lucido riguardo a quella musica.

GRAHAM: Penso che Billy non si aspettasse una come Daisy, tutto qui.

ARTIE SNYDER : Quando montammo la versione con Daisy, le loro due voci
insieme erano così coinvolgenti che Teddy volle togliere quasi tutto il resto.
Mi fece attenuare la batteria, aumentare le tastiere ed eliminare i fraseggi più
elaborati di Graham.
Ci ritrovammo praticamente con una parte preponderante di chitarra
acustica e un accompagnamento percussivo di piano. Ma era il cantato ad
attirare quasi esclusivamente l’attenzione. La canzone stava tutta nella
relazione tra le due voci. Intendiamoci, era ancora bella mossa, il ritmo era
veloce, ma era tutto eclissato dal cantato. Billy e Daisy ti ipnotizzavano.

EDDIE: Avevano preso un brano rock e l’avevano trasformato in una


canzonetta pop! E ne erano fieri.

ROD : Teddy era al settimo cielo per il risultato finale. Piaceva anche a me,
ma Billy rizzava visibilmente il pelo ogni volta che la sentiva.

BILLY : Mi piaceva il nuovo mixaggio, ma non la parte di Daisy. «Teniamo il


nuovo mix», dissi, «però senza la sua voce. Non c’è alcun bisogno che sia un
duetto.» Tuttavia, Teddy continuava a insistere che mi fidassi di lui. Che
avevo scritto una canzone da classifica, e che dovevo lasciarlo fare.

GRAHAM: Era sempre Billy a decidere, capisci? Era lui a scrivere i testi, a
comporre e arrangiare le canzoni. Se Billy andava a disintossicarsi, la
tournée finiva lì. Se Billy era pronto a tornare in studio, tutti dovevamo
presentarci a rapporto. Era Billy a condurre il gioco.
Per questo non gli fu facile mandare giù «Honeycomb».

BILLY : Eravamo una squadra.

EDDIE: Ragazzi, Billy non si rendeva conto di quanto fosse prepotente con
noi. Faceva sempre a modo suo, ma con l’arrivo di Daisy le cose
cambiarono.

DAISY : Non riuscivo a capire perché Billy ce l’avesse con me. Avevo
migliorato la sua canzone. Cosa c’era di male?
Qualche giorno dopo, tornai in sala d’incisione per ascoltare la versione
finale e lo incrociai. Gli sorrisi e lo salutai, ma lui mi rivolse solo un cenno
del capo. Come se, registrando la mia presenza, mi stesse già facendo un
gran favore. Non riuscì neanche a mostrare il minimo di cortesia che si usa
tra colleghi.

KAREN : Era un mondo di maschi. L’intero pianeta era un mondo di maschi,


ma l’industria discografica… non era facile. Dovevi avere l’approvazione di
un uomo per fare qualsiasi cosa, e sembrava ci fossero due modi per
ottenerla. Il primo, che era quello che avevo adottato io, era comportarti
come uno dei ragazzi. Il secondo era flirtare e sbattere le ciglia, cosa che a
loro piaceva da morire.
Ma Daisy si era come chiamata fuori fin dall’inizio. Il suo modo di fare
era più che altro «prendere o lasciare».

DAISY : Non me ne fregava niente di essere famosa. Non mi importava di


cantare in questo o quel disco. Tutto quello che mi interessava era fare
qualcosa di stimolante, di originale, di bello.

KAREN : Quando avevo cominciato con la musica, avrei voluto suonare la


chitarra elettrica. Invece mio padre mi aveva spedita a lezione di piano.
Senza nessun motivo, tranne l’idea che le tastiere fossero uno strumento da
ragazza.
E ogni volta che provavo a fare qualcosa, era sempre la stessa storia.
Quando avevo provato per i Winters, avevo un bellissimo miniabito
appena comprato, azzurro pallido con un gran cinturone. Mi era sembrato un
buon portafortuna. Be’, il giorno dell’audizione non me l’ero messo. Perché
sapevo che loro avrebbero visto una ragazza, e io volevo che vedessero una
tastierista. E così mi ero presentata in jeans e maglietta della University of
Chicago rubata a mio fratello.
Daisy non era così. Non le sarebbe mai venuto in mente di farlo.

DAISY : Io indossavo quello che volevo quando volevo. Facevo quello che
volevo con chi volevo. E se qualcuno non gradiva, poteva andare affanculo.

KAREN : Hai presente quelle persone che – si incontrano di rado – sembrano


attraversare la vita fluttuando? Daisy fluttuava qua e là, indifferente a come
girava davvero il mondo.
Suppongo che avrei dovuto detestarla per questo, ma non fu così. Al
contrario, l’adoravo. Perché significava che non aveva intenzione di subire
quello che io avevo subito per anni, e che con lei accanto avrei smesso
anch’io di mangiare merda.

DAISY : Karen era una di quelle persone con più talento in un dito di quanto
gran parte della gente ne abbia in tutto il corpo, e i Six la utilizzavano male.
Ma lei corresse la rotta. Lo fece con l’album successivo.

BILLY : Quando il disco stava per andare in stampa, dissi a Teddy: «Mi hai
fatto odiare la mia stessa canzone».
«Dovrai metterti d’impegno per scendere dal piedistallo», ribatté lui. «E
qualcosa mi dice che scalare le classifiche potrà alleviare l’offesa.»

NICK HARRIS: Le voci di Billy e Daisy e il modo in cui interagiscono in


«Honeycomb»: fu questo l’inizio di quel qualcosa che poi dimostrò di
funzionare così bene in Daisy Jones & The Six.
L’alchimia tra le due voci – tra la vulnerabilità di Billy e la fragilità di
Daisy – ti cattura e non ti lascia più andare. La voce di Billy è profonda e
levigata, quella di Daisy più acuta e rauca; ma in qualche modo si fondono
senza il minimo sforzo, come se avessero cantato insieme da sempre. Danno
vita a un botta e risposta profondamente sentito, raccontando di un futuro
romantico e idealizzato che potrebbe non avverarsi mai.
Il brano rischia di essere sdolcinato, ma il finale riesce a minare la
dolcezza quanto basta. Poteva essere una di quelle canzoni che gli
adolescenti suonano alla festa di fine anno, invece ciò che viene fuori è una
testimonianza appassionata del fatto che non sempre le cose vanno come
vorremmo.
SevenEightNine è un buon album, per certi versi un grande album. È più
esplicitamente romantico del primo, con meno allusioni al sesso o alle
droghe. Ma è un album rock. La sezione ritmica è trascinante, i riff sono
incisivi.
Ma «Honeycomb» è chiaramente il brano di spicco. «Honeycomb»
mostrò al mondo intero che i Six erano capaci di produrre una canzone pop
di prima categoria. Fu un momento di svolta, senza dubbio, e fu l’inizio della
loro ascesa.
LA TOURNÉE DEI NUMERI
1976-1977

SevenEightNine uscì il 1° giugno 1976. «Honeycomb» debuttò in 86 ma


posizione, ma cominciò presto a scalare le classifiche. Esibendosi di
frequente al Whisky, fino a diventare quasi un appuntamento fisso, i Six si
preparavano alla loro prima tournée nazionale come attrazioni principali.

GRAHAM: Per un po’ restammo a L.A. e perfezionammo il repertorio. Le


canzoni cominciarono a prendere forma sul palco. Tutte tranne
«Honeycomb», suppongo. Billy ne faceva una versione senza Daisy.
Toglieva semplicemente la sua parte e la cantava come l’aveva scritta in
origine. Veniva bene, però si percepiva un vuoto. Mancava qualcosa. Ma il
resto dell’album funzionava alla grande. Eravamo tosti, aggredivamo ogni
nota di ogni canzone. Le avevamo in pugno. Stava venendo fuori un gran
concerto.

BILLY : A volte la gente tornava a sentirci due o tre volte alla settimana. E
più il pubblico cresceva, più suonavamo.

ROD : Billy avrebbe dovuto invitare Daisy a qualcuno di quei concerti a L.A.
Glielo dissi anche. Ma certe cose gli entravano da un orecchio e uscivano
dall’altro.

SIMONE: Daisy era rimasta delusa dall’esclusione. O almeno quella era


l’impressione che avevo quando parlavamo. Il che non succedeva più così
spesso, visto che ero sempre in tournée. Ma continuavo a tenermi informata
su come le andavano le cose, e lei faceva lo stesso con me.
KAREN : Al Whisky, Daisy conosceva tutti. Sullo Strip aveva più amicizie di
noi. Era solo questione di tempo: prima o poi si sarebbe fatta vedere.

DAISY : Non volevo intromettermi. Se Billy non voleva invitarmi a cantare


insieme a loro, d’accordo. Ma non avevo neanche intenzione di nascondermi
solo perché loro suonavano il mio singolo senza di me.
Per di più, in quel periodo andavo a letto con Hank, il che, a essere
sinceri, non era stata una gran mossa, ma a quei tempi ero quasi sempre
sbronza o stonata e i miei ricordi sono un po’ confusi. Non credo di avere
mai provato attrazione per Hank: non mi era neanche particolarmente
simpatico. Era un tappetto con la mascella squadrata, ma aveva un bel
sorriso, immagino. Sul serio, sembrava che fosse sempre presente.
Sia come sia, una sera che io e Hank eravamo andati al Rainbow,
passando davanti al Whisky incontrammo un gruppo di amici ed entrammo
insieme a loro.

KAREN : Graham mi fece un cenno con la testa e puntò gli occhi su di lei in
mezzo alla pista. Poi ci accorgemmo che l’aveva vista anche Billy.

EDDIE: Per tutto il periodo in cui suonammo al Whisky, quasi ogni sera Billy
aveva qualche osservazione da farmi su come avevo suonato. Era un
maniaco del controllo. Ma il fatto che Daisy si presentasse al Whisky, quello
non poteva controllarlo.
Ragazzi, quanto era bella. Indossava un miniabito microscopico. Allora le
donne non portavano il reggiseno, ed è un peccato che i tempi siano
cambiati.

BILLY : Cosa potevo fare? Non invitarla a cantare la canzone quando se ne


stava piantata lì davanti a noi? Mi forzò la mano.

GRAHAM: Billy andò al microfono e disse: «Signore e signori, stasera qui


con noi c’è Daisy Jones. Che ne dite se vi cantiamo una canzone intitolata
‘Honeycomb’?»
DAISY : Raggiunsi il microfono e mi misi di fianco a Billy, di fronte al
pubblico, e in quel momento pensai: Ma Billy Dunne indossa sempre e solo
camicie di jeans?

BILLY : Salì sul palco a piedi nudi, e io pensai: Ma cosa credi di fare?
Mettiti le scarpe.

DAISY : Gli altri attaccarono, e io rimasi in attesa davanti al microfono. Il


primo verso era di Billy, e così osservai il pubblico mentre lui cominciava a
cantare. Notai come lo guardavano. Billy era un vero showman.
Non credo che glielo si riconosca a sufficienza. La gente oggigiorno non
fa che parlare di come eravamo bravi insieme, ma io ho visto Billy esibirsi
da solo e, ragazzi, che talento. Lui era nato per stare davanti a un pubblico.

BILLY : Quando arrivò il suo momento, mi voltai a guardarla. Non avevamo


provato, non avevamo mai cantato insieme. Mi aspettavo quasi un disastro.
Ma dopo un paio di secondi mi ritrovai semplicemente a guardarla.
Era vero, la sua voce era dinamite pura. Mentre cantava sorrideva, e
credo che lo si percepisca quando ascolti. Che venga fuori. Era bravissima,
in questo. A far sentire il sorriso nelle sue parole.

DAISY : Al secondo ritornello, ero tentata di tornare al vecchio testo. Sapevo


che Billy odiava il modo in cui avevo trasformato i suoi versi in domande.
Ma appena prima di iniziare, pensai: Non sono qui per compiacere Billy.
Sono qui per fare il mio lavoro, e cantai la versione che avevamo inciso.

BILLY : Mi sentivo in imbarazzo, mentre la cantava.

KAREN : Erano fianco a fianco, e cantavano nello stesso microfono. E il


modo in cui Billy la guardava cantare, e il modo in cui lei guardava lui…
Era qualcosa di intenso.

DAISY : Sul finale improvvisammo armonizzando. Nell’album non c’era


niente del genere: accadde spontaneamente.
BILLY : Mentre cantavamo, capivo che avevamo tutti in pugno. Al termine del
brano, la gente si mise a urlare. E intendo proprio urlare.

DAISY : Quella sera, in quel momento, capii che avevamo qualcosa di


speciale. Ne ebbi la certezza.
E non importava che considerassi Billy uno stronzo. Quando canti in quel
modo con qualcuno, vuol dire che una piccola parte di te sente un legame
profondo con lui. Una di quelle cose che ti penetrano sottopelle e di cui non
ti sbarazzi facilmente.
Esattamente come una scheggia. Billy era come una scheggia.
Sulla scia dell’entusiasmante esibizione al Whisky, la Runner annunciò
che Daisy Jones avrebbe aperto i concerti dei Six per l’intera durata della
loro tournée mondiale, la cosiddetta Tournée dei Numeri.
Billy pregò Rod, Teddy e Rich Palentino di cambiare idea e scaricare
Daisy, ma alla fine fu costretto ad arrendersi quando Teddy gli comunicò
che la prevendita dei biglietti aveva avuto una rapida impennata. Alla
tournée vennero aggiunte alcune date di riserva.
Quando Daisy e il gruppo partirono, «Honeycomb» aveva appena
raggiunto il 20° posto in classifica.

BILLY : Non ero concentrato su chi avrebbe aperto per noi. Quello su cui ero
concentrato era come restare sobrio per l’intera tournée. Era la prima che
facevo da quando mi ero disintossicato.

CAMILA : Billy continuava a dirmi che mi avrebbe chiamata tre volte al


giorno e avrebbe tenuto un diario di tutto quello che faceva, ma io gli spiegai
che non doveva dimostrarmi niente. Sarebbe stata soltanto una pressione in
più, l’ultima cosa di cui aveva bisogno. Quello di cui aveva bisogno, invece,
era sapere che credevo in lui. «Dimmi cosa posso fare per facilitarti la vita,
non per complicartela», gli dissi.

BILLY : Decisi di far venire lei e Julia in tournée. A quel punto, Camila era
incinta di due mesi dei gemelli. Sapevamo che con il passare del tempo non
sarebbe stata in grado di partecipare più di tanto, ma la volevo con me
all’inizio, per partire con il piede giusto.
DAISY : La prospettiva di una tournée era elettrizzante. Non avevo mai fatto
concerti in giro. Il mio album stava andando benino, stavo suscitando un
discreto interesse. E «Honeycomb» contribuiva alle vendite.

GRAHAM: Eravamo tutti contenti di avere Daisy con noi. Daisy sapeva
divertirsi. Era fantastica.
Eravamo nella fase in cui fai spot radiofonici e servizi fotografici e la tua
canzone continua a scalare le classifiche, a vendere sempre di più. La gente
cominciava a riconoscermi. Era da un po’ che Billy veniva fermato in giro,
ma adesso iniziava a succedere anche a me e Karen. Camminavi per strada e
incrociavi qualcuno con su la nostra maglietta.
Sicché non m’importava chi aggiungevano alla nostra tournée, a patto che
le cose continuassero ad andare come stavano andando.

BILLY : Il primo concerto fu all’Exit/In di Nashville. E il mio atteggiamento


nei riguardi di Daisy era quello di accoglierla come avrei fatto con qualsiasi
altro supporter. Eravamo abituati a essere noi ad aprire per qualcun altro, e
ora invece eravamo l’attrazione principale. Volevo essere disponibile con
lei come gli altri gruppi lo erano stati con noi. Mettendo da parte le questioni
personali.

KAREN : Eravamo tutti dietro le quinte, prima che Daisy entrasse in scena.
Daisy sta sniffando un paio di strisce, Warren si sta facendo massaggiare da
una groupie che è riuscita chissà come a intrufolarsi insieme a noi, Eddie e
Pete non so cosa stiano facendo, Billy se ne sta per i fatti suoi, e io e Graham
stiamo parlando. Credo proprio fosse quella serata… Graham si era regolato
la barba, e sotto tutta quella peluria si poteva vedere quanto era attraente.
A un certo punto bussano alla porta. Sono Camila e Julia, venute a dare la
buonanotte a Billy.
L’istante in cui Daisy le vede, ficca la coca in un cassetto, si pulisce il
naso e posa il bicchiere di brandy, whisky o qualunque cosa stia bevendo. Fu
la prima dimostrazione di consapevolezza che vidi in lei. La prima volta che
si comportò come se non vivesse su un pianeta a sé stante. Strinse la mano a
Camila e salutò Julia. Ricordo che la chiamò «pulcina».
Poi venne il suo turno, e uscì dal camerino dicendo: «Auguratemi buona
fortuna!»
Eravamo tutti troppo presi dalle nostre faccende per prestarle attenzione,
tutti tranne Camila. Lei le fece gli auguri, e fu sincera.

CAMILA : Quando conobbi Daisy Jones, non sapevo cosa pensare di lei. Mi
parve molto fuori, però anche molto dolce. Sapevo che a Billy non era
simpatica, ma ciò non significava che non potessi avere un’opinione tutta
mia.
Una cosa, comunque, era innegabile: era bellissima. Forse ancora più
bella che in fotografia.

DAISY : Quando uscii sul palco a Nashville ero emozionata. Di solito non
sono una che si agita, ma quella sera era qualcosa di fisico, qualcosa che
sentivo nelle terminazioni nervose. E forse avevo anche tirato un po’ troppo.
Entrai in scena aspettandomi una platea tutta per i Six. Invece molti volevano
vedere proprio me. Erano venuti per me.
Quella sera indossavo un vestito nero scollato sulla schiena con i miei
soliti braccialetti e orecchini a cerchio d’oro.
Prove a parte, era la prima volta che stavo su un palco da sola o, meglio,
sola con il gruppo che Hank mi aveva procurato. Era la prima volta che
sentivo un pubblico gridare per me. Tutta quella gente unita a formare un
unico organismo vivente. Un organismo vivente che tuonava e strepitava.
E una volta conosciuta quella sensazione, avrei voluto provarla sempre.

GRAHAM: Daisy fece un bel concerto. Aveva una gran voce, e le sue canzoni
non erano male. E sapeva tenere in pugno il pubblico. Quando entrammo in
scena noi, la platea era su di giri. Si stava già divertendo.

WARREN : Il profumo di erba era dappertutto. C’era una tale quantità di fumo
che le ultime file del pubblico si vedevano a malapena.

KAREN : L’istante in cui mettemmo piede su quel palco, capimmo che la


gente… era diversa dal pubblico della prima tournée. Tanto per cominciare,
erano molti di più. C’erano ancora i fan della prima ora, ma adesso si erano
aggiunti adolescenti con i genitori e un mucchio di donne.

BILLY : Davanti a quella folla, perfettamente sobrio, ne avvertii l’eccitazione


e capii che «Honeycomb» era destinato a entrare nella Top Ten. Capii di
avere quella gente in pugno. Capii che volevano amarci. Che ci amavano
già. Che non dovevo conquistarli. In piedi su quel palco… sentii che
avevamo già vinto.

EDDIE: Quella sera ci scatenammo sul serio, ci demmo dentro di brutto.

BILLY : Alla fine dissi: «Che ne dite se chiamo Daisy Jones e vi suoniamo
‘Honeycomb’?»

DAISY : Il pubblico andò in visibilio. L’intero locale cominciò a rimbombare.

BILLY : Sentivo vibrare il microfono, da tanto gridavano e pestavano i piedi,


e in quel momento pensai: Cazzo, siamo delle rockstar.
Alla fine del 1976, «Honeycomb» era in terza posizione nella Billboard
Hot 100. Il gruppo, insieme a Daisy, aveva partecipato al Don Kirshner’s
Rock Concert e al Tonight Show di Johnny Carson. La parte americana
della tournée era conclusa, e si stavano preparando alla breve appendice
europea. Camila Dunne, ormai al sesto mese, ritornò a Los Angeles con
Julia.

BILLY : Non potevo costringere Camila e Julia a seguirmi in giro per il


mondo, dovevo assumere io il controllo.

CAMILA : Lo conoscevo a sufficienza da sapere quando era il caso di restare


e quando invece potevo lasciarlo solo.

BILLY : La prima notte senza di loro fu difficile. Ricordo che ero seduto sul
balcone della mia suite dopo il concerto e ascoltavo il caos in strada,
provando una gran voglia di esserne parte. C’era una voce nella mia testa
che continuava a ripetere: Non ce la puoi fare, non riuscirai a restare
sobrio ancora a lungo.
Finii per telefonare a Teddy. Erano le prime ore del mattino, ma per lui
era l’ora di cena. Mi inventai una scusa qualsiasi per chiamarlo. [Ride]
Credo che finimmo per discutere se dovesse sposare Yasmine. Teddy temeva
che fosse troppo giovane, ma io gli dissi di farlo lo stesso. E, al termine
della telefonata, sentii di essere abbastanza stanco da addormentarmi. Sarei
sopravvissuto un altro giorno. Quando giunse il momento di salutarci, Teddy
chiese: «Adesso è tutto a posto, Billy?» E io risposi di sì.
Superata quella prima notte, cominciai a sentirmi un po’ meglio. Seguivo
la mia routine, mi tenevo alla larga dalle gozzoviglie. Alla fine del concerto
tornavo in camera ad ascoltare qualche disco oppure andavo in una tavola
calda a bere un decaffeinato e leggere il giornale. A volte venivano anche
Pete o Graham. Anche se, a dire il vero, Graham passava la maggior parte
del tempo a scodinzolare dietro a Karen.
Ma io continuai a comportarmi come se Camila e Julia fossero ancora con
me. A rigare dritto.

GRAHAM: Era lo stesso, con Camila o senza. Quando si trattava di lavorare,


Billy era con il gruppo. E Daisy si presentava quando c’era da divertirsi.
Due estremi inconciliabili, o come cavolo si dice.

ROD : Appena prima di partire per la Svezia, avevo detto a Billy e Graham
che la Runner stava pensando di allungare la tournée dopo la fine delle tappe
europee. Gli avevo chiesto se fossero disposti ad aggiungere un paio di
settimane di concerti al loro rientro negli States.
Ma la cosa era fuori discussione. Camila avrebbe dovuto partorire
proprio intorno alla data del nostro rientro, e già così Billy temeva di non
farcela.

GRAHAM: La conversazione durò solo un paio di secondi. Mi sarebbe


piaciuto allungare la tournée? Certo. E il fatto che Billy dovesse tornare a
casa ci metteva in una situazione difficile? Sicuro. Ma doveva farlo, fine
della discussione.

WARREN : Tutti avremmo voluto aggiungere altre date, ma senza Billy non
potevamo. Chitarristi e tastieristi potevi sempre rimpiazzarli per qualche
serata, ma Billy era insostituibile.

DAISY : Facevamo il tutto esaurito. E buona parte del merito si doveva a me.
Al tempo stesso, il loro album vendeva molto più del mio. Era giusto
così, visto che era un disco migliore, ma, per quanto riguardava i concerti,
tanti venivano a vedere me. E alcuni di quelli che non mi conoscevano prima
se ne andavano con la maglietta di Daisy Jones.
Ero eccitatissima. Ed ero al lavoro su alcune belle canzoni. Ce n’era una
in particolare: aveva una melodia semplicissima, niente di complesso, ma
era bella. Si intitolava «When You Fly Low», quando voli basso. Parlava di
quando ti sottovaluti, del fatto che certa gente cerchi di tarparti le ali. «They
want you humble / Want to atrophy that muscle / Want to stunt the hustle /
Get you to call uncle / To keep you flying low.» Ti vogliono umile, vogliono
atrofizzare quel muscolo, vogliono frenare la spinta, farti arrendere, farti
volare basso.
Era un po’ che dicevo a Hank che era giunto il momento di proporre un
nuovo album a Teddy, ma lui continuava a ripetermi di avere pazienza. Quasi
pensasse che stessi chiedendo troppo. Che non mi accontentassi di quello
che avevo.
La nostra relazione stava attraversando un brutto momento. Non mi sarei
mai dovuta mettere con uno come lui.
È una delle cose che non ti dicono quando ti raccomandano di stare alla
larga dalla droga. Non ti dicono: «La droga ti fa andare a letto con gli
stronzi». Ma dovrebbero farlo.
E io avevo lasciato che Hank si infilasse in ogni ambito della mia vita:
spesso si intrometteva tra me e Teddy, ed era lui a gestire i miei musicisti e i
miei soldi. E in più veniva a letto con me.

KAREN : Per la tappa di Stoccolma usammo il jet privato della Runner.

DAISY : Hank e alcuni dei tecnici erano partiti il giorno prima, ma io ero
rimasta con il gruppo. La mia versione era che volevo essere sul loro stesso
volo, ma la verità era semplicemente che non volevo fare il viaggio con
Hank.

EDDIE: Fu durante il volo che sentii Graham dire a Karen che avevano
rifiutato la proposta di un prolungamento della tournée. Non ne sapevo nulla.
Nessuno me l’aveva detto, e neanche a Pete.
Avevamo una canzone in classifica, e i concerti con Daisy facevano il
tutto esaurito. Erano un sacco di soldi per un sacco di gente. E tutti quanti –
il gruppo, i roadie, i nostri tecnici e quelli dei posti in cui suonavamo –
avremmo dovuto fare i bagagli solo perché Billy aveva messo incinta sua
moglie?
Per di più, non era neanche stato messo ai voti. Avevamo dovuto
scoprirlo quando ormai la decisione era già presa.

KAREN : Fu un volo interessante, quello. Fu in quell’occasione, mi pare, che


Warren venne schiaffeggiato dall’assistente di volo. Udii solo il suono del
ceffone, non vidi nulla.

WARREN : Le avevo chiesto se era bionda dappertutto. Messaggio ricevuto:


non tutte le donne lo trovano divertente.

KAREN : Per gran parte di quel volo, io e Daisy restammo in coda a farci i
fatti nostri. Avevamo due posti l’uno di fronte all’altro, e sorseggiavamo i
nostri cocktail guardando fuori dal finestrino. Ricordo che a un certo punto
Daisy tirò fuori un portapillole, prese due pasticche e le ingoiò con un sorso
del suo drink.
Aveva cominciato a indossare una quantità di cerchietti sulle braccia, tutti
quelli che poteva. Ogni volta che si muoveva, i braccialetti tintinnavano. Lo
fecero anche in quel momento, mentre si rimetteva il portapillole in tasca, e
io dissi scherzando che era come avere dei tamburelli incorporati. La cosa le
piacque, e se la scrisse sulla mano con una penna.
Poi rimise la penna in tasca, tirò di nuovo fuori il portapillole, ne prese
due e se le mise in bocca.
«Daisy, ne hai appena prese due», le dissi.
«Davvero?» chiese lei.
«Sì.»
Si strinse nelle spalle e le mandò giù.
«Dai, non fare come certa gente», dissi.

DAISY : Quella frase mi infastidì. Le ficcai il portapillole in mano e dissi:


«Prendile, se sei tanto preoccupata. Io non ne ho bisogno».

KAREN : Mi lanciò addosso le pillole.

DAISY : Ma non appena le diedi il portapillole e vidi che se lo metteva nella


tasca posteriore, fui presa dal panico. Della dexedrina potevo anche fare a
meno; c’era sempre la coca, se avevo bisogno di tirarmi su.
Ma senza il Seconal non riuscivo a dormire.

KAREN : Mi sorprese, la facilità con cui lo fece. Con cui poteva darmi le sue
pillole e smettere di punto in bianco.

DAISY : Quando arrivai in albergo, Hank era già in camera mia. «Ho finito le
rosse», gli dissi. Lui annuì e prese il telefono. Al momento di andare a letto,
avevo un nuovo flacone. Era deprimente quanto fosse facile. Intendiamoci,
avevo bisogno di quelle pillole. Ma era tutto così noioso, così ripetitivo.
Avere sempre a disposizione tutti gli stupefacenti che volevi, senza che
nessuno te lo impedisse.
Quella notte, appena prima di prendere sonno (mi sembra di ricordare che
reggevo ancora in mano il bicchiere di brandy) mi sentii dire: «Hank, non
voglio più stare con te». In un primo momento pensai che ci fosse un’altra
donna nella stanza, che fosse stata lei a parlare, ma poi mi resi conto che ero
stata io. Hank mi disse di dormire. E più che addormentarmi, in quel
momento ebbi come la sensazione di scomparire.
La mattina dopo, al risveglio, ricordavo tutto. Ero imbarazzata, ma anche
in qualche modo sollevata per essere riuscita a esprimere ciò che provavo.
«Dovremmo parlare di quello che ho detto ieri sera», esordii rivolta a Hank.
«Non hai detto niente, ieri sera», ribatté lui.
«Ho detto che non voglio più stare con te.»
Scosse le spalle. «Ah, sì, ma quello lo dici ogni sera mentre ti
addormenti.»
Non ne avevo idea.

GRAHAM: Era abbastanza chiaro a tutti che Daisy doveva mollare Hank.

ROD : Il mondo è pieno di manager disonesti che fanno fare brutta figura a
tutti gli altri. Era chiaro come il sole che Hank si stava approfittando di
Daisy. Qualcuno avrebbe dovuto proteggerla.
«Daisy», le dissi, «se hai bisogno di aiuto, io sono qui.»
GRAHAM: Credo che Daisy si fosse resa conto di quello che Rod faceva per
noi, del modo in cui si prendeva cura di ogni cosa. Rod era il primo a dire
che noi avremmo dominato il mondo. Non ci suggeriva di accontentarci di
quello che avevamo e stare zitti. E poi… non per essere stronzi, ma… non ci
scopava, né ci imbottiva di droga al punto che non capivamo più niente.
«Scarica Hank e mettiti con Rod», le dissi. «Pensa lui a tutto.»

ROD : Facevo già molto per Daisy, tra l’altro. Avevo allertato Rolling Stone,
e loro avrebbero mandato Jonah Berg ad assistere a un concerto e passare un
po’ di tempo dietro le quinte con il gruppo. Era una potenziale copertina, e
io avevo voluto includere Daisy. Nessuno mi aveva chiesto di farlo. Avrei
potuto pretendere un servizio esclusivo sui Six, ma mi ero detto che sarebbe
tornato a vantaggio di tutti.

KAREN : Il giorno in cui doveva venire Jonah Berg eravamo a Glasgow.

DAISY : Feci una stupidaggine. Alla fine delle prove litigai con Hank.

KAREN : Quel pomeriggio, Graham mi arrivò in camera con una delle mie
valigie. Chissà come, le mie cose erano finite insieme alle sue. Si presentò
alla porta reggendo la mia sacca da viaggio piena di reggiseni e mutande.
«Mi sa che questa è tua», disse.
Gliela presi di mano e alzai gli occhi al cielo. «Ah, scommetto che ti è
piaciuto infilare le mani nelle mie mutande», scherzai.
Ma lui scosse la testa e rispose: «Preferisco guadagnarmene il diritto nel
modo classico».
Scoppiai a ridere. «Ah, sparisci», gli dissi.
«Ai suoi ordini, signora», fece lui.
Tornò in camera sua. Ma subito dopo aver chiuso la porta, io… non lo so.

DAISY : Diedi la notizia a Hank quando ci ritrovammo soli in camera mia.


Lui voleva abbracciarmi, ma io ne avevo abbastanza. Continuavo a
rispondergli male e, quando mi chiese qual era il problema, dissi: «Penso
sia giunto il momento di separarci». Lui fece finta di ignorarmi; sosteneva
che non sapevo cosa stessi dicendo. E così glielo ripetei chiaramente:
«Hank, sei licenziato. È meglio se te ne vai». Be’, allora sì che mi diede
ascolto.

GRAHAM: Io e Billy avevamo in programma di uscire a pranzo. Avevo


scommesso con lui che non sarebbe riuscito a mangiare le frattaglie di
pecora.

DAISY : Hank mi affrontò a muso duro. Era furioso, e mi si avvicinò al punto


che, mentre parlava, il suo sputo mi atterrò su una spalla. «Se non ci fossi
stato io a scoprirti, saresti ancora là a farti scopare dalle rockstar», sibilò.
Io non risposi, e lui mi immobilizzò contro la parete. Non sapevo cosa
avrebbe fatto. Non ero sicura che lo sapesse neanche lui.
Quando ti ritrovi in una situazione come quella, con un uomo che ti
minaccia, è come se a un tratto ti balenassero davanti agli occhi tutte le
decisioni che hai preso e che ti hanno condotta a quel momento, sola in
camera con un tipo di cui non ti fidi.
Qualcosa mi dice che per gli uomini non è così. Dubito che mentre
minacciano una donna riflettano su ogni scelta sbagliata che hanno fatto e che
li ha portati a diventare così stronzi. Ma è quello che dovrebbero fare.
Tenevo la schiena ritta, all’improvviso perfettamente lucida, e allungai le
braccia davanti a me come per aggrapparmi a quel poco di spazio che
potevo sperare di difendere. Hank mi guardava negli occhi. Non so nemmeno
se stessi respirando. Poi sferrò un pugno contro il muro, uscì dalla stanza e
sbatté la porta dietro di sé.
Quando si fu allontanato, diedi tre giri di chiave alla serratura. Lo sentii
gridare qualcosa di incomprensibile in corridoio. Mi sedetti sul letto. Ma lui
non si fece più vedere.

BILLY : Stavo uscendo dalla mia stanza per raggiungere Graham quando vidi
Hank Allen lasciare quella di Daisy, borbottando: «Maledetta stronza». Mi
parve che si stesse calmando, e in un primo momento pensai di lasciar
perdere. Ma a un tratto lo vidi fermarsi e girarsi, come se stesse per tornare
indietro. E capii all’istante che aveva cattive intenzioni. Lo si vede dalla
postura, hai presente? Mani strette a pugno, mascella contratta e tutto il resto.
Incrociai il suo sguardo, e per un attimo ci fissammo negli occhi. Scossi la
testa, come a dire: Sarebbe la mossa sbagliata. Lui continuò a fissarmi per un
po’, poi abbassò gli occhi a terra e se ne andò.
Quando si fu allontanato, bussai alla porta di Daisy. «Sono Billy», dissi.
Le ci volle qualche secondo, ma alla fine mi aprì. Indossava un vestito
blu scuro, di quelli che lasciano completamente scoperte le spalle. Sapevo
che tutti non facevano che parlare dei suoi occhi, ma quel giorno fu la prima
volta che li notai davvero. Erano di un blu intenso, il blu del mare. Non
l’azzurro delle acque costiere, il blu scuro che vedi nel bel mezzo
dell’oceano. Il blu delle acque profonde.
«Tutto bene?» le chiesi.
Sembrava triste, un’espressione che non le avevo mai visto. «Sì, grazie»,
rispose.
«Se hai bisogno di parlare…» dissi. Non sapevo bene come avrei potuto
darle una mano, ma immaginavo di dovergliela offrire comunque.
«No, è tutto a posto», assicurò lei.

DAISY : Solo in quell’istante mi resi conto del muro che Billy erigeva intorno
a sé quando era in mia presenza, adesso che a un tratto il muro non c’era più.
Come quando ti accorgi del rumore di un’auto soltanto a motore spento.
In quel momento lo guardai negli occhi e vidi il vero Billy.
E mi resi conto che quella che avevo visto fino ad allora era una sua
versione fredda e guardinga. Sarebbe bello conoscere questo Billy, mi dissi.
Ma l’istante successivo era tutto finito. La verità era apparsa per un secondo,
poi però si era dileguata con la stessa rapidità con cui era arrivata.

GRAHAM: Stavo aspettando Billy quando sentii suonare il telefono.

KAREN : Non so perché decisi di farlo proprio quel giorno.

GRAHAM: «Ciao», dissi.


«Ciao», rispose Karen.

KAREN Per un paio di secondi restammo in silenzio. Poi gli chiesi: «Com’è
che non ci hai mai provato con me?»
Lo sentii bere un sorso di birra. «Non lo faccio mai, quando so di
mancare il bersaglio», rispose.
Mi uscì di bocca prima ancora che avessi deciso di dirlo: «Non credo
che lo mancheresti, Dunne».
E, non appena ebbi finito di parlare, sentii il suono della linea interrotta.

GRAHAM: Non ho mai corso più veloce di quanto feci quel giorno in quel
corridoio.

KAREN : Tre secondi dopo, e non sto esagerando, sento bussare alla porta. La
apro e mi vedo davanti Graham, ansimante. Una corsetta in corridoio ed era
senza fiato.

GRAHAM: La guardai in faccia. Era bellissima. Quelle sopracciglia folte.


Vado matto per le donne con le sopracciglia folte. «Cosa mi stai dicendo?»
le chiesi.

KAREN : «Provaci pure, Graham», gli dissi.

GRAHAM: Entrai in camera sua, mi chiusi la porta alle spalle, la presi tra le
braccia e la baciai, com’è vero Iddio.
Non capita spesso di svegliarsi una mattina e pensare: Questa sarà una
delle giornate più entusiasmanti della mia vita. Ma quel giorno fu così.
Quel giorno con Karen… fu uno di quei giorni.

WARREN : Ti dirò una cosa che non ho mai detto a nessuno. No, davvero, ti
piacerà.
Eravamo a Glasgow, dopo le prove, e io stavo facendo una delle mie
pause birra, vale a dire che mi ero fatto una birra e stavo sonnecchiando,
quando a un tratto mi sveglio al suono di Karen che se la sta spassando in
camera sua. Facevano un tale fracasso che non sono più riuscito a
riaddormentarmi.
Non ho mai scoperto chi fosse, ma l’avevo vista flirtare con il tecnico
delle luci, e credo proprio che avesse una storia con Bones.
BILLY : Uscii dalla camera di Daisy e cercai Graham per andare a pranzo
insieme, ma era scomparso.

GRAHAM: Quando fu il momento di andare, Karen mi costrinse a uscire


quatto quatto dalla sua stanza, passare dalla mia e cambiarmi prima di
rivederci davanti agli ascensori.

KAREN : Non volevo che si venisse a sapere.

BILLY : Quando arrivammo nei camerini, erano tutti agitatissimi perché il


gruppo di Daisy sembrava essersi volatilizzato.

EDDIE: A quanto pareva, prima di lasciare Glasgow, Hank era passato


dall’Apollo e si era portato via i cinque musicisti di Daisy. Avevano fatto le
valigie e se n’erano andati tutti.

KAREN : Fu proprio un colpo basso.

GRAHAM: La musica avrebbe dovuto avere la precedenza su tutto il resto. Il


nostro lavoro era uscire sul palco e suonare per la gente, indipendentemente
dalle stronzate personali.

DAISY : Il mio gruppo se n’era andato. Così, di punto in bianco. Non sapevo
cosa fare.

HANK ALLEN (ex manager di Daisy Jones): Voglio solo dire che dal 1974
al 1977 tra me e Daisy Jones ci fu una relazione puramente professionale,
relazione che venne troncata di comune accordo a causa di divergenze di
opinioni riguardo alla sua carriera. Continuo ad augurarle il meglio.

BILLY : Quando raggiunsi Rod, vidi che era già in modalità controllo danni.
«È davvero così grave, se Daisy salta un concerto?» gli domandai.
E in quel preciso istante mi resi conto che probabilmente Rod era
diventato anche il suo, di manager. Sicché per lui… be’, sì, sarebbe stato
grave.
ROD : Jonah Berg era tra il pubblico. Berg di Rolling Stone.

KAREN : Tutti si scervellavano per trovare una soluzione, e Graham invece


pensava solo a lumarmi ogni volta che nessuno guardava. E io me la ridevo
in segreto, pensando: Dovremmo dare una mano a risolvere il problema, e
invece…

GRAHAM: Non riuscivo a smettere di guardarla.

KAREN : Graham era sempre stato quello con cui parlavo di tutto. E quella
sera avrei voluto raccontargli del meraviglioso pomeriggio che avevo
passato. Come se volessi parlare di lui con lui.

DAISY : «Forse dovrei cantare da sola», dissi a Rod. Non mi volevo


arrendere. Volevo fare qualcosa.

EDDIE: Rod suggerì che Graham andasse in scena con Daisy e che
suonassero in versione acustica qualche canzone del suo album. Ma Graham
era distratto e così dissi: «Posso farlo io».

ROD : Spedii Eddie e Daisy sul palco senza avere la più pallida idea di cosa
sarebbe successo, e mentre li guardavo avvicinarsi al microfono mi
sembrava di stare sui carboni ardenti.

DAISY : Suonammo qualche canzone, chitarra acustica e voce, tutto molto


semplice. Facemmo «One Fine Day» e «Until You’re Home», mi pare. Non
male, ma niente di travolgente. Sapevo che in platea c’era Rolling Stone, e
che dovevo fare colpo. E così, per l’ultimo brano, decisi di improvvisare.

EDDIE: Daisy si sporse verso di me, mi diede un’idea di tempo e una tonalità
e mi disse di inventarmi qualcosa. Nient’altro. «Inventati qualcosa.» Feci del
mio meglio, ma sai, non è che si possa creare una canzone così al volo.

DAISY : Volevo fargli suonare qualcosa su cui potessi cantare il mio nuovo
testo: «When You Fly Low». Eddie attaccò e io intonai le prime battute,
cercando di entrare in sintonia con lui, ma c’era qualcosa che non andava.
«Okay, lasciamo perdere», dissi alla fine. Parlai direttamente nel microfono,
e udii il pubblico ridere con me. Mi sosteneva. Lo sentivo. Cominciai a
cantare a cappella, soltanto io, la mia voce e la canzone che avevo scritto.
Ci avevo lavorato sodo. L’avevo perfezionata. Non era rimasta neanche
una parola di troppo. E ora la stavo cantando da sola, segnando il tempo con
il tamburello e con i piedi.

EDDIE: Ero appena dietro di lei, e l’aiutavo battendo il tempo sulla cassa
della chitarra. Il pubblico era incantato. Ci mangiavano con gli occhi.

DAISY : Era elettrizzante cantare in quel modo. Cantare qualcosa che sentivo
dentro. Parole scritte da me, che appartenevano solo a me.
Guardavo la gente nelle prime file che mi ascoltava, mi sentiva. Cittadini
di un altro Paese, persone che non avevo mai visto in vita mia ma con cui ora
avvertivo un legame che non avevo mai provato con nessuno.
È questa la cosa che ho sempre amato della musica. Non tanto le note, il
pubblico o lo sballo, quanto proprio le parole, le emozioni e le storie, le
verità che ti escono di bocca.
La musica può scavare, capisci? Può affondarti una zappa nel petto e
scavare finché non trova qualcosa. Quella sera, quella canzone non fece che
rafforzare la mia volontà di pubblicare un album di materiale tutto mio.

BILLY : Stavo guardando Eddie e Daisy da dietro le quinte quando lei attaccò
«When You Fly Low». Era brava. Meglio… meglio di quanto pensassi.

KAREN : Billy la fissava.

DAISY : Quando finii, il pubblico si mise a gridare e ululare, e sentii di avere


fatto del mio meglio con quello che avevo. Di essere riuscita ad aggiustare le
cose e offrire un buon concerto.

BILLY : Daisy aveva finito la canzone e cominciò a salutare il pubblico, e io


pensai: Potremmo cantare «Honeycomb», io e lei soli.
GRAHAM: Quando lo vidi uscire sul palco, rimasi di stucco.

DAISY : Stavo facendo i miei soliti saluti: «Per stasera ho finito! È il


momento dei Six! Un bell’applauso, ragazzi!» Ma, nel bel mezzo del mio
discorsetto, Billy mi raggiunse sul palco.
Quando era in scena, Billy risplendeva. Ci sono quelli che scompaiono
sotto i riflettori. Ma altri è come se brillassero. E Billy era così. Non fuori
scena, intendiamoci: in privato era torvo e composto e sembrava
assolutamente privo di senso dell’umorismo. A essere sincera, ai tempi lo
trovavo addirittura noioso.
Ma quando te lo ritrovavi accanto in scena, non esisteva altro posto al
mondo in cui avrebbe voluto essere.

EDDIE: Ero lì con la mia chitarra a tracolla e Billy mi si avvicina. «Cosa


vuoi che suoni?» gli chiedo.
Ma lui allunga la mano verso la chitarra. Sono io il chitarrista, cazzo, e
lui vuole il mio strumento.
«Posso chiedertela in prestito?» mi fa.
No che non puoi, avrei voluto rispondergli. Ma che cavolo potevo fare?
Ero là sul palco, davanti a migliaia di persone. E così gliela diedi, Billy la
prese e si avvicinò al microfono, accanto a Daisy. E io lì con l’uccello in
mano e nessuna ragione al mondo per trovarmi sul palco. Dovetti
svignarmela alla chetichella.

BILLY : Salutai il pubblico e dissi: «Che ne pensate di Daisy Jones, gente?»


Applausi. «Vi dispiace se le chiedo una cosa?» Coprii il microfono con la
mano e bisbigliai: «Che ne dici di cantare ‘Honeycomb’? Io e te soli?»

DAISY : «D’accordo, facciamola», risposi. Avevamo un solo microfono, e


Billy mi si fece più vicino. Sapeva di Old Spice, il suo alito un miscuglio di
sigarette e Binaca.

BILLY : Attaccai a suonarla sull’acustica.


DAISY : Il tempo era leggermente più lento di come la facevamo di solito. Le
dava una tenerezza tutta nuova. Poi Billy cominciò a cantare: «One day
things will quiet down / We’ll pick it all up and move town / We’ll walk
through the switchgrass down to the rocks / And the kids will come
around». Un giorno le cose si calmeranno e noi prenderemo tutto e ce ne
andremo, attraverseremo l’erba paglia fino alle rocce e i nostri figli
verranno con noi.

BILLY : E Daisy cantò: «Oh, honey, I can wait / To call that home / I can
wait for the blooms and the honeycomb». Oh, tesoro, posso aspettare a
chiamarla casa, posso aspettare i fiori e il nido d’api.

KAREN : Hai presente quando si dice che una certa persona ti fa sentire come
se esistessi solo tu? Billy e Daisy erano entrambi così. Ma lo facevano l’uno
con l’altra. Era come se per ciascuno dei due esistesse solo l’altro. Come se
non si rendessero conto che c’erano migliaia di persone che li guardavano.

DAISY : Billy era un gran chitarrista. Aveva un tocco complesso e


delicatissimo.

BILLY : Così rallentata, la canzone sembrava ancora più intima. Era più
dolce, più delicata. E io rimasi sorpreso dalla facilità con cui Daisy riusciva
a seguirmi dove la conducevo. Se rallentavo il tempo, lei aumentava
l’intensità. Se lo acceleravo, lei vi aggiungeva energia. Era facile suonare
bene con lei.

DAISY : Alla fine, Billy tenne la chitarra con una sola mano e con l’altra
prese la mia. La pelle dei suoi polpastrelli era coperta di calli. Ti graffiava
solo a toccarti.

BILLY : Io e Daisy salutammo mentre il pubblico applaudiva e gridava.

DAISY : E poi Billy disse: «Signore e signori, siamo i Six!» E il resto del
gruppo si riversò sul palco e attaccò subito con «Hold Your Breath».
EDDIE: Torno sul palco e vedo che la mia chitarra è appoggiata da una parte
e che devo andarmela a prendere. E questo mi fa girare le palle. Non gli
basta dirmi come fare il mio lavoro e decidere quando possiamo andare in
tournée; adesso mi ruba anche lo strumento e prende il mio posto in scena. E
poi non si disturba neanche a restituirmi la chitarra? Capisci il mio punto di
vista?

DAISY : Mentre gli altri entravano in scena, bisbigliai all’orecchio di Billy:


«Vuoi che me ne vada?» E lui fece cenno di no con la testa. E così rimasi sul
palco, cantando quando potevo e suonando il tamburello. Era così divertente
partecipare al loro show.

BILLY : Non ricordo come mai Daisy rimase sul palco quella sera.
Probabilmente avevo immaginato che si sarebbe defilata, invece lei restò. E
va bene, pensai. Stasera va così. In fondo, l’intera serata si era sviluppata
all’insegna dell’improvvisazione.

WARREN : Giuro, quella sera Karen aveva l’aria di essere reduce da una gran
scopata. Ed ero convinto che Bones la stesse illuminando in modo
particolare.

BILLY : Tra una canzone e l’altra, mi avvicinai a Eddie per ringraziarlo, ma


lui non mi guardò nemmeno. Non c’era verso di attirare il suo sguardo.

EDDIE: Ne avevo le scatole piene del suo repertorio di finte gentilezze. Billy
era uno stronzo. Un pezzo di merda, un egoista. Spiace dirlo, ma è così che
la pensavo. E, a essere sincero, lo penso ancora adesso.

BILLY : Alla fine, appena prima dell’ultimo brano, gli picchiettai su una
spalla e dissi: «Grazie, amico. Volevo offrire lo spettacolo migliore, visto
che c’è in sala Rolling Stone».

EDDIE: Disse che in circostanze normali mi avrebbe lasciato suonare, ma


che, visto che si trattava di Rolling Stone, voleva che fosse tutto perfetto.
GRAHAM: Tra un set e l’altro, Pete mi lanciava un’occhiata, ma sulle prime
non riuscii a capire quale fosse il problema. Alla fine indicò Eddie con un
cenno del capo.
Non è che non capissi. Con Billy ti sentivi come un cittadino di seconda
classe, e non era facile. Ma quello che tutti provavamo non cambiava il fatto
che la gente pagava i soldi del biglietto per vedere lui. Al pubblico
piacevano le sue canzoni, il suo modo di scrivere. Gli piaceva vederlo
cantare. Billy aveva fatto bene a uscire sul palco e farsi dare la chitarra da
Eddie. Magari non era stato un gesto rispettoso, e di sicuro non era stato né
lusinghiero né gentile. Ma aveva contribuito a migliorare il concerto.
In generale, nel gruppo vigeva la meritocrazia, anche se poteva sembrare
una dittatura. Billy era il leader non perché fosse uno stronzo, ma perché era
quello con più talento.
L’avevo già detto, a Eddie: mettersi in competizione con Billy è una
battaglia persa in partenza. Per questo io non lo facevo. Ma lui non lo
capiva.

KAREN : Concludemmo suonando «Around to You» con Daisy che


armonizzava con Billy per l’intera durata del brano. Era la prima volta che
suonavamo una canzone di pure armonie vocali, ma venne benissimo.
Billy e Daisy sembravano condividere una sorta di lingua segreta, grazie
alla quale si capivano all’istante.

BILLY : Al termine del brano pensai che quello fosse stato il miglior concerto
che avessimo mai fatto. Mi girai verso gli altri e dissi: «Ottimo lavoro,
ragazzi».

WARREN : Eddie se la prese di brutto. «Lieto di averla soddisfatta, capo»,


ribatté.

BILLY : Avrei dovuto capire la situazione e lasciar perdere, però non lo feci.
Non so bene cosa dissi, ma qualunque cosa fosse, evidentemente non avrei
dovuto dirla.
EDDIE: Billy mi si avvicinò e disse: «Non fare lo stronzo solo perché stasera
hai suonato male». E quella fu la goccia che fece traboccare il vaso, e sai
perché? Perché quella sera ero andato alla grande. Avevo suonato da Dio.
’Fanculo a Billy, allora. E fu proprio quello che feci. Lo mandai
affanculo.
E Billy rispose: «Datti una calmata, okay?»

BILLY : Probabilmente gli dissi di calmarsi o una cosa del genere.

EDDIE: Solo perché una cosa non ha importanza per Billy, non significa che
non ce l’abbia per me. Ero arcistufo che ci si aspettasse sempre che fossi
d’accordo con lui.

BILLY : Mi voltai di nuovo verso il pubblico, pensando che non ci fossero


problemi, e salutai: «Grazie a tutti! Siamo i Six!»

KAREN : Appena prima che i riflettori si spegnessero, guardai Eddie, vidi


che sollevava la chitarra sopra le spalle e a un tratto capii.

DAISY : Eddie prese la sua chitarra e la sollevò in aria.

GRAHAM: Poi la fracassò sul palco.

EDDIE: Distrussi la mia chitarra e uscii di scena. L’istante dopo me n’ero già
pentito. Era una Les Paul del ’68.

WARREN : Il manico si spezzò, dopodiché Eddie la lanciò sul palco e se ne


andò. Per un attimo pensai di dare un calcio al rullante, giusto per unirmi
allo spasso, ma la mia batteria era una Ludwig. Non si prende a calci una
Ludwig.

ROD : Quando arrivarono dietro le quinte, non sapevo bene come


comportarmi. Da una parte avevano appena fatto un gran concerto, dall’altra
temevo che alla prima occasione Eddie avrebbe dato un pugno a Billy. E
Jonah Berg stava per raggiungerci nei camerini.
E così, non appena vidi Eddie, lo tirai da parte, gli porsi un bicchiere
d’acqua e gli dissi di prendersi cinque minuti di riflessione.

EDDIE: Rod mi disse di lasciar perdere. E io gli risposi: «Vallo a dire a


Billy».

ROD : Sai, certi giorni cerchi solo di fare il tuo lavoro. E i musicisti possono
renderlo un divertimento o una tortura.
Billy arrivò in camerino mentre tutti gli altri si stavano già rilassando.
«Non attaccare briga, d’accordo?» gli dissi. «Jonah Berg arriverà da un
momento all’altro, e devi dare l’impressione che vada tutto alla grande.»

DAISY : Era stato un bel concerto. Bellissimo. Ero al settimo cielo dopo
quello show.
JONAH BERG (giornalista rock, Rolling Stone, 1971-1983): Quando conobbi
il gruppo, dopo il concerto di Glasgow, rimasi sorpreso dal cameratismo che
regnava dietro le quinte. In scena ci davano dentro di brutto, facendo a pezzi
le chitarre e tutto il resto. Ma nel backstage la situazione sembrava molto
tranquilla. Avevano tutti un’aria perfettamente normale. Il che è strano, per
delle rockstar.
Ma i Six non erano mai come te li aspettavi.

KAREN : Era tutta una bufala.


Billy e Daisy fingevano di aver sempre passato il loro tempo insieme
dopo i concerti, cosa che invece non avevano mai fatto. Eddie fingeva di non
odiare a morte Billy. In altre parole, quella sera avevamo tutti altre cose per
la mente, ma avevamo dovuto accantonarle per intrattenere Jonah Berg.

BILLY : Jonah era un tipo alla mano. Aveva un’aria un po’ trasandata.
Cominciammo a chiacchierare, gli offrii una birra e io mi stappai una Coca.
«Non bevi?» mi chiese.
«Non stasera», risposi.
Non volevo spiattellare la mia vita personale a un giornalista. Ero molto
protettivo riguardo a certe cose. A quello che avevo fatto passare ai miei
cari. Non c’era alcun bisogno di lavare quei panni sporchi in pubblico.

WARREN : Chissà come, finimmo in un piano-bar a pochi isolati di distanza.


Era la prima volta che uscivamo tutti insieme. Noi sei più Daisy.
Daisy portava un pellicciotto sopra i pantaloncini e la camicia. Era più
lungo degli shorts, e aveva due tasconi capienti. Quando arrivammo al bar,
lei tirò fuori una manciata di pillole e ne mandò giù un paio con un sorso di
birra.
«Cosa sono?» le domandai.
Jonah era andato a ordinare da bere al banco.
«Non dirlo a nessuno», rispose Daisy. «Non voglio essere sgridata da
Karen. Crede che abbia smesso.»
«Non te l’ho chiesto per fare la spia», ribattei. «Te l’ho chiesto perché ne
voglio una anch’io.»
Lei sorrise, pescò un’altra pasticca e me la diede. Le teneva così, sparse
in tasca. A quei tempi aveva pillole in ogni tasca.

BILLY : Mi sedetti accanto a Jonah, e lui cominciò a farmi domande su come


avevamo cominciato, cosa avremmo fatto a quel punto e così via.

JONAH BERG: Quando intervisti una band, ti interessa parlare con tutti.
Perché chiunque può avere una bella storia da raccontare. Ma sei anche
perfettamente consapevole che ai lettori interessano personaggi come Billy e
Daisy, al massimo Graham e Karen.

EDDIE: Ovviamente, Billy cominciò subito a monopolizzare Jonah. Pete


continuava a ripetermi di farmi una canna e darmi una calmata.

KAREN : Mentre tutti gli altri parlavano con il pianista, presi Graham e lo
trascinai nel bagno delle signore.

GRAHAM: Non ho intenzione di rivelare chi fece cosa né dove lo fece.

BILLY : All’improvviso mi resi conto che mi stavo divertendo, e ne rimasi


sorpreso. Certo, sapevo che Eddie non mi sopportava, ma con gli altri
andavo d’accordo, ed era bello uscire di nuovo tutti insieme. In più,
avevamo appena suonato alla grande.

DAISY : Alcune tra le serate migliori, a quei tempi, erano quelle in cui mi
stonavo al punto giusto. La quantità perfetta di coca, i tempi perfetti per le
pillole, la dose sufficiente di champagne per mantenermi frizzante.
KAREN : Quando io e Graham ci riunimmo al gruppo, mi sedetti con Daisy e
dividemmo una bottiglia di vino. O forse ne bevemmo una a testa?

BILLY : Una cosa tira l’altra…

JONAH BERG: Credo di essere stato io a suggerire che cantassero.

DAISY : Mi ritrovai a ballare sul pianoforte, cantando a squarciagola


«Mustang Sally».

GRAHAM: Non hai visto niente nella vita finché non hai visto Daisy Jones in
pelliccia che balla a piedi nudi su un pianoforte e canta «Mustang Sally».

BILLY : Non ricordo neanche come mi ritrovai su quel piano.

WARREN : Daisy lo fece salire sul pianoforte.

BILLY : E prima ancora di rendermene conto, sto cantando insieme a lei.

KAREN : Billy avrebbe mai accettato di salire su un pianoforte insieme a


Daisy Jones, se Jonah Berg non fosse stato presente? [Si stringe nelle
spalle]

EDDIE: Non era un gran bar. A quel punto, nella maggior parte dei locali, se
attaccavi qualche battuta di «Honeycomb» la gente ti riconosceva: «Cavolo,
siete voi?» Ma quelli lì non ne avevano idea.

KAREN : Al termine della canzone, Billy fece per scendere dal piano, ma
Daisy gli prese la mano e lo trattenne. «Conosci ‘Jackie Wilson Said’?»
chiesi al pianista. Lui scosse la testa. «Posso?» domandai. Il tipo si alzò per
cedermi il posto, e io attaccai a suonare.

GRAHAM: Daisy e Billy furono perfetti. L’intero locale era in piedi a ballare
e cantare insieme a loro. Perfino il tizio che Karen aveva scalzato dal piano
si era unito al ritornello: «Ding a ling a ling», hai presente?
JONAH BERG: Erano magnetici. È l’unico aggettivo che renda l’idea.
Magnetici.

BILLY : Arriva l’ora di chiusura, io e Daisy scendiamo dal piano e si


avvicina questo tizio. «Dovreste fare dei concerti, voi due», ci dice.
Io e Daisy ci guardiamo in faccia e scoppiamo a ridere. «Ottima idea»,
rispondo, «ci faccio un pensiero.»

KAREN : Tornammo in albergo a piedi, tutti insieme.

DAISY : Ero rimasta indietro per infilarmi le scarpe. Credevo di essere sola,
ma poi vidi che Billy mi aveva aspettata. Se ne stava lì ingobbito con le
mani in tasca, guardandomi mentre mi rimettevo i sandali. «Voglio dare agli
altri il tempo di parlare con Jonah», disse.
Ci incamminammo più lentamente, parlando della passione comune per
Van Morrison.

BILLY : Arrivati nell’atrio dell’albergo, salutammo Jonah.

JONAH BERG: Diedi la buonanotte a tutti e proseguii per il mio albergo.


Sapevo cosa volevo scrivere, e non vedevo l’ora di cominciare.

KAREN : Dissi a tutti che andavo a letto.

GRAHAM: Uscii dall’ascensore e finsi di puntare verso la mia stanza, ma poi


andai dritto in quella di Karen.

DAISY : Io e Billy proseguimmo verso le rispettive camere, ancora immersi


nella nostra conversazione.

KAREN : Avevo lasciato la porta socchiusa per Graham.

EDDIE: Ero felice che ci fossimo sbarazzati di Jonah, felice di non dover più
fingere di sopportare Billy. Mi fumai un bong con Pete e andai a letto.
DAISY : Quando arrivammo davanti alla mia porta, chiesi a Billy: «Vuoi
entrare?»
Ero semplicemente contenta che stessimo parlando. Che cominciassimo
finalmente a conoscerci. Ma, quando glielo domandai, lui abbassò gli occhi
sul pavimento e rispose: «Non penso sia una buona idea».
Chiudendomi la porta alle spalle, sola in camera mia, mi sentii
profondamente stupida. Billy doveva aver pensato che ci stessi provando, e
questo mi riempiva di tristezza.

BILLY : Quando Daisy si sfilò la chiave di tasca, tirò fuori anche una bustina
di coca. Una volta in camera sua, avrebbe come minimo fatto un tiro. E io…
non volevo assistere.
Non potevo entrare in quella stanza.

DAISY : Per un momento mi ero illusa che potessimo essere amici, che Billy
potesse vedermi come una sua pari. Invece ero soltanto una donna con cui
avrebbe fatto meglio a non ritrovarsi da solo.

BILLY : Mi conoscevo, e sapevo di non avere altra scelta. La cosa doveva


fermarsi lì.
Io e Daisy avevamo fatto un gran concerto, e avevamo passato una
bellissima serata insieme. Lei era uno schianto. Un vero schianto, non lo si
poteva negare. Due occhi grandi così e una voce meravigliosa. Gambe
chilometriche. Un sorriso… contagioso. La vedevi sorridere, poi ti
accorgevi che il sorriso si diffondeva sulle facce di tutti quelli che le
stavano intorno, come un virus.
Era divertente.
Ma era… [Esita]
Voglio dire, girava scalza quando faceva freddo, si copriva quando si
moriva di caldo, sudava di continuo e a qualsiasi temperatura. Non rifletteva
mai prima di parlare. E a volte sembrava un po’ maniacale e delirante.
Era una tossica. Di quelle convinte che gli altri non lo sappiano, forse il
genere peggiore che esista.
Per nessuna ragione, malgrado quello che stava succedendo e anche se lo
avessi voluto, avrei mai potuto frequentare Daisy Jones.
DAISY : Non riuscivo a spiegarmi perché insistesse a respingermi.

BILLY : Quando la sola presenza di una persona ti riempie di energia, quando


ti scatena dentro qualcosa come Daisy faceva con me, puoi solo trasformare
quell’energia in desiderio, amore oppure odio.
Per me la scelta più comoda era quella di odiarla. Era l’unica che potessi
fare.

JONAH BERG: Dal mio punto di vista, gran parte dell’originalità e del pregio
di quel gruppo veniva dalla combinazione di Daisy e Billy. L’album solista
di Daisy era una bazzecola in confronto a quello che facevano i Six. E i Six
senza Daisy non si avvicinavano nemmeno a quello che diventavano con lei.
Daisy era una parte integrante, necessaria, irrinunciabile del gruppo.
Apparteneva a quella band.
E fu quello che scrissi.

DAISY : Rod ci mostrò l’articolo in anteprima, e non appena lessi il titolo mi


entusiasmai. Era fantastico.

JONAH BERG: Sapevo già come l’avrei intitolato ancora prima di finire di
scriverlo. I Six che dovrebbero essere Seven.

ROD : Era una gran copertina. Un bello scatto di tutti e sette sul palco, Billy e
Daisy che cantano nello stesso microfono, Graham e Karen che si guardano.
E tutti immersi nella musica. Nelle prime file del pubblico, quattro o cinque
spettatori con gli accendini accesi. E poi quel titolo.

WARREN : Eravamo sulla copertina di Rolling Stone. Di Rolling Stone,


checcazzo. Voglio dire, quando hai successo diventi cinico su un sacco di
cose. Ma non su quella.

BILLY : Strappai la rivista dalle mani di Rod.

GRAHAM: Temo che non ne fu molto felice.


BILLY : I Six che dovrebbero essere Seven.

ROD : Mi pare che le esatte parole di Billy furono: «Che cazzo mi


rappresenta?»

BILLY : Voglio dire, che cazzo mi rappresenta?


DAISY : Sapevo che avrei fatto meglio a non aprire bocca su quel pezzo.
Nessuno di noi ne parlava, tranne io e Rod quando eravamo soli. Rod mi
disse che, se la mia intenzione era quella di unirmi ufficialmente ai Six, avrei
soltanto dovuto aspettare che si presentasse il momento opportuno, come
probabilmente sarebbe accaduto.

ROD : Dopo qualche giorno, Billy si calmò. Quando salimmo sull’aereo che
ci avrebbe riportati a L.A., il suo atteggiamento era ormai diventato
ragionevole.

BILLY : Non volevo fare… l’ignorante. Mi rendevo conto che il nostro


maggiore successo era il brano inciso con Daisy. E Teddy aveva già
cominciato a suggerire che ne facessimo un altro paio. Sapevo che con Daisy
avevamo un pubblico più ampio, che eravamo più commerciali: non ero così
cieco da non rendermene conto. Ma l’idea che lei si unisse ufficialmente alla
band mi aveva colto alla sprovvista… e anche il modo in cui era stata
suggerita pubblicamente.

GRAHAM: L’articolo parlava di quanto fossimo fantastici con Daisy. Certo,


con Daisy; ma la parte da prendere e portare a casa era che eravamo
fantastici.

EDDIE: Quando uscì l’articolo, la tournée era finita. Stavamo rientrando tutti:
noi sette, Rod, i tecnici, i roadie…

WARREN : Dovemmo prendere un volo commerciale per rientrare negli


States. Mi sentii un poveraccio.
BILLY : Poco dopo il decollo, lasciai il mio posto e raggiunsi Graham e
Karen. «Che impressione farebbe, secondo voi? Se accogliessimo Daisy nel
gruppo?»

KAREN : Secondo me l’articolo aveva fatto centro. Daisy era un membro


onorario della band. Perché non ufficializzarlo? Perché non farla cantare con
noi?

GRAHAM: Gli dissi di farla entrare nel gruppo.

BILLY : Non mi furono di alcun aiuto.

WARREN : A un certo punto del volo, Billy era seduto accanto a me e stava
stendendo una lista di pro e contro riguardo alla decisione di accogliere
Daisy nel gruppo. Vedo Karen uscire da uno dei bagni con l’aria di una che è
appena stata scopata. Rossa in faccia, spettinata. Mi giro verso le file dietro
di me e chi ha misteriosamente abbandonato il suo posto? Bones.

EDDIE: Ero seduto nelle ultime file, e a un certo punto vedo Graham che si
alza, Karen che lascia il suo posto, Billy che va a parlare con loro. Cerco di
capire cosa cavolo stanno combinando, poi mi volto verso Daisy e le
chiedo: «Cosa pensi che stiano facendo?»
Ma lei è concentratissima su un libro, e mi risponde: «Lasciami in pace,
sto leggendo».

WARREN : Sbirciai Billy mentre compilava la sua lista, e notai che non ci
aveva messo molti contro, e che sembrava lambiccarsi il cervello per
trovarne uno.
«Non dimenticarti di scrivere Te lo fa rizzare tuo malgrado nella colonna
dei contro.»
Ribatté che stavo dicendo fesserie. «D’accordo, non vuoi la mia
opinione», feci io.
«Sì che la voglio», protestò. Io mi limitai a guardarlo, e alla fine ammise:
«E va bene, non la voglio».
Mi rilassai sul sedile, bevvi un sorso di Bloody Mary e ripresi a leggere
le istruzioni sul sacchetto per il vomito.

KAREN : Billy tornò da me e Graham con una lista di pro e contro. Era pian
piano giunto alla conclusione che voleva altre canzoni da classifica, e che
Daisy ce le avrebbe garantite.
«Potrebbe anche rifiutare», dissi. Era un’idea che non aveva mai sfiorato
né Billy né Graham. Ma Daisy faceva ancora più notizia di noi.

GRAHAM: Decidemmo di incidere un album con Daisy e vedere come


andava.

BILLY : Stavo prendendo una decisione che avrebbe avuto ripercussioni su


molte altre persone. Quello che andava bene per me non andava
necessariamente bene per chiunque altro. Warren, Graham, Karen, Rod: tutti
loro volevano diventare sempre più grandi, scalare le classifiche. Lo
desideravamo tutti. E io dovevo tenerne conto.
Anche se, personalmente, avrei preferito mantenere le debite distanze da
Daisy.

WARREN : Non riuscivo a capire perché Billy si stressasse tanto. Alla fine
avrebbe fatto quello che Teddy gli diceva di fare.

KAREN : È stato detto che Billy non volesse Daisy nel gruppo perché non era
disposto a condividere la gloria, ma io non credo che il motivo fosse quello.
Billy non era un insicuro da quel punto di vista. In realtà, era proprio quello
il suo problema. Il fatto di non essere intimidito dal talento altrui.
Penso semplicemente che Daisy… lo turbasse. In qualunque modo lo si
voglia interpretare.

BILLY : Quando finalmente atterrammo a Los Angeles, avevo ormai deciso


che sarebbe stata quanto meno una buona idea parlarne con Teddy. Se lui si
fosse espresso a favore di un album con Daisy, le avrei chiesto di unirsi a
noi.
ROD : Quando fummo atterrati, raggiunsi Billy e gli chiesi quali fossero le
sue intenzioni. Rispose che voleva sottoporre a Teddy l’idea di un eventuale
ingresso di Daisy nel gruppo. A quel punto lo condussi davanti a un telefono
pubblico, chiamai Teddy e gli dissi: «Teddy, ripeti a Billy quello che mi hai
detto stamattina».

GRAHAM: Ovviamente, Teddy era più che d’accordo con l’idea che Daisy si
unisse al gruppo.

BILLY : Teddy mi ricordò che al nostro primo incontro gli avevo detto che
volevo che i Six diventassero la band più importante del mondo. «Il modo
per farlo succedere», disse, «è che tu e Daisy cantiate insieme.»

EDDIE: Una volta atterrati, io e Pete raggiungemmo Warren, Graham e Karen.


E loro ci dissero che avrebbero chiesto a Daisy di unirsi al gruppo. Cazzo,
non potevo crederci. Ancora una volta, nessuno mi aveva interpellato.

DAISY : Li vidi confabulare sottovoce, incrociai lo sguardo di Rod, che mi


strizzò l’occhio, e a un tratto capii.

BILLY : Riagganciai dopo avere parlato con Teddy e mi rivolsi a Rod:


«D’accordo, dille che è dei nostri». Poi salii su un taxi e tornai a casa dalle
mie ragazze.

KAREN : Usciti dall’aeroporto ci separammo, e ognuno di noi se ne andò per


la sua strada. Era come l’ultimo giorno di scuola prima dell’estate.

BILLY : L’istante che varcai la soglia di casa, fu come se Daisy e la mia band
e la musica e gli strumenti e la tournée… fu come se avessero cessato di
esistere. Ero pronto ad andare a prendere il gelato alla fragola per Camila a
qualsiasi ora della notte e a giocare con il servizio da tè in miniatura di Julia
ogni volta che lei me lo chiedeva. La mia famiglia era l’unica cosa che
contava.
CAMILA : Quando tornò, Billy ebbe bisogno di un paio di giorni di
decompressione. Ma poi capii che era tornato sul serio. Che era davvero con
noi. E che era felice. Okay, pensai. Ci stiamo riuscendo. Stiamo facendo le
cose nel modo giusto.
ROD : Lasciai passare qualche giorno. Lasciai che la cosa si sedimentasse,
mi assicurai che Billy non cambiasse idea. Poi chiamai Daisy.

DAISY : Ero tornata nel mio cottage preferito del Marmont.

SIMONE: Quando Daisy arrivò dalla tournée, ero rientrata anch’io alla base.
E penso valga la pena di sottolineare che a quel punto Daisy era flippata di
brutto. Era costantemente strafatta. Ma che cavolo ti è successo là fuori?
pensai. Faceva fatica a stare da sola. Invitava gente di continuo nel suo
cottage, mi implorava di non riagganciare il telefono. Non le piaceva essere
sola. Non le piaceva la tranquillità.

DAISY : Quando Rod chiamò, avevo invitato un po’ di gente. Era il giorno del
servizio fotografico per la copertina di Cosmopolitan. In Europa mi avevano
intervistata, e quel pomeriggio avevamo scattato le foto.
Qualcuna delle ragazze della troupe era venuta da me per festeggiare, e
stavamo bevendo champagne rosé e preparandoci ad andare in piscina
quando squillò il telefono. «Pronto, parla Lola La Cava», risposi.

ROD : Daisy si faceva sempre chiamare Lola La Cava. C’erano troppi uomini
che la cercavano. Avevamo dovuto cominciare a fare i misteriosi riguardo ai
suoi spostamenti.

DAISY : Ricordo perfettamente quella telefonata. Reggevo la bottiglia di


champagne in una mano, c’erano due ragazze sedute sul divano e un’altra che
sniffava una striscia sulla toletta. Ricordo che ero irritata perché stava
sporcando di coca il dorso del mio quaderno.
E poi Rod disse: «È ufficiale».

ROD : «Vogliono che tu incida un intero album con loro», dissi.

DAISY : Ero al settimo cielo.

ROD : Sentii che faceva un tiro mentre le parlavo. Sono sempre stato molto
combattuto su questa questione quando si trattava dei miei musicisti, e con il
passare del tempo le cose non sono certo diventate più facili. Avrei dovuto
sorvegliarli oppure no? Erano fatti miei? Se sapevo che si facevano, avevo
il diritto di stabilire quando oltrepassavano il segno? E se ne avevo il
diritto, come potevo determinare quel quando?
Non sono mai riuscito a trovare una risposta.

DAISY : Quando riagganciai la cornetta, mi misi a strillare. Una delle ragazze


me ne chiese il motivo e io risposi: «Farò parte dei Six!»
Nessuna di loro sembrava particolarmente interessata. In generale,
quando hai droga in abbondanza e un bel cottage in cui sniffarla,
probabilmente le persone che attiri non sono interessate a te.
Ma quella sera ero così felice! Ballai in giro per la stanza, stappai una
seconda bottiglia di champagne, invitai altra gente. Poi, verso le tre del
mattino, la festa era finita, ma io ero troppo su di giri per andare a letto. E
così chiamai Simone e le diedi la notizia.

SIMONE: Ero preoccupata. Non ero sicura che andare in tournée con una rock
band le avrebbe fatto un gran bene.

DAISY : Dissi a Simone che sarei passata a prenderla e che saremmo andate a
festeggiare.

SIMONE: Era notte fonda, e io stavo dormendo. Avevo i capelli avvolti in un


foulard e la mascherina sugli occhi. Non sarei andata da nessuna parte.

DAISY : Simone rilanciò sulla colazione, ma io insistetti. Alla fine mi disse


che non le sembravo in condizione di guidare, e io mi incazzai e le sbattei
giù la cornetta.

SIMONE: Pensavo che sarebbe andata a letto.

DAISY : Avevo troppa energia in circolo. Provai a chiamare Karen, ma non


rispose nessuno. Alla fine decisi che dovevo dirlo ai miei. Per qualche
ragione, pensavo che sarebbero stati fieri di me. Non so bene perché. In
fondo, solo pochi mesi prima, la mia canzone era arrivata al terzo posto in
classifica, e loro non mi avevano neanche mandato un biglietto. Non
sapevano nemmeno che fossi rientrata a Los Angeles.
Insomma, basti dire che andare a casa loro alle quattro del mattino non fu
un’idea brillante. Ma non ci si sballa per farsi venire idee brillanti.
Non abitavano lontano: un chilometro e mezzo di distanza, anche se era
come un altro mondo. Decisi di andarci a piedi. Mi incamminai sul Sunset
Boulevard e poi sulle colline. Impiegai circa un’ora per arrivarci.
Mi fermai davanti alla casa in cui ero cresciuta, e chissà come mi venne
l’idea che la mia vecchia camera da letto avesse un’aria abbandonata.
Scavalcai lo steccato, mi arrampicai su per il tubo della grondaia, sfondai la
finestra e mi infilai nel mio vecchio letto.
Mi svegliai con due poliziotti che torreggiavano su di me.

ROD : Mi chiedo cosa avrei dovuto fare di diverso con Daisy.

DAISY : I miei non sapevano neanche che quella nel letto fossi io. Avevano
sentito qualcuno introdursi in casa e avevano chiamato la polizia. La
situazione venne chiarita, e loro dissero che non avrebbero sporto denuncia.
Ma a quel punto, tra la bustina di coca che avevo nel reggiseno e gli spinelli
nel portamonete, ero in un bel casino.

SIMONE: Quella mattina Daisy mi chiamò dalla prigione. Versai la cauzione


e le dissi: «Daisy, devi smettere». Ma il mio appello le entrò da un orecchio
e le uscì dall’altro.

DAISY : Non rimasi a lungo in prigione.


ROD : La vidi qualche giorno dopo e mi accorsi che si era tagliata la mano
destra lungo il lato, dalla base del mignolo al polso. «Che ti è successo?» le
chiesi.
Lei guardò il taglio come se fosse la prima volta che lo vedeva. «Non ne
ho idea», rispose. Poi cambiò discorso. Ma una decina di minuti dopo, di
punto in bianco, disse: «Oh, scommetto che me lo sono fatto sfondando la
finestra per entrare in casa dei miei».
«Daisy, va tutto bene?» le chiesi.
E lei: «Sì, perché?»

BILLY : Una notte, poche settimane dopo la fine della tournée, Camila mi
svegliò scuotendomi per le spalle e annunciò che erano cominciate le doglie.
Afferrai Julia e ci precipitammo in ospedale.
Mentre Camila sudava e strillava in quel letto, le presi la mano, le misi un
panno umido sulla fronte, le coprii il volto di baci e le tenni ferme le gambe.
Scoprimmo che dovevano farle un cesareo; mentre la portavano in sala
operatoria, le rimasi il più possibile vicino, stringendole la mano, e le dissi
che non c’era motivo di avere paura, che sarebbe andato tutto bene.
E poi vennero al mondo. Le mie gemelline. Susana e Maria. Due faccette
tutte schiacciate, due teste piene di capelli. Ma riuscii a distinguerle
all’istante.
Guardandole, mi resi conto che… [Esita] Mi resi conto che non avevo
mai visto un neonato. Che non avevo visto Julia appena nata.
Consegnai Maria alla madre di Camila, andai in bagno, chiusi la porta e
scoppiai in lacrime. Io… avevo bisogno di tempo per superare la vergogna.
Ma alla fine ce la feci. Non cercai di seppellirla sotto qualcos’altro.
Entrai in quel bagno, mi guardai allo specchio e la affrontai.

GRAHAM: Billy era un buon padre. Sì, era anche un ex tossico e si era perso
i primi mesi di vita della figlia. E questo per lui era fonte di vergogna. Ma si
stava rimettendo in piedi. Per le sue figlie. Stava sistemando le cose, e
migliorava di giorno in giorno. Era già molto più di quanto avesse mai fatto
qualsiasi altro uomo della nostra famiglia.
Non si drogava più, dava sempre la precedenza alle sue bambine,
avrebbe fatto, e faceva, qualsiasi cosa per i suoi cari. Era una brava persona.
Forse quello che voglio dire è che… se ti redimi, allora devi credere alla
tua redenzione.

BILLY : Mentre ero in ospedale, solo con Camila e le mie tre bambine, ci fu
un momento in cui mi dissi: Cosa ci faccio in tournée?
E così mi lanciai in un epico discorsone. «Mollo tutto, tesoro», dissi a
Camila. «Non voglio altro che la mia famiglia. Noi cinque. È tutto quello che
voglio o di cui ho bisogno.» Ed ero sincero. Probabilmente andai avanti per
dieci minuti buoni. «Non ho bisogno del rock ’n’ roll, ho solo bisogno di
voi.»
E Camila (che era reduce da un cesareo, bada bene), non lo dimenticherò
mai, ribatté: «Oh, Billy, piantala di blaterare. Ho sposato un musicista, e tu
farai il musicista. Se avessi voluto avere un’auto famigliare e il polpettone
pronto alle sei in punto, avrei sposato mio padre».

CAMILA : A volte Billy si lanciava in questi grandi proclami. E suonavano


anche bene, perché lui è un artista. Sa come creare un’immagine. Ma erano
quasi sempre voli pindarici. Ed ero io quella che spesso doveva dirgli:
«Yuu-huu, lassù, torna con i piedi per terra, per piacere».

KAREN : Camila conosceva Billy meglio di quanto lui conoscesse se stesso.


Molte donne al posto suo avrebbero detto: «Ti sei divertito, ma adesso
abbiamo tre figlie a cui pensare». Invece Camila amava Billy esattamente
per quello che era. E questo mi piaceva molto.
E penso sinceramente che anche Billy la amasse allo stesso modo. Sul
serio. Quando erano insieme, si vedeva che era presissimo. Se ne stava zitto
e la lasciava parlare. E ho sempre notato che, quando uscivamo a bere,
prima di passarle il bicchiere vi spremeva sempre dentro il suo lime.
Spremeva i due spicchi e poi li lasciava nel drink insieme al ghiaccio. Mi
sembrava una bella cosa il fatto che qualcuno pensasse sempre di darti il suo
spicchio di lime. In realtà il lime mi fa schifo, ma il punto è un altro.

GRAHAM: Karen odiava tutti gli agrumi perché diceva che le lasciavano una
sensazione appiccicosa sui denti. Lo stesso motivo per cui non le piaceva il
seltz.
BILLY : Teddy venne a trovarci in ospedale. Portò un gran mazzo di fiori per
Camila e degli animali di peluche per le bambine. Quando se ne andò, lo
accompagnai all’ascensore, e lui disse che era fiero di me. Che ero davvero
riuscito a capovolgere la situazione. «L’ho fatto per Camila», dissi.
«Ci credo», rispose lui.

CAMILA : Un pomeriggio – quando le gemelle non avevano che qualche


settimana e mia madre le aveva portate fuori – Billy mi chiese di sedermi.
Disse che mi aveva scritto un’altra canzone.

BILLY : Si chiamava «Aurora». Perché Camila… era la mia aurora. Era la


mia nuova alba, il mio spuntar del giorno, il mio sole che sorgeva
all’orizzonte. Era tutto questo.
La musica era ancora solo una melodia di pianoforte, ma le parole
c’erano già tutte. E così mi sedetti al piano e gliela suonai.

CAMILA : La prima volta che la sentii mi fece piangere. Conosci la canzone,


giusto? Sarebbe stato impossibile non emozionarsi sentendo quelle parole.
Billy me ne aveva scritte altre, ma quella… l’adorai all’istante, e
ascoltandola mi sentii amata.
In più, era una bella melodia. Mi sarebbe piaciuta anche se non fosse stata
scritta per me. Era bellissima.

BILLY : Gli occhi le si velarono di lacrime e disse: «Hai bisogno di Daisy


per cantarla, lo sai».
È vero, lo sapevo. Me ne ero reso conto fin da quando la scrivevo come
un’armonia per pianoforte e voce. Non eravamo ancora entrati in sala di
registrazione e già scrivevo per lei.
GRAHAM: Quel periodo, la fase in cui Billy era a casa con le sue ragazze e
Daisy si stava unendo al gruppo… be’, era un’ottima opportunità per farmi
avanti e assumere un ruolo più centrale. Facevo da coordinatore fra tutti per
ritrovarci e cominciare a parlare di un nuovo album. Discutevo di tempi e
scadenze con Rod e Teddy. Era divertente.
A dire il vero no, non lo era. Ero io a essere felice. Quando sei felice,
sembra tutto divertente.

KAREN : I soldi c’erano, e volevo investirli bene; e così un giorno feci un bel
giro insieme a un’agente immobiliare, trovai una casa a Laurel Canyon e la
comprai.
Poco dopo, Graham vi si trasferì in via non ufficiale. Quella primavera e
quell’estate eravamo sempre insieme. Facevamo delle gran grigliate nel
patio, andavamo ogni sera a un concerto e la mattina dopo dormivamo fino a
tardi.

GRAHAM: Passavamo interi fine settimana stonati come campane, pieni di


soldi, suonando insieme, senza dire a nessuno dove eravamo o cosa stavamo
combinando. Era il nostro piccolo segreto. Non lo dissi neanche a Billy.
La gente dice che la vita va avanti, ma non dice che a volte si ferma solo
per te. Solo per te e la tua ragazza. Il mondo smette di girare e vi lascia in
pace, tu e lei. O almeno la sensazione è questa. A volte. Se sei fortunato.
Datemi pure del romantico, se volete. Ci sono insulti peggiori.

BILLY : Mi fidavo di Graham per la gestione del gruppo. Sapevo di essere in


buone mani, e io avevo la testa altrove.
DAISY : Simone partì per un’altra tournée.

SIMONE: Dovevo promuovere il nuovo album, Superstar. Ma tra un concerto


e l’altro avrei fatto base più a New York che a L.A. A quei tempi, la scena
disco ruotava tutta intorno allo Studio 54, e io sarei rimasta là.

DAISY : Sembrava preoccupata per me. «Va’ pure», le dissi. «Ci rivediamo
presto.» Ero elettrizzata da quello che mi aspettava. Avrei fatto parte di un
gruppo.

GRAHAM: Avevo predisposto tutto. Mi ero accordato con Rod e Teddy. Billy
diceva di avere una gran voglia di rimettersi al lavoro. Dovevamo solo
stabilire una data di consegna ragionevole per l’album. E così indissi una
riunione.

WARREN : Avevo cominciato a godermi i miei diritti d’autore. A quel punto


mi ero già comprato la barca, un cabinato Gibson che tenevo a Marina del
Rey. Avevo sempre intorno un sacco di belle figliole. La batteria la tenevo
nella casa di Topanga, ma le notti e i fine settimana li passavo in barca a
bere birra.

EDDIE: Pete aveva trascorso l’intero periodo a Boston con Jenny. La loro
storia stava diventando seria.
Ma a me starmene a casa non piaceva. Quello che mi piaceva era girare il
mondo e suonare, non so se mi spiego. Sicché ero pronto a rimettermi al
lavoro. Perfino l’idea di avere a che fare con Billy non era poi così
tremenda, e ho detto tutto.
Quando Graham chiamò dicendo che era arrivato il momento di
ritrovarci, ero prontissimo. Chiamai Pete e gli dissi: «Sali sul primo volo
che trovi. Le vacanze sono finite».

DAISY : Ci trovammo al Rainbow, io, il gruppo, Rod e Teddy, e per un po’ ci


aggiornammo a vicenda su cosa stavamo combinando. Warren parlava della
sua barca, Pete di Jenny Manes e Billy mostrava le foto delle gemelle a Rod.
C’era una bella armonia, perfino tra Eddie e Billy. Poi Rod si alzò con la sua
birra e propose un brindisi al mio ingresso nel gruppo.

ROD : «Voi sette siete destinati ad arrivare sempre più in alto», mi sembra di
aver detto. O qualcosa del genere.

BILLY : Ragazzi, pensai, sette persone in un gruppo sembrano davvero


tante.

DAISY : Tutti applaudirono, Karen mi abbracciò e in quel momento mi sentii


davvero la benvenuta. E così, mentre tutti parlavano tra loro, mi alzai, presi
il bicchiere di brandy, lo levai in un brindisi e dissi: «Sono felice che mi
abbiate chiesto di unirvi a voi per questo album».

GRAHAM: Daisy comincia il suo discorso, e sulle prime non mi sembra


niente di stravolgente.

DAISY : Non era facile interpretare i pensieri di Billy. Da quando mi era stato
proposto di entrare nel gruppo, non si era più fatto sentire. In realtà, nessuno
di loro mi aveva spiegato granché su come sarebbero andate le cose o su
quale fosse la sua opinione in merito. Volevo solo che tutto fosse
perfettamente chiaro. «Mi sto unendo ufficialmente al gruppo perché voglio
essere un membro di questa squadra», dissi. «Un membro importante. Spero
che siamo tutti d’accordo sul fatto che questo album appartiene a me allo
stesso modo che a chiunque altro nel gruppo. Allo stesso modo che a
Graham, o a Pete, o a Eddie, o a Karen…»

KAREN : «O a Billy», dice Daisy. Mi volto verso Billy per vedere come la
prende. Lui sta sorseggiando una bibita da un boccale da birra.

BILLY : Perché deve cominciare subito a creare problemi? pensai.

DAISY : «Mi avete chiesto di entrare nel gruppo perché quando suoniamo
insieme la nostra musica è migliore di quella che facciamo separati»,
proseguii. «Per questo motivo voglio poter dire la mia riguardo alla musica.
Voglio scrivere quest’album insieme a te, Billy.»
Teddy mi aveva detto che potevo scrivere il mio secondo disco, e quella
mi sembrava l’occasione giusta. Ciò che volevo era liberarmi di tutti i freni
e gli ostacoli. Volevo affrontare il pubblico a testa alta, come quando avevo
cantato «When You Fly Low» a cappella. Volevo cantare le canzoni che
sentivo nel cuore davanti alla gente.
Se i Six non mi volevano per questo, il loro premio di consolazione non
mi interessava.

GRAHAM: Daisy non voleva che Billy facesse una scenata ogni volta che lei
avesse tentato di dare il suo contributo, e per questo stava cercando di
mettere subito le cose in chiaro. Probabilmente avremmo dovuto farlo anche
noialtri fin dall’inizio, se volevamo davvero avere voce in capitolo.
Di sicuro, se Eddie avesse avuto anche solo la metà del coraggio di
Daisy, avrebbe risolto i suoi problemi con Billy anni prima.

BILLY : «Certo, Daisy», risposi. «Siamo tutti coinvolti.»

WARREN : Cercai di non prendermela, perché tanto era inutile. Ma Billy si


stava comportando come se la nostra fosse una comune hippie in cui tutti
potevano dire la loro. Il che non era vero.

KAREN : Billy era bravissimo nel farti credere di essere matto a pensare che
nel gruppo ci fossero degli squilibri, quando in realtà c’erano eccome. Non
si rendeva neanche conto del modo in cui tutti ruotavano intorno a lui.

ROD : Gli Eletti non sanno mai di esserlo. Credono che chiunque al mondo si
ritrovi srotolato davanti un tappeto d’oro.

GRAHAM: A un certo punto si fece sentire anche Pete. «Visto che ne stiamo
discutendo», disse, «d’ora in avanti voglio il completo controllo dei miei
giri di basso.»
BILLY : Dissi a Pete che mi stava bene che scrivesse i suoi giri. In realtà lo
faceva già da tempo.

KAREN : «Mi piacerebbe avere più peso», dissi. «Secondo me possiamo


usare più spesso le tastiere per arricchire i brani. O magari fare una canzone
per voce e tastiere.»

EDDIE: Volevo dire la mia su quello che suonavo. Tutti gli altri stavano
parlando come se Billy cercasse di controllarli, e in effetti era così. Ma
quello che controllava sul serio ero io. «D’ora in poi i miei riff li scrivo io»
dissi.

BILLY : Pensai: Naturale che Eddie pianti la grana. Feci per ribattere, ma
Teddy allungò la mano e mi scoccò un’occhiata come a dirmi: Per il
momento non rispondere. Ascolta e basta.
Sapevamo entrambi che per alcuni è importante farsi sentire,
indipendentemente dal fatto che li si ascolti davvero.

EDDIE: Intendiamoci, Daisy mi piaceva. E anche Karen, e avrei voluto che


potesse dare un contributo maggiore. Ma una cantante donna per tutto l’album
e un’aggiunta di tastiere? Per quanto mi riguarda, le tastiere di Karen ci
rendevano già fin troppo orecchiabili.
«Voglio essere sicuro che siamo ancora una rock band», dissi.
«In che senso?» chiese Graham.
«Non voglio suonare pop», risposi. «Non siamo Sonny & Cher.» Vidi
l’espressione infastidita di Billy.

BILLY : Non facevo che sentire lamentele. A un certo punto, pensai: Ma cosa
vi ho fatto, a parte farci arrivare dove siamo?

GRAHAM: Pensavo che Eddie non avesse tutti i torti. Come sarebbe cambiata
la nostra musica con l’arrivo di Daisy? Specialmente in fase di scrittura. Ma
ovviamente Billy lo prese come un attacco personale.
Quando hai tutto, se qualcun altro ottiene qualcosa pensi che l’abbia
rubata a te.
KAREN : Tutto quello che stava succedendo era ancora indefinito. Daisy
sarebbe stata un membro permanente dei Six? Personalmente non lo sapevo,
né lo sapeva Daisy. Non credo che lo sapesse neanche Billy.

DAISY : Ci stavo riflettendo da un po’, sul nome che avremmo dovuto avere e
su quello che credevo di meritare.
«Se siete tutti d’accordo su quello che ho detto e volete che diventi un
membro dei Six, lo farò», dissi. «Non c’è bisogno che compaia il mio nome.
Ma se la cosa è temporanea, allora dobbiamo pensare a un nome diverso.»

GRAHAM: Si capiva benissimo che Daisy si aspettava che la invitassimo a


fare parte dei Six.

KAREN : «Che ne dici di The Six featuring Daisy Jones?» chiese Billy.

ROD : Era la dicitura con cui era uscito «Honeycomb», sicché capivo la sua
proposta.

DAISY : Accidenti, mi dissi, non ci ha pensato nemmeno un secondo.

BILLY : Mi aveva lasciato due scelte. Se non voleva che le avessi, non
avrebbe dovuto darmele.

WARREN : Lascia che si unisca al gruppo, stavo pensando.

ROD : Teddy capì che si stava creando una certa tensione. Aveva cercato di
non intervenire nella conversazione, ma a quel punto lo fece. «Vi chiamerete
Daisy Jones & The Six», disse. Nessuno ne fu particolarmente felice, ma
almeno erano tutti ugualmente insoddisfatti.

DAISY : Penso che Teddy volesse assicurarsi che il mio nome spiccasse. Ero
io ad attirare l’attenzione sul gruppo: il mio nome doveva essere in primo
piano.
BILLY : Teddy cercava di salvaguardare il nome dei Six. A Daisy non
volevamo promettere niente.

DAISY : Non credo che Billy si fosse davvero risentito per le mie richieste.
Erano tutte ragionevoli. A farlo incazzare era solo l’idea che io fossi
consapevole del potere che avevo; avrebbe preferito di gran lunga che non lo
sapessi o non lo usassi. Mi spiace, ma non è il mio stile. In realtà, non
dovrebbe essere lo stile di nessuno.
Billy era abituato troppo bene, perché tutti gli avevano sempre lasciato
fare quello che voleva. E io ero la prima persona che osava dirgli: «Io
dipendo da te tanto quanto tu dipendi da me». E questo spalancò le porte a
Pete, a Eddie e… be’, un po’ a tutti quanti.

ROD : Teddy disse che la Runner voleva che l’album fosse pronto per la fine
del ’78. Eravamo già in agosto. Dovevamo mettere da parte le divergenze
creative, gli egocentrismi e tutto il resto e tornare giù in miniera.

KAREN : Cazzo, mi dissi quella sera quando lasciammo il Rainbow. Daisy si


era unita al gruppo con il suo nome in prima linea e al tempo stesso aveva
cambiato radicalmente le nostre dinamiche interne come nessuno di noi
aveva mai fatto.

BILLY : Si comportavano sempre tutti come se fossi un tipo difficile. Ma


Daisy aveva chiesto di avere potere decisionale e riconoscibilità, e io le
avevo concesso entrambe le cose. Cos’altro voleva da me?
Per di più, non ero neanche sicuro di avere agito bene. Ma l’avevo fatto
per tenerli buoni, tanto lei quanto gli altri.

GRAHAM: Da autocrazia diventammo una democrazia. La democrazia è


un’ottima idea, ma i gruppi rock non sono Paesi.

BILLY : A essere sinceri, pensavo che Daisy si sarebbe stufata presto


dell’idea di scrivere un album. L’avevo sottovalutata.
Un consiglio: mai dubitare di Daisy Jones.
AURORA
1977-1978

Nell’agosto del 1977, i sette membri del gruppo entrarono nello Studio 3
di Wally Heider per dare inizio alle registrazioni del loro terzo album.

GRAHAM: Quella mattina io e Karen partimmo da casa sua per recarci da


Heider. «Perché non prendiamo una macchina sola?» chiesi mentre uscivamo
dalla porta.
Lei rispose che non voleva che si pensasse che andavamo a letto insieme.
«Però è quello che stiamo facendo», ribattei.
Ma lei volle comunque usare due auto.

KAREN : Hai idea di quanto sia facile rovinarsi la vita andando a letto con un
membro della propria band?

EDDIE: Io arrivai con Pete. A quel punto credo che fossimo gli unici due
rimasti a Topanga Canyon. Prima che lui tornasse dalla East Coast avevo la
casa tutta per me.
«Prevedo che sarà interessante», dissi mentre andavamo allo studio.
Lui mi suggerì di non prendere la cosa troppo sul serio. «È solo rock ’n’
roll», disse. «Non ha alcuna importanza.»

DAISY : Quando arrivai in sala di registrazione quel primo giorno, portai un


cestino di dolci che qualcuno mi aveva fatto recapitare al Marmont e il mio
quaderno di canzoni. Ero pronta.

EDDIE: Daisy si presentò con una canottierina sottilissima e un paio di


ridottissimi pantaloncini sfrangiati. Aveva ben poco di coperto.
DAISY : Ho caldo, è sempre stato così. Non ho intenzione di grondare di
sudore solo perché gli uomini si sentano più a loro agio. Non sono io la
responsabile della loro eccitazione. Sono loro i responsabili della propria
stronzaggine.

BILLY : A quel punto avevo una dozzina di canzoni, ed erano tutte a uno
stadio avanzato. Ma sapevo di non potermi presentare dicendo di avere già
scritto l’intero album, come avevo fatto con i primi due. Non potevo.

GRAHAM: Era quasi divertente, a dire il vero. Guardare Billy recitare la


propria parte, come se gliene fregasse qualcosa di quello che volevano gli
altri. Che Dio lo benedica, potevi vedere a occhio nudo lo sforzo che faceva.
Lo vedevi nel modo in cui parlava, lentamente, ponderando ogni parola.

DAISY : Eravamo tutti seduti, e io feci girare il mio quaderno. «Qui dentro ci
sono un sacco di buoni spunti», dissi. Avevo pensato di farlo leggere e poi
parlarne insieme.

BILLY : Io ero lì che mi sforzavo di non imporre le mie dodici bellissime


canzoni, per non dare l’impressione di voler comandare, e Daisy, l’ultima
arrivata, si aspetta che tutti leggano un intero quaderno di idee.

DAISY : Non lo sfogliò nemmeno.

BILLY : Se io e Daisy dovevamo scrivere un album insieme, dovevamo


lavorarci da soli. Non puoi coinvolgere sette persone nella creazione dei
testi. Qualcuno deve assumere il comando e controllare il processo.
E così dissi: «Ho scritto una canzone, ‘Aurora’, che è l’unica in cui credo
davvero tra quelle a cui sto lavorando per l’album. Il resto dipende da tutti
noi. Io e Daisy scriveremo altri pezzi, tutti parteciperanno agli arrangiamenti
e, quando avremo un certo numero di brani che ci piacciono, tireremo fuori il
meglio del meglio.»

KAREN : Magari sto facendo del revisionismo, ma penso che, quando Billy
suonò «Aurora», fu chiaro a tutti che avremmo potuto costruirci intorno un
album.

GRAHAM: Eravamo tutti d’accordo sul fatto che «Aurora» fosse un magnifico
punto di partenza: cazzo, era una gran canzone. A quel punto, Daisy cominciò
a proporre idee sull’album nel suo complesso.

WARREN : Scrivere non mi interessava, e quella mattina mi sembrava già una


gran perdita di tempo. Tutti lì seduti a dire cazzate inutili. Finché a un certo
punto sbottai: «Non è meglio che Daisy e Billy vadano a scrivere le canzoni
e si facciano rivedere quando hanno qualcosa?»

KAREN : Teddy fu molto risoluto. Diede a Billy un mazzo di chiavi e disse:


«Andate da me, sistematevi nella dépendance e mettetevi a scrivere. Gli altri
cominceranno a dedicarsi alla nuova canzone».

EDDIE: Billy non voleva che lavorassimo a quel pezzo senza di lui. Ma non
voleva neanche che Daisy si mettesse a scrivere canzoni da sola. Sicché
doveva scegliere: andare con Daisy e mettersi a scrivere insieme a lei o
restare con noi e lavorare all’arrangiamento del pezzo.
E scelse Daisy.

BILLY : Arrivai per primo alla dépendance di Teddy e cominciai a


sistemarmi. Mi feci un caffè, mi sedetti e diedi una scorsa ai miei appunti per
decidere cosa mostrare a Daisy.

DAISY : Quando aprii la porta, vidi che Billy era già lì, pronto a mostrarmi il
suo quaderno. Neanche un ciao. «Ecco, leggi», disse.

BILLY : Le confessai la verità. «Ho già scritto gran parte dell’album», dissi.
«Vuoi darci un’occhiata per vedere dove possiamo intervenire insieme? Se
magari ci sono dei vuoti che possiamo riempire con del materiale nuovo o
qualcosa che hai già scritto?»

DAISY : La cosa non avrebbe dovuto sorprendermi. Con lui non sarebbe mai
stato facile, giusto? Quello che feci, mi pare, fu prendere una delle bottiglie
di vino che avevo visto sul banco, stapparla, buttarmi sul divano e
cominciare a bere. «È fantastico che tu abbia già scritto un mucchio di
canzoni, Billy», dissi. «Le ho scritte anch’io. Ma quest’album lo faremo
insieme.»

BILLY : Sta bevendo vino bianco tiepido prima di pranzo e pretende di


insegnarmi come dovrebbero andare le cose? Non aveva neanche letto le mie
canzoni. Le allungai il quaderno e dissi: «Leggi, prima di dire che dovrei
buttare via tutto».

DAISY : «Allora, anche tu», ribattei. E gli sbattei in faccia il mio quaderno.
Si vedeva benissimo che non aveva nessuna voglia di leggerlo. Ma sapeva di
doverlo fare.

BILLY : Lessi le sue cose, e non erano male, ma non andavano bene per noi.
Usava una quantità di metafore bibliche. E così, quando mi chiese cosa ne
pensavo, glielo dissi. «Dovremmo usare il mio materiale come struttura
portante, e affinarlo insieme.»
Daisy era stravaccata sul divano con i piedi sul tavolino, e la sua posa già
mi infastidiva. E a quel punto disse: «Non ho intenzione di cantare tutto un
album su tua moglie, Billy».

DAISY : Camila mi piaceva molto. Ma «Señora» parlava di lei,


«Honeycomb» parlava di lei, «Aurora» parlava di lei. Era una gran barba.

BILLY : «Anche tu scrivi sempre la stessa canzone», ribattei. «Sappiamo


entrambi che ogni singolo brano di questo quaderno parla di una cosa sola.»
E a quel punto lei si inalberò. Si piantò le mani sui fianchi e chiese: «Cosa
vorresti dire?»
E io risposi: «Ogni canzone su queste pagine parla delle pillole che porti
sempre in tasca».

DAISY : Aveva quel suo sorrisetto saputo, quello che faceva quando pensava
di essere più intelligente di chiunque altro. Giuro che mi dà ancora gli
incubi, quella sua maledetta espressione. «Tu credi che tutti scrivano di
droga solo perché non ti puoi fare», gli dissi.
E lui: «Continua pure a ingoiare pillole e scriverci sopra canzoni, e
vedrai che fine farai».
Gli gettai addosso le sue pagine. «È un vero peccato che non possiamo
essere tutti morigerati e scrivere canzoni interessanti come colla da
tappezzeria. Oh, ecco una canzone su quanto amo mia moglie! E un’altra! E
un’altra ancora!»
Lui cercò di dirmi che mi sbagliavo, ma io insistetti: «Sono tutte canzoni
su Camila. Non puoi continuare a chiedere scusa a tua moglie e costringere il
gruppo ad accompagnarti».

BILLY : Davvero fuori luogo.

DAISY : «Buon per te che ti sei creato un’altra dipendenza», proseguii. «Ma
non è un mio problema, non è un problema della band e nessuno ha voglia di
sentirlo.» Glielo si poteva leggere in faccia: sapeva che avevo ragione.

BILLY : Si credeva così brillante solo perché aveva capito che avevo
sostituito la mia dipendenza. Come se non lo sapessi, che mi aggrappavo
all’amore per le mie ragazze per non ricadere negli eccessi. E questo mi fece
imbestialire ancora di più, che lei pensasse di conoscermi meglio di quanto
conoscessi me stesso.
«Vuoi sapere qual è il tuo problema?» dissi. «Credi di essere una
poetessa, ma sai solo parlare di droga, non hai nient’altro da dire.»

DAISY : Billy è una di quelle persone dalla lingua affilata: è capace di


esaltarti, ma anche di distruggerti.

BILLY : «Non ho bisogno di queste stronzate», disse. E se ne andò.

DAISY : Andai dritta verso la mia auto, sempre più incazzata a ogni passo che
facevo. Ai tempi avevo una Mercedes Benz rosso ciliegia. Mi piaceva da
morire, quella macchina. Finché non la distrussi lasciandola in folle in cima
a una collina.
In ogni caso, quel giorno mi incammino verso la Benz, ho già le chiavi in
mano e sto per mettere la maggior distanza possibile tra me e Billy, quando
mi rendo conto che, se me ne vado, lui non farà altro che scrivere l’album da
solo. E così faccio dietrofront e dico: «Neanche per sogno, stronzo».

BILLY : Quando la vidi tornare, rimasi davvero sorpreso.

DAISY : Rientrai nella dépendance, mi sedetti sul divano e dissi: «Non


rinuncerò all’occasione di scrivere un grande album solo a causa tua.
Facciamo così. Le mie cose ti fanno schifo, le tue fanno schifo a me.
Buttiamo via tutto e ricominciamo da zero».
«‘Aurora’ non si tocca», ribatté Billy. «Farà parte dell’album.»
«D’accordo», accettai. Poi raccolsi una delle altre canzoni, gliela agitai
in faccia e dissi: «Ma non questa merda».

BILLY : Forse quella fu la prima volta in cui mi resi conto che al mondo non
esiste… non c’è nessuno più attaccato di Daisy al proprio lavoro. Daisy ci
teneva più di chiunque altro. Era pronta a metterci l’anima. Malgrado tutte le
difficoltà che cercavo di crearle.
Pensai anche a Teddy, a quando mi aveva detto che grazie a lei avremmo
riempito gli stadi. E così le dissi: «D’accordo». E ci stringemmo la mano.

DAISY : Simone diceva sempre che le droghe fanno invecchiare le persone,


ma, mentre stringevo la mano a Billy, vidi che aveva zampe di gallina agli
angoli degli occhi, macchie sulla pelle e un che di stagionato, eppure non
poteva avere più di ventinove o trent’anni. Non sono le droghe a farti
sembrare vecchio, pensai, è la sobrietà.

BILLY : Non era così facile pensare di scrivere insieme dopo esserci detti
quello che ci eravamo detti.

DAISY : Volevo pranzare prima di mettermi al lavoro. Non avevo intenzione


di sottopormi alla tortura di scrivere con lui senza un hamburger in corpo.
Proposi di prendere la mia macchina e andare all’Apple Pan.
BILLY : Appena prima che si mettesse al volante, le presi le chiavi e dissi che
non le avrei permesso di guidare. Era già mezza ubriaca.

DAISY : Mi ripresi le chiavi e gli dissi che, se aveva tanta voglia di guidare,
potevamo andare con la sua auto.

BILLY : Salimmo sulla Firebird e proposi di andare da El Carmen. «È più


vicino.»
«Io vado all’Apple Pan», fece lei. «Se vuoi andare da El Carmen, vacci
da solo.»
Era incredibile quanto faceva la difficile.

DAISY : Una volta me la prendevo, quando gli uomini mi accusavano di fare


la difficile. Sul serio. Ma poi ho smesso. Molto meglio così.

BILLY : Ci avviamo e accendo la radio. Daisy cambia immediatamente


stazione. Io rimetto quella di prima. Lei la ricambia. «La macchina è mia,
Cristo santo», sbottai.
«E le orecchie sono mie», ribatté lei.
Alla fine misi una cassetta Stereo 8 dei Breeze e feci partire «Tiny Love».
Daisy scoppiò a ridere.
«Cosa c’è di così divertente?» chiesi.
«Ti piace questa canzone?» fece lei.
Perché avrei dovuto mettere una canzone che non mi piaceva?

DAISY : «Non sai niente di questa canzone!» esclamai.


«Cosa c’è da sapere?» chiese lui. Sapeva che l’aveva scritta Wyatt Stone,
ovviamente. Ma il resto lo ignorava.
«Io stavo con Wyatt Stone», dissi. «E questa canzone l’ho scritta io.»

BILLY : «‘Tiny Love’ sei tu?» domandai. E lei cominciò a raccontarmi della
storia con Wyatt e di come le erano venuti quei versi: «Big eyes, big soul /
Big heart, no control / But all she got to give is tiny love». Adoravo il
ritornello di quel pezzo. L’avevo sempre amato.
DAISY : Billy mi stava ascoltando. Mi ascoltò per tutto il tragitto fino al
ristorante, mentre guidava. Forse per la prima volta da quando ci siamo
conosciuti.

BILLY : Se avessi scritto dei versi come quelli e qualcuno me li avesse


rubati, me la sarei presa anch’io.
Dopo aver saputo quella storia, riuscii a capirla di più. E onestamente mi
fu più difficile continuare a ripetermi che non aveva talento. Perché era
chiaro che ce l’aveva. E all’improvviso la realtà dei fatti mi divenne chiara.
Quella vocetta che ti bisbiglia in sottofondo: Ti sei comportato da stronzo.

DAISY : Mi faceva ridere il fatto che per Billy avessi bisogno di una
motivazione per voler dire la mia sull’arte che creavo. «Ottimo, allora»,
dissi. «Adesso che ci sei arrivato, magari puoi smetterla di comportarti
come una testa di cazzo.»

BILLY : Daisy sapeva essere sferzante, quando te lo meritavi. E se prendevi


le sue parole con lo spirito giusto… non era poi così male.

DAISY : Ci sedemmo al banco, e io ordinai per entrambi e rimisi a posto i


menu. Volevo solo dargli una piccola lezione. Che imparasse ad accettare
una situazione in cui ero io a decidere.
Ma naturalmente lui non riuscì a resistere. «Avrei ordinato comunque
l’hickory burger», disse. Da quel giorno, credo di avere alzato gli occhi al
cielo più o meno altre cinquemila volte per colpa di Billy Dunne.

BILLY : Dopo avere ordinato, decisi di proporre un giochino. «Che ne dici se


ci facciamo una domanda a testa?» proposi. «E nessuno dei due può evitare
di rispondere?»

DAISY : Gli risposi che ero un libro aperto.

BILLY : «Quante pillole prendi al giorno?» domandai.


Lei si guardò intorno, giocherellando con la cannuccia. Poi mi fissò e
chiese: «Nessuno dei due può evitare di rispondere?»
«Dobbiamo riuscire a dirci la verità, a essere onesti riguardo a chi
siamo», dissi. «Altrimenti come possiamo scrivere insieme?»

DAISY : Era disposto a scrivere con me. Quello fu il messaggio che recepii.

BILLY : Le rifeci la domanda: «Quante pillole prendi al giorno?»


Lei abbassò gli occhi, poi li rialzò su di me e rispose: «Non lo so».
Feci un’espressione scettica, ma Daisy sollevò le mani e proseguì: «No,
sul serio, è la verità. Non lo so. Non tengo il conto».
«E non pensi che sia un problema?» chiesi.
«Tocca a me, giusto?» ribatté lei.

DAISY : «Che cos’ha di così speciale Camila che non riesci a scrivere
d’altro?» domandai.
Lui rimase a lungo in silenzio.
«Coraggio, adesso che hai fatto rispondere me, non puoi sottrarti», dissi.
«Un attimo, ti spiace?» fece lui. «Non sto cercando di sottrarmi a niente.
Sto solo riflettendo sulla risposta.»
Lasciò passare un altro paio di minuti, poi riprese: «Penso di non essere
l’uomo che Camila crede che sia. Ma vorrei esserlo, lo vorrei tanto.
Restando accanto a lei, e sforzandomi ogni giorno di essere l’uomo che lei
vede, forse posso arrivarci vicino.»

BILLY : Daisy mi guardò e disse: «Oh, porca puttana».


«Cos’ho detto stavolta per farti incazzare?» le chiesi.
«In te ci sono tante cose da odiare quante ce ne sono da apprezzare. È
irritante», rispose.

DAISY : «Adesso tocca a me», disse Billy.


«Spara», ribattei.

BILLY : «Quando la pianterai con le pillole?» chiesi.

DAISY : «Ma perché sei così ossessionato da queste cazzo di pillole?»


risposi io.
BILLY : Le dissi la verità. «Nostro padre beveva, ed era completamente
assente dalla nostra vita. Io non avrei mai voluto essere come lui, ma poi la
prima cosa che faccio quando divento padre è lasciarmi incasinare da quella
merda, la stessa che stai prendendo tu, ma anche l’eroina, purtroppo, e
tradisco la mia bambina. Non c’ero nemmeno il giorno in cui è nata. Ero
diventato esattamente quello che avevo sempre odiato. E se non fosse stato
per Camila, probabilmente lo sarei ancora oggi. Probabilmente avrei fatto in
modo che tutti i miei incubi peggiori si avverassero. Ecco, io sono questo.»

DAISY : «È come se alcuni di noi rincorressero i propri incubi allo stesso


modo in cui gli altri rincorrono i sogni», dissi.
E lui: «È una canzone perfetta».

BILLY : Non me l’ero lasciata dietro, la mia dipendenza. Continuavo a


sperare che un giorno avrei sentito di avercela fatta. Di non avere più
bisogno di guardarmi continuamente alle spalle. Ma quel giorno non esiste,
quanto meno per me. È una battaglia che devi combattere di continuo, e certi
giorni sono meglio di altri. Daisy lo rendeva più difficile, tutto qui.

DAISY : Pagavo il prezzo per le parti di se stesso che non gli piacevano.

BILLY : «Sicché, se fossi morigerata, ti piacerei di più?» chiese lei.


«Apprezzerei di più la tua compagnia», risposi. «Sì, è probabile.»
E lei: «Be’, te lo puoi scordare. Io non cambio per nessuno».

DAISY : Finii il mio hamburger, lasciai giù un po’ di soldi e mi alzai. «Dove
stai andando?» chiese Billy.
«Torniamo da Teddy», risposi. «Scriveremo la canzone su quelli che
rincorrono gli incubi.»

BILLY : Afferrai le chiavi della macchina e la seguii fuori.

DAISY : Mentre tornavamo da Teddy, mi fece sentire una melodia che gli
girava in testa. Eravamo fermi a un semaforo, e lui picchiettava le dita sul
volante e canticchiava.
BILLY : Avevo in mente un ritmo alla Bo Diddley. Era una cosa che volevo
provare.

DAISY : «Puoi pensare a qualcosa partendo da questo?» domandò.


Gli risposi che potevo fare tutto. Appena arrivati da Teddy, buttai giù
alcuni versi, e lui fece lo stesso. Dopo una mezz’oretta avevo già qualcosa
da mostrargli, ma Billy disse che aveva bisogno di più tempo. Rimasi lì ad
aspettare che finisse.

BILLY : Continuava a girarmi intorno. Voleva farmi vedere quello che aveva
scritto. Alla fine sbottai: «Ti vuoi levare dalle palle?»
Poi mi resi conto che, considerato quanto l’avevo trattata male in passato,
dovevo mettere in chiaro che le avrei parlato nello stesso modo che avrei
riservato a Graham o a Karen. E così le dissi: «Per favore, puoi levarti dalle
palle? Va’ a prendere un doughnut o qualcos’altro».
«Ho già mangiato un hamburger», rispose lei. Fu allora che realizzai che
Daisy mangiava solo una volta al giorno.

DAISY : Entrai in casa di Teddy scassinando la serratura, presi in prestito un


telo da bagno e il costume di Yasmine, la sua compagna, e andai in piscina.
Ci rimasi abbastanza a lungo da farmi raggrinzire i polpastrelli. Poi rientrai
in casa, misi il costume in lavatrice, feci una doccia e tornai nella
dépendance. Billy stava ancora scrivendo.

BILLY : Mi raccontò cosa aveva fatto e io commentai: «Non è il massimo che


tu abbia usato il costume di Yasmine». Lei fece spallucce.
«Avresti preferito che facessi il bagno nuda?» chiese.

DAISY : Presi le sue pagine e gli diedi le mie.

BILLY : Nei suoi versi ricorreva l’immagine dell’oscurità: correre verso il


buio, rincorrere il buio.

DAISY : Dal punto di vista della struttura, i suoi versi erano meglio dei miei.
Ma non aveva ancora trovato un bel ritornello, e io invece pensavo di
esserci arrivata. Gli mostrai la parte che mi piaceva di più di ciò che avevo
scritto e gliela cantai con la melodia che mi aveva fatto sentire. Glielo lessi
in faccia: si era reso conto che suonava bene.

BILLY : Fu un lungo tira e molla, con quella canzone. Ne parlammo per ore,
sperimentando melodie con la chitarra.

DAISY : Credo che la versione finale non contenga nemmeno uno dei versi
originari.

BILLY : Ma quando finalmente la cantammo, dopo avere deciso il testo,


assegnato le parti vocali e affinato la melodia e la sua interazione con il
resto, quando cominciammo a cantarla insieme e a perfezionarla… be’, era
venuta fuori una gran bella canzone.

DAISY : Teddy entrò dalla porta ed esclamò: «Cosa diavolo fate ancora qui?
È quasi mezzanotte».

BILLY : Non mi ero reso conto di quanto fosse tardi.

DAISY : «A proposito», mi domandò Teddy, «sei per caso entrata in casa mia
e hai usato il costume da bagno di Yasmine?»
«Sì», ammisi.
«Preferirei che non lo rifacessi», disse lui.

BILLY : Stavo per togliere il disturbo, ma a un tratto pensai: Perché non gli
facciamo sentire quello che abbiamo scritto? E così Teddy si sedette sul
divano e noi davanti a lui.
Cominciai a dire: «Non è ancora la versione finale, l’abbiamo giusto
buttata giù eccetera eccetera…»

DAISY : «Smettila, Billy», lo interruppi. «È una bella canzone. Niente


giustificazioni.»
BILLY : Gliela suonammo, e alla fine Teddy disse: «Sicché è questo che viene
fuori quando giocate nella stessa squadra?»
Io e Daisy ci scambiammo un’occhiata. «Ehm, sì», risposi.
«Be’, allora sono proprio un genio», fece lui. E si mise a ridere, fiero di
se stesso.

DAISY : Era come se avessimo stabilito tutti insieme di non parlare del fatto
che Billy aveva bisogno dell’approvazione di Teddy come un figlio ha
bisogno di quella di un padre.

BILLY : Quando me ne andai, mi precipitai a casa, perché era tardi e mi


sentivo in colpa. Al mio rientro, trovai le bambine già a letto e Camila
seduta sulla sedia a dondolo in salotto. Guardava la televisione a basso
volume, e subito alzò gli occhi su di me. Cominciai a scusarmi, ma lei mi
interruppe: «Non sei fatto né ubriaco, giusto?»
«Certo che no», risposi. «Stavo scrivendo e ho perso la cognizione del
tempo.»
E la cosa finì lì. Non le importava che non l’avessi avvertita. L’unica
cosa che contava era che non ci fossi ricascato. Nient’altro.

CAMILA : È difficile da spiegare, perché credo davvero che sfidi la logica.


Ma lo conoscevo a sufficienza da sapere che potevo fidarmi di lui. E sapevo
che tra noi sarebbe andato tutto bene, indipendentemente dagli sbagli che lui,
o io stessa, avremmo potuto commettere.
Non so se avrei creduto in quel tipo di certezza prima di provarla. Prima
di decidere di concederla a Billy. E concedendola a lui, la accordavo anche
a me stessa. Ma dire a qualcuno: «Qualsiasi cosa tu faccia, tra noi non
finirà…» Non lo so. Mi rilassava farlo.

BILLY : Nelle settimane in cui io e Daisy scrivemmo insieme, continuai a


lavorare fino a tardi, a seconda di quello che c’era da fare. Mi trattenevo
fuori con Daisy per tutto il tempo necessario. E ogni sera, al mio ritorno,
trovavo Camila sulla sedia a dondolo. Si alzava, lasciava che mi mettessi al
suo posto e poi mi si sedeva in braccio, mi posava la testa sul petto e mi
chiedeva: «Com’è andata la tua giornata?»
Io le riferivo gli episodi più eclatanti, poi mi facevo raccontare di lei e
delle bambine. E dondolavo la sedia finché ci appisolavamo.
Una sera la presi in braccio, la portai a letto e le dissi: «Non è necessario
che mi aspetti ogni sera».
«È quello che voglio», rispose lei nel dormiveglia. «Mi piace farlo.»
E sai una cosa? Non c’è folla in delirio, non c’è copertina di rivista che
mi abbia mai fatto sentire importante come riusciva a fare Camila. E credo
che per lei fosse lo stesso, davvero. Le piaceva avere un uomo che scriveva
canzoni su di lei e la portava a letto in braccio.
GRAHAM: Mentre Billy scriveva con Daisy, per la prima volta il resto del
gruppo aveva la possibilità di comporre qualcosa.

KAREN : «Aurora» era una grande canzone con una bellissima struttura di
base, e ci divertimmo tutti un mondo a darle corpo.
Billy aveva una concezione più spartana delle tastiere, ma io volevo
provare suoni più ricchi, più di atmosfera. E così, quando ci mettemmo al
lavoro su «Aurora», inserii quelle toniche e quinte sostenute. Per mantenere
un po’ di dinamicità, spezzavo un po’ gli accordi tematici, ma tenevo il
pedale per rendere gran parte dei bassi, passando dallo staccato al legato.
Le variazioni di tastiera portarono Pete a variare quelle di basso. A quel
punto è il basso a farti battere il piede, mentre la chitarra ritmica fa viaggiare
il tutto.

EDDIE: Volevo fare qualcosa di più veloce, propulsivo. Mi piaceva molto


l’ultimo album dei Kinks, e volevo andare più in quella direzione. Warren
avrebbe dovuto pestare più forte, avremmo dovuto usare basso e batteria in
controtempo. E mi era anche venuta in mente una semplice intro di batteria.
Avevamo creato un gran bel sound.

GRAHAM: Billy passò dallo studio, non ricordo più che giorno era, e disse
che voleva sentire quello che avevamo pensato per «Aurora».

EDDIE: Gliela suonammo. In realtà non eravamo ancora organizzati per farlo,
non avevamo registrato niente, ma la suonammo per lui.
BILLY : Quell’arrangiamento non mi sarebbe venuto in mente neanche in un
milione di anni. Mentre ascoltavo, riuscivo a malapena a mantenere una
maschera di neutralità. Era tutto strano, sbagliato, fastidioso. Come quando
cerchi di infilarti le scarpe di un altro.
Ogni singola cellula del mio corpo mi stava dicendo: Questo non sono io.
Così non va bene. Devo intervenire all’istante.

GRAHAM: Capii subito che non gli piaceva per niente.

KAREN : No, non gli piaceva proprio. [Ride] Gli faceva schifo.

ROD : Teddy lo prese in disparte e lo portò a fare un giro in macchina.

BILLY : Mi fece salire sulla sua auto e andammo a pranzo, o forse a cena. Ero
immerso nei miei pensieri, continuavo a sentire la mia canzone che veniva
rovinata.
L’istante in cui ci sedemmo a tavola feci per parlare, ma Teddy alzò la
mano per fermarmi. Prima voleva ordinare. Scelse praticamente tutto quello
che c’era di fritto sul menu. Se una cosa era coperta di pastella, Teddy la
mangiava.
«Okay, sputa il rospo», disse quando la cameriera si fu allontanata.
«Secondo te suona bene?» chiesi.
«Secondo me sì», rispose.
«Non credi che dovrebbe essere un po’ meno… congestionata?» insistetti.
«Sono musicisti di talento», disse Teddy. «Esattamente come te. Lascia
che ti mostrino quello che da solo non riesci a vedere nel tuo materiale.
Aspetta che mettano giù tutte le tracce. A quel punto tu e io potremo togliere
dove sarà necessario, addolcire e tutto il resto. E, se saremo costretti a farli
tornare uno alla volta per sovraincidere, faremo anche quello. Se necessario,
potremo cambiare la canzone pezzo per pezzo. Ma la spina dorsale? Sì,
penso che stiano facendo un ottimo lavoro.»
Ci riflettei, e sentii una gran pressione sul petto. Ma alla fine mi arresi.
«E va bene, mi fido di te.»
E Teddy ribatté: «Bene. Ma devi fidarti anche di loro».
ROD : Quando tornò, Billy aveva poche, semplici osservazioni da fare. Tutte
costruttive.

KAREN : Billy cambiò un’ottava, voleva che passassi da una ripetizione di


tonica e quinta a una di tonica, quarta e quinta. Ma, in generale, fu molto
positivo.

GRAHAM: Non saremmo mai arrivati alla prima versione di quella canzone
se le cose fossero andate come voleva Billy. Però, con il coinvolgimento di
tutti, ci stavamo evolvendo.

BILLY : Decisi che su ogni canzone di quell’album avrei dato solo le


indicazioni strettamente necessarie. Perché poi ci sarei tornato sopra con
Teddy in fase di mixaggio, e a quel punto avrei potuto affinare il tutto.

DAISY : Quando andai allo studio e sentii la prima versione di «Aurora»,


rimasi senza fiato per l’emozione. Io e Billy provammo le linee di canto e
trovammo un bell’equilibrio.

ARTIE SNYDER : Sistemammo i microfoni per tutti. Avremo cambiato un


migliaio di posizioni, prima di trovare quella giusta. Karen e Graham erano
su un lato, Pete e Warren in fondo, Eddie un po’ avanti e Billy e Daisy nelle
loro cabine, da dove però potevano vedere tutti.
Teddy era in sala mixer accanto a me. Fumava una sigaretta dopo l’altra,
facendo cadere la cenere sulla mia consolle. Io la spazzavo via e lui ne
faceva cadere un altro po’.
«Okay», dissi quando fu tutto al posto giusto. «‘Aurora’, primo take.
Qualcuno dia il tempo.»

DAISY : La suonammo per intero, dalla prima all’ultima nota. Tutti insieme,
un sacco di volte. Come una vera band.
A un certo punto guardai Billy, scambiai un sorriso con lui e pensai: Sta
succedendo davvero. Facevo parte di un gruppo. Ero una di loro. Noi sette e
la nostra musica.
BILLY : Quando cominciammo a cantare, mi ci volle un po’ per scaldarmi, ma
Daisy ci arrivò subito. Era proprio… Daisy era un vero talento naturale. Se
te la ritrovavi contro, una come lei era davvero fastidiosa. Ma se giocava
nella tua squadra… accidenti. Un fenomeno.

ARTIE SNYDER : Non avevo ancora bene in mente i suoni dell’album, e la


mia squadra stava ancora perfezionando la disposizione dei microfoni. Le
prime versioni di «Aurora» erano un po’ «inscatolate», e io ero concentrato
su quello. Quando cominci a lavorare su un album, con persone nuove e
suoni diversi, in uno studio nuovo e tutto il resto… devi trovare i livelli
giusti, i microfoni giusti. E io ero maniacale, su certe cose. Finché il suono
non usciva pulito dalle casse, non riuscivo a concentrarmi su nient’altro.
Ma anche tenendo conto di questo, ripensandoci non posso credere che
non avessi idea di cosa stava succedendo. Del fatto che stavamo facendo un
disco epocale. Eppure non ne avevo idea.

DAISY : Sapevo che avrebbe sfondato. Sono convinta di averlo saputo fin da
allora.
DAISY : Qualche giorno dopo, mi sembra che fosse il fine settimana, ero al
Marmont e stavo dando una scorsa al mio quaderno quando trovai una
canzone di Billy tra le mie. Una di quelle che aveva scritto per l’album:
«Midnights». Mi sembra che allora si intitolasse ancora «Memories».
Dovevo averla presa per errore a casa di Teddy. La rilessi, probabilmente
una decina di volte di fila.
Era fin troppo sdolcinata, tutta sui ricordi felici di Billy con Camila. Ma
lì in mezzo c’erano dei bei versi. E così cominciai a scribacchiarci sopra. A
sperimentare.

BILLY : Quando ci rivedemmo da Teddy, Daisy mi ridiede «Midnights».


L’avevo scritta durante l’estate, ed era abbastanza semplice. Ma adesso era
piena di scarabocchi a penna, tanto che riuscivo a malapena a decifrare le
parole. «Cos’hai fatto alla mia canzone?» chiesi reggendo il foglio in mano.

DAISY : Gli risposi che era un ottimo pezzo. «Aveva solo bisogno di un
pizzico di tristezza.»

BILLY : «Capisco cosa intendi», ribattei, «ma non riesco a capire cos’hai
scritto.» Lei perse la pazienza e mi strappò il foglio di mano.

DAISY : A quanto pareva, gliela dovevo leggere io. Feci per recitare il primo
verso, ma poi mi resi conto che era un’idiozia. «Suonala come l’hai scritta»,
gli dissi.

BILLY : Presi la chitarra e cominciai a suonare e cantare.


DAISY : Appena me ne fui fatta un’idea, lo interruppi.

BILLY : Mi fermò posando la mano sul manico della chitarra. «Ho capito»,
disse. «Ricomincia dall’inizio e ascolta.»

DAISY : Gli cantai la sua canzone con le mie modifiche.

BILLY : Quella che era una canzone sui ricordi più belli divenne una canzone
su quello che riesci e non riesci a ricordare. Bisognava ammetterlo, era più
sottile, più complessa. Molto più aperta alle interpretazioni.
Era simile a quello che mi ero prefisso di fare scrivendola, solo… [Ride]
Era meglio di quello che mi era venuto fuori, francamente.

DAISY : In realtà, non avevo cambiato molto. Avevo solo aggiunto l’elemento
di ciò che non ricordi per dare risalto a quello che ricordi. E l’avevo
modificata per includere una seconda voce.

BILLY : Quando finì di cantarla, ero gasatissimo.

DAISY : Si mise immediatamente al lavoro. Mi prese il foglio, afferrò la


penna e cominciò a scrivere. Fu così che mi resi conto che gli era piaciuta.
Alla fine, avevamo preso una canzone su Camila e l’avevamo trasformata
in qualcosa di molto più profondo.

BILLY : La facemmo sentire agli altri giù allo studio. Io, lei e una chitarra, nel
salottino.

GRAHAM: La canzone mi piaceva. Io e Billy cominciammo a parlare di un


assolo durante il bridge. Eravamo d’accordo.

EDDIE: «Bella», dissi. «Mi metto subito al lavoro sulla mia parte.»
«Be’, la tua parte è già scritta», fece Billy. «È quella che ho appena
suonato.»
«Fammici lavorare un po’», insistetti.
«Non c’è da lavorarci», ribatté lui. «Io e Daisy l’abbiamo scritta e
riscritta. Dammi retta, suonala come l’ho suonata io.»
«Non voglio suonarla come l’hai suonata tu», protestai.
Lui mi diede una pacca sulla spalla e disse: «Va bene così. Suonala come
l’ho suonata io».

BILLY : La parte di chitarra ritmica era già pronta, ma mi arresi lo stesso: «E


va bene, vedi cosa riesci a inventare». Ora della registrazione, Eddie
sarebbe tornato esattamente a quello che avevo suonato io.

EDDIE: La cambiai un po’. La sua versione non era perfetta. Non c’era un
unico modo di suonarla, quella canzone, e così la modificai. E funzionava
meglio. Sapevo come avrei dovuto suonare i miei riff, sapevo come avrebbe
funzionato. Si era detto che tutti potevamo dire la nostra, e fu quello che feci.

BILLY : È davvero frustrante, quando hai perfettamente chiaro cosa fare, ma


devi fingere di apprezzare le idee altrui, pur sapendo che alla fine tornerete
alla tua soluzione. Ma questo è il prezzo da pagare quando si lavora con una
persona come Eddie Loving. Se non è convinto che sia tutto una sua idea, non
c’è verso.
E in realtà la colpa è mia. Avevo promesso che ciascuno avrebbe avuto
voce in capitolo, e non avrei dovuto. Perché non è un sistema sostenibile.
Guarda Springsteen. Springsteen sa sempre cosa fare. Io invece dovevo
starmene in silenzio e fingere che uno come Eddie Loving sapesse meglio di
me come suonare la chitarra nelle canzoni che io avevo scritto con la
chitarra.

KAREN : Allora non mi accorsi delle tensioni tra Eddie e Billy per quel
pezzo. Ne sarei stata messa al corrente più avanti da entrambi, ma al
momento ero… distratta.

GRAHAM: Sai cos’è una delle cose più belle al mondo? Fare l’amore con la
tua ragazza nello sgabuzzino dello studio mentre gli altri registrano, in un
silenzio così assoluto che potresti sentir cadere uno spillo.
Quello sì che era fare l’amore. La sensazione di amare. Di essere le
uniche due persone al mondo che contano. Io e Karen. Sentivo di poterle
mostrare quanto l’amavo, in quello sgabuzzino, senza dire una parola.

WARREN : Mentre provavamo «Midnights», Daisy mi si avvicinò e suggerì di


suonare il bridge senza batteria, e io ci riflettei un istante e poi dissi:
«Ottima idea». Io e Daisy andavamo molto d’accordo, in quel senso.
Eravamo più o meno i soli che riuscivano a non tirare sempre in ballo il loro
ego.
Una volta le dissi che a sentirla cantare «Turn It Off» sembrava che fosse
in calore, e lei rispose: «So cosa intendi. Magari dovrei trattenermi un po’
sul ritornello». Senza alcun problema.
Certe persone non si percepiscono come una reciproca minaccia. E certe
altre si sentono minacciate di continuo. È così che va il mondo.

ROD : Cominciai a fare qualche calcolo. Avremmo potuto sostituire Eddie, se


fossimo stati costretti a farlo? Pete se ne sarebbe andato insieme a lui? Che
cosa avrebbe significato per il gruppo? Lo ammetto, cominciai a sondare il
terreno. E a riflettere sull’eventualità che Billy suonasse le parti di Eddie.
Avevo capito l’antifona.
In realtà, per come andarono le cose, non l’avevo capita bene. Ma
l’antifona c’era, eccome.

WARREN : Essere fieri di aver previsto che Eddie avrebbe lasciato il gruppo
è come essere fieri di aver previsto il sorgere del sole il giorno prima di un
disastro nucleare. Ottima intuizione, amico. Ma non ti eri accorto che il
mondo stava per finire?

DAISY : A fine giornata, mentre usciva, Billy mi disse: «Grazie per come hai
trasformato questa canzone».
Io risposi qualcosa di generico, tipo: «Figurati».
Ma Billy si fermò e mi posò una mano sul braccio con aria risoluta. «Sul
serio. L’hai resa una canzone migliore», disse.
Io… Significava molto per me. Moltissimo. Forse troppo.
BILLY : Stavo cominciando a capire, grazie a Teddy, che a volte quando
collabori con qualcuno ottieni cose artisticamente più profonde. Non è
sempre così. Ma con Daisy… lo era.
Dovevo riconoscerlo. Con lei, allora, lo era.

DAISY : Sentivo davvero di capirlo. E penso che lui capisse me. Sai, in quei
casi, quando si crea quel genere di rapporto tra due persone, è un po’ come
scherzare con il fuoco. Perché è una bella sensazione, essere capiti. Ti senti
in sintonia, ti senti a un livello che nessun altro riesce a raggiungere.

KAREN : Penso che le persone troppo simili tra loro non vadano bene l’una
per l’altra. Una volta ero convinta che due anime gemelle dovessero essere
uguali. Pensavo di dover cercare una persona come me.
Ormai non credo più nell’anima gemella, e non cerco più nulla. Me se ci
credessi, direi che l’anima gemella è quella persona che ha in sé tutto quello
che tu non hai, e che ha bisogno di quello che hai. Non una persona che porta
dentro le tue stesse sofferenze.
ROD : Stavamo registrando «Chasing the Night». Il gruppo ci aveva lavorato
durante il giorno e, visto che al momento non c’era bisogno di lei, Daisy se
ne andò.

DAISY : Avevo invitato un po’ di gente nel mio cottage. Amici attori e un paio
di conoscenze dello Strip. Una festicciola in piscina.

ROD : Le avevo detto di tornare più tardi, per registrare qualche versione
delle parti vocali sue e di Billy. Avrei dovuto essere più severo nel fissare
dei paletti riguardo agli orari di lavoro. In realtà, non avevamo orari
prestabiliti. Era tutto un po’ caotico.
Ma Daisy avrebbe dovuto ripresentarsi in studio per le nove.

BILLY : Io e Graham stavamo provando qualche giro di chitarra, mettendone


giù alcuni, tornandoci sopra e cercando di capire quelli che preferivamo.

ARTIE SNYDER : Era divertente lavorare con Billy e Graham, quando erano
solo loro due. A volte avevano un linguaggio tutto loro. Ma avevo la
sensazione di capire dove volevano arrivare. Comunque, mi chiedevo come
facessero. Se io avessi dovuto lavorare con mio fratello, ne sarei uscito
pazzo.

BILLY : Mi sono sempre considerato fortunato ad avere un fratello con il


talento di Graham. Le sue idee erano sempre buone. Lavorare con lui era
facile. La gente mi diceva di continuo: «Non so come fai a lavorare con tuo
fratello». Ma in realtà non sapevo come me la sarei potuta cavare in
qualsiasi altro modo.
DAISY : Si stava facendo tardi, e a un certo punto si presenta Mick Riva.
Abitava anche lui al Marmont. Ai tempi era sulla quarantina, mi pare.
Sposato chissà quante volte, cinque figli o giù di lì. Ma alle serate era
scatenato come un diciannovenne. Era ancora ai primi posti in classifica, e
lo adoravano tutti.
Avevo già passato qualche serata con lui, e si era sempre comportato
bene. Ma era un vero… Era sempre attorniato da un sacco di groupie. E
riusciva immancabilmente a far degenerare una festa.

ROD : Billy e Graham finirono di registrare intorno alle otto, e Graham se ne


andò. Io e Billy decidemmo di andare a mangiare qualcosa. Ma quando
tornammo, pochi minuti dopo le nove, Daisy non era ancora arrivata.

DAISY : Tutt’a un tratto il mio cottage traboccava di gente. Mick aveva


praticamente invitato tutti quelli che conosceva. Aveva ordinato bottiglie di
liquore al bar dell’albergo, pagandole di tasca sua.
E così persi la cognizione del tempo. E dimenticai cosa stavo facendo. Sa
Dio cos’avevo preso. Ricordo solo champagne e cocaina. Era una di quelle
feste. Le migliori. Champagne e coca e bikini in piscina, finché non ci
rendemmo conto che le droghe ci stavano ammazzando, e il sesso pure.

BILLY : Aspettammo un’ora prima di cominciare a preoccuparci. Stiamo


parlando di Daisy, una che quando arriva puntuale è per puro caso.

SIMONE: Ero tornata a L.A. per registrare una puntata di American


Bandstand. Io e Daisy avevamo in programma di vederci. Arrivai a casa sua
intorno alle dieci. Era piena di gente. Vidi Mick Riva che pomiciava con due
ragazze che non potevano avere più di sedici anni. Daisy era su una sdraio,
con un bikini bianco come se stesse prendendo il sole, e con un paio di
occhiali scuri malgrado fosse buio pesto.

DAISY : Non ricordo nulla di quanto accadde dopo l’arrivo di Simone.

ROD : Teddy e Artie se ne andarono. Non erano in pensiero per lei. Ma io mi


sentivo responsabile. Non era da lei mancare una sessione.
SIMONE: «Daisy, è arrivato il momento di spedire tutti a casa», le dissi. Ma
lei non mostrò neanche di avermi sentita. Scattò su a sedere e chiese: «Ti ho
fatto vedere il caftano che mi è arrivato dall’atelier di Thea Porter?»
«No», dissi.
Si alzò e corse nel cottage, e io la seguii. La sala era piena di gente, ma
erano tutti occupati a fare Dio sa cosa e non le prestarono attenzione.
Entriamo in camera, e sul letto ci sono due uomini che fanno sesso. Era come
se casa sua non appartenesse più a lei. Daisy passa davanti ai due uomini, va
all’armadio e tira fuori l’abito, il caftano. È un misto di colori: oro, rosa,
verde-blu e grigio. Una meraviglia. Era così bello che a guardarlo ti
spezzava il cuore. Velluto, broccato, chiffon e seta.
«È bello da mozzare il fiato», dissi.
Per tutta risposta, Daisy si sfila il costume da bagno davanti a tutti.
«Cosa stai facendo?» le chiedo.
Lei indossa il caftano, ruota su se stessa e dice: «Mi sento come uno
spirito dei boschi. Come una ninfa delle acque».
E poi… non so cosa dirti. Un attimo prima è lì davanti a me, l’istante
successivo è già lontana, sta correndo verso la piscina, e ci entra un gradino
alla volta, con addosso quel bellissimo caftano. Avrei potuto ucciderla. Quel
vestito era un’opera d’arte.
Quando la raggiunsi, si era messa a galleggiare sulla schiena, da sola in
piscina, e tutti la guardavano. Non so chi sia stato a scattare la foto. Ma
credo che sia la mia foto preferita di Daisy. Sembra completamente se
stessa. Il modo in cui galleggia stendendo le braccia all’infuori, e il vestito
insieme a lei. Il cielo è scuro, ma le luci della piscina sono accese, e il
caftano e il suo corpo sono luminosi. E lei ha questa espressione sul volto…
come se stesse sorridendo all’obiettivo. Mi emoziona ogni volta che la vedo.

ROD : La chiamai almeno una decina di volte al Marmont, ma non rispondeva


nessuno. «Vado a controllare che stia bene», dissi a Billy.

BILLY : Daisy adorava il lavoro in sala di registrazione. Era palese. L’unico


motivo per cui avrebbe potuto lasciarsi sfuggire l’occasione di registrare una
sua canzone era se fosse stata fatta al punto da non rendersi più conto di
niente.
È una sofferenza tenere a qualcuno più di quanto quel qualcuno tenga a se
stesso. È una storia di cui conosco entrambi i lati della medaglia.
Io e Rod andammo al Marmont. Non era lontano: arrivammo al cottage in
una quindicina di minuti. Cominciammo a chiedere dov’era Lola La Cava,
poiché ovviamente Daisy usava uno pseudonimo. Alla fine ci dicono di
controllare in piscina.
Quando ci arriviamo, Daisy è seduta sul bordo del trampolino con un
vestito rosa, circondata di gente. È bagnata fradicia, ha i capelli lisciati
all’indietro sulla testa e il vestito incollato alla pelle.
Rod le si avvicinò e non so cosa le disse, ma, appena lei lo vide, nei suoi
occhi si accese una scintilla di consapevolezza. All’improvviso, nel vederlo,
si era ricordata di dove doveva essere. Proprio come avevamo immaginato,
era strafatta. La droga era l’unica cosa che veniva prima della sua musica.
Parlando con lei, Rod mi indica, e Daisy segue la sua mano, mi vede e…
sembra triste. Di vedermi lì. Del fatto che io la stia guardando.
Accanto a me c’era un tizio, uno che avrei definito un vecchio, solo che
non doveva avere più di quarant’anni. Sentivo l’odore del whisky nel suo
bicchiere, affumicato e vagamente antisettico. È sempre stato l’odore a
catturarmi. Quello della tequila o della birra, perfino quello della coca. Mi
ha sempre riportato a quei momenti in cui la notte è appena cominciata,
quando sai che stai per farla grossa. È una sensazione fantastica, l’inizio.
Dentro la mia testa c’era di nuovo quella voce, a ripetermi che non sarei
mai stato capace di restare sobrio per il resto della mia vita. Che senso ha
smettere, sapendo che non riuscirò mai a resistere per sempre? Un giorno
o l’altro crollerò. Perché non mollare tutto subito? Perché non mollare
tutti quanti? Ammettere chi sono in realtà ed evitare future sofferenze a
Camila e alle bambine?
Tornai a guardare Daisy e la vidi scendere dal trampolino. Reggeva in
mano un bicchiere, e lo lasciò cadere sul bordo della piscina. Poi, senza
rendersene neanche conto, vi camminò sopra.

ROD : Le sanguinavano i piedi.

SIMONE: Il sangue si mescolava all’acqua lungo il bordo della piscina, ma


Daisy non se ne accorse nemmeno. Continuò a camminare e a parlare con
qualcun altro.

DAISY : Non sentivo i tagli sotto i piedi. Mi sa che non sentivo praticamente
niente.

SIMONE: In quel momento pensai: Continuerà a essere la ragazza che


sanguina nel suo bel vestito fino a morirne.
E mi sentii… smarrita, triste, depressa, nauseata. Ero disperata, ma
sapevo anche di non potermi concedere il lusso di arrendermi. Avrei dovuto
lottare per lei, combattere con lei per il suo bene, fino alla sconfitta finale.
Perché una vittoria era impossibile. Non era una guerra che avrei potuto
vincere.

BILLY : Non potevo restare. Non potevo, perché guardando Daisy, bagnata
fradicia, sanguinante e stonata al punto da reggersi in piedi a malapena,
quello che pensavo non era: Grazie al cielo non mi faccio più.
Era: Lei sì che si sa divertire.

ROD : Stavo prendendo un telo per Daisy quando vidi Billy voltarsi e
andarsene. Eravamo venuti con la mia macchina, sicché non sapevo bene
dove fosse diretto. Cercai di incrociare il suo sguardo, ma lui mi vide
soltanto all’ultimo momento, appena prima di scomparire dietro l’angolo. Mi
fece solo un piccolo cenno del capo, e io capii. Gli ero comunque
riconoscente per avermi accompagnato.
Billy sapeva prendersi cura di se stesso, ed era quello che stava facendo.

BILLY : Dissi a Rod che me ne andavo e gli chiesi se non gli dispiaceva
tornare in taxi, visto che eravamo lì con la mia macchina. Lui fu molto
comprensivo. Capiva il motivo per cui me ne dovevo andare.
Rientrato a casa, mi infilai a letto accanto a Camila e provai un gran
sollievo. Ma non riuscivo a prendere sonno. Continuavo a chiedermi cosa ne
sarebbe stato di me se avessi tolto di mano il bicchiere di whisky a
quell’uomo e me lo fossi scolato.
Avrei riso con gli altri e cantato una canzone? Mi sarei tuffato nudo in
piscina insieme a un mucchio di sconosciuti? Sarei finito in bagno a vomitare
l’anima, guardando qualcuno che si annodava il laccio e si faceva una pera?
Invece ero disteso nel buio e nel silenzio spezzato solo dal russare di mia
moglie. La verità è che sono una di quelle persone che sopravvivono
malgrado i propri istinti. Gli istinti mi stavano dicendo di correre incontro al
caos, ma la parte migliore del mio cervello mi aveva rispedito a casa dalla
mia donna.

DAISY : Non ricordo di avere visto Billy, quella sera. E nemmeno Rod. Non
so neanche come feci ad arrivare al mio letto.

BILLY : Sapevo che non sarei mai riuscito a addormentarmi, e così mi alzai e
scrissi una canzone.

ROD : Il giorno dopo, quando Billy arriva in studio, sono già tutti lì. C’è
perfino Daisy. È relativamente lucida, e sta bevendo un caffè.

DAISY : Mi sentivo in colpa. Non era mia intenzione saltare una sessione in
studio, ovviamente.
Perché mi conciavo in quel modo? Non riesco a spiegarlo. Vorrei poterlo
fare. Mi odiavo per questo, detestavo me stessa eppure continuavo a farlo,
finendo per odiarmi ancora di più. Non esistono spiegazioni logiche.

ROD : Billy arriva e ci mostra una canzone che ha scritto: «Impossible


Woman».
«L’hai scritta stanotte?» gli chiedo.
«Sì», risponde lui.

BILLY : Daisy la legge e dice: «Bella».

GRAHAM: A giudicare dall’atmosfera che regnava nello studio, nessuno, men


che meno Daisy e Billy, aveva intenzione di ammettere che era una canzone
su Daisy.

BILLY : Non è su Daisy. È sul fatto che quando sei sobrio ci sono cose che
non puoi toccare, che non puoi avere.
KAREN : Dopo che Billy ce la cantò per la prima volta, guardai Graham e
dissi: «Questa canzone è…»
E lui, senza bisogno di sentirmi finire: «Sì».

DAISY : Era un pezzo straordinario.

WARREN : Non me ne fregava niente allora, figuriamoci adesso.

KAREN : «Dancing barefoot in the snow / Cold can’t touch her, high or
low»: la donna che danza scalza nella neve senza che il freddo la sfiori è
Daisy Jones.

BILLY : Avevo voluto scrivere una canzone su una donna sfuggente come
sabbia che ti scorre tra le dita. Un’allegoria di tutte le cose che non potevo
avere e non potevo fare.

DAISY : «È un duetto?» domandai.


«No, secondo me dovresti provare a cantarla da sola», rispose Billy.
«L’ho scritta sul tuo registro.»
«Sarebbe più ovvio se fosse un uomo a cantarla, visto che parla di una
donna», obiettai.
«Ma se la canta una donna è più interessante», ribatté lui. «Acquisterebbe
una sfumatura più inquietante.»
«D’accordo, ci provo», dissi.
Mi presi un po’ di tempo mentre gli altri mettevano giù le loro parti.
Qualche giorno dopo, tornai in studio e ascoltai le basi, cercando la chiave
giusta.
Quando fu il mio turno in cabina, feci del mio meglio. Cercai di creare
un’impressione di tristezza, come se sentissi la mancanza di questa donna.
Forse è mia madre, mi dissi, forse è una sorella perduta, o forse ha
qualcosa di cui ho bisogno. Capisci?
Il tono è malinconico, pensai, etereo. Qualcosa del genere. Ma più ci
provavo, più capivo che non stava funzionando.
Continuavo a guardare gli altri, pensando: Qualcuno mi salvi da questo
disastro, non so più dove andare a sbattere. Non sapevo cosa fare, e stavo
cominciando a innervosirmi.

KAREN : Daisy non conosce la musica, non sa neanche i nomi degli accordi, è
completamente all’oscuro di qualsiasi tecnica vocale. Se quello che le viene
naturale non funziona, la devi togliere dalla canzone.

DAISY : La mia unica speranza a quel punto era che qualcuno mi salvasse da
me stessa. Chiedo cinque minuti di pausa, e Teddy mi suggerisce di fare due
passi per schiarirmi le idee. Esco e faccio il giro dell’isolato, ma riesco
solo a peggiorare le cose perché continuo a pensare: Non ce la faccio,
naturale che non ce la faccio e via dicendo. E alla fine mi arrendo. Salgo in
macchina e parto. Non sapevo come risolvere il problema, e così me ne
andai.

BILLY : L’avevo scritta per lei, quella canzone. Perché fosse lei a cantarla,
voglio dire. Per questo mi fece arrabbiare il modo in cui si arrese.
Certo, capivo la sua esasperazione. Daisy ha un talento elettrizzante, nel
senso che quando le sei vicino lo avverti proprio come una scossa. Ma non
sapeva controllarlo. Non era in grado di usarlo a comando, capisci? Doveva
sperare di trovarlo già pronto.
Ma arrendersi così era sbagliato. Specialmente dopo solo un paio d’ore
di tentativi. È questo il problema di quelli che non devono impegnarsi per
ottenere qualcosa: non sanno impegnarsi.

DAISY : Quella sera sono nel mio cottage con Simone, sto preparando la cena
e sento bussare alla porta. Vado ad aprire e mi ritrovo davanti Billy Dunne.

BILLY : Andai da lei al preciso scopo di convincerla a cantare quella dannata


canzone. Non avevo alcuna voglia di tornare al Chateau Marmont, ma era
una cosa che dovevo fare, e così la feci.

DAISY : Billy mi dice di sedermi. Simone sta preparando da bere in cucina e


gli offre un Harvey Wallbanger.
BILLY : Daisy si alza di scatto e sbotta: «No!» Come per impedirmi di
accettare il cocktail che Simone mi sta offrendo.

DAISY : Ero imbarazzata dal fatto che Simone gliel’avesse offerto, perché
sapevo che Billy mi considerava già una tossica e un’ubriacona. Avrei fatto
di tutto perché non pensasse che stavo cercando di traviarlo.

BILLY : La sua reazione… mi sorprese. Significava che mi aveva ascoltato.

DAISY : «Devi cantare questa canzone», mi disse. Ribattei che non credevo
di avere la voce giusta. Facemmo un po’ di tira e molla, parlando del
significato del pezzo e dei possibili modi in cui avrei potuto affrontarlo,
finché a un tratto Billy disse che parlava di me. Che l’aveva scritta pensando
a me. Che la donna impossibile ero io. «She’s blues dressed up like rock ’n’
roll / Untouchable, she’ll never fold»: il blues vestito da rock ’n’ roll,
intoccabile e irriducibile, ero io. E in quel momento mi scattò qualcosa nella
testa.

BILLY : Non ho mai detto a Daisy che la canzone era su di lei, nel modo più
assoluto. Non avrei mai potuto farlo, perché non era vero.

DAISY : Era la chiave di volta. Ma gli ripetei ugualmente che non ero sicura
di avere la voce giusta.

BILLY : Le dissi che la canzone aveva bisogno di energia grezza. Che doveva
dare l’impressione di sfrigolare sotto la puntina. Che doveva sembrare
elettrica. Come se cantarla fosse una questione di vita o di morte.

DAISY : Ma io non ho quel tipo di voce.

BILLY : «Domattina devi tornare in studio e riprovarci», le dissi. «Promettimi


che lo farai.» E lei accettò.

DAISY : Il mattino dopo mi ripresento in studio e vedo che il resto del gruppo
non c’è. Ci sono solo Billy, Teddy, Rod e Artie al mixer. E capisco fin da
subito che… che andrà in modo diverso.

ROD : Uscii a fumare mentre Billy accompagnava Daisy in cabina e le faceva


il pistolotto.

BILLY : Sapevo come avrebbe dovuto essere la canzone, e continuavo a


pensare a come spiegarglielo. Finché mi resi conto che il segreto di Daisy
era la naturalezza, e che invece quel pezzo doveva essere cantato come se
fosse qualcosa di sofferto, come se ci fosse bisogno di tutta la forza che
aveva in corpo. Dopo averla cantata, Daisy avrebbe dovuto sentirsi come se
avesse appena corso una maratona.

DAISY : La mia voce è leggermente rauca, ma non è una cosa di pancia. E


Billy aveva bisogno di quello.

BILLY : Le dissi qualcosa come: «Devi cantarla con una forza e a un volume
tali da perdere il controllo della voce. Lascia che si spezzi, lasciati andare».
Le diedi il permesso di cantare male. Pensa a come si canta quando si
tiene la radio al massimo del volume. Quando non ci si sente, non si ha paura
di darci dentro, perché non si teme più il momento in cui la voce si spezza e
l’intonazione cede. Daisy aveva bisogno di quel tipo di libertà. Per
arrivarci, devi essere completamente sicura di te stessa, e Daisy in realtà
non lo era. Cantava sempre bene, ma chi è sicuro di se stesso accetta di
cantare male, non bene.
«Se questo pezzo lo fai cercando di cantare sempre bene, sei finita», le
dissi.

DAISY : «Questa canzone non vuole essere graziosa», disse Billy. «Non devi
cantarla come se lo fosse.»

ROD : Rientro in sala e vedo Daisy in cabina con le luci soffuse, un inalatore
Vicks, una tazza fumante di tè, un mucchietto di caramelle per la gola,
fazzoletti di carta, un’enorme caraffa d’acqua e non so cos’altro, sembrava
che ci fosse di tutto in quella cabina.
Daisy si siede e subito Billy balza in piedi, esce dalla sala mixer e rientra
in cabina. Le porta via la sedia, le alza il microfono. «Devi stare in piedi e
cantare così forte da farti tremare le ginocchia», le dice.
Daisy sembrava terrorizzata.

DAISY : Voleva che mi liberassi di tutte le inibizioni. Mi stava dicendo che


voleva vedermi fare una figuraccia epocale davanti a lui, ad Artie e a Teddy.
Ma io sapevo che da sobria non sarei mai riuscita a dimenticare il mio amor
proprio.
«Posso avere un po’ di vino?» chiesi.
«Non ne hai bisogno», rispose Billy.
«No, sei tu a non averne bisogno», precisai.

BILLY : Rod le portò una bottiglia di brandy.

ROD : Non avevo intenzione di toglierle la roba più leggera per poi vederla
lanciarsi su quella più pesante.

DAISY : Bevvi qualche sorsata, guardai Billy attraverso il vetro e dissi nel
microfono: «Okay, vuoi che canti male, giusto?» Lui annuì. «E nessuno mi
giudicherà se finirò per strillare come un gatto?»
E non dimenticherò mai quello che rispose Billy. Si piegò in avanti sul
microfono e disse: «Se tu fossi un gatto, i tuoi strilli attirerebbero di corsa
tutti gli altri gatti». E l’idea mi piacque. Il fatto che se fossi stata me stessa,
me la sarei cavata.
E così aprii la bocca, feci un gran respiro e mi lanciai.

BILLY : Nessuno gliel’ha mai detto, e ancora oggi esito a farlo, ma… i primi
due tentativi furono terribili. Davvero orribili, tanto che mi stavo già
pentendo di quello che le avevo detto. Ma continuammo a incoraggiarla.
Quando una persona si assume dei rischi, e sei stato tu a convincerla, non
osi fare niente che possa destabilizzarla.
E così continuai a ripetere: «Bene, bene». E solo più avanti, credo
fossimo arrivati al terzo take, le dissi di scendere di un’ottava.
ROD : Eravamo al quarto o quinto take, mi sembra al quinto. E a un tratto
accadde una magia. E non è un termine che uso alla leggera. Magia. Avevo la
sensazione di assistere a qualcosa che poteva succedere solo poche volte nel
corso di una vita. Fenomenale. Quello che si sente sul disco è il quinto take
dall’inizio alla fine, senza tagli.

BILLY : Il primo verso lo attaccò sicura, non esattamente bassa ma


equilibrata. «Impossible woman / Let her hold you / Let her ease your
soul.» Donna impossibile, lascia che ti stringa a sé, che rassereni la tua
anima.
A quel punto lasciò che l’intensità crescesse da sola, appoggiandosi sulle
parole: «Sand through fingers / Wild horse, but she’s just a colt». Sabbia
tra le dita, cavallo selvaggio, ma è solo una puledra. Ed è su quel colt che la
sentii partire sul serio.
Cantò il verso successivo e poi, quando arrivò al primo ritornello, mi
guardò dritto negli occhi e l’intensità gliela leggevi nello sguardo, la sentivi
montare nel petto: «She’ll have you running / In the wrong direction / Have
you coming / For the wrong obsessions / Oh, she’s gunning for your
redemption / Have you headed / Back to confession». Ti farà correre nella
direzione sbagliata, ti chiamerà per le ossessioni sbagliate, oh, lei punta alla
tua redenzione, ti farà tornare in confessione. E lì, sulla ripetizione di
confession, si lasciò andare del tutto.
La voce le si spezza a metà parola, la senti cedere leggermente. Poi ripete
gran parte dei versi, e quando arriva di nuovo al ritornello dà libero sfogo
alla voce, che diventa rauca, ansimante, carica di emozione. È come se ti
stesse implorando.
Poi, verso il finale, si richiude in sé. «Walk away from the impossible /
You’ll never touch her / Never ease your soul.» Allontanati
dall’impossibile, non riuscirai mai a toccarla, a rasserenare la tua anima. A
questo punto ci aggiunge due versi, e sono fantastici, perfetti. «You’re one
more impossible man / Running from her / Clutching what you stole.» Sei
solo un altro uomo impossibile che fugge via da lei stringendo quello che ha
rubato.
Cantato da lei, il pezzo era diventato un lamento da spezzare il cuore. Era
molto più di quello che le avevo dato io.
DAISY : Alla fine del take aprii gli occhi, e ricordavo a malapena cosa avevo
cantato. Ricordo solo che pensai: L’ho fatto.
Ricordo che in quel momento capii di avere ancora più potere di quanto
credessi originariamente. Di avere più cose da dare, più profondità, più
estensione di quanto avessi mai immaginato.

ROD : Per tutta la durata del pezzo non staccò mai gli occhi da Billy. E lui
idem, annuendo a tempo. Alla fine della canzone, Teddy si mise ad
applaudire. E l’espressione di Daisy, la gioia che vi si leggeva, era come
quella di una bambina a Natale. Davvero. Era così fiera di se stessa.
Si sfilò le cuffie, le lanciò via, si precipitò fuori dalla cabina e, non sto
scherzando, si tuffò dritta tra le braccia di Billy. Lui la sollevò da terra e per
qualche istante la fece roteare in aria. E avrei giurato di averlo visto
annusarle i capelli prima di rimetterla giù.
DAISY : Un pomeriggio Camila passò dallo studio con le bambine mentre
stavamo registrando.

GRAHAM: Le avevo chiesto come mai non le portasse più spesso. Di tanto in
tanto passava, ma solo per lasciare qualcosa per Billy, e senza mai fermarsi
più di un minuto. Non si tratteneva mai. E in quel periodo c’era sempre un
sacco di gente nello studio.
Ovviamente, la volta che decide di restare un po’, una delle gemelle
comincia a piangere senza alcun motivo apparente. E non la smetteva più.
Non ricordo se fosse Susana o Maria. Billy la prese in braccio e cercò di
calmarla, ma lei niente. Ci provai io, ci provò Karen. Ma, qualunque cosa
facessimo, era inutile.
Alla fine Camila dovette portarle fuori entrambe.

CAMILA : I bambini e il rock ’n’ roll non vanno molto d’accordo.

KAREN : Uscii a fare due passi con Camila e le bambine. «Come vanno le
cose?» le chiesi.
E lei… si lasciò andare. Cominciò a parlare, come se le parole le
uscissero spontaneamente dalla bocca. Le gemelle non dormivano e Julia ne
era gelosa e Billy non era mai a casa… Poi all’improvviso si bloccò, smise
di spingere il passeggino e disse: «Ma di cosa mi lamento? Amo la mia
vita».

CAMILA : Com’è che dice la frase? Le giornate sono lunghe, ma gli anni sono
corti? Chiunque sia stato a inventarla, di sicuro era una madre di tre figlie
sotto i tre anni. Di ora in ora sei più stanca e nervosa, ma quando posi la
testa sul guanciale scoppi di felicità. Crescere dei figli è un duro lavoro. Ma
ero felice di farlo.
Siamo tutti bravi in qualcosa. Io ero brava a fare la madre.

KAREN : Quello che Camila mi disse quel giorno fu più o meno: «Sto
vivendo la vita che voglio». E lo disse con una naturalezza speciale.

GRAHAM: Mentre Camila e le gemelle erano fuori, Billy fece sedere Julia in
sala mixer. La sistemò lì insieme ad Artie, Teddy e agli altri mentre noi
registravamo le nostre parti.
Julia si divertì un mondo, in quella saletta. Era graziosissima, con le
cuffie sulle orecchie e il suo minuscolo vestitino. Ai tempi aveva ancora i
capelli biondi. Aveva le gambette così corte che quando si sedeva non
riusciva neanche a piegarle, le teneva dritte davanti a sé.

KAREN : Decisi di dire a Camila di Graham. Avevo bisogno del suo aiuto per
capire cosa fare.
Non… A lui non l’avevo mai detto, ma una mattina avevo visto una lettera
di sua madre sul comodino. Non avrei voluto ficcare il naso, ma la lettera
era lì, e se ne scorgeva chiaramente qualche riga. Le righe in cui sua madre
gli diceva che, se davvero amava la ragazza con cui stava, avrebbe fatto
meglio a ufficializzare la cosa. E questo mi aveva spaventata.

GRAHAM: Volevo una famiglia. Non subito, però sì, volevo quello che aveva
mio fratello.

KAREN : «Cosa penseresti se ti dicessi che vado a letto con Graham?» chiesi
a Camila.
Lei si sfilò gli occhiali scuri e mi guardò negli occhi. «Se me lo dicessi?»
«Sì, se.»

CAMILA : Graham era innamorato di lei da una vita.

KAREN : Proseguimmo a parlarne in via ipotetica. Camila disse che avrei


dovuto tenere conto di quello che Graham provava per me da molto tempo.
Cosa che… sapevo senza davvero saperlo, suppongo.

CAMILA : Le dissi che se aveva una storia con Graham, ma non provava le
stesse cose che provava lui… be’, mi sembra di averle detto di farla finita.

KAREN : Mi pare di ricordare che disse: «Se fai soffrire Graham, ti uccido».
«Non hai paura che sia Graham a far soffrire me?» ribattei.
E lei: «Se fosse Graham a spezzarti il cuore, ucciderei anche lui, lo sai.
Ma sappiamo entrambe che Graham non lo farà. Sappiamo entrambe quale
piega prenderà questa storia».
Mi misi un po’ sulla difensiva, ma Camila non era tipo da fare marcia
indietro. Era bravissima a capire quello che avresti dovuto fare, e non aveva
alcun problema a dirtelo. Era molto irritante, perché alla fine aveva sempre
ragione lei. E te lo ricordava: «Te l’avevo detto». Facevi qualcosa che lei ti
aveva detto di non fare e alla fine, malgrado il fastidio che provavi, ti
ritrovavi lì ad aspettare il suo «Te l’avevo detto». E lei piazzava sempre il
colpo nel momento in cui avevi le difese abbassate.

CAMILA : Se mi chiedi un consiglio, non lo accetti e la cosa ti si ritorce


contro esattamente come avevo previsto, cosa pretendi che faccia?

KAREN : «Graham è un adulto», le dissi. «È in grado di affrontare qualunque


situazione. Non sta a me prendere decisioni per lui.»
«Invece sì», ribatté Camila.
«Invece no», insistetti.

CAMILA : «Invece sì», le dissi.

KAREN : Andammo avanti così finché non rinunciai.

DAISY : Stavamo registrando, e Julia era in sala mixer. Camila e le bambine


erano venute a trovare Billy. Il mio microfono era difettoso, e stavo
aspettando che lo sistemassero.
Entrai in sala mixer e chiesi a Julia se voleva un biscotto. Lei si sfilò le
cuffie dalle orecchie e chiese: «Il mio papà ha detto che posso?»
Carinissima.
Teddy premette il tasto dell’interfono e disse: «Julia vorrebbe sapere se
può mangiare un biscotto».
Billy si abbassò sul microfono e rispose: «Certo che può». Poi aggiunse:
«Controllate solo che sia di quelli… normali».
Presi Julia per mano, andammo in cucina e dividemmo un biscotto al
burro di arachidi. Mi disse che le piaceva l’ananas. Me lo ricordo perché
piace molto anche a me, e glielo dissi. Era entusiasta che avessimo quella
passione in comune. Le dissi che un giorno avremmo dovuto dividere un
ananas. Poi Karen entrò in cucina, Camila chiamò Julia e io gliela portai.
Julia mi fece ciao con la mano, e Camila mi ringraziò per avere badato a lei.

CAMILA : Per l’intero tragitto di ritorno fino a casa, [Julia] non fece che
ripetere: «Daisy Jones può essere la mia migliore amica?»

DAISY : Non appena se ne furono andate, Eddie ci chiamò, e io e Karen


rientrammo in cabina. Qualcuno, non ricordo chi, osservò che ero brava con
i bambini. «Saresti una fantastica zia», disse Eddie.
Non ti viene in mente di dare della «fantastica zia» a una persona che
vedi come una futura brava madre. Ma io per prima sapevo benissimo che
non sarei mai stata una brava madre. Non avevo alcun diritto di pensare di
poter essere la madre di nessuno.
«A Hope Like You» la scrissi poco dopo quell’episodio.

BILLY : Quando Daisy mi fece leggere «A Hope Like You», pensai subito:
Potrebbe diventare una ballata per voce e piano. Era una canzone d’amore
molto triste. Sul volere qualcuno che sai di non poter avere sapendo che non
smetterai mai di volerlo.
«Come la senti?» le chiesi.
Lei me ne canticchiò una parte e io… la sentii. Sentii subito come
avrebbe dovuto essere.

DAISY : «È la tua canzone», disse Billy. «Dovresti cantarla da sola,


accompagnata soltanto dal piano.»
KAREN : Registrare quel pezzo fu meraviglioso. Ne ero molto fiera. Daisy
alla voce, io alle tastiere e nient’altro. Solo due tipe che suonano il rock.
BILLY : Da quel momento in poi, io e Daisy scrivemmo un sacco di bei pezzi.
Lavoravamo nel salottino dello studio, o nella dépendance di Teddy se
avevamo bisogno di pace.
Io arrivavo con qualcosa che avevo buttato giù e lei mi aiutava ad
affinarlo, o viceversa sviluppavamo una sua idea.

ROD : In quel periodo sembrava che arrivassero con del materiale nuovo ogni
giorno.

GRAHAM: È elettrizzante essere nel bel mezzo di un flusso creativo. Magari


stavamo lavorando sulle nostre parti per «Midnights», o aggiungendo
qualcosa a «Impossible Woman», e Daisy e Billy arrivavano con un nuovo
pezzo entusiasmante.

KAREN : Era una fase un po’ maniacale, quel periodo. Un sacco di gente
nello studio, una quantità di canzoni che entravano e uscivano. Registrare,
registrare, registrare. Risentire ogni parte mille volte, cercando di
migliorarla di continuo.
C’era così tanto da fare, un mucchio di cose di cui occuparci. Ma la
mattina arrivavamo in studio ancora stravolti dalla notte prima. Alle dieci
del mattino eravamo come zombi. Finché il caffè e la coca non facevano
effetto.

ROD : I primi brani sembravano fantastici.

ARTIE SNYDER : A mano a mano che le canzoni cominciavano a prendere


forma, ci rendevamo conto di avere per le mani qualcosa di speciale.
Billy e Teddy si trattenevano sempre fino a tardi per ascoltare il
materiale. E riascoltarlo, e riascoltarlo. C’era un’energia speciale in quelle
notti in sala mixer. Il resto dello studio era immerso nel silenzio, fuori era
buio pesto. Eravamo solo noi tre, all’ascolto del rock nel suo divenire.
Ai tempi stavo divorziando, sicché ero più che lieto di fare tardi. Certe
volte eravamo ancora là alle tre del mattino. Io e Teddy restavamo anche a
dormire, se ci andava di farlo. Ma Billy tornava sempre a casa. Anche se
dopo solo un paio d’ore avrebbe dovuto ripresentarsi in studio.

ROD : L’album che stava cominciando a prendere forma era la fine del
mondo. Volevo essere sicuro che la Runner fosse preparata a investirci dei
soldi veri, perché quel disco meritava un grande lancio.
Cominciai a fare pressione su Teddy perché decidessero di stamparne un
numero enorme di copie. Volevo un singolo da classifica. Volevo che venisse
trasmesso in radio, dalle stazioni rock e pop. Volevo una tournée con le
contropalle. Stavo diventando molto ambizioso. Volevo una partenza a razzo.
Tutti sapevano che la coppia Daisy-Billy sul palco avrebbe fatto vendere
biglietti e dischi. Lo sentivi nell’aria. E Teddy si assicurò di avere
l’appoggio di tutti. Si avvertiva l’eccitazione perfino negli uffici della
Runner.

DAISY : Io e Billy scrivemmo quattro canzoni nel giro di una settimana o due.
In realtà i pezzi erano sette, ma solo quattro finirono sull’album.

ROD : Tirarono fuori «Please», «Young Stars», «Turn It Off» e «This Could
Get Ugly» nello spazio di una settimana.

BILLY : Il tema dell’album prese forma in modo naturale. Ci eravamo resi


conto (io e Daisy, intendo dire) che stavamo scrivendo del tira e molla tra
l’attrazione e la repulsione per le tentazioni e della volontà di non deviare
dalla retta via. Le canzoni parlavano di droga, di sesso, di amore, di fuga
dalla realtà e di una quantità di altre cose.
Era proprio questa l’origine di «Turn It Off». Il fatto che, ogni volta che
pensi di avere avuto la meglio su qualcosa, quel qualcosa non fa che rialzare
la cresta.
DAISY : «Turn It Off» la buttammo giù da Teddy. Billy prese la chitarra e io
proposi: «I keep trying to turn it off / But, baby, you keep turning me on».
Provo a spegnere, ma tu, baby, mi riaccendi. Proseguimmo così per il resto
del pezzo, senza fermarci.
Io lanciavo un verso, lui lanciava un verso. Ciascuno scarabocchiava
sopra quello che aveva scritto l’altro, cercando di arrivare alla versione
migliore.

BILLY : Eravamo ormai arrivati al punto in cui potevamo andare avanti per un
bel po’ ad aggiustare e affinare. Avevamo abbastanza fiducia in noi stessi
per insistere anche quando qualcosa non veniva subito bene. «Young Stars»
si sviluppò in questo modo.

DAISY : «Young Stars» la scrivemmo a spizzichi e bocconi. Ci sembrava di


avere catturato qualcosa, ma poi perdevamo il filo e passavano giorni prima
di riprenderlo. Mi pare che fu Billy a proporre i versi «We only look like
young stars / Because you can’t see old scars». Sembriamo giovani stelle
solo perché le vecchie cicatrici non si vedono. Mi piacquero subito, e
finimmo per costruirci intorno la canzone.

BILLY : C’erano un sacco di parole che facevano pensare al dolore fisico.


Ache e knots e break e punch e così via. E ci accorgemmo che quadravano
con il resto dell’album: il dolore che provi combattendo i tuoi stessi istinti.

DAISY : «Tell you the truth just to watch you blush / You can’t handle the hit
so I hold the punch.» Direi la verità solo per vederti arrossire, ma tu non
reggeresti e così mi trattengo. Quella canzone finì per penetrare molto a
fondo, forse fin troppo. «I believe you can break me / But I’m saved for the
one who saved me.» Tu mi puoi spezzare, ma mi conservo per lei che mi ha
salvato.

BILLY : Be’, a volte è difficile dire di cosa parla una canzone. Certe volte
non sai nemmeno tu perché hai scritto questo o quel verso, o come ti è venuto
in mente, o cosa può significare.
DAISY : Le canzoni che stavamo scrivendo insieme… [Esita] L’impressione
che cominciavo ad avere era che molte delle cose che Billy scriveva
riguardavano quello che provava nel profondo. Mi sembrava chiaro che
c’erano cose inespresse che venivano espresse da quello che scrivevamo.

BILLY : Sono canzoni. Vai a pescare un po’ da tutto, e a volte ne cambi il


significato per far sì che si adatti meglio al momento. Certo, suppongo che
alcune fossero più sentite di altre.

DAISY : È strano quanto possa essere soffocante il silenzio di una persona, il


suo continuo insistere che non sta accadendo niente. Ma è così. E soffocante
è proprio la parola giusta. Ti sembra di non riuscire a respirare.

KAREN : Credo di essere stata la prima a cui Daisy mostrò «Please». La


trovai molto bella, e le chiesi: «E Billy che ne pensa?»
«Non gliel’ho ancora fatta vedere», rispose lei. «Prima volevo che la
leggessi tu».
Il che mi parve strano.

BILLY : Daisy mi mostrò la canzone con un’aria timorosa, ma il testo mi


piacque all’istante. Ci aggiunsi qualche verso, ne tolsi qualcun altro.

DAISY : Un artista diventa molto vulnerabile, quando dice la verità in quel


modo, come stiamo facendo anche adesso. Mentre vivi la tua vita, sei
talmente immerso nei tuoi pensieri, nel turbine delle tue sofferenze, che non
ti rendi conto di quanto siano evidenti a tutti quelli che ti circondano.
Credevo che le mie canzoni parlassero una lingua in codice, una lingua
segreta, ma immagino che non fosse affatto così.

BILLY : «This Could Get Ugly»… Quello fu un caso in cui la musica venne
prima delle parole. Io e Graham avevamo trovato un giro di chitarra che ci
piaceva, e la canzone si sviluppò da quello. Andai sul serio da Daisy e le
chiesi: «Hai niente per questa musica?»
DAISY : Mi era venuta quest’idea: che quando le cose si mettono male, in
realtà è un bene. Volevo scrivere un pezzo sulla certezza di avere capito tutto
di qualcuno, anche se quel qualcuno non lo sa.

BILLY : Una mattina ci trovammo da Teddy, io le feci riascoltare la musica e


lei buttò giù un paio di versi. Parlavano di qualcuno con cui aveva una
storia, non ricordo chi. E alcune delle parole mi piacquero molto. «Write a
list of things you’ll regret / I’d be on top smoking a cigarette.» Fai una lista
di cose che rimpiangerai, io sarei in cima con la sigaretta accesa. Grande.
«Cosa ti sta facendo passare questo tizio, per farti scrivere una canzone
simile?» le chiesi.

DAISY : Già allora, a volte mi chiedevo se io e Billy stessimo parlando della


stessa cosa.

BILLY : Daisy era bravissima a giocare con le parole. A rovesciarne il


significato, a minare i sentimentalismi alla base. Mi piaceva molto, quello
che stava facendo a livello di scrittura, e glielo dissi.

DAISY : Più mi impegnavo a scrivere canzoni, più mi ci dedicavo, più


miglioravo. In realtà, non era un percorso lineare. Era più uno zigzagare
continuo. Ma stavo diventando sempre più brava, e lo sapevo. Quando gli
mostrai la canzone, lo sapevo. Ma la consapevolezza della propria bravura ti
aiuta solo fino a un certo punto. Dopodiché hai bisogno che venga
riconosciuta anche dagli altri. L’apprezzamento delle persone che ammiri
cambia il modo in cui vedi te stessa. Billy mi vedeva come volevo essere
vista, e al mondo non esiste niente di più potente. Ne sono convinta.
Desideriamo tutti che ci venga offerto lo specchio giusto in cui guardarci.

BILLY : «This Could Get Ugly» era sua tanto a livello di idea quanto di
esecuzione, ed era… eccellente.
Daisy aveva scritto qualcosa che avrei potuto scrivere io, tranne che
sapevo che non ci sarei mai riuscito. Non mi sarebbe mai venuto in mente un
testo simile. Il che è quello che chiediamo all’arte, giusto? Esprimere
qualcosa che ci sembra sia sempre vissuto dentro di noi? Prendere un pezzo
del nostro cuore e mostrarcelo? È come se ti venisse presentata una parte di
te stesso. E con quel pezzo Daisy aveva fatto esattamente questo. Quanto
meno per me.
Potevo solo farle i miei complimenti. Non cambiai una sola parola.

EDDIE: Quando arrivarono in studio con «This Could Get Ugly», pensai:
Fantastico, un altro pezzo in cui non ho spazio per provare cose nuove.
Non mi piaceva la persona in cui mi stava trasformando quella situazione.
Di solito non sono un piantagrane. In qualsiasi altra situazione non lo ero.
Ma mi stavo davvero stufando, capisci? Di andare al lavoro ogni mattina
sentendomi un cittadino di seconda classe. Sono cose che ti fanno venire
strane idee, chiunque tu sia.
Lo dissi a Pete. «Cittadino di seconda classe, albergo di prima classe»,
gli dissi.

KAREN : Decisamente, erano diventati un club di cui noi non facevamo parte,
Daisy e Billy. Perfino alla Runner Records la parola d’ordine era far sì che
fossero felici. Equilibrati.

WARREN : Tutto quello che non le andava di fare, Daisy lo evitava. Arrivava
in studio stravolta, ma si comportavano tutti come se fosse la gallina dalle
uova d’oro.

DAISY : Credevo sinceramente di riuscire a mantenere un buon equilibrio.


Non era così, ma io ci credevo davvero.

KAREN : Pensavo che la faccenda delle pillole fosse sotto controllo, ma a un


certo punto, durante le registrazioni, mi resi conto che era semplicemente
diventata più brava a fingere.

ROD : Billy e Daisy sembravano andare d’amore e d’accordo, ma poi Daisy


arrivava in ritardo, o magari scompariva dallo studio e nessuno riusciva più
a trovarla, e Billy s’incazzava di brutto.
EDDIE: Uscivano sul marciapiede e cominciavano a gridare, pensando che
nessuno potesse sentirli.

KAREN : Billy andava su tutte le furie, quando Daisy batteva la fiacca.

BILLY : Non mi pare che litigassimo molto, in quel periodo. Ordinaria


amministrazione, probabilmente. Discussioni che potevo avere anche con
Graham o Warren.

DAISY : Billy credeva di sapere meglio di me come avrei dovuto


comportarmi. Non dico che si sbagliasse, ma non accettavo lezioni da
nessuno.
Ero immersa nel vortice del mio ego. Finalmente avevo trovato
l’approvazione che cercavo da tempo. Ma ero ancora profondamente
insoddisfatta.
A quei tempi avevo una presunzione spropositata, ma nessuna autostima.
Non importava quanto fossi attraente, quanto fosse bella la mia voce, quanto
fosse importante la rivista che mi metteva in copertina. Voglio dire, alla fine
degli anni Settanta c’erano un sacco di ragazze che da grandi avrebbero
voluto essere Daisy Jones, e io ne ero perfettamente consapevole. Ma la
gente pensava che avessi tutto solo perché avevo tutto quello che si vede a
occhio nudo.
Invece non avevo nessuna delle cose che non si vedono.
E i fiumi di droga ti possono portare a uno stato in cui non riesci più a
capire se sei felice oppure no. In cui ti convinci che attorniarti di gente sia lo
stesso che avere degli amici.
Sapevo che stonarmi non era una soluzione a lungo termine. Ma Dio, è
così facile. È così facile.
Peccato che in realtà non sia affatto facile. Perché un minuto stai cercando
di curare una ferita, e quello successivo stai disperatamente tentando di
nascondere il fatto che sei diventata un disastro di persona, che sei messa
male e tenuta insieme con il cerotto e che la ferita che stavi cercando di
curare è diventata purulenta.
Ma sei ancora magra e graziosa, per cui chi se ne frega, giusto?
ROD : Teddy cercava continuamente di placare Billy e Daisy. Erano…
Gestire Billy e Daisy insieme era come badare a un fuoco. Tutto bene, finché
è sotto controllo. Basta tenere lontano il kerosene e non ci sono problemi.

EDDIE: È un grosso impegno, fare in modo che Billy resti sobrio e Daisy
equilibrata. Per quanto mi riguarda, dubito che Teddy Price si sarebbe
impegnato più di tanto per assicurarsi che non mettessi piede in un bar.

GRAHAM: Cominciammo a chiamarli i Prescelti. Non so se l’abbiano mai


saputo. Ma in fondo lo erano davvero.
ROD : Eravamo impegnati a registrare tutti i brani che Daisy e Billy avevano
scritto e che si erano accumulati. Credo che a quel punto avessimo materiale
a sufficienza per quasi tutto l’album, e stavamo già discutendo su cosa tenere
e cosa no.
Ormai non ci si pensa più, poiché la tecnologia è molto diversa, ma allora
avevamo dei tempi molto stretti. Il più delle volte il lato di un disco non
superava i ventidue minuti.

KAREN : Graham aveva scritto una canzone intitolata «The Canyon».

GRAHAM: Era l’unico testo scritto da me che mi piaceva sul serio. Non
avevo mai scritto canzoni: era sempre stato Billy a farlo. Ma di tanto in tanto
buttavo giù qualche verso. E ora, finalmente, avevo scritto un pezzo di cui
ero fiero.
Parlava del fatto che, malgrado ormai sia io che Karen vivessimo nel
lusso, con lei sarei stato felice di abitare in una catapecchia. Mi ero ispirato
alla vecchia casa di Topanga Canyon, quella che un tempo occupavamo tutti
insieme e dove Pete e Eddie continuavano a stare.
Il riscaldamento funzionava a malapena, l’acqua calda non c’era quasi
mai, una delle finestre era sfondata e via andare, ma se io e lei fossimo
rimasti insieme non aveva importanza. «There’s no water in the sink / And
the bathtub leaks / But I’ll hold your warm body in a cold shower / Stand
there with you and waste the hours.» Non c’è acqua nel lavandino e la
vasca perde, ma stringerò il tuo corpo caldo sotto una doccia fredda e
resterò là con te per ore.
KAREN : La cosa mi metteva un po’ a disagio. Non avevo mai promesso
niente a Graham riguardo al nostro futuro, e temevo che lui invece ne
vedesse uno. Sfortunatamente, a quei tempi tendevo a fuggire dai problemi
che non volevo affrontare.

WARREN : Graham propose la canzone che aveva scritto per l’album, ma


Billy non gli diede neanche retta.

BILLY : Quando Graham propose di registrare il suo pezzo, io e Daisy


avevamo praticamente scritto tutto l’album. Ed erano canzoni complesse,
piene di sfumature, un po’ tristi.
Avevamo discusso della possibilità di scriverne un altro paio, e
volevamo che almeno una fosse più dura, meno romantica. Quella che mi
mostrò Graham… era una canzone d’amore. Una semplice canzone d’amore.
Non aveva la complessità a cui puntavamo io e Daisy.

GRAHAM: Era la prima vera canzone che avessi mai scritto, e l’avevo scritta
per la donna che amavo. E Billy era così immerso nelle sue stronzate che non
sapeva neanche di chi si trattasse, e nemmeno me lo chiese. Lesse il pezzo in
una trentina di secondi e disse: «Magari sul prossimo album, che ne dici?
Questo è praticamente chiuso».
Io lo avevo sempre sostenuto. Non l’avevo mai abbandonato. L’avevo
sempre difeso su tutto.

BILLY : Ci eravamo ripromessi che per quell’album non avrei detto a nessuno
come fare il suo lavoro. Sicché non avevo intenzione di farmi dire da
nessuno cosa avrei dovuto cantare. Se non bisogna oltrepassare i confini, non
li deve oltrepassare nessuno.

KAREN : Graham vendette il pezzo agli Stun Boys, e fu un gran successo. Ne


fui molto felice. Felice per come tutto si era risolto. Non avrei voluto dover
suonare quel brano una sera dopo l’altra.
Non ho mai capito quelli che riversano le proprie emozioni private in
qualcosa che sanno di dover suonare a ripetizione in tournée.
ROD : Fu più o meno allora che Daisy e Billy cominciarono a registrare
insieme le loro parti vocali. In gran parte dei brani erano in cabina, e
cantavano nello stesso microfono, armonizzando in diretta.

EDDIE: Billy e Daisy davanti a un microfono in una di quelle minuscole


cabine… Tutti noi saremmo stati pronti a uccidere per poterci avvicinare
così a Daisy.

ARTIE SNYDER : Sarebbe stato molto più semplice, per me, sistemarli in una
cabina ciascuno e isolarne le voci. Il fatto che usassero un solo microfono
rendeva il mio lavoro dieci volte più difficile.
Se Daisy aveva un’area più debole, non potevo sovrainciderla senza
perdere anche Billy. E fare avanti e indietro tra diversi take era quasi
impossibile.
Dovevamo registrare un’enorme quantità di take per ottenerne uno in cui
erano entrambi perfetti. Il resto del gruppo se ne andava, ma Daisy e Billy e
Teddy e il sottoscritto rimanevamo lì fino alle ore piccole. In più, quel
sistema limitava molto la pulizia delle tracce. A dire il vero, ero abbastanza
incazzato. Ma Teddy non mi diede manforte.

ROD : Trovavo che Teddy avesse preso la decisione giusta. Lo si sentiva


nella registrazione. Si percepiva che, mentre cantavano, Daisy e Billy
respiravano la stessa aria. Era qualcosa… be’, non ci sono altre parole per
dirlo. Era qualcosa di intimo.

BILLY : Quando hai levigato tutti i nodi e lisciato tutti i graffi di una musica,
non c’è più emozione, giusto?
ROD : Questa l’ho sentita da Teddy, sicché non posso giurare sulla sua
attendibilità. Ma ci fu un’occasione in cui Billy e Daisy fecero mattina in
studio per le sovraincisioni di «This Could Get Ugly».
Teddy mi raccontò che, a un certo punto, si erano ormai fatte le ore
piccole, Billy non staccò gli occhi di dosso a Daisy per tutta la durata di un
take. Alla fine si accorse che Teddy lo stava guardando e distolse lo sguardo
all’istante, facendo finta di niente.

DAISY : Fino a che punto dobbiamo essere sinceri? So che ho promesso di


«dire tutto», ma quanto di questo «tutto» vuoi davvero sapere?
BILLY : Eravamo nella dépendance di Teddy. Daisy indossava uno di quei
vestiti neri con le spalline sottili, com’è che si chiamano?
Stavamo lavorando a una canzone intitolata «For You». Sulle prime non
avevamo molto, ma parlava della mia rinuncia a droghe e alcol per Camila.
In realtà, a Daisy non l’avevo mai detto apertamente, perché sapevo che non
me l’avrebbe fatta passare liscia. Le avevo raccontato che parlava delle
rinunce che siamo disposti a fare per qualcun altro.
Daisy mi aveva ricordato che avevamo pensato di scrivere un brano un
po’ più duro, e io avevo risposto che magari avremmo potuto farlo dopo.
Perché quell’idea mi piaceva molto. «Ce l’ho in testa da un po’», credo di
avere risposto.

DAISY : Erano solo le undici del mattino, ma io ero già stonata. Billy si era
messo alla tastiera, e io mi sedetti accanto a lui. Mi mostrò le note e io ne
suonai qualcuna, cercando di capire la chiave giusta. I pochi versi che Billy
aveva già scritto… li ricordo ancora testualmente. «Nothing I wouldn’t do /
To go back to the past and wait for you.» Non c’è nulla che non farei per
tornare al passato e aspettarti. Lui li cantò, seduto accanto a me.

BILLY : Daisy posò una mano sulla mia, impedendomi di proseguire. La


guardai. «Mi piace scrivere con te», disse.
«Piace anche a me», risposi.
E poi aggiunsi qualcosa che non avrei dovuto aggiungere.

DAISY : Disse: «Mi piacciono molte cose di te».


BILLY : Nel sentire quelle parole Daisy sorrise, illuminandosi in volto. Un
sorriso radioso, una risata da ragazzina, e gli occhi le si velarono di lacrime.
O forse mi stavo immaginando tutto. Non lo so. È che… è bello, far
sorridere Daisy. È… [Esita] Non lo so. Non so cosa sto cercando di dire.

DAISY : Mi piacciono molte cose di te.

BILLY : Daisy era pericolosa, e io lo sapevo. Ma forse non riuscivo a capire


che più mi sembrava innocua, più era pericolosa.

DAISY : Ancora prima di rendermi conto di cosa stessi facendo, mi sporsi


verso di lui per baciarlo. Eravamo così vicini che potevo sentire il suo fiato
sul viso. Aprii gli occhi e vidi che i suoi erano chiusi. E pensai: È la cosa
giusta. E lo era, a un livello profondamente gratificante.

BILLY : Persi il controllo, temo. Quanto meno per un secondo.

DAISY : Le nostre labbra si sfiorarono. Sentii le sue solo nel senso che mi
parve quasi di sentirle. Ma poi lui si ritrasse.
Mi guardò. E la sua espressione era così gentile, quando me lo disse.
«Non posso», sussurrò.
Sentii il cuore sprofondare nel petto. E non per modo di dire. Lo sentii
letteralmente sprofondare.

BILLY : Rabbrividisco al pensiero di quel momento. All’idea che avrei


potuto commettere un minuscolo errore e gettare via tutta la mia vita.

DAISY : Dopo avermi respinta, riportò gli occhi sulla tastiera, e capii che
cercava di fingere che non fosse accaduto nulla. Probabilmente per il mio
bene, anche se credo che pensasse soprattutto a se stesso. Era straziante, la
menzogna che stava cercando di far passare. Avrei preferito che mi
insultasse, piuttosto di vederlo così teso e immobile.

BILLY : Quando io e Graham eravamo piccoli, d’estate nostra madre ci


portava alla piscina pubblica di zona. Un giorno Graham si sedette a bordo
vasca, sul lato più profondo. Questo succedeva prima che imparasse a
nuotare.
Io ero in piedi accanto a lui, e a un tratto pensai: Potrei spingerlo in
acqua. E la cosa mi riempì di terrore. Non volevo spingerlo, non l’avrei mai
fatto, ma… mi spaventava l’idea che l’unica cosa che si frapponeva tra quel
momento di tranquillità e la peggiore tragedia della mia vita fosse la mia
scelta di non farlo. Mi dava le vertigini la consapevolezza che la vita di
ciascuno fosse così precaria. Che non ci fosse in azione un meccanismo
onnisciente a impedire che ciò che non doveva succedere accadesse.
È una cosa che mi ha sempre spaventato.
Ed era così che mi sentivo con Daisy Jones.

DAISY : «Meglio che vada», gli dissi.


E lui rispose: «Daisy, è tutto a posto».

BILLY : Volevamo entrambi fingere che non fosse accaduto nulla. Speravo con
tutte le mie forze che uno dei due si alzasse e se ne andasse.

DAISY : Presi giubbotto e chiavi e dissi: «Mi dispiace tanto». E me ne andai.

BILLY : Alla fine fui io a dovermene andare. Le dissi che avremmo ripreso a
scrivere in settimana, salii in macchina e tornai a casa da Camila.
«È ancora presto», fece lei.
«Volevo stare un po’ con te», risposi.

DAISY : Andai al mare. Non so per quale motivo. Da qualche parte dovevo
andare, e così proseguii fino alla fine della strada. Fino alla spiaggia.
Parcheggiai, e a un tratto provai vergogna e imbarazzo e mi sentii stupida
e sola e patetica e sleale e una persona orribile. E poi andai su tutte le furie.
Ero furiosa con lui. Per essersi tirato indietro, per avermi messa in
imbarazzo, perché non provava quello che avrei voluto che provasse. O
forse perché sospettavo che in realtà lo provasse, ma non volesse
ammetterlo. Comunque la si voglia mettere, ero arrabbiata. Non era una
reazione ragionevole, ma in fondo quale reazione lo è? Per quanto fosse
irragionevole, ero livida di rabbia. La sentivo bruciarmi nel petto.
Stiamo parlando di quello che probabilmente era il primo uomo della mia
vita che mi capiva davvero, che aveva un sacco di cose in comune con me…
e che malgrado tutto ciò non mi amava.
E quando trovi quella persona rara che sa davvero chi sei e malgrado ciò
non ti ama…
Ero fuori di me dalla rabbia.

BILLY : Era ancora presto. Guardai Camila e proposi: «Perché non saliamo in
macchina e andiamo da qualche parte?»
«Dove?» chiese lei.
Mi rivolsi a Julia. «Se potessi fare quello che vuoi, cosa faresti in questo
momento?»
Lei non esitò un istante. «Disneyland!» gridò. E così caricammo la
macchina e andammo tutti a Disneyland.

DAISY : Ero ancora parcheggiata lungo la PCH quando mi vennero in mente


queste parole: Regret me, rimpiangimi.
Le uniche cose che avevo in macchina da poter usare come fogli erano il
retro del libretto dell’auto e il tovagliolino di una stazione di servizio.
Guardai dappertutto, in cerca di qualcosa con cui scrivere. Nella tasca della
portiera non c’era niente, e nemmeno nel cassettino del cruscotto. Scesi
dall’auto e controllai sotto i sedili, e sotto quello di destra trovai una matita
per gli occhi.
Cominciai a scrivere. Andavo velocissima, e nel giro di dieci minuti
avevo una canzone.

BILLY : Guardavo Julia e Camila sulla giostra nelle tazze da tè, le guardavo
girare. Le gemelle dormivano nel passeggino. Cercavo di togliermi dalla
testa ciò che era successo quella mattina e mi sembrava di impazzire,
perché… be’, non era semplice, ovviamente.
E a un tratto mi resi conto di una cosa. Che non era importante, cosa
provavo per Daisy. La storia è quello che hai fatto, non quello che hai quasi
fatto o che hai pensato di fare. E io ero fiero di quello che avevo fatto.
DAISY : Le azioni di Billy giustificavano davvero la mia canzone?
Probabilmente no. Anzi, no di certo. Ma la questione è questa: l’arte non
deve niente a nessuno.
Le canzoni parlano di sensazioni, non di fatti. La libera espressione di sé
riguarda ciò che si prova vivendo, non la rivendicazione di questa o
quell’emozione. Ho il diritto di essere in collera con lui? Ha fatto qualcosa
di male? Chi se ne frega? Io soffro, quindi scrivo.

BILLY : Quando ce ne andammo da Disneyland, era ormai l’ora di chiusura.


Julia si addormentò durante il viaggio, e le gemelle già dormivano da un
pezzo. Mentre risalivamo la 405 misi la KRLA a basso volume e Camila
appoggiò i piedi sul cruscotto e la testa sulla mia spalla. Tenni la schiena
dritta e non mi mossi di un centimetro perché restasse il più possibile così.
C’era un tacito patto tra noi due.
Voglio dire, Camila sapeva che Daisy era… Sapeva che le cose… [Esita]
Quello che sto cercando di dire, suppongo, è che in certi matrimoni non è
necessario dire sempre quello che senti.
Trovo che dire tutto quello che pensi e che provi… be’, certe persone
sono fatte così. Io e Camila no. Tra noi era più qualcosa di… ci fidavamo
l’uno dell’altra, non c’era bisogno di scendere nei dettagli.
Non so bene come spiegarlo. Perché a dirlo adesso sembra una follia che
io e Camila non parlassimo apertamente di Daisy. Perché Daisy era senza
dubbio un fattore importante nella nostra vita.
Mi rendo conto che potrebbe sembrare una mancanza di fiducia. Che
potrebbe dare l’impressione che io non mi fidassi del modo in cui lei
avrebbe reagito sapendo come stavano le cose con Daisy, o che lei non si
fidasse abbastanza di me da volerlo sapere. Ma in realtà era esattamente
l’opposto.
Più o meno in quello stesso periodo, anno più anno meno, non ricordo,
Camila ricevette la telefonata di un ex compagno delle superiori. Uno che ai
tempi giocava nella squadra di baseball e con cui lei era andata al ballo
della maturità e tutto il resto. Mi sembra si chiamasse tipo Greg Egan o Gary
Egan.
«Esco a pranzo con Gary Egan», annunciò un giorno Camila. «Okay», feci
io. E lei ci andò, e restò fuori quattro ore. Nessuno resta fuori a pranzo per
quattro ore.
Quando tornò, mi diede un bacio e si mise subito a fare il bucato o
qualcosa del genere. «Com’è andato il pranzo con Gary Egan?» le chiesi.
«Bene», rispose lei, e non aggiunse altro.
In quel momento mi resi conto che qualunque cosa fosse successa tra lei e
Gary Egan, qualunque cosa lei provasse per lui, o lui provasse per lei, o
qualunque cosa ci fosse stata tra loro, non erano affari miei. Camila non si
sentiva di condividere l’esperienza: era stato un momento suo, e non mi
riguardava.
Non sto dicendo che non me ne importasse nulla. Mi importava eccome.
Sto solo dicendo che quando ami qualcuno, a volte quello di cui questo
qualcuno ha bisogno potrebbe ferirti, e per certe persone vale la pena di
soffrire.
Io avevo fatto soffrire Camila, Dio solo sa quanto. Ma l’amore non è
perfezione, divertimento, risate e sesso. L’amore è perdono e pazienza e
fiducia, e ogni tanto è un pugno nello stomaco. Per questo è pericoloso amare
la persona sbagliata. La persona che non lo merita. Devi amare qualcuno che
merita la tua fiducia, e tu stesso devi meritare la fiducia degli altri. È una
cosa sacra.
Non tollero le persone che sprecano la fiducia altrui. Non le sopporto.
Io e Camila avevamo promesso di mettere il nostro matrimonio davanti a
tutto. La nostra famiglia. E ci eravamo promessi di avere fiducia l’uno
nell’altra riguardo al modo di farlo. Lo sai cosa ci fai con un livello simile
di fiducia? Quella di chi dice: Mi fido di te al punto da tollerare i tuoi
segreti?
Ne fai tesoro. Ti ripeti di continuo che sei fortunato a godere ogni giorno
di quel tipo di fiducia. E quando ti ritrovi a pensare: Voglio fare qualcosa
che tradirebbe quella fiducia, qualunque cosa sia (amare una donna che non
dovresti amare, bere una birra che non dovresti bere), lo sai cosa fai?
Ti dai una mossa e porti le tue bambine a Disneyland insieme alla loro
madre.

CAMILA : Se ho dato l’impressione che la fiducia sia facile da accordare (a


tuo marito, alle tue figlie, a chiunque conti qualcosa per te), se l’ho fatta
sembrare una cosa semplice… significa che mi sono espressa male. È la
cosa più difficile che abbia mai dovuto fare.
Ma senza fiducia non hai niente. Niente che significhi qualcosa. Per
questo ho sempre scelto la fiducia. Tutte le volte che ho potuto. Anche
quando mi si è rivoltata contro. E per questo continuerò a sceglierla sino alla
fine.

DAISY : Quella sera, quando tornai a casa, chiamai Simone a New York. Era
un mese, forse di più, che non ci vedevamo.
Ed era una delle rarissime serate che passavo da sola, senza circondarmi
di gente e festeggiare chissà cosa con chissà chi. Ero sola nel mio cottage.
C’era un tale silenzio che mi feriva le orecchie.
Chiamai Simone e le dissi: «Mi sento sola».

SIMONE: Colsi una gran tristezza nella sua voce. Il che è raro, con Daisy,
anche solo per il fatto che è quasi sempre su di giri per questa o quella
droga. Ti rendi conto di quanta tristezza devi provare per essere triste
quando sei fatta di coca e dexedrina? Ma se avesse saputo quante volte
pensavo a lei, non si sarebbe sentita così sola.

DAISY : «Fammi un favore», disse Simone. «Immagina una mappa del


mondo.»
Non ero dell’umore giusto, ma lei insistette. «Dammi retta.» E così lo
feci.
«Tu sei a L.A.», riprese lei. «Sei una luce che lampeggia. Mi segui?»
«Sì», dissi.
«E sai di brillare più di chiunque altro. Lo sai, giusto?»
«Certo», risposi per accontentarla.
«E oggi a New York, giovedì a Londra e la settimana prossima a
Barcellona c’è un’altra luce che lampeggia», proseguì lei.
«E saresti tu?»
«Esatto. Ovunque siamo, a qualsiasi ora del giorno, il mondo è buio e noi
siamo due luci che brillano. Che pulsano all’unisono. Nessuna delle due
brilla da sola.»
GRAHAM: Billy mi chiamò nel cuore della notte. Erano le tre, Karen era con
me, e io risposi solo perché temevo che fosse morto qualcuno se mi
telefonavano alle tre del mattino. «Non credo che funzionerà», disse Billy
senza neanche salutare.
«Di cosa stai parlando?» gli chiesi.
E lui: «Daisy se ne deve andare».
«No», risposi. «Daisy non andrà da nessuna parte.»
«Te lo chiedo per favore», fece lui.
«No, Billy», ribattei. «Che ti prende? L’album è quasi finito.»
Lui riagganciò, e non ne parlammo mai più.

CAMILA : Sento che Billy si alza a notte fonda e solleva la cornetta. Ero
quasi sicura che stesse chiamando Teddy, ma non del tutto.
Lo udii dire: «Daisy se ne deve andare».
E in quel momento capii. Chiaro che capii.

GRAHAM: Credevo che avesse il terrore di non essere più la stella del
gruppo. Voglio dire, sapevo che i rapporti tra Billy e Daisy erano delicati.
Ma ai tempi credevo ancora che la musica riguardasse solo la musica.
Però in realtà non è mai così. Se lo fosse, scriveremmo canzoni sulle
nostre chitarre. Invece no, scriviamo canzoni sulle donne.
Le donne ti rovinano, capisci? Tutti ci facciamo del male a vicenda,
immagino, ma le donne sembrano sempre capaci di riprendersi, l’hai notato?
Le donne restano sempre in piedi.
ROD : Quel giorno Daisy non si sarebbe dovuta presentare.

KAREN : Stavamo addolcendo «Young Stars». Quando arrivò Daisy, io ero


nel salottino. Mi resi subito conto era fatta.

DAISY : Ero sbronza. A mia discolpa, erano le cinque del pomeriggio o giù di
lì. Non è l’ora dell’aperitivo in tutto il mondo? No, lo so. Mi rendo conto
che è assurdo. Che almeno mi si riconosca il merito di sapere quanto sono
pazza.

BILLY : Ero in sala mixer, stavo ascoltando le sovraincisioni di Eddie e


cercando di farlo rallentare un po’, quando Daisy spalanca la porta e dice
che mi deve parlare.

DAISY : E lui finge di non avere idea del perché.

BILLY : Okay, le dico, e la seguo in cucina. E lei mi ficca in mano un


tovagliolo di carta e il retro di una bolletta o qualcosa del genere. Sono pieni
di scarabocchi neri e sbavature.

DAISY : Le matite per gli occhi lasciano molti sbaffi.

BILLY : «E questo cos’è?» le chiedo.


«È la nostra nuova canzone», risponde lei.
Torno a guardarla, ma non ci capisco niente.
«Comincia sul foglio e prosegue sul tovagliolo», dice Daisy.
DAISY : La legge una sola volta e poi fa: «Questa non la registriamo».
«Perché no?» gli domando.
Siamo vicini a una finestra aperta, e lui si sporge in avanti e la chiude.
Sbattendola. Poi risponde: «Perché no».

BILLY : Quando scrivi una canzone che potrebbe o non potrebbe riguardare
qualcuno di preciso, puoi stare certo che quel qualcuno non te ne chiederà
conferma. Perché nessuno vuole fare la figura dello stronzo convinto di
essere al centro di tutto.

DAISY : «Dammi una sola ragione per cui non dovremmo registrarla», dissi.
E quando lui fece per rispondere, lo interruppi: «Ti do io cinque buoni
motivi per farlo».

BILLY : Alzò il pugno e cominciò a contare.


«Primo, sai che è una bella canzone. Secondo, non più tardi dell’altro
giorno dicevi che avremmo bisogno di qualcosa di più duro, di meno
romantico. E questo pezzo lo è. Terzo, manca almeno un altro brano. Pensavi
di scriverlo insieme? Perché te lo dico subito, non ho più molta voglia di
lavorare con te. Quarto, il testo è basato sulla melodia di quel blues a cui
stavi già lavorando, sicché la canzone è già sulla buona strada. E per finire,
quinto: ho riguardato la tracklist, e questo è un album sulla tensione. Se vuoi
movimentare le cose dal punto di vista tematico, hai bisogno di qualcosa con
cui spezzare la tensione. Bene, con questa è spezzata.»

DAISY : Avevo provato il discorso durante il tragitto in macchina.

BILLY : Non era facile affermare il contrario, ma ci provai lo stesso.

DAISY : «Non c’è un solo motivo per non registrare questo pezzo», insistetti.
«A meno che non sia qualcos’altro a darti fastidio.»

BILLY : «Non c’è niente che mi dia fastidio, ma per me è no», ribattei.

DAISY : «Non sei il capo del gruppo, Billy», dissi.


BILLY : «Noi due firmiamo i pezzi insieme», risposi, «e questo non ho
intenzione di scriverlo.» Daisy riprese i suoi fogli e se ne andò infuriata, e io
pensai che fosse finita lì.

DAISY : Convocai tutti nel salottino. Tutti quelli che c’erano.

KAREN : Daisy mi trascinò letteralmente per la manica.

WARREN : Sono fuori sul retro a farmi una canna e a un tratto avverto la mano
di Daisy su una spalla e mi sento trascinare all’indietro.

EDDIE: Pete era in cabina con Teddy. Io ero andato in bagno. Quando uscii,
era venuto fuori anche Pete. A vedere cosa stava succedendo.

GRAHAM: Io e Pete eravamo nel salottino e stavamo lavorando su un riff,


quando all’improvviso sono tutti lì, in piedi di fronte a noi.

DAISY : «Adesso vi canterò una canzone», dissi.

BILLY : Li trovai tutti nel salottino. Cosa cazzo sta succedendo? pensai.

DAISY : «E poi», aggiunsi, «voteremo se inserirla o no nell’album.»

BILLY : Ero talmente furioso che non sentivo neanche più ribollire il sangue
nelle vene. Ero raggelato, impietrito, e lo sentivo defluire come una vasca da
bagno che veniva svuotata.

DAISY : Mi misi a cantare senza accompagnamento, interpretando la canzone


come l’avevo sentita nella testa. «When you look at the mirror / Take stock
of your soul / And when you hear my voice, remember / You ruined me
whole.» Quando ti guardi allo specchio guardati dentro, e sentendo la mia
voce sappi che sei stato la mia rovina.

KAREN : La sua voce era gutturale. In parte perché era chiaramente ubriaca o
fatta o chissà cosa. E la sua voce era ruvida. Ma la combinazione delle due
cose… Era una canzone rabbiosa, e lei la cantava in modo rabbioso.

EDDIE: Era rock ’n’ roll puro! Quanta rabbia, ragazzi. Fenomenale. Quando
spiego alla gente cosa si prova a fare un album rock, racconto di quel giorno.
Di quando ero davanti alla ragazza più bella del mondo e la ascoltavo
sputare fuori l’anima, sentendo che stava quasi per perdere la testa. Ma nel
modo migliore possibile.

WARREN : Vuoi sapere quando mi convinse? Quando capii che era una gran
canzone? Quando cantò: «When you think of me, I hope it ruins rock ’n’
roll». Quando pensi a me, spero che rovini il rock ’n’ roll.

BILLY : Alla fine rimasero tutti zitti. E io mi dissi: Okay, bene, non è
piaciuta.

DAISY : «Chi pensa che questo pezzo dovrebbe fare parte dell’album, alzi la
mano», dissi. E Karen la fece scattare all’istante.

KAREN : Volevo suonarlo, quel pezzo. Volevo scatenarmi sul palco con una
canzone così.

EDDIE: È il lamento di una donna rifiutata, ma è anche un gran pezzo. Alzai


subito la mano. E Pete fece lo stesso. Credo gli fosse piaciuta la sensazione
di fare qualcosa di azzardato, capisci. Quasi tutto il resto dell’album era fin
troppo soft.

WARREN : «Per me è un sì», dissi. Poi mi rimisi la canna in bocca e tornai


fuori nel parcheggio.

GRAHAM: Se Billy fosse stato d’accordo, non ci sarebbe stata alcuna


votazione, giusto? Il mio istinto era quello di schierarmi con lui. Ma era una
gran bella canzone.

DAISY : Avevano tutti le mani alzate tranne Graham e Billy. E a quel punto
l’alzò anche Graham.
Mi voltai verso Billy in fondo alla stanza. «Sei contro uno», dissi. Lui
annuì, rivolto a me e a tutti gli altri, e uscì dal salottino.

EDDIE: La registrammo senza di lui.


ROD : Era giunto il momento di pensare a come vendere l’album. Organizzai
un incontro tra il gruppo e un amico fotografo: Freddie Mendoza. Un ragazzo
di talento. Gli feci sentire un paio di brani ancora in fase iniziale di
mixaggio, giusto per fargli capire a cosa puntavamo. «Me la vedo ambientata
sulle montagne del deserto», disse lui.

KAREN : Chissà perché, ricordo che Billy diceva di volere una copertina con
tutti noi in barca.

BILLY : Pensavo che avremmo dovuto avere un’immagine del sorgere del
sole. Avevamo già deciso che si sarebbe intitolato Aurora, mi sembra.

DAISY : Billy aveva deciso di chiamarlo Aurora, e nessuno poteva


negarglielo. Ma non mi era certo sfuggito il fatto che quest’album su cui mi
ero fatta un mazzo tanto fosse dedicato a Camila.

WARREN : Pensavo che sarebbe stato bello fare la foto di copertina sulla mia
barca. Sarebbe stata una figata.

FREDDIE MENDOZA (fotografo): Mi era stato detto di fotografare l’intera


band, ma con Billy e Daisy come centro focale. Non molto diverso da
qualsiasi altro servizio su un gruppo rock, giusto? Ma devi capire bene chi
stai fotografando e come farla sembrare una cosa naturale.

ROD : Freddie voleva un’ambientazione desertica, e a Billy andava bene. E


così fu deciso.
GRAHAM: Ci trovammo all’alba sulle Santa Monica Mountains.

WARREN : Pete arrivò tipo un’ora dopo.

BILLY : Guardai tutti, mentre aspettavamo che il fotografo si preparasse, e per


un momento feci come un passo fuori da me stesso. Cercai di vederci come
ci avrebbe visti la gente.
Graham era sempre stato un bel ragazzo. Più alto e più forte di me. Con i
lussi che ci stavamo concedendo negli ultimi anni aveva messo su qualche
chilo, ma gli donavano. Eddie e Pete erano entrambi allampanati, ma
sapevano come vestirsi. Warren aveva quei baffoni che allora erano molto di
moda. Karen aveva una sua sobria bellezza. E poi c’era Daisy.

KAREN : Arrivammo tutti lassù in jeans e maglietta. Era quello che ci aveva
detto Rod: «Vestitevi normalmente». Poi arriva Daisy, in pantaloncini di
jeans, canottiera bianca e senza reggiseno. Ha i suoi enormi cerchi alle
orecchie, i braccialetti ai polsi. La canottiera è bianca e sottilissima, e si
vedono chiaramente i capezzoli. E a un tratto mi diventa chiarissimo: La
copertina sarà il seno di Daisy.

DAISY : Non intendo chiedere scusa a nessuno per quella copertina. Io mi


vesto come cazzo voglio. Indosso quello che mi fa sentire a mio agio. Non
mi interessa come lo recepiscono gli altri. Lo dissi a Rod. Avevo già avuto
modo di dirlo a Billy. E ne ho parlato a lungo con Karen. [Ride] Diciamo
che ci siamo rassegnate a non essere d’accordo.

KAREN : Se vogliamo essere prese sul serio come musiciste, perché usiamo i
nostri corpi?

DAISY : Se ho voglia di girare a seno nudo, sono cavoli miei. Lascia che ti
dica una cosa: quando arriverai alla mia età, sarai contenta di essertele fatte
fotografare ai tempi.

GRAHAM: Da quanto mi pareva di capire, era dal giorno di «Regret Me» che
Billy e Daisy non si rivolgevano la parola.
BILLY : Non c’era niente da dire.

DAISY : Billy mi doveva delle scuse.

FREDDIE MENDOZA : Billy era vestito di jeans, e Daisy aveva una camicetta
che a malapena poteva dirsi tale. E la foto era tutta lì. La camicia di jeans di
lui e la canottierina di lei.
Disposi il gruppo sulla strada, lungo il guardrail tra la carreggiata e la
scarpata del canyon. Dietro di loro, a una trentina di metri di distanza, c’era
il profilo di una montagna con dietro il sole che stava per sorgere.
Vedendoli tutti e sette schierati nelle varie pose, mi resi subito conto che
avremmo ottenuto qualcosa di speciale. Voglio dire, era un’antologia di
elementi americani in un’unica immagine, giusto? La strada, la polvere, la
terra. La band sull’orlo di un dirupo, alcuni di loro trasandati, altri
bellissimi. Il deserto e le foreste delle Santa Monica Mountains, con gli
alberi sullo sfondo di terra rossiccia. E il sole che illumina tutto.
E poi ci sono Billy e Daisy, giusto?
Non facevano che mettersi ai lati opposti del gruppo, e io insistevo a
mescolarli. A un certo punto, vidi che Daisy si sporgeva in avanti per
guardare Billy, e continuai a scattare. Quando faccio i miei servizi, cerco
sempre di non attirare l’attenzione. Cerco di restare sullo sfondo, e lasciare
che i miei soggetti facciano quello che vogliono. E così continuai a scattare
mentre Daisy guardava Billy e tutti gli altri erano rivolti verso di me, verso
l’obiettivo. E a un certo punto, per una frazione di secondo, Billy si gira
verso Daisy mentre lei lo sta ancora guardando. I loro sguardi si incontrano,
e io catturo il momento.
Questa è già una copertina, mi dico. Non appena mi rendo conto di
avere qualcosa di buono, mi sento più libero, capisci? Mi sento pronto a
sperimentare, a muovere i miei soggetti, a pretendere di più, perché a quel
punto se anche s’incazzano non è più un problema, giusto? E così dissi:
«Fantastico, ragazzi. Adesso saliamo in cima alla montagna».

BILLY : A quel punto eravamo lì da un paio d’ore, a scattare foto sotto il sole
a picco. Ero pronto a togliere il disturbo.
GRAHAM: «Ci andremo in macchina, non a piedi», dissi. Ci fu un po’ di tira
e molla con il fotografo, ma poi finalmente fu deciso che avevo ragione io.

FREDDIE MENDOZA : Finimmo nel posto perfetto.


Billy e Daisy scesero dall’auto e si misero in posizione in cima alla
montagna. Dietro di loro c’è solo l’azzurro del cielo, okay? Poi si
aggiungono gli altri, e cominciano a infilarsi tra Billy e Daisy, ma io dico:
«Mettiamo Billy, Daisy, Graham…» E così finalmente riesco ad avere Billy
e Daisy fianco a fianco, e dal loro linguaggio gestuale si vede che cercano
disperatamente di evitare che anche due soli atomi dei loro corpi entrino in
contatto. Per metterli più a loro agio, provo a farli parlare. «Com’è successo
che Daisy si è unita al gruppo?» chiedo, non conoscendo la loro storia e
pensando che sia un argomento facile.
Billy e Daisy cominciarono a parlare nello stesso momento, poi si
guardarono. Feci qualche scatto, poi, mentre si parlavano, zoomai sui loro
petti. Formavano un angolo acuto, e c’era un tale… lo spazio vuoto tra loro
sembrava quasi… vivo. Elettrico. C’era una tale risolutezza nel loro non
toccarsi…
Lo capii fin da subito, guardando nel mirino. Sapevo che era un grande
scatto.

DAISY : Quando arrivammo in cima alla montagna, il fotografo piazzò me e


Billy l’uno accanto all’altra, ci fece una domanda stupida e, subito, la prima
cosa che esce dalle labbra di Billy, dopo giorni in cui ci rivolgiamo a
malapena la parola, è una frecciata rivolta a me.

BILLY : Ci vuole un bel coraggio a infilarsi nel mio gruppo, usurpare il mio
album, piazzarsi al centro della mia copertina e poi interrompermi quando
sto cercando di rispondere a una domanda.

KAREN : Eravamo lì in posa, ma si vedeva che l’obiettivo non era puntato su


di noi. Il fotografo non faceva neanche finta. Hai idea di quanto ci si senta
stupidi a posare per una foto che nessuno sta scattando?
WARREN : Mi sedetti su una roccia malferma e cominciai a rotolare giù dalla
collina. Per non essere travolto, Eddie dovette fare un gran balzo di lato.

EDDIE: Fu una lunga giornata. Cominciavo a essere davvero stufo di quella


gente.

GRAHAM: Ero in cima a una montagna con la donna che amavo, e stavamo
realizzando la copertina di un album che sapevo avrebbe avuto un enorme
successo. Giuro, ancora oggi quando sono un po’ giù ripenso a quel giorno.
Ci penso per ricordarmi che non sai mai cosa ti aspetta di bello dietro
l’angolo. Ma ripensando a quel giorno è anche dura non ricordare che spesso
dietro l’angolo ci sono cose brutte.

FREDDIE MENDOZA : Quando cominciai a sviluppare le immagini, sapevo


che la foto del gruppo davanti al guardrail, con Daisy e Billy che si
guardano… sapevo che era bellissima, okay? Ma poi tirai fuori lo scatto
migliore dei busti di Billy e Daisy e pensai: Cazzo, ci siamo. Era una di
quelle foto che suscitano una reazione emotiva immediata.
Lui con la camicia di jeans, lei con il seno in trasparenza. Sapevi chi
erano anche senza vederli in faccia. Potevi colmare tu stesso le lacune. Con
il cielo azzurro in mezzo a loro, una linea più o meno retta sul lato di Billy e
curva su quello di Daisy, a seguire il profilo del suo corpo… era maschile e
al tempo stesso femminile.
Poi guardavi meglio, e vedevi spuntare qualcosa dalla tasca dei
pantaloncini di Daisy. Non sapevo cosa fosse di preciso. Sembrava una
boccetta, probabilmente per le pillole o la coca. E quel dettaglio era
l’elemento unificatore. Era l’America. Tette. Sesso. Droga. Estate. Rabbia.
Rock ’n’ roll.
La copertina era quella: Billy e Daisy, i loro busti in primo piano. E sullo
sfondo il gruppo, con Billy e Daisy che si guardavano. Una copertina della
stramadonna, se posso dirlo.

DAISY : Era una boccetta di coca, quella che avevo in tasca. Cos’altro poteva
essere, se non droga?
BILLY : Hai presente quando non riesci a fare a meno di controllare dov’è
una persona? Anche se continui a ripeterti che non te ne importa niente? Io…
era come se cercassi costantemente di non guardarla. [Ride] Giuro, quel
fotografo beccò gli unici due momenti della giornata in cui la stavo
guardando. E finirono entrambi sulla copertina del disco, uno davanti e
l’altro dietro.

GRAHAM: Quando Teddy ci mostrò le prove di copertina, con Billy e Daisy


sul davanti e loro che si guardavano sul retro… Non ci saremmo dovuti
sorprendere. Ma un po’ brucia, quando ti rendi conto di non essere
l’attrazione principale. Voglio dire, era praticamente dalla nascita che
vivevo all’ombra di mio fratello. Cominciavo a chiedermi per quanto ancora
sarei stato costretto a farlo.

EDDIE: Billy e Daisy sono sempre stati convinti di essere le persone più
interessanti del mondo. E quella copertina per loro ne era la conferma.

BILLY : È una bellissima copertina.

DAISY : È un’immagine iconica.


KAREN : Le registrazioni si stavano ormai diradando. Stavamo più che altro
apportando i tocchi finali.

EDDIE: Avevamo finito le sovraincisioni di «This Could Get Ugly», mi


sembra, e stavamo ascoltando le tracce tutti insieme. O meglio, tutti tranne
Warren, Pete e Billy, che non c’erano. A un certo punto se ne andò anche
Teddy. E poi Rod. E mi pare perfino Artie. Decisi di togliere il disturbo
anch’io. Uscii, ma quando arrivai alla macchina mi accorsi di avere
dimenticato le chiavi, e così rientrai per un attimo. E in quel momento sentii
due che scopavano in bagno! Chi è che se la sta passando lì dentro? mi
chiesi.
E poi sentii la voce di Graham. E attraverso uno spiraglio intravidi i
capelli di Karen. Me ne andai all’istante, salii in macchina e tornai a casa.
Però, quando arrivai, mi accorsi che stavo sorridendo. Ero felice per loro.
Stavano bene, insieme. Scommetto che si sposano, mi dissi. Ed era una cosa
che non mi era mai venuta in mente per nessun altro.

WARREN : Finii di registrare le mie parti in dicembre, mi pare. Ricordo di


aver pensato che ormai l’album era pronto e che avremmo potuto andare in
tournée. Avevo voglia della gente, degli applausi, delle groupie, delle
droghe. Tra l’altro, quando ti compri una barca non ti dicono che… può
diventare molto claustrofobica. È più una cosa da fine settimana.

KAREN : Finito di registrare, ciascuno se ne andò per la sua strada. Il


classico periodo di meritato riposo. Dopo aver portato a termine le nostre
parti, io e Graham prendemmo in affitto una casa a Carmel per qualche
settimana. Io e lui soli, una baita, la spiaggia, i boschi. E i funghi magici.
GRAHAM: Mi sembra che Eddie e Pete fossero tornati sull’East Coast per il
compleanno della madre o qualcosa del genere.

EDDIE: Avevo bisogno di scaricarmi un po’. Dopo l’anniversario dei nostri


genitori, Pete e Jenny rimasero con loro e io passai un paio di settimane a
New York.

DAISY : Non avevo più niente da fare. Le mie parti vocali le avevo registrate,
la copertina era fatta, le date della tournée non erano ancora state decise.
«’Fanculo, vado a Phuket», mi dissi. Avevo bisogno di fare un viaggio per
schiarirmi le idee.

BILLY : Mi presi una breve vacanza, ma poi tornai in studio con Teddy e
passammo l’album al setaccio, un secondo dopo l’altro, un brano dopo
l’altro, continuando a remixare fino a raggiungere la perfezione. Per circa tre
settimane, io, Teddy e Artie passammo più o meno venti ore al giorno in sala
mixer.
Ogni tanto sovraincidevo qualche parte, quando ci pareva che un giro non
fosse perfetto o magari volevamo aggiungere un piano honky-tonk, un dobro
o qualche colpo di spazzola alla batteria. Roba semplice.

ARTIE SNYDER : Quando tutti se ne andarono era un album, e quando


tornarono era… qualcosa di diverso. Aveva molte più sfumature e livelli,
era più innovativo. Teddy e Billy avevano colmato tutti i vuoti. Avevano
aggiunto campanacci, maracas, legnetti e güiros. A un certo punto, mi
sembra, registrammo perfino il pugno di Billy che colpiva il bracciolo di una
poltrona, perché ci piaceva il suono sordo che faceva.
Teddy e Billy ebbero un’autentica visione. Avevano una profonda
sensibilità e sapevano come le canzoni dovevano svilupparsi, e Teddy era
molto bravo a dare intensità.
Prendi una canzone come «Regret Me»: all’inizio non era che una singola
parte vocale su un giro di blues abbastanza semplice, ma Teddy praticamente
costrinse Billy a registrare una seconda parte vocale. In un primo momento,
Billy non voleva farlo, ma il risultato finale fu che mise la sua firma anche su
quel brano. Riscrisse e sovraincise il riff principale, e lui e Teddy
abbassarono i livelli della batteria di Warren fin quasi al ritornello. In poche
parole, ne fecero una canzone diversa.
Con «Aurora», Billy la rallentò, ridusse le tastiere di Karen e tirò su la
chitarra di Graham, rendendola molto più pulita.
Teddy e Billy, e mi ci metto dentro anch’io, ci intendevamo al volo. Ci
divertivamo, e penso che lo si senta nel mix finale. La versione definitiva di
quell’album è dinamite pura.

BILLY : Una volta che fummo soddisfatti delle canzoni, io e Teddy


riflettemmo a fondo sul loro ordine. All’ascoltatore piace provare tristezza,
penso. Ma detesta quando lo si lascia triste. Un grande album dev’essere un
ottovolante che si conclude nel punto più alto. Devi dare qualche speranza
alla gente. E così riflettemmo a lungo sulla tracklist. Dovevamo trovare la
combinazione giusta. Ordinammo i brani, sia in senso tematico sia
strumentale.
Si comincia decisi, con i suoni pieni di «Chasing the Night».
Con «This Could Get Ugly» le cose iniziano a farsi intense.
«Impossible Woman» è cupa e turbolenta. Ha un che di inquietante.
«Turn It Off» parte in quarta, è una specie di inno rock.
«Please» è il bisogno, l’urgenza, l’implorazione.
Poi si passa al lato B.
«Young Stars» è un brano sofferto, però ha un ritmo sostenuto, è un po’
ardito ma anche ballabile.
Da quello si va direttamente a «Regret Me», che è una canzone dura,
veloce, cruda.
Poi ci si rilassa con «Midnights», che è un pochino più dolce.
A quel punto c’è «A Hope Like You»: lenta, tenera, malinconica,
spartana.
E alla fine torna a sorgere il sole. Si finisce con un acuto, si conclude in
bellezza. «Aurora». Tentacolare, lussureggiante, percussiva.
L’intero album è… un gran bel viaggio. Dall’inizio alla fine.
SIMONE: Ero a Manhattan quando ricevetti una cartolina di Daisy dalla
Thailandia.

DAISY : I primi giorni del viaggio in Thailandia, la mia unica intenzione era
quella di rilassarmi. Mi ero messa in mente di rifugiarmi da sola chissà dove
e riflettere su me stessa. Ovviamente le cose non andarono così. Ero lì da
due giorni e già mi sembrava di impazzire di noia. Ero quasi sul punto di
tornare a casa cinque giorni prima.

SIMONE: La cartolina diceva solo: Vieni a Phuket. Porta coca e rossetto.

DAISY : Ma poi conobbi Nicky.


Ero sdraiata sul bordo della piscina vista mare. Fatta come una scimmia.
Vedo arrivare un bell’uomo, alto ed elegante, con una sigaretta tra le dita, e
gli dico: «Le dispiace spegnerla, per cortesia?» Odiavo l’odore di fumo, a
meno che a fumare non fossi io.
«Crede di poter ottenere tutto quello che vuole solo perché è bellissima?»
ribatte lui con un meraviglioso accento italiano.
«Sì», faccio io.
«Ha ragione», prosegue lui spegnendo la sigaretta. «Mi chiamo Niccolò
Argento.» Gran bel nome, pensai. Continuavo a ripeterlo tra me. Niccolò
Argento. Niccolò Argento. Lui mi offrì da bere, io ricambiai. Poi ci facemmo
un paio di strisce a bordo piscina, sai com’è, e all’improvviso mi resi conto
che quell’uomo non aveva idea di chi fossi. Cosa che a quel punto era una
novità. Perché almeno «Honeycomb» la conoscevano un po’ tutti. Sicché gli
parlo del gruppo e lui mi racconta di sé, del fatto che viaggia di continuo
senza trattenersi mai troppo in un posto. Si definisce un «amante
dell’avventura». Dice di essere in cerca di «una vita piena di esperienze». E
a quel punto viene fuori che è un principe. Un principe italiano.
Stacco sulle quattro di quel mattino: siamo in camera mia, stiamo
ascoltando musica a tutto volume malgrado le proteste dell’albergo, Niccolò
ha tirato fuori l’LSD e mi sta dicendo che mi ama, e io rispondo che so che
sembra una follia, ma credo di amarlo anch’io.

SIMONE: Avevo voglia di vederla, avevo qualche settimana di pausa tra un


concerto e l’altro ed ero anche un po’ in pensiero, il che a quel punto era più
o meno la norma. E così comprai un biglietto aereo.

DAISY : Nel corso dei giorni successivi dissi tutto a Nicky. Gli aprii il mio
cuore. Amavamo la stessa musica, la stessa arte, le stesse pillole. Mi
sembrava che lui fosse l’unico al mondo in grado di capirmi. Gli confidai
quanto mi sentissi sola e quanto fosse stato difficile realizzare quell’album.
E quello che provavo per Billy. Non gli nascosi nulla. Mi aprii e lasciai che
si riversasse tutto fuori. E lui mi ascoltò.
«Mi crederai una pazza», dissi a un certo punto.
«Daisy mia», rispose lui, «tutto in te mi sembra perfettamente sensato.»
Sembrava disposto ad accettare ogni aspetto di me, qualsiasi cosa gli
rivelassi. L’accettazione è una droga potente. Dovrei saperlo, visto che le ho
provate tutte.

SIMONE: Arrivai in Thailandia stanca morta e in preda al jet lag, presi uno
scassato pullman per l’albergo e mi registrai. Poi chiesi il numero di stanza
di Lola La Cava, e… Daisy non c’era. Se n’era andata.

DAISY : Una sera eravamo in discoteca a Patong, e a Nicky venne l’idea


improvvisa di fare i bagagli e partire. «Devo mostrarti il mio Paese», disse.
A un certo punto dovevo avere chiamato qualcuno e comprato due biglietti
per Firenze, perché un bel mattino i biglietti erano lì.
E così andai in Italia con Nicky. E giuro che mi ricordai che Simone mi
stava raggiungendo in Thailandia solo quando ero ormai a metà strada.
SIMONE: La rintracciai telefonando agli uffici della carta di credito e
fingendo di essere lei.

DAISY : Eravamo al Giardino di Boboli a Firenze quando Nicky mi propose


di sposarlo. Prendemmo l’aereo per Roma, e a celebrare le nozze fu un prete
amico di famiglia. Dissi di essere cattolica, mentendo a un sacerdote. Ma
indossavo un bellissimo vestito di pizzo senza spalline color avorio con due
enormi maniche a campana.
Del matrimonio mi sono pentita, ma non di quel vestito.

SIMONE: Riuscii finalmente a raggiungerla in un grandioso albergo romano


affacciato sul Vaticano. A Roma! Avevo dovuto fare mezzo giro del mondo
per trovarla. Quando la vidi, era completamente fatta e indossava solo un
paio di slip. E si era tagliata i capelli in una specie di caschetto spettinato.

DAISY : Era un gran taglio.

SIMONE: Era un bellissimo taglio.

DAISY : L’ho sempre detto, gli italiani ci sanno fare con i capelli.

SIMONE: Daisy non sembrava particolarmente sorpresa di vedermi. Ulteriore


prova di quanto fosse conciata. La prima cosa che notai non appena mi
sedetti fu l’enorme diamante che portava al dito.
Poi arriva un uomo a torso nudo, un tipo magro con una gran testa di ricci
scuri. E Daisy dice: «Simone, questo è mio marito Niccolò».

DAISY : Tecnicamente, sposando Nicky ero diventata principessa. Il che non


può essere escluso dall’equazione. Mi piaceva l’idea di essere parte di
un’importante famiglia nobile. Naturalmente, la mia vita con Nicky si rivelò
molto diversa. Avrei dovuto saperlo che le cose erano differenti da come lui
le aveva fatte sembrare. Una lezione per tutti: i begli uomini che ti dicono
quello che vuoi sentire sono quasi sempre dei bugiardi.
SIMONE: Provai a convincerla a tornare in America con me, ma lei non ci
sentiva. Perché quando cercavo di farle capire che c’erano certe cose che
avrebbe dovuto fare (prepararsi per la tournée, smetterla di imbottirsi di
droga, cercare di passare almeno parte del tempo sobria), Nicky le diceva
che nessuno poteva costringerla a fare ciò che non voleva. Lui non faceva
che amplificare i suoi istinti peggiori. In continuazione. Era come un
uccellino che le cinguettava all’orecchio, convalidando ogni suo impulso.
KAREN : Quando ci rivedemmo in gennaio, Daisy non c’era.

GRAHAM: Siamo seduti nell’ufficio di Teddy alla Runner insieme a Rich


Palentino, e stiamo per ascoltare il mix finale. E tutti ci aspettavamo… Be’,
credevamo di sapere più o meno bene cosa avevamo registrato.

WARREN : Io ero reduce da una gran sbornia, e le due caffettiere negli uffici
della Runner erano vuote. «In che senso non c’è caffè?» chiesi alla segretaria
all’ingresso.
«La macchina è guasta», rispose lei.
«Be’, vorrà dire che in riunione non sarò molto pimpante», feci.
«Sei una sagoma», disse lei. E sembrava vagamente arrabbiata, come se
mi fosse sfuggito qualcosa. E io ero lì che facevo fatica a stare in piedi.
«Aspetta… non è che siamo andati a letto insieme, vero?»
A quanto pareva, no.

KAREN : Cominciamo ad ascoltare, seduti intorno a quel tavolo…

EDDIE: Siamo solo al primo pezzo, «Chasing the Night», e Billy ha già
cambiato la mia frase di chitarra. Ha cambiato la mia cazzo di frase.

BILLY : Non credo che mi fossi reso conto, fino al momento in cui ci
sedemmo ad ascoltarlo tutti insieme, di quante cose io e Teddy avevamo
cambiato.

EDDIE: Più si andava avanti, più le cose peggioravano. Aveva modificato


l’accordatura di «Please». Modificata e sovraincisa. Come se potesse
sfuggirmi il fatto che era passato a un’accordatura country. Come se potesse
sfuggirmi il fatto che l’intera canzone doveva essere suonata con una chitarra
diversa. E tutti si rendevano conto di cos’era successo, di quello che Billy
aveva fatto, ma nessuno apriva bocca. Perché Teddy e la Runner erano così
felici del risultato che parlavano di organizzare concerti negli stadi,
stampare più di cento master e compagnia bella. Volevano far uscire al più
presto «Turn It Off», e pensavano che potesse puntare al primo posto in
classifica. Sicché sono tutti lì con il simbolo del dollaro negli occhi, e
nessuno si sogna di dire niente a Billy o a Teddy.

KAREN : Aveva tolto le mie tastiere da due brani. E questo mi faceva


arrabbiare, ovvio. Ma cosa potevamo fare? Rich Palentino era talmente
entusiasta del disco che, parlando, sputacchiava.

WARREN : Avrei rispettato molto di più i suoi interventi in fase di produzione


se non avesse fatto finta di niente. Non mi piacciono i comportamenti
subdoli. Non mi piace quando la gente dice una cosa e poi ne fa un’altra.
Ma ero anche il batterista di una rock band di successo che a detta di tutti
era destinata a dominare le classifiche. E ho sempre saputo mettere le cose
in prospettiva, non per vantarmi.

ROD : Fu allora che iniziarono i mormorii di scontento. Smisero tutti di


parlarsi, e cominciarono a protestare con me.
«Ha tolto le mie tastiere senza neanche interpellarmi», diceva Karen.
E io le rispondevo: «Devi parlarne con lui».
Ma lei non lo faceva.
Poi Pete si lamentava che il disco era diventato troppo soft. Che era
imbarazzante. E io: «Parlane con Billy».
E a Billy dicevo: «Devi parlare con il tuo gruppo».
E lui ribatteva: «Se hanno qualcosa da dirmi, che me la dicano».
Nel frattempo, tutti si chiedono quando Daisy si farà rivedere, ma io sono
l’unico che prova a rintracciarla.

GRAHAM: Era un’inquietante indicazione del fatto che le cose stavano


cambiando. Che non eravamo più la stessa band di qualche anno prima.
Qualche anno fa, se avesse avuto intenzione di sovraincidere le parti di
Eddie, Billy ne avrebbe parlato con me. Si sarebbe confrontato con me. Ora
invece ne parlava con Teddy. Ma questo valeva per molte cose nel nostro
rapporto. Io avevo Karen, lui aveva Camila e le bambine. E quando voleva
un confronto di idee… quanto meno durante le registrazioni di Aurora…
aveva Daisy. Non sto dicendo che mi sentivo abbandonato da Billy. Niente
di così drammatico. Ma forse avevo la sensazione che non facessimo più
squadra. Che ci fossimo lasciati dietro quella fase.
Sai, credo che nella maggior parte dei casi avessi sempre considerato me
stesso in relazione a lui. Per tutta la mia vita fino a quel punto, mi ero sempre
sentito il fratello minore di Billy Dunne. E fu allora che mi resi conto che
probabilmente Billy non aveva mai pensato a se stesso come al fratello
maggiore di Graham Dunne. Non gli sarebbe mai venuto in mente.

BILLY : Con il senno di poi, posso capire perché fossero arrabbiati. Ma non
mi pento del lavoro fatto su quell’album. I risultati parlano da soli.

KAREN : È complicato. Era il nostro album migliore perché Billy era stato
costretto a coinvolgerci fin da subito a livello di composizioni e
arrangiamenti? Penso di sì. Era il nostro album migliore perché alla fine
Billy aveva ripreso le redini del progetto? Perché Teddy sapeva quando
convincerlo ad ascoltare nuove idee e quando invece lasciargli il controllo
totale? Oppure era il migliore solo perché c’era Daisy? Non ne ho idea. Ho
passato un sacco di tempo a pensarci e non ne ho la minima idea.
Ma quando sei parte di qualcosa di grande, come quell’album finì per
diventare… vuoi sapere se ne sei stata parte integrante. Vuoi credere che
senza di te non sarebbe accaduto. Billy non si sforzava mai di farti sentire
parte integrante di qualcosa.

BILLY : Sono problemi comuni a tutti i gruppi. Hai idea di quanto sia difficile
mettere d’accordo tutta quella gente su qualcosa di così soggettivo?

ARTIE SNYDER : I segnali di dissenso mi giunsero all’orecchio solo in


seguito. Venni a sapere che certi membri della band non erano contenti dei
cambiamenti. O del modo in cui erano stati fatti. Ma mi sembrava un po’
strano che tutti fossero arrabbiati con Billy, come se fosse lui a decidere.
Perché a decidere era Teddy. Se Billy aveva rifatto le parti di Eddie era
perché Teddy pensava che avrebbe dovuto rifarle. Billy non faceva niente
che Teddy non approvasse.
Un giorno ci scherzai anche sopra, mentre Teddy era fuori. Billy avrebbe
voluto togliere il dobro da un brano, ma Teddy insisteva perché restasse.
«Cosa facciamo, lo togliamo e vediamo se se ne accorge?» chiesi quando
Teddy uscì dalla sala mixer.
Billy scosse la testa, serissimo. «Il nostro maggior successo è stata una
canzone che credevo di odiare», rispose. «Ed è stato Teddy a salvarla. Se la
scelta è tra la sua opinione e la mia, vince sempre la sua.»
SIMONE: Finalmente convinsi Daisy a comprare il biglietto aereo per L.A. e
ripresentarsi per le prove.

DAISY : Quando gli dissi che sarei dovuta tornare a L.A., Nicky non fu molto
comprensivo. La band doveva incontrare la stampa e partecipare alla
campagna di lancio. Dovevamo prepararci per la tournée. Lui lo sapeva fin
da quando ci eravamo conosciuti. Ma quello che disse fu: «Non andare.
Resta qui. Il gruppo non ha alcuna importanza». E questo mi ferì, perché per
me la band era tutto. Questa cosa, che mi sembrava incarnasse tutto il mio
valore, lui non la considerava nemmeno. Provo imbarazzo ad ammettere che
per poco non mi convinse. Che riuscì quasi a non farmi partire.
Simone bussò alla porta, e lui disse: «Non aprire».
«È Simone», ribattei. «Non posso non aprirle.» Lo feci e me la vidi
davanti, l’espressione furiosa, e non dimenticherò mai le sue parole:
«Prendi-la-tua-cazzo-di-valigia-e-sali-immediatamente-sul-taxi». Non
l’avevo mai vista così. E dentro di me scattò qualcosa.
Nella tua vita deve esserci almeno una persona che non ti darebbe mai un
cattivo consiglio. Potrà essere in disaccordo con te, potrà anche spezzarti il
cuore a più riprese. Ma dev’esserci almeno una persona sempre pronta a
dirti la verità.
Una persona che, quando sei nella merda, prende le tue cose, le ficca in
una valigia e ti porta via dal principe italiano.

SIMONE: La riportai a casa di forza.

KAREN : Quando si ripresenta dal mese di vacanza, Daisy sembra aver perso
cinque chili, e lei non aveva cinque chili da perdere. In più si è tagliata i
capelli, porta un diamante al dito ed è diventata principessa.

BILLY : Rimasi a bocca aperta, e dico sul serio, gli occhi sgranati e tutto il
resto, quando seppi che si era sposata.

DAISY : Cosa gliene fregava? Onestamente, pensai, cosa gliene poteva


fregare? Lui era sposato. Non potevo esserlo anch’io?

WARREN : Non esageriamo. Daisy aveva sposato il figlio di un principe.


Quando tornò, le chiesi quanta gente sarebbe dovuta schiattare prima che lui
salisse al trono, e lei rispose: «Be’, tecnicamente in Italia non c’è più la
monarchia…» Sicché non mi sembra poi ’sto gran principe.

ROD : L’album sarebbe uscito quell’estate. Con l’avvicinarsi della data,


cominciammo a spedirne copie a critici e riviste. Avevamo molte richieste
di interviste.
Volevamo ottenere una copertina sensazionale intorno alla data di
pubblicazione dell’album, e ovviamente ci sarebbe piaciuto uscire su
Rolling Stone. Daisy, in particolare, voleva che a scrivere l’articolo fosse di
nuovo Jonah Berg. Gli telefonai, e lui accettò.

JONAH BERG: Il programma era che passassi un po’ di tempo insieme a loro
mentre provavano.
In verità, sentivo un certo legame con la band, poiché sapevo che era stato
il mio articolo a spingerli a incidere insieme. Sulle prime temevo che non
fosse un buon album e che questo avrebbe creato imbarazzo. Ma quando lo
ascoltai, rimasi sbalordito. I testi erano importanti. I brani erano equamente
divisi tra Billy e Daisy, ma alcuni di quelli più potenti erano firmati da
entrambi. E così arrivai immaginando che Billy e Daisy avessero stabilito
una profonda intesa professionale.

KAREN : Era quasi impercettibile, ma, se prestavi attenzione, fin dal primo
giorno di prove ti rendevi conto che Billy e Daisy non si rivolgevano mai la
parola.
GRAHAM: Eravamo tutti sul palco e stavamo discutendo della scaletta dei
concerti, ma Billy e Daisy non si parlavano. Ricordo che Billy suggerì che
non suonassimo più «Honeycomb», anche se era ancora un gran successo.
Suggerì di suonare i pezzi di Aurora, con magari un paio di aggiunte.
Daisy mi guardò e chiese: «Tu che ne pensi, Graham? Io credo che il
pubblico se l’aspetti. E non vogliamo deluderlo». Non capivo perché si
rivolgesse a me.
Prima ancora che potessi risponderle, Billy mi guardò e disse: «Ma è un
brano lento, e non dobbiamo dimenticarci che suoneremo in strutture più
grandi. Abbiamo bisogno di materiale adatto ai grandi numeri». Stavo per
chiedergli se intendesse scartare pure «A Hope Like You», visto che anche
quello è un pezzo lento, ma Billy mi anticipò e tagliò corto: «Bene, allora è
deciso».
E Daisy ribatté: «Be’, gli altri cosa ne pensano?»
Il tutto senza mai scambiarsi un’occhiata. E noi lì a guardarli mentre si
parlavano senza rivolgersi la parola.

BILLY : Il primo giorno di prove, mi presentai molto ben disposto. È una


persona con cui devi lavorare, mi ero detto. Dimentica il casino che c’è
dietro. Il vostro è un rapporto professionale. Cercai di mettere da parte le
questioni personali. E sai una cosa? Ero ancora infuriato per la votazione
che lei aveva imposto su «Regret Me». Certo che lo ero. Ma era acqua
passata. Doveva esserlo. E così, quel giorno mi assicurai di mantenere un
tono gentile e mi concentrai sul lavoro da fare.

DAISY : Ero pronta a dimenticare quello che era successo tra me e Billy. Ero
una donna sposata, e cercavo di concentrarmi su Nicky. Stavo davvero
provando a far funzionare le cose tra noi.
Nicky aveva finalmente acconsentito a raggiungermi. Era arrivato da
Roma e si era sistemato nel mio cottage al Marmont.
Eravamo perfino usciti a cena con i miei. Non capitava quasi mai che
cenassi con loro, ma gli avevo chiesto se volevano conoscere Nicky e loro
ci avevano invitato da Chez Jay. Nicky fu incredibilmente amabile e gentile,
e li conquistò. Si esibì nel classico repertorio di «Sì, signora Jones, no,
signor Jones», e loro lo apprezzarono. Poi, non appena fummo a bordo della
mia auto, mi chiese: «Come fai a sopportarli?» E io feci il sorriso più grande
che si fosse mai visto su un essere umano.
Mi piaceva essere sposata. Mi piaceva l’idea di formare una squadra, di
essere legata a una persona. Avevo qualcuno che ogni giorno mi chiedeva
com’era andata la giornata.

SIMONE: In teoria, il matrimonio avrebbe dovuto essere un toccasana per


Daisy. A quei tempi aveva bisogno di stabilità. Voglio dire, è sempre stata la
mia più grande amica, e lo sarà sempre. Ma lei voleva qualcuno con cui
condividere la vita. Qualcuno che l’amasse, che avesse a cuore il suo bene,
che la venerasse. Qualcuno che si chiedesse dov’era se non rientrava a casa
entro una certa ora. Sicché capivo che ci stesse provando. Lo desideravo
anch’io per lei.
Ma aveva scelto la persona sbagliata per le ragioni sbagliate.

DAISY : C’erano ovviamente molti segnali che la mia fosse stata una scelta
sbagliata. Niccolò si drogava addirittura più di me. Ero io a dirgli di darsi
una calmata. Ero io a non volermi fare di eroina. Ero io a notare quanto
stavamo spendendo con le mie carte di credito. E lui si sentiva
profondamente minacciato da Billy. Era geloso di tutti gli uomini con cui ero
stata, o a cui avessi voluto bene, o che vedeva come qualcuno con cui forse
sarei potuta andare a letto. Sulle prime, lo attribuii al fatto che eravamo
ancora sposi novelli.
Si dice che il primo anno di matrimonio sia il più difficile, e ai tempi me
ne preoccupavo. Se solo qualcuno mi avesse detto che l’amore non è una
tortura… Perché per come lo vedevo allora, l’amore era qualcosa che
doveva trafiggerti e spezzarti il cuore e farlo battere all’impazzata. Era
bombe e lacrime e sangue. Allora non sapevo che in realtà avrebbe dovuto
farti sentire più leggera, non più pesante. Non sapevo che avrebbe dovuto
addolcirti. Pensavo che l’amore fosse guerra. Non sapevo che avrebbe
dovuto… che avrebbe dovuto essere pace. Ma forse, anche se l’avessi
saputo, forse non ero pronta ad accoglierlo o dargli il giusto valore.
Io volevo droga, sesso, sofferenza. Erano quelle le cose che desideravo.
All’epoca pensavo che l’altro tipo di amore… pensavo che fosse per un
altro genere di persona. Credevo sinceramente che quel tipo di amore non
esistesse per donne come me. Era riservato a donne come Camila. Ricordo
benissimo di avere pensato tutto questo.

SIMONE: Niccolò aveva molte buone qualità. Davvero. Le voleva bene. A


suo modo le dava sicurezza. E la faceva ridere. Si lanciavano battute che non
riuscivo mai a capire. Qualcosa riguardo al Monopoli, non lo so. Ma lui la
faceva ridere. E Daisy aveva un così bel sorriso, e per un lungo periodo era
stata infelice.
Ma Niccolò era possessivo. E le persone non le puoi possedere, men che
meno una come Daisy.

WARREN : Vidi Niccolò e subito pensai: Ah, adesso capisco. Questo è un


truffatore.

EDDIE: Niccolò mi era simpatico. Era sempre molto disponibile con me e


con Pete.

BILLY : Niccolò veniva spesso in studio a sentirci provare. Un giorno, io e


Daisy stavamo lavorando sulle armonie vocali, e qualcosa non funzionava.
Ci prendemmo una pausa e io le dissi: «Forse dovremmo provare in un’altra
tonalità». Era da chissà quanto che non le rivolgevo una frase così lunga. Ma
lei ribatté che andava bene com’era. «Se non riesci a prendere la nota,
qualcosa dobbiamo pur cambiare», insistetti. La vidi alzare gli occhi al cielo
e le chiesi scusa. Non volevo causare scenate. «Okay, scusa», le dissi,
immaginando che la cosa si sarebbe risolta provando e riprovando.
Ma lei scattò: «Non ho bisogno delle tue scuse, okay?»
«Cercavo solo di essere gentile», risposi.
«La tua gentilezza non mi interessa», ribatté, e poi rabbrividì. Nello
studio si gelava, e lei era seminuda. Mi sembrava che avesse freddo.
«Daisy, perdonami», le dissi. «Cerchiamo di andare d’accordo, okay?
Ecco, mettiti questa.» Avevo una maglietta e sopra una camicia button-down,
o forse era una giacchetta. In ogni caso, me la tolsi e gliela misi sulle spalle.
Ma lei se la scrollò di dosso e disse: «Non ho bisogno del tuo giubbotto
del cazzo».
DAISY : Sa sempre tutto, lui. Sa quando non canti nel modo giusto. Sa come
sistemare la situazione. Sa quali vestiti dovresti indossare. Ero arcistufa che
Billy mi dicesse cosa fare.

BILLY : Ero stanco di venire trattato come se fossi io il suo problema. Era lei
a essere il mio. E avevo solo cercato di darle il mio giubbotto.

DAISY : Non lo volevo, il suo giubbotto. Perché avrei dovuto volerlo?

GRAHAM: Daisy stava cominciando ad alzare la voce. E in quel momento


Niccolò arrivò di corsa.

KAREN : Era seduto su uno dei divani che c’erano nell’angolo, di fianco al
frigo delle birre. Era sempre vestito in giacca e maglietta.

WARREN : Lo stronzo si scolava le birre più buone.

BILLY : Arrivò di corsa e mi afferrò per la maglietta. «Qual è il problema?»


disse. Gli scostai la mano con un colpo, e in quel momento, dalla sua
espressione, capii che ci avrebbe causato dei guai.

GRAHAM: Assistevo alla scena, alla rissa che stava per scoppiare, e mi
chiedevo: A che punto intervengo?
Temevo che Billy gli mollasse un cazzotto.

KAREN : Non avresti mai pensato, a prima vista, che Niccolò fosse un tipo
tosto. Era così pieno di smancerie, e non era per niente muscoloso. In più era
una specie di principe o roba simile. Ma in quel momento lo vidi gonfiare il
petto e… insomma, Billy è un tipo che incute soggezione, ma guardando
Niccolò avevi la sensazione che fosse fuori controllo.

WARREN : Esiste un codice, quando due maschi fanno a botte. Niente colpi
alle palle. Niente calci. Niente morsi. Ecco, Niccolò era uno che avrebbe
potuto morderti. Lo si vedeva subito.
BILLY : Avrei potuto stenderlo? Forse. Ma non credo volesse fare a botte più
di quanto lo volessi io.

DAISY : Non sapevo bene cosa fare. Credo di essere rimasta ferma ad
aspettare che accadesse.

BILLY : «Sta’ lontano da lei, capito?» disse Niccolò. «Lavorate insieme e


basta. Non ci parli, non la tocchi, non la guardi nemmeno.» Col cazzo,
pensai. Può anche provare a dirmi cosa devo fare io, ma a Daisy non può
imporlo. Mi voltai verso di lei e le chiesi: «È questo che vuoi?»
Lei distolse gli occhi per un attimo, poi mi guardò e rispose: «Sì, è questo
che voglio».

DAISY : Oh, i casini che ho combinato nella mia vita.

BILLY : Non ci potevo credere. Che lei potesse… Mi ero fidato di lei quando
tutto mi suggeriva di non farlo, ma adesso basta. Mi ero stufato. Daisy era
esattamente quella che sospettavo che fosse. E io ero stato un idiota a
illudermi del contrario. Alzai le braccia e risposi: «E va bene, amico. Non
mi sentirai più nemmeno fiatare».

EDDIE: Non riuscivo a crederci. Qualcuno aveva dato una regolata a Billy
Dunne.
KAREN : Fu quel pomeriggio, o forse il giorno dopo, che Jonah Berg si
presentò alle prove. Ero sulle spine, e credo che lo fossimo un po’ tutti.
Perché Billy e Daisy non si guardavano nemmeno. Provammo «Young Stars»
per tutto il pomeriggio, e loro continuarono a evitarsi, anche quando
cantavano insieme, armonizzando.

JONAH BERG: Arrivo aspettandomi un’atmosfera amichevole. Dopo tutto,


stiamo parlando di un gruppo che ha appena finito di incidere un grande
album. Un disco dove tutti sono chiaramente in armonia, dove tutti
collaborano a una visione d’insieme. O almeno così credevo. Ma, quando
arrivo, stanno provando una canzone, e mi accorgo che Daisy e Billy
mantengono il massimo della distanza possibile per due persone che
dovrebbero esibirsi sullo stesso palco. Era una visione molto stridente. Non
ti rendi conto di quanto i cantanti stiano vicini finché non vedi due persone
che guardano dritto davanti a sé, a cinque metri di distanza l’una dall’altra.

GRAHAM: Continuavo a pensare: Fate uno sforzo almeno finché questo non
se ne va.

KAREN : In quel caso direi che toccava a Daisy sistemare le cose. Ma lei non
aveva intenzione di farlo.

JONAH BERG: Eppure, malgrado tutta la tensione che regnava in quello


studio, il gruppo aveva un gran sound. E le canzoni erano magnifiche. È una
cosa, questa, che i Six hanno sempre fatto, e con Daisy facevano ancora
meglio: suonavano musica che ti faceva battere il piede a ritmo fin dalla
prima volta che la sentivi. È la dimostrazione del gran lavoro svolto da
Warren Rhodes e Pete Loving. Daisy Jones & The Six sono molto apprezzati
per la bellezza dei loro testi, e di sicuro tutti prestavano attenzione a Billy e
Daisy, come era giusto che fosse, ma avevano anche una sezione ritmica con
i fiocchi.

BILLY : Avevo chiesto a Rod se fosse possibile spostare la visita di Jonah a


un altro giorno.

ROD : Era troppo tardi per farlo. Jonah era già lì, stava assistendo alle prove.

DAISY : Non capivo perché Billy facesse tante storie. Avremmo potuto
benissimo comportarci bene davanti a Jonah Berg.

JONAH BERG: Dopo qualche brano fanno una pausa e vengono a salutarmi
alla spicciolata. Andai fuori a fumare una sigaretta con Warren, immaginando
che potesse essere la strada migliore per capire cosa stava succedendo. «Sii
sincero con me», gli dissi. «Qui c’è sotto qualcosa.»
«Non c’è sotto niente», rispose lui, scrollando le spalle come se non
sapesse a cosa mi riferivo. E io gli credetti. Conclusi che non era successo
nulla di particolare, che quello era il loro modo di lavorare. Semplicemente,
Billy e Daisy non andavano d’accordo. Probabilmente fin dall’inizio.

BILLY : Mi sembra che quella sera Jonah volesse offrire da bere a tutti, ma io
avevo promesso a Camila che sarei tornato presto per aiutarla a fare il
bagnetto alle bambine. Gli chiesi se si poteva fare la sera dopo, e la cosa
non sembrò creargli alcun problema.

EDDIE: Tutti avremmo dovuto dare la precedenza alla band, e invece Billy
snobba la prima serata al bar con Rolling Stone.

DAISY : Mi dissi che era una buona notizia il fatto che Billy non ci fosse.
Avrei potuto cominciare l’intervista con il piede giusto, senza dovermi
preoccupare della sua presenza.
JONAH BERG: Mi faceva piacere che Daisy fosse così disponibile. Capita fin
troppo spesso che questo o quel membro di un gruppo non voglia parlare
davvero. Daisy mi facilitava il compito di trovare una storia da raccontare.

ROD : Daisy non voleva tornare a casa. Hai presente quando sei con qualcuno
e capisci che questa persona vuole semplicemente stare fuori, non importa a
fare cosa – divertirsi, lavorare o quant’altro –, solo per non dover rientrare e
affrontare quello che l’attende?
Daisy era così, quando era sposata con Niccolò.

JONAH BERG: Quella sera uscimmo tutti insieme, tutti tranne Billy. Prima
andammo a sentire i Bad Breakers sullo Strip. Capii subito che Karen e
Graham avevano una storia, e così domando: «State insieme, voi due?» E
mentre Graham risponde sì, Karen dice no.

GRAHAM: Non la capivo. Proprio non la capivo.

KAREN : Non sarebbe mai durata tra me e Graham, non sarebbe mai… Avevo
solo bisogno che la nostra storia esistesse in un vuoto pneumatico nel quale
la vita reale non aveva importanza, in cui il futuro non contava, in cui l’unica
cosa che avesse valore era quello che provavamo quel giorno, capisci?

JONAH BERG: Warren sembrava impegnato a provarci con tutte le donne che
incrociava. Eddie Loving mi aveva attaccato un gran bottone sulle
accordature o qualcosa del genere. Pete si era allontanato con la sua ragazza.
E così decisi di concentrarmi su Daisy. Fra l’altro, era quella con cui più mi
interessava parlare.
A questo punto ci tengo a dire una cosa: a quei tempi c’era un sacco di
gente che si imbottiva di tutte le droghe su cui riusciva a mettere le mani.
Non era una novità. E un giornalista poteva fare una quantità di allusioni
sulle pagine di una rivista come Rolling Stone. Potevi insinuare qualsiasi
cosa su quello che faceva la gente. Ma c’erano anche persone, là fuori, che
non si stonavano per divertimento. Che si facevano perché senza la droga
non riuscivano a reggere. E, per come la vedevo io, le dipendenze
farmacologiche di quelle persone erano… off limits. Molti miei colleghi la
pensavano in modo diverso. Molti di loro si comportavano e scrivevano in
modo diverso.
Di sicuro, nel corso degli anni mi ero trovato in situazioni nelle quali mi
sentivo obbligato (o forse farei meglio a dire che lo ero) a rivelare i vizi di
certe persone per vendere più copie. Per questo motivo, quando mi sembrava
che la persona che stavo intervistando avesse un serio problema di droga,
preferivo non prendere nota di quello che osservavo e non parlarne con
nessuno. In stile «Non vedo, non sento, non parlo», per quanto mi riguardava.
Quella sera, io e Daisy eravamo in fondo alla sala quando mi voltai verso
di lei e vidi che si passava il dito sulle gengive. Sulle prime pensai che fosse
coca, ma poi mi resi conto che sniffava amfetamine. Ma non mi sembrava il
tipo che si drogasse per divertimento, è questo che voglio dire. E mi pareva
di riscontrare una differenza significativa tra la Daisy che avevo conosciuto
durante la tournée dell’anno prima e quella di adesso. Era più frenetica,
meno eloquente. Più triste, forse. No, non più triste. Meno gioiosa.
«Vuoi uscire?» mi chiese. Annuii, uscimmo nel parcheggio e ci sedemmo
sul cofano della mia auto. «E va bene, Jonah, cominciamo», disse lei.
«Fammi le tue domande.»
«Se non vuoi che sia un’intervista ufficiale perché al momento non sei…
nello stato d’animo giusto, devi dirlo chiaramente», la avvertii.
«No, procediamo», ribatté lei.
Le avevo dato un’esplicita via d’uscita, e lei l’aveva rifiutata. Non
sentivo di avere altri obblighi, e così le chiesi: «Che problemi ci sono tra te
e Billy?»
E lei mi raccontò tutto.

DAISY : Io non avrei dovuto dire quello che dissi. Ma poi Billy non avrebbe
dovuto fare quello che fece.
BILLY : Il giorno dopo, quando arrivo alle prove, sono già tutti lì. «Quand’è
che ci prendiamo un po’ di tempo per parlare?» mi chiede Jonah.
«Fammi capire quando anche Daisy è libera», gli rispondo.
E lui fa: «Be’, se a te va bene, volevo fare due chiacchiere in privato». Fu
allora che cominciai a preoccuparmi. Il modo in cui l’aveva detto… Avevo
una strana sensazione, come se Daisy avesse combinato qualcosa. La guardai
e vidi che era al microfono e parlava con qualcuno. E vidi che si era messa
di nuovo un paio di minuscoli shorts, malgrado il freddo che faceva nello
studio. Mettiti i pantaloni, che cazzo, pensai. Hai freddo, smettila di
vestirti come se qui dentro facesse caldo. Lo sai benissimo che si gela. Ma
sapevo che i suoi bollori e sudori erano dovuti alla droga che aveva in
corpo.

DAISY : Credo che se quel giorno, il giorno dopo la nostra conversazione


notturna, fossi andata da Jonah e avessi provato a ritrattare tutto, forse lui me
l’avrebbe concesso. E ci pensai seriamente.

JONAH BERG: Non avrei mai, per nessun motivo, concesso a Daisy di
ritrattare le sue affermazioni. C’erano state persone che me l’avevano
chiesto, e io avevo sempre rifiutato di farlo. Per questo sono molto chiaro
all’inizio, quando comincio a registrare. Mi assicuro che la gente sappia
cosa sta facendo quando parla con me.
A Daisy avevo dato un mucchio di vie d’uscita, ma lei non le aveva
volute. A un certo punto, la questione dell’integrità cessa di essere un mio
problema e diventa un problema suo.
BILLY : Passiamo la mattinata a provare; io e Daisy non riusciamo ad
armonizzare nel modo giusto sull’ultimo verso della canzone, ma non voglio
litigare con lei di fronte a Jonah. D’altra parte, non voglio neanche cantare
così male in sua presenza. Ci manca solo che esca un articolo in cui si dice
che dal vivo siamo un disastro. E così, alla prima pausa, chiedo a Graham di
fare da intermediario con Daisy, e lui accetta. E per il resto di quella prova,
io e Daisy comunicammo tramite mio fratello.

GRAHAM: Insomma, cos’avrei dovuto fare per stare al passo con le loro
stronzate? Chi non rivolgeva la parola a chi, quando e per quale
stramaledetto motivo? Avevo già i miei, di problemi. Mi si stava spezzando
il cuore, ero innamorato di una donna che cominciavo a pensare non mi
amasse, ma non l’avevo detto a nessuno e non mi vedevi andare in cerca di
intermediari per tirarmi fuori da quella situazione di merda, giusto?

BILLY : A fine giornata, vado al bar con Jonah; sono lì seduto al tavolo,
picchiettando il dito sulla bottiglietta di ketchup, quando lui fa: «Daisy mi ha
detto che hai trascorso la prima tournée dei Six a tradire tua moglie, bere e
imbottirti di droga, forse addirittura di eroina. Dice che ormai hai smesso,
ma che quando è nata tua figlia eri in un centro di recupero».

WARREN : Non penso di essere molto in alto nella classifica delle brave
persone. Ma non si va in giro a spiattellare le storie altrui.

DAISY : Feci talmente tante stupidaggini in quel periodo. In pratica, per tutti
gli anni Settanta. Feci del male agli altri e a me stessa. Ma quell’intervista è
sempre stata una delle cose di cui mi sono più pentita. Non solo per Billy,
anche se mi sentivo in colpa per avere tradito le sue confidenze. No, il
rimorso che provo è dovuto al fatto che avrei potuto causare sofferenze ai
suoi cari.
E questo… [esita] non avrei mai voluto farlo. Davvero.

BILLY : Sai, una delle cose che impari nel programma di recupero è che
l’autocontrollo è l’unica forma di controllo che abbiamo. Che tutto quello
che puoi fare è assicurarti che le tue azioni siano sensate, poiché non puoi
controllare quelle degli altri. Per questo non feci ciò che avrei voluto fare.
Non afferrai la bottiglietta del ketchup e non la scaraventai contro la finestra.
Non allungai il braccio sul tavolo e non strozzai Jonah Berg. Non salii in
macchina, non mi precipitai da Daisy e non cominciai a insultarla. Non feci
niente di tutto questo.
Guardai Jonah negli occhi, con il fiato che mi bruciava in gola, il petto
che mi si gonfiava e sgonfiava. Mi sentivo come un leone, come se potessi
sbranarlo. Ma poi chiusi gli occhi, contemplai il retro delle mie palpebre e
dissi: «Ti prego, non pubblicare quella roba».

JONAH BERG: Era la conferma che era tutto vero, ma gli dissi: «Se puoi
darmi qualcos’altro di cui scrivere, non lo farò». Te l’ho detto, non mi piace
rivelare segreti quando sono tristi. Ho cominciato a fare il giornalista per
scrivere di rock, non per raccontare storie deprimenti. Dammi le rockstar
che vanno a letto con le groupie, dammi le stronzate che hai combinato
mentre eri fatto di PCP. Perfetto. Ma non mi è mai piaciuto pubblicare storie
avvilenti. Famiglie che vanno in pezzi e roba simile. «Dammi qualcosa di
rock», dissi. In quel modo, pensai, saremmo usciti tutti vincenti.
E Billy mi fa: «Che ne dici di questo: non sopporto Daisy Jones».

BILLY : Ti posso citare testualmente le parole che pronunciai. Sono stampate


nero su bianco in quell’articolo. Dissi: «È una ragazzina viziata che nella
vita ha sempre ottenuto quello che voleva e ha sempre creduto di meritarlo».

JONAH BERG: Quando Billy disse: «Un talento come quello di Daisy è
sprecato per una persona come Daisy», pensai: Accidenti, questo sì che è un
gran pezzo. A mio modo di vedere, era una storia molto più interessante.
Che cosa venderà più copie: la rivelazione che Billy Dunne è un ex alcolista
redento, oppure che i due cantanti solisti del gruppo del momento si
detestano?
Non c’era partita. Il mondo era pieno di gente come Billy Dunne. Quanti
uomini si erano persi la nascita della figlia, avevano tradito la moglie e tutto
il resto? Spiace dirlo, ma è il mondo in cui viviamo. Però non erano in molti
a essere creativamente in sintonia con qualcuno che disprezzavano. Quello sì
che era affascinante.
L’idea piacque da morire al mio direttore. Ne fu letteralmente entusiasta.
Spiegai al fotografo cos’avrei voluto in copertina, e lui rispose che
sarebbe stato un fotomontaggio facile da realizzare con le immagini che
aveva. Poi tornai a New York e scrissi il pezzo in ventiquattr’ore. Non mi
succede mai di essere così veloce, però in quel caso fu facilissimo. E quegli
articoli sono sempre i migliori: quelli che potresti giurare si siano scritti da
soli.
GRAHAM: Lo scopo di quella serata con Jonah Berg era che scrivesse un
pezzo sulla mossa brillante di accogliere Daisy nel gruppo. E lui invece va a
scrivere che Billy e Daisy si detestano.

EDDIE: La sensazione era che quei due stronzi avessero permesso alle loro
cazzate private di rovinare la band, la musica e tutto il duro lavoro che ci
avevamo messo.

ROD : Combaciò tutto alla perfezione, e i ragazzi non se ne resero neanche


conto. Non riuscivano a capire che stava andando alla grande.
Avevamo fatto uscire «Turn It Off» come primo singolo. Avevamo fissato
la partecipazione a Midnight Special. Avevamo programmato una serie di
spot radiofonici in tutto il Paese fino all’uscita dell’album. E poi, la stessa
settimana in cui Aurora arriva sugli scaffali, siamo sulla copertina di Rolling
Stone.
Il profilo di Billy da una parte, quello di Daisy dall’altra, così vicini che
i loro nasi si sfiorano.
E il titolo dice: Daisy Jones & The Six: Billy Dunne e Daisy Jones sono
i più acerrimi nemici nell’universo del rock?

WARREN : Vidi la copertina e non potei fare a meno di ridere. Jonah Berg
pensa sempre di essere un passo avanti a tutti, mentre in realtà è due passi
indietro.

KAREN : Se anche ci fosse stata una sola possibilità che Billy e Daisy
accantonassero le loro meschinità e si mettessero seriamente a lavorare
insieme per la tournée, credo che quell’intervista la escluse del tutto. Temo
che non restasse più molto su cui fare marcia indietro.

ROD : Riesci a pensare a un titolo che ti faccia venire più voglia di vedere
Daisy Jones & The Six dal vivo?

BILLY : Non mi importava che Daisy fosse infuriata con me. Non me ne
fregava niente.

DAISY : Facemmo entrambi cose che non avremmo dovuto fare. Quando una
persona dichiara che il tuo talento è sprecato, e lo dice a un giornalista ben
sapendo che lui lo pubblicherà, non ti fa venire molta voglia di ricucire i
rapporti.

BILLY : Non puoi rivendicare alcuna superiorità morale, quando vai in giro a
pugnalare alle spalle le persone e le loro famiglie.

ROD : Senza quell’articolo su Rolling Stone, non saremmo arrivati al disco


di diamante. Quel servizio fu il primo segnale che la loro musica avrebbe
trasceso i confini musicali. Il primo indizio che Aurora sarebbe diventato più
di un album, che sarebbe diventato un evento. Ed era l’ultima spinta di cui il
disco aveva bisogno per partire come un razzo.

KAREN : «Turn It Off» debuttò all’ottavo posto nella classifica di Billboard.

ROD : Aurora uscì il 13 giugno 1978. E non facemmo il botto. Fu un boato.

NICK HARRIS (critico rock): Era l’album che la gente aspettava da tempo.
Tutti volevano sapere cosa succedeva mettendo Billy Dunne e Daisy Jones
insieme per un album intero.
E la loro risposta fu Aurora.

CAMILA : Il giorno in cui uscì il disco portammo le bambine da Tower


Records e permettemmo a Julia di comprare una copia tutta sua. A essere
sinceri, io avevo qualche dubbio. I contenuti non erano certo adatti ai
bambini. Ma era l’album di papà, e così le concedemmo di averne una copia.
Mentre uscivamo dal negozio, Billy le chiese: «Chi è il tuo preferito nel
gruppo?»
«Oh, Billy…» cominciai a dire.
Ma Julia mi interruppe estasiata: «Daisy Jones!»

JIM BLADES (cantante dei Mi Vida): Il giorno in cui uscì Aurora avevo un
concerto al Cow Palace, mi sembra. Mandai un roadie a comprarlo per
poterlo ascoltare subito. Ricordo che ero lì seduto, prima di salire sul palco,
ad ascoltare «This Could Get Ugly» e fumare, e ricordo di aver pensato:
Com’è che non mi è mai venuto in mente di chiederle di unirsi alla mia, di
band?
Era chiaro che ci avrebbero eclissati tutti quanti.
E quella copertina. Quella copertina era il perfetto rock estivo
californiano.

ELAINE CHANG (biografa, autrice di Daisy Jones: Fiore selvaggio): Se alla


fine degli anni Settanta eri un’adolescente, quella copertina era il massimo.
Il portamento di Daisy Jones, il completo controllo che esercitava sulla
propria sessualità, il modo in cui mostrava il seno sotto la canottiera, ma lo
faceva perché era stata lei a deciderlo… fu un momento cruciale nella vita di
un gran numero di giovani donne. E di ragazzi, anche, immagino. Ma sono
molto più interessata all’importanza che ebbe per le ragazze.
Quando parliamo di nudi femminili, il sottotesto è tutto. E il sottotesto di
quella foto – il fatto che il petto di Daisy non sia rivolto né verso Billy né
verso chi guarda, la postura sicura ma non ammiccante – non è che Daisy sta
cercando di compiacere te o l’uomo con cui sta. Non dice: Il mio corpo è per
te, che è poi il messaggio di gran parte dei nudi femminili, è l’uso che viene
fatto dell’immagine della donna nuda. Il sottotesto del corpo di Daisy in
quell’immagine è la padronanza di sé. Il sottotesto è: Io faccio quello che
voglio.
Quella copertina è il motivo per cui da ragazza mi innamorai di Daisy
Jones. Sembrava che non avesse paura di niente.
FREDDIE MENDOZA : È strano: mentre scattavo quella copertina, per me era
un lavoro come tanti altri. E invece adesso, a distanza di tutti questi anni, la
gente non fa che chiedermi di quelle foto. È così che succede quando crei
qualcosa di leggendario, giusto? Che ci vuoi fare…

GREG MC GUINNESS (ex concierge, Continental Hyatt House): Quando uscì


«Turn It Off», in città tutti non parlavano d’altro che di quel disco.

ARTIE SNYDER : La settimana in cui uscì – esattamente la stessa settimana –


ricevetti tre offerte di lavoro. La gente comprava quell’album, lo ascoltava e
apprezzava, e voleva sapere chi l’aveva mixato.

SIMONE: Daisy divenne famosissima. Se prima era conosciuta, adesso


faceva sensazione. Era una star.

JONAH BERG: Aurora era un album perfetto. Era esattamente quello che tutti
avremmo voluto che fosse, ma superava le nostre aspettative. Una band
elettrizzante aveva realizzato un album tosto, coraggioso, orecchiabile dalla
prima all’ultima nota.

NICK HARRIS: Aurora era contemporaneamente romantico, cupo, straziante


ed esplosivo. Nell’era del rock da stadio, Daisy Jones & The Six erano
riusciti a creare qualcosa di intimo e al tempo stesso perfetto per i grandi
raduni. Aveva i tempi complessi di batteria e gli assolo laceranti, aveva
canzoni dal sound implacabile nell’accezione migliore del termine. Ma era
anche un album intimo, personale. Sembrava quasi che Billy e Daisy fossero
lì accanto a te, che si cantassero i loro versi a vicenda.
Ed era molto stratificato. Era quello il maggior pregio di Aurora. Al
primo ascolto sembra un album spensierato, il genere di disco che suoni a
una festa, con cui ti stoni, che ti accompagna mentre corri in macchina su
un’autostrada deserta.
Ma poi ascolti bene le parole e ti rendi conto che è anche un album con
cui puoi piangere. E con cui puoi fare l’amore.
Nel 1978, Aurora poteva fare da sottofondo a qualsiasi momento della tua
vita.
E dall’istante in cui uscì, fu un successo colossale.

DAISY : È un album che parla di quando hai bisogno di qualcuno e questo


qualcuno ama qualcun altro.

BILLY : È un album sulla tensione continua tra stabilità e instabilità. Sulla


battaglia che combatto ogni giorno per non commettere stupidaggini. Parla di
amore? Certo. Ma solo perché puoi travestire quasi tutto da canzone
d’amore.

JONAH BERG: Quello con Billy e Daisy fu il numero di Rolling Stone più
venduto negli anni Settanta.

ROD : Rolling Stone diede un gran contributo al successo dell’album. Ma i


veri guadagni arrivarono dai biglietti per i concerti che la gente comprò
grazie a quell’articolo.

NICK HARRIS: Hai sentito il disco, hai letto di Billy e Daisy su Rolling
Stone e adesso vuoi vederli con i tuoi occhi.
Devi vederli con i tuoi occhi.
LA TOURNÉE MONDIALE DI AURORA
1978-1979

Con «Turn It Off» per quattro settimane al primo posto in classifica e


Aurora che vendeva 200.000 copie alla settimana, nell’estate del ’78 Daisy
Jones & The Six erano il gruppo da vedere. Le prevendite per la tournée di
Aurora andavano a gonfie vele, facendo il tutto esaurito negli stadi e
costringendo l’organizzazione a fissare concerti straordinari nelle
maggiori città del Paese.

ROD : Era ora di metterci in strada. Nel vero senso della parola.

KAREN : Sui pullman regnava una strana atmosfera. Ebbene sì, avevamo due
pullman. Uno era blu, l’altro bianco. Avevano entrambi la scritta: DAISY
JONES & THE SIX, ma sullo sfondo di uno c’era la camicia di jeans di Billy e
su quello dell’altro la canottiera di Daisy. I pullman erano due perché
avevamo una quantità di maestranze, ma anche perché Billy e Daisy non
volevano essere costretti a guardarsi in faccia.

ROD : Il pullman blu era ufficiosamente quello di Billy. Di solito a bordo


c’eravamo io, Billy, Graham, Karen e qualche roadie.

WARREN : Io scelsi il pullman bianco, quello con Daisy, Niccolò, Eddie e


Pete. A volte con Pete c’era anche Jenny. Sul pullman bianco ci si divertiva
di più. E, oltretutto, aveva un paio di tette dipinte sui finestrini, grazie tante.

BILLY : Avevo al mio attivo un’intera tournée senza eccessi. Rimettermi in


strada non mi creava problemi.
CAMILA : Lo salutai come a quei tempi facevo quasi tutto con lui…
speranzosa. Non potevo fare altro che sperare.

OPAL CUNNINGHAM (contabile della tournée): Ogni giorno che andavo in


ufficio, c’erano tre cose che sapevo. Primo, la band avrebbe speso più del
giorno precedente. Secondo, nessuno avrebbe ascoltato i miei consigli su
come contenere le spese. Terzo, per qualunque cosa importante (dai
pianoforti a mezza coda nelle suite ai pennarelli per gli autografi) dovevo
assicurarmi che Billy e Daisy ricevessero lo stesso, identico trattamento. La
clausola era lunga il doppio del necessario per il semplice motivo che uno
dei due si arrabbiava se l’altro aveva qualcosa che lui o lei non aveva.
Io chiamavo Rod e gli dicevo: «Non hanno bisogno di due tavoli da ping-
pong».

ROD : Io non facevo che rispondere: «Approvalo, paga la Runner». Avrei


dovuto registrarmi e usare il nastro. Ma la capivo, Opal: il suo compito era
assicurarsi che non sprecassimo soldi. E noi ne sprecavamo un mucchio. Ma
il nostro era anche l’album più venduto nel Paese. Potevamo chiedere quello
che volevamo, e alla Runner conveniva concedercelo.

EDDIE: È il primo giorno della tournée, e ci fermiamo a fare benzina. Io e


Pete scendiamo e andiamo a prendere una bibita o qualcosa del genere. La
radio sta trasmettendo «Turn It Off». Niente di strano, negli ultimi anni
succedeva spesso. Ma Pete, scherzando, dice: «Può cambiare stazione? Odio
questo pezzo». Il tizio passa a un’altra stazione, ma anche quella sta
trasmettendo «Turn It Off». Al che io faccio: «Si chiama ‘turn it off ’,
spegnila, giusto?» Il tizio lo trovò divertente.

GRAHAM: Fu la prima volta che vidi quanto… qual è la parola giusta?…


quanto era coinvolta la gente. Un giorno – eravamo nel deserto dell’Arizona,
del New Mexico o qualcosa del genere – io e Billy andammo a farci un
hamburger nella tavola calda di una stazione di servizio e ci si avvicinò una
coppia. «Tu sei Billy Dunne?» chiedono.
«Sì», risponde lui.
«Il vostro album è fantastico», fanno loro, e Billy è gentilissimo. Lo è
sempre stato. Era bravissimo con i fan. Dava sempre l’impressione che
chiunque gli facesse un complimento fosse il primo a fargliene. Sicché Billy
comincia a parlare con il tizio, e la donna mi prende da parte e chiede:
«Devo saperlo: Billy e Daisy stanno insieme?»
Io mi ritraggo leggermente e rispondo: «No».
E lei annuisce, come a dire che ha recepito il messaggio. E cioè che
sapeva benissimo che andavano a letto insieme, ma che io non potevo
dirglielo.

WARREN : Eravamo ancora all’inizio della tournée, a San Francisco.


Arriviamo in albergo, e io scendo dal pullman bianco, seguito a ruota da
Eddie e Pete. Graham e Karen scendono dal pullman blu, ed entriamo tutti in
hotel senza problemi.
Poi Billy spunta fuori dal pullman blu, e nel giro di, non so, una trentina
di secondi, si cominciano a sentire le grida delle ragazzine. E subito dopo
Daisy emerge dal pullman bianco, e quel fracasso che non pensavo potesse
diventare più forte, gli strilli talmente acuti che per poco non mi sfondano i
timpani, in qualche modo diventano ancora più forti e più striduli. Mi giro e
vedo che Rod e Niccolò stanno cercando di spingere indietro la folla per far
passare Billy e Daisy.

EDDIE: Un giorno, davanti ai miei occhi, Billy si rifiutò di concedere


l’autografo a un gruppo di fan, dicendo: «Sono solo un musicista, ragazzi.
Non sono più importante di chiunque altro». Mi sarei messo a urlare. «Sono
tutte cose senza importanza», continuava a ripetermi Pete. «Non lasciarti
abbindolare convincendoti che significhino qualcosa.» Ma temo di avere
capito troppo tardi cosa volesse dire.

DAISY : Quando qualcuno mi chiedeva un autografo, scrivevo questo:


Continua così, Daisy J. Ma quando a chiedermelo era una ragazzina, cosa
che non succedeva spesso, ma ogni tanto sì, scrivevo: Sogna in grande,
passerotto. Con amore, Daisy.
ROD : La gente era entusiasta della band. Voleva ascoltare l’album dal vivo.
E Billy e Daisy erano decisamente all’altezza delle aspettative. Non erano
solo fenomenali sul palco, erano… misteriosi. Enigmatici. Cantavano
benissimo insieme, ma usavano di rado lo stesso microfono. A volte si
guardavano, e quando succedeva non riuscivi bene a capire cosa stessero
pensando.
Ricordo una serata in Tennessee: Daisy stava cantando «Regret Me»,
Billy la stava accompagnando, e sul finale lei si voltò e proseguì
rivolgendosi direttamente a lui. Lo guardava negli occhi, cantando a
squarciagola. Divenne rossa in faccia, e lui fece la sua parte senza
distogliere lo sguardo. Poi, finita la canzone, ripresero a esibirsi
normalmente. Nemmeno io avrei saputo dire cosa fosse appena successo.

KAREN : In generale, se prestavi attenzione, vedevi un sacco di occhiatacce


da una parte e dall’altra. Specialmente durante «Regret Me». Specialmente
mentre cantavano quel pezzo.

ROD : Se andavi a un concerto di Daisy Jones & The Six pensando che quei
due si odiassero, potevi trovarne prove in abbondanza. Ma se ci andavi
pensando che ci fosse sotto qualcosa, che forse l’odio mascherava
qualcos’altro, potevi trovare prove anche di quello.

BILLY : Non puoi scrivere canzoni con qualcuno, scrivere canzoni su


qualcuno, sapere che alcune di quelle che canti parlano di te, senza provare
qualcosa… senza esserne… attratto.
Certo, c’erano delle volte in cui guardavo Daisy dalla parte opposta del
palco e non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso… Se guardi le foto
d’archivio di quella tournée, le immagini dei concerti e il resto… ne troverai
un mucchio in cui io e Daisy ci guardiamo negli occhi. Ai tempi mi dicevo
che era tutta scena, ma in realtà è difficile capire quando recitavamo e
quando no. Cosa facevamo per vendere più dischi e cosa facevamo perché
era quello che sentivamo? Sarò sincero: forse all’epoca lo sapevo, ma ormai
non lo so più.

DAISY : Nicky spesso era geloso di quello che succedeva in scena.


«Young Stars» parlava di due persone che provavano un’attrazione
reciproca, ma erano costrette a soffocarla. «Turn It Off» parlava della fatica
di non amare qualcuno che non puoi fare a meno di amare. «This Could Get
Ugly» parlava della consapevolezza di conoscere qualcuno meglio di quanto
lo conoscesse il suo compagno o la sua compagna. Erano canzoni rischiose
da cantare in coppia. Perché ti facevano sentire qualcosa: e a me facevano
provare ciò che avevo provato nello scriverle. E Nicky lo sapeva. Quella
era una grossa componente del nostro rapporto: far sì che Nicky stesse bene,
che fosse contento, che si divertisse.

WARREN : Facevamo sempre il tutto esaurito, e il pubblico non smetteva mai


di urlare. Cantava in coro con noi. E la serata finiva immancabilmente con
Billy che tornava in albergo e noialtri che facevamo tardi finché non
trovavamo qualcuno da scopare.
Tranne Daisy e Niccolò. Loro stavano in giro più di chiunque altro.
Andavamo tutti a nanna sapendo che per Daisy e Niccolò la notte era ancora
giovane.

DAISY : La droga non è più così divertente quando la mattina ti svegli


talmente spesso con le narici incrostate di sangue che pulirti il naso diventa
parte della tua routine quotidiana, come lavarti i denti. O quando scopri di
avere dei lividi, ma non hai idea da dove vengano. O quando hai i capelli
tutti annodati perché sono settimane che dimentichi di spazzolarli.

EDDIE: Aveva le mani bluastre. Eravamo dietro le quinte a Tulsa, ci stavamo


preparando a uscire sul palco quando lo notai e dissi: «Hai le mani
bluastre».
E lei se le guardò e rispose: «Ah, sì». Nient’altro. Solo ah, sì.

KAREN : Pian piano Daisy diventò una con cui preferivamo non avere niente
a che fare. E, a dire il vero, nella maggior parte dei casi non ce n’era
bisogno. Lei non ci chiedeva niente di particolare. I guai sorgevano soltanto
quando perdeva a tal punto il controllo della situazione da diventare un
problema per tutti. Come quando per poco non diede fuoco al Chelsea.
DAISY : Eravamo all’Omni Parker House di Boston. Nicky si addormentò
mentre fumava e il suo cuscino prese fuoco. Venni svegliata dal calore sulla
faccia. Le fiamme mi bruciacchiarono i capelli, e dovetti usare l’estintore
che trovai nell’armadio a muro. Ma la cosa lasciò Nicky assolutamente
imperturbabile.

SIMONE: Quando seppi dell’incendio, le telefonai. La cercai a Boston, poi a


Portland. Provai e riprovai, ma lei non mi richiamò mai.

BILLY : Consigliai a Rod di chiedere aiuto medico.

ROD : Mi offrii di portarli entrambi in un centro di recupero, ma lei mi intimò


di non dire sciocchezze.

GRAHAM: Ogni tanto strascicava una parola, e a un certo punto scivolò sui
gradini del palco, mi pare in Oklahoma. Ma Daisy sapeva come far sembrare
tutto semplice divertimento.

DAISY : Eravamo ad Atlanta. Io e Nicky avevamo gozzovigliato tutta la notte


con qualcuno che aveva della mescalina. Nicky l’aveva trovata una grande
idea, quella di farsi di mescalina. Tutti gli altri erano andati a letto ed
eravamo rimasti solo noi due, strafatti di una quantità di roba. E con la
mescalina che era appena entrata in circolo.
Scassinammo la serratura della porta che dava sul tetto dell’albergo. Era
così tardi che perfino i fan appostati all’ingresso se n’erano andati. Da lì
potevamo vedere lo spazio vuoto che avevano occupato per tutto il giorno.
Era quasi romantico ritrovarsi lassù, nel silenzio. Nicky mi prese per mano e
mi condusse fino all’orlo del tetto.
«Che intenzioni hai?» scherzai. «Vuoi che ci buttiamo?»
«Potrebbe essere divertente», rispose.
E io… mettiamola così: quando ti ritrovi sul tetto di un albergo con tuo
marito, e la prima cosa che lui dice non è che non dovreste buttarvi, cominci
a renderti conto di avere un sacco di problemi. Non fu quella la notte in cui
toccai il fondo. Ma fu la prima volta che mi guardai intorno e pensai:
Accidenti, sto precipitando.
OPAL CUNNINGHAM: Le spese maggiori erano quelle per i danni che si
lasciavano dietro. E a costarci più di tutte era sempre la camera di Daisy.
Versavamo soldi a palate per le lampade rotte, gli specchi sfondati, le
lenzuola bruciate. E un mucchio di serrature scassinate. Gli alberghi
mettevano sempre in conto qualche danno, specialmente dopo il soggiorno di
un gruppo rock. Ma nel nostro caso i danni erano così ingenti che il deposito
cauzionale non bastava.

WARREN : Mi sembra che stessimo suonando negli Stati del Sud quando
cominciammo a capire che Daisy stava… non so, perdendo colpi. Iniziava a
dimenticare le parole delle canzoni.

ROD : Siamo a Memphis, tutti si stavano preparando a uscire sul palco e di


Daisy non c’era traccia. La cercai ovunque, chiesi a tutti se l’avessero vista.
Alla fine la trovai nei bagni all’ingresso. Era svenuta in una delle cabine.
Era accasciata a terra con un braccio sopra la testa. Per un attimo, una
frazione di secondo, temetti che fosse morta. Cominciai a scuoterla e riuscii
a svegliarla.
«In questo momento dovresti essere sul palco», le dissi.
«Okay», fece lei.
«Devi smetterla con questa roba», continuai.
«Oh, Rod», rispose. Si rimise in piedi, andò allo specchio, si sistemò il
trucco e poi raggiunse gli altri dietro le quinte come se niente fosse. E in
quel momento pensai: Non voglio più assumermi la responsabilità di questa
donna.

EDDIE: New Orleans, autunno del ’78. Pete mi si avvicina durante il sound
check e mi dice: «Jenny vuole che ci sposiamo».
«Bene, allora sposala», rispondo.
E lui: «Sì, penso proprio che lo farò».

DAISY : Quando sei sempre fatta, le cose le capisci più lentamente del
dovuto. Ma cominciai a rendermi conto che Nicky non pagava mai niente,
che non aveva soldi suoi. E che continuava a comprare coca. «Per me basta,
ne ho tirata a sufficienza», dicevo, ma lui ne voleva sempre dell’altra. E
voleva che la sniffassi anch’io.
Una mattina eravamo sul pullman. Mi sembra fosse dicembre o giù di lì.
Eravamo sdraiati in fondo, tutti gli altri erano davanti. Dovevamo essere nel
Kansas, perché quando guardai fuori dal finestrino non vidi altro che
pianure. Niente colline, e anche poche tracce di civiltà. Non appena mi
svegliai, Nicky mi offrì un tiro. E a un tratto ebbi un pensiero fugace: E se
non lo facessi? E così dissi: «No, grazie».
E Nicky rise e ribatté: «No, dai». Mi ficcò il cucchiaino sotto il naso, e io
tirai.
Poi mi voltai verso il corridoio e vidi che Billy era salito a bordo per
chissà quale motivo, e stava parlando con Warren, mi sembra. Ma aveva
visto la scena. E per un attimo incrociai il suo sguardo, e provai una gran
tristezza.

BILLY : Facevo di tutto per non salire sul pullman bianco. Sul pullman bianco
non c’era niente di buono per me.

GRAHAM: Tornammo tutti a casa per Natale e Capodanno.

BILLY : Ero così felice di rivedere le mie ragazze.

CAMILA : La mia vita, il mio matrimonio non si esaurivano nel fatto che mio
marito fosse in una band. Non sto dicendo che i Six non fossero un fattore
importante, poiché ovviamente lo erano. Ma la nostra era una famiglia, e
quando Billy tornava a casa ci aspettavamo che lasciasse il suo lavoro fuori
dalla porta. E lui lo faceva.
Quando ripenso alla fine degli anni Settanta, è vero che penso al gruppo,
alle canzoni e a… a quello che stavamo passando in quel periodo. Ma penso
soprattutto a quando Julia imparò a nuotare. E alla prima parola di Susana,
che sembrava «Mimia» e nessuno riusciva a capire se volesse dire
«mamma», «Julia» o «Maria». O a Maria che cercava costantemente di tirare
i capelli al suo papà. O al gioco che Billy faceva con loro: «Chi si prende
l’ultimo pancake?» Si metteva a preparare i pancake, le bambine li
mangiavano e all’improvviso lui gridava: «Chi si prende l’ultimo pancake?»
e la prima ad alzare la mano vinceva. Ma poi, comunque andassero le cose,
lui le convinceva sempre a dividerlo in tre.
Sono queste le cose che ricordo meglio.

BILLY : Io e Camila avevamo appena chiuso la trattativa per la nuova casa


sulle colline di Malibu. Era più grande di qualunque casa in cui avessi mai
immaginato di vivere. Aveva un lungo vialetto d’accesso, e alberi che
ombreggiavano tutti i lati tranne la veranda. Dalla veranda potevi addirittura
vedere il mare. Camila la chiamava «la casa costruita da ‘Honeycomb’».
Passammo gran parte delle due settimane di vacanza a traslocare e
sistemarci. La sera che portammo le bambine, chiesi a Julia: «Che stanza
vuoi?» Era la maggiore, e aveva la precedenza. Lei sgranò gli occhi e partì
di corsa, guardandole tutte. Poi si sedette sul pavimento del corridoio e
rifletté. E alla fine disse: «Voglio quella in mezzo».
«Sicura?» le chiesi.
«Sicura», rispose. Era identica a sua madre. Una volta che capiva cosa
voleva, non aveva più dubbi.

ROD : Quel Natale fu la prima volta dopo molto tempo (molto, moltissimo
tempo) che non avevo impegni di lavoro. Che potevo godermi la vita. Che
non avevo una rockstar in crisi da salvare o una clausola a cui adempiere o
qualunque altra cosa.
Presi in affitto una baita insieme a un certo Chris. Frequentavamo gli
stessi ambienti, e ci vedevamo ogni volta che tornavo in città. Trascorremmo
le feste insieme a Big Bear. Ci cucinavamo la cena, stavamo a mollo nella
Jacuzzi, giocavamo a carte. A Natale io gli regalai un maglione e lui
un’agenda. E in quel momento pensai: Voglio la normalità.

DAISY : Io e Nicky passammo il Natale a Roma.

EDDIE: Durante le feste, Pete chiese a Jenny di sposarlo, e lei rispose di sì.
Ero davvero felice per lui. Lo abbracciai forte. «Devo capire quando dirlo
agli altri», fece lui. «Non so come la prenderanno.»
«Cosa stai dicendo?» domandai. «Nessuno può avere niente in contrario
al fatto che ti sposi.»
«No, lascio il gruppo», rispose.
«Lasci il gruppo?» ripetei.
«Alla fine della tournée mollo tutto.»
Eravamo nel tinello dei nostri genitori. «In che senso, molli tutto?»
domandai.
«Te l’avevo detto che non sarei andato avanti per sempre», rispose lui.
«No, non me l’hai mai detto», ribattei.
«Te l’avrò ripetuto un migliaio di volte. Che queste sono cose senza
importanza.»
«Hai intenzione di rinunciare a tutto per Jenny? Sul serio?» domandai.
«Non proprio per Jenny», rispose. «Lo faccio per me. Per poter andare
avanti con la mia vita.»
«In che senso?»
«Non ho mai desiderato far parte di un gruppo di soft rock, lo sai. Sono
salito sul treno e ci ho viaggiato per un po’. Ma la mia stazione è vicina.»

DAISY : In Italia, io e Nicky facemmo una gran litigata. Lui mi accusò di


essere andata a letto con Billy mentre eravamo in Kansas. Non sapevo a cosa
si riferisse. In Kansas non ci avevo neanche scambiato due parole, con Billy.
Ma Nicky disse che erano settimane che lo sapeva, e che era stufo di starmi a
guardare mentre cercavo di nasconderlo. La cosa degenerò rapidamente. Io
gli lanciai addosso un paio di bottiglie, lui sfondò una finestra con un pugno.
Ricordo che abbassai gli occhi e vidi lacrime grigie di mascara e eyeliner
sgocciolarmi dal mento. Non ricordo di preciso come accadde, ma a un certo
punto Nicky mi strappò uno degli orecchini a cerchio da un orecchio.
Sanguinavo, piangevo e la stanza era distrutta. Poi, prima di rendermene
conto, mi ritrovo tra le braccia di Nicky, e ci stiamo giurando di non
lasciarci mai e di non litigare più in questo modo, e ricordo di avere
pensato: Se questo è amore, forse non lo voglio.

ROD : Avevamo prenotato il volo di rientro di Daisy un giorno prima del


concerto di Seattle. Temevo che potesse perdere l’aereo, e volevo
assicurarmi di avere un certo margine di manovra.
DAISY : Il mattino del volo per Seattle, mi svegliai con Nicky accovacciato
sopra di me. Mi resi conto di essere fradicia: ero sul pavimento della
doccia. Ero intontita e confusa, ma ormai mi svegliavo sempre in quello
stato. «Che è successo?» chiesi.
«Per un attimo, ho temuto un’overdose», rispose Nicky. «Di Seconal o
non so cosa. Non ricordavo più cos’altro avevamo preso.» Lo sai, vero, cosa
succede con un’overdose di Seconal? Succede che muori.
«E così mi hai ficcata sotto la doccia?» domandai.
«Ho cercato di svegliarti. Non sapevo cos’altro fare. Ma tu non ti
svegliavi. Ero spaventatissimo.»
Lo guardai e sentii il cuore sprofondare. Non sapevo se fosse stata
un’overdose, non avevo idea di cosa fosse davvero successo quella notte,
ma capii che Nicky aveva avuto davvero paura.
E tutto quello che aveva fatto era stato infilarmi sotto la doccia.
Mio marito temeva che stessi per morire, e non aveva nemmeno chiamato
il concierge dell’albergo.
In quel momento sentii scattare qualcosa nel profondo. Come uno di
quegli interruttori salvavita, hai presente? Ci vuole un bel po’ di tensione per
farli saltare, ma, quando succede, scattano di brutto. Be’, fu quello che mi
accadde in quel momento. Mi resi conto che dovevo allontanarmi il più
possibile da quella persona. Che dovevo avere cura di me stessa. Perché se
non l’avessi fatto…
Lui non mi avrebbe uccisa, ma mi avrebbe lasciata morire.
«Okay», dissi, «grazie di essere rimasto sveglio. Sarai stanco morto,
perché non fai un pisolino?» Aspettai che si fosse addormentato e feci i
bagagli. Poi presi entrambi i biglietti e andai all’aeroporto. Trovai un
telefono pubblico e chiamai l’albergo. «Vorrei lasciare un messaggio per
Niccolò Argento, stanza 907», dissi.
La signorina rispose okay. A dire il vero, probabilmente rispose: «Bene».
«Scriva così: ‘Lola La Cava vuole il divorzio’», dissi.

WARREN : Al rientro dalle feste, durante quel concerto a Seattle… Daisy


sembrava, non so, lucida.
«E Niccolò dov’è?» le chiesi.
E lei: «Quel periodo della mia vita è concluso». Fine della discussione.
La trovai una risposta tostissima.

SIMONE: Mi telefonò e disse di aver mollato Niccolò in Italia, e io mi misi


ad applaudire.

KAREN : Quando le parlavi, diceva cose sensate. E cominciò a presentarsi


sobria ai sound check.

DAISY : Sfortunatamente, non userei il termine sobria. Ma almeno arrivavo in


orario agli appuntamenti. Questo cominciai a farlo.

BILLY : Non credo di essermi reso conto di quanto di lei fosse scomparso
finché non cominciò a riapparire.

DAISY : Quei primi mesi dopo aver lasciato Nicky, ripresi consapevolezza di
me stessa sul palco. Del mio rapporto con il pubblico. Cominciai a darmi
delle regole su quando andare a letto e quando svegliarmi. E su quando e
come drogarmi. La sera solo coca, solo sei dexedrine alla volta, o comunque
il numero che avevo stabilito, solo champagne e brandy.
Quando ero in scena cantavo con convinzione, cosa che avevo smesso di
fare da tempo. Ero coinvolta nell’esibizione. Volevo che andasse bene. E mi
piaceva…
Mi piaceva cantare con quelle persone.

ROD : Quando Daisy è su di giri, è divertente, scatenata, travolgente. Se lei si


diverte, ti diverti anche tu. Ma se vuoi strappare il cuore dal petto alla gente,
riporta Daisy sulla terra e falle cantare le sue canzoni. Non esiste niente di
paragonabile.

DAISY : Ai Grammy ero sbronza, ma non aveva importanza.

BILLY : Quella sera, prima che annunciassero il premio per il Disco


dell’Anno, Rod mi disse che Teddy non voleva parlare. È una sorta di
premio per il produttore, ma lui preferiva restare davvero dietro le quinte, e
così Rod mi chiese se volevo andare io a ritirarlo, e io risposi: «Non ha
importanza, non vinceremo mai».
«Allora ti va bene se lo consegno a Daisy?» fece lui.
«Non le consegnerai un bel niente, ma accomodati pure», risposi.
Be’, non si può indovinare sempre tutto.

KAREN : Quando vincemmo il Disco dell’Anno per «Turn It Off», salimmo


tutti sul palco, noi sette più Teddy. Pete si era messo un tremendo cravattino
di cuoio. Una cosa imbarazzante. Ero sicura che sarebbe stato Billy a fare il
discorso di ringraziamento. Invece fu Daisy ad avvicinarsi al microfono.
Speriamo che dica qualcosa di coerente, pensai. E lei lo fece.

BILLY : Disse: «Grazie a tutti quelli che hanno ascoltato questa canzone, che
l’hanno capita e che l’hanno cantata insieme a noi. L’abbiamo fatta per voi.
Per quelli che non riescono a dimenticare qualcuno o qualcosa».

CAMILA : Per quelli che non riescono a dimenticare qualcuno o qualcosa.

DAISY : Non c’era un significato recondito, se non quello di dare voce a chi è
disperato. Io lo ero, riguardo a molte cose. Ero disperata, ma in qualche
modo ero anche più me stessa.
È strano. All’inizio, penso, ti droghi per attenuare le emozioni, per
sfuggirle. Ma dopo un po’ cominci a capire che sono le droghe a renderti
insopportabile la vita, a intensificare ogni emozione. Sono le droghe a
intensificare le sofferenze o ad amplificare i bei momenti. E così la
disintossicazione comincia davvero a somigliare a una riscoperta della tua
lucidità mentale.
E quando riscopri la tua lucidità, è solo una questione di tempo prima che
cominci a intuire i motivi per cui volevi fuggire.

BILLY : Mentre lasciavamo il palco con il premio, incrociai il suo sguardo.


Mi sorrise, e in quel momento pensai: Sta voltando pagina.

ELAINE CHANG: Il suo aspetto mentre accetta il premio, i capelli


scompigliati, i braccialetti fino ai gomiti, il vestitino di seta color crema,
l’aria di chi sa di avere il controllo della band ed è sicura del proprio
talento… quella serata potrebbe costituire il motivo principale per cui Daisy
Jones è considerata una delle cantanti rock più sexy di tutti i tempi.
Poco dopo venne filmato il celebre video di loro che suonano
«Impossible Woman» al Madison Square Garden, quello in cui Daisy va
dalle note di pancia più profonde a quelle più alte senza alcun timore, con
Billy Dunne che non le stacca gli occhi di dosso.
Tutto questo succedeva nei mesi successivi alla rottura con Niccolò
Argento. Fu il periodo in cui Daisy si sentì maggiormente realizzata, quello
in cui aveva il pieno controllo di sé. Tutte le riviste parlavano di lei, tutti
sapevano chi era. Chiunque, nel mondo del rock ’n’ roll, voleva essere
Daisy.
Quella della primavera del ’79 è la Daisy Jones di cui parliamo quando
parliamo di Daisy Jones. In quel momento sembrava in vetta al mondo.
KAREN : C’è una cosa che non ho detto.

GRAHAM: Karen te ne ha parlato? Se non l’ha fatto, non sta a me farlo. Ma se


te l’ha detto… in quel caso va bene.

KAREN : Mi sembra che fossimo a Seattle quando lo capii.

EDDIE: Non glielo dissi mai, a Graham e Karen, che sapevo della loro
storia. Ma trovavo strano che la tenessero così segreta. Sarebbero stati tutti
felici per loro. O magari si era trattato di un’unica scopata. Certe volte i miei
ricordi sono così vaghi che mi chiedo se una cosa non l’abbia immaginata.
Però, in questo caso non credo. Non penso che mi sarei inventato una storia
del genere.

KAREN : Stavo facendo la doccia in albergo, e Graham mi raggiunse dalla


stanza accanto. Entrò in doccia e io lo presi tra le braccia. Una delle cose
che amavo di lui era la sua stazza. Graham era grande e grosso, era forte e
irsuto, tutte cose che mi piacevano. Ma mi piaceva anche la sua delicatezza.
Quel giorno, però, quando mi premette contro il petto, mi accorsi che i miei
seni erano gonfi e dolenti. E a un tratto capii.
Avevo sentito alcune donne parlare di come avevano capito di essere
gravide, ma mi erano sembrate stronzate da figlie dei fiori. Invece è proprio
così, almeno per me. Avevo ventinove e anni e conoscevo il mio corpo, e in
quel momento realizzai di essere incinta. E mi sentii invadere dalla paura,
una sensazione che partiva dalla testa e mi si diffondeva in tutto il corpo.
Ricordo la gratitudine che provai quando Graham udì bussare alla porta
della sua stanza e si precipitò fuori dalla doccia.
Essere di nuovo sola fu un sollievo. Non dover fingere di essere umana.
Perché in quel momento mi sentivo… svuotata. Come se l’anima avesse
abbandonato il corpo, lasciando solo un guscio. Rimasi sotto la doccia per
non so quanto tempo, sotto il getto dell’acqua a fissare il vuoto, finché non
riuscii a trovare la forza di uscire.

GRAHAM: Hai presente quando hai la sensazione che ci sia qualcosa che non
va in una persona, ma non riesci a capire di che si tratta? E quando glielo
chiedi, lei reagisce come se non sapesse di cosa stai parlando? Ti sembra di
ammattire. Senti, nel profondo, che la persona che ami non sta bene, ma lei
pare normale. Perfettamente normale.

KAREN : A Portland presi un kit per il test di gravidanza. Non ne avevo


parlato con nessuno, ma a quel punto… ero sola in camera, e vidi la
strisciolina diventare rosa, o qualunque sia il colore. La fissai a lungo, poi
chiamai Camila. «Sono incinta», le dissi. «E non so cosa fare.»

CAMILA : Le chiesi: «Desideri dei figli?»


«No», rispose lei. Ma nel pronunciare quel «no», la voce le si spezzò in
gola.

KAREN : Ci fu un lungo silenzio. Poi Camila disse: «Oh, tesoro, mi dispiace


tanto».

GRAHAM: Eravamo a Vegas quando finalmente le dissi: «Coraggio, dimmi


cosa c’è».

KAREN : E io glielo dissi. «Sono incinta», risposi.

GRAHAM: Rimasi senza parole.

KAREN : Per un bel po’ non disse niente. Andava avanti e indietro nella
stanza senza fiatare. «Non la voglio», feci io, «una gravidanza.»
GRAHAM: Credevo che fosse semplicemente combattuta, e così le dissi:
«Riflettiamoci su. Un po’ di tempo ce l’abbiamo, giusto?»

KAREN : Risposi che non avrei cambiato idea.

GRAHAM: A quel punto dissi la cosa sbagliata. Me ne resi conto subito.


«Possiamo trovare un altro tastierista, se è questo che ti preoccupa.»

KAREN : In realtà non è colpa sua, davvero. Semplicemente, ragionava come


la maggior parte della gente. «Hai idea di quanto abbia faticato per arrivare
fin qui?» ribattei. «Non ho intenzione di rinunciarci.»

GRAHAM: Non volevo dirlo, però mi sembrava egoistico. Preferire qualsiasi


altra cosa al nostro bambino.

KAREN : «Il nostro bambino», continuava a chiamarlo. Il nostro bambino il


nostro bambino il nostro bambino.

GRAHAM: Le dissi soltanto che secondo me avrebbe dovuto rifletterci bene.


Solo questo.

KAREN : Era il nostro bambino, ma era una mia responsabilità.

GRAHAM: Le persone cambiano idea di continuo. Pensi di non volere una


cosa, e poi a un tratto ti rendi conto di volerla.

KAREN : Mi accusò di non sapere quello che dicevo, che se avessi interrotto
la gravidanza me ne sarei pentita per il resto dei miei giorni. Semplicemente
non capiva.
Non temevo di pentirmi di non aver voluto un figlio. Quello che temevo
era di pentirmi di averlo avuto.
Avevo paura di mettere al mondo qualcuno senza desiderarlo. Avevo
paura di vivere la mia vita con la sensazione di essermi ancorata al pontile
sbagliato. Di essere spinta a fare qualcosa che sapevo di non desiderare. Ma
Graham non voleva ascoltarmi.
GRAHAM: La discussione si fece accesa, e io me ne andai su tutte le furie.
Ne avremmo riparlato quando ci fossimo calmati. Su argomenti del genere
non si può litigare.

KAREN : Non avrei cambiato idea. Sono stata giudicata male ogni volta che
l’ho detto, ma continuerò a ripeterlo: non ho mai voluto diventare madre.
Non ho mai desiderato avere figli.

GRAHAM: Continuavo a ripetermi: Cambierà idea. Ci sposeremo, avremo


un figlio e risolveremo tutto. Si sarebbe resa conto di quanto desiderasse
essere madre, dell’importanza di avere una famiglia.
DAISY : Dopo i Grammy, io e Billy riprendemmo a parlarci. Più o meno.
Avevamo vinto con una canzone scritta insieme, una canzone che cantavamo
insieme, ed era qualcosa che sentivo nel profondo.

BILLY : Aveva smussato gli eccessi. Era più rilassata. Senza Niccolò, era…
più facile parlarci.

DAISY : Era notte ed eravamo in volo per New York, dove dovevamo
partecipare al Saturday Night Live. Rich ci aveva permesso di usare il jet
della Runner. Credo che fossero quasi tutti addormentati. Billy era sul lato
opposto dell’aereo rispetto a me, ma le nostre poltrone si guardavano. Io
indossavo un vestitino ridottissimo, ma a bordo faceva freddo e a un certo
punto presi una coperta e mi ci avvolsi. Vidi che Billy mi stava guardando, e
poi scoppiò a ridere.

BILLY : Certe persone non smettono mai di essere se stesse. E tu lo trovi


irritante, ma poi è esattamente questo a cui pensi quando non ci sono più.
Quando non sono più parte della tua vita.

DAISY : Ricambiai la sua occhiata, e mi misi a ridere anch’io. E, quanto


meno per un momento, fu come se potessimo tornare a essere amici.

ROD : Quando parteciparono al Saturday Night Live, anche «Young Stars»


era diventata un successo. Era al settimo posto in classifica, mi pare. Nella
Top Ten, in ogni caso. Vendevamo una quantità tale di album che la Runner
non faceva in tempo a stamparli. Era previsto che la hit successiva fosse
«This Could Get Ugly».
DAISY : Per SNL avevamo deciso di partire con «Turn It Off» per poi
proseguire con «This Could Get Ugly».

KAREN : Scommisi con Warren che Daisy non avrebbe avuto il reggiseno, e
vinsi duecento cocuzze.

WARREN : Stavamo decidendo cosa metterci, e scommisi cinquanta verdoni


con Karen che Billy avrebbe scelto una camicia di jeans e Daisy non si
sarebbe messa il reggiseno. E li vinsi.

KAREN : Durante le prove, Daisy e Billy si rivolsero perfino la parola. Si


capiva che era cambiato qualcosa.

GRAHAM: Le prove di «Turn It Off» andarono molto bene. Idem «This Could
Get Ugly».

BILLY : All’inizio della trasmissione, la mia intenzione era suonarle come le


avevamo provate.

DAISY : Lisa Crowne ci presentò con il classico: «Signore e signori, Daisy


Jones & The Six», e il pubblicò impazzì. Avevo cantato in stadi pieni di
gente entusiasta, ma quella sera fu diverso. Un gruppetto di persone di fronte
a noi faceva un baccano indemoniato: fu una scarica di energia pura.

NICK HARRIS: Quando Daisy Jones & The Six la suonarono al Saturday
Night Live, «Turn It Off» era ormai una canzone che nel Paese conoscevano
quasi tutti. Era il Disco dell’Anno.
Daisy indossava jeans stinti neri e una canottiera di raso rosa.
Naturalmente ha i braccialetti ai polsi, ed è scalza. Ha i capelli di un rosso
luminoso. Si mette a ballare sul palco, cantando a pieni polmoni e battendo il
tamburello. Ha l’aria di divertirsi un mondo. Billy Dunne è nella sua divisa
classica: jeans su jeans. È al microfono e la guarda, e pare divertirsi anche
lui. Sembrano tutti e due nel loro elemento, insieme su quel palco.
La band aggredisce il pezzo con una precisione e una freschezza che non
ti aspetteresti da qualcuno che l’ha suonato così tante volte.
E Warren Rhodes è da applausi, il classico esempio di come un batterista
può tenere insieme un gruppo. Era scatenato, dietro i suoi tamburi. Se
riuscivi a distogliere gli occhi da Daisy e Billy, ti cadevano su di lui che
pestava sui tom.
Poi, a mano a mano che il brano procede e le parole diventano più
pungenti, Billy e Daisy sembrano immergersi l’uno nell’altra. Si portano
davanti allo stesso microfono e cantano guardandosi in faccia. E questa
canzone appassionata su quanto vorresti dimenticare qualcuno… pare che se
la stiano cantando a vicenda.

BILLY : C’erano un sacco di cose a cui pensare, durante quell’esibizione.


Dovevo fare attenzione ai miei tempi, ricordare le parole, sapere dove
guardare e dov’era la telecamera. Ma poi… non lo so… A un tratto Daisy
era al mio fianco, e tutto quello che riuscivo a fare era guardarla e cantare
questa canzone che avevamo scritto insieme.

DAISY : Il pezzo finì e io riemersi da quella specie di trance, poi guardammo


insieme il pubblico, Billy mi prese per mano e facemmo un inchino. Era la
prima volta da non so quanto che i nostri corpi si toccavano. E fu un contatto
di cui continuai per un bel po’ a sentire le vibrazioni nelle dita.

GRAHAM: Daisy e Billy avevano qualcosa che nessun altro aveva. E quando
lo tiravano fuori, quando stabilivano un rapporto… Era ciò che ci rendeva
grandi. E quello fu uno di quei momenti in cui ti dicevi che il loro talento
giustificava qualunque stronzata.

WARREN : Tra un brano e l’altro, Billy mi disse che aveva una proposta per
«A Hope Like You». L’idea mi piacque, e gli risposi che, se anche gli altri
erano d’accordo, io ci stavo.

EDDIE: «This Could Get Ugly» era andata benissimo in prova, ma all’ultimo
minuto Billy cambia rotta e vuole fare «A Hope Like You». Una ballata. E
vuole mettersi lui alle tastiere al posto di Karen. Solo lui e Daisy sul palco.
BILLY : Volevo sorprendere tutti quanti. Volevo fare qualcosa di inaspettato.
Pensavo che potesse essere una cosa davvero memorabile.

DAISY : Mi parve un’idea fantastica.

GRAHAM: Successe tutto così in fretta. Siamo pronti a uscire di nuovo sul
palco e suonare «This Could Get Ugly», e un attimo dopo sono solo Billy e
Daisy, e la canzone è un’altra.

KAREN : La tastierista ero io. Se qualcuno doveva uscire su quel palco


insieme a Daisy, avrei dovuto essere io. Ma capisco cosa stava vendendo
Billy in quel momento. Lo capisco. Però non significa che l’abbia gradito.

ROD : Fu una mossa brillante. Loro due soli. Un momento di grande


televisione.

WARREN : Erano l’uno di fronte all’altra: Billy seduto al piano, Daisy in


piedi davanti al microfono. E noi a guardarli da bordo campo.

DAISY : Billy cominciò a suonare, e appena prima di cantare incrociai il suo


sguardo. E a un tratto… [Esita] Mi parve così evidente, così dolorosamente
ovvio e imbarazzante. Senza la distrazione di Nicky, senza le droghe a
mantenermi in un costante stato di vuoto mentale, era chiaro che lo amavo.
Che ero innamorata di lui.
E drogarmi, andare in Thailandia e sposare un principe non poteva
impedirlo. E il fatto che lui fosse sposato con un’altra… neanche questo
poteva impedirlo. Penso che fu in quel momento che finalmente mi rassegnai.
Che accettai la tristezza della situazione.
E poi cominciai a cantare.

KAREN : Sai quando senti che una persona ha un groppo in gola? Fu


esattamente così. E… ci stese tutti, dal primo all’ultimo. Il modo in cui lo
guardava, il modo in cui cantava. «It doesn’t matter how hard I try / Can’t
earn some things no matter why.» Per quanto ci provi, certe cose non le
posso ottenere. Cioè, voglio dire…
BILLY : Amavo mia moglie, e le ero rimasto fedele dal primo istante in cui mi
ero rimesso in riga. Mi ero sempre sforzato di non provare nulla per
qualunque altra donna. Però… [Fa un gran respiro] Tutto quello che
accendeva le passioni di Daisy accendeva anche le mie. Tutto quello che io
amavo del mondo lo amava anche Daisy. Le mie battaglie erano anche le sue.
Eravamo due metà. Eravamo la stessa cosa, come succede solo con poche
persone al mondo. Tanto che non ti sembra neanche necessario dare voce ai
tuoi pensieri, perché sai che l’altra persona pensa le stesse cose. Come
potevo passare il mio tempo con Daisy Jones e non restarne incantato? E non
innamorarmene?
Non potevo.
Era impossibile.
Ma Camila significava di più. E questa è la verità più profonda. La mia
famiglia significava di più. Camila era più importante. Forse, in quel
momento, non era la persona da cui mi sentivo più attratto.
O forse…



Forse non era la persona di cui ero più innamorato. In quel momento. Non
lo so. Non si può… Forse non lo era. Ma restava la persona che amavo di
più. Era la persona che avrei sempre scelto.
Per me quella persona è sempre stata Camila. Sempre.
La passione è… è un fuoco. E il fuoco è fantastico, ma noi siamo fatti
d’acqua. È l’acqua che ci consente di vivere. È l’acqua l’elemento di cui
abbiamo bisogno per sopravvivere. La mia famiglia era la mia acqua. Io
avevo scelto l’acqua, e la sceglierei di nuovo. Volevo che Daisy trovasse la
sua, di acqua. Perché non potevo essere io.

GRAHAM: Osservando Billy che suonava il piano e fissava Daisy, pensai:


Spero che Camila non stia guardando.

BILLY : Provateci voi, a suonare una canzone come quella con una donna
come Daisy sapendo che tua moglie ti vedrà. Provateci. E poi ditemi se non
ci si sente impazzire.
ROD : Fu un’esibizione elettrizzante. Loro due insieme che cantavano l’uno
per l’altra. Sembrava che si stessero strappando il cuore dal petto in diretta
tivù. Sono momenti che non accadono spesso. Se quel sabato sera li stavi
guardando, sapevi di avere assistito a qualcosa di importante.

KAREN : Al termine del brano, il pubblico esplose, Billy e Daisy fecero


l’inchino finale e noi ci unimmo a loro sul palco. E in quel momento ebbi la
sensazione che il nostro successo non avrebbe fatto che crescere. Fu quella
la prima volta che mi chiesi: Diventeremo la band più grande del mondo?

WARREN : Dopo la trasmissione, andammo alla festa insieme al cast e a tutti


gli altri. La presentatrice era Lisa Crowne, e mi dissi: Fa’ il disinvolto,
magari le piace. Lo feci, e le piacque.

GRAHAM: A un certo punto, erano ormai le ore piccole, mi girai e vidi


Warren con il braccio intorno ai fianchi di Lisa Crowne. Cazzo, pensai,
allora siamo davvero famosi. Era l’unica ragione per cui Warren potesse
avere una possibilità con Lisa Crowne.

EDDIE: Io e Pete facemmo baldoria con la band di SNL. A un certo punto non
mi sentivo più il naso, e Pete vomitò in una tuba.

WARREN : Quando me ne andai insieme a Lisa, di Daisy non c’era più


traccia.

GRAHAM: A un certo punto la perdemmo tutti di vista.

BILLY : Per educazione, andai al bar insieme a tutti gli altri, ma non potei
trattenermi troppo a lungo. Le feste di SNL non sono l’ideale, se vuoi restare
sobrio.
Rientrai in albergo e parlai un po’ al telefono [con Camila], ma molte
cose rimasero non dette. Aveva visto la trasmissione, e probabilmente stava
cercando di capire come digerire il tutto. Ci girammo intorno per un po’, poi
lei disse che era stanca. «Ti amo, sei la mia ‘Aurora’», le dissi; rispose che
mi amava anche lei, e riagganciammo.
CAMILA : Chiunque tu scelga nella vita, ne resterai ferita. È la natura del
rapporto di coppia. La persona che ami, chiunque essa sia, prima o poi ti
spezzerà il cuore. Billy Dunne ha spezzato il mio a più riprese. E io so di
avere spezzato il suo. Però sì, quella sera, guardando SNL… quella fu una
delle volte in cui il mio cuore si incrinò.
Ma continuai a scegliere la fiducia e la speranza. Perché lo consideravo
degno di entrambe.

DAISY : Alla festa di SNL ero seduta in un séparé insieme a Rod, e a un certo
punto vidi un gruppetto di ragazze che andava in bagno a tirare, e venni
assalita da una gran noia. La mia vita mi annoiava profondamente. Le
amfetamine e la coca e tutta la serie: era come guardare un film per la
centesima volta. Sai già quando arriveranno i cattivi, sai già cosa farà l’eroe.
Ero talmente annoiata che avrei voluto morire. Volevo qualcosa di vero,
tanto per cambiare. Qualcosa di reale. E così presi un taxi, tornai in albergo
e bussai alla porta di Billy.

BILLY : Stavo per addormentarmi quando sentii bussare. In un primo momento


non andai ad aprire. Pensavo fosse Graham, che, qualunque fosse il
problema, potesse aspettare fino al mattino.

DAISY : Insistetti a bussare. Sapevo che era in camera.

BILLY : Alla fine mi alzo dal letto e vado ad aprire in mutande. «Cosa vuoi?»
chiedo. Poi sollevo gli occhi e vedo che è Daisy.

DAISY : Avevo solo bisogno di dire quello che dovevo dire. Ora o mai più, e
«mai più» non potevo accettarlo. Non potevo più vivere così.

BILLY : Rimasi sinceramente sbalordito. Non riuscivo a crederci.

DAISY : «Voglio disintossicarmi», dissi.


Billy mi prese per i polsi, mi fece entrare in camera e sedere sul divano.
«Sei sicura?» chiese.
«Sì», risposi.
«Vediamo di trovarti subito un centro di recupero», decise. Prese il
telefono e cominciò a comporre un numero, ma io mi alzai e riabbassai la
cornetta. «Aspetta», dissi. «Siediti insieme a me e aiutami… a capire cosa
sto facendo.»

BILLY : Non sapevo come aiutare un’altra persona. Ma volevo farlo. Volevo
aiutare qualcuno come Teddy aveva fatto con me. Gli dovevo molto, gli ero
così riconoscente per avermi convinto a disintossicarmi. E volevo fare lo
stesso per qualcun altro. Volevo fare lo stesso per lei. Volevo che Daisy
stesse bene, che non fosse più in pericolo. Lo desideravo… io… sì, lo
desideravo con tutte le mie forze.

DAISY : Parlammo della disintossicazione e di cosa avrebbe comportato, e


Billy mi spiegò un po’ come sarebbe andata. Mi sembrava un’impresa
formidabile. Cominciai a chiedermi se lo volessi sul serio. Se fossi davvero
pronta ad affrontarla. Ma mi sforzavo di credere in me stessa, di credere di
potercela fare. A un certo punto, Billy mi chiese se fossi sobria. Ero sobria,
in quel momento?
Alla festa avevo bevuto un paio di bicchieri, e prima, durante il giorno,
avevo preso qualche dexedrina. In realtà, non avrei saputo dire cosa
significasse essere sobria. Avevo smaltito gli effetti di quello che avevo
preso? Riuscivo a ricordare cosa volesse dire essere completamente pulita?
Billy aprì il minibar per prendere una bibita, e io vidi tutte le
minibottiglie di vodka e tequila. Le guardai. Billy le guardò. Poi le prese
tutte insieme, andò alla finestra e le gettò fuori. Qualcuna esplose sul tetto
del piano di sotto. «Cosa fai?» gli chiesi.
E lui: «Questo è il rock ’n’ roll».

BILLY : A un certo punto cominciammo a parlare dell’album.

DAISY : Gli feci una domanda che mi stava tormentando da un paio di mesi.
«Non hai paura che non riusciremo mai più a scrivere niente di simile?»

BILLY : «Ci penso ogni fottutissimo giorno», risposi.


DAISY : Era tutta la vita che desideravo che il mio talento di autrice venisse
riconosciuto, e con Aurora era successo. E immediatamente avevo
cominciato a considerarmi una bugiarda.

BILLY : Più l’album scalava le classifiche, più mi preoccupavo al pensiero


del successivo. A bordo del pullman scarabocchiavo canzoni sul quaderno,
ma finivo sempre per cancellare e stracciare tutto, perché non era… non
riuscivo più a stabilire quanto valessero. Né a capire se mi stessi
semplicemente rivelando un grande imbroglio.

DAISY : Billy era l’unico in grado di comprendere quel tipo di pressione.

BILLY : Quando fece mattina, riportai il discorso sulla disintossicazione.

DAISY : Il pensiero che continuava a frullarmi in testa era questo: Provaci


per un po’, giusto per fare una pausa. Non sei costretta a smettere per
sempre. Il mio piano era quello. Disintossicarmi senza doverci rinunciare
del tutto. Mi sembrava assolutamente sensato. Lascia che ti dica una cosa: se
avessi avuto un’amica che mi mentiva come io mentivo a me stessa, le avrei
rinfacciato di essere un’amica di merda.

BILLY : Sollevai il telefono con l’intenzione di chiamare l’elenco abbonati e


chiedere il numero del mio centro di recupero. Ma, quando portai la cornetta
all’orecchio, non udii alcun segnale. E dall’altra parte qualcuno disse:
«Pronto?»
«Chi è?» risposi.
Era il concierge. «Ho in linea un certo Artie Snyder per lei.»
Gli dissi di passarmelo, però in quel momento stavo pensando: Cosa può
avere da dirmi il mio tecnico del suono per chiamarmi all’alba? Risposi:
«Artie, cosa cavolo…?»

DAISY : Teddy aveva avuto un infarto.

WARREN : Un sacco di gente sopravvive agli attacchi di cuore. Sicché,


quando lo seppi, credetti… Non mi resi immediatamente conto che in realtà
era morto.

BILLY : Se n’era andato.

GRAHAM: Teddy Price non dava l’idea di poter morire di infarto da un


momento all’altro. Be’, a dire il vero mangiava un sacco di porcherie,
beveva molto e non si prendeva cura di se stesso, ma… Non lo so, forse
sembrava troppo… forte. Se l’infarto avesse osato farsi vedere, lui
l’avrebbe affrontato a muso duro e l’avrebbe mandato affanculo.

BILLY : La notizia mi tolse il fiato. E la prima cosa che pensai quando


riagganciai, la primissima cosa che mi venne in mente fu: Perché ho gettato
l’alcol fuori dalla finestra?
ROD : Li feci rientrare tutti a L.A. per il funerale.

WARREN : Eravamo tutti distrutti per la perdita di Teddy. Però ragazzi,


vedendo piangere Yasmine, la sua compagna, davanti alla tomba…
Continuavo a pensare che nella vita ci sono poche cose importanti, ma che
quello che Yasmine provava per Teddy… quello contava qualcosa.

GRAHAM: Teddy significava molto per molte persone. Non dimenticherò mai
il momento in cui vidi, durante la cerimonia funebre, Billy tenere per mano
Yasmine cercando di consolarla. Perché sapevo che lui stesso era
inconsolabile.
Ogni uomo ha bisogno di avere un altro uomo da ammirare. Nel bene e
nel male, io avevo Billy. Billy aveva Teddy, ma adesso Teddy non c’era più.

BILLY : Persi il controllo della realtà. Tutto mi sembrava privo di senso. Non
riuscivo ad accettare il fatto che Teddy non ci fosse più. Che fosse… morto.
E per un po’ credo che morii anch’io dentro. So che sembra esagerato, ma la
sensazione era quella. Come se il mio cuore fosse diventato di pietra.
Oppure… hai presente quelli che si fanno congelare criogenicamente? Che si
infilano nel ghiaccio nella speranza che un giorno o l’altro torneranno in
vita? Ecco, fu quello che accadde alla mia anima. Si raggelò.
Non ero in grado di affrontare la realtà. Non da sobrio. Non senza l’aiuto
di un drink o… E così abbandonai. Mi ritirai dalla vita. Non avevo altro
modo di affrontare il dolore, se non quello di morire dentro. Perché se
avessi cercato di restare vivo, se in quel periodo avessi cercato di vivere,
probabilmente ne sarei morto.
DAISY : La morte di Teddy fu decisiva. Mi dissi che smettere di farmi non
aveva senso. Razionalizzai la cosa. Hai presente: Se l’universo avesse
davvero voluto farmi smettere, non avrebbe ucciso Teddy. Si può
giustificare qualsiasi cosa. Se sei abbastanza narcisista da pensare che
l’universo complotti a tuo favore o sfavore, e nel profondo lo siamo tutti,
puoi convincerti che qualsiasi cosa sia un segno di questo o di quello.

WARREN : Trascorsi circa tre settimane di fila in barca a fumare sigari e


sbronzarmi, praticamente senza mai cambiarmi. Dalla serata di SNL, io e
Liza eravamo rimasti in contatto. Un bel giorno venne a trovarmi. «Vivi in
barca?» mi chiese.
«Sì», risposi.
E lei: «Sei un adulto. Comprati una casa vera». Non aveva tutti i torti.

EDDIE: Pensavo che la cosa migliore che potessimo fare fosse rimetterci in
tournée. Dieci, undici anni prima, io e Pete avevamo perso un cugino in un
incidente d’auto, e quello che ci aveva detto nostro padre era stato:
«Lavorate per superare il dolore». Da allora è sempre stato il mio motto.
Pensavo anche che una cosa del genere avrebbe potuto persuadere Pete a
restare. Ma in realtà non fece che rafforzarlo nella sua decisione di mollare.

BILLY : Un giorno Camila mi chiese di pulire il gabinetto, e io entrai in bagno


e cominciai a strofinare. A un certo punto lei mi raggiunse e chiese: «Cosa
stai facendo?»
«Sto pulendo la tazza», risposi.
«Lo stai facendo da tre quarti d’ora», disse lei.
«Oh», dissi io.

CAMILA : «Devi riprendere la tournée, Billy», gli dissi. «Veniamo anche noi,
se vuoi. Ma devi farlo. Stare a casa a rimuginare ti sta uccidendo.»

ROD : Arriva il momento in cui devi risalire sul pullman.

GRAHAM: Quando succede una tragedia, ti sembra che il mondo sia finito,
ma poi ti rendi conto che non finisce mai. Che va avanti. Che niente è in
grado di farlo finire.
E io continuavo a pensare al fatto che per me e Karen la vita, insomma…
stava appena cominciando.

KAREN : Ero molto grata a Rod per averci rimessi in carreggiata. Per avere
impedito che ci ribaltassimo.

BILLY : Feci come mi aveva detto Camila. Ripresi la tournée. Il primo


concerto fu a Indianapolis. Io e il resto del gruppo andammo in aereo.
Camila e le bambine mi avrebbero raggiunto alla tappa successiva.
Indianapolis fu… fu dura. Arrivai in albergo, mi registrai, rividi Graham
e Karen, e poi al sound check incontrai Daisy. Indossava solo una salopette.
Era strafatta e glielo si leggeva in faccia, negli occhi scavati, nelle braccia
magrissime. Facevo fatica a guardarla.
L’avevo tradita. Lei mi aveva chiesto aiuto per smettere. E, con la morte
di Teddy, io l’avevo abbandonata.

DAISY : Quella prima serata, mi sembra che fossimo in Ohio, ero imbarazzata
anche solo a farmi vedere da Billy. Perché gli avevo detto che volevo
smettere, ma poi non l’avevo fatto. Anzi, ero sprofondata ancora più in
basso.

KAREN : Informai Graham che avevo deciso di abortire. Lui mi diede della
pazza, io ribattei che non lo ero. Mi chiese di non farlo.
«Hai intenzione di uscire tu dal gruppo per crescere il bambino?» gli
domandai. Lui non mi rispose, e la cosa finì lì.

GRAHAM: Credevo che ne stessimo ancora parlando.

KAREN : Lo sapeva. Sapeva che l’avrei fatto. Soltanto, si sente meglio a


fingere il contrario. È un lusso che lui si può concedere.

BILLY : Camila e le bambine ci raggiunsero a Dayton. Andai a prenderle


all’aeroporto e, mentre le aspettavo, vidi un tizio al bar che ordinava una
tequila con ghiaccio. Potevo udire il tintinnio del ghiaccio nel bicchiere. Lo
vedevo galleggiare nel liquore. Mentre ero seduto là, sentii annunciare che
l’aereo di Camila era fermo sulla pista in attesa di sbarcare i passeggeri.
Nello stesso istante in cui mi ripetevo che non avrei ordinato da bere, mi
avviai verso il bar e mi sedetti su uno sgabello. «Cosa posso servirle?»
chiese il barista. Io lo guardai senza rispondere, e lui me lo chiese di nuovo.
A quel punto sentii gridare: «Papà!» mi voltai e vidi le mie ragazze.
«Che succede?» domandò Camila.
Mi alzai, le sorrisi, e in quel momento sentii di avere la situazione sotto
controllo. «Niente, va tutto bene», risposi.
Lei mi scoccò un’occhiata, e io insistetti: «Giuro». Poi abbracciai le mie
bambine e mi sentii bene. Mi sentii a posto.

CAMILA : Sinceramente, quello fu il momento in cui misi in dubbio la mia


fiducia. Nel vederlo seduto al bar, sentii suonare un campanello d’allarme.
Cominciai a chiedermi se Billy sarebbe stato capace di fare qualcosa che
io non sarei riuscita a perdonare.

KAREN : Da quel giorno e fino alla fine della tournée, Camila rimase con noi.
Faceva avanti e indietro in aereo, a volte con tutte e tre le bambine, ma quasi
sempre con Julia. Mi pare che Julia avesse cinque anni, all’epoca.

DAISY : Esibirsi ogni sera cominciò a diventare una specie di tortura. Una
cosa era cantare insieme a Billy quando stavo con un altro, quando ancora
non sapevo cosa provavo, quando avevo menzogne dietro le quali
nascondermi. La negazione della realtà è come una vecchia coperta. Era
piacevole avvoltolarmici dentro e dormire. Ma lasciando Nicky, cantando
quella canzone in diretta tivù insieme a Billy, dicendogli che volevo smettere
di farmi… me l’ero strappata di dosso, e ormai non potevo più rimettermela.
E questo mi stava uccidendo. La vulnerabilità, la sofferenza. Il fatto di dover
uscire sul palco ed esibirmi con lui.
Mentre cantavamo «Young Stars», pregavo che Billy mi guardasse e
riconoscesse quello che ci stavamo dicendo. E quando cantavamo «Please»,
lo imploravo di prestarmi attenzione. Facevo fatica a mettere rabbia in
«Regret Me», perché la maggior parte delle volte non la provavo. Non più.
Ero solo triste. Terribilmente triste.
E tutti volevano rivedere «A Hope Like You» come l’avevamo fatta a
SNL, e noi ci sforzavamo di accontentarli. E ogni sera era una pugnalata che
mi sventrava.
Sedermi accanto a lui e sentire il profumo del suo dopobarba. Vedere le
sue grandi mani dalle nocche gonfie che suonavano il piano e cantare dal
profondo del cuore che avrei voluto che mi amasse come lo amavo io.
Passavo le ore del giorno cercando di medicarmi le ferite, ma era come
se ogni sera le riaprissi di nuovo.

SIMONE: Daisy mi chiamava di continuo, a qualsiasi ora del giorno. «Vengo


lì e ti porto via», le dicevo, ma lei non voleva. Mi venne in mente di
costringerla a entrare in un centro di recupero, però non puoi fare una cosa
simile. Non puoi controllare una persona in quel modo, per quanto bene tu le
voglia. L’amore non basta a far guarire qualcuno, e neanche l’odio, e il fatto
che tu abbia ragione non significa che quel qualcuno cambierà idea.
Ripassavo mentalmente discorsi e azioni da intraprendere, pensavo di
prendere il primo volo e trascinarla giù dal palco, come se con le parole
giuste potessi convincerla a smettere. Finisci per ammattire nel tentativo di
disporre le parole in un ordine magico in grado di far rinsavire una persona.
E quando non funziona pensi: Non mi sono impegnata a sufficienza. Non
sono stata abbastanza chiara.
Ma a un certo punto devi ammettere che in realtà non sei in grado di
controllare nessuno, e puoi soltanto fare un passo indietro ed essere pronta a
prendere quella persona al volo, quando alla fine cadrà. È come gettarti in
alto mare. O forse no: forse è più come gettare la persona a cui vuoi bene in
alto mare, pregando che resti a galla da sola, ma sapendo che potrebbe
annegare davanti ai tuoi occhi.

DAISY : Avevo rincorso quella vita con tutte le mie forze. Il desiderio di
esprimermi, di farmi sentire, di dare gioia agli altri con le mie parole. Ma
ormai era diventato un inferno che io stessa avevo creato, una gabbia che io
stessa avevo eretto e in cui mi ero rinchiusa. Arrivai a rimpiangere di avere
riversato il mio cuore e il mio dolore nella musica, poiché significava che
non sarei mai riuscita a lasciarmi tutto alle spalle. E che avrei dovuto
continuare a cantare rivolta a lui, una sera dopo l’altra, senza più poter
nascondere quello che provavo o quanto soffrivo a stargli accanto.
Era un grande spettacolo, certo. Ma era anche la mia vita.

BILLY : Ogni sera, dopo il concerto, tornati in albergo e messe a letto le


bambine, io e Camila andavamo a sederci sul terrazzo e parlavamo. Lei mi
raccontava di quanto le bambine la stressassero, e di quanto avesse bisogno
che io restassi sobrio. Io le dicevo che ci stavo provando con tutte le mie
forze. Che ero terrorizzato dal futuro e da quello che ci avrebbe riservato. La
Runner aveva cominciato a chiedere di pubblicare un nuovo album, e il peso
era tutto sulle mie spalle.
«Credi davvero di non essere in grado di scrivere un altro bell’album
senza Teddy?» mi chiese Camila a un certo punto.
«Senza Teddy non ho mai scritto un bel niente», risposi.

WARREN : Eravamo sul pullman diretti a Chicago, e Eddie sembrava


preoccupato. «Se hai qualcosa da dire, dilla», gli feci. Non mi piace, quando
uno fa di tutto perché tu gli chieda come butta.
«Non l’ho detto a nessuno, ma…» inizia lui. Morale della favola, Pete
sarebbe uscito dal gruppo.

EDDIE: Pete non voleva sentire ragioni. Warren mi consigliò di parlarne con
Billy, di chiedere a lui di farlo ragionare. Come se Pete potesse dare retta a
Billy quando non dava retta a me, suo fratello.

WARREN : Graham ci sentì.

EDDIE: Graham si mette di mezzo, ed è già un periodo in cui sta dando sui
nervi a tutti da quanto è teso. Comunque sia, anche lui dice che dovremmo
parlarne con Billy. Io ripeto che, se Pete non dà retta a me, di sicuro non
darà retta a Billy, ma Graham nemmeno mi ascolta. E così, quando ci
fermiamo a una tavola calda alle porte di Chicago, mi si avvicina Billy.
«Che succede?» chiede. «Di cosa dobbiamo parlare?»
In quel momento stavo cercando il bagno, pensando ai fatti miei. «Niente,
lascia perdere», risposi.
«È la mia band», disse lui. «Ho il diritto di sapere cosa succede nella mia
band.»
Quello mi fece incazzare. «La band è di tutti», ribattei.
«Sai benissimo cosa intendevo», fece lui.
E io: «Sì, sappiamo tutti cosa intendi».

KAREN : Eravamo appena fuori Chicago. Avremmo pernottato in un albergo


della zona. Camila aveva chiamato un ambulatorio. Mi accompagnò e si
sedette accanto a me. Io continuavo a far ballonzolare la gamba, e lei mi
posò una mano sul ginocchio e mi fece smettere. «Sto commettendo un
errore?» le chiesi.
E lei disse: «Tu cosa pensi?»
E io dissi: «Non lo so».
E lei disse: «Secondo me lo sai».
Ci riflettei, poi dissi: «So di non sbagliare».
E lei disse: «L’importante è questo».
E io dissi: «Forse sto fingendo di avere dubbi per far sentire meglio gli
altri».
E lei disse: «Io non ho bisogno di sentirmi meglio. Non devi fingere per
me». E così smisi di farlo.
Quando mi chiamarono, lei mi strinse la mano e non lasciò la presa. Non
le avevo chiesto di entrare insieme a me e non pensavo che l’avrebbe fatto,
ma lei rimase al mio fianco. Ricordo di avere pensato: Ah, allora resta. Mi
sdraiai sul tavolo operatorio. Il dottore spiegò cosa avrebbe fatto, poi uscì
per qualche istante. C’era un’infermiera in un angolo. Guardai Camila, e mi
parve che avesse le lacrime agli occhi. «Sei triste?» le chiesi.
«Una parte di me vorrebbe che tu provassi il desiderio di essere madre,
perché le mie figlie mi rendono felice. Ma penso… penso che per essere
felice come lo sono io tu abbia bisogno di altre cose. E voglio che tu le
ottenga, qualunque esse siano.» A quel punto cominciai a piangere anch’io.
Perché c’era qualcuno che capiva.
Dopo l’intervento, Camila mi riaccompagnò in albergo e disse a tutti che
stavo poco bene, e io mi misi a letto e rimasi sola. E fu… una brutta
giornata. Una giornata orribile. Sapere di avere fatto la cosa giusta non
significa esserne felici. Ma quella sera, sola a letto con la cena del servizio
in camera, io non avevo figli e Camila era fuori con le sue bambine. E
questo… sembrava giusto. Un po’ di ordine in tutto quel caos.

CAMILA : Non sta a me raccontare cosa accadde quel giorno. Dico solo che
hai il dovere di stare accanto agli amici nei momenti difficili. E tenerli per
mano nelle situazioni più dure. La vita sta tutta in chi ti tiene per mano, e in
chi scegli di tenere per mano.

GRAHAM: Non sapevo cos’era successo.

KAREN : Stavamo lasciando l’albergo diretti a Chicago, vidi Graham entrare


da solo nell’ascensore e per un attimo pensai di usare le scale. Ma poi non
lo feci. Lo raggiunsi in ascensore. Eravamo soli. L’ascensore parte e lui mi
chiede: «Come stai? Camila mi ha detto che non ti sentivi bene».
E io sbotto: «Non sono più incinta».
Mi rivolge un’occhiata come a dire: Da te non me lo sarei mai aspettato.
Le porte dell’ascensore si aprono, ma noi non ci muoviamo. E non apriamo
bocca. Le porte si richiudono, risaliamo fino all’ultimo piano e poi torniamo
giù. Però, appena prima di arrivare nella hall, Graham preme il tasto e
scende al primo piano.

GRAHAM: Camminai avanti e indietro in quel corridoio per non so quanto


tempo. In fondo c’era una finestra. Vi posai la fronte e guardai la gente sotto
di me, pochi piani più in basso. Guardai quelle persone andare da un punto
all’altro, e le invidiai tutte. Le invidiai perché non erano me. Avrei voluto
fare cambio con chiunque.
Quando staccai la fronte dalla finestra, vidi la chiazza di unto che vi
avevo lasciato. Provai a pulirla con la mano, ma non feci che appannare il
vetro. Ricordo di avere guardato attraverso quel vetro sporco, cercando
inutilmente di pulirlo. Continuai a strofinarlo e strofinarlo, finché Rod non
mi trovò.
«Graham, fratello, cosa stai combinando?» chiese. «Dobbiamo essere a
Chicago nel pomeriggio. Il pullman sta per partire senza di te.»
E, non so come, riuscii a mettere un piede davanti all’altro e seguirlo fino
al pullman.
CHICAGO STADIUM
12 luglio 1979

ROD : In realtà cominciò come tutti gli altri concerti. Ormai era diventata
un’arte. I riflettori si accesero, la band uscì sul palco, Graham attaccò con
«This Could Get Ugly» e la folla cominciò a gridare.

BILLY : Camila era dietro le quinte sul lato del palco. Julia era con lei. Le
gemelle erano in albergo con la baby-sitter. Ricordo di aver guardato dietro
le quinte e averla vista lì con Julia in braccio. I capelli le arrivavano ormai
fin quasi alla vita. Normalmente erano castani, ma durante l’estate si erano
schiariti e sembravano quasi dorati. Avevano entrambe i tappi nelle
orecchie, grosse protuberanze arancioni che spuntavano ai lati della testa. Io
e Camila ci sorridemmo. Aveva un bellissimo sorriso. Aveva i canini piatti.
Curioso, vero? Di solito i canini sono appuntiti, ma i suoi erano piatti, e le
regalavano un sorriso perfetto. Una linea retta. Mi tranquillizzava sempre, il
suo sorriso.
E quella sera a Chicago, quando Camila mi sorrise da dietro le quinte…
per quel breve momento mi dissi: Andrà tutto bene.

DAISY : Mi sentivo morire, guardandolo mentre la guardava. Non credo che


esistano due cose al mondo che ti rendano più egoista della droga e delle
pene d’amore. Il mio cuore era egoista. Non mi curavo di niente e nessuno,
solo delle mie sofferenze. Dei miei bisogni. Dei miei dolori. Avrei fatto star
male chiunque, se questo avesse significato alleviare i miei patemi. Ero
conciata fino a quel punto.

BILLY : Suonammo tutti i pezzi che facevamo normalmente: «Young Stars»,


«Chasing the Night», «Turn It Off». Ma c’era qualcosa che non andava.
Sembrava quasi… che l’ingranaggio si stesse inceppando.
WARREN : Karen e Graham parevano incazzati l’uno con l’altra. Pete era
distratto. Eddie si era lamentato di Billy, ma quella non era una novità.

DAISY : Qualcuno nelle prime file reggeva un cartello con la scritta:


HONEYCOMB .

BILLY : Durante quella tournée, la gente richiedeva spesso «Honeycomb». E


generalmente io li ignoravo. Non avevo alcuna voglia di cantarla. Ma sapevo
che a Daisy piaceva, che ne andava fiera. E così… non so cosa mi prese, ma
a un certo punto mi avvicinai al microfono e dissi: «Volete sentire
‘Honeycomb’, ragazzi?»

GRAHAM: Ero come un sonnambulo, quella sera. Ero lì, ma in realtà non
c’ero.

KAREN : Volevo solo arrivare alla fine e tornarmene in albergo. Volevo solo
un po’ di quiete. Non avevo voglia… di essere su quel palco, vedere
Graham che mi guardava e sentire la sua disapprovazione.

WARREN : Quando Billy pronunciò la parola «Honeycomb», ci fu come un


boato.

EDDIE: Siamo tutti lì a suonare come Billy vuole che suoniamo, giusto? Non
c’è bisogno di avvertirci che potremmo fare un pezzo che è un anno che non
facciamo.

DAISY : Cosa rispondi a una folla urlante? Dici di no? Non credo proprio.

BILLY : «E va bene, facciamola», disse Daisy. Mi portai davanti al suo


microfono, e in quello stesso istante me ne pentii. Capii subito che lei non mi
voleva così vicino. Ma ormai non potevo più allontanarmi. Dovevo dare
l’impressione che andasse tutto bene.

DAISY : Sapeva di pino e di muschio. Aveva i capelli troppo lunghi, li vedevi


sbucare da dietro le orecchie. I suoi occhi erano trasparenti, e più verdi che
mai.
Si dice che è difficile stare lontani da chi ami, ma per me era difficile
stargli vicino.

BILLY : A volte non mi è facile dire cosa sapevo e da quando lo sapevo. È


tutto… è tutto confuso nel ricordo. Difficile da analizzare, suppongo. Cosa
accadde, quando accadde o perché feci quello che feci. A posteriori, con il
senno di poi. Ma ricordo chiaramente che quella sera Daisy indossava un
vestito bianco. Aveva i capelli raccolti in una coda di cavallo. Portava due
grandi cerchi alle orecchie, e i suoi braccialetti. Appena prima di
cominciare a cantare, la guardai, e mi sembra, mi sembra proprio di
ricordare di avere pensato che era la donna più bella che avessi mai visto.
Era quel genere di situazione in cui apprezzi le cose… le persone, voglio
dire… in cui le apprezzi più intensamente proprio per il fatto che sono
passeggere, hai presente? E probabilmente in quel momento sapevo che lei
non sarebbe rimasta. Che se ne sarebbe andata. Non so come facessi a
saperlo, ma la sensazione che ho adesso è che lo sapessi. Probabilmente non
era così, ma la sensazione è quella.
Pertanto, quello che sto dicendo, suppongo, è che, quando cominciammo a
cantare «Honeycomb», forse sapevo che l’avrei persa o forse no. Forse
sapevo che l’amavo o forse no. Forse mi rendevo conto di quello che
rappresentava in quel momento… o forse no.

DAISY : Cominciai a cantare e lo guardai. E lui mi guardò. E sai una cosa?


Penso che per tre minuti dimenticai che ci stavamo esibendo davanti a
ventimila persone. Dimenticai che sua moglie e sua figlia erano lì.
Dimenticai che eravamo i cantanti di una band. Mi limitai a esistere. Per tre
minuti. Cantando una canzone all’uomo che amavo.

BILLY : La canzone giusta al momento giusto con la persona giusta…

DAISY : E a un certo punto, appena prima che la canzone finisse, mi voltai


verso il lato del palco e vidi Camila.

BILLY : In quel momento… [Esita] Dio, ero veramente provato.


DAISY : E capii che lui non mi apparteneva.
Che apparteneva a lei.
E allora lo feci. Senza pensarci. Cantai la canzone come Billy l’aveva
scritta originariamente. Senza punti di domanda.
«The life we want will wait for us / We will live to see the lights coming
off the bay / And you will hold me, you will hold me, you will hold me /
Until that day.» Furono i versi più difficili che abbia mai dovuto cantare.

BILLY : Quando la sentii cantare i miei versi originari, cantare il futuro mio e
di Camila… Avevo talmente tanti dubbi nel cuore. Dubitavo di me stesso,
che sarei riuscito a mantenermi sulla retta via. Ma poi… [Inspira a fondo]
Quelle parole. Quel piccolo gesto. Per un breve momento, Daisy non mi
ricordò che avrei potuto fallire. Cantò quei versi come se sapesse che ce
l’avrei fatta. E stiamo parlando di Daisy. Di Daisy. Fino a quel momento non
mi ero reso conto di quanto ne avessi bisogno. Ed era una cosa che avrebbe
dovuto farmi sentire meglio, ma era anche una sofferenza.
Perché se fossi stato l’uomo che volevo essere, se fossi riuscito a dare a
Camila la vita che le avevo promesso… be’, al tempo stesso avrei perso
qualcosa.

DAISY : Mi ero innamorata dell’uomo sbagliato, che in realtà era l’uomo


giusto. E nel corso del tempo avevo fatto delle scelte che avevano solo
peggiorato le cose. Finché non avevo superato il limite.

BILLY : Quando uscimmo di scena, mi girai verso Daisy, ma mi mancarono le


parole. Lei mi sorrise, però era un sorriso che non aveva niente del sorriso.
Poi si allontanò, e io sentii il cuore sprofondare.
Mi ero appena reso conto che fino a quel momento ero rimasto aggrappato
con tutte le mie forze alla possibilità. Alla possibilità di Daisy.
E a un tratto scoprivo di avere grosse difficoltà all’idea di lasciarla
andare. All’idea di dire «mai».

DAISY : Vidi Billy abbandonare il palco e non mi fidai a sufficienza di me


stessa da rivolgergli la parola. Non sarei stata capace di stargli accanto, e
così lo salutai con un cenno e me ne andai.
KAREN : Dietro le quinte andai a sbattere contro Graham e gli chiesi scusa.
«Hai più o meno un milione di cose per cui chiedere scusa», disse lui.

GRAHAM: Ero furioso.

KAREN : Sembrava convinto che il suo dolore fosse l’unico a contare


qualcosa.

GRAHAM: Alzai la voce. Cominciai a insultarla.

KAREN : Lui non aveva dovuto passare quello che avevo passato io. Sapevo
che stava soffrendo, ma che diritto aveva di insultarmi?

WARREN : Arrivo dietro le quinte e Karen e Graham stanno litigando di


brutto.

EDDIE: Bloccai la mano di Karen appena prima che gli mollasse un ceffone.

ROD : Accompagnai Karen in uno dei camerini, e qualcun altro afferrò


Graham. Li separammo.

GRAHAM: Mi misi a cercare Billy per parlargli. Avevo bisogno di


confidarmi con qualcuno. «Fratello, ho bisogno del tuo aiuto», gli dissi
quando lo trovai nell’atrio dell’albergo. Ma lui mi scaricò, disse che non
aveva tempo.

BILLY : Camila e Julia erano salite in camera, ma io ero rimasto nell’atrio.


Non sapevo bene quali fossero le mie intenzioni. Avevo una gran confusione
in testa. E a un tratto, senza neanche rendermene conto… [sospira] mi
ritrovai diretto al bar. Stavo andando verso il banco, stavo mettendo un
piede davanti all’altro con l’intenzione di ordinare una tequila. Era quello
che stavo facendo quando Graham mi raggiunse: stavo andando a bere.

GRAHAM: Billy non mi diede retta. «È importante», gli dissi. «Per una volta,
ti prego, stammi a sentire».
BILLY : Non potevo concentrarmi su nient’altro. Una voce mi stava
chiamando, dicendomi di bere. Ed era quello che avrei fatto. Non potevo
aiutare nessuno. Non potevo fare niente per nessuno.

GRAHAM: Sono lì in quell’atrio, e so di avere una brutta cera. Sono sull’orlo


delle lacrime. Io non sono uno che piange. Non credo di avere pianto più di
un paio di volte in tutta la mia vita. Una volta quando morì mia madre, nel
’94, l’altra… Insomma, in quel momento avevo bisogno di lui. Avevo
bisogno di mio fratello.

BILLY : Graham mi afferrò per la camicia e disse: «Dopo tutto quello che ho
sempre fatto per te, non hai cinque cazzo di minuti per parlare con me?» Gli
presi la mano, gliela scostai e gli dissi di andarsene. E lui lo fece.

GRAHAM: Non dovresti passare così tanto tempo con tuo fratello, punto e
basta. Non dovresti andare a letto con qualcuno della tua band, non dovresti
lavorare con tuo fratello, e se avessi potuto tornare indietro, c’erano un
sacco di stronzate che avrei fatto in modo diverso.

KAREN : Tornai in albergo, salii in camera, sbattei la porta, mi sedetti sul


letto e piansi.

WARREN : Dopo il concerto, mi feci una canna insieme a Eddie, Pete e Rod.
Tutti gli altri erano scomparsi.

KAREN : Poi andai a bussare alla porta di Graham.

GRAHAM: Capivo i motivi per cui non potevamo avere un figlio, davvero.
Ma il fatto di averlo perso mi faceva sentire profondamente solo. Ed ero
l’unico a pensare che avevamo perso qualcosa. Ero l’unico a provarne
dolore. Per questo ero furioso con lei.

KAREN : Lui aprì la porta, e io rimasi lì sulla soglia e pensai: Perché sono
venuta? Non c’era niente che potessi dirgli per porre rimedio alla
situazione.
GRAHAM: Come faceva a non vedere il futuro che vedevo io?

KAREN : «Tu non mi capisci», gli dissi. «Vuoi che sia qualcuno che non
sono.»
«Non mi hai mai amato come ti amavo io», disse lui.
Erano vere entrambe le cose.

GRAHAM: Cosa potevamo fare? Come ci si può riprendere da una cosa


simile?

KAREN : Mi abbandonai contro di lui e premetti il corpo contro il suo. In un


primo momento lui tenne le braccia lungo i fianchi, senza toccarmi. Ma poi
mi strinse a sé.

GRAHAM: Sentivo il tepore del suo corpo, ma per qualche motivo ricordo
che le sue mani erano fredde. Non so per quanto tempo restammo abbracciati
così.

KAREN : A volte penso che, se fossi stata nei panni di Graham, forse anch’io
avrei voluto un figlio. Se avessi saputo che qualcun altro l’avrebbe
cresciuto, che qualcun altro avrebbe rinunciato ai suoi sogni, che qualcun
altro si sarebbe sacrificato per tenere tutto insieme mentre io continuavo a
fare quello che volevo e tornavo a casa nei fine settimana… forse allora sì
che avrei voluto un figlio.
Anche se in realtà non lo so. Non ne sono del tutto sicura.
Quello che sto dicendo, suppongo, è che non ce l’avevo con Graham
perché non mi capiva. E, in fin dei conti, credo che nemmeno lui ce l’avesse
con me per quello che desideravo.

GRAHAM: Ci facemmo del male a vicenda, e questo è il mio dolore più


grande. Il più grande di tutti. Perché l’amavo con tutto il cuore, cazzo.
Ancora oggi, c’è una parte di me che continua ad amarla. E c’è una parte di
me che non la perdonerà mai.

KAREN : Ancora oggi, parlare di lui è come tastarsi un livido.


GRAHAM: Quella sera, quando andai a letto, mi resi conto che non potevo
continuare a suonare con lei.

KAREN : Sarebbe stato impossibile passare insieme giornate intere. Magari


due persone più forti ci sarebbero riuscite, ma noi no.

BILLY : Mi sedetti al bar e ordinai una tequila liscia. Quando arrivò, sollevai
il bicchiere, feci roteare il liquore, lo annusai. Poi si avvicinarono due
donne e mi chiesero l’autografo. Dissero che io e Daisy eravamo la cosa più
incredibile che avessero mai visto. Firmai due tovagliolini di carta, e dopo
un po’ se ne andarono.

DAISY : Rientrai in albergo a notte fonda. Non ricordo cosa avessi fatto.
Ricordo solo che volevo evitare Billy. Probabilmente avevo vagato a piedi
per la città. Quando entrai nell’atrio, ero ancora stonata, e puntai decisa a
destra, verso il bar. Ricordo di avere pensato che volevo solo perdere
conoscenza.
Ma evidentemente non mi rendevo conto di cosa stavo facendo, perché mi
ritrovai nell’ascensore. E va bene, mi dissi, prenderò qualche rossa e andrò
a letto. Ma, arrivata davanti alla mia porta, non riuscii a infilare la chiave
nella serratura. Provai e riprovai, però non c’era niente da fare.
Probabilmente stavo anche facendo un gran baccano.
Poi mi parve di sentire una voce di bambina.

BILLY : Afferrai il bicchiere – la tequila intendo –, lo afferrai di nuovo, e lo


guardai. E pensai al sapore che avrebbe avuto. Un marcato sapore di fumo.
Ero perso in quei pensieri quando il tizio accanto a me disse: «Ehi, tu sei
Billy Dunne, giusto?» Posai il bicchiere.

DAISY : Ero chiusa fuori dalla mia stanza, in mezzo al corridoio. Mi


accasciai sul pavimento e cominciai a piangere.

BILLY : «Sì», risposi.


E lui: «La mia ragazza è pazza di te».
«Mi dispiace», dissi.
«Ma cosa ci fai da solo al bar?» chiese lui. «Potresti essere con qualsiasi
donna al mondo.»
«A volte hai bisogno di stare da solo», risposi.

DAISY : Guardo in corridoio e vedo… be’, vedo arrivare Camila con in


braccio Julia…

AUTRICE: Aspetta un attimo.

Nota dell’autrice: Malgrado l’impegno concertato di tenermi a distanza


dalla narrazione, a questo punto includo la trascrizione testuale di una
mia conversazione con Daisy Jones poiché sono l’unica in grado di
confermare questa parte fondamentale del suo racconto.

DAISY : Okay.

AUTRICE: Portavi un vestito bianco.

DAISY : Sì.

AUTRICE: Ed eri seduta sul pavimento del corridoio. Non riuscivi ad aprire
la porta della tua camera.

DAISY : Sì.

AUTRICE: E mia madre…

DAISY : Sì, fu tua madre ad aprirmela.

AUTRICE: Me lo ricordo. Ero con lei. Mi ero svegliata da un brutto sogno.

DAISY : Dovevi avere cinque anni o giù di lì. Hai un’ottima memoria.
AUTRICE: In realtà, me n’ero completamente dimenticata, ma sentendotelo
raccontare mi è tornato in mente. Mia madre però non me ne ha mai parlato,
chissà perché.

DAISY : Ho sempre pensato che, se mai fosse arrivato il momento di


raccontare questa storia, Camila l’avrebbe lasciato fare a me.

AUTRICE: Ah, okay. Bene, allora, cosa successe a quel punto?

DAISY : Tua madre… insomma, Camila… devo continuare a dire i nomi di


tutti? All’inizio hai detto che avrei dovuto sempre chiamarla per nome.

AUTRICE: Sì, continua così. Io sono Julia, mia madre è Camila. Come
abbiamo fatto fino a questo punto.

Fine della trascrizione.

DAISY : Camila apparve in corridoio con in braccio Julia. «Hai bisogno di


aiuto?» mi chiese. Non capivo perché fosse così gentile con me.
Risposi di sì, lei mi tolse di mano la chiave e mi fece entrare in camera.
Ed entrò insieme a me. Fece coricare Julia sul letto, mi disse di sedermi e mi
prese un bicchiere d’acqua. «Andate pure, mi riprenderò», le dissi.
«Non è vero», fece lei.
Ricordo di avere provato un gran sollievo. Perché era in grado di
leggermi dentro. Perché non se ne sarebbe andata. Lei mi si sedette accanto e
cominciò a parlare, senza mezzi termini. Sapeva benissimo cosa stava
succedendo. Sapeva esattamente cosa voleva dire. Ero… intimidita. Io così
fuori controllo, lei così padrona di sé.
«Daisy, Billy ti ama», disse. «Lo sai tu e lo so anch’io. Ma non mi lascerà
mai.»

BILLY : «A volte hai bisogno di schiarirti un po’ le idee», dissi al tizio seduto
accanto a me.
«Ma che problemi può avere uno come te?» chiese lui.
Volle sapere quanti soldi avevo, e glielo dissi. Gli spiattellai l’ammontare
netto del mio patrimonio.
«Perdonami se non provo compassione», commentò.
Annuii. Capivo il suo punto di vista. Tornai a sollevare il bicchiere e me
lo portai alle labbra.

DAISY : «Quello che devi capire», disse Camila, «è che non ho intenzione di
rinunciare a lui. Non gli permetterò di lasciarmi. Lo aiuterò a superare
questa fase, così come l’ho aiutato con il resto. Noi siamo superiori a queste
cose. Siamo superiori a te.»
Julia si infilò sotto le coperte su un lato del letto, e io mi girai a
guardarla.
«Preferirei che Billy non si fosse innamorato di un’altra», proseguì
Camila. «Ma sai cos’ho deciso un bel po’ di tempo fa? Ho deciso che non ho
bisogno dell’amore perfetto, di un marito perfetto, di figli perfetti, di una vita
perfetta e tutto il resto. Quello che voglio è il mio amore, mio marito, le mie
figlie, la mia vita. Io non sono perfetta. Non lo sarò mai, e non mi aspetto che
tutto il resto lo sia. Ma per essere forte, un rapporto non dev’essere a tutti i
costi perfetto. Per cui, se hai intenzione di aspettare che si rompa qualcosa,
devi… devi sapere che quel qualcosa non sarò io. E che non posso
permettere che sia Billy. Il che significa che sarai tu.»

BILLY : Ne bevvi un sorso. No, meno di un sorso: un assaggio. Mi ci volle


tutta la volontà che avevo in corpo per non scolarmi il bicchiere, per non
rovesciarmi il liquore in gola. Sapeva di benessere e libertà. È così che ti
frega: quello che sembra è l’opposto di quello che è. Ma in quel momento,
avvertendone il sapore sulla punta della lingua, mi sentii mancare per il
sollievo.

DAISY : Camila si alzò, mi versò un altro bicchiere d’acqua e mi diede un


fazzoletto di carta. Fu allora che mi resi conto che stavo singhiozzando.
«Daisy, non ti conosco molto bene», riprese lei, «ma so che hai un gran
cuore e che sei una bella persona. So che mia figlia da grande vuole essere
come te. Perciò non voglio che tu soffra. Voglio che tu abbia una bella vita.
Che tu sia felice. Lo voglio davvero. Probabilmente penserai che non è vero,
ma è così.» Poi aggiunse che voleva mettere bene in chiaro una cosa. «Non
posso starmene in disparte a guardare mentre tu e Billy vi torturate a
vicenda. Non voglio una cosa simile per l’uomo che amo. Non la voglio per
il padre delle mie bambine. E non la voglio per te.»
«Non la voglio neanch’io», dissi.

BILLY : Il tizio al bar, quello con la compagna che aveva un debole per me,
continuava a guardarmi. Aveva un bicchiere colmo di birra, che sorseggiava
con l’aria di chi è indifferente a cosa sta bevendo.
Lo guardai con la coda dell’occhio… e poi lo feci.
Bevvi un sorso, più o meno mezzo dito di liquore.
Poi strinsi le dita sul bicchiere. Come se qualcuno volesse strapparmelo
di mano.
«Ma forse mi sbagliavo», disse il tizio. «Forse anche uno come te può
essere incasinato.» Mi dissi: Posa il bicchiere. Mettilo giù.

DAISY : «Daisy, devi lasciare il gruppo», disse Camila.


Julia si era addormentata. «Se mi sto sbagliando», proseguì Camila, «se
hai già deciso di voltare pagina e lasciare che anche Billy lo faccia,
dimentica quello che ti sto dicendo. A me non devi niente. Ma se ho ragione
io, uscendo dal gruppo, smettendo di farti e costruendoti una vita lontana da
lui faresti un favore a tutti. Lo faresti a te stessa, e sì, anche a lui. Ma, in più,
mi aiuteresti a crescere le mie figlie.»

BILLY : Solo che non riuscivo a posarlo, quel bicchiere. Le mie dita non se ne
staccavano. Quanto vorrei che quest’uomo me lo togliesse di mano prima
che possa finirlo, pensai. Che me lo togliesse di mano e lo scaraventasse
dall’altra parte del locale.

DAISY : Per un po’ rimasi zitta, cercando di elaborare quello che Camila mi
stava dicendo. «Credo che tu te ne debba andare», riprese lei. «Ma
qualunque sarà la tua decisione, Daisy, sappi che faccio il tifo per te. Che ti
disintossichi, che ti prenda cura di te stessa: è per questo che tifo.»
«Perché ti importa di me?» le chiesi alla fine.
«Penso che a metà mondo importi di te», disse.
Scossi la testa. «Io piaccio alla gente, ma non conto niente per nessuno.»
«No, ti sbagli», ribatté lei. Per un attimo rimase zitta, poi proseguì: «Vuoi
sapere una cosa che a Billy non ho mai detto? ‘A Hope Like You’ è la mia
canzone preferita. Non la mia preferita dei Six: la mia preferita in assoluto.
Mi fa ripensare al mio primo grande amore. Si chiamava Greg, e pur
sapendo, fin dall’inizio, che non mi avrebbe mai amata come io amavo lui, lo
avevo voluto lo stesso. E, come avevo previsto, lui mi spezzò il cuore. La
prima volta che ho sentito quella canzone, le tue parole mi hanno riportata a
quei momenti. Mi hanno riportata al mio primo amore. Con tutte le sue
sofferenze, le speranze, le tenerezze. Tu l’hai reso ancora nuovo e reale. Hai
scritto una bellissima canzone sul desiderio di possedere qualcosa che sai di
non poter avere, ma che vuoi ugualmente. Mi importa di te, Daisy, perché
quando ti guardo vedo un’autrice fantastica che soffre della stessa cosa di
cui soffre l’uomo che amo. Entrambi credete di essere anime perse, mentre in
realtà siete quello che tutti cercano.»
Assorbii le sue parole, le lasciai penetrare a fondo. Poi dissi: «Quella
canzone non… non parla di Billy, se è questo che pensavi. Parla del
desiderio di avere una famiglia, dei figli. E della consapevolezza di non
esserci portata. Della sensazione di essere troppo incasinata per meritarlo.
Ma lo desidero lo stesso, e poi osservo te e quello che sei, e so che è tutto
ciò che io non potrò mai essere.»
Camila mi guardò per un momento, e poi disse la cosa che mi cambiò la
vita. «Non darti per vinta così presto, Daisy», disse. «Tu sei un sacco di
cose che non sai ancora di essere.» Quelle parole mi colpirono. Il fatto che
quello che ero non fosse ancora stabilito del tutto. Che ci fosse ancora
speranza. Che una donna come Camila Dunne pensasse che ero…
Che Camila Dunne mi giudicasse degna di essere salvata.

BILLY : Il tizio abbassò gli occhi sulla mia mano e parve guardare la fede.
«Sei sposato?» chiese, e io annuii. Scoppiò a ridere e disse che la sua
ragazza ci sarebbe rimasta malissimo. Poi domandò: «Avete figli?» Restai
un po’ spiazzato, e annuii di nuovo, in silenzio. «Hai qualche foto?» fece lui,
e io pensai alle fotografie di Julia, Susana e Maria che avevo nel
portafoglio.
E posai il bicchiere.
Non fu facile. Fu una lotta, un centimetro dopo l’altro, e abbassando la
mano verso il banco mi sembrava di affondarla nel cemento fresco. Ma ce la
feci. Posai quel bicchiere.

DAISY : Erano le prime ore del mattino quando Camila sollevò Julia dal mio
letto e mi prese la mano. Io gliela strinsi, e lei disse: «Buonanotte, Daisy».
«Buonanotte», risposi. Julia era abbandonata contro il suo petto,
addormentata. Poi cambiò leggermente posizione e affondò la testa
nell’incavo del collo di Camila, come se fosse il luogo più sicuro e più
morbido del mondo.

BILLY : Mi sfilai di tasca il portafoglio e gli mostrai le foto delle mie figlie.
E mentre lo facevo, lui mi prese il bicchiere e lo allontanò.
«Bellissime bambine», disse.
«Grazie», risposi.
E lui: «Ti fa venire voglia di andare avanti e continuare a lottare, vero?»
«Sì, è vero», annuii.
Lui mi guardò, e io guardai il bicchiere, e… mi sentii abbastanza forte da
allontanarmi. Ma non sapevo per quanto tempo mi sarei sentito così, perciò
misi un biglietto da venti sul banco e dissi: «Grazie».
«Di niente», fece lui. Poi prese il mio venti, me lo restituì e disse: «Offro
io, okay? Così saprò di aver fatto qualcosa per qualcuno».
Mi ripresi i soldi e ci stringemmo la mano.
E poi me ne andai.

DAISY : Le aprii la porta e lei uscì con Julia nel corridoio illuminato. «Senza
offesa», disse, «ma spero di non rivederti più.» Sinceramente, un po’ mi ferì,
ma capivo cosa voleva dire. Quando arrivò davanti alla sua porta, si girò a
guardarmi, e fu solo allora che mi resi conto di quanto fosse tesa. Mentre
infilava la chiave nella serratura, le tremavano le dita.
Poi varcò la soglia della stanza e scomparve.

BILLY : Salii in camera, mi chiusi la porta alle spalle, mi ci appoggiai con la


schiena e mi lasciai scivolare a terra. Guardai Camila e le bambine che
dormivano. E poi scoppiai in lacrime, lì seduto sul pavimento della stanza. E
mi dissi: Basta, finisce qui. Se la scelta è tra il rock ’n’ roll e la mia vita,
non sceglierò il rock ’n’ roll.

DAISY : Presi il primo volo in partenza.


ROD : Il mattino dopo mi rendo conto che Daisy se n’è andata, lasciando una
lettera in cui dice che abbandona il gruppo e che non tornerà.

WARREN : Mi sveglio il giorno dopo e Daisy non c’è più, Graham e Karen
non si rivolgono la parola e a un certo punto Billy sale sul pullman bianco e
annuncia che si prende una pausa dalla tournée. Sicché Rod è costretto a
cancellare il resto delle date.

ROD : Senza Billy o Daisy non potevamo portare a termine nessuna tournée.

WARREN : Eddie s’incazzò di brutto.

EDDIE: Non puoi vivere in eterno facendoti comandare a bacchetta dagli


altri. A tutto c’è un limite. Capisci? Non mi interessano i soldi, ma io non
sono il lacchè di nessuno. Non sono un servo della gleba. Sono una persona.
E merito di avere voce in capitolo nella mia carriera.

WARREN : Pete disse che lui se ne sarebbe andato in ogni caso.

GRAHAM: Stava crollando tutto.

ROD : Di Daisy non c’era traccia. Billy stesso non voleva più andare avanti.
Pete si era già chiamato fuori. Eddie non voleva più saperne di suonare con
Billy. Graham e Karen non si rivolgevano la parola. Andai da Graham e gli
dissi: «Prova a far ragionare Billy».
E Graham ribatté che a Billy non avrebbe «detto un cazzo».
Se la situazione precipita a questo punto, io cosa farò? mi chiesi. Il
pensiero di ricominciare da capo con qualcun altro, di prendere un’altra
banda di persone incasinate e cercare di dar loro una carriera… non lo so.

WARREN : A quanto pareva, ero l’unico a non farsi troppe menate.


Avevamo fatto un bel viaggio. E se a quel punto era finito… be’, non ci
potevo fare niente, giusto? Se doveva succedere, che succedesse pure.

BILLY : Non ho mai saputo il motivo preciso per cui Daisy se ne andò. Cosa
fosse successo quella sera, durante quel concerto, che le fece prendere
quella decisione. Ma, per quanto mi riguarda, non ero in grado di scrivere un
buon album senza Teddy. E non ero in grado di scrivere un album di
successo senza Daisy. Però non potevo più lavorare con nessuno dei due, e
non ero disposto a pagarne il prezzo, neanche un millesimo di quanto avevo
già pagato.
E così salii sul pullman e annunciai a tutti: «È finita, ragazzi. È tutto
finito».
E nessuno di loro, né Graham né Karen, né Eddie né Pete, nemmeno
Warren o Rod, cercò di convincermi del contrario.

KAREN : Quando Daisy se ne andò, fu come se la ruota panoramica si fosse


fermata e ci avessero fatti scendere.

DAISY : Lasciai il gruppo perché me lo aveva chiesto Camila Dunne. Ed è


stata la decisione migliore che abbia mai preso. È stata la mia salvezza. Tua
madre mi ha salvata da me stessa.
Forse non la conoscevo a fondo, tua madre.
Ma credimi, le volevo molto bene.
E mi è dispiaciuto tanto sapere della sua scomparsa.
Nota dell’autrice: Mia madre, Camila Dunne, è morta prima che potessi
completare questo libro.
Nel corso delle mie ricerche avevo parlato diverse volte con lei, ma non
ho potuto ascoltare la sua versione sui fatti del 12 e 13 giugno 1979 a
Chicago, poiché ne sono venuta a conoscenza solo dopo la sua scomparsa.
Camila Dunne è morta il 1° dicembre 2012, all’età di sessantatré anni,
per un arresto cardiaco causato dalle complicanze di un lupus. Mi dà
grande conforto poter scrivere che è morta circondata dai suoi cari, e con
mio padre, Billy Dunne, al suo fianco.
ALLORA E OGGI
1979-Oggi

NICK HARRIS: Il concerto al Chicago Stadium è stata l’ultima volta che


Daisy Jones & The Six hanno suonato o sono stati visti insieme.

DAISY : Partii da Chicago, andai dritta da Simone e le dissi tutto, e lei mi


fece entrare in un centro di recupero.
Sono pulita dal 17 luglio 1979. Quando uscii dal centro, cambiai vita, e
tutto quello che ho ottenuto da allora si deve a quella decisione.
Abbandonare il mondo della musica, pubblicare libri, dedicarmi alla
meditazione, viaggiare per il mondo, adottare i miei figli, fondare la Wild
Flower Initiative, migliorare la mia vita in un modo che nel 1979 non sarei
neanche riuscita a immaginare: tutto questo è stato possibile solo
disintossicandomi.

WARREN : Ho sposato Lisa Crowne. Abbiamo due figli: Brandon e Rachel.


Lisa mi ha fatto vendere la barca. Adesso vivo a Tarzana, California, in una
grande casa circondata da centri commerciali, i miei ragazzi sono
all’università e nessuna ragazza mi chiede più di autografarle le tette. Be’,
ogni tanto me lo chiede Lisa. Per gentilezza. E io l’accontento. Perché ci
saranno un milione di uomini che avrebbero voluto firmare le tette di Lisa. E
io cerco di non dimenticarlo.

PETE LOVING: Non ho molto da dire, in realtà. Non ce l’ho con nessuno. Ho
dei bellissimi ricordi di tutti. Ma quella parte della mia vita è finita. Oggi ho
una ditta di installazioni di prati artificiali. Io e Jenny viviamo in Arizona. I
nostri figli sono adulti. Abbiamo una bella vita.
È davvero tutto quello che ho da dire. Ho quasi settant’anni, ma continuo
a guardare al futuro, capisci? Non mi guardo indietro. Puoi pure citarmi nel
tuo libro, ma temo che, per quanto mi riguarda, sia tutto qui.

ROD : Ho comprato casa a Denver. Per un po’ Chris ha vissuto con me. Per
qualche anno siamo stati bene. Poi lui se n’è andato, e io ho conosciuto
Frank. La mia vita è fatta di piccole cose. Faccio l’agente immobiliare. Ho il
meglio dei due mondi: una vita semplice con delle storie incredibili sui bei
tempi andati.

GRAHAM: Quando il gruppo si sciolse, fra me e Karen… finì tutto. Anche


l’amicizia di un tempo. Magari ogni tanto ci incrociamo da qualche parte, ma
non è rimasto altro.
Sono le persone che non ti hanno amato abbastanza a tornarti in mente
quando non riesci a dormire. Ti chiedi cos’avrebbe potuto riservarti il
futuro, ma non lo saprai mai. E forse non vuoi nemmeno saperlo. Non dire
alla zia Jeanie che ti ho raccontato queste cose. Non voglio che si faccia idee
sbagliate. Le voglio bene, e voglio bene ai tuoi cugini.
E sono davvero felice di non lavorare più con tuo padre, ma di potermi
divertire esibendoci insieme qua e là. Cerca ancora di dirmi come suonare la
chitarra. [Ride] Però Billy è fatto così. Ha insegnato a suonare il piano ai
miei ragazzi, ha costruito la capanna sull’albero in giardino.
Quello che sto dicendo, credo, è che siamo stati fortunati ad avere avuto
la band e a esserle sopravvissuti. Come fratelli.
In ogni caso, se scriverai qualcosa tipo «Che fine hanno fatto?» ricordati
di nominare la mia salsa piccante: Dunne Scorticalingua.

EDDIE: Faccio il produttore discografico. Probabilmente quello a cui avrei


dovuto dedicami fin dall’inizio. Ho una sala d’incisione a Van Nuys.
Guadagno discretamente. Mi è andata bene.

SIMONE: La disco è morta nel 1979: per un po’ ho provato a resistere, ma


alla radio non riuscivo ad avere lo stesso seguito che avevo dal vivo nei
locali. E così ho fatto degli investimenti, mi sono sposata, ho messo al
mondo Trina, ho divorziato.
E adesso Trina è dieci volte più famosa di quanto io sia mai stata,
guadagna soldi a palate e fa video musicali così volgari che né a me né a
Daisy sarebbero mai venuti in mente. Nell’ultimo, ha campionato «The Love
Drug». «Ecstasy», si chiama. Ragazzi, non si allude più a niente. Lo si
spiattella e basta. Ma Trina è un tipo tosto, questo glielo concedo. E sta
andando alla grande.
Puoi dirlo forte, la mia bambina va alla grande.

KAREN : Dopo avere lasciato i Six, per vent’anni ho continuato a suonare le


tastiere per questo o quel gruppo in tournée. Ho smesso alla fine degli anni
Novanta. Ho fatto quello che ho voluto della mia vita, e non mi pento di
nulla.
Sono sempre stata una a cui piace dormire da sola nel proprio letto. E
Graham è uno a cui piace svegliarsi accanto a qualcuno. Se l’avesse avuta
vinta lui, mi sarei adeguata a quello che facevano gli altri, a quello che gli
altri volevano fare della loro vita. Ma non sarebbe stato quello che
desideravo io.
Forse, se fossi nata una generazione dopo, il matrimonio mi avrebbe
attratta di più. Vedo come sono molte delle coppie sposate di oggi: sono
davvero paritarie, non c’è più una persona al servizio dell’altra. Ma non era
questo il modello che vedevo allora. A quei tempi non ci apparteneva
ancora. Quello che volevo non prevedeva la presenza di un marito. Volevo
essere una rockstar. E volevo vivere da sola, in una casa in montagna. Ed è
quello che ho fatto.
Ma se arrivi alla mia età e non ti capita di ripensare alla tua vita e
interrogarti su alcune delle scelte che hai fatto… be’, significa che sei priva
di immaginazione.

BILLY : Mi sono ritirato, ho firmato un contratto d’autore con la Runner


Records ed è ormai dall’81 che scrivo canzoni per i loro artisti pop. È una
bella vita. Tranquilla e stabile, anche se ho trascorso gli anni Ottanta e
Novanta in una casa chiassosa con tre ragazzine urlanti e una gran donna.
Qualcuno, l’altro giorno, ha detto che ho rinunciato alla mia carriera per
la famiglia. Immagino sia vero, anche se detta così sembra un gesto più
nobile di quello che è stato. Ero solo un uomo che aveva raggiunto il limite
estremo. Non so bene che cosa ci sia di nobile in questo. Semplicemente, se
volevo dare a Camila quello che lei si aspettava da me, sapevo di dovermi
allontanare dalla band.
Capisci perché ho amato così tanto tua madre?
Era una donna incredibile. È stata la cosa migliore che mi sia mai
capitata. Datemi pure tutti i dischi di platino che volete, tutta la droga e la
Cuervo e i bagordi e i successi e la fama e compagnia bella: restituirei tutto
quanto, in cambio dei ricordi che ho di lei. Era assolutamente incredibile. E
io non la meritavo.
Non so neanche se il mondo la meritasse. Intendiamoci, era molto
prepotente e intorno alla metà degli anni Novanta aveva cominciato a
mostrare gusti pessimi in fatto di musica, cosa difficile da perdonare per un
musicista. Faceva il peggior chili del mondo, ed era talmente convinta che
fosse buonissimo che lo preparava di continuo. [Ride] Non ti sto dicendo
niente che tu già non sappia. Davvero, anche lei aveva i suoi difetti. Era
cocciuta al punto che per qualche anno non ha più rivolto la parola a tua
nonna. Ma spesso quella sua ostinazione è stata utile. È stata testarda nei
miei riguardi, ed è grazie a questo se sono l’uomo che sono.
Quando le diagnosticarono il lupus, credo che sia stato un brutto colpo
per tutti. E anche se non augurerei un male simile a nessuno, decisi di
approfittarne per ricambiare quello che lei aveva fatto per me. L’avrei
aiutata nei momenti di stanchezza, quando i dolori si fossero fatti troppo
forti. Avrei cresciuto voi, togliendole parte di quel peso. Sarei stato un vero
compagno, sempre al suo fianco.
Abbiamo comprato la casa in North Carolina… mi sembra una ventina di
anni fa. Quando ormai tu e le tue sorelle eravate al college. Abbiamo
perlustrato la costa alla ricerca della casa che lei aveva visto in sogno. Non
l’abbiamo trovata, e così alla fine l’abbiamo costruita. Non c’è nessun nido
d’api, sicché non è esattamente quella della canzone. È solo una villa a due
piani in stile ranch con qualche ettaro di terra e una baia dove Camila
andava a pescare granchi. Ma era la casa che aveva sempre desiderato. E
sono stato fortunato ad avergliela potuta dare.
So che sai quanto sia stato doloroso perderla. Nessuno di noi l’ha ancora
superato.
Lo ammetto, non mi sono mai sentito solo come adesso, senza tua madre e
con te e le tue sorelle sparse in giro per il Paese. Sono ormai passati più di
cinque anni. Non è giusto che se ne sia andata così presto. Prendere una
donna come lei a sessantatré anni è crudele anche per un Dio vendicativo.
Ma erano le carte che aveva in mano, e sono le carte che ci ritroviamo anche
noi. E così le giochiamo.
Sai, quando eri una ragazzina non ti parlavo mai della mia storia. Non
volevo scaricarti addosso i miei problemi, le mie vicissitudini. Non sono io
a essere la tua vita, tesoro, sei tu a essere la mia.
Ma ti dirò che ti sono grato per avermi chiesto queste cose, per avermi
dato qualcosa da fare.
Spero che tutto questo faccia un po’ di luce sul passato, tesoro. Lo spero
proprio. Un po’ di luce su tua madre, su di me, sulla band. Certe volte mi
sorprende che la gente ci ricordi ancora. Che le radio ci trasmettano ancora.
E ogni tanto le ascolto. L’altro giorno la stazione di classic rock ha
trasmesso «Turn It Off». Sono rimasto seduto in macchina nel vialetto di casa
e l’ho sentita tutta.
[Ride] Non eravamo affatto male.

DAISY : Eravamo grandi. Proprio grandi.


UN’ULTIMA COSA PRIMA DI ANDARE
5 novembre 2012

Da: Camila Dunne


A: Julia Dunne Rodriguez, Susana Dunne, Maria Dunne
Data: 5 novembre 2012, 23.41
Soggetto: Vostro padre

Ciao ragazze,
ho bisogno del vostro aiuto.
Quando me ne sarò andata, lasciate un po’ di tempo a vostro padre. Poi,
per piacere, ditegli di chiamare Daisy Jones. Il numero è sulla mia agenda,
nel secondo cassetto del comodino.
Dite a vostro padre che, come minimo, mi devono una canzone.

Vi voglio bene,
Mamma
CHASING THE NIGHT

Trouble starts when I come around


Everything’s painted red when I’m in town
Light me up and watch me burn it down
If you’re anointing a devil, I’ll take my crown

Foot on the gas, add fuel to the fire


I’m already high and going higher
Charging faster, ready to ignite
Headed for disaster, chasing the night

You turn wrong when you turn right


White light at first sight
Oh, you’re chasing the night
But it’s a nightmare chasing you

Life’s coming to me in flashes


Wearing my bruises like badges
Don’t know when I learned to play with matches
Must want it all to end in ashes

Foot on the gas, add fuel to the fire


I’m already high and going higher
Charging faster, ready to ignite
Headed for disaster, chasing the night

You turn wrong when you turn right


White light at first sight
Oh, you’re chasing the night
But it’s a nightmare chasing you
Foot on the gas, add fuel to the fire
I’m already high and going higher
Foot on the gas, add fuel to the fire
Look me in the eye and flick the lighter

Oh, you’re chasing the night


But it’s a nightmare, honey, chasing you
RINCORRENDO LA NOTTE

I problemi cominciano al mio arrivo


Tutto è dipinto di rosso quando sono in città
Accendimi e guardami bruciarla
Se consacri un diavolo, accetto la corona

Piede a tavoletta, getta benzina sul fuoco


Sono già fuori e vado ancora più fuori
Mi carico in fretta, pronto a infiammarmi
Destinato al disastro, rincorrendo la notte

La svolta a destra è la svolta sbagliata


Luce bianca a prima vista
Oh, tu rincorri la notte
Ma rincorrerti è un incubo

Vedo la vita scorrere a sprazzi


Sfoggio lividi come emblemi
Non so quando ho imparato a giocare con il fuoco
Si vede che voglio mandare tutto in cenere

Piede a tavoletta, getta benzina sul fuoco


Sono già fuori e vado ancora più fuori
Mi carico in fretta, pronto a infiammarmi
Destinato al disastro, rincorrendo la notte

La svolta a destra è la svolta sbagliata


Luce bianca a prima vista
Oh, tu rincorri la notte
Ma rincorrerti è un incubo
Piede a tavoletta, getta benzina sul fuoco
Sono già fuori e vado ancora più fuori
Piede a tavoletta, getta benzina sul fuoco
Guardami negli occhi e aziona l’accendino

Oh, tu rincorri la notte


Ma rincorrerti è un incubo, tesoro
THIS COULD GET UGLY

The ugly you got in you


Well, I got it, too
You act like you ain’t got a clue
But you do
Oh, we could be lovely
If this could get ugly

Write a list of things you’ll regret


I’d be on top smoking a cigarette
Oh, we could be lovely
If this could get ugly

The things you run from, baby, I run to


And I know it scares you through and through
No one knows you like I do
Try to tell me that ain’t true
Oh, we could be lovely
If this could get ugly

C’mon now, honey


Let yourself think about it
Can you really live without it?

Oh, we could be lovely


If this could get ugly
SE SI METTESSE MALE

Il brutto che hai in te


Ebbene, ce l’ho anch’io
Fingi di non saperlo
Ma lo sai
Oh, potremmo stare così bene
Se si mettesse male

Fai una lista di cose che rimpiangerai


Io sarei in cima con la sigaretta accesa
Oh, potremmo stare così bene
Se si mettesse male

Le cose da cui fuggi, baby, io le cerco


So che ti fa una gran paura
Nessuno ti conosce come me
Prova a dirmi che non è così
Oh, potremmo stare così bene
Se si mettesse male

Coraggio, tesoro
Prova a pensarci
Riesci davvero a stare senza?

Oh, potremmo stare così bene


Se si mettesse male
IMPOSSIBLE WOMAN

Impossible woman
Let her hold you
Let her ease your soul

Sand through fingers


Wild horse, but she’s just a colt

Dancing barefoot in the snow


Cold can’t touch her, high or low
She’s blues dressed up like rock ’n’ roll
Untouchable, she’ll never fold

She’ll have you running


In the wrong direction
Have you coming
For the wrong obsessions
Oh, she’s gunning
For your redemption
Have you headed
Back to confession

Sand through fingers


Wild horse, but she’s just a colt

Dancing barefoot in the snow


Cold can’t touch her, high or low
She’s blues dressed up like rock ’n’ roll
Untouchable, she’ll never fold
Walk away from the impossible
You’ll never touch her
Never ease your soul

You’re one more impossible man


Running from her
Clutching what you stole
DONNA IMPOSSIBILE

Donna impossibile
Lascia che ti stringa a sé
Che rassereni la tua anima

Sabbia tra le dita


Cavallo selvaggio, ma è solo una puledra

Danza scalza nella neve


Il freddo non la sfiora
Lei è il blues vestito da rock ’n’ roll
È intoccabile e irriducibile

Ti farà correre
Nella direzione sbagliata
Ti chiamerà
Per le ossessioni sbagliate
Oh, lei punta
Alla tua redenzione
Ti farà tornare
In confessione

Sabbia tra le dita


Cavallo selvaggio, ma è solo una puledra

Danza scalza nella neve


Il freddo non la sfiora
Lei è il blues vestito da rock ’n’ roll
È intoccabile e irriducibile
Allontanati dall’impossibile
Non riuscirai mai a toccarla
A rasserenare la tua anima

Sei solo un altro uomo impossibile


Che fugge via da lei
Stringendo quello che ha rubato
TURN IT OFF

Baby, I keep trying to turn away


I keep trying to see you a different way
Baby, I keep trying
Oh, I keep trying

I gotta give up and turn this around


There’s no way up when you’re this far down
And, baby, I keep trying
Oh, I keep trying

I keep trying to turn this off


But, baby, you keep turning me on

I keep trying to change how I feel


Keep trying to tell myself that this isn’t real
Baby, I keep trying
Oh, I keep trying

Can’t take off when there’s no runway ahead


And I can’t get caught up in this all over again
Baby, I keep trying
Oh, I keep trying

I keep trying to turn it off


But, baby, you keep turning me on

I’m on my knees, my arms wide


I’m finding ways to stay alive
Lord knows I’m pleading, pleading
To keep this heart still beating, beating

I keep trying to turn it off


But, baby, you keep turning me on

Baby, I’m dying


But, baby, I’m trying
I can’t keep selling
What you’re not buying

So I keep trying to turn it off


And, baby, you keep turning me on

I’m on my knees, my arms wide


I’m finding ways to stay alive
Lord knows I’m pleading, pleading
To keep this heart still beating, beating

I keep trying to turn it off


But, baby, you keep turning me on
SPEGNI

Baby, mi sforzo di girarmi


Di guardarti in modo diverso
Baby, ci provo di continuo
Oh, ci provo di continuo

Devo arrendermi e voltare pagina


Non puoi risalire quando sei così giù
E baby, io ci provo di continuo
Oh, ci provo di continuo

Provo a spegnere,
Ma tu, baby, mi riaccendi

Provo a cambiare ciò che sento


A dirmi che questo non è vero
Baby, ci provo di continuo
Oh, ci provo di continuo

Non posso decollare senza pista


E non posso farmi coinvolgere di nuovo
Baby, ci provo di continuo
Oh, ci provo di continuo

Provo a spegnere,
Ma tu, baby, mi riaccendi

Sono in ginocchio a braccia aperte


Cerco il modo di restare in vita
Il Signore sa che prego, prego
Che continui a far battere il mio cuore

Provo a spegnere,
Ma tu, baby, mi riaccendi

Baby, sto morendo


Ma, baby, ci sto provando
Non posso continuare a vendere
Quello che tu non vuoi comprare

E così provo a spegnere,


E tu, baby, mi riaccendi

Sono in ginocchio a braccia aperte


Cerco il modo di restare in vita
Il Signore sa che prego, prego
Che continui a far battere il mio cuore

Provo a spegnere,
Ma tu, baby, mi riaccendi
PLEASE

Please me
Please release me
Touch me and taste me
Trust me and take me

Say the things left unsaid


It’s not all in my head
Tell me the truth, tell me you think about me
Or, baby, you can forget about me

Please me
Please release me
Relieve me and believe me
Maybe you can redeem me

Say the things left unsaid


It’s not all in my head
Tell me the truth, tell me you think about me
Or, baby, you can forget about me

I know that you want me


Know that you wanna hold me
Know that you wanna show me
Know that you wanna know me

Well do something and do it quick


Not much more I can stand of this

Say the things left unsaid


Don’t act like it’s all in my head
Tell me the truth, tell me if you think about me
Or, baby, can you forget about me?

Please, please, don’t forget about me


Please, please, don’t forget about me
TI PREGO

Accontentami
Ti prego, lasciami andare
Toccami e assaggiami
Credimi e prendimi

Di’ le cose non dette


Non mi immagino tutto
Dimmi la verità, dimmi che mi pensi
Oppure, baby, mi puoi dimenticare

Accontentami
Ti prego, lasciami andare
Liberami e credimi
Forse puoi redimermi

Di’ le cose non dette


Non mi immagino tutto
Dimmi la verità, dimmi che mi pensi
Oppure, baby, mi puoi dimenticare

So che mi vuoi
So che vuoi stringermi
So che vuoi mostrarmi
So che vuoi conoscermi

Be’, fa’ qualcosa e in fretta


Non reggo ancora molto

Di’ le cose non dette


Non fingere che mi immagini tutto
Dimmi la verità, dimmi se mi pensi
Oppure, baby, mi puoi dimenticare?

Ti prego, ti prego, non dimenticami


Ti prego, ti prego, non dimenticarmi
YOUNG STARS

A curse, a cross
Costing me all costs
Knotting me up in all of your knots

An ache, a prayer
Worn from wear
Daring what you do not dare

I believe you can break me


But I’m saved for the one who saved me
We only look like young stars
Because you can’t see old scars

Tender in the places you touch


I’d offer you everything but I don’t have much

Tell you the truth just to watch you blush


You can’t handle the hit so I hold the punch

I believe you can break me


But I’m saved for the one who saved me
We only look like young stars
Because you can’t see old scars

You won’t give me a reason to wait


And I’m starting to feel a little proud
I’m searching for somebody lost
When you’ve already been found
You’re waiting for the right mistake
But I’m not coming around
You’re waiting for a quiet day
But the world is just too loud

I believe you can break me


But I’m saved for the one who saved me
We only look like young stars
Because you can’t see old scars
GIOVANI STELLE

Una sventura, una croce


Che mi costa cara
Che mi annoda ai tuoi nodi

Una pena, una preghiera


Consumata dall’uso
Che osa quello che non osi

Tu mi puoi spezzare
Ma mi conservo per lei che mi ha salvato
Sembriamo giovani stelle
Solo perché le vecchie cicatrici non si vedono

Sensibile nei punti che tocchi


Ti offrirei tutto, ma non ho molto

Direi la verità solo per vederti arrossire


Ma tu non reggeresti e così mi trattengo

Tu mi puoi spezzare
Ma mi conservo per lei che mi ha salvato
Sembriamo giovani stelle
Solo perché le vecchie cicatrici non si vedono

Non vuoi darmi una ragione per aspettare


E comincio a sentirmi un po’ arrogante
Cerco qualcuno di perduto
Quando ti ho già trovata
Tu aspetti l’errore giusto
Ma io non cambio idea
Tu aspetti un giorno di pace
Ma il rumore del mondo è troppo forte

Tu mi puoi spezzare
Ma mi conservo per lei che mi ha salvato
Sembriamo giovani stelle
Solo perché le vecchie cicatrici non si vedono
REGRET ME

When you look in the mirror


Take stock of your soul
And when you hear my voice, remember
You ruined me whole

Don’t you dare sleep easy


And leave the sleepless nights to me
Let the world weigh you down

And, baby, when you think of me


I hope it ruins rock ’n’ roll
Regret me
Regretfully

When you look at her


Take stock of what you took from me
And when you see a ghost in the distance
Know I’m hanging over everything

Don’t you dare sleep easy


And leave the sleepless nights to me
Let the world weigh you down

And, baby, when you think of me


I hope it ruins rock ’n’ roll
Regret me
Regretfully
Regret me
Regretfully
Don’t you dare rest easy
And leave the rest of it to me
I want you to feel heavy

Regret me
Regret setting me free
Regret me

I won’t go easily
Regret it
Regret saying no
Regret it
Regret letting me go

One day, you’ll regret it


I’ll make sure of it before I go
RIMPIANGIMI

Quando ti guardi allo specchio


Guardati dentro
E sentendo la mia voce, sappi
Che sei stato la mia rovina

Non osare dormire in santa pace


E lasciare a me le notti insonni
Fatti opprimere dal mondo

E, baby, quando pensi a me


Spero che rovini il rock ’n’ roll
Rimpiangimi
A malincuore

Quando guardi lei


Pensa a quello che mi hai tolto
E quando vedi un fantasma lontano
Sappi che aleggio su tutto

Non osare dormire in santa pace


E lasciare a me le notti insonni
Fatti opprimere dal mondo

E, baby, quando pensi a me


Spero che rovini il rock ’n’ roll
Rimpiangimi
A malincuore
Rimpiangimi
A malincuore
Non osare riposare in santa pace
E lasciare il resto a me
Voglio che tu senta il peso

Rimpiangimi
Rimpiangi di avermi lasciata andare
Rimpiangimi

Non me ne andrò in pace


Rimpiangilo
Rimpiangi di avermi detto no
Rimpiangilo
Rimpiangi di avermi lasciata andare

Un giorno lo rimpiangerai
Prima di andare farò sì che accada
MIDNIGHTS

Don’t remember many midnights


Forgotten some of my best insights
Can’t recall some of the highest heights
But I’ve memorized you

Don’t remember many daybreaks


How many sunrises have come as I lay awake
Don’t dwell on my worst mistakes
But I always think of you

You’re the thing that’s crystal clear


The only thing that I hold dear
I live and die by if you’re near
All other memories disappear
Without you
Without you

Don’t remember how I was then


Can’t keep straight where I was when

What is my name, where have I been


Where did I start, where does it end

You’re the thing that’s crystal clear


The only thing that I hold dear
I live and die by if you’re near
All other memories disappear
Without you
Without you
Don’t remember who I used to be
Can’t recall who has hurt me
Forget the pain so suddenly
Once I’m with you

You’re the thing that’s crystal clear


The only thing that I hold dear
I live and die by if you’re near
All other memories disappear
Without you
Without you
NOTTI

Non ricordo molte notti


Ho scordato le mie migliori intuizioni
Non rammento gli sballi più forti
Ma tu mi resti in mente

Non ricordo molte mattine


Quante albe ho visto da sveglio
Non rimugino sui miei peggiori errori
Ma penso sempre a te

Tu sei la cosa cristallina


L’unica cosa preziosa
Per cui vivo e muoio
Tutti gli altri ricordi se ne vanno
Senza di te
Senza di te

Non ricordo più com’ero


Non capisco più dov’ero

Come mi chiamo, dove sono stato


Dove ho cominciato e dove finirà

Tu sei la cosa cristallina


L’unica cosa preziosa
Per cui vivo e muoio
Tutti gli altri ricordi se ne vanno
Senza di te
Senza di te
Non ricordo più chi ero
Ho scordato chi mi ha ferito
Dimentico il dolore all’istante
Quando sono con te

Tu sei la cosa cristallina


L’unica cosa preziosa
Per cui vivo e muoio
Tutti gli altri ricordi se ne vanno
Senza di te
Senza di te
A HOPE LIKE YOU

I’m easy talk and cheap goodbyes


Second-rate in a first-class disguise
My heart sleeps soundly, don’t wake it
A hope like you could break it

I’m lost deep in crimes and vice


Can’t get to the table to grab the dice
My heart is weak, I can’t take it
A hope like you could break it

It doesn’t matter how hard I try


Can’t earn some things no matter why
My heart knows we’d never make it
A hope like you could break it

People say love changes you


As if change and love are easy to do
My heart is calling and I can’t shake it
But a hope like you could break it

Some things end before they start


The moment they form, they fall apart
My heart wants so badly just to say it
But a hope like you could break it

Told myself this story a thousand times


Can’t seem to break the wants free from my mind
So much of my world goes unnamed
Some people can’t be tamed
But maybe I should stake my claim
Maybe I should claim my stake
I’ve heard some hopes are worth the break

Yeah, maybe I should stake my claim


Maybe I should claim my stake
On the chance the hope is worth the break
UNA SPERANZA COME TE

Io sono tutta chiacchiere e facili addii


Una mediocre travestita da gran classe
Il mio cuore è dormiente, non svegliarlo
Una speranza come te potrebbe spezzarlo

Mi perdo in crimini e vizi


Non arrivo al tavolo dei dadi
Il mio cuore è debole, non riesco a controllarlo
Una speranza come te potrebbe spezzarlo

Per quanto ci provi


Certe cose non le posso ottenere
Il mio cuore sa che non potremmo farcela
Una speranza come te potrebbe spezzarlo

La gente dice che l’amore ti cambia


Come se fosse facile amare e cambiare
Il mio cuore chiama e io non posso ignorarlo
Ma una speranza come te potrebbe spezzarlo

Certe cose finiscono prima di cominciare


Crollano l’istante in cui si formano
Il mio cuore vorrebbe tanto dirlo
Ma una speranza come te potrebbe spezzarlo

Mi sono ripetuta mille volte questa storia


Non riesco a liberarmi la mente dal bisogno
Gran parte del mio mondo è innominata
Certe persone non si possono domare
Ma forse dovrei pretendere
Forse non demordere
Pare ci siano speranze che lo meritano

Sì, forse dovrei pretendere


Forse non demordere
Sperando che la speranza ne sia degna
AURORA

When the seas are breaking


And the sails are shaking
When the captain’s praying
Here comes Aurora

Aurora, Aurora

When the lightning is cracking


And thunder is clapping
When the mothers are gasping
Here comes Aurora

Aurora, Aurora

When the wind is racing


And the storm is chasing
When even the preachers are pacing
Here comes Aurora

Aurora, Aurora

When I was drowning


Three sheets and counting
The skies cleared
And you appeared
And I said, «Here is my Aurora»

Aurora, Aurora
AURORA

Quando le onde si frangono


E le vele tremano
Quando il capitano si mette a pregare
Ecco che arriva Aurora

Aurora, Aurora

Quando i fulmini si schiantano


E i tuoni esplodono
Quando le madri trattengono il fiato
Ecco che arriva Aurora

Aurora, Aurora

Quando il vento infuria


E la tempesta è in arrivo
Quando anche i preti si aggirano impotenti
Ecco che arriva Aurora

Aurora, Aurora

Quando stavo annegando


In balia dei miei eccessi
Il cielo si è rischiarato
Sei apparsa tu
E io ho detto: «Ecco la mia Aurora».

Aurora, Aurora
RINGRAZIAMENTI

QUESTO libro non esisterebbe senza l’entusiasmo della mia agente, Theresa
Park. Theresa, è stata la tua passione per l’idea a trasformare questo libro in
realtà. Sono onorata di averti al timone della mia carriera, e sbalordita dai
risultati. Grazie di incoraggiarmi a correre rischi e puntare alla luna.

Emily Sweet, Andrea Mai, Abigail Koons, Alexandra Greene, Blair


Wilson, Peter Knapp, Vanessa Martinez, Emily Clagett: non solo svolgete il
vostro lavoro con integrità e abilità senza pari, ma siete come il cast di
Friends, nel senso che non riesco a decidere chi di voi è il mio preferito. Il
mio preferito siete tutti. Sono onorata di avere il vostro appoggio.

Sylvie Rabineau, grazie di amare Stevie Nicks quanto me e di avere


gestito il caos di Daisy Jones con grazia e con gioia.

Brad Mendelsohn, grazie di essere la persona con tutte le risposte. Non


hai idea di quante volte in casa mia diciamo: «Forse dovremmo chiederlo a
Brad». Sei il mio Jerry Maguire, e mi riferisco al Jerry Maguire alla fine del
film, quello che ti punta il dito contro con le lacrime agli occhi e il cuore in
mano.

Ai miei nuovi amici alla Ballantine: sono onorata ed elettrizzata di fare


parte di questa squadra. Alla mia editor, Jennifer Hershey: fin dalla nostra
prima conversazione intuii che mi avresti spinta a diventare una scrittrice
migliore, e mi hai dimostrato che avevo ragione. Spero che tu sappia quanto
ti sono riconoscente per aver reso questo libro molto più sfumato e onesto.
Hai gestito ogni singola fase con attenzione e disponibilità, e i risultati sono
straordinari. E ciò è più che evidente nella veste grafica del libro, e devo
rivolgere un enorme grazie a Paolo Pepe per il suo magnifico lavoro. Erin
Kane, grazie per avere controllato che filasse tutto liscio. Kara Welsh, la tua
passione per questa storia ha fatto la differenza. Grazie a te, alla Ballantine
mi sono sentita subito a mio agio. Kim Hovey, Susan Corcoran, Kristin
Fassler, Jennifer Garza, Quinne Rogers, Allyson Lord e gli altri colleghi del
marketing e dell’ufficio stampa: è stata una gioia affidare questo libro a
persone così dotate di talento, determinazione ed entusiasmo.

Ho potuto scrivere questo romanzo grazie a coloro che mi hanno aiutata


nel corso della mia carriera. Sarah Cantin, Greer Hendricks e il fantastico
gruppo di Atria Books, così come i lettori e i blogger che hanno sostenuto gli
altri miei libri. Grazie.

Crystal Patriarche, non so come tu faccia, ma continui a farlo. Grazie a te


e a tutta la squadra di BookSparks.

Più ancora di qualsiasi altro mio libro, Daisy Jones & The Six ha avuto
bisogno di tutto l’aiuto possibile. Tanto per cominciare, mio fratello Jake ha
dovuto insegnarmi ad avere buon gusto in fatto di musica. Grazie, Bear, per
avermi dato una regolata.

E avevo anche bisogno che qualcuno si prendesse cura di mia figlia. Ho


la fortuna di fare quello che amo fare, ma è il lavoro altrui a darmene la
possibilità. Devo ringraziare la nostra tata, Rina, che si prende
meravigliosamente cura della nostra piccola quando io e mio marito
lavoriamo. E voglio estendere il mio enorme, eterno grazie anche ai miei
suoceri, a cui affidiamo Lilah di frequente e spesso con scarso preavviso. So
che quando è con voi si diverte un mondo. Grazie, Maria. Warren, siamo
fortunati ad averti con noi. Rose, rendi tutto possibile, e di continuo. Grazie
dal profondo del cuore.

Alex: non è stato facile decidere a che punto ringraziarti, poiché la tua
mano è presente in ogni aspetto di questa storia. Hai avuto l’idea insieme a
me, mi hai insegnato la teoria musicale, hai ascoltato Rumours con me, hai
litigato con me su Lindsey Buckingham e Christine McVie, hai lasciato un
lavoro per restare di più a casa, sei diventato il genitore primario e hai letto
il libro più o meno nove milioni di volte. Quando scrivo di amore, scrivo di
te. Siamo in pista da dieci anni, e sono ancora pazza di te.

E per finire, il pezzo forte del mio mondo: Lilah Reid. Ti sono davvero
grata per come mi hai cambiata, mia minuscola capitana, e questo libro e la
sua anima più profonda sono testimonianza di cosa provo a essere tua madre.
Ci sono moltissimi modi di stare al mondo, e a volte penso di scrivere solo
per mostrartene alcuni. Ma farò in modo, a qualsiasi costo, che tu conservi
quel cuore combattivo, caparbio, curioso, sempre pronto a offrire a tutti i
suoi Cheerios, perché sei più unica che rara.
Questo ebook contiene materiale p rotetto da cop y right e non p uò essere cop iato, rip rodotto,
trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in p ubblico, o utilizzato in alcun
altro modo ad eccezione di quanto è stato sp ecificamente autorizzato dall’editore, ai termini e
alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esp licitamente p revisto dalla legge
ap p licabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come
l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei
diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e p enalmente secondo quanto
p revisto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.
Questo ebook non p otrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, p restito,
rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il p reventivo consenso scritto
dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non p otrà avere alcuna forma diversa da quella in
cui l’op era è stata p ubblicata e le condizioni incluse alla p resente dovranno essere imp oste
anche al fruitore successivo.
Questa è un’op era di fantasia. Nomi, p ersonaggi, luoghi e avvenimenti sono frutto
dell’immaginazione dell’autrice o usati in modo fittizio. Qualsiasi rassomiglianza con fatti o
località reali o p ersone, realmente esistenti o esistite, è p uramente casuale.

www.sp erling.it
www.facebook.com/sp erling.kup fer

Daisy Jones & The Six


di Tay lor Jenkins Reid
© 2020 M ondadori Libri S.p .A., M ilano
Titolo originale Daisy Jones & The Six
Cop y right © 2019 by Rabbit Reid, Inc.
Pubblicato p er Sp erling & Kup fer da M ondadori Libri S.p .A.
Ebook ISBN 9788893429399

COPERTINA || GRAFICA DI CAROLINE TEAGLE JOHNSON. FOTO © STOCKSY. | ART DIRECTOR: FRANCESCO
MARANGON | GRAPHIC DESIGNER: LAURA DE MEZZA
« L’AUTRICE» || FOTO © DEBORAH FEINGOLD
Sommario

Copertina
L’immagine
Il libro
L’autrice
Frontespizio
NOTA DELL’AUTRICE
LA GROUPIE. DAISY JONES. 1965-1972
L’ASCESA DEI. SIX. 1966-1972
LA IT GIRL. 1972-1974
DEBUTTO. 1973-1975
FIRST. 1974-1975
SEVEN EIGHT NINE. 1975-1976
LA TOURNÉE DEI NUMERI. 1976-1977
AURORA. 1977-1978
LA TOURNÉE MONDIALE DI AURORA. 1978-1979
CHICAGO STADIUM. 12 luglio 1979
ALLORA E OGGI. 1979-Oggi
UN’ULTIMA COSA PRIMA DI ANDARE. 5 novembre 2012
CHASING THE NIGHT
RINCORRENDO LA NOTTE
THIS COULD GET UGLY
SE SI METTESSE MALE
IMPOSSIBLE WOMAN
DONNA IMPOSSIBILE
TURN IT OFF
SPEGNI
PLEASE
TI PREGO
YOUNG STARS
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REGRET ME
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UNA SPERANZA COME TE
AURORA
AURORA
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