Secondo volume
La vita religiosa a Roma all’epoca di Augusto
Religio
Collana di Studi del Museo delle Religioni “Raffaele Pettazzoni”
Diretta da Igor Baglioni
Volumi pubblicati:
2013 - I. Baglioni (a cura di)
Monstra. Costruzione e percezione delle entità ibride e mostruose nel Mediterraneo antico
Vol. 1 - Egitto, Vicino Oriente Antico, Area Storico-Comparativa
Vol. 2 - L’Antichità Classica
2014 - I. Baglioni (a cura di)
Sulle Rive dell’Acheronte. Costruzione e Percezione della Sfera del Post Mortem nel
Mediterraneo Antico
Vol. 1 - Egitto, Vicino Oriente Antico, Area Storico-Comparativa
Vol. 2 - L’Antichità Classica e Cristiana
2015 - I. Baglioni (a cura di)
Ascoltare gli Dèi / Divos Audire. Costruzione e Percezione della Dimensione Sonora nelle
Religioni del Mediterraneo Antico
Vol. 1 - Egitto, Vicino Oriente Antico, Area Storico-Comparativa
Vol. 2 - L’Antichità Classica e Cristiana
2016 - I. Baglioni (a cura di)
Saeculum Aureum. Tradizione e innovazione nella religione romana di epoca augustea
Vol. 1 - Augusto, da uomo a dio
Vol. 2 - La vita religiosa a Roma all’epoca di Augusto
Volumi in programmazione:
Politeismo. Costruzione e percezione delle divinità nel Mediterraneo antico
ISBN 978-88-7140-736-4
Finito di stampare nel mese di Novembre 2015
presso Global Print - Gorgonzola (MI)
Indice
Primo volume
Augusto, da uomo a dio
Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
Introduzione
Igor Baglioni, . La politica religiosa di Augusto. Le osservazioni di Raffaele Pettazzoni . . . 15
Luigi Maria Caliò - Rita Sassu, L’immagine di Augusto tra propaganda politica e
culto. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 209
Matteo Cadario, Verso la veneratio Augusti. Osservazioni sui tipi statuari usati
nelle statue di età augustea collocate negli edifici di culto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 221
Marco Galli - Giulia Tozzi, Le prime manifestazioni del culto del princeps
nell’Oriente greco: il caso di Kalindoia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 239
Giovanni Di Brino, La consacrazione del divo Augusto come forma di legittimazione
del potere sotto i principati di Caligola e Nerone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 261
Beatrice Girotti, Ancora sulla divinizzazione di Augusto e le fonti tardoantiche:
l’ambiguità vince sul tempo? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 273
Secondo volume
La vita religiosa a Roma all’epoca di Augusto
Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
Introduzione
Igor Baglioni, La politica religiosa di Augusto. Le osservazioni di Raffaele Pettazzoni . . . . 15
Parte 4: Aspetti della vita religiosa nel mondo romano in epoca augustea
Chiara Terranova, La storia e i vinti: breve resoconto sui rapporti tra politica e reli-
gione nel racconto delle fonti su Antonio “Dioniso” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157
Paolo Garofalo, Augusto e le Vestali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 167
Vito Mazzuca, Religione e politica: Iside e Augusto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 177
Ilaria Sforza, Diana Trivia e la propaganda augustea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 189
Indice 7
Marcello De Martino
Com’è noto, la IV egloga delle Bucoliche è stata oggetto di innumerevoli studî1, i quali
hanno tentato di sceverare quello che si suppone sia stato il messaggio “nascosto” di una
composizione poetica di indubbia cripticità e complessità strutturale. È ovvio che qui non
cercheremo di offrire alcuna visione generale nuova e groundbreaking, ma vorremo solo evi-
denziare talune caratteristiche tematiche che, a nostro avviso, attingerebbero ad un retaggio
sapienziale di grande antichità, mettendo a confronto alcuni elementi del testo virgiliano
con altri di diverso genere, ma afferenti ad una matrice linguistica affine, nella fattispecie,
indoeuropea.
Il motivo principale della redazione della IV egloga fu la pace di Brindisi siglata tra Ot-
taviano e Antonio nel 40 a.C.: a Virgilio tale circostanza dové apparire come un evento di
portata epocale, una convinzione che nel poeta mantovano trovava la sua origine nel senti-
mento di scampato pericolo di possibili sanguinose guerre civili quali erano state quelle tra
Mario e Silla; così, una vicenda estemporanea venne trasposta mediante l’arte poetica ad un
niveau mitico, facendo assurgere in tal modo un normale accadimento umano, in definitiva,
“banalmente” storico a simbolo potente di rinnovamento spirituale e sociale – insomma, una
vera e propria renovatio.
In un nostro studio2, abbiamo ravvisato anche in Virgilio tracce di un retaggio sapien-
ziale che aveva una base in una ben determinata teologia dalla struttura interna altamente
complessa: quest’ultima, a nostro parere, può essere riconosciuta anche nella IV egloga, ove
tra le diverse tematiche può evincersi anche un mitologema sottostante che è passibile di
avere radici in un’ideologia assai antica3.
Questa renovatio è provata dal v. 30 dell’egloga di Virgilio, quando si preannunciava un
rinnovato magnus…saeclorum ordo in cui «le dure querce avrebbero sudato miele rugiadoso»
(et durae quercus sudabunt roscida mella), un concetto che si ripete quasi verbatim nel v. 45 del-
le Elegiae I, 3 di Tibullo, riferito, però, all’illud tempus, cioè all’Età d’Oro di Saturno (Ipsae mella
dabant quercus…). Questi due versi ricordano immediatamente il mito della fondazione del
1 Rimandiamo al classico Carcopino 2001 [ed. franc. 1930]; si veda da ultimo D’Anna 2007 esclusivamente per la
bibliografia pregressa, laddove detto saggio è assolutamente inaccettabile per la sua metodologia d’indagine e per le
sue conclusioni, oltre che per i clamorosi errori di latino (a p. 20, Aeneis 553: …ante oras (sic!) parentum al posto di
…ante ora parentum), si veda O’Sullivan 2009.
2 De Martino 2015: 27, 260, 264, 279.
3 De Martino 2015: 269-306.
338 M. De Martino
culto della Fortuna Primigenia a Praeneste, ove, secondo il mito raccontato da Cicerone in De
divinatione II, 41, 85-87, «in quel medesimo tempo, là dove ora si trova il tempio della Fortuna,
fluì miele da un olivo» (Eodemque tempore in eo loco, ubi Fortunae nunc sita est aedes, mel ex
olea fluxisse dicunt)4. Se in Virgilio e Tibullo l’albero citato è una quercia, laddove in Cicerone si
menziona un olivo, v’è tuttavia da ricordare che da quest’ultimo albero se ne ricavò un’arca in
cui vennero conservate le sortes trovate miracolosamente da Numerio “Suffustio”5, le quali era-
no fatte di legno di quercia, il che induce a pensare a un’identificazione a livello funzionale delle
due specie arboree nel mitologema prenestino: infatti, l’arca creata con il “sacr(alizzat)o” legno
ulivigno custodiva al suo interno le sortes quercine, quasi vi fosse una sorta di compenetrazione
o fusione di elementi vegetali eterogenei; in conclusione, un ultimo tratto “emico” va rilevato
nel verso virgiliano, che si rivelerebbe molto significativo: nel (nuovo) tempo “primordiale”
ovvero primigenio sulla quercia il miele sarebbe colato “come rugiada” (roscida).
Questa figura dell’albero mellifluo non è tipica del mondo mediterraneo, ma si ritrova
nella tradizione mitologica “pagana” di ambiente nordico, in particolare norreno. Infatti, nel
primo poema dell’Edda poetica, il famoso Vǫluspá (La profezia della veggente), che con ogni
probabilità venne composto agli inizi del X secolo della nostra era6, si racconta dell’albero co-
smico Yggdrasill, un frassino che svolge le funzioni di Axis Mundi; nella strofe 19 si espone la
qualità di questo elemento arboreo “sanctum”, ossia:
Un frassino so che s’erge
– si chiama Yggdrasill,
alto albero – spruzzato
di bianca argilla.
Da lì vengono le rugiade
che cadono nelle valli7.
Che cosa siano queste rugiade ci viene spiegato dall’opera chiosatrice dell’islandese Snorri
Sturluson (1178-1241), il quale così interpretava questa strofe nel suo Gylfaginning (L’inganno
di Gylfi), la prima parte della cosiddetta Edda in prosa: «Quella rugiada che da lì cade sulla
terra gli uomini la chiamano hunangfall e di essa si nutrono le api» (Sú dǫgg er þaðan af fellr á
jǫrðina, þat kalla menn hunangfall, ok þar af fǿðask blýflugur)8. Il commento di Snorri si rivela
invero assai importante ai fini della nostra inchiesta storico-comparativa, poiché aggiunge dei
dettagli assenti nella strofe del Vǫluspá. Infatti, ragguardevolissima è l’informazione finale; la
rugiada bianca che dallo Yggdrasill cade sulla terra veniva chiamata hunangfall, ossia “caduta
(fall) di miele (hunang, si veda ant. sass. hunig, ingl. honey, ted. honig, dan. honing)”, un bianco
e dolce alimento di cui si sarebbero cibate le api: pur non essendo espresso nella strofe del po-
ema norreno, questo particolare è però assolutamente congruente con la tradizione letteraria e
mitologica latino-italica, come dimostrano in primis Virgilio, sia in Georgica IV, 1, ove il poeta
chiama il miele un “celeste dono” (aerii mellis caelestia dona), sia soprattutto nell’egloga IV, 30,
dove dalla quercia del (nuovo) ordine temporale sarebbe colato “il miele come rugiada” (roscida
mella), e in secundis il racconto leggendario del De divinatione II, 41, 86 relativo alle origini del
culto della Fortuna Primigenia prenestina: infatti, sia nel mito norreno che in quello latino-
italico si parla del momento degli “inizi”, poiché il miracolo del miele che trasuda dall’olivo è
indicatore di un nuovo corso cronologico; inizia di fatto il saeculum di Fortuna e quindi vi è la
fondazione del suo culto con la sacralizzazione del luogo operata dal mel “sanctum”.
Abbiamo quindi trovato un elemento di raccordo tra mondo mitologico classico e quel-
lo nordico che ci può far legittimamente supporre un mitologema originario in cui vi fosse un
albero sacro-Axis Mundi santificato da un miele che di quello è parte integrante; ma questo
“tratto semantico” non è l’unico che si può ravvisare nella IV egloga virgiliana. In questa,
infatti, vi sono due parti che svolgono un ruolo da attore protagonista, una, rappresentata
dal puer dall’ignota denominazione, e un’altra, che non è stata molto considerata dagli stu-
diosi, ravvisabile nelle figure delle Parche. La presenza di queste ultime dà al testo un valore
destinale molto forte, il quale è legato al peculiare momento astronomico: il collegamento
del giro rotante del fuso delle Parche con il volgere circolare del tempo e, specificatamente,
con un mutato ciclo temporale è dato proprio dal poeta nella IV egloga, ove le divinità della
Sorte ordinano unanimi a loro fusi di filare i secoli per iniziare una nuova Età dell’Oro, un
rinnovato magnus ordo saeclorum: vv. 46-47: ‘Talia saecla’ suis dixerunt ‘currite’ fusis / con-
cordes stabili fatorum numine Parcae9. Orbene, l’aspetto cosmologico relativo al volgere di
fusi destinali connesso alla rivoluzione planetaria è rinvenibile nel passo della Respublica X,
616.e.2-617.b.3 di Platone, ossia nel famoso mito di Er10, in cui si narra del viaggio nell’Aldilà
di un soldato della Panfilia, caduto in battaglia, il quale aveva fatto un’esperienza di morte
apparente. Costui nella sua avventura estatica ultraterrena ebbe la visione dell’Universo e
delle sfere celesti che venivano fatte girare grazie ad un enorme fuso, quello di Ananke, il
quale conteneva al suo interno tanti fusaioli per quanti cieli esistevano, da quello della Luna
a quello delle Stelle fisse; la rivoluzione di questa cosmologica macchina filatrice era azionata
non solo dalla dea della Necessità, ma anche dalle sue figlie Moire, rispettivamente, Cloto,
Lachesi e Atropo. Sarebbe troppo lungo in questa sede enumerare la complessa struttura che
il filosofo ateniese ha dato alla sua costruzione cosmico-mitologica, che abbiamo esposto a
dovere in altra sede, ma basterà qui notare come Virgilio nella IV egloga si sia ricordato sicu-
ramente del mito platonico; a questo proposito, si ricorderà che l’ultimo fusaiolo menzionato
nel X libro della Respublica, quello connesso al cielo delle stelle fisse, ne provocava una rivo-
luzione di 25.920 anni, avendo così come conseguenza la ben nota precessione degli equinozi
detta Grande Anno11 o, appunto, Anno Platonico, dato che il filosofo ne aveva accennato nel
Timeo senza entrare nel computo preciso temporale, come invece avrebbe fatto Ipparco di
Nicea nel II secolo a.C. Una conferma in tal senso potrebbe venire dal verso 50 dell’egloga
virgiliana, dove si esorta a guardare il Cosmo che “traballa” per il suo peso ricurvo (aspice
convexo nutantem pondere mundum): forse, in questo caso, Virgilio si riferiva alla nutazione,
cioè al moto di oscillazione dell’asse di rotazione terrestre che si manifesta proprio in com-
binazione al fenomeno astronomico della precessione degli equinozi; la nutazione è un moto
simile a quello della trottola o a quello del fusaiolo, due ugelli che in latino si esprimevano
infatti con lo stesso termine, ossia turbō, che indicava il movimento turbinoso di tali oggetti12.
Concordiamo quindi con il Norden13, secondo cui il Tempo (aiōn = aevum) è il vero
protagonista della composizione poetica virgiliana, che è anche l’illud tempus, il Tempo Pri-
migenio, ovvero primordiale, che ritorna nel tempo di Augusto e della sua gens, di cui Venus
Genitrix era divinità tutelare. In un passo delle Metamorphoses di Ovidio, nella fattispecie
XV, vv. 808-815, Giove ragguaglia sua figlia Venere sulla stirpe di cui ella sarà progenitrice,
ossia quella della gens Iulia:
Iuppiter, in questo caso, non dà responsi come Zeus a Dodona, ma li conosce e sa dove
trovarli, cioè nel luogo dove abitano le “tre sorelle”, le Parche, le quali posseggono una rerum
11 Per tutto ciò si rimanda a De Callataÿ 1996 e più in generale a Vlastos 1975.
12 Il filosofo stoico Crisippo, come sappiamo da Cicerone nel De fato 42-43, per esemplificare la sua concezione
del Fato utilizzava come esempio la forma del cilindro o della trottola, la quale è incapace di muoversi senza una
sollecitazione esterna, ma che una volta messa in rotazione gira in forza della propria natura; la similitudine di
Crisippo si ritrova anche in Aulo Gellio, Noctes Atticae VII, 2, 11, dove però si menziona solo il cilindro; si veda su
tale questione Bocciolini Palagi 2007: 85-90.
13 Norden 1924: 12 sgg.
Tracce di un’“ideologia” indoeuropea nella iv egloga di Virgilio? A reappraisal 341
tabularia14, sarebbe a dire un enorme archivio fatto di ferro e di bronzo: quest’ultimo, in de-
finitiva, può essere considerato una particolare arca fatta di metallo indistruttibile, che nem-
meno l’arma del dio, il fulmine, poteva distruggere, così come non poteva essere alterato, cioè
cambiato, il fatum umano, visto che era inciso su tabulae di diamante; e di diamante era fatto
il fusto del fuso di Ananke, secondo quanto affermato da Platone in Respublica X, 616.c.6
(ἠλακάτην… ἐξ ἀδάμαντος), la quale dea per Orazio in Carmina III, 24, 5-7 conficcava dei
chiodi anch’essi di diamante ai vertici più alti del cielo (figit adamantinos summis verticibus
dira Necessitas clavos), e quindi è probabile che l’immagine del metallo evochi quella di spazi
siderali dalla materia indistruttibile come il ferro (σίδερος = ferrum).
Abbiamo evidenziato quindi una similitudine tra miti latini e greci, ma ci si può chiede-
re se questa analogia possa essere ravvisata in una documentazione allogena, pur se di lingua
imparentata, così da supporre una comune ascendenza “sapienziale” di origine indoeuropea:
ancora una volta è l’àmbito mitologico norreno a sostenerci nel nostro intento.
Innanzitutto, si dovrà dire che sempre nel mito di Er di Platone il “fuso di Ananke”
(Ἀνάγκης ἄτρακτος) è legato ad una “colonna” (κίων) di luce: quest’ultima sarebbe una sorta
di perno sfolgorante le cui estremità tenevano unita la sfera celeste che altrimenti sarebbe
andata alla deriva; detta colonna è anche un Axis Mundi, dato che passa da parte a parte lo
stesso Universo attraversandone il mezzo, ove si situa la Terra. Vien fatto di pensare che que-
sta colonna di luce altro non sia che il “fusto” di una sorta di “conocchia” (oggetti, peraltro,
che vengono designati in greco entrambi dal termine σφόνδυλος), la quale rappresenterebbe
simbolicamente il Cosmos universale da cui si svolgono i “fili fatali” delle otto sfere celesti che
ruotano attorno a questo “asse” splendente: detti “fili” starebbero per le posizioni dei pianeti
nell’oroscopo della persona al momento della sua nascita o “genesi” (γένεσις), costituendo
così una sorta di stame destinale filato dalle Moire15.
La colonna di luce in Respublica X, 616.e.2-617.b.3 può essere comparata con l’interpre-
tazione che dell’Irminsul dava Rodolfo da Fulda (800 circa-865 d.C.), nella Translatio sancti
Alexandri 3: Truncum quoque ligni non parvae magnitudinis in altum erectum sub divo cole-
bant, patria eum lingua Irminsul appellantes, quod Latine dicitur universalis columna, quasi
sustinens omnia. L’Irminsul16 era, infatti, una rappresentazione dell’Axis Mundi, il quale, raffi-
gurato come una quercia o comunque a guisa di un grande palo di legno, era oggetto di grande
venerazione da parte dei Sassoni così come lo era il suo omologo Yggdrasill per i Vichinghi17;
vien fatto perciò di chiedersi se anche nel fondo più arcaico della religiosità ellenica non ci fosse
la traccia di un teologema originario che vedesse un’universalis columna che reggeva a mo’ di
(tronco d’)albero sacro tutto il Cosmo con le sue sfere, il quale girava quasi quello ne fosse il
perno centrale. D’altronde, le due rappresentazioni allegoriche dell’Universo, cioè quella “arbo-
rea” e quella “strumentale” della filatura, non sono in contrasto tra loro, ma anzi risultano strut-
turalmente analoghe e quindi possono essere considerate come una variatio mitico-narrativa
all’interno del medesimo tema teologico: infatti, l’albero Yggdrasill che reggeva i nove mondi
dell’Universo norreno è omologo dal punto di vista della sua pregnanza semantica all’asse del
Κόσμος platonico costituito dalle otto sfere celesti che veniva fatto girare dal fusto del fuso di
Ananke, e pertanto dette visioni potrebbero essere entrambe originarie e risalenti al periodo
comune indoeuropeo – in definitiva, come fossero due facce della stessa medaglia o, meglio,
due interpretazioni religiose equipollenti della stessa realtà. Una prova in tal senso è dato dalla
presenza nel mito norreno riguardante l’albero cosmico Yggdrasill di una triade di divinità de-
stinali in tutto simili alle Moire, ossia le Norne. Nella strofe 20 della Vǫluspá, immediatamente
successiva a quella che abbiamo precedentemente citato, ossia la 19:
Da lì vengono fanciulle
di molta saggezza,
tre, da quello specchio d’acqua
che sotto lo scalmo si stende.
Urðr nomarono la prima,
Verðandi l’altra,
stecche di legno tagliavano,
Skuld è la terza.
Costoro decisero la legge,
sceglievano la vita
per i nati dei mortali,
per gli uomini le sorti18.
In questa strofe si ricorda che queste tre potenti dee della Sorte si trovavano al di sotto
del frassino Yggdrasill, considerato l’Axis Mundi, che si innalza da un’area acquatica, che
era chiamata anche Urðar brunnr, un termine che indica il “pozzo” di Urðr, una delle tre
Norne: l’immagine sembra alquanto simile a quella delle tre Moire che si trovavano sotto le
sfere celesti presso il fuso di Ananke, e infatti anche le Norne sceglievano la vita per i nuovi
mortali e il loro ør-lǫg, la “primordiale (ør- omologo a ted. ur-) legge (lǫg comparabile a lat.
lex)”, ossia il loro Fato ineluttabile. A conferma della nostra comparazione va ricordato che
l’etimologia dei nomi delle dee norrene del Destino è legata alla successione temporale di
passato, presente e futuro: infatti, in antico norreno Verðandi significa sicuramente “(ciò che)
è, (ess)ente”, poiché esso è riconoscibile senza dubbio come participio presente di verða il
quale ha il senso di “divenire” ed è correlato alla radice indoeuropea *wert-, “volgere”; quindi,
dato che l’immediata contiguità di Urðr con Verðandi può difficilmente essere considerata
fortuita, si è indotti giocoforza a desumere che il primo nominativo debba essere collegato al
medesimo verbo norreno: pertanto questo termine stesso sarebbe l’esito storico del protoger-
manico *wurþ-iz (o *wurð-iz con legge di Verner) il quale è un nome astratto in *-i indicante
originariamente la “vorticità” personificata; nell’ultimo appellativo divino, derivato dal verbo
antico norreno skole/skulle esprimente un valore modale di necessità, si può ravvisare invece
18 Il testo della Vǫluspá a cui ci riferiamo è quello filologicamente restituito da Ursula Dronke in The Poetic Edda,
II 1997, pp. 7-153.
Tracce di un’“ideologia” indoeuropea nella iv egloga di Virgilio? A reappraisal 343
un usuale slittamento di senso verso la temporalità del futuro secondo il processo “(ciò che)
deve essere > sarà” (si confrontino i corradicali shall e should atti a esprimere, rispettivamen-
te, il futuro e il condizionale in inglese). Orbene, proprio nel mito di Er, il canto delle Moire
che fanno girare i fusaioli del fuso di Ananke è ripartito per il presente a Cloto, per il passato
a Lachesi e per il futuro ad Atropo: ὑμνεῖν πρὸς τὴν…ἁρμονίαν, Λάχεσιν μὲν τὰ γεγονότα,
Κλωθὼ δὲ τὰ ὄντα, Ἄτροπον δὲ τὰ μέλλοντα; a nostro avviso, tale collimazione di figure
mitologiche non può essere frutto di un caso, né una simile ideologia cronologico-destinale
potrebbe essere spiegata con un’imitazione dell’autore del Vǫluspá dal modello greco, scono-
sciuto all’epoca della composizione della saga norrena: l’unica spiegazione possibile è quella
di un mitologema originario che si sarebbe perpetuato nelle tradizioni letterarie, mitologiche
e sapienziali delle etnie storiche indoeuropee, a cui avrebbe attinto anche Virgilio per la com-
posizione della IV egloga19.
Il poeta di Mantova nel proprio bagaglio culturale aveva acquisito da fonti difficilmente
riconoscibili un nucleo ideologico che si rifaceva ad un albero-Axis Mundi, nella fattispecie
una quercia, che era fatto “sacro” grazie all’elemento del miele; a questa universalis columna
di forma arborea si accompagnavano le tre dee della Sorte che con il moto vorticoso dei loro
fusi facevano girare i cieli del Cosmo e il Tempo da questi stessi scandito nei millenni. A mio
parere, quindi, nel nuovo magnus…saeclorum ordo esplicato nella IV egloga vi sarebbero
tracce di una prospettiva cosmologica molto antica, la quale, collegata al Grande Anno20, si
connette ad un’idea di Fatum simboleggiata dal filare di una triade divina destinale, espres-
sione del Tempo nelle sue tre diverse manifestazioni di passato, presente e futuro. Abbiamo
voluto qui dare solo un accenno di quell’avito bagaglio sapienziale che Virgilio si sentì legit-
timato a infondere in una sua composizione inneggiante il Tempo di Augusto: alla glorifi-
cazione di questi veniva così a concorrere anche un’ideologia dalle origini remotissime, che
faceva di Ottaviano l’uomo del nuovo saeculum e al contempo l’erede del illud tempus, quello
primigenio e delle origini – indoeuropee, potremmo ben dire.
Fonti
Bibliografia
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