Art. 2
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la
sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Art. 4
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Art. 32
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite
agli indigenti.
Art. 35
La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.
Cura la formazione e l'e levazione professionale dei lavoratori.
Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro.
Art. 41
L'iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza,alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perchè l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e
coordinata ai fini sociali.
Il codice civile
Art. 2087 c.c. recita: "l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'e sercizio dell'impresa le
misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie
a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro".
Infatti il datore di lavoro non potrebbe occuparsi da solo di tutte le fasi di cui si compone
l'attività d'impresa ed è obbligato, ad affidare ad altri soggetti, per mezzo di una delega,
anche la gestione delle misure antinfortunistiche ed il conseguente controllo.
Evidenziamo sin da ora che che i compiti basilari del datore di lavoro non sono delegabili, solo
una volta che il datore di lavoro ha vigilato per primo sull'attuazione di tutte le misure
(valutazione dei rischi; predisposizione di un piano di sicurezza; designazione di un
responsabile della sicurezza), può spogliarsi dal controllo quotidiano delle specifiche fasi di
lavoro e riser varsi un controllo periodico sull'attività da altri svolta.
Il codice penale
Art. 589
Omicidio colposo
[I]. Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
[II]. Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per
la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni .
Art. 590
Lesioni personali colpose
[I]. Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la
multa fino a 309 euro.
[II]. Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 123 euro a 619 euro; se è
gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da 309 euro a 1.239 euro.
[III]. Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme sulla disciplina della
circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena per le lesioni gravi è della
reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 e la pena per le lesioni gravissime è
della reclusione da uno a tre anni.
[V]. Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo nei casi previsti nel primo e secondo capoverso,
limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o
relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale.
Va evidenziato che l'inciso "norme in materia di prevenzione di infortuni sul lavoro" di cui
agli artt. 589, 590 c.p., non comprende solo le previsioni specificamente volte alla
normativa di sicurezza, ma anche tutte le disposizioni che si pongono, direttamente o
indirettamente, a tutela del lavoratore.
Pertanto per configurare la responsabilità penale del datore di lavoro non occorre la
violazione di specifiche norme dettate in tema di sicurezza sul lavoro, ma è sufficiente che
l'e vento si verifichi a causa dell'omissione di misure ed accorgimenti che, sebbene non
individuati analiticamente dal legislatore, perseguono il fine di evitare gli infortuni sul
lavoro.
N.B. Il datore di lavoro risponde anche quando la vittima è persona estranea all'impresa, in quanto
l'imprenditore assume una posizione di garanzia in ordine alla sicurezza degli impianti non solo nei
confronti dei lavoratori subordinati, ma anche nei riguardi di tutti coloro che possono venire a contatto o
trovarsi nell'area della loro operatività
(Cassazione penale 10842 del 7/2/2008)
Il legale rappresentante risponde dell'infortunio del lavoratore anche se avvenuto fuori dall' orario di
lavoro in quanto le norme antinfortunistiche sono poste a tutela di coloro che si trovino negli ambienti di
lavoro, anche al di fuori dell'orario di lavoro.
(Cassazione penale 20559 del 24/2/2005)
Statuto lavoratori
Legge 20/5/1970 n.300
La normativa è la base in forza della quale è stata creata la figura del rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza.
La normativa europea
Per la cantieristica occorre fare riferimento alla 92/57/CEE che ha ritenuta la necessità
di una normativa specifica relativa alla sicurezza sui cantieri sulla base dei seguenti
presupposti:
considerando che i cantieri temporanei o mobili costituiscono un settore di attività che
espone i lavoratori a rischi particolarmente elevati;
considerando che le scelte architettoniche e/o organizzative non adeguate o una carente
pianificazione dei lavori all'atto della progettazione dell'o pera hanno influito su più della
metà degli infortuni del lavoro nei cantieri nella Comunità;
considerando che, all'atto della realizzazione di un'o pera, una carenza di coordinamento in
particolare dovuta alla presenza simultanea o successiva di imprese differenti su uno
stesso cantiere temporaneo o mobile può comportare un numero elevato di infortuni sul
lavoro;
considerando che risulta pertanto necessario un rafforzamento del coordinamento fra i
vari operatori fin dall'e laborazione del progetto e altresì all'atto della realizzazione
dell'o pera;
considerando che il rispetto delle prescrizioni minime atte a garantire un miglior livello di
sicurezza e di salute sui cantieri temporanei o mobili costituisce un imperativo al fine di
garantire la sicurezza e la salute di lavoratori;
considerando inoltre che i lavoratori autonomi ed i datori di lavoro, che esercitano essi
stessi un'attività professionale su un cantiere temporaneo o mobile, possono con le loro
attività mettere in pericolo la sicurezza e la salute dei lavoratori;
Testo unico sicurezza
e salute sui luoghi
di lavoro
Decreto legislativo
n. 81 del 9 aprile 2008
integrato e coordinato
a tutti i lavoratori e lavoratrici, subordinati e autonomi, nonchè ai soggetti ad essi equiparati, con specifiche a
seconda del contratto di lavoro in concreto stipulato e nel caso di volontariato.
TITOLO I – PRINCIPI COMUNI
Articolo 1 - Finalità
Articolo 2 - Definizioni
Articolo 3 - Campo di applicazione
Articolo 4 - Computo dei lavoratori
SEZIONE VIII - DOCUMENTAZIONE TECNICO AMMINISTRATIVA E STATISTICHE DEGLI INFORTUNI E DELLE MALATTIE PROFESSIONALI
TITOLO I – PRINCIPI COMUNI
SEZIONE I – SANZIONI.
CAPO II – SANZIONI .
BIOLOGICI
PENALE.
Articolo fondamentale in quanto illustra le misure generali di sicurezza cui attenersi in ogni tipo di
attività.
Le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro sono:
c) l'e liminazione dei rischi o la loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al
progresso tecnico;
i) la programmazione delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei
livelli di sicurezza (..)
l) le misure di emergenza in caso di primo soccorso, di lotta antincendio, di evacuazione dei lavoratori
in caso di pericolo grave e immediato;
b) la scelta dell'ubicazione di posti di lavoro tenendo conto delle condizioni di accesso a tali posti,
definendo vie o zone di spostamento o di circolazione;
f) l'adeguamento, in funzione dell'e voluzione del cantiere, della durata effettiva da attribuire ai vari
tipi di lavoro o fasi di lavoro;
h) le interazioni con le attività che av vengono sul luogo,all'interno o in prossimità del cantiere.
Non c'è sanzione penale per il mancato rispetto degli obblighi previsti ma, qualora la mancata
osser vanza degli obblighi abbia potuto comportare o aggravare l'infortunio la violazione risulerà
rilevante.
Cassazione civile, sez. lav. 17/04/2012 n. 6002
Il sig. X, paziente affetto da grave disturbo psicotico, in stato di ricovero volontario (non
interdetto nè in regime di trattamento sanitario obbligatorio) era scappato dal reparto di
psichiatria, recandosi fuori dalla struttura ospedaliera.
L’infermiere Y, tenuto ad esercitare la dovuta sorveglianza ex art. 2047 c.c., al fine di evitare
che il paziente potesse produrre danni per sè o altri, lo inseguiva per ricondurlo all’interno
della struttura stessa, per inseguire il paziente l’infermiere scavalcava un cancello e cadeva,
procurandosi un infortunio.
L’infermiere richiede alla struttura ospedaliera i danni asserendo che il datore di lavoro non
ha ottemperato alle prescrizioni di cui all’art. 2087 c.c.
La struttura ospedaliera si difende dicendo che risulta, nel caso, una deviazione, puramente
arbitraria, della condotta del dipendente dalle normali modalità della prestazione di lavoro.
L'adozione del criterio di rischio professionale ha comportato che il datore di lavoro, entro i limiti dell’obbligo
assicurativo presso l’INAIL, debba rispondere non solo dei danni sofferti dal lavoratore che dipendano da un
comportamento colposo suo o dei propri sottoposti, ma pure di quelli che, se accaduti nello svolgimento dell'attività
lavorativa, siano conseguenza di caso fortuito, di forza maggiore o anche di colpa dello stesso lavoratore, con il
solo limite dell'atto puramente arbitrario.
La Corte di Cassazione ha affermato che ad escludere l'indennizzabilità del sinistro non basta l'atto colpevole del
lavoratore (cioè l'atto volontario posto in essere con imprudenza, negligenza o imperizia) se sia motivato comunque da
finalità produttive, ma solo il comportamento del dipendente che sia del tutto arbitrario ed abnorme, in quanto
determinato da "impulsi puramente personali" (v.Cass. n. 11417/2009 e ivi ult. Rif.).
Però se in tutti questi casi il sinistro deve essere risarcito (dall’INAIL) non è detto che sia automatica la responsabilità del
datore di lavoro e quindi la tutela risarcitoria del lavoratore.
E’ vero che l'art. 2087 c.c., che norma la responsabilità del datore di lavoro, è "norma aperta ai mutamenti economico-sociali",
che deve realizzare una funzione sussidiaria ed integrativa delle misure protettive del lavoratore, alla luce della direttiva
della "massima sicurezza ragionevolmente praticabile" (v. sul punto Corte di giustizia CE, 14.6.2007, causa C- 127/05), e, in
questo contesto, il datore di lavoro ha un obbligo di prevenzione, che "abbraccia ogni tipo di misura utile a garantire
il diritto soggettivo dei lavoratori ad operare in un ambiente esente da rischi".
E’ vero che è richiesto al datore di adottare, non solo le misure tassativamente imposte dalla legge in relazione al tipo di
attività svolta, ma ogni altra misura che, alla luce dell'evoluzione tecnica e scientifica, sia dettata dalla specifica
situazione di rischio (così ex plurimis Cass. n. 17314/2004).
Però non si può ritenere automatica la responsabilità del datore di lavoro ogni volta che il danno si sia verificato, dovendo
comunque sussistere almeno la colpa del datore di lavoro poichè l'art. 2087 c.c. non configura una ipotesi di
responsabilità oggettiva.
Pertanto non basta, a tal fine, che si dia prova che il comportamento del lavoratore, per quanto incongruo rispetto alle
stesse direttive del datore di lavoro, sia, comunque, inerente all'attività lavorativa, ma è necessario che il
comportamento del datore di lavoro sia qualificato da colpa.
Nel caso in esame, emerge che l'infortunio avvenne durante l'inseguimento di un paziente (peraltro, in regime di ricovero
volontario) fuori dai locali del nosocomio e per effetto di modalità comportamentali gravemente imprudenti
(scavalcamelo del cancello).
Il ricorrente afferma che tale comportamento non poteva ritenersi estraneo alle mansioni lavorative, ma il punto è che il
processo non offre alcuna prova (nè, comunque, viene data alcuna allegazione) di un comportamento
colpevole del datore di lavoro, e cioè della ricollegabilità del sinistro alla violazione di un obbligo di diligenza
del datore di lavoro nella predisposizione di misure idonee a prevenire ragioni di danno per i propri
dipendenti.
Va ulteriormente precisato che, nel caso, quel che rileva è l'insussistenza delle condizioni di operatività dell'obbligo di
sicurezza, sotto il profilo dell'indimostrata esigibilità di una diversa e specifica condotta protettiva del datore di lavoro ne
deriva che l'infortunio, ancorchè indennizzabile (ed indennizzato), non è, tuttavia, risarcibile.
Osservava la Corte territoriale che l'obbligazione di lavoro non comportava l'esigibilità della condotta nel caso
tenuta dal dipendente, e precisamente l'inseguimento del paziente fuori dai locali dell'ospedale, utilizzando modalità
gravemente imprudenti (scavalcamento del cancello).
Dai rilievi effettuati dai Carabinieri dopo l’infortunio si verifica un non buono stato di
manutenzione del cantiere, inoltre il D. si era in passato lamentato del fatto che la betoniera
si spegneva continuamente per difetti all'interruttore di protezione che duravano da tempo, e
che prima o poi l’avrebbe collegata direttamente al cavo di alimentazione.
Risultava anche che la betoniera era priva dell'interruttore differenziale salvavita, anche se
l’apposizione non era prescritto da una una specifica disposizione antinfortunistica in tal
senso.
L’imprenditore P, dopo il processo in primo e secondo grado, che aveva accertato una
responsabilità civilistica al 50% tra datore di lavoro e lavoratore, si rivolge alla Corte di
Cassazione.
L'art. 2087 c.c. poichè ha una funzione sussidiaria ed integrativa delle misure protettive da adottare a garanzia del lavoratore,
abbraccia ogni tipo di misura utile a tutelare il diritto soggettivo dei lavoratori ad operare in un ambiente esente da rischi, così
come è stato posto in rilievo dalla Corte costituzionale (sentenza 399/ 1996) (cfr. Cass., n. 4840 del 2006).
Pertanto il rispetto di detto articolo, in quanto fondato sul generico dovere di prudenza, diligenza, osservanza delle norme
tecniche e di esperienze, rende necessario che l'imprenditore sia tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa tutte le misure
che, secondo le particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità
morale dei prestatori di lavoro, quindi detto articolo funziona da adeguamento permanente dell'ordinamento alla sottostante
realtà socio-economica" e pertanto "vale a supplire alle lacune di una normativa che non può prevedere ogni fattore di
rischio e di adeguamento della normativa al caso concreto".
La sicurezza del lavoratore costituisce un bene di rilevanza costituzionale (art. 41 Cost., comma 2, che espressamente impone
limiti all'iniziativa privata per la sicurezza) che impone - a chi si avvalga di una prestazione lavorativa eseguita in stato di
subordinazione - di anteporre al proprio (legittimo) profitto la sicurezza di chi tale prestazione esegua, adottando ogni cautela
che lo specifico contesto lavorativo richieda (Cass., n. 17314 del 2004).
Le norme specifiche antinfortunistiche rappresentano, dunque, lo standard minimale richiesto dal legislatore per la tutela
della sicurezza del lavoratore, sicchè ai sensi dell'art. 2087 c.c. vanno adottate tutte quelle misure che la specificità del rischio
cui egli sia esposto impongono.
Orbene, a seguito di un corretto e congruo accertamento di fatto, premesso che era pacifico che il dipendente stesse
lavorando nel cantiere e fosse morto fulminato mentre era intento nella sua attività lavorativa con la betoniera che
necessitava per il suo funzionamento dell'energia elettrica, per cui non poteva sostenersi che l'infortunato stesse facendo
qualcosa che esulava dalle consuete mansioni affidategli.
Quindi, il giudice di secondo grado ha evidenziato, nel limitare al 50 per cento la responsabilità del P., che lo stesso aveva
violato le disposizioni infortunistiche, tra le quali si inscrive, come norma di chiusura il citato art. 2087 cc, in quanto dalle
deposizioni testimoniali (teste Pu., collega del D.), era emerso che il D. aveva preannunciato che avrebbe operato, ma non
quel giorno, un collegamento diretto tra la betoniera e il cavo di alimentazione. Ciò dimostrava che il continuo spegnimento
della betoniera alimentata elettricamente, con cui lavorava il dipendente, per difetti all'interruttore di protezione, persisteva
da tempo, e il D. se ne era lamentato altre volte.
Detto cattivo funzionamento, asseriva la Corte d'Appello, era compatibile con lo stato in cui il consulente tecnico d'ufficio
nominato dal Pubblico Ministero - in sede del giudizio penale instaurato per i fatti di cui alla presente controversia -
rinveniva l'interruttore di protezione della betoniera che, privo della membrana di protezione e di coperchio, non era
nemmeno fissato all'interno del vano elettrico ma giaceva per terra, esposto alle intemperie e i cui contatti erano perciò
ossidati (fenomeno che richiede del tempo per manifestarsi), e ciò era la causa della frequente interruzione della corrente e
dunque del continuo spegnimento della betoniera. Tali fatti, erano stati accertati dal consulente tramite sulla base di foto
scattate dai Carabinieri nella immediatezza.
La Corte d'Appello, dunque, con congrua e logica motivazione ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi,
ritenendo che nella specie, il ricorrente abbia concorso al 50 per cento alla causazione dell'infortunio mortale, in quanto lo
stesso non aveva adottato alcuna misura di prevenzione, nè specifica, tenuto conto del sopra richiamato stato
dell'interruttore di protezione, nè generica con riguardo all'interruttore differenziale salvavita.
Nè la mancata previsione della misura specifica, circa tale ultimo dispositivo, esclude di adottare quella generica, atteso che,
come si è detto, la normativa speciale è rafforzativa, in materia infortunistica, di quella generica, nel senso che aggrava e
non esime da responsabilità, quando, pur avendo adottata la misura generale, nella ipotizzata previsione non si adotta
quella specifica.